L'ESERCITO ITALIANO NELLA GRANDE GUERRA- VOL.V tomo 2

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MINISTERO DELLA DIFESA STATO MAGGIORE DELL'ESERCITO UFFICIO STORICO

L'ESERCITO ITALIANO NELLA GRANDE GUERRA (1915-1918)

VOLUME V

LE OPERAZIONI DEL 1918

TOMO 2° .

LA CONCLUSIONE DEL CONFLITTO (Narrazione)

Da pag . 868 a pag. 1195


I Servizi CAPITOLO XVI

I SERVIZI NELLA BATTAGLIA DI VITTORIO VENETO

1. Premessa Nel settore logistico risulta piuttosto difficile distinguere le motivazioni ed i tempi dei vari provvedimenti adottati: - per migliorare il funzionamento dei Servizi in base alle esperienze della battaglia del giugno e per ripianare i consumi allora effettuati; - per adeguare la struttura logistica ai nuovi orientamenti operativi verso una «guerra di movimento» da affrontare nella primavera del 1919; infine, - per soddisfare, nell'imminenza della battaglia, le esigenze della medesima. Appare quindi opportuno, anzi necessario, considerare in modo unitario il periodo dell'estate del 1918 e quello immediatamente anteriore alla offensiva dell'ottobre; è chiaro, infatti, che, date le forti isteresi della struttura logistica, fu proprio solò per l'attività dei mesi precedenti che fu possibile realizzare quel potenziamento dei Servizi e quel ripianamento delle deficenze ancora esistenti, che dovevano permettere di soddisfare le notevoli esigenze logistiche che la battaglia di Vittorio Veneto venne, quasi inopinatamente, a presentare: quasi inopinatamente, in quanto ai primi di settembre si era ancora orientati a svernare sulle posizioni in atto e ad una ripresa delle grandi azioni offensive solo nella primavera del 1919. Già in precedenza (Cap. V) si è parlato degli sforzi fatti per ripianare le perdite ed i consumi della battaglia del giugno nonché dei provvedimenti adottati per migliorare la potenzialità dei Servizi, in ispecie delle Munizioni e dei Trasporti. Nei riguardi delle predisposizioni connesse con gli orientamenti operativi verso una «guerra di movimento», è da dire che le note «Direttive» della circolare n.13480 in data 17 settembre (Doc. n. 140) del Comando Supremo, che invitava i dipendenti Comandi ad una intensa preparazione a tale tipo di guerra, trovarono nell'Intendenza Generale una pronta rispondenza in proprie direttive, diramate con il foglio 58 S.M. Riservatissimo del 28 settembre (Doc. n.440) alle Intendenze delle Armate, ed in istruzioni ai propri Capi Servizio. Va però notato che, le misure che si andavano studiando a questo riguardo non potevano avere, in larga parte, attuazione immediata in quanto viste soprattutto in funzione delle offensive previste nel 1919. Tuttavia, come doveva avvenire nel settore operativo, la loro diramazione riusciva utile

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in quanto orientava Comandi ed organi circa L'assolvimento dei loro compiti in circostanze similari a quelle che l'Esercito doveva, in breve volgere di giorni, affrontare nelle fasi organizzativa ed esecutiva della battaglia di Vittorio Veneto. Quanto sopra è messo in rilievo dal fatto che - per esempio - il Comando della 1a Armata diramava solo in data 28 ottobre le sue disposizioni relative ai servizi di guerra di movimento e richiedeva gli studi in merito per la data del 5 novembre. Appare, dunque, evidente come l'adattamento dei Servizi alle esigenze della offensiva in profondità dovette avvenire nell'ambito delle possibilità concrete e di provvedimenti attuati sul tamburo. Comunque, come si è detto, le direttive costituirono un opportuno orientamento nei riguardi delle esigenze da soddisfare e delle modalità da seguire in simili circostanze. Nel corso dell'ottobre, quindi, l'organizzazione logistica adottò tutti i provvedimenti concretamente possibili e ritenuti necessari in vista delle operazioni da effettuare, che coinvolsero: notevoli movimenti di unità, forti concentramenti di artiglierie, ingenti ammassamenti di mezzi, ed infine complesse predisposizioni in vista di forti consumi, sgomberi e movimenti di organi logistici. In particolare, ricorderemo che, nei riguardi degli orientamenti degli organi logistici alla guerra di movimento, con il foglio citato in data 28 settembre, l'Intendenza Generale provvide a richiedere alle Intendenze di Armata gli studi di competenza, allo scopo di stabilire il fabbisogno dei mezzi occorrenti per assicurare la mobilità dei Servizi e per fronteggiare esigenze di carattere straodinario. L'Intendenza Generale previde, inoltre, di dovere predisporre la raccolta di tutti quei mezzi che si rendessero necessari per fronteggiare esigenze improvvise e non previste. Invitò pertanto tutti i propri Capi Servizio a studiare il problema, indipendentemente dagli studi effettuati presso le Intendenze di Armata, rivolgendo particolarmente l'attenzione al soddisfacimento delle seguenti esigenze: - la riattivazione delle comunicazioni: occorreva prendere in consideraz1one, in particolare, il rapido ripristino delle interruzioni stradali, la p~ovvista di materiali da ponte per il passaggio dei corsi d'acqua, la riattivazione delle comunicazioni ferroviarie; - la riattivazione di reti dei collegamenti telegrafonici; - l'intensificazione delle riparazioni e del rinnovamento dei materiali di trasporto (con particolare riferimento agli automezzi); - la provvista di autoambulanze e di autocarri attrezzati per lo sgombero dei feriti e degli infermi (anche in sostitµzione dei trasporti ferroviari nei momenti di maggiore impegno delle ferrovie per altre esigenze prioritarie); - il reperimento dei mezzi necessari per il rifornimento idrico.


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Circa le direttive impartite dall'Intendenza Generale alle Intendenze di Armata ricorderemo che veniva raccomandato di assicurare una maggiore mobilità·dei Servizi. In merito l'Intendenza Generale prescriveva di ricercare tutti i ripieghi possibili per raggiungere lo scopo, in quanto, al momento, si doveva rifuggire da progetti di impossibile realizzazione, in relazione sia al margine di tempo disponibile, sia alle effettive possibilità di approvvigionamenti straordinari. In particolare, l'Intendenza Generale dava le seguenti indicazioni: - lo spostamento in avanti degli stabilimenti avanzati doveva studiarsi sulla base delle indicazioni dei Comandi di Armata circa le esigenze operative; - entro l'ottobre poteva completarsi la trasformazione a traino meccanico dei forni «Weiss», in modo da consentire alle Armate la panificazione ad immediato contatto con le unità operanti fino ad un quantitativo di un milione di razioni di pane giornaliere; - era necessario prevedere il conferimento agli Ospedali da Campo della possibilità di spostarsi al seguito delle truppe nella loro formazione organica, lasciando nelle vecchie sedi le aliquote «territorializzate» degli impianti ospedalieri (durante la guerra di posizione sul Piave tutti i mezzi di trasporto delle unità ospedaliere erano stati incorporati nei Parchi Carreggio Salmerie delle Grandi Unità); . - doveva prevedersi di dare completa efficenza organica ai Servizi dei gruppi alpini, rimanendo ésclusa la possibilità di costituire nuove formazioni a causa della penuria di quadrupedi.

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Per quanto riguarda le misure necessarie per fronteggiare esigenze di -carattere straordinario, l'Intendenza Generale richiamava in particolare l'attenzione delle Intendenze di Armata: - sull'impiego dei mezzi di trasporto, da utilizzare solo per quanto era strettamente indispensabile per la battaglia; - sullo sgombero dei feriti e degli infermi dai territori occupati, che, molto probabilmente ed almeno in un primo tempo, si sarebbe dovuto effettuare con mezzi automobilistici fino alle stazioni ferroviarie testa di linea, in quanto sembrava da escludere un pronto riattamento delle ferrovie interrotte dal nemico prima della sua ritirata. In sostanza, l'Intendenza Generale, alla vigilia della nostra offensiva autunnale, indicava tutte le misure idonee perché il Comando Supremo potesse disporre di uno strumento il più efficente possibile anche in campo logistico con le disponibilità di mezzi effettivamente consentita. I provvedimenti presi in vista dell'offensiva furono numerosissimi, ten-

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dendo ad adeguare i mezzi posti a disposizione delle singole Intendenze alle forze assegnate alle diverse Armate per l'esecuzione della manovra. · Nel corso della battaglia, in data 29 ottobre, il Comando Supremo raccomandava, poi, alle Armate-sa, 10a e 12a ed alle relative Intendenze di costituire al più presto depositi.di viveri e munizioni oltre Piave, onde assicurare i rifornimenti essenziali anche nel caso che eventuali piene del fiume avessero ad interrompere le comunicazioni per qualche giorno (Doc. n. 441). Successivamente, poi, in relazione alla profondità delle avanzate dell'intero dispositivo ed alle.crescenti esigenze di aiuti alle popolazioni liberate, emergeva la necessità di assicurare un più stretto collegamento con le Intendenze delle Armate di quanto non lo potesse fare l'Intendenza Generale dalla sua sede di Bologna. In data 2 novembre veniva costituita, quindi, a Treviso, una Delegazione dell'Intendenza Generale (Doc. n. 442). Di seguito esamineremo, per ciascun Servizio. le predisposizioni di maggior rilievo adottate ed i risultati conseguiti. 2. Il Servizio di Sanità

A. Situazione sanitaria generale Il Servizio di Sanità fu chiamato a sforzi sensibili durante tutta l'estate e nell'autunno del 1918. . Infatti, durante 1;estate si era manifestata una grave epidemia malarica; essa non era stata ancora del tutto superata allorché l'epidemia influenzale (la famosa «spagnola») cominciò ad infierire nell'Esercito e nel Paese. Le conseguenze furono ben presto gravi: i casi giornalieri di influenza segnalati dalle Direzioni di Sanità delle Armate salirono rapidamente alle duemila unità e toccarono le tremila unità attorno la metà di ottobre. Inoltre, lo sgombero degli infermi subì inevitabili ritardi - proprio quando più occorreva accelerarlo - a causa dell'estendersi dell'epidemia fra il personale di macchina delle ferrovie e fra lo stesso personale del Servizio di Sanità, tanto più che, su una dotazione media giornaliera di 57 treni sanitari per lo sgombero degli infermi all'interno del Paese, 11 risultavano già costantemente indisponibili (6 per riparazioni e 5 per disinfezione). Per quanto riguarda le altre malattie infettive, la situazione sanitaria delle nostre unità andò peggiorando sensibilmente nella· prima quindicina di settembre, a causa di un aumento non indifferente di casi di febbri tifoidee e di dissenteria bacillare. Quanto àlla malaria, essa registrò un notevole aumento di casi nell'ambito della 3 a Armata, sia per le particolari condizioni ambientali del basso


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Piave e delle zone lagunari, sia per la deficienza di chinino manifestatasi in quel periodo. Nella seconda quindicina di settembre, mentre si andava aggravando l'epidemia influenzale che, come si è detto, toccò il suo acme proprio nell'ottobre, migliorò invece la situazione nel campo delle altre malattie infettive, delle quali si poté registrare una progressiva attenuazione.

B. Ricovero e sgombero dei feriti e degli infermi Il problema che, nel periodo luglio-ottobre, maggiormente assillò l'Intendenza Generale nel campo del Servizio Sanitario fu indubbiamente quello della disponibilità di posti letto. Malgrado ogni misura presa nei mesi estivi, alla fine di settembre, infatti, la disponibilità complessiva di posti letto vuoti era di 118.300 unità (ripartiti in ragione di: 33.500 presso le formazioni di campagna delle Armate; 14.800 negli Ospedali di Riserva delle Armate stesse; 70.000 nelle formazioni a disposizione dell'Intendenza Generale): pochi, se si pensa che nell'agosto-settembre del 1917 il numero dei posti letto vuoti, a disposizione delle Armate 2• e 3• nonché dell'Intendenza Generale, ammontavano a 150.000 unità e che, all'inizio della battaglia del Solstizio, i posti vuoti a disposizione dell'Intendenza Generale superavano le 120.000 unità. C'è inoltre da tener presente che, in questo periodo, la disponibilità era ipotecata gravemente dall'andamento dell'epidemia influenzale. Pertanto l'Intendenza Generale (che nel periodo luglio-settembre aveva provveduto a fare effettuare movimenti perequativi nell'ambito delle varie Intendenze di Armata) il 9 ottobre rappresentò al Ministero della Guerra la difficile situazione e chiese una serie di provvedimenti, fra i quali l'urgente riapertura degli Ospedali dell'interno del Paese, temporaneamente chiusi per economia o per deficenza di personale sanitario. Nel contempo, il Comando Supremo prese a sua volta altre importanti misure, fra le quali: - l'autorizzazione dello sgombero fuori della Zona di guerra dei celtici, dei convalescenti, degli infettivi, dei neuropatici; - l'estensione della Zona di Guerra (ai soli fini sanitari); - la riduzione a 30 giorni per gli ufficiali ed a 15 giorni per i militari di truppa dei limiti massimi di guaribilità all'interno della Zona di Guerra; - accordi con le Direzioni Trasporti per utilizzare le tradotte per le licenze ai fini dello sgombero degli infermi non gravi dagli Ospedali delle Intendenze delle Armate. E poiché alla data del 17 ottobre la situazione era ancora ben lungi dal1' essere migliorata, in aggiunta a tali provvedimenti, il Comando Supremo

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dispose l'immediato invio in licenza di convalescenza di tutti gli infermi abbisognevoli di un periodo di convalescenza superiore ad un mese. Solo il 23 ottobre il Ministero della Guerra, aderendo alle richieste dell'Intendenza Generale, comunicò a tale orga.no di avere disposto che: - gli Ospedali di Riserva chiusi e quelli non ancora completamente allestiti fossero messi in condizione di funzionare al più presto possibile; - gli stabili già adibiti ad uso ospedaliero e temporaneamente restituiti ai rispettivi proprietari fossero rioccupati ed arredati con la massima rapidità; - le Direzioni di Sanità territoriali dessero il loro mass.imo concorso per fronteggiare le esigenze di sgombero dalla Zona di Guerra. La situazione in Zona di Guerra migliorò sensibilmente soltanto alla fine di ottobre, a battaglia già in corso da diversi giorni. Alla data del 31 ottobre la disponibilità media di posti letto vuoti presso ciascuna Armata era infatti salita a 19.000 unità (l'esigenza minima era stata calcolata in 15.000 unità), cosicché il Servizio Sanitario, nel particolare campo degli sgomberi, aveva potuto riprendere il suo funzionamento regolare, anche se persistevano notevoli difficoltà causate dagli ingorghi ai terminali delle stazioni ferroviarie del Veneto. Nel corso della battaglia vi fu qualche difficoltà per gli sgomberi solo nell'ambito dell'Intendenza della 4• Armata, per le perdite ingenti in pochi giorni. Ed ora diamo un'idea dell'entità degli sgomberi. Questi, che erano stati rispettivamente di: 11.100 sgomberati nel mese di luglio e di 13.550 nel mese di agosto, subivano una decisa impennata nei mesi successivi: 19.585 sgomberati nel mese di settembre, 68.400 nel mese di ottobre. Nel periodo compreso fra il 17 ed il 31 ottobre furono sgomberati dalla Zona di Guerra negli Ospedali all'interno del Paese 54.210 infermi, così ripartiti fra le varie Armate: - 1• Armata: 2.100 - 3• Armata: 18.140; - 4• e 6" Armata: 12.460; - 8"_Armata: 20.260; - Piazza di Venezia: 1.250 1 • Dato il favorevole andamento delle operazioni successive al 31 ottobre, conseguito con minime perdite, gli sgomberi effettuati fra fft, 0 ed il 1 Le Armate 10• e 12• non compaiono , in quanto per i Servizi esse si appoggiavano alle Intendenze delle Armate 3• ed s•, rispettivamente.


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16 novembre si ridussero notevolmente contraendosi a 29. 790 unità, così ripartite:

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3. Il Servizio di Commissariato

A. Vettovagliamento

- 1a Armata: 1.200; ·_ 3a Armata: 7.670; - 4a e 6a Armata: 5.100; - 8a Armata: 10.550; - Piazza di :Venezia: 6.170

C. Materiale sanitario In previsione della battaglia si provvide ad accrescere le scorte di materiale sanitario, particolarmente quelle relative ai disinfettanti, ai mezzi di risanamento del campo di battaglia ed a quelli per l'igiene delle truppe. Presso il Deposito Centrale di Bologna, funzionante come Magazzino Scorte a diretta disposizione dell'Intendenza Generale, vennero accumulate riserve di stufe, lavanderie, bagni, potabilizzatori, ecc. Molto import~nte fu anche l'azione svolta per incrementare i mezzi per l'organizzazione della difesa antigas, organizzazione che aveva dato ottima prova durante l'offensiva austriaca del giugno. All'uopo si provvide dapprima a rimettere in piena efficenza le dotazioni; quindi fu continuata ed accelerata, con il concorso del Ministero della Guerra, la distribuzione di ind~menti antiipritici di vario tipo, cosicché, all'inizio della battaglia di Vittorio Veneto, le Armate avevano ricevuto complessivamente 500.000 combinazioni di vestiario, circa 130.000 paia di guantoni, 15 pacchi per la protezione dei viveri, 8.000 copertoni e 13.000 soprascarpe. Inoltre l'Intendenza Generale aveva apprestato rapidamente un notevole numero di scatole di ipoclorito di calcio (oltre 10.000) da distribuire alle unità più avanzate. Per quanto riguarda le autoambulanze, nel mese di agosto l'Intendenza Generale ricevette 15 autoambulanze statunitensi con relativo personale, che furono assegnate in ragione di quattro alla 3a Armata, sette alla 4a Armata e quattro all'8a Armata.

D. Personale sanitario 0

Per andare incontro alle esigenze di pronto intervento press0 le Armate furono costituiti ed assegnati numerosi Nuclei Chirurgici. All'inizio dell'autunno, lo sviluppo dell'epidemia di influenza nell'interno del Paese impose interventi per l'assegnazione di personale militare alle unità della Croce Rossa, in .sostituzione di molto personale (Ufficiali e Militi) richiamato nell'interno per servizi civili, ed ai treni ospedale per ricoprire le forti deficienze di personale ammalatosi.

È noto come, nel 1918, la situazione alimentare del Paese rimanesse molto difficile per il grosso deficit della produzione nazionale di granaglie e di carne, solo in parte ricoperto con le assegnazioni di risorse da parte dei Comitati Interalleati dei Rifornimenti e dei Trasporti. Così, nonostante le grosse privazioni imposte alla società civile a favore del personale delle · Forze Armate, durante l'estate non erano diminuite le difficoltà del servizio di vettovagliamento per quanto concerne i rifornimenti di farina (e suoi derivati) e di riso. Solo per brevi periodi l'Intendenza Generale aveva potuto disporre di dieci giornate di farina, faticosamente accumulate. All'inizio di ottobre la situazione si aggravò per particolari circostanze: la crisi dei trasporti ferroviari (impegnati prevalentemente nell'ammassamento delle unità, degÌi armamenti e del munizionamento, in vista della nostra prossima offensiva) e l'arrivo ai magazzini dell'Intendenza Generale di grano anziché di farina (con difficoltà per la macinazione per deficienza di energia elettrica ai mulini). Pertanto, la costituzione delle scorte necessarie, presso le Armate 8 a e 4a in primo luogo e presso le Armate 6a e 3a subordinatamente, fu quanto mai laboriosa; tuttavia, adottando tutti i provvedimenti del caso, fu possibile soddisfare questa esigenza prioritaria. Basti dire che alla fine di ottobre 1'8a Armata (quella cioé che richiedeva i maggiori quantitativi date le forze ingenti ad essa assegnate) disponeva nei propri stabilimenti di tutte le scorte necessarie, rappresentate da 25 giornate di avena e di surrogati, 8 giornate di gallette, 9 giornate di carne in scatola, 23 giornate di condimenti; inoltre erano normalizzati i rifornimenti di farina, di carne fresca, di fieno. Per migliorare l'efficienza degli organi preposti alla panificazione, l'Intendenza Generale invitò le Intendenze di Armata a dare anche il maggior impulso possibile ai corsi preparatori del personale addetto; inoltre, allo scopo di sfruttare i forni.in muratura eventualmente utilizzabili (con conseguente economia nell'impiego di quelli mobili a favore delle Armate operanti), si provvide a costituire presso l'Intendenza C.D. due Sezioni Panettieri senza forni mobili. Nel quadro dei provvedimenti presi dall' Intendenza Generale al fine di conferire la maggior mobilità possibile agli organi dei Servizi, venne attuata la trasformazione (della quale si è già fatto cenno) del traino ·di 39 forni «Weiss» da animale a meccanico. Tale trasformazione venne portata a termine durante il mese di ottobre e consentì alle Sezioni Panettieri di seguire, durante l'avanzata, anche le Grandi Unità spinte all'inseguimento del-


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l'avversario; l'assegnazione di tali sezioni così modificate avvenne in ragione di una per Divisione. Altre previdenze l'Intendenza Generale prese nel campo della panificazione, allo scopo di conferire ai mezzi di cui disponevano le Armate, oltre alla necessaria mobilità, anche un'adeguata elasticità. A tal fine, l'Intendenza Generale dispose: - l'accrescimento dei mezzi di panificazione assegnati alle Intendenze di Armata in modo che le loro possibilità produttive risultassero largamente superiori rispetto ai fabbisogni immediati; - la raccolta, a propria disposizione, di una forte aliquota di mezzi di panificazione da tenere in riserva (comprendente essenzialmente panifici fissi, squadre forni mobili di vecchio tipo nonché 5 squadre «Weiss» a traino meccanico, appositamente costituite). Tutte le previdenze delle quali si è fatto cenno permisero generalmente di soddisfare pienamente le esigenze delle unità nel corso della battaglia di Vittorio Veneto. In proposito si ricorda il caso dell'8• Armata, che da una forza di 190.000 uomini era salita, al 24 ottobre, ad una forza di 420.000; orbene, l'Intendenza di tale Armata poté fornire, battaglia durante, tutto il pane necessario alle dipendenti unità, con il solo concorso da tergo di 90.000 razioni, spedite giornalmente per ferrovia da Pieve di Cento. Ciò non toglie che dovettero superarsi anche momenti critici nei rifornimenti di viveri dai Depositi Centrali a quelli della Armate 4 • ed 8 • per le difficoltà dei trasporti ferroviari e l'esaurimento delle scorte, che richiesero interventi del Comando Supremo in data 26 ottobre e 2 novembre (Doc. n.443 e n.444). Inoltre vennero a risultare particolarmente difficili i rifornimenti alle Unità più avanzate. Da una parte ciò imponeva la riduzione delle entità delle forze lanciate all'inseguimento, mentre allungava in modo quasi proibitivo il tempo dei cicli/viaggio di rifornimento; si pensi - ad esempio - che le colonne di viveri e foraggi per le unità del Corpo di Cavalleria impiegarono, dato lo stato delle rotabili e del traffico, fino a quattro giorni per eseguire i loro rifornimenti. No.n mancarono quindi, in dette unità, casi isolati di qualche insufficiente alimentazione di uomini e quadrupedi, anche per l'impossibilità di reperire risorse locali in regioni già depredate a fondo dal nostro avversario. Andò, anzi, facendosi sempre più pressante l'esigenza di fornire assistenza sanitaria ed alimentare alle popolazioni civili ed alle torme di prigionieri austriaci nonché agli ex-prigionieri italiani affluenti con ogni mezzo dall'interno dei territori dell'Impero Asburgico, dato lo stato di caos ivi prevalente e la possibilità di sottrarsi allo stato di cattività.

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Sulle condizioni disperate delle regioni liberate e della necessità di pronti interventi il nostro Comando Supremo riferiva alla Presidenza del Consiglio con un messaggio già nella giornata del 31 ottobre (Doc. n. 387).

B. Ve~tiario ed Equipaggiamento Nella prima quidicina di ottobre furono accumulate ingenti scorte di Vestiario ed Equipaggiamento presso l'omonimo Magazzino avanzato di Padova; con esse fu possibile far fronte a tutte le richieste delle varie Armate. A titolo di esempio, si cita qui ancora una volta il caso dell'Intendenza dell'8 a Armata, alla quale furono rapidamente distribuite 120.000 serie di indumenti invernali e 220.000 coperte, in aggiunta alle normali dotazioni.

4. Il Servizio di Artiglieria

A . Provvedimenti per il rifornimento munizioni I fortissimi consumi di munizionamento verificatisi durante la battaglia del Solstizio avevano indotto, come abbiamo già ricordato nel Cap. V, il Comando Supremo ad adottare o stimolare l'adozione di provvedimenti di potenziamento del servizio. In particolare, il Comando Supremo si era preoccupato di affrontare un triplice ordine di problemi: il riadeguamento delle dotazioni; l'organizzazione del trasporto munizioni, il riadeguamento ed il potenziamento delle scorte. Anzitutto, il Comando Supremo aveva disposto che le Armate riportassero al più presto le loro dotazioni di munizioni ai normali livelli previsti, vale a dire: - 9 giornate di fuoco per le artiglierie di medio e di grosso calibro e 10 giornate di fuoco per le artiglierie di piccolo calibro (per le Armate 4•, 6· e 1•); - 7 giornate per le artiglierie di medio e di grosso calibro e 1Ogiornate per le artiglierie di piccolo calibro (per le Armate 1• , s• e 3•). Per poter conseguire lo scopo del ripianamento delle dotazioni, il Comando Supremo, fra l'altro, invitò i Comandi delle Armate a realizzare una certa economia nei consumi giornalieri di munizioni ed a fare un limitato uso di determinate bocche da fuoco , per le quali esistevano scarse possibilità di rifornimento. Altro punto sul quale il Comando Supremo fissò la sua attenzione, fu quello dei trasporti ferroviari dai Depositi dell' Interno a quelli dell'Intendenza Generale e delle Intendenze di Armata. A tal riguardo, il Comando Supremo fece apportare decisi miglioramenti alle stazioni di partenza dei


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Depositi Centrali ed a quelle di scarico delle Armate. Per effetto di tali provvedimenti, all'inizio della battaglia di Vittorio Veneto tutte le Armate erano in condizione di poter ricevere e scaricare entro le 24 ore una propria giornata di fuoco (compl_essivamente ogni giornata di fuoco comportava il movimento di 80 treni mentre anteriormente era possibile far affluire solo un· quarto di essa). Per snellire ulteriormente il servizio, furono costituiti, durante l'estate, sette depositi intermedi di munizioni e di materiali di artiglieria rispettivamente a: Castelfranco Veneto, Signoressa, Castagnola, Lancenigo, Noale, Vigodarzere, San Giorgio delle Pertiche. Fu inoltre costituito uno speciale deposito avanzato per petardi offensivi a San Giorgio· in Piano. Tutti questi depositi riuscirono di grande utilità durante la battaglia di Vittorio Veneto. Infine, il Comando Supremo si preoccupò di migliorare anche l'afflusso dei rifornimenti alle prime linee ed a tal fine ordinò all'Intendenza Generale di potenziare tutti i mezzi impiegabili per il trasporto di munizioni, armi e parti di ricambio dai depositi delle Intendenze di Armata agli organi dei Servizi divisionali (teleferiche, decauvilles, trasporti a mezzo di autocarri ed a soma, etc.). Per quanto concerne le scorte di munizionamento dei vari tipi di artiglierie, il Comando Supremo ritenne di dovere affrontare un duplice problema: quello di riequilibrare le scorte stesse sulla base delle effettive esigenze di impiego dei diversi tipi di materiali e successivamente quello di elevarle da quindici a venti giornate per tutte le artiglierie in vista delle offensive da effettuare nel 1919. Si è già parlato in precedenza. dei provvedimenti di carattere tecnico intesi a: conseguire una maggiore mobilità delle artiglierie con traino meccanico; elevare la gittata di determinate artiglierie; ed, infine, disporre di proietti a caricamento speciale (nebbiogeni, a gas, etc.) nonché di spolette di tipi piu efficienti.

B. Programmi di allestimento di nuovi materiali di artiglieria Già nel mese di maggio i vuoti prodotti dalla ritirata al Piave nel campo delle artiglierie erano stati interamente ripianati; anzi, la loro produzione aveva addirittura superato i quantitativi preventivati. Il Comando Supremo tuttavia, in data 8 luglio, impostò un nuovo programma (foglio n. 51769- documento n.146) con il quale invitava il Ministero Armi e Munizioni ad incrementare ulteriormente la produzione di tutti i materiali ·ed in particolare dei cannoni, fino a raggiungere un totale di 5670 bocche da fuoco contro le 4292 previste dal precedente programma),

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delle quali 3345 di piccolo calibro, 2298 di medio calibro, 117 di grosso calibro: in totale, 725 batterie dei vari calibri. Fra le provvidenze di carattere particolare, sono da ricordare: - la raccomandazione rivolta dal Comando Supremo al Ministero Armi e Munizioni perché nell'artiglieria d'assedio fosse dato maggiore sviluppo ai cannoni piuttosto che alle bocche da fuoco a tiro curvo ; - l'impiego presso le Grandi Unità dei moderni obici da 149 Modello 14-18 e da 105 P.C. Modello 18, materiali per i quali il Comando Supremo raccomandò che fosse studiata la realizzazione di una maggiore gittata; - lo studio inteso a realizzare una più moderna installazione per l'obice da 305/ 17 ed un nuovo affusto a ruote per il mortaio da 260/ 9.

c. Particolari predisposizioni prese nell'imminenza della battaglia. II Comando Supremo, nell'imminenza della battaglia fece predisporre particolari misure nel campo dei trasporti, al fine di rendere il più possibile tempestivi i rifornimenti delle munizioni. In particolare, presso ogni Deposito Centrale venne composto e caricato un treno di munizioni, pronto a muovere al primo cenno, secondo un itinerario prefissato. Inoltre, per l'8a Armata - alla quale era affidato il compito principale nella condotta del1' offensiva - fu predisposto il rifornimento continuativo di una giornata di fuoco ogni 24 ore, senza attendere richieste. In pratica, per le esigenze delle varie Armate, i Depositi Centrali approntarano, nel loro insieme, sedici treni, i quali, al primo avviso, mossero dando inizio ai rifornimenti. Una volta partiti i primi treni, erano già pronti i materiali ferroviari per comporre i successivi, i quali, appena pronti, partivano alla loro volta senza attendere le consuete richieste. Tale procedimento di automatico rifornimento funzionò egregiamente, con ottimi risultati.

D. / rifornimenti ed i consumi di armi e munizioni durante la battaglia di Vittorio Veneto Dal 1° ottobre al 4 novembre furono spediti alle Armate, per sostituzione: 341 bocche da fuoco , 260 affusti, 5000 fucili modello 91, 1000 moschetti, 11.400 pugnali. _Nello stesso periodo, vennero inviati dai Depositi Centrali alle Armate i seguenti quantitativi di munizioni: - 18.345 colpi per artiglierie di grosso calibro; - 1.102.600 colpi per artiglierie di medio calibro; - 2. 727 .500 colpi per artiglierie di piccolo calibro; - 58.776.500 cartucce per fucili; - 21.992.700 cartucce per mitragliatrici;


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- 10.680.350 cartucce per pistole; - 3.006.000 cartucce per moschetti automatici; - 7 .000.000 bombe a mano; - 48.350 granate a mano; - 1.350.000 petardi offensivi; - 17 .500 petardi incendiari; - 132.000 cartucce da segnalazione per pistola Very; - 3.500 razzi da segnalazione; - 30 bombe Benaglia per fucile . Furono inoltre effettuati i seguenti trasferimenti di munizionamenti fra le varie Armate: 1300 colpi per artiglierie di grosso calibro, 301.300 colpi per artiglierie di medio calibro, 686.000 colpi per artiglieria di piccolo calibro. Da ricordare ancora che le altre Armate trasferirono complessivamente all'8• Armata 120.000 bombe a mano, 200.000 petardi offensivi, 15.000 petardi incendiari. Durante la battaglia di Vittorio Veneto il consumo complessivo di munizioni fu di: -

15.400 colpi per artiglierie di grosso calibro; 866.200 colpi per artiglierie di medio calibro; 1.705.800 colpi per artiglierie di piccolo calibro;

Il consumo complessivo di munizioni per artiglieria fu, dunque, di 2.587.400 colpi dei quali 2.446.500 furono consumati fino a 31 ottobre ed i rimanenti dal 1° al 4 novembre. 5. Il Servizio del Genio

Il Servizio del Genio, nelle sue varie branche, era stato messo in grado, alla vigilia della battaglia di Vittorio Veneto, di fronteggiare le esigenze di una grande battaglia: le notevoli scorte di materiali di ogni genere, pazientemente accumulate dall'Intendenza Generale nei propri Depositi, e l'opportuno accentramento delle assegnazioni potevano consentire la più grande elasticità di impiego. Particolare rilievo assunse l'organizzazione dei lavori sia nel periodo precedente la battaglia sia durante e dopo per soddisfare le esigenze di movimento e di vita nella zone già occupate dal nemico e fortemente danneggiate. Per queste ultime il Comando Supremo dava disposizioni in data 25 ottobre (Doc. n. 445) mentre numerosi erano gli interventi del Comando Supremo e del Comando Generale del Genio per un pronto riattamento delle strade; si riportano - a titolo di esempio - solo alcune comunicazioni (Doc. n.446 e n. 447). Sull'importanza assunta da questo servizio ai fini del successo comples-

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sivo dell'azione ebbe a parlare, a suo tempo, anche il Maresciallo Caviglia. Per le attività dì lavoro sul campo di battaglia furono, inoltre, forniti alle Armate notevoli quantitativi di materiali: -

legname (non da ponte): metri cubi 15.000; graticci: 50.000; paletti: 1.000.000; attrezzi da lavoro: 80.000; cavalli di Frisia: 50.000; sacchetti a terra: 4.000.000; gabbioni e reticolati speditivi: 9.000; materiali metallici: quintali 9.000; corda spinosa: tonnellate 4.000.

Particolarmente impegnative furono le richieste di materiali connesse con il riattamento della viabilità nelle zone a cavallo del fiume Piave e lungo gli assi di penetrazione delle truppe avanzanti. Assai onerose furono le esigenze di materiale da ponte. Mentre le Intendenze di Armata provvedevano direttamente all'allestimento di passerelle e di mezzi di circostanza per l'attraversamento dei corsi d'acqua, il Comando Generale del Genio dispose che talune Officine di Armata, l'Officina di Pavia e le Officine di Intendenza Generale di Castenaso costruissero 8.000 metri di passerelle di tipo speciale, particolarmente leggere e quindi di facile costruzione. Per il gittamento di tali passerelle vennero approntate, inoltre, 1500 barche con le relative soprastrutture, la maggior parte delle quali fu allestita dalle Officine di Castenaso, che raggiunsero la ragguardevole produzione giornaliera di 45 barche. Complessivamente furono costruite a Castenaso 1057 barche, con le sovrastrutture occorrenti per 1800 barche; altri cantieri costruirono le altre 743 barche. La disponibilità di 1800 barche consentiva la costruzione di passerelle per una lunghezza totale di 10.000 metri, superiore di gran lunga alla richiesta iniziale. Furono inoltre fornite funi per ancoraggio e per il collegamento delle barche (funi di vario diametro per un quantitativo di oltre 500.000 metri) e 1500 ancore. Infine, prima che l'offensiva avesse inizio, il Comando Supremo dispose la raccolta, a Treviso ed a Mestre, di legname da ponte, destinato alla rapida riattivazione delle comunicazioni attraverso i fiumi nella zona che sarebbe stata liberata. L'Intendenza Generale, facendo ricorso alle proprie scorte, nonché ai Comitati del Legname e ad alcune Direzioni Territoriali del Genio, nel breve periodo di 15 giorni, riuscì a fare affluire nelle due lo-


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calità predette un quantitativo di circa 28.000 metri cubi di legname da ponte, con le relative ferramenta. Oltre agli ordinari rifornimenti di «routine»; l'Intendenza Generale fece effettuare, in vista della battaglia, i seguenti rifornimenti straordinari di materiali delle trasmissioni: -:-

cordoncino telefonico: chilometri 30.000; filo per linee permanenti: chilometri 2000; apparati' telefonici da campo: 1200; centralini telefonici: 300; apparati radio: 400.

Rilevanti, infine, le predisposizioni e gli interventi, eseguiti prima, durante e dopo la·battaglia, per assicurare alle truppe un soddisfacente Servizio Idrico, batteriologicamente sicuro.

6. Il Servizio Veterinario Il Servizio Veterinario proseguì la sua opera assidua, iniziata nell'inverno 1917-18, per il risanamento e la ricostituzione del prezioso patrimonio dei quadrupedi. Alla vigilia della battaglia di Vittorio Veneto la situazione poteva quindi considerarsi soddisfacente, anche se non vi era certo abbondanza di muli. Durante la battaglia il Servizio Veterinario funzionò egregiamente, senza dar mai luogo ad alcun inconveniente.

7. Il Servizio Postale In previsione delle imminenti operazioni, fin dal 15 ottobre l'Intendenza Generale diramò direttive intese ad assicurare il Servizio Postale in caso di rapida avanzata. In particolare: - furono forniti alle Direzioni Postali di Armata i mezzi automobilistici per il rapido trasporto dei dispacci alle truppe avanzanti; - furono stabiliti centri provvisori di raccolta e smistamento dei dispacci; - fu predisposto l'impianto di nuovi uffici oltre il Piave; - fu distribuito alle truppe, in anticipo, un maggior numero di cartoline in franchigia in previsione delle difficoltà che ~i sarebbero potute incontrare durante la battaglia per tale distribuzione. Dopo l'inizio delle operazioni, il 29 ottobre, venne impiantato in Treviso un centro di smistamento dei dispacci per le unità delle Armate 3a, 4a ed

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8~; fu altresì disposto che gli Uffici postali militari provvedessero all'espletamento del servizio anche per la popolazione civile. Infine, si provvide ad organizzare, all'immediato seguito delle truppe avanzanti, un servizio volante con autocarri lungo determinati itinerari per i territori liberati. Per avere un'idea dell'impegno straordinario del servizio durante ed immediatamente dopo la battaglia di Vittorio Veneto, basti pensare che in Trieste fu impiantato un ufficio postale, che funzionò anche per la popolazione civile soltanto tre giorni dopo l'entrata in città delle nostre truppe.

8. Il Servizio delle Tappe Nel periodo luglio-ottobre, il Servizio delle Tappe provvide senza sosta alla paziente raccolta di mezzi di trasporto di ogni genere, costituendone, in tal modo, un adeguata riserva. Si pensi in proposito che, ai primi di ottobre, il Servizio poteva fare affidamento su circa 1000 carri a due ed a quattro ruote, su 5000 bardature a basto e su 3000 quadrupedi. Pertanto, durante la battaglia, con il solo preavviso - talvolta - di poche ore, fu possibile assegnare ai Comandi richiedenti più di 2000 quadrupedi: parte a gruppi isolati, parte ordinati in Sezioni Carrieggi e Salmerie. Nel corso della battaglia il Servizio delle Tappe assunse anche i compiti precedentemente affidati al disciolto Ufficio Sgomberi, provvedendo al recupero dei materiali catturati. Ingente l'impegno per l'assistenza alle truppe in movimento e, successivamente, per quella dei nostri militari già prigionieri e lo sgombero dei prigionieri austriaci .

9. Il Servizio Automobilistico Subito dopo la battaglia di giugno, furono intensificate tutte le misure intese a raccogliere la maggiore quantità possibile di mezzi e di personale per rendere sempre più efficiente il servizio . Malgrado le richieste ingentissime delle Armate e le esigenze presentatesi durante l'estat.e per il fronte balcanico, il lavoro degli organi preposti al servizio consentì risultati quanto mai soddisfacenti, particolarmente nel campo dei materiali. · Per quanto riguarda questi ultimi, infatti, si provvide: - alla costituzione di nuove autosezioni: per il trasporto delle truppe, per il traino di artiglierie, per gli autoparchi e per iparchi trattrici; - alla trasformazione a traino meccanico di due reggimenti di artiglieria da campagna, di alcuni gruppi da 105 e da 149, di 9 equipaggi da ponte, di 39 squadre forni «Weiss»;


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ad assegnazioni e reintegri di mezzi a diverse unità.

L'opera svolta per il reperimento del materiai,!:! nel periodo luglio-ottobre si può sintetizzare nelle seguenti cifre di mezzi distribuiti alle Armate: - autocarri: 6567; - autovetture: 441; - motocicli: 1178; - motocarrozzette: 687; - biciclette: 11.904. Maggiori difficoltà furono invece incontrate nel campo del personale (Quadri e Truppa), a causa della scarsa 'preparazione che sia i nostri ufficiali, sia i nostri soldati avevano in materia di automezzi. Fu pertanto necessario istituire numerosi appositi corsi, mediante i quali si poté conferire l'idoneità alla guida a circa 13.800 militari, che vennero inviati alle Armate nel periodo di preparazione dell'offensiva: un risultato inveroimponente ove si pensi che, all'epoca, la motorizzazione era appena nata ed era ben lungi dall'aver conseguito la diffusione che avrebbe avuto in seguito. Si può affermare che l'intensa opera svolta dall'Intendenza Generale per potenziare il Servizio Automobilistico diede pieni frutti nel periodo della preparazione dell'offensiva e durante la battaglia. Il Servizio stesso effettuò, infatti, durante il periodo predetto, ingenti trasporti strategici: con l'Autoparco di Manovra furono trasportati ben 185.000 uomini, e cqn quelli delle Armate altri 65 .000. Nel medesimo periodo, ingentissimo fu anche il lavoro svolto dagli stabilimenti del Deposito Centrale Auto, i quali restituirono alle unità ed agli enti di appartenenza ben 1540 autocarri inviati alla riparazione e rimessi in efficenza. Va ricordato inoltre che, nel breve arco di dieci giorni, l'Officina del 2° Stabilimento, senza ridurre la sua normale produzione, allesti 200 attacchi speciali per la trasformazione a traino meccanico degli equipaggi da ponte, mentre l'officina del 6° stabilimento, in un solo mese, allestì 400 attacchi speciali per forni «Weiss». Per quanto concerne i rifornimenti di carburanti e lubrificanti, in vista della offensiva le dotazioni di benzina presso gli autoparchi fu portata a venti giornate. La misura si rivelò quanto mai appropriata; infatti, già all'inizio della battaglia il consumo giornaliero salì di colpo a 600 tonnellate: il doppio del consumo normale nei precedenti mesi estivi. Pertanto, malgrado l'aumento delle dotazioni, gli organi preposti alla speciale branèa del servizio incontrarono difficoltà, particolarmente nel campo dei trasporti ferroviari di rifornimento .

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Cionondimeno tutte le esigenze furono soddisfatte e, nel periodo di massimo movimento (dal 20 ottobre al 3 novembre), vennero fatte affluire al fronte 9.240 tonnellate di benzina, con una media giornaliera di 637 tonnellate, richiedenti un impiego di 650 vagoni. Anche per il rifornimento delle gomme si incont~arono difficoltà, soprattutto a causa della diminuita produzione da parte degli stabilimenti, per le assenze di personale dovute all'epidemia di «spagnola». Cionondimeno, fu possibile soddisfare, con particolari accorgimenti, tutte le esigenze delle nostre unità impegnate nella battaglia. 10. Il Servizio' dei Trasporti

Prima e durante la battaglia di Vittorio Veneto il Servizio dei Trasporti si trovò a dovere affrontare difficoltà di carattere eccezionale, soprattutto nel campo dei movimenti ferroviari, che risultarono per intensità e per durata grandemente superiori a quelli verificatisi in ogni precedente occasione; e ciò fece sentire una certa scarsità del materiale rotabile e del personale ferroviario, particolarmente, per quest'ultimo, a seguito della già più volte citata epidemia di «spagnola» . Numerosi furono gli interventi della Intendenza Generale e del Comando Supremo per: contenere i tempi del reimpiego dei carri ferroviari, sollecitare lo scarico dei vagoni in arrivo, ridurre o rimandare i trasporti meno urgenti e non indispensabili (Doc, n. 448 e n. 449). Si riuscì comunque, a prezzo di grandi sacrifici da parte del personale e ricorrendo ad una manovra spinta all'estremo dei materiali disponibili, a superare tutte le difficoltà. Nel periodo di preparazione della battaglia (dal 26 settembre al 23 ottobre) prevalsero i trasporti di carattere strategico, quelli dei materiali (di artiglieria e da ponte) ed i movimenti dei treni sanitari. Furono trasferite per ferrovia ben 6 Divisioni di fanteria, una di Cavalleria, 3 gruppi alpini e 226 batterie. Fra i trasporti di Grandi Unità al completo, meritano di essere ricordati i trasferimenti: - della 61 a Divisione, dalla 1 a alla 9a Armata, nei giorni 5, 6 e 7 ottobre; - della Divisione Cecoslovacca, dalla 1a alle 9" Armata, nei giorni 7, 8 e 9 ottobre; - del XIV Corpo d'Armata britannico, dalla 6a alla 10" Armata, nei giorni compresi fra il 12 ed il 16 ottobre (tale trasferimento richiese ben 99 treni); - della 22" Divisione, dalla 7" alla 9" Armata, nei giorni compresi fra il 7 ed il 12 ottobre;


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- della 3 • Divisione di Cavalleria, dalla zona di Desenzano - Lonato a quella di Poiana - Padova, nei giorni 15, 16 e 17 ottobre; - della 34• Divisione, dalla 1• alla 9• Armata, nei giorni 24 e 25 ottobre. Ma altrettanto degno di nota fu il trasporto (compiuto fra il 26 settembre e 1'8 ottobre) di 132 batterie, delle quali 98 di medio e di grosso calibro, felicemente compiuto con particolari cautele di sicurezza. Fu questo il più grande spostamento ferroviario di artiglierie effettuato nel nostro Teatro operativo durante l'intera 1 • Guerra Mondiale. Nel successivo periodo, compreso fra il 24 ottobre ed il 4 novembre, i trasporti riguardarono prevalentemente i reparti di marcia (della classe 1900), i rifornimenti delle munizioni ed il Servizio Sanitario. Notevole risultò il movimento di 44 battaglioni di marcia e quello dei treni sanitari che raggiunse la cifra di 17 per giornata, cifra mai riscontrata in precedenza. Ovviamente, non meno ingenti risultarono i trasporti di materiali di ogni genere; merita ricordare che, per il solo materiale da ponte, occorsero 3100 carri ferroviari. La Direzione dei Trasporti rivolse la sua attenzione anche al ripristino, quanto più celere possibile, delle linee ferroviarie in Val Lagarina ed oltre il Piave, nonché alla utilizz~zione di linee Decauville di campagna da collegarsi con gli impianti abbandonati dal nemico, ed infine al ripristino della navigabilità dei canali della cimosa lagunare del Veneto . 11. L'Ispettorato delle Retrovie

In previsione dell'offensiva, venne intensificato il servizio di sorveglianza e di sicurezza in atto nelle retrovie del fronte, integrandolo con un sistema di pattuglie di collegamento, inteso ad assicurare la massima disciplina. Si è già accennato come vennero attuate misure per mantenere il segreto sui movimenti e su destinazioni e compiti delle Unità. Durante la battaglia, mentre il contegno di tutte le truppe si mantenne ovunque superiore ad ogni elogio, si verificò invece qualche caso di sbandamento fra i nostri ex-prigionieri liberati. Per ovviare all'intensificarsi di tale spiacevole fenomeno, furono sollecitamente organizzati, a cura dell'Ispettorato delle Retrovie, efficaci servizi di restrellamento, mediante i quali, in breve tempo, fu possibile avviare ai Centri di Raccolta circa 80.000 ex-prigionieri. 12. Alcune considerazioni sul funzionamento dei Servizi nella battaglia di Vittorio Veneto

Il funzionamento dei Servizi durante la battaglia fu, nel complesso, sod-

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disfacente. Esso fu indubbiamente favorito dalla concentrazione dei consumi nei primi 5-6 giorni della battaglia, quando le unità erano ancora sulle posizioni iniziali, e dalla successiva forte diminuzione di alcuni di essi nelle successive fasi dinamiche. E però l'avanzata, eseguita da tutte le forze su amplissima fronte ed a grandi profondità, doveva esaurire rapidamente le possibilità dei trasporti, resi insufficienti: dalle condizioni disastrose delle vie ordinarie e dei passaggi sui corsi d'acqua, dalla impossibilità di ricorso alle ferrovie, e dalla insufficienza dei mezzi automobilistici a sostenere oneri enormemente accresciuti. Le difficoltà logistiche, oltre a costringere ad una riduzione delle forze spinte in profondità, dovevano portare ad una situazione di crisi che, superata nei primi giorni di novembre per la volontà e l'entusiasmo che animava Comandanti e gregari, doveva rivelarsi piuttosto pesantemente nei giorni successivi all'armistizio. Ciò era connesso anche alla esigenza di affrontare compiti straordinari quali l'assistenza alla popolazione dei territori liberati, ed il vettovagliamento alla massa di prigionieri catturati e di nostri ex prigionieri in afflusso dall'Austria. Il successo, conseguito anche al di là di ogni aspettativa, ebbe a provocare, sotto qualche aspetto, profonde modificazioni nelle esigenze logistiche rispetto alle previsioni; esso, infatti, mentre aveva ripercussioni favorevoli per alcuni Servizi, risultava invece negativo per altri. In breve possiamo rilevare quanto segue. Il Servizio Sanitario vide concentrati i suoi interventi essenzialmente nei settori della 4• Armata, che ebbe le maggiori perdite nelle prime tre giornate, ed in quello dell'8• Armata, che ne ebbe solo nella giornata del 27 e del 28 ottobre; le perdite successive furono minime per tutte le Armate. Una certa crisi nel suo funzionamento si ebbe solo presso la 4 • Armata per l'esaurimento dei posti letto disponibili, che richiese un intervento del Comandante dell'Armata il giorno 27 (veds. Cap. XIII). Gli oneri del Servizio Sanitario nella fase di movimento furono minimi e poterono essere assolti dagli organi campali (Ospedali da Campo) e dalle autoambulanze disponibili, per lo sgombero. I primi furono peraltro subito notevolmente impegnati in attività di assistenza alle popolazioni, ai prigionieri feriti ed a nostri militari già prigionieri. Un altro Servizio che risultò favorito fu quello delle Munizioni, che vide i suoi consumi concentrati nei primi 5-6 giorni della battaglia, sulle posizioni iniziali del Grappa e del Piave. Tutte le testimonianze parlano di un «fuoco tambureggiante» delle nostre artiglierie e dei grandi effetti di tale fuoco sulle posizioni avversarie nonché sul morale e sulle possibilità di manovra delle unità nemiche. I.consumi di 2.6 milioni di proietti nella «battaglia di Vittorio Veneto» (inferiori alla


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metà di quelli disponibili) rispetto a quelli di 3,5 milioni di proietti della «battaglia del Piave»vanno quindi considerati riferendoli ai 6 giorni effettivi di battaglia (dal 24 al 29) rispetto ai 21 giorni del periodo 15 giugno-6 luglio;. inoltre, nei primi tre giorni, si ebbero consumi elevati solo sui fronti della 4a e della 6a Armata. Considerando una media di 500.000 colpi al giorno rileviamo come tale cifra corrispondesse - grosso modo - alla produzione di un mese della nostra industria di guerra. Fortunatamente i consumi divennero minimi nelle giornate successive, tanto più che, mentre il dispositivo avanzava oltre Piave, tutte le artiglierie da campagna delle Divisioni avevano sc.:1.rsi consumi. Avvenne così che parte degli automezzi adibiti al trasporto e rifornimento munizioni poté essere impiegata per altre esigenze. Venne invece a risultare assai difficoltoso il Servizio Vettovagliamento delle unità, per la profondità della avanzata e le difficoltà di movimento su itinerari affollati e resi difficili per lo stato delle rotabili e delle opere d'arte. Come abbiamo visto, in alcuni casi, la durata dei cicli-viaggio delle autocolonne di rifornimento arrivò ad essere di ben 3-4 giorni. Come si può rilevare da una relazione della ga Armata (Doc. n. 450), nonostante gli oneri relativamente limitati di combattimento nel corso delle fasi di movimento, si ebbero problemi per questo servizio: sia per assicurare i trasporti ai Depositi di Intendenza per effetto delle crisi dei trasporti ferroviari dall'interno, a causa della «spagnola» che diminuiva del 40% il personale delle ferrovie, e del basso livello iniziale delle scorte; sia per garantire i rifornimenti alle Unità con i trasporti automobilistici resi insufficienti dall'allungamento dei cicli-viaggio e dall'esiguità dei mezzi disponibili, nonostante il ricorso ai mezzi recuperati per il minor onere del Servizio Munizioni. Numerose comunicazioni delle Divisioni di Cavalleria lamentavano l'insufficienza dei rifornimenti di viveri, foraggi, benzina. Appare evidente, da quanto sopra, come le richieste· di rinforzi di automezzi, rivolte ai Comandi Alleati anteriormente all'offensiva da parte del nostro Comando Supremo, fossero del tutto giustificate; mentre spiega come le Armate potessero eseguire solo con difficoltà e con parte del dispositivo le profonde avanzate all'inseguimento del nemico. Come si è detto, lo spirito di sacrificio e l'entusiasmo, con il quale tutte le unità, in quei giorni, mossero per liberare le terre occupate ed irredente, permisero di superare tutte le diffo;oltà; ma è indubbio che alle ore 15.00 del 4 novembre l'intero dispositivo del nostro Esercito aveva raggiunto posizioni così lontane da quelle di partenza da generare uno stato di crisi dei Servizi logistici, il cui peso doveva risentirsi nei giorni successivi al 4 novembre anche se non avevano più a verificarsi le esigenze connesse con operazioni di guerra. Crisi similari dei trasporti ed il fattore .logistico come elemento limita-

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tare di profonde avanzate in territori sconvolti dalle operazioni ebbero a verificarsi anche in Francia, arrestando le penetrazioni - ad esempio dell'Esercito Americano, nel corso delle sue operazioni dell'autunno 1918, nonostante l'abbondanza dei mezzi automobilistici a sua disposizione.


Aviazione e Marina CAPITOLO

XVII

AVIAZIONE E MARINA NELLA BATTAGLIA DI VITTORIO VENETO

1. L'aviazione dell'esercito nella battaglia

Nel capitolo IX sono stati indicati le forze ed i mezzi con cui l'aviazione dell'Esercito Italiano si era messa in grado di intervenire nel corso della battaglia di Vittorio Veneto, nonché le· direttive diramate per disciplinare l'intervento di questa nuova Arma nelle operazioni. Successivamente, nel corso dell'esame analitico di queste ultime non si è mancato di ricordare le principali attività che, nelle varie giornate, i nostri aerei andarono svolgendo a favore del succ_esso delle nostre Armate. Dato, peraltro, il carattere piuttosto frammentario di queste annotazioni si ritiene opportuno cercare di stabilire un bilancio sintetico del concorso allora fornito dall'aviazione e sugli ammaestramenti che se ne possano trarre. L'aviazione nell'ambito dell'Esercito Italiano, seppure aveva trovato precursori e sostenitori, aveva indubbiamente dovuto attraversare notevoli crisi di crescenza che ne avevano impedito una più incisiva influenza sulle operazioni ed uno sviluppo più pronto e importante sia sul piano qualitativo sia su quello quantitativo. E ciò, non tanto per insensibilità od incomprensioni nei riguardi dell'importanza del nuovo mezzo - per il quale l'interesse fu sempre molto rilevante nel nostro Esercito - quanto per le incertezze circa le sue possibilità, le diverse correnti di opinione circa le tendenze costruttive, e, non ultimi, i contrastanti interessi e le diverse visioni di impiego dei nuovi mezzi del personale stesso dell'aviazione. Erano, infatti, ancora vivaci le differenze di visione fra il personale addetto all'impiego dei mezzi più leggeri dell'aria, i dirigibili, e quello orientato all'impiego dei mezzi più pesanti; i primi, del resto, utilizzati ampiamente dalla nostra forza aerea per le azioni di carattere strategico e quelle di maggior durata. Ciò, mentre la tecnica costruttiva di fusoliere e di motori nonché dell'armamento degli aerei evolveva rapidamente sotto la pressione delle esigenze dei combattimenti aerei e degli interventi degli aerei nella battaglia terrestre nei vari compiti per cui essi andavano rivelando la loro utilità: dalia ricognizione al bombardamento, dal collegamento ed il trasporto alla conquista del dominio del cielo. La rapida evoluzione dei mezzi aveva ripercussioni non sempre prontamente e correttamente percepite non solo dagli stessi operatori e dall'ambiente aviatorio; essa aveva, infatti, notevoli ripercussioni anche di carattere industriale, e quindi finanziario e politico. Così, nel

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corso della guerra, mentre la nostra industria produceva apparecchi da bombardamento Caproni che venivano forniti anche ai nostri Alleati, vi furono parecchie remore allo sviluppo di aerei da caccia più veloci ed efficienti, dei quali fu necessario un approvvigionamento dall'estero. Ai ritardi concorsero, abbastanza naturalmente, il desiderio e l'interesse di sviluppare anche nel nostro Paese una forte industria aviatoria incoraggiandone la produzione. Si andò così rivelando, già nel corso del I conflitto mondiale, l'importanza di un fattore essenziale per il successo nell'aria: quello della necessità di corrette e t~mpestive decisioni dei programmi di sviluppo, adozione e costruzione dei nuovi tipi di aerei, tali da consentire, in prosieguo, situazioni di superiorità tecnica sull'avversario. Naturalmente l'introduzione di sempre nuovi mezzi aveva anche le s_ue ripercussioni sulla formazione ed eventualmente il riaddestramento del personale, pilota e di supporto, in un'Arma che ebbe le maggiori perdite di uomini e di mezzi non nei combattimenti aerei ma in incidenti di volo ed a terra. Di fatto, nonostante le ingenti produzioni di velivoli e di motori, la nostra aviazione vide numerose sostituzioni di mezzi, ed attraversò frequenti crisi di trasformazione e di sviluppo, soprattutto nel 1917; sicché, la disponibilità di aerei si mantenne per tutto il _1918 sul livello dei 500-600 aerei e gli imponenti programmi di nuove costruzioni non ebbero tempestiva attuazione. Per contro, tipi ed efficienza degli aerei impiegabili nel 1918, avevano conseguito un livello ab bastanza elevato, sì da permettere una crescente superiorità sulla aviazione avversaria, sulla quale potevano essere conseguiti successi crescenti 1_1ei combattimenti aerei e nel pieno assolvimento delle proprie missioni. Analogamente, è stata già a suo tempo sottolineata la insufficiente disponibilità di piloti, il cui numero finì per costituire il fattore limitatore più determinante sulla misura delle missioni eseguibili; anche in tale settore, però, le Scuole allora approntate dalla nostra aviazione permisero la formazione di personale capace, generalmente dotato di un addestramento superiore a quello conferito al personale avversario. Sembra opportuno ricordare che esse ebbero anche ad istruire 400 piloti per l'Aviazione statunitense. Un altro elemento che venne ad influire notevolmente sull'impiego de. gli aerei fu lo sviluppo e la diffusione dei mezzi di collegamento radio, telegrafonici e telefonici, che permise il collegamento rapido fra Comandi ed unità aeree; esso fu, infatti, alla base della trasfo_rmazione dell'impiego: da quello di aerei singoli o di piccole formazioni, a quello di grandi complessi di velivoli, coordinato con le operazioni terrestri. Le direttive diramate nell'imminenza della battaglia (Doc. n. 279) rappresentavano la somma delle esperienze acquisite nel corso della guerra e


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L'Esercito Italiano nella Grande Guerra

costituiscono un documento probatorio di quanto avanzata fosse ormai la dottrina nei riguardi dell'impiego dell'Arma aerea, al di là - forse - di quanto non fosse consentito dallo stato e dalla effettiva disponibilità dei mezzi. L' «articolazione dei mezzi in " masse" per i diversi compiti» (caccia, bombardamento, ricognizione strategica, appoggio diretto alle Armate ed alle Grandi Unità esploranti), ma anche la possibilità di «fare convergere potenti offese aeree su obiettivi tattici e strategici in armonia con le operazioni terrestri» e «di assicurare costantemente lo sbarramento aereo sul campo di battaglia con tutta l'intensità richiesta dalla situazione contingente»: tutti questi orientamenti ad un impiego unitario e flessibile dei mezzi, per soddisfare le esigenze prioritarie del conseguimento della superiorità aerea e di risultati più significativi, tattici o strategici, ai fini del successo comune, indicavano una felice maturazione delle idee circa l'impiego della nuova Arma. L'aviazione italiana era allora lontana dalla idea di realizzare la distruzione delle città nemiche e del morale delle sue popolazioni con il bombardamento indiscriminato e terroristico; in un'era in cui la radio ancora era ai primi passi si confidava nell'azione propagandistica affidata ai manifestini - lanciati allora in gran copia - mentre l'azione strategica era limitata alle offese ai centri ferroviari ed alle basi aeree e navali in profondità; anzi, era prescritto il rispetto più assoluto dei centri abitati. Di fatto, poi, il Comando Superiore di Aeronautica, era, tuttora, parte del Comando Supremo dell'Esercito e sentiva l'obbligo di concorrere alla prevista offensiva soprattutto con una partecipazione diretta di tutte le forze all'azione terrestre, mentre veniva pienamente avvertita la stretta dipendenza delle possibilità di azione dei velivoli dalla disponibilità ed efficienza delle basi e dei loro servizi, in ispecie delle trasmissioni. Nel corso della battaglia, infatti, la rapida caduta degli interventi degli aerei nemici doveva verificarsi non solo per le perdite subite nei combattimenti aerei, ma soprattutto per il forzato abbandono dei campi avanzati e per la confusione che andava verificandosi nelle retrovie; ciò, mentre la nostra Aeronautica aveva previsto ed organizzato preventivamente la pronta utilizzazione dei campi di aviazione nemfoi raggiunti nell'avanzata, allora necessaria per la limitata autonomia degli apparecchi. Nel corso della battaglia, i nostri aerei delle varie specialità e formazioni trovarono limitazioni nella loro attività e nei risultati conseguiti per le condizioni atmosferiche spesso decisamente avverse, data la stagione; tuttavia vennero esercitati gli sforzi più intensi per concorrere significativamente al conseguimento della vittoria. Con i mezzi disponibili (Doc. n. 280) e con il concorso di aerei alleati e della Marina (lo ricordiamo: 638 velivoli e 450 piloti organizzati in 70 squa-

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driglie che disponevano di 47 basi ed inoltre 36 sezioni aerostatiche e 7 dirigibili), furono, nei primi giorni della battaglia, affrontati duri combattimenti con l'aviazione nemica che, peraltro, successivamente scomparve quasi completamente dai cieli, permettendo ai nostri velivoli di tutti i tipi di intervenire con successo nella lotta, sia nell'adempimento delle missioni assegnate, sia negli interventi alle quote più basse contro le unità avversarie. Sembra opportuno sintetizzare brevemente le attività svolte (Doc. n. 451) ricordando ancora come esse, che pure comportarono nelle giornate dal 27 al 30 ottobre fino ad oltre 700 missioni, ebbero ad essere sostenute in condizioni meteorologiche costantemente più o meno avverse. Il 23 ottobre furono compiuti prevalentemente voli di allarme nei settori operativi delle Armate 1• e 7 •; nei settori delle altre Armate gli aerei da ricognizione effettuarono numerose fotografie delle linee e di obiettivi nemici, mentre l' aviazione da bombardamento leggero eseguì bombardamenti a bassa quota su Costa Alta, Asiago, Sasso Rosso; bombardieri pesanti colpirono a loro volta Fonzaso e la stazione di Sacile. Il 24 ottobre, per il tempo proibitivo, l'attività aerea fu limitata a qualche volo di caccia, ad alcuni voli per realizzare il collegamento fra le fanterie, all'osservazione di tiri di artiglieria, specie nel settore della 4 • Armata. Il 25 ottobre, in migliorate condizioni meteorologiche, furono sostenuti numerosi e vivaci combattimenti fra velivoli delle opposte aviazioni, particolarmente nel cielo delle Armate 4• e 10•. La ricognizione eseguì missioni tattiche e strategiche particolarmente nelle zone di Sacile, Pordenone, Casarsa, San Vito al Tagliamento, Portogruaro, Motta di Livenza, Cismon, Grigno, Col di Lana, Fonzaso, Fiera di Primiero, Agordo, Feltre. Gli apparecchi delle Armate 3• , 4• e 6• mitragliarono e spezzonarono a bassa quota obiettivi militari posti lungo l'itinerario Primolano - Ospedaletti, nei pressi di Tezze, nei pressi della stazione ferroviaria di Osteria Palù, sulla stazione ferroviaria di Grigno, su baraccamenti, carriaggi e truppe in movimento nella Val Cismon, su carriaggi e treni nella Valsugana, sul campo di aviazione di Borgo . Durante la notte un dirigibile bombardò gli impianti ferroviari di Conegliano ed il bivio di Vittorio Veneto. Il pomeriggio del 25 ottobre ed il mattino del 26 gli apparecchi da cac~ eia in servizio di scorta sostennero numerosi combattimenti sul Brenta ed altrove, abbattendo numerosi velivoli nemici e costringendo l'avversario a ritirare precipitosamente a terra i ·draken alzati fra Conegliano e Pieve di Soligo. Gli aerei da ricognizione effettuarono una sorveglianza ininterrotta sul campo di battaglia e sui movimenti nelle retrovie dell'avversario. Aerei della 4• Armata, con il concorso di una aliquota della massa da caccia, effettuarono un violento bombardamento sulle quote 1676 e 1672 dei Solaroli,


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mentre gli aerei della 6a Armata, scortati da caccia italiani e britannici, bombardarono e mitragliarono ripetutamente obiettivi nemici in Valsugana. Anche gli aerei delle Armate 3a e 7a effettuarono voli di ricognizione sulle linee nemiche ed azioni di bombardamento. Il giorno 27 velivoli delle Armate 4 a ed 8 a e velivoli della massa da caccia sostennero numerosi combattimenti, abbattendo diversi aerei avversari. Contemporaneamente, furono bombardati obiettivi nemici sulle rotabili nelle zone di Valdobbiadene, Col del Martino, Sernaglia, Santa Lucia, Tezze, Vazzola, Pollina. Gli aviatori delle Armate 3a, 4a, 6a, ed 8a eseguirono voli di ricognizione con ritmo sempre più serrato; gli aerei dell'87a squadriglia bombardarono da bassissima quota gli impianti ferroviari di Sacile, Santo Stino di Livenza, Pordenone ed il campo di aviazione di Portobuffolé. Le squadriglie da bombardamento, poi, effettuarono incursioni su depositi munizioni di Vittorio Veneto e di Sacile nonché sul campo di aviazione di Portobuffolé. Il giorno 28, approfittando di condizioni meteorologiche meno avverse sul fronte del Piave, le nostre forze aeree e quelle degli alleati, specie britannici, esplicarono un'intensissima attività. Con tre ondate successive gli apparecchi da bombardamento leggero bombardarono e mitragliarono carriaggi, truppe, baraccamenti e parchi nella zona di Cison di Val Mareno; gli stessi obiettivi e le batterie nemiche di San Salvatore furono battuti nella giornata da apparecchi delle Armate 4a, 6a e 8a, mentre la caccia effettuava ripetute azioni di mitragliamento contro il solco di Pollina e le zone di Conegliano e di Vazzola. Aerei della,8 a Armata eseguirono rifornimenti dal1' aria alle unità del XXII Corpo d'Armata oltre Piave. Nella stessa giornata, fino a mezzogiorno, aerei da bombardamento eseguirono efficaci azioni contro la stazione di Sacile, contro quella di Conegliano e sul campo d'aviazione di Godego; successivamente in Val Mareno (fra Cison di Val Mareno, Fratta, Laghi, Revine Laghi) sulla rotabile di fondo valle e sul campo di aviazione di Motta di Livenza. Durante la notte cinque dirigibili bombardarono le rotabili della Val Mareno ed i ponti sulla Livenza. Il 29 ottobre ebbero luogo molti accaniti combattimenti aerei perché ormai il nemico era costretto a tentare il tutto per il tutto. La nostra caccia fu molto attiva e partecipò direttamente alla battaglia con azioni di mitragliamento e bombardamento da bassa quota, particolarmente nelle zone di Vittorio Veneto, Refrontolo, Conegliano, Sacile; la ricognizione, non potendo esplicare la sua attività nella zona montana a causa della fittissima foschia, limitò i suoi voli alla zona del Piave. I velivoli delle Armate 6a, 4a, 3a ed 8a furono impiegati prevalentemente in azioni di bombardamento e di mitragliainento contro truppe, carriaggi, batterie, campi d'aviazione dell'avversario. Aerei da bombardamento colpirono i ponti sulla Livenza,

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il campo di aviazione di Portobuffolé, Vittorio Veneto, Cison di Val Mareno, campi di aviazione nella zona di Pollina, truppe in movimento, carriaggi ed artiglierie lungo le rotabili di Val Mareno e di Vittorio Veneto. Durante la notte si levarono, ancora una volta, i dirigipili per bombardare i passaggi sulla Livenza e la riva sinistra di questo fiume a Santo Stino ed a Sacile. Il giorno 30 l'attività della nostra aviazione fu particolarmente intensa nel cielo della battaglia. Le retrovie ed i movimenti delle unità avversarie furono tenuti ininterrottamente sotto controllo; i nostri velivoli effettuarono oltre un centinaio di voli di ricognizione, per l'osservazione del tiro delle nostre artiglierie, per i collegamenti fanteria - cavaÌleria - artiglieria. Stormi di apparecchi da caccia, da ricognizione e da bombardamento colpirono i punti nevralgici della ritirata del nemico. Aerei della 6a Armata mitragliarono la zona di Quero - Nos; altri della 4a Armata colpirono la zona di Belluno, Feltre, Ponte nelle Alpi; velivoli dell'8a Armata batterono la strada Pordenone - Casarsa; quelli della 3 a Armata batterono a loro volta la zona oltre Piave; aerei da bombarda~ento interdissero, con ondate successive, movimenti nemici sulla Livenza da Sacile a Portobuffolé e sulle rotabili da Pordenone a Casarsa e ad Aviano. Dal 31 ottobre in poi le condizioni meteorologiche divennero sempre più proibitive; tuttavia il 31 ottobre furono compiuti voli sulle zone di Stenico, Vezzano, Arco, Rovereto, Feltre, Belluno, Santa Giustina. Apparecchi della massa da caccia, approfittando di momentanei miglioramenti nelle condizioni di visibilità, effettuarono massicce azioni di bombardamento e di mitragliamento su colonne di truppe e carriaggi lungo la rotabile Pordenone - Casarsa; un dirigibile bombardò con evidenti risultati gli impianti ferroviari e le stazioni di Borgo e di Strigno in Valsugana. - Il 1° novembre, nonostante il peggiorare del tempo, l'aviazione decentrata alle Armate, particolarmente quella da ricognizione, continuò ad effettuare rilevamenti di movimenti, direttrici, situazioni delle truppe nemiche in ritirata. Sempre più limitatamente furono portate offese dall'aria sulle rotabili nei pressi di Latisana, su truppe in movimento verso Portogruaro, sulla zona di Codroipo, in quella di Caldonazzo, in quella di Grigno ed Ospedaletto, su tutte le retrovie del nemico. Anche il 2 novembre i nostri aerei eseguirono, soprattutto nella pianura veneta, voli di ricognizione per rendere più agevole e sicura la marcia delle nostre colonne inseguitrici nonché per rifornire di viveri e di munizioni le nostre unità più avanzate e per collegarle fra di loro. Furono colpiti concentramenti di truppe nemiche nella stazione di Palmanova, i depositi di Porto Sant' Andrea, la rotabile e la ferrovia Muzzaria - San Giorgio di Nogaro. Il giorno 3 cessò quasi del tutto l'attività della nostra aviazione per le


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pessime condizioni atmosferiche; il giorno 4 essendo quasi cessate le esigenze di suoi interventi offensivi, furono eseguite essenzialmente missioni di ricognizione e di collegamento. I quasi 4.000 voli compiuti dal 24 ottobre al 4 novembre e le 19 azioni dei nostri dirigibili testimoniano della intensità dell'intervento aereo nelle vicende della battaglia; almento 34 aerei ed 11 draken nemici abbattuti, 200 tonnellate di bombe lanciate, 300.000 colpi di mitragliatrice sparati, migliaia di fotografie eseguite; oltre 500 tiri di artiglieria diretti. Il concorso fornito, che assunse anche forme ..l"'articolari in momenti assai delicati - quale fu, ad esempio, il già ricordato rifornimento dall'aria di viveri e munizioni alle unità del XXII Corpo d'Armata isolate sulla sinistra del Piave nel pomeriggio del 28 ottobre - non è del resto valutabile solo sul piano dei danni materiali inflitti e subiti. Prezioso fu, infatti, l'orientamento che la ricognizione aerea diede ai nostri più alti Comandi circa dislocazione ed intendimenti del nostro avversario consentendo decisioni })ronte ed adeguate. E, mentre era esaltante, per le nostre truppe, il vedersi sorvolare da grosse formazioni di aerei e constatare sulle rotabili i danni subiti dalle colonne avversarie in ritirata, senza dubbio efficace nel far precipitare il morale di quelle avversarie era il vedersi fatte oggetto di offese incessanti senza alcun intervento della propria aviazione. I numerosi prigionieri che si presentavano con in mano i manifestini che li invitavano a disertare e le loro dichiarazioni ne erano fedele testimonianza. Il Comando Superiore di Aeronautica diramava già 1'8 novembre del 1918 una relazione sulla attività de «L'Aeronautica nella Battaglia di Vittorio Veneto» (Doc. n.452) che poneva in giusta luce il concorso dato alla vittoria, pur sottoli~eando come «la brevità dell'azione terrestre vittoriosa e la persistenza del maltempo non hanno permesso lo sviluppo perfetto e completo di quell'azione aerea ininterrotta e potente per la quale mezzi ed uomini, con cura e con fede, erano stati da t~mpo approntati».

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del traffico mercantile in afflusso ai nostri porti 1• In qùesto quadro, il concorso dato dalla Marina Militare alle operazioni dell'Esercito costituì un aspetto secondario degli sforzi compiuti da questa Forza Armata; è da dire peraltro che, in ogni occasione e nonostante la non esistenza di organi specifici congiunti, i rapporti, là dove necessario e possibile, furono sempre portati avanti con grande spirito di collaborazione reciproca e con risultati di grande rilievo. Valga, ad esempio, il concorso dato dalla aviazione dell'Esercito per lo sviluppo della aviazione della Marina. Per quanto si riferisce al concorso dato dalla Marina alle operazioni dell'Esercito nel.corso del 1918, ed in particolare alla battaglia di Vittorio Veneto, va poi ricordato come, per effetto dei ripiegamenti della fine del 1917, le operazioni.venissero ad interessare la difesa della Piazza Marittima di Venezia e la zona lagunare del Veneto, sicché questo concorso ebbe a svilupparsi in modo rilevante, per raggiungere poi i maggiori livelli in occasione delle occupazioni di porti ed isole sulla sponda orientale dell' Adriatico alla fine del conflitto. Il contributo della Marina può essere sinteticamente ricordato articolandone la esposizione nel modo seguente: - costituzione di apprestamenti difensivi, lungo le coste nelle retrovie dell'Esercito in Zona di Guerra e fino alla foce dell 'Adige, e schieramento d1 un cospicuo numero di cannoni di ogni calibro, a terra e su pontoni armati; - azioni dei reparti della Marina dislocati sul Garda; - azioni dei reparti della Marina dislocati sul b~sso Piave e partecipazione attiva alla battaglia di Vittorio Venento: sia con operazioni nel~a cimosa lagunare; sia con l'occupazione tempestiva di isole e di località sulla sponda orientale dell'Adriatico, ben al di là delle posizioni raggiunte dalle opérazioni dell'Esercito. Mentre si rimanda alle pubblicazioni della Marina per i particolari dello schieramento di forze e di mezzi sulle coste e nelle retrovie della Zona di Guerra,- interessa qui ricordare come esso, insieme con le difese organizzate della Piazza Marittima di Venezia, avesse consentito un sicuro appoggio d'ala allo schieramento dell'Esercito, il quale poteva limitarsi a schierare fra il Piave e la Stretta di Cattolica forze assai ridotte.

2. Il concorso della Marina Nel corso della guerra 1915-1918 la Marina Militare era un forza Armata del tutto autonoma e distinta, nei compiti, nelle forze e nella amministrazione. Essa dava alla vittoria finale un cospicuo contributo soprattutto assolvendo, in modo egregio, ai suoi compiti: di difesa del territorio peninsulare, di opposizione alla flotta austro-ungarica nell'Adriatico, di tutela

1 Le vicende delle operazioni della Mrina sul mare ed in cooperazione con le operazioni terrestri sono particolareggiatamente trattate nelle seguenti pubblicazioni dell'Ufficio Storico della Marina Militare: - La Marina nella Grande Guerra (Edizione 1935); - Cronistoria documentata della guerra marittima italo-austriaca 1915-1918, rispettivamente nel volume VIII della prima e nel fascicolo Vili della seconda. A tali pubblicazioni si rimandano i lettori che volessero maggiormente approfondire l'argomento, che in questa sede viene esaminato sinteticamente, e limitatamente a quanto interessa per completezza di trattazione dell'argomento del presente volume della Relazione. '


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Per quanto si riferisce alle azioni dei reparti della Marina nella zona del Lago di Garda, ricorderemo, anzitutto, come il Comando dei Servizi della Regia Marina sul Lago di Garda, costituito nel maggio del 1917, avesse alle proprie dipendenze 13 batterie (per un complesso di 42 pezzi), tutte le mitragliatrici della difesa costiera, i servizi di vigilanza, di esplorazione e di ascolto, se così si può chiamare, sottolacuale. Nel luglio del 1918 detto Comando concorse al colpo di mano che reparti dell'Esercito effettuarono alla foce del Sarca, approntando per tale impresa un motoscafo a propulsione elettrica, facendolo scortare durante la navigazione e proteggendolo poi, durante l'operazione, da motoscafi armati. Il 3 novembre una sezione di M.A.S., due plotoni di marinai ed una sezione di mitragliatrici, partiti dalla baia di Sogno, procedettero all'occupazione del porto di Riva. Poche ore dopo, con il concorso di reparti dell'Esercito essi occuparono l'intera città, riattivarono la centrale· elettrica, rimossero le ostruzioni portuali e delimitarono con boe le zone minate, in maniera di rendere sicuri le rotte sul lago e l'approdo. Un altro reparto dipendente dal suddetto Comando prese parte alla liberazione di Trento; il 30 ottobre, infatti, una batteria autocarrata della Marina (la RM2) fu inviata a Borghetto e quindi a Serravalle a disposizione del XXIX Corpo d'Armata (dal quale fu assegnata alla 32a Divisione). Nell'ambito di quest'ultima Grande Unità, la batteria operò con.il reggimento «Alessandria Cavalleria» in Val Lagarina. Il 3 novembre la batteria entrò in Trento al segui.t o del reggimento predetto e proseguì l'avanzata, giungendo il giorno 4 a Mezzocorona ed il giorno 5 a Salorno. Ma particolarmente consistente fu il concorso dato dalla Marina con azioni dei suoi reparti nella zona del basso Piave e con la occupazione di isole e loc~lità sulla sponda orientale dell'Adriatico. La Marina operò, infatti, nella zona del basso Piave con reparti dislocati a terra od appoggiati su natanti, appartenenti al reggimento Marina (costituito dai battaglioni «Golametto», <<Bafile» e «Caorle», nonché da una compagnia mitragliatrici), e con un sottoraggruppamento di artiglieria, comprendente cannoni di gros. so, medio e piccolo calibro nonché bombardè da 240 e cannoni su pontoni, quasi tutti di grosso calibro. Dopo le operazioni dei primi di luglio, che portarono alla riconquista della sponda destra del Piave nuovo, i reparti della Marina non furono coinvolti, fino alla battaglia di Vittorio Veneto, in fatti d'armi di rilievo. A titolo di cronaca si cita, qui: il colpo di mano compiuto l' 11 luglio oltre la foce del Piave da un manipolo di marinai (che attraversarono il fiume su zattere e sorpresero lin posto di guardia nemico, catturandone il personale); e l'azione di fuoco, effettuata il 19 luglio da batterie della Marina, che valse

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a volgere in fuga due motoscafi nemici che avevano tentato di avvicinarsi a due nostri natanti alla deriva verso la foce del corso d'acqua. Nel corso della nostra offènsiva di autunno le forze della Marina dovevano contribuire validamente alle operazioni nella zona costiera del Veneto con tutto il personale E!d i mezzi del reggimento Marina, delle batterie a terra e su pontoni, dei mezzi nautici. Fino al 20 ottobre era stato predisposto uno sbarco in forze di sorpresa a Pirano, allo scopo di assicurare il possesso delle principali vie di comunicazione e dei punti tatticamente più importanti della Penisola Istriana, per isolare Pola e per giungere sull'altopiano carsico in direzione di Trieste. L'operazione, quando già ai primi di novembre tutti i mezzi ed il personale erano stati approntati, si rese superflua per la piega favorevole presa dagli avvenimenti. Il 30 ottobre, con azione decisa sostenuta dal fuoco delle batterie di medio e di piccolo calibro del sottoraggruppamento di artiglieria, il reggimento Marina (che costituiva l'estrema ala destra della 3a Armata) superò il Piave in prossimità della foce, irruppe nell'ansa di Revedoli e la occupò per una profondità notevole, malgrado la tenace resistenza opposta del nemico, riuscendo a catturare 400 prigionieri ed un notevole numero di mitragliatrici e cannoni. Il 31 ottobre, mentre i battaglioni del reggimento Marina si apprestavano a raggiungere gli obiettivi fissati dal Comando della 54a Divisione, nell'ambito della quale operavano, le cannoniere «Ape» e «Vespa», sulle quali era imbarcato un plotone di arditi, entrarono senza difficoltà a Falconera. Il 1° novembre gli stessi battaglioni concorsero efficacemente all'occupazione della zona litoranea oltre il Piave, nella quale l'avanzata era resa difficile per i numerosi canali, i reticolati e gli sbarramenti collocativi dall'avversario; nello stesso giorno, a Pola, veniva affondata la corazzata austriaca «Viribus Unitis». Il 2 novembre il reggimento Marina continuò l'avanzata verso gli obiettivi ad esso assegnati, raggiungendo la linea del Lemene; mentre, a Venezia, venivano approntati i mezzi per la spedizione navale su Trieste, della quale si è già detto nel capitolo XV del presente Tomo. Il 3 novembre i reparti della Marina cooperavano con grande efficacia all'azione dei reparti della 3a Armata verso Marana e Muzzano al Turgnano con mezzi navali e con personale da sbarco (anche di questa azione si è già parlato). Lo stesso giorno, alle ore 16, accostava aJ molo di Trieste il cacciatorpediniere «Audace», dal quale sbarcava il Generale Petitti di Roreto, primo governatore italiano della città. Lo stesso giorno, 3 novembre, ed i giorni successivi unità della Marina


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occupavano diverse località sull'opposta sponda dell'Adriatico. In particolare: - il giorno 4 novembre Dulcigno, Antivari, lé Isole Curzolane, Parenzo, Rovigno, Zara, Capodistria, Pirano, Umago, Fiume (nel cui porto entrò la corazzata «Emanuele Filiberto», scortata da due cacciatorpediniere); - il 5 Pola ed il suo porto (nel quale entrò la corazzata «Saint Bon», dopo un improvviso sbarco sulla costa orientale del canale della città); - il 6 Premuda, Selve, Pago, Buie e Sebenico; - il 7 Zurf ed Isola Grossa; - il 10 l'isola di Cherso ed il porto di Cattaro con le sue Bocche. Di dette operazioni oltremare si tratterà.più a lungo nel Capitolo XXI della Terza Parte di questo volume.

CAPITOLO

XVIII

L'ARMISTIZIO DI VILLA GIUSTI (3 - XI - 1918) E LA CONCLUSIONE DEL CONFLITTO CON L'AUSTRIA-UNGHERIA.

1. I precedenti da parte italiana: orientamenti verso un eventuale armistizio e la pace

Indubbiamente anche in Italia vi.era, nell'autunno del 1918, una notevole stanchezza n~i riguardi di una guerra rivelatasi tanto più lunga ed onerosa del previsto; la situazione era aggravata dalla penuria di viveri e dall'incremento dei prezzi, che provocavano malcontento politico-sociale, nonché dall'allarme connesso con la diffusione delle febbri influenzali. Eco di tale situazione interna appare nelle comunicazioni fatte dal Comando Supremo all'On. Comandini, Commissario Generale per l'Assistenza Civile e la Propaganda Interna, nelle «relazioni quindicinali» sullo spirito delle popolazioni civili rilevato attraverso la censura della corrispondenza (Doc. n. 453 e n. 454). Tuttavia, tutta l'abbondante documentazione disponibile testimonia il consolidarsi, nell'estate e nell'autunno, nell'intero Esercito italiano e ad ogni livello, di uno spirito risoluto e fiducioso nella vittoria finale, anche se si riteneva di poterla conseguire solo nel ' 1919. Le affermazioni in contrario del Sottocapo alle Operazioni dell'Alto Comando austro-ungarico, Gen. Von Valdstatten, di un Esercito italiano prossimo al tracollo, furòno del tutto infondate; esse erano indicative di quanto inconsistenti fosse.ro le valutazio.ni di quel Comando, portandolo a ritardi nelle decisioni che si ripercossero negativamente sull'Esercito e sulla Nazione. . Questo spirito di crescente fiducia, alimentato in un primo tempo dalle prospettive di ingent~ aiuti statunitensi, era divenuto man mano certezza dopo il' nostro successo sul Piave e quelli alleati in Francia, nonché per .i segni di crisi interna negli Imperi Centrali. Non mancava, pertanto, l'attenzione nei riguardi dei problemi relativi alla conclusione del conflitto ed a quelli che si sarebbero presentati successivamente. Va detto, poi, che - soprattutto in base a quanto era avvenuto ed avveniva in Russia, ove il ritiro dalla guerra non aveva portato alla pace né risolto le difficoltà - in tutti i Paesi belligeranti si era diffuso un grande interesse per le questioni economiche e sociali connesse con la fine di uno stato di guerra tanto più prolungato ed oneroso di quelli del passato. Si era avvertito, quindi, di dover affrontare, al verificarsi di un tale evento che si andava profilando ormai prossimo, numerosi e complessi problemi di or-


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dine economico e sociale, e conseguentemente anche di ordine politico. Le preoccupazioni al riguardo avevano dato luogo anche in Italia alla nascita di una «Commissione Reale per lo studio dei provvedimenti occorrenti per il passaggio dallo stato di guerra allo stato di pace» (Decreto 31 marzo 1918, n.361 e Decreto 30 giugno 1918) che, suddivisa in due Sottocommissioni e 27 Sezioni, doveva studiare e definire i provvedimenti da attuare in svariatissimi campi. Il Senatore Vittorio Scialoia, presidente di una di dette Sottocommissioni, illustrava gli orientamenti già emersi in vari Paesi - alleati ed avversari - ed i vari problemi, in una sua pubblicazione 1 • Non mancava, poi, l'attenzione nei riguardì della definizione di condizioni armistiziali e di pace che soddisfacessero le nostre richieste. Come abbiamo già a suo tempo messo in luce, la loro soddisfazione ed un successo della nostra politica estera erano considerati necessari anche e soprattutto per il consolidamento della situazione interna, a giustificazione del nostro intervento nel conflitto. Sembra opportuno ricordare che questo era stato deciso con la sottoscrizione da parte del Governo Salandra del Patto di Londra del 26 aprile 1915 (Doc. n. 455) che, fra l'altro, prevedeva l'acquisizione da parte dell'Italia: - all' Art.4: del Trentino, del Tirolo cisalpino fino alla dorsale geografica e naturale (la frontiera del Brennero) così come di Trieste, delle Contee di Gorizia e di Gradisca, di tutta l'Istria fino al Quarnaro, compresa Volosca e le isole di Cherso, Lussino ed altre; - all'Art. 5: della Dalmazia nei limiti indicati e di numerose isole, mentre per Fiume era prevista l'assegnazione alla Croazia, e per altri tratti del versante orientale dell'Adriatico era contemplata la cessione alla Serbia, al Montenegro ad alla Albania, con l'eccezione di un territorio attorno a Valona che - per l' Art.6 - era di prevista assegnazione all'Italia (Schizzo n. 41). Oltre al principio di nazionalità per quanto si riferiva alle «terre irredente», le richieste italiane erano state ispirate - come appare dal bel libro di Mario Toscano «Il Patto di Londra» (Zanichelli), Bologna, 1934 - da esigenze di sicurezza: terrestre per il confine al Brennero, a Tarvisio ed al M. Nevoso; marittima per quanto si riferisce al nostro possesso della Dalmazia e di Valona nonché di molte delle isole adriatiche, date le condizioni di inferiorità con la quale la nostra Marina poteva agire in Adriatico . Infine, si prevedevano: - all'Art. 8, l'attribuzione all'Italia dell'intera sovranità sul Dodecanneso; 1 Vittorio Scialoia, «/ problemi dello Stato italiano dopo la guerra», Zanichelli , Bologna, settembre 1918.


~ ~ = - - --

Schizzo 41 - Cessioni territorfali in Adriatico previste dal Patto di Londra del 26-IV -1915

....!.L.


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- all'Art. 9, compensi in caso di divisione dei possedimenti turchi in Asia (per l'applicazione di questo Articolo nell'agosto 1917 erano stati, poi, conclusi tra Italia e Alleati gli Accordi di Moriaha 1, che peraltro, nell'o,tobre del '18 venivano dichiarati nulli per la mancata adesione della Russia, rimanendo valido quanto previsto dal predetto Articolo 9); - all'Art. 10, la sovranità sulla Libia. In applicazione del Patto erano state poi stipulate due convenzioni militari: una generale, militare e navale, a Parigi; ed una italo-russa a Pietro.burga. Particola~mente quest'ultima aveva dato sostanza alla nostra richiesta che l'Esercito italiano fosse chiamato prioritariamente ad operare contro quello austro-ungarico e che non fosse solo contro di esso ma potesse giovarsi dell 'i~pegno russo in Galizia e del concorso serbo 2 • Sempre in occasione della firma dell'Accordo di Londra era stata anche sottoscritta una dichiarazione per la quale i Paesi sottoscrittori si impegnavano a non concludere una pace separata, ma a preventivi accordi comuni di pace. Peraltro, durante il conflitto - come già si è accennato - non erano mancate le occasioni in cui la nostra diplomazia aveva dovuto intervenire perché fossero mantenute salde le premesse che erano state alla base del nostro intervento e che era considerato necessario salvaguardare, anche e soprattutto ai fini del consolidamento interno. Mentre ciò aveva potuto essere conseguito nei riguardi degli alleati europei, con l'ingresso nella guerra degli Stati Uniti d'America si era posta in dubbio la legittimità di parte delle nostre richieste territoriali. In particolare, il Punto IX dei noti 14 Punti del Presidente Wilson, sottolineando la rinuncia a guadagni territoriali e la definizione di confini rispondenti ai principi di nazionalità, negava all'Italia ia possibilità di ottenere i confini promessi dal Patto di Londra e quelle aree la cui acquisizione per esigenze di sicurezza terrestre o marittima avevano fatto considerare necessaria. In conseguenza, già nel corso del 1917 e del 1918, il nostro Governo aveva intrapreso un'azione, in verità risultata poco efficace, intesa a presentare al Popolo americano i motivi della nostra partecipazione al conflitto e la validità dei nostri obiettivi territoriali. Furono allora inviati negli Stati Uniti uomini come Marconi ed altri, e vennero pubblicati libri ed opuscoli a sostegno delle nostre tesi. Fra l'altro, uno dei motivi alla base del desiderio di avere unità statunitensi sul nostro fronte corrispondeva anche alla volontà di interessare maggiormente l'opinione pubblica americana agli avvenimenti ed agli sforM. Toscano, «Gli Accordi di S. Giovanni di Mariana», Giuffré, Milano, 1936. Toscano, «Le convenzioni militari concluse fra l'Italia e l'Intesa alla vigilia dell'intervento» Giuffré, Milano, 1936. 1

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zi sostenuti dal nostro Paese e di far intendere meglio la giustezza delle nostre aspirazioni. Era una attività che, seppure trovava qualche voce consenziente, non arrivava certamente ad influenzare gli animi «in alto loco»: come gli avvenimenti successivi dovevano dimostrare e come tutte le testimonianze dei maggiori responsabili statunitensi hanno sempre confermato. A questa attività partecipava anche il nostro Comando Supremo con la stampa di opuscoli in lingua francese ed inglese, che tendevano a sostenere essenzialmente la tesi del nostro diritto al confine sulla dorsale alpina. In questo quadro ebbe a costituire un momento importante una serie di conversazioni tra il Col. De Ambrosis ed il Magg. USA Johnson (Doc. n. 456) circa i confini terrestri che l'Italia intendeva ottenere. Da essi appare chiaramente l'accettazione di un confine alla dorsale alpina settentrionale, mentre appare incerta quella di un confine orientale secondo le nostre richieste. Il Comando Supremo era dunque attivamente impegnato in vista di ottenere, in sede di accordi armistiziali e di pace, una situazione çhe eliminasse il pericolo permanente costituito dal.saliente trentino, riducendo a tre sole (Resia, Brennero, Dobbiaco) le vie di possibile invasione rispetto a quelle numerose del confine del 1886, e assicurasse tutto !'«hinterland» triestino con l'occupazione della linea di separazione del bacino dell'Isonzo da quelli della Sava e della Drava, e l'Istria fino al M. Nevoso ed a Fiume. Non veniva invece svolta alcuna azione nei riguardi delle nostre rivendicazioni verso la Dalmazia. Al riguardo, oltre al fatto che le stipulazioni del Patto di Londra rimanevano segrete anche per il nostro Comando Supremo, va detto che l'interesse e le pressioni nei riguardi di tale area erano esercitate soprattutto da parte della Marina. Il nostro Comando Supremo, fortemente impegnato nelle operazioni al fronte nord-orientale, era notoriamente ostile a dispersioni di forze su altri fronti ed anche a loro eccessivi impegni post-bellici. Come appare dagli iscritti di Olindo Malagodi 1 e come già sottolineato da Vincenzo Gallinari 2 t'Esercito non era affatto favorevole alla acquisizione di territori dalmati che avrebbero comportato difficili ed onerosi problemi difensivi e provocato senza dubbio condizioni di permanente contrasto con gli Stati balcanici vicini. D'altra parte, si riteneva più importante il possesso e la nostra presenza in Albania come tale da garantire il controllo sostanziale dell' Adriatico. Costituisce elemento rivelatore al riguardo, l'annotazione di un punto Olindo Malagodi, Conversazioni sulla guerra, Ricciardi, Milano 1960. Vincenzo Galli~ari, L'Esercito Italiano nel primo dopoguerra (1918-1920), USSME, Roma, 1980. 1

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interrogativo, da attribuirsi al Capo o al Sotto Capo di SM dell'Esercito, a fianco dell'affermazione del Presidente Orlando circa la preminenza dei nostri interessi in Dalmazia rispetto a quelli in Albania nella sua lettera del 18 settembre (Doc. n. 210) che richiedeva di essere in grado di eseguire prontamente operazioni di sbarco sulle coste orientali dell'Adriatico. La richiesta del 5 ottobre, rivolta dagli Imperi Centrali al Presidente Wilson per trattative di pace sulla base dei noti «14 Punti», rendendo evidente la possibilità se non la imminenza di trattative, dava inizio ad una intensa attività a tutti i livelli , in sede politica e militare interalleata nonché del nostro Governo e del Comando Supremo, intesa a definire le possibili condizioni di eventuali armistizi. Ciò, anche se veniva anticipato che larichiesta nemica non avrebbe trovato un immediato e favorevole accoglimento, tanto che il Presidente Orlando da Parigi telegrafava al Generale Diaz di procedere nei preparativi della offensiva nei tempi previsti ed anzi, se possibile, con anticipo (Doc. n. 457 e n. 196). Avveniva, infatti, che le richieste della Germania, dell'Austria e della Turchia trovavano i Capi dei Governi dell'Intesa (il Wilson era rappresentato dal Col. House) proprio in quei giorni riuniti in una conferenza interalleata a Parigi. Per l'Italia erano presenti il Presidente del Consiglio Orlando, il Ministro degli Esteri Sonnino ed il suo Capo di Gabinetto Aldrovandi Marescotti. Nelle riunioni del 6 e 7 ottobre gli uomini di Governo delineavano schematicamente i lineamenti fondamentali degli armistizi che avrebbero potuto essere stipulati (Doc. n. 458); detti lineamenti dovevano essere ulteriormente esaminati dai Rappresentanti Militari e Navali in modo comunque da garantire condizioni di sicurezza in caso di una loro eventuale successiva denuncia da parte avversaria. Questi, in data 8 ottobre, definivano le condizioni riportate nel Documento n. 459. Nei riguardi di un armistizio eventuale tra Italia ed Austria-Ungheria esse prevedevano la totale evacuazione delle aree italiane occupate ed, inoltre, che .il Trentino e l'Istria avrebbero dovuto essere evacuate dal nemico, senza peraltro che venissero occupate dalle nostre forze. Ciò, in analogia a quanto veniva previsto circa una evacuazione di Alsazia e Lorena in un armistizio sul fronte francese, e come passo previo di una definizione del futuro confine alla dorsale alpina, secondo quanto previsto dal Patto di Londra del 26-IV-1915. Come già accennato al Capitolo VII, l'annuncio di tali trattative provocava in alcune città italiane, insieme a notevole eccitazione e sollievo, anche incidenti e manifestazioni eccessive a favore di una pace immediata e di una cessazione delle attività belliche, che preoccuparono assai il nostro Governo anche per i riflessi in ambito internazionale e che vennero effica-

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cemente contenute nelle unità dell'Esercito al fronte mantenendone un elevato mordente. Così, le preoccupazioni di un rilassamento dell'impegno interno e quello di ripercussioni esterne inducevano il Presidente Orlando ad ulteriori sollecitazioni per una nostra iniziativa offensiva. Questa, peraltro, come crediamo di aver sufficentemente documentato, pur essendo già da tempo in corso di preparazione, non poteva ammettere ulteriori contrazioni dei tempi senza pregiudizio. A dette sollecitazioni, infatti, si può senz'altro attribuire la decisione di far partecipare all'offensiva anche la 4 a Armata, nonostante la mancanza di condizioni di superiorità sul fronte del Grappa ed i tempi di preparazione eccessivamente ristretti. Contemporaneamente, anche in relazione allo sviluppo degli avvenimenti nel quadro generale, veniva accelerato il processo di definizione in ambito nazionale di un possibile armistizio con il nostro avversario. Dagli atti del Comando Supremo risulta che per la definizione delle condizioni armistiziali fu costituita una «Sezione Armistizio e Confini», che il 16 novembre passerà a far parte dell'Uffici,o Segreteria, cui era destinato, come Capo Sezione, il Col. di S.M. Alberto Pariani, già dell'Ufficio Operazioni. Il predetto Colonello era stato inviato il 14 ottobre a Parigi per presentare al nostro Rappresentante Militare le condizioni che dovevano essere sostenute in sede interalleata. In merito, venivano considerate varie ipotesi (Doc. n. 460); comunque si era orientati ad esigere che le condizioni di armistizio fra Italia ed Austria- Ungheria fossero similari a quelle tra gli altri Alleati e la Germania. Rientrato a Padova il 20 ottobre, il giorno successivo il Colonello Pariani partiva per Roma per partecipare alle riunioni di una apposita Commissione, che erano state indette dal Presidente Orlando presso il Ministero degli Esteri (Commissione De Martino). I risultati dei lavori di detta Commissione avrebbero dovuto servire al Presidente del Consiglio e al Ministro degli Esteri durante le riunioni del Consiglio Supremo di Guerra, che erano state indette a Parigi per il giorno 28 ottobre, appunto per la definizione delle condizioni interalleate da porre in caso di un'armistizio. In merito alle condizioni ritenute necessarie si aveva in quei giorni una fitta corrispondenza. Tra l'altro, il Presidente del Consiglio in data 18 ottobre aveva obiettato che la linea armistiziale era troppo analitica e richiedeva la consultazione di carte a piccola scala; egli suggeriva una indicazione semplificata, ridotta a quella dei maggiori centri (Doc. n. 4_61). Il Comando Supremo rispondeva con il foglio 14305 in data 22 ottobre confermando l' 'opportunità', invece, di indicare con precisione la linea di armistizio, del resto di agevole individuazione, corrispondendo alla dorsale alpina (Doc. n. 462).


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Il Presidente del Consiglio partiva, quindi, il giorno 27 ottobre per Parigi per le riunioni del Consiglio Supremo, nelle quali era assistito dal Ministro degli Esteri e dal Generale Robilant, per quanto si riferiva all'Esercito, nonché dal Capo di Stato Maggiore della Marina, Amm. Thaon di Revel. Circa le condizioni di armistizio, il 29 ottobre stesso, visto il favorevole andamento delle operazioni, il nostro Comando Supremo, che in antecedenza aveva contemplato ipotesi più o meno favorevoli circa i limiti del territorio da occupare, inviava al Generale Robilant a Parigi un messaggio (Doc. n. 463) nel quale gli si chiedeva di: «insistere su necessità assoluta assicurarci possesso Alto Adige-Eisak sino alla displuvio/e alpina per seguenti motivi principali: primo, per economia forze che difesa tale linea consente; secondo, per evitare sussistenza di un pericoloso cuneo nel nostro fianco; terzo, per aumentare massa montana a protezione truppe che dovrebbero in qualsiasi eventualità di guerra essere ammassate nel settore orientale che sarà sempre parte meno solida del nostro confine; quarto, confine alla displuvio/e potrà costituire in pace notevolissimo risparmio nelle spese militari sia per rafforzamenti che per unità ...... ». Circa tale necessità il Generale Diaz ritornava ancora in una sua comunicazione al Presidente del Consiglio, del 31 ottobre (Doc. n. 464). Che la definizione delle condizioni di armistizio.dovesse essere concordata in sede interalleata veniva ancora confermato da altre comunicazioni del Presidente Orlando, che. ribadivano che il nost;o Comando Supremo avrebbe dovuto agire in nome e per conto degli Alleati e limitarsi a presentare le condizioni che dovevano essere accettate integralmente. In tempo successivo, dietro nostra iniziativa per il timore di manovre dilatorie da parte avversaria, il Consiglio Supremo di Guerra disponeva che l'accettazione di dette condizioni dovesse avvenire entro 48 ore dalla loro presentazione. Il nostro Comando Supremo poteva intervenire, sempre a nome degli Alleati, per definire le modalità esecutive (Doc. n. 465 e 466). L'esigenza di dover attendere il testo definitivo delle condizioni dell'armistizio, redatto in lingua francese e pervenuto a Padova solo il giorno 1° novembre, costituirà l'effettivo motivo di ritardo nelia condotta iniziale delle trattative, che venne ingiustamente attribuito ad una deliberata volontà del nostro Comando Supremo di approfittare delle circostanze per aumentare l'entità territoriale del nostro successo. Alcuni autori, anche autorevoli come il Maresciallo Caviglia, hanno anzi lamentato che l'armistizio di Villa Giusti sia stato concesso troppo presto, e che non sia stato trattato in nome proprio dal nostro Comando Supremo e dal nostro Governo, ma invece sia stato stipulato a nome degli Alleati e secondo un testo sottoposto alla loro approvazione. A loro giudizio le condizioni del momento ci consentivano di imporre qualsiasi condizione.

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Al riguardo va detto che uno stretto accordo fra gli Alleati era doveroso per quanto previsto dal Patto di Londra del 1915; nel 1918, inoltre, come abbiamo visto, nelle sue preoccupazioni per le sorti della guerra e dell'economia del Paese, il Governo Orlando aveva teso ad affermare la stretta unione dell'Italia ai suoi Alleati e la sorte comune delle armi su quello che doveva essere considerato il «fronte unico occidentale» dall'Atlantico al1' Adriatico. Non sembra, quindi, che si sarebbe potuto agire diversamente; è da dire peraltro che ciò fu. fatto altrove per quanto si riferiva agli armistizi con Bulgaria, Turchia, e successivamente con la Germania. La definizione interalleata del solo nostro armistizio rimane quindi a testimonianza della subordinazione politica con cui il Governo italiano poteva agire e che era imposta al Comando Supremo. In pratica, tuttavia, per la parte terrestre, il testo armistiziale corrispose alle richieste definite in sede nazionale, mentre difficoltà furono registrate solo nella redazione delle clausole navali. Circa l'accusa di una concessione troppo celere dell'armistizio, oltre al fatto che da parte avversaria ci vennero rivolte, invece, accuse di aver volutamente ritardato la stipulazione dell'armistizio e la cessazione delle ostilità per conseguire ulteriori vantaggi con il proseguimento delle attività operative, va detto che, da parte del nostro Comando Supremo e del Governo italiano, fu invece considerato negativamente qualsiasi ritardo che potesse - data la crisi in atto nell'Impero Asburgico - portare alla impossibilità di un armistizio, e fu provocata la richiesta interalleata della sua accettazione entro le ore 24 del 3 novembre. È indubbio, peraltro, che nel periodo intercorso fra la prima evidenza di un interesse avversario ad addivenire ad un armistizio e la sua stipulazione, il nostro Comando Supremo perseguì la continuazione della manovra in atto, che era alla base della accelerazione delle decisioni di resa da parte del nemico. In relazione, poi, alle sotterranee contese con gli Alleati (che diverranno più pronunciate successivamente nelle trattative di pace), nell'ottobre del 1918 e nella definizione delle condizioni di un possibile armistizio, non ci si preoccupava solamente di conseguire una certa sicurezza nei riguardi di una eventuale ripresa delle operazioni da parte avversaria, ma anche di garantirci, di fronte ai nostri Alleati, le premesse per il raggiungimento dei noti obiettivi politici e territoriali che il Trattato di Pace avrebbe poi solo dovuto sanzionare. Si vedrà infatti che il mancato raggiungimento sia pure parziale di tali obiettivi, anche per gli errori e le manchevolezze della nostra Delegazione alla Conferenza di Versailles, porterà alla crisi di Governo, alla diffusione delle delusioni per la cosidetta «vittoria mutilata», sfruttate dalle forze già neutraliste e socialiste, che porteranno dapprima alla crisi dello Stato "liberale" e successivamente alla reazione nazionalista, al fascismo e ad una politica di sostegno del «revisionismo» dell'assetto postbellico europeo.


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In relazione a quanto precede qualsiasi attribuzione di colpe od errori al nostro Comando Supremo per non aver imposto autonomamente proprie e diverse condizioni sembra del tutto fuori ·luogo. Va detto poi che, mentre il Comando Supremo partecipò attivamente alla redazione delle condizioni armistiziali, comprese quelle applicative, lo svolgimento delle trattative seguì rime piuttosto obbligate; sicché furono ingiustificate le rivendicazioni di meriti particolari da parte del Generale Badoglio, Presidente della çommissione Italiana, per la sua stipulazione. Ci si riferisce al provvedimento dell'allora Capo di Stato Maggiore Generale che, nel 1926, disponeva: «d'ora in poi l'armistizio di Villa Giusti sarà denominato "Armistizio Badoglio"».

2. I precedenti da parte austriaca, fino alla decisione di avviare trattative dirette con il Comando Supremo italiano. La Relazione Ufficiale britannica, parlando della situazione militare del nostro avversario nell'ottobre del 1918, afferma che «la situazione militare austriaca non era affatto critica». Ed, invero, la necessità di porre fine al conflitto era sentita indubbiamente soprattutto dal Governo viennese, per la situazione economica e per gli sviluppi della situazione politica interna, di cui si è parlato al Capitolo II della Prima Parte. Anche la Relazione Ufficiale austriaca parla di una situazione al 4 ottobre del tutto «soddisfacente». Ma, naturalmente, l'offerta di pace avanzata dal Governo di Vienna con la Nota del 4 ottobre al Presidente Wilson doveva portare immediatamente il Comando Supremo austro-ungarico a considerare i problemi connessi con eventuali trattative armistiziali. Infatti, lo stesso 4 ottobre veniva disposta la costituzione a Trento di una Commissione di armistizio, che doveva essere presieduta dal Generale Vittorio Weber von Webenau, Comandante del VI Corpo d'Armata e composta dai seguenti Ufficiali: Colonello Karl Schneller, Tenente Colonello Victor von Seiller, Tenente Colonello Franz von Nyékhegyi, Capitano di fregata Principe di Lichtenstein, Capitano di corvetta Giorgio von Zwierkowski, Capitano Kamillo Ruggera. Nei primi giorni della sua costituzione la Commissione si limitò a studiare i piani per un eventuale sgombero della Pianura Veneta, problema posto mesi prima dal Maresciallo Boroevic e ritenuto questione essenziale per convincere gli Alleati circa le intenzioni austriache di pervenire ad una pace negoziata. Ma dovevano successivamente emergere le difficoltà di un ripiegamento per il quale si consideravano necessari nove mesi di tempo, e si ritenne preferibile attenersi ad una difesa sul posto del cui successo non si dubitava affatto, date le condizioni delle difese, il rapporto delle forze e la stagione ormai avanzata.

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D'altra parte Vienna riteneva fosse preferibile ricercare trattative di pace separata attraverso il Governo americano piuttosto che attraverso dirette trattative con il Governo italiano. Mentre alla metà del mese era attesa una nostra offensiva si era poi sperato che ad essa il nostro Comando Supremo avesse rinunciato sia per le condizioni meteorologiche sia per evitare perdite onerose in una situazione di incertezza politica generale. Di fatto, la Commissione aveva sospeso i lavori e quando si profilò nuovamente come probabile l'offensiva, il 23 ottobre, i suoi membri vennero nuovamente dispersi tornando ai propri incarichi. Da un successo difensivo il Governo e l'Alto Comando austroungarici si attendevano di poter più facilmente negoziare condizioni di compromesso. Il 24 ottobre, come sappiamo, aveva inizio la nostra offensiva sul Grappa, i cui primi insuccessi inducevano ad un certo ottimismo ed al rinvio di decisioni impegnative, per quanto andassero pervenendo sempre maggiori informazioni circa la prossima estensione delle operazioni al Piave ed al carattere di sforzo decisivo dato dal nostro Esercito alla battaglia. In relazione alla situazione politica generale, però, il 26 ottobre l'Imperatore Carlo nominava all'incarico di Ministro degli Affari Esteri dell'Impero austro-ungarico l'ungherese Conte Andrassy, di cui era noto l'obiettivo di scindere la sorte degli Asburgo da quella degli Hohenzollern con una pace separata. Contemporaneamente l'Imperatore Carlo inviava un messaggio al Kaisçr nel quale esprimeva chiaramente ed inequivocabilmente l'intenzione austriaca di richiedere e concludere un armistizio con l'Italia nel più breve tempo possibile, per recuperare le forze dell'Esercito; assicurava però che non sarebbe stato consentito l'attraversamento dell'Austria per attacchi alla Germania meridionale attraverso il suo territorio. La premessa all'avvio di trattative fu posta, il 28 ottobre - quando ormai l'esito della battaglia sul fronte italiano volgeva·a favore delle nostre truppe e già si erano manifestati nelle Grandi Unità austro-ungariche i primi episodi di ammutinamento - da una Nota che il Governo di Vienna inoltrò al Presidente degli Stati Uniti Wilson. Il Governo austro-ungarico, affermava la Nota, si dichiarava pronto a concedere la piena libertà a tutte le popolazioni slave dell'impero, così come richiesto dallo stesso Presidente statunitense in una sua lettera del 18 ottobre, al tempo dei contatti esplorativi. La Nota di Vienna concludeva chiedendo che da parte alleata fossero avviati senza indugio i negoziati per la pace. La manovra aveva tre componenti fondamentali. La prima, sul piano della politica estera, perseguiva ançora il tentativo di arrivare, attraverso il Presidente Wilson, ad una pace separata a migliori condizioni di quelle


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ottenibili attraverso trattative con i diretti avversari. La seconda, sul piano della politica interna, era costituita dalla speranza che la diffusione della notizia, resa pubblica nell'ambito dell'Impero, togliesse fiato agli oppositori ed agli impazienti dimostrando la buona volontà del Governo di Vienna ed attenuando le tensioni con i Consigli nazionali delle minoranze. La terza, essenziale, si riprometteva il pronto recupero delle forze dell'Esercito, prima che le operazioni militari italiane avessero a travolgerlo. Ma, mentre la ricerca di provocare una divisione fra i Governi alleati non conseguiva alcun risultato, la reazione entro i confini dell'Impero' era assolutamente negativa. Cechi e Slavi si staccarono ufficialmente dalla compagine dell'Impero e i relativi Consigli Nazionali assunsero di fatto il governo dei rispettivi territori e il controllo delle forze armate ivi dislocate e della propria nazionalità. In effetti si trattava di iniziative giuridicamente ininfluenti, ma di considerevole significato politico e psicologico, con riflessi non secondari sulla situazione strategica e, più strettamente, militare. Il proclama dell'Imperatore Carlo alle Forze Armate, con la promessa di pace a breve scadenza e con l'accenno all'obbligo di fedeltà alla Monarchia, cadde sostanzialmente nel vuoto e, in·genere, non pervenne nemmeno alle truppe. L'Esercito doveva continuare a battersi fino a quando la possibilità di arrestare la nostra offensiva avesse avuto possibilità di successo; dopo, doveva seguire il crollo. Come si è detto, la mattina del 28 ottobre, il Governo di Vienna inviava la Nota al Presidente Wilson con la quale si chiedeva di entrare in trattative per un immediato armistizio. Il Comando Supremo austro-ungarico fino a quel momento riteneva di poter attendere una risposta e di ·poter arrivare ad un armistizio definito in base a propri criteri e concordato, ripiegando le proprie forze ed evacuando il Veneto occupato. Comunicava infatti ai Comandi dei Gruppi di Armata sulla nostra fronte « .. . È da ritenere che la risposta di Wilson arriverà mercoledì o giovedì (30 o 31 ottobre); si potrebbe allora concludere l'armistizio, che è già completamente elaborato e cominciare lo sgombero. Se invece la fronte non resiste, diventa problematico che l'Intesa entri in trattative; le sue truppe avanzeranno in tal caso fino a Trento, Trieste, Vil/aco, etc. e ci detteranno la pace... . Si tratta quindi di tranquilizzare le truppe e convincer/e a resistere fino alla settimana prossima.... . » (Doc. n. 467). Ma, invece, proprio nella mattina del giorno 28 le operazioni sul Piave volgevano al peggio ed i controattacchi sul Grappa non conseguivano alcun risultato, mentre i casi di ammutinamento nelle retrovie si estendevano e giungevano le notizie della defezione dei marinai a Pola: occorreva stringere i tempi. Infatti, in una comunicazione del pomeriggio di tale giornata

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al Comando Supremo Tedesco, il Gen. Von Arz diceva fra l'altro: «La via di Wilson è troppo lunga. La Commissione cerca di mettersi in contatto col Comando Supremo Italiano per discutere l'armistizio». In particolare, alle ore 15,15 del 28 ottobre, dopoché l'Imperatore aveva autorizzato l'iniziativa, il Generale Weber riceveva a Trento l'ordine di riunire la Commissione d'Armistizio a suo tempo disposta e di avviare le trattative (Doc. n. 468). Il telegramma del Comando Supremo austroungarico diceva: «La situazione esige l'immediata conclusione de/l'armistizio. Vossignoria illustrissima si metta di conseguenza in viaggio con tutta la Commissione e cominci le trattative. Nella discussione si potrebbe così giustificare questo nostro passo: noi abbiamo accettato tutte le condizioni proposte da Wilson, siamo pronti a concludere immediatamente l'armistizio, onde por fine allo spargimento di sangue del tutto inutile; Vossignoria i/lustrissima tenga presente, quale direttiva, doversi accettare ogni condizione che non tocchi l'onore o non abbia il carattere di una capitolazione». L'Alto Comando di Baden in questo dispaccio comunicò ancora «doversi considerare come circostanza d'impedimento alla conclusione dell'armistizio se gli italiani esprimessero l'intenzione di adoperare il territorio dell'Ausiria-Ungheria come territorio di passaggio per la continuazione delle operazioni di guerra contro la Germania». È da ricordare, inoltre che, ancora nella giornata del 30 ottobre, l'Agenzia Stefani riferiva che da Vienna erano state diramate rettifiche di-una accettazione incondizionata di tutte le condizioni poste dal Presidente Wilsòn, ed in particolare che: «l'Imperatore Carlo è deciso a non cedere un palmo di territorio: tutto al più alcune strisce al confine italiano»; mentre, il giorno 29, l'Imperatore Carlo aveva ritenuto di assicurare il Kaiser che l'Austria non avrebbe consentito il passaggio di forze alleate sul territorio austriaco. Appare quindi evidente che, mentre si andava ricercando una sospensione immediata delle ostilità, si riteneva di poter ottenerla senza concessioni sostanziali. Nei giorni immediatamente successivi, poi, in relazione al tentativo di un ormai impossibile riavvicinamento alle popolazioni slave e della costituzione «in extremis» di una «Triplice Monarchia», veniva disposta la cessione della flotta al Consiglio Nazionale degli Slavi meridionali, con provvedimenti che tendevano a sottrarla alla possibile resa e che non potevano evidentemente essere accettati in qualsiasi trattativa armistiziale né da alcuna controparte. La notizia della avvenuta cessione, che non veniva comunicata tramite i membri della Commissione armistiziale, perverrà egualmente alle nostre Autorità di Governo e del Consiglio Supremo tramite le intercettazioni radio, e ne stimolerà i provvedimenti intesi a vanificarne le conseguenze; anzi, sarà a fondamento dei provvedimenti intesi ad accelerare le


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occupazioni di Trieste, Pola ed altre località oltre l'Adriatico (Doc. n. 469 e n.470).

Intanto, la Commissione austriaca si riuniva in Trento la sera stessa del 28 ottobre; all'alba del 29 il Cap. Ruggera si presentava ai nostri avamposti nella zona di Serravalle, in Val Lagarina, con una lettera del Generale Weber che notificava di essere incaricato, con una Commissione, di trattare con il nostro Comando Supremo per concludere immediatamente un armistizio per terra e per mare (Doc. n. 471) con le annotazioni autografe del Capo di Stato Maggiore). Il resto della Commissione raggiungeva Rovereto avvicinandosi così alle linee italiane e rimanendo in attesa di una risposta. 3. La condotta delle trattative armistiziali

A. Dalla presentazione del parlamentare austriaco alle nostre linee al primo incontro delle Commissioni di armistizio (29-31 ottobre) La descrizione analitica delle trattative armistiziali è stata già presentata dall'Ufficio Storico dello Stato Maggiore Regio Esercito in un'opera pregevole, corredata da una ampia documentazione, del Gen. Brig. Adriano Alberti 1 • In questa sede si intende, perciò, limitarsi a ricordare i momenti essenziali di tali trattative e le vicende connesse che ci permettano di ricordare quegli eventi, considerandone e documentandone alcuni aspetti allora omessi e presentando alcune considerazioni, che valgano a contestare le accuse di sfruttamento indebito della critica situazione del nostro avversario: accuse che, unite a quelle di tradimento dell'Alleanza nel 1914, hanno avuto vaste ripercussioni a danno del nostro Paese, e non solo nel mondo di lingua tedesca, e persistono ancora in opere recenti. Come si è detto, all'alba del 29, il parlamentare austriaco si presentava alle nostre linee; egli era condotto ad Avio, sede della nostra 26a Divisione, mentre la lettera del Gen. Weber veniva inoltrata ad Abano, sede del nostro Comando Supremo, ad oltre 150 km di distanza da percorrersi con i mezzi del tempo su strade difficili ed intasate. Intanto, nella giornata del 29, la situazione a Vienna diveniva sempre più drammatica mentre le sorti della battaglia sul Piave volgevano decisamente al peggio per le armi austriache; alle ore 9 il Gen. Weber venne informato che il Ministro degli Esteri Andrassy si era nuovamente rivolto al Governo americano per sollecitare un armistizio immediato e riceveva le seguenti istruzioni: « V.E. voglia anzitutto sforzarsi di far sospendere immediatamente le ostilità. Tutte le altre condizioni possono essere stabilite più tardi. Causa di ciò, /'umani1 Adriano Alberti; L'Italia e la fine della guerra mondiale. Parte II (Villa Giusti), Ministero della Guerra, S.M. Centrale Ufficio Storico, Libreria dello Stato, Roma, 1924.

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tà, giacché la perdita di terreno nella zona delle operazioni non ha importanza decisiva. È da deplorarsi ogni vita umana che venga ora sacrificata inutilmente». Infine, alle 17, 16 del 29, venne telegrafato al generale Weber da Baden 1 : «A scopo di ottenere una rapida conclusione dell'armistizio, si dovrebbe insistere verso gli Italiani su quanto segue: è da deplorare il sacrificio di ogni uomo per ciò che può già considerarsi assicurato agli italiani (quindi ragioni di umanità). Inoltre nei nostri movimenti sotto la pressione del nemico non possiamo naturalmente avere alcun riguardo per la regione (cioé ponti distrutti, villaggi nelle linee di difesa demoliti, abitanti fuggitivi, ecc;), mentre, dopo sospese le ostilità e regolando l'evacuazione, il Veneto, ben coltivato e tenuto in ordine, potrebbe essere riconsegnato senza danni». Analogo telegramma fu inviato al Comando Supremo italiano, in chiaro, dalla stazione R.T. di Pola facendo balenare lo spettro della distruzione del Veneto e concludendo: « Voglia a tale scopo il Comando Supremo italiano disporre per l'immediata sospensione delle ostilita» (Doc. n. 472). Quest'ultima comunicazione era stata suggerita dal Maresciallo Boroevic, insieme alla proposta di intraprendere immediatamente l'evacuazione del Veneto; ma è da porre in rilievo che il tono perentorio e minaccioso della comunicazione non si intonava ad una situazione generale così difficile per l'Esercito austriaco e con il desiderio di concessioni da parte di un avversario vincitore. Infatti, nei riguardi della ricezione di questo messaggio il Gen. Diaz, nel darne conoscenza al Presidente Orlando a Parigi, prospettava l'alternativa o di ignorarlo oppure di rispondere che alle distruzioni ingiustificate si sarebbe risposto con dure rappresaglie e bombardamenti sulle città austriache e che delle distruzioni l'Austria sarebbe stata chiamata a rispondere. Di fatto, poi, nessuna risposta veniva data a questa intimazione, mentre le operazioni continuavano ed avevano anzi l'intensificazione che ci è nota, nell'ambito delle possibilità concrete del campo di battaglia. Per quanto si riferiva alla comunicazione del Gen. Weber il Gen. Diaz rispondeva (Doc. n. 473) che: «1 ° - Il Comando Supremo italiano non può intavolare alcuna trattativa col Gen. Weber von Webenau, perché i documenti a lui trasmessi non costituiscono una delega che sia stata fatta personalmente e con atto regolare dal Comandante Supremo de/l'esercito austro-ungarico; 2 ° - Il Comando Supremo italiano non intende discutere con alcuna Commissione né armistizio né sospensione d'armi, tendenti ad una interruzione delle operazioni in corso; riceverà tuttavia ben volentieri i delegati che siano stati debitamente autorizzati nel modo detto sopra, per esporre loro 1 Località

vicina a Vienna e sede dell'Alto Comando austro-ungarico.


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le condizioni, nel consenso del proprio Governo ed in pieno accordo coi propri alleatfo. Il Comando Supremo italiano dunque dichiarava di ricevere senz'altro la Commissione, purché munita di regolari poteri, e preavvisava che non avrebbe ammesso discussioni; le condizioni sarebbero state quelle definite dal Governo, in accordo con gli Alleati. La nota venne consegnata al Ruggera alle ore 21 del 29 ottobre. Il plenipotenziario austriaco tentò di far notare che tutti i componenti della Commissione Armistiziale austriaca erano già in possesso dei pieni poteri; ma gli fu risposto che la nota era indirizzata al Gen. Weber e che pertanto solo dal generale si attendeva una risposta. Erano le ore 9 15 del 30 ottobre. Il Capitano Ruggera raggiunse Rovereto alle ~re 12. Nei' pomeriggio del giorno 30 ottobre il Comando Supremo austro-ungarico, avuta conoscenza della nota del Gen. Diaz, dispose telegraficamente (alle ore 16) che il Gen. Weber si portasse subito in territorio italiano con l'intera Commissione, per dare inizio alle trattative. Il Gen. Weber, dopo aver compilato una nota per il nostro Comando Supremo con la quale trasmetteva le credenziali di tutti i membri della Commissione, lasciò Rovereto alle ore 17,30 e si portò alle nostre linee, accompagnato dal colonnello Schneller e dal colonnello von Seiller. A Serravalle i tre ufficiali vennero autorizzati a superarè le linee e furono condotti ad Avio ove, nella notte sul 31, pernottarono. Il mattino del 31 ottobre, alle ore 7, pervenne ad Avio la richiesta telefonica del nostro Comando Supremo di riunire in quella stessa località l'intera Commissione armistiziale austriaca e di condurla poi al Quartier Generale presso Padova. Ad un rappresentante del Comando Supremo germanico, Colonnello Von Schaffer, che lo aveva richiesto, venne negata invece l'autorizzazione a partecipare alle trattative. La Commissione austriaca lasciò Avio alle ore 15.30 e giunse alle ore 20 nella Villa del Senatore Giusti del Giardino (tra Padova ed Abano, a circa 4 km. da quest'ultima località) dove venne ospitata. Qui, ai plenipotenziari avversari venne comunicato che la Commissione italiana si sar.ebbe presentata alle ore 10 dell'indomani, 1° novembre, per le prime discussioni. Intanto, infatti, nell'attesa dell'arrivo dei rappresentanti austro-ungarici il Comando Supremo aveva provveduto a nominare la Commissione dei plenipotenziari incaricati delle trattative da parte italiana, alla quale venivano designati a partecipare i seguenti membri: Tenente generale Badoglio Pietro, Presidente; Maggiore generale Scipioni Scipione, membro; Colonnello degli alpini Marchetti Tullio, membro; Colonnello di S.M. Gazzera Pietro, membro; Colonnello in servizio di S.M. Maravigna Pietro, membro;

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Colonnello in servizio di S.M. Pariani Alb.erto, membro; Capitano di vascello Accinni Francesco, membro; Capitano Trenner, interprete (trentino e cognato di Cesare Battisti). B. La definizione delle condizioni di armistizio e la loro comunicazione al-

le Autorità di Vienna. Della avvenuta presentazione del parlamentare austriaco e delle comunicazioni ricevute ed inviate il nostro Comando Supremo aveva immediatamente informato il Presidente Orlando che, come si è detto, si trovava a Parigi proprio per partecipare alle riunioni che erano state indette per definire le possibili condizioni di eventuali armistizi. Nella situazione così creatasi, il Consiglio Supremo interalleato decideva di occuparsi immediatamente e con priorità dell'esame dell'armistizio con l'Austria-Ungheria sulla base delle nostre proposte. Naturalmente l'annuncio della possibilità di concludere un armistizio con l'Austria-Ungheria era stato accolto con entusiasmo come primo passo che non avrebbe potuto che portare alla successiva resa anche da parte della Germania. Non era mancata anche la proposta, specie da parte francese, di evitare richieste eccessive che potessero essere di ostacolo alla accettazione delle condizioni, mentre veniva accolta immediatamente la proposta, che il 30 ottobre medesimo il Còmando Supremo aveva presentato, di includere il passaggio delle forze alleate attraverso il territorio austriaco al fine di esercitare una minaccia verso il fianco meridionale della Germania: minaccia più potenziale che reale sul piano militare immediato, ma di indubbio peso psicologico e politico (Doc. n. 474). A Parigi, pertanto, il Consiglio Supremo interalleato, nelle giornate del 30 e 31 ottobre, concretava le condizioni di armistizio, che erano approvate nella seconda di tali giornate, stabilendo altresì: le condizioni dovevano essere rese note alla controparte senza consentire ad essa alcuna obiezione o discussione; testo autentico sarebbe stato considerato quello redatto in lingua francese, che sarebbe stato recapitato a mano da un ufficiale francese al nostro Comando Supremo. Poiché l'arrivo del testo definitivo non avrebbe potuto avvenire prima del 2 novembre mentre il nostro Comando Supremo sollecitava comunicazioni in merito che consentissero l'avvio delle trattative, nelle prime ore del 1° novembre venne trasmesso, per telegrafo, ad Abano il testo tradotto in lingua italiana. La trasmissione avvenne in cifra e la decifrazione comportò qualche inevitabile errore; ma si trattò di imperfezioni più formali che sostanziali. Così, alle ore 10 di quella giornata le due Commissioni ebbero il loro primo incontro a Villa Giusti; il Generale Badoglio mise subito a disposizione della Commissione austriaca il testo pervenuto telegraficamente, precisando che si trattava di un testo decifrato, e quindi da considerarsi prov-


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visorio (in lingua italiana), non esatto ma molto vicino a quello ufficiale. In sintesi il testo, di cui riportiamo la veste definitiva al Documento n. 475 conteneva le seguenti condizioni: - immediata cessazione delle ostilità; - completo disarmo delle forze austro-ungariche ad eccezione di venti Divisioni che dovevano essere riportate e mantenute sugli organici di pace; - cessione della metà delle artiglierie divisionali e di Corpo d'Armata; - sgombero di tutti i territori occupati nonché delle seguenti regioni: Alto Adige, Venezia Giulia, Carnia occiedentale, Dalmazia settentrionale; - libertà di movimento per le unità dell'Intesa su tutte le strade, idrovie, ferrovie nell'interno del territorio dell'Impero; - diritto di occupazione di tutte quelle zone nelle quali ciò fosse richiesto da interessi strategici e politici dell'Intesa; - ritiro dai territori della duplice monarchia di tutte le unità germaniche e rimpatrio di tutti i prigionieri appartenenti alle nazioni dell'Intesa che si trovassero in Austria-Ungheria; - consegna della quasi totalità della flotta. Le Commissioni avrebbero dovuto definire le modalità applicative attraverso un Protocollo aggiuntivo. Poiché le condizioni costituivano una vera e propria resa senza condizioni il Gen. Weber von Webenau non si sentì autorizzato ad accettarle. Chiese, perciò, ed ottenne, di inviare a Trento il Colonnello Schneller ed il Capitano Ruggera per darne comunicazione da tale località al proprio Comando Supremo e riceverne nuove direttive. I due ufficiali giunsero a Trento alle ore 20 del giorno 1° novembre e le comunicazioni pervennero al Comando Supremo austro-ungarico attorno alle ore 21 dello stesso giorno. Intanto le operazioni militari continuavano con la nostra avanzata e con il ripiegamento sempre più caotico delle forze austro-ungariche, ormai in piena rotta. Il pomeriggio del 1° novembre il Gen. Weber von Webenau chiese alcuni chiarimenti al Gen. Badoglio. In particolare, al generale austriaco premeva conoscere esattamente l'ora della tregua d'armi, in quanto da una pronta cessazione delle operazioni e dalla possibilità di recuperare l'Esercito dipendeva in gran parte il futuro della monarchia. Al Generale austriaco fu risposto che la questione dell'ora di cessazione delle ostilità era allo studio, unitamente ai problemi connessi con la linea di demarcazione di una zona neutra ed ai rifornimenti di viveri alle forze austro-ungariche e alle popolazioni. Il Gen . Weber von Webenau precisò che l'Esercito austro-ungarico aveva già ricevuto direttive per lo sgombero totale della Pianura Veneta e

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chiese che la tregua d'armi potesse entrare in vigore al più presto. Il Gen. Badoglio replicò che la cessazione delle ostilità sarebbe entrata in vigore soltanto dopo che gli Austriaci avessero accettato le condizioni di armistizio. Aggiunse che, quale plenipotenziario del Consiglio di Guerra di Versailles, egli non aveva alcun potere per modificare tali clausole. In considerazione di ciò, a tarda sera il Gen. Weber von Webenau ottenne di inviare a Trento anche il Capitano di fregata principe di Liechtenstein, onde rendere noti al proprio Comando i chiarimenti ricevuti. Oltre a ciò, in sostanza, il Gen. Weber von Webenau suggeriva al proprio Comando Supremo di respingere le condizioni degli Alleati e di avanzare controproposte, sulla base delle quali riprendere le trattative. Suggeriva inoltre di compiere un nuovo passo presso il Presidente degli -Stati Uniti e di dare pubblicità alle condizioni poste per attizzare l'odio delle popolazioni slave nei nostri confronti. Il nuovo rapporto della Commissione armistiziale pervenne al Comando Supremo austro-ungarico alle ore 12 del 2 novembre. Alle ore 13 di quella stessa giornata giunse ad Abano l'ufficiale francese latore del testo ufficiale, in lingua francese, delle condizioni per l'armistizio. L'ufficiale confermò che il termine per l'accettazione di tali clausole restava fissato entro le ore 24 del giorno 3 novembre. Così, nel pomeriggio del 2 novembre, il Generale Weber von Webenau ricevette tre comunicazioni della massima importanza: - alle ore 16,30, una nota del Gen. Diaz che confermava il termine di tempo sopra indicato per l'accettazione delle clausole di armistizio; - alle ore 16,45, copia del testo ufficiale in lingua francese di tali clausole (del tutto analogo a quello già presentato in lingua italiana, salvo minori varianti formali); - infine la comunicazione con la quale, a seguito dell'accordo raggiunto fra tutti i Governi dell'Intesa é quello degli Stati Uniti, le clausole armistiziali per le quali si stava trattando a Villa Giusti dovevano riguardare non solo il fronte italiano ma anche tutte le forze austro-ungariche sugli altri fronti. Il Gen. Weber trasmise le tre comunicazioni a Vienna servendosi della nostra 'stazione radio di Padova·perché, a causa delle azioni in corso, non era possibile inviare un plenipotenziario austriaco a Trento lungo la Val Lagarina; egli richiesè di confermare in chiaro la ricezione; i tre messaggi pervennero al Comando Supremo austro-ungarico rispettivamente alle ore 20,44 - 22,52 e 23,12 del 2 novembre. Da quanto ricordato circa i momenti essenziali anteriori al primo incontro delle Commissioni appare che non vi fu alcun tentativo di ritardare


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le trattative per conseguire, nel frattempo, maggiori risultati operativi. Se vi furono effettivamente ritardi per l'andirivieni iniziale di messaggi tra Avio ed Abano, occorre considerare i tempi -allora necessari di percorrenza e la pertinacia con cui il Capitano Ruggera presunse di parlamentare in proprio con il nostro Comando Supremo, il quale, d'altra parte, mise subito in chiaro le condizioni secondo le quali'·si sarebbe potuto trattare, cioé: parlamentari con i debiti poteri; sospensione .delle ostilità solo dopo accettazione delle condizioni poste dal nòstro Governo d'accordo con quelli alleati. Quest'ultima comunicazione avrebbe dovuto immediatamente far capire che la definizione delle condizioni, come del resto sarà anche per la Commissione austriaca, avrebbe potuto richiedere tempi lunghi comportando approvazioni degli organi politici nazionali ed alleati. Le lamentele relative a supposti voluti ritardi provocati dal nostro Comando Supremo appaiono, poi, del tutto ingiustificate, ove si pensi che questo fu in grado di presentare il testo definito a Parigi solo in via provvisoria in data 1 novembre, ed in via definitiva il 2 novembre, immediatamente dopo la loro ricezione. Del resto, entro le ore 12 del 2 novembre l'Alto Comando austro-ungarico ebbe il testo, sebbene non definitivo, delle condizioni ed entro le ore 24 le altre notizie; seppe inoltre che doveva essere ancora stabilito il momento della sospensione delle ostilità, il quale non poteva, per ragioni evidenti, avere il carattere «immediato» previsto secondo una interpretazione letterale del punto I delle condizioni armistiziali, dovendosi lasciare il tempo necessario perché gli ordini conseguenti potessero raggi!-}ngere le unità. C .. Le indecisioni dell'Imperatore Carlo e l'ordine unilaterale dell'Alto Comando austro-ungarico di cessare le ostilità.

Il mattino del 2 novembre il Capo di S.M. dell'Esericito austro-ungarico, Col. Gen. Von Arz, ricevette le comunicazioni del Colonnello Schneller con il testo provvisorio delle condizioni indubbiamente gravose; ma, in relazione alla situazione catastrofica dell'Esercito su tutto il fronte, tra le ore 8 e le ore 9 si presentò all'Imperatore raccomandandogli di accettarle. Il Sovrano, invece, rimase molto perplesso giudicando gravissime le due clausole relative alla cessione dell'Alto Adige ed al libero transito delle truppe dell'Intesa sul territorio dell'Impero. In particolare, l'accettazione di questa condizione, diretta evidentemente contro la Germania, era in netto contrasto con l'impegno preso con il Kaiser. In considerazione di ciò, nella mattinata e nel pomeriggio, l'Imperatore volle consultarsi con i Ministri dei Governi austriaco e ungherese, alla presenza del Gen. Arz. Successivamente, dopo un incontro con il generale Von Cramon, plenipotenziario del Comando Supremo germanico, l'Imperatore riunì il Consiglio di Stato dell'Austria

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tedesca, al quale comunicò di rassegnare le dimissioni da Comandante Supremo delle Forze Armate in quanto, pur comprendendo come fosse inevitabile accettare le condizioni armistiziali, egli non si sentiva di ottemperare alla clausola relativa alla libertà di transito delle forze dell'Intesa sui territori austriaci, essendo tale clausola chiaramente rivolta contro gli alleati tedeschi. Invitò quindi il Presidente Seitz ed il Consiglio di Stato a dare il benestare per l'accettazione dell'armistizio. Quale Comandante Supremo venne designato il Gen. Kéivess, avendo il Von Arz chiesto di dimettersi. Alla riunione del Consiglio di Stato partecipò anche il Gen. germanico Cramon il quale indicò nella linea del Brennero le posizioni che il Comando germanico avrebbe inteso presidiare per opporsi all'Esercito italiano. Poco più tardi il Comando del Gruppo di Armate del Trentino comunicò che non era possibile fare affidamento sulla tenuta di quelle posizioni; sicché il Gen. Arz fece presente che ormai si trattava soltanto di scegliere tra la penetrazione delle truppe italiane nel territorio nazionale e quella di forze germaniche: era pertanto necessario scegliere il male minore. Forse proprio quest'ultima considerazione indusse i membri del Consiglio di Stato a dichiarare all'Imperatore che essi non intendevano assumersi alcuna responsabilità nella questione dell'armistizio. A giudizio dei componenti il Consiglio di Stato del1' Austria tedesca, ogni responsabilità relativa all'armistizio competeva ali' Autorità che aveva iniziato e condotto la guerra. Alla linea di condotta del Consiglio di Stato dell'Austria tedesca si conformò anche quella dei Consigli di Stato di tutte le altre nazionalità dell'impero; infatti, nessuno intendeva farsi carico di responsabilità che ricadevano sul Governo Imperiale. La situazione divenne ancora più grave a seguito dell'ordine dato nella tarda serata dal nuovo Ministro della Guerra ungherese, colonnello Linder, di disporre il ritiro dal fronte sud-occidentale di tutte le truppe magiare da destinarsi ai confini meridionali del Paese. Tutte le pressioni esercitate sul Ministro perché annullasse tale decisione risultarono vane. Alle ore 22 (giorno 2 novembre) il Comando Supremo austro-ungarico fu costretto ad invitare il Comando del Gruppo di Armate del Trentino ad ottemperare alle disposizioni inerenti le forze ungheresi, tra le più efficienti dell'intero- Esercito Asburgico. Sotto l'incubo di una tale decisione, alle ore 21,15 di quella giornata, si riunì a Schéimbrunn il Consiglio della Corona, pre·senti il Presidente del Consiglio Lammasch, i ministri Andrassy e Spitzmiiller i generali Arz e Stéiger-Steiner. Tutti i consiglieri concordarono sulla necessità improcrastinabile di accettare le condizioni dell'armistizio; ma, per aderire ad un desiderio dell'Imperatore, venne ricercata una formula che potesse suonare protesta contro l'eventuale avanzata di forze dell'Intesa entro i territori austriaci. Verso le ore 23,30 venne completata la redazione del seguente testo (Di-


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spaccio n. 2100) che doveva essere trasmesso al Generale Weber: «Qualora non si possano raggiungere mitigazioni senza perdere tempo, vengano accettate senza pregiudizio tutte le condizioni per la pace. Si premette che il punto 4 a) (vedi Documento n. 475 relativo al testo ufficiale delle clausole dell'armistizio) non deve essere inteso nel senso che le Armate nemiche possano sfruttare la libertà dei movimenti per un attacco alla Germania. Se tale eventualità non potesse essere evitata, si dovrà elevare opportuna protesta contro un tale atto. Se si dovesse accettare anche questa condizione bisognerà tentare di procrastinare il movimento nemico. Pur tentando di ottenere queste concessioni, la conclusione dell'armistizio non potrà essere in alcun modo rinviata». Il Sovrano dette la sua approvazione; ma, ancora una volta, chiese che il Gen. Arz e il Presidente Lammasch si recassero l'indomani dinnanzi al Parlamento, per chiedere il beneplacito del Consiglio di Stato dell'Austria tedesca; ciò, anche se il Presidente del Consiglio di Stato Seitz aveva espresso tutta la sua perplessità in merito alla possibilità di un orientamento diverso da quello già dichiarato. Di fatto l'Austria aveva accettato una resa senza condizioni perché non poteva fare altrimenti. Sino l;lll'ultimo il suo Governo tentò di non subire tale umiliazione ben comprendendo che con quell'atto ratificava la sua fine; ma era costretto al convulso procedere del processo decisionale dall'urgenza di porre fine alle ostilità per salvare almeno una parte dell'Esercito. Intatti, come sappiamo, le condizioni di sfacelo dell'Impero e le sconfitte militar~ che si stavano tramutando rapidamente in una disfatta di enormi dimensioni avevano convinto già il 29 ottobre le più alte autorità militari e politiche della Duplice Monarchia della urgente necessità di ottenere una tregua d'armi per evitare un crollo totale delle Armate e dello Stato medesimo. In considerazione di ciò il Comando Supremo austro-ungarico aveva già disposto che i due Gruppi di Armate operanti sul fronte italiano effettuassero un ripiegamento su posizioni idonee a ritardare la nostra avanzata. Inoltre, in merito, va ricordato che, in data 30 ottobre, era stato proposto ai Comandanti dei Gruppi di Armate sul nostro fronte di ricercare accordi con i Comandi delle unità contrapposte per una cessazione immediata delle ostilità. Ma, allora i due Comandi predetti avevano dissentito dalla opportunità di chiedere una cessazione delle ostilità al loro livello in quanto ritenevano che richieste rivolte ai nostri Comandi inferiori sarebbero state controproducenti e, una volta inoltrate al Comando Supremo italiano, avrebbero potuto trovare solo una richiesta di resa incondizionata. Peraltro, nei giorni successivi, posti di fronte ai risultati conseguiti dalla nostra manovra offensiva, i Comandi dei due Gruppi di Armate avevano intensificato le loro pressioni per un armistizio immediato a qualsiasi con-

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dizione. Ma la totale paralisi verificatasi a Vienna ritardava ogni decisione mentre il Comando del Gruppo di Armate del Trentino ed il plenipotenziario colonnello Schneller raccomandavano, nelle loro comunicazioni, una accettazione delle clausole di armistizio che consentisse una immediata cessazione delle ostilità, quale unico mezzo per contenere, sia pure parzialmente, la nostra avanzata, particolarmente nel settore montano. Ritornando al precedente disegno il Comando Supremo austro-ungarico dispose allora unilateralmente la cessazione delle ostilità con la speranza di arrestare, cos_ì, la nostra avanzata. Alle ore 2,30 del 3 novembre, con l'approvazione dell'Imperatore, venne trasmesso ai Comandi dei due Gruppi di Armate operanti sul fronte italiano, per telefono, l'ordine segreto n. 2101 che prescriveva: «Le condizioni di armistizio dell'Intesa sono accettate. Tutte le ostilità in terra e in mare debbono essere immediatamente interrotte. I dettagli delle condizioni di armistizio saranno resi noti». Successivamente, si è cercato di accreditare, con qualche successo, la tesi secondo la quale le disposizioni del Comando Supremo austro-ungarico sarebbero scaturite da una errata interpretazione delle clausole di armistizio, che, all'articolo 1, prevedevano una «immediata cessazione delle ostilità»; ma la tesi non regge ad una critica attenta. In primo luogo la decisione austro-ungarica si basava sulla interpretazione di un testo provvisorio e non ufficiale. In secondo luogo, anche ammesso che l'interpretazione fosse esatta, come poteva presumere il Comando Supremo austro-ungarico che da parte italiana si intendesse e si fosse in grado di sospendere automaticamente le ostilità su un fronte così vasto e articolato? Del resto non tutte le unità austroungariche furono in condizione di ottemperare alle disposizioni relative al cessate il fuoco unilaterale per ritardi nelle comunicazioni. Infine, se il Comando Supremo austro-ungarico, al momento di prendere la decisione di ordinare la cessazione delle ostilità, non era forse a completa conoscenza dei tre ultimi messaggi del Generale Weber von Webenau, aveva comunque appreso telefonicamente dal Capitano di fregata principe di Liechtenstein, e cioè fin dalle ore 12 del 2 novembre, che le disposizioni relative all'ora di effettiva cessazione delle ostilità erano ancora allo studio da parte delle autorità italiane. Con ogni probabilità, invece, la decisione del Comando Supremo austroungarico fu dettata da una condizione psicologica particolare e da una errata valutazione della compattezza e disciplina delle Unità italiane. Forse intervenne anche una sfumatura di incredulità e quasi certamente ìnfluì una concezione arcaica della guerra, nel senso che di fronte alla bandiera bianca e alla ricerca di tregua dovesse essere automatica e conseguenziale la rinuncia dell'avversario a proseguire le operazioni.


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Ma, soprattutto, come evidenziato dalle proposte già inoltrate in data 30 ottobre ai Comandi di Gruppo di Armate, si intendeva ottenere che, attraverso l'arresto delle unità in linea, si imponesse.«defacto» qùell'arresto immediato delle operazioni che le condizioni di armistizio non avevano inteso concedere. Era un sistema che aveva funzionato con successo in Russia nel confronto con le unità esauste del Governo zarista, ma che non doveva avere successo con quelle italiane . Poiché, evidentemente, la responsabilità degli inconvenienti lamentati successivamente dal Von Arz e dagli altri nostri avversari ricadeva esclusivamente su loro stessi, per sottrarsi al giudizio dei loro compatrioti essi elevarono false accuse nei confronti del nostro Comando Supremo. Il brusco, imprevisto mutamento nell'orientamento dell'Imperatore, che la sera del 2 novembre si ribellava alla decisione dei politici di abbandonarlo richiedendo inutilmente le ulteriori approvazioni dei Consigli Nazionali, doveva causare una catena di ulteriori complicazioni con conseguenze disastrose. Si tentò, infatti, di fermare l'ordine per la cessazione unilaterale delle ostilità (ordine 2101), nonché l'ordine di accettazione delle clausole dell'armistizio per il Gen. Weber (ordine 2100): ordini ambedue già inoltrati a Trento . Il primo ordine non poté essere revocato, il secondo, si. Si ebbe, quindi, una divaricazione tra l'azione negoziale a Villa Giusti e la situazione militare al fronte e le esitazioni dell'Imperatore crearono una situazione difficile nell'ambito dei contatti tra le due Commissioni armistiziali. Queste: alle ore 18 del 2 novembre, si erano riunite a Villa Giusti per concordare le modalità di esecuzione delle clausole dell'armistizio; la Commissione italiana era al completo, mentre di quella austriaca mancavano i tre componenti inviati a Trento. Il Gen. Weber von Webenau tentò di _ottenere condizioni più favorevoli, insistendo per una tregua d'armi immediatamente susseguente la firma dell'armistizio e un maggior termine di tempo per lo sgombero dei territori invasi (fissato dalla Commissione italiana in quindici giorni). Ma tutte le richieste austriache vennero respinte, rimanendo stabilito che: 1) la cessazione delle ostilità avrebbe avuto luogo 24 ore dopo l'accettazione da parte austriaca delle clausole armistiziali. Il Gen. Weber von Webenau, dopo che la sua richiesta di tregua immediata era stata respinta, aveva richiesto che il termine predetto venisse limitato a dodici ore, ma anche tale richiesta non trovò favorevole accoglimento. L'unica concessione fatta dal Gen. Badoglio fu quella di far decorrere le ventiquattro ore dal momento dell'accettazione dell'armistizio anziché da quello della firma dei relativi documenti;

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2) in caso di contrasti tra le due Commissioni avrebbe dovuto prevalere il punto di vista italiano (in tal senso si era espresso il Consiglio di Versailles); 3) il territorio invaso dalle truppe austro-ungariche sarebbe statq sgomberato entro quindici giorni. Alle ore 3 del 3 novembre la Commissione austro-ungarica dovette dichiararsi d'accordo su tutte le misure esecutive stabilite dalla Commissione italiana e quest'ultima si accinse a riunire tutte le _condizioni concretate in un protocollo aggiuntivo. , Il tempo stringeva in considerazione del fatto che il Consiglio di Ouerra interalleato aveva fissato come termine ultimo pér l'accettazione delle clausole le ore 24 del giorno 3 novembre. Il Gen. Weber von· Webenau, che non aveva ancora ricevuto disposizioni esecutive da Vienna per i motivi sopra esposti, si affrettò a trasmettere un messaggio di sollecitazione (messaggio che pervenne nella capitale austriaca alle ore 5, ma che rimase senza risposta) e subito dopo il testo delle disposizioni integrative concordate. All'inizio di quest'ultimo testo era la frase: «L'interruzione delle ostilità avverrà 24 ore dopo l'accettazione delle condizioni». Questo secondo dispaccio giunse a Vienna alle ore 11, 18 del 3 novembre. In precedenza, alle ore 1,20, il Colonnello Schneller aveva ricevuto in Trento sia l'ordine di accettazione delle condizioni di armistizio (dispaccio n. 2100), sia l'ordine di cessazione unilaterale delle ostilità (dispaccio n. 2101). Immediatamente, il Colonnello dispose di mettersi in viaggio per raggiungere le sede dei negoziati, ma venne fermato, nei pressi delle nostre lineè, da una serie di ordini e contrordini provenienti da Vienna. Era il risultato dell'atteggiamento esitante e contraddittorio del Sovrano, ma anche il segno inconfondibile della incapacità di controllare una situazione in rapido deterioramento. Dopo oltre tre ore di sosta e di convulse consultazioni, il Col. Schneller poté riprendere il viaggio alla volta di Villa Giusti. La situazione, a quel momento, era sostanzialmente mutata: il dispaccio relativo all'accettazione delle condizioni di armistizio era stato annullato da successive disposizioni; il plenipotenziario doveva distruggerlo. Rimaneva valida, invece, la disposizione concernente la cessazione unilaterale delle ostilità, in quanto il Comando dell' 11 a Armata aveva protestato vivacemente per la revoca della primitiva direttiva emanata dal Comando Supremo osservando che non era più possibile annullare l'ordine. La confusione era al colmo. La disciplina era incrinata anche ai massimi livelli dell'Esercito. La possibilità di valutare obiettivamente la situazione


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scemava in forma direttamente proporzionale alla distanza dal fronte, che stava crollando sotto la spinta delle nostre forze e per il processo di disgregazione in atto nelle retrovie austro-ungariche. Il ,Col. Schneller, con gli altri due membri della Commissione austriaca, dopo aver tentato invano di arrestare l'avanzata della nostra 32a Divisione (X Corpo d'Armata, 1 a Armata) informando il Comando della Grande Unità che le truppe austroungariche avevano ricevuto l'ordine di cessare le ostilità, varcò le nostre linee e raggiunse alle ore 13 del 3 novembre Villa Giusti, dove subito informò il capo della commissione dell'ordine 2100 del Comando Supremo austroungarico, benché tale ordine fosse stato annullato. · L'ordine stesso, e cioé l'accettazione delle condizioni di armistizio, venne ritrasmesso da Viennà, al Gen. Weber von Webenau, alle ore 10, dopo che il Gen. Arz aveva avuto un colloquio con il solo componente del Consiglio di Stato trovato in Parlamento; esso perveniva al medesimo Generale via Budapest e Pola, con trasmissione in chiaro, solo alle ore 16,30 dèl 3 novembre. Il Gen. Arz, nell'autorizzare la nuova trasmissione dell'ordine, informò il Comando Supremo germanico ed il Ministro degli Esteri del Reich.

D. La tormentata conclusione de/l'armistizio Come si è visto, il telegramma da Vienna, che autorizzava l'.accettazione dell'armistizio, giunse al Gen. Weber von Webenau alle ore 16,30 del 3 novembre; ma già tre ore prima il generale, dopo aver ricevuto le notizie recategli dal Col. Schneller, si era assunto personalmente, nell'interesse dell'Austria-Ungheria, la responsabilità di accettare le clausole imposte. In tal modo riuscì a guadagnare ore preziose ai fini della cessazione delle ostilità. Il Generale Weber von Webenau, infatti, dopo il colloquio con il Colonnello SchneJler, pregò il Generale Badoglio di convocare le commissione per le ore 15. In apertura di seduta il Generale austriaco lesse le due seguenti dichiarazioni: 1) «Mi onoro portare a conoscenza dell'eccellenza vostra che, come risulta da comunicazioni giuntemi in questo momento, l'imperial regio Comando Supremo de/l'esercito austro-ungarico nelle prime ore del 3 novembre mi ha ordinato con radiotelegramma di accettare le condizioni di armistizio; questo dispaccio non mi è ancora stato recapitato. L 'imperial regio Comando Supremo de/l'esercito austro-ungarico ha contemporaneamente impartito alle tn,,ppe l'ordine di cessare le ostilità».

2) «In base alla delega conferitami da/l'imperial regio Comando Su-

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premo austro-ungarico, si dichiara di accettare a nome del detto Comando Supremo le condizioni di armistizio fissate dal Consiglio Superiore di Guerra di Versailles, addì 31 ottobre 1918. Questa accettazione comprende anche i punti 4 delle condizioni di armistizio per terra, e 4 e 5 delle condizioni di armistizio per mare, con riserva di sollevare protesta contro queste disposizioni alla conferenza per la pace». Le due dichiarazioni vennero immediatamente consegnate per iscritto. Il Generale austriaco, che controllava a stento l'emozione per il passo compiuto e per la responsabilità assuntasi, fece pressioni per ottenere l'immediata cessazione delle ostilità avendo il Comando Supremo austro-ungarico già disposto in tal senso e, soprattutto, nella certezza che l'ottenimento di una simile condizione avrebbe in grande misura giustificato il suo gesto. Il Gen. Badoglio oppose un deciso rifiuto. Guardando il suo orologio da polso (erano le ore 15,20) disse testualmente: «Stabiliamo le ore 3 quale esatta ora per l'interruzione delle ostilità. Secondo l'accordo, l'armistizio entrerà in vigore domani 4 novembre alle ore 3 pomeridiane». Ciò detto, fece diramare telefonicamente a tutti i Comandi l'ordine di cessazione delle ostilità: per l'ora così stabilita. Ma la successiva lettura delle condizioni di armistizio e del testo aggiuntivo diede luogo ad animate discussioni. Richiamandosi al punto 1° delle clausole militari del testo dell'armistizio che riguardava la cessazione immediata delle ostilità, il Capitano di corvetta Zwierkowsky dichiarò di non voler sottoscrivere l'accordo, non riconoscendo la validità della clausola relativa all'intervallo di ventiquattro ore per la cessazione delle ostilità, dato che il Comando Supremo austro-ungarico aveva già disposto che le stesse avessero termine immediatamente. Si trattava evidentemente di una tesi pretestuosa. La responsabilità di aver ordinato prematuramente la cessazione delle ostilità, e in forma unilaterale, quando già gli Austro-Ungarici erano a conoscenza che la questione era allo studio delle autorità italiane, non poteva ricadere che sull'autore di tale decisione, né poteva vincolare in alcun modo il Comando Supremo italiano. Sulla posizione del Capitano di corvetta citato, si dichiararono concordi anche i tre ufficiali rientrati da Trento. In particolare, il Colonnello Schneller contestò la validità del protocollo aggiuntivo in ·quanto redatto in assenza di tre membri della Commissione austriaca. Il Gen. Badoglio troncò subito ogni discussione (che aveva assunto toni assai vivaci, incompatibili con la condizione dei plenipotenziari avversari che non potevano far altro che ratificare la sconfitta subita sul campo di battaglia e che avevano sollecitato l'armistizio) prescrivendo al Colonnello Gazzera di revocare immediatamente l'ordine già diramato ai dipendenti Comandi per la cessazione delle


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ostilità (per le ore 15 del 4 novembre) e di comunicare a Versailles la rottura delle trattative. Mentre tale ordine di revoca veniva già comunicato alle Armate italiane, il Gen. Weber van Webenau, che male aveva seguito l'incidente, interveniva per scongiurare le catastrofiche conseguenze che una simile disposizione avrebbe provocato nella situazione già drammatica delle forze austro-ungariche. Egli dichiarava che la sua accettazione della clausola relativa alle ventiquattro ore dettava norma per tutti, essendo stata accettata dal Presidente della Commissione di armistizio austro-ungarica. I dissidenti vennero così tacitati e dovettero dichiararsi d'accordo. Alle ore 18,20, il protocollo di armistizio, con la relativa carta topografica, e il protocollo aggiuntivo vennero sottoscritti da tutti i componenti le due commissioni. Veniva allora confermata alle Armate la validità della prima comunicazione che indicava il termine delle ostilità nelle ore 15,00 del 4 novembre. L'Austria-Ungheria aveva sottoscritto la propria sconfitta. L'Italia sanciva uria grande vittoria a conclusione del suo Risorgimento nazionale. Intanto, a Vienna, come si è detto, verso le ore 12 del 3 novembre il Comando Supremo austro-ungarico ebbe notizia precisa degli accordi raggiunti durante la notte precedente a Villa Giusti. In particolare, a seguito della comunicazione precisante che le ostilità sarebbero cessate soltanto ventiquattro òre dopo l'accettazione dell'armistizio, furono immediatamente percepite le conseguenze connesse con le disposizioni date nelle prime ore -del giorno 3 per l'immediata:' interruzione di ogni combattimento. Esse, infatti, avrebbero dato la possibilità alle nostre forze di prima schiera di avanzare ulteriormente senza opposizione alcuna e, superando le unità austriache in ripiegamento, di fare numerosi prigionieri. L'ordine diramato dal Comando Supremo austro-ungarico, di cessazione delle ostilità, doveva indubbiamente provocare, infatti, una situazionè caotica presso i Comandi dei Gruppi di Armate e delle Armate avversarie. Nel settore dell' 11 a Armata la disposizione pervenne a tutte le Divisioni tra le ore 2 e le ore 4 del giorno 3 novembre. Ma il fatto che le nostre unità di prima schiera non cessavano di avanzare indusse il Comando del Gruppo di Armate del Trentino a diramare, alle ore 7, l'ordine di non opporre comunque resistenza alle nostre truppe e di ripiegare, lasciando in retroguardia parlamentari per negoziare con i nostri Comandi avanzati al fine di ritardare il nostro movimento. La 10a Armata ricevette l'ordine di cessazione delle ostilità tra le ore 2,30 e le ore 4 del 3 novembre; le truppe del Raggruppamento «Belluno» tra le ore 7 e lè ore 8; le Divisioni delle Armate 6a e 5a vennero a conoscenza delle disposizioni tra le ore 7 e le ore 9, mentre le due Armate presidiava-

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no ancora la riva sinistra del Tagliamento . Il Comando Supremo austroungarico invitò il Gen. W eber van Webenau a protestare energicamente con le nostre autorità e ad esigere che tutti i militari austro-ungarici catturati dopo l'arrivo della dichiarazione di accettazione delle clausole dell'armistizio venissero liberati. Ma, alle ore 23, era intanto pervenuta a Vienna l'altra comunicazione del Gen. Weber van Webenau con la quale si informava che l'armistizio era stato accettato alle ore 15 e che conseguentemente le ostilità sarebbero cessate alla stessa ora del giorno 4, vale a dire ben trentasei ore dopo l'ordine di deporre le armi diramato dal Comando Supremo austro-ungarico. Il Gen. Weber van Webenau, disciplinatamente indirizzò una nota diprotesta al nostro Comando Supremo a riguardo della disposizione da questo diramata di considerare prigioniere tutte le unità avversarie che alle ore 15 del 4 novembre fossero venute a trovarsi dietro le posizioni raggiunte dalle forze italiane. Ma il Gen. Diaz respinse la protesta facendo rilevare che: 1) Le trattative di armistizio erano state condotte da plenipotenziari regolarmente designati ed accreditati dai due Comandi Supremi e pertanto dovevano ritenersi valide soltanto le condizioni proposte e accettate da tali plenipotenziari. Ogni intervento esterno ad essi era pertanto da considerarsi nullo. 2) La determinazione dell'ora di cessazione deHe ostilità per le 15 del giorno 4 novembre era stata raggiunta di comune accordo da tutti i plenipotenziari. Questo termine era stato ritenuto indispensabile affinché l'ordine di cessazione delle ostilità pervenisse in tempo utile a tutte le unità di terra, di mare, dell'aria. Tutti i plenipotenziari delle due parti avevano riconosciuta la validità di tale esigenza, sanzionando con la loro firma il protocollo aggiuntivo al testo dell'armistizio. Pertanto gli ordini emanati dal Comando Supremo italiano per la cessazione delle ostilità alle ore 15 del 4 novembre, corrispondevano pienamente alle condizioni di armistizio sottoscritte dalle due commissioni. 3) In definitiva, discendeva da quanto precede che tutti i prigionieri catturati entro le ore 15 del 4 novembre erano tali di pieno diritto e non sarebbero stati restituiti. Il 4 novembre il Col. Schneller ed altri due ufficiali rientrarono in Austria via Svizzera recando con sé, rispettivamente, il testo originale dell'armistizio ed una copia di esso. Il Gen. Weber van Webenau si trattenne invece con alcuni membri della commissione per fungere da mediatore nel caso in cui fossero insorte difficoltà tra i due Comandi Supremi in merito alla applicazione delle clausole


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dell'armistizio. Il giorno 7 novembre venne stipulato un protocollo addizionale relativo alla restituzione dei prigionieri italiani, che poi non ebbe pratica attuazione per lo stato caotico nell'interno dell'Austria-Ungheria e per il fatto che i prigionieri stessi, posti in libertà, affluirono isolatamente e con mezzi di fortuna ·ai nostri territori. In tempi successivi il Comando dell'Esercito austro-ungarico inviò al nostro Comando Supremo ben 7 richieste di restituzione dei prigionieri fatti nelle 24 ore successive alle ore 15 del 3 novembre; tutte furono respinte. 4. Alcune considerazioni sulle condizioni armistiziali e sulla condotta delle trattative

Data la situazione del momento, le condizioni armistiziali poste dall'Italia non erano particolarmente dure. Infatti: - sul piano territoriale, si richiedeva esclusivamente l'occupazione dei territori che erano stati alla base delle nostre richieste in tutte le trattative di carattere internazionale e previste dal Patto di Londra; per gli altri fronti (russo e balcanico) si richiedeva il ritiro delle forze austro-ungariche entro i confini della Monarchia; - sul piano della politica interna, non si imponevano clausole di alcun genere; - sul piano militare, si imponevano condizioni di disarmo, specie navale, di evidente interesse ai fini della sicurezza di non permettere una ripresa delle operazioni da parte austriaca. Anche la clausola di consentire il passaggio delle truppe alleate per proseguire la guerra contro la Germania aveva evidentemente carattere quasi ovvio data la stretta collaborazione nella guerra condotta dagli Imperi Centrali; d'altra parte, era evidente il carattere di pressione politico-militare di tali operazioni eventuali, la cui effettiva esecuzione era subordinata alla prosecuzione del conflitto che, nella nuova situazione e dopo gli avvenimenti in atto sui vari fronti, doveva ritenersi poco probabile. Le conseguenze negative dell'armistizio per l'Austria-Ungheria furono, quindi, essenzialmente dovute alle circostanze nelle quali si perveniva ad esso; cioé in uno stato di rovinosa crisi politica interna e di sfacelo dell'Esercito, forza che aveva costituito il maggiore pilastro della Monarchia multinazionale. Sanzionando la sconfitta del potere centrale e del predominio tedesco e magiaro, esso stimolava tutte le forze politiche delle varie nazionalità (polacca, ceca, ·slava), le cui popolazioni potevano così pensare anche di sottrarsi al peso della sconfitta e di schierarsi fra i vincitori. Soprattutto, l'ar-

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mistizio giungeva troppo tardi, quando cioè il processo di disgregazione di tutte le strutture politiche e militari della Monarchia asburgica era ormai irreversibile. Questo ritardo doveva pesare sull'alta dirigenza di Vienna che, nei suoi tentativi di evitare le conseguenze interne dei propri ritardi ed errori, finì per assumere comportamenti poco corretti, e per cercare, a propria giustificazione, di attribuire all'Italia ed alle nostre Autorità militari colpe e comportamenti scorretti con accuse del tutto arbitrarie, che pure in molti ambienti ebbero larga e duratura diffusione. In parte, poi, l'atteggiaménto dell'Alto Comando austriaco fu provocato dal fatto che quei Comandanti non intendevano ammettere di essere stati battuti da quella Nazione e da quell'Esercito che essi avevano sempre considerato con sussiego, e dal desiderio di apparire sconfitti non dalle armi avversarie ma dal crollo morale interno per le difficoltà economiche e per il «tradimento» delle minoranze. In particolare, come si è già detto, vennero rivolte accuse al nostro Comando Supremo di avere: - deliberatamente posto difficoltà e ritardato le trattative per pervenire nel frattempo a maggiori risultati sul campo di battaglia; - imposto un indebito ritardo di 24 ore alla sospensione delle ostilità rispetto alle condizioni armistiziali accettate, che prevedevano una immediata cessazione delle medesime; in conseguenza si era verificato che le autorità austro-ungariche avevano ordinato una cessazione unilaterale del fuoco alle proprie unità che, non incontrando analogo comportamento nelle unità italiane avanzanti, aveva consentito nelle ultime 36 ore prima delle ore 15 del 4 novembre, grossi guadagni territoriali e la cattura di ingente numero di prigionieri. Si tratta di accuse che persistono ancora, trasferite dalla memorialistica del tempo in pubblicazioni anche recenti, nonostante che opere e giudizi non solo nostri ma - .ad esempio - della Relazione Britannica, le abbiano confutate e che siano state riconosciute false anche dalla apposita Commissione costituita in base a richiesta del 17 dicembre 1918 della Assemblea Nazionale austriaca. Tale Commissione presentava le sue conclusioni il 21 luglio 1920 riconoscendo la correttezza dell'operato del nostro Comando Supremo ed il comportamento «prepotente ed errato» dell'Alto Comando austriaco, vuoi per la situazione caotica del momento vuoi per veri e propri errori o colpevolezze. Ancora in epoche recenti Adam Wandruska tendeva ad attribuire ad un «equivoco» la sospensione unilaterale delle ostilità, le cui conseguenze


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fecero accusare il nostro Comando di spirito non umanitario e di voler aggravare la già difficile situazione della Monarchia 1• In realtà, non si trattò affatto di un equivoco,, ma di maldestri tentativi di imporre un arresto «de facto» delle operazioni e della nostra avanzata ingiungendo la cessazione delle ostilità anche ad un Comando Supremo avversario che si suppose non volerla concedere. Si trattò di tentativi ingiustificati e scorretti che, come quello della cessione della flotta al Consiglio nazionale slavo in un tentativo «in extremis» di apertura verso una Monarchia «tricipite», ebbero a fallire pietosamente e che si ritorsero a danno dell'Austria medesima. D'altra parte, occorre riconoscere che le condizioni per la stipulazione di un armistizio nella I, così come avverrà nella II Guerra Mondiale, erano ben diverse da quelle che si potevano verificare in un ormai lontano passato (cioé la cessazione immediata dei combattimenti la sera di una grande battaglia verificatasi in un luogo ristretto e che aveva già consentito sul momento la constatazione del risultato). Ciò, senza considerare la minore estensione delle conseguenze politiche ed economiche di conflitti non aventi quel carattere «totale» della guerra scoppiata nel 1914, né protratti fino all'impegno completo delle risorse delle Parti in lotta. L'approccio tra Belligeranti per por fine alle ostilità, come del resto era stato già rivelato dai tentativi non riusciti del 1917, e come andava emergendo nello scambio di note iniziato il 4 ottobre fra gli Imperi Centrali e gli Stati Uniti d'America, non poteva che contemplare tempi piuttosto lunghi: sia perché da una parte e dall'altra vi erano coalizioni di diverse Potenze con vari obiettivi, preoccupazioni ed esigenze; sia perché ciascuna Parte intendeva prima· conoscere su quali basi la Controparte intendeva trattare . ed in conseguenza definire il proprio atteggiamento. In particolare? poi, era evidente che la Parte che avrebbe richiesto di trattare sotto la pressione di gravi difficoltà interne od operative si sarebbe trovata in svantaggio mentre la Parte che non sentiva il bisogno o l'impellenza di trattative ne avrebbe potuto determinare tempi e modi. Soprattutto, quest'ultima avrebbe cercato di imporre condizioni armistiziali che non potessero consentire all'avversario una ripresa delle operazioni in migliori condizioni rispetto a quelle del momento. È stato detto che per fare una guerra bisogna essere in due a volerla, esprimendo il concetto che alla volontà di una Parte di perseguire certi obiettivi che la spingono a dichiararla deve corrispondere la volontà dell'altra di resistere alle richieste od alle pretese della Prima e di preferire di devolvere la risposta alla contesa delle armi. Ma, e naturalmente ciò vale a maggior 1

Furlani S. - Wandruska A., Austria e Italia. Storia a due voci, Cappelli, Bologna, 1974

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ragione soprattutto per la Parte che ha iniziato il conflitto, questo è vero anche per la cessazione delle ostilità. Era ben strana la pretesa dell'AustriaUngheria, che aveva provocato ed iniziato il conflitto, di vedere la Controparte adire a tutte le sue richieste e ad una immediata cessazione delle ostilità alle condizioni da essa ritenute sufficienti a tacitarne le pretese, con l'evacuazione - cioé - delle terre occupate, e senza considerare gli obiettivi noti del suo intervento nel conflitto che notoriamente comprendevano le «terre irredente». In secondo luogo, le condizioni in cui le predette trattative avrebbero dovuto verificarsi erano determinate da un contesto rappresentato dalla esistenza delle due coalizioni e _d a organi di consultazione e di decisione interalleati a livello politico e militare, che per forza di cose avrebbero dovuto intervenire. La presunzione di poter ottenere dal Comando Supremo italiano una cessazione immediata delle operazioni, senza preventive consultazioni od assensi del Governo italiano e, almeno, l'adesione di quelli Alleati, non aveva alcuna base di attendibilità; essa rivelava quanto avventata fosse la convinzione nel Comando Supremo austro-ungarico, poi confermata dalle dichiarazioni del suo Capo Ufficio Operazioni, Gen. Von Waldstatten, circa uno stato di critico esaurimento del nostro Esercito e della possibilità che anch'esso aspirasse ad un.arresto immediato delle operazioni. E del tutto errato, ed anche scorretto dal punto di vista dell'onore militare, era il tentativo di provocare un arresto immediato delle operazioni sul fronte con la cessazione unilaterale delle ostilità da «fronte a fronte»; cessazione unilaterale non dovuta ad equivoco ma voluta nel tentativo non solo di evitare maggiori perdite ma di ottenere l'arresto delle nostre unità anche senza od a prescindere dagli accordi armistiziali·, così sollecitandoli e rendendoli inevitabili. Si trattò di atti, comportamenti e manovre intesi a realizzare condizioni migliori di discussioni e di pace; ma, come per la truffaldina cessione della flotta al Consiglio nazionale jugoslavo avvenuta il 30 ottobre, destinati invece a provocare reazioni intese a sventare tali manovre e non certo a favorirne la conclusione. E, naturalmente, quando poi le manovr_e finivano per rivelarsi controproducenti e dannose per le unità stesse dell'Esercito austriaco si cercò di evitare i giudizi della opinione pubblica e della storia con accuse del tutto infondate rivolte al nemico, continuando su un piano di falsità e di propaganda proprio del tempo di guerra. E certamente, nella situazione dell'Esercito austriaco, si sarebbero dovute evitare le ricattatorie minacce di distruzioni nei territori occupati, che avrebbero certamente giustificato le peggiori rappresaglie piuttosto che indurre all'adesione alle urgenti richieste di arresto delle operazioni. In terzo luogo, va anche ricordato come la presentazione della richiesta di trattative venisse a verificarsi quando era appena agli inizi, ma si profila-


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va ormai promettente, il nostro successo sul Piave. Ci si trovava, ormai, nel bel mezzo di una battaglia impegnata fin dal 24 ottobre, dopo una lunga serie di contese e dibattiti in campo alleato, €he la Prima Parte di questa Relazione ha messo in luce, e dopo una successione di eventi che avevano spinto ad una manovra di grande ampiezza e di vasto significato strategico e politico . Era anche una battaglia che solo eventi meteorologici decisamente avversi avevano non solo posticipato dal 16 e poi dal 18 del mese al 24, ma avevano anche stravolto imponendone l'avvio sul Grappa il 24 e sul Piave la notte sul 27 e mantenendo il nostro Comando Supremo in una condizione di ansiosa impotenza, che abbiamo sottolineato nelle considerazioni della Seconda Parte della nostra Relazione. Era ovvio che, a prescindere dalla incompleta conoscenza clelle effettive condizioni di crisi dell'Esercito avversario e, quindi, non ancora orientati ad un vero e proprio sfruttamento di una sua situazione ormai così compromessa, nel nostro Comando Supremo non si intendesse arrestare operazioni che, già il giorno 29 e nei giorni immediatamente successivi, si presentavano così promettenti. E nei giorni successivi al 'I O novembre, quando si andò profilando la possibilità di estendere la manovra agli altri settori del fronte, sarebbe stato ben strano un arresto ~elle operazioni da parte italiana prima che le condizioni armistiziali fossero state accettate, il che avveniva solo alle ore 18,20 del 3 novembre. È, comunque, da sottolineare che risultati operativi significativi di grande rilievo erano già stati conseguiti ben prima che si verificasse la accettazione austriaca delle condizioni armistiziali ed anche prima della dichiarazione unilaterale di cessazione delle ostilità. Infine, circa il tempo richiesto dalle clausole del protocollo di applicazione dell'accordo, che fissavano alle ore 15 del 4 novembre la cessazione delle ostilità cioé 24 ore dopo l'accettazione dell'armistizio, va detto che esso doveva risultare effettivamente appena sufficiente perché la notizia arrivasse alle unità avanzate, specie dell'8a Armata e delle Divisioni di Cavalleri. Che la sospensione delle ostilità potesse essere immediata, come effettivamente previsto dalla lettera delle condizioni armistiziali, sembra non potersi sostenere. La «immediatezza» prevista dall'Accordo doveva essere intesa solo in senso lato, come accettazione da parte degli Alti Comandi dell'intendimento comune di non perseguire ulteriormente operazioni offensive. Peraltro, e ciò era noto al Comando Austriaco, agli accordi applicativi dovevano essere devoluti i momenti ed i modi dell'arresto delle operazioni sulla fronte che, nelle condizioni del momento e nel loro dinamismo, non avrebbero potuto non avere un certo ritardo da considerarsi con una doverosa larghez-

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za. Un ritardo sarà, infatti, previsto anche nell'armistizio stipulato l' 11 novembre sul fronte francese, ridotto allora a 6 ore perché evento ormai atteso e, quasi, predisposto in una situazione operativa e dei collegamenti assai diversa che sul nostro fronte. Del resto, gli stessi ordini di cessazione unilaterale delle ostilità da parte austro-ungarica, emanati tra le ore 2 e le 5 della notte sul 3 novembre pervennero alle truppe in tempi assai diversi, alcuni solo verso la sera del 3, cioé dopo oltre 12 ore, nonostante la situazione più facile dei collegamenti per unità operanti difensivamente. Gli ordini relativi alla cessazione delle operazioni alle unità italiane avanzanti ed al comportamento da tenere ebbero a pervenire ai Comandi delle Grandi Unità solo la mattina del 4 tra le ore 5 e le_8; si deve presumere che essi siano generalmente pervenuti alle unità avanzanti, specie di cavalleria, ciclisti, etc ... , solamente nella tarda mattinata del 4. Alle unità della 1a Divisione di Cavalleria pervennero dopo le ore 14 del giorno 4; così come giunsero «in extremis» a quelle della 8a Armata e della 3a Divisione di Cavalleria. Ciò, pòssiamo dedurre, per esempio; da quanto risulta dai diari e dai messaggi di queste Grandi Unità. E , pertanto, dobbiamo riconoscere del tutto giustificata la fissazione del ritardo in 24 ore; mentre era particolarmente generosa la decorrenza del medesimo dalle ore 15 del 3 novembre, quando era stata manifestata la prima accettazione dell'armistizio e non dalle 18,20 quando - dopo i noti incidenti e le discussioni successive, che ne avevano posto in forse la stipulazione e minacciato la rottura delle trattative - era stata finalmente apposta la firma al documento . In conclusione, sotto ogni punto' di vista nei riguardi delle possibilità di salvaguardare in qualche modo le strutture dello Stato e di recuperare le forze dell'Esercito, l'iniziativa politico-diplomatica d{ Vienna avrebbe avuto altre possibilità di manovra ove fosse stata anticipata allorchè la nostra offensiva era ·ancora in fase di concezione e l'Esercito austro-ungarico poteva rappresentare uno strumento di considerevole peso politico interno ed esterno . La volontà di non cedere all'avversario sul campo e di perseguire tentativi di trattative separate rivolgendosi al Presidente Wilson avevano portato ad una situazione dilatoria e senza vie di uscita, mentre il tempestivo sforzo dell'Esercito italiano aveva portato non solo alla conclusione del conflitto ma anche a sventare tutte le manovre ed i tentativi di p..-e separata e di compromesso, che erano indubbiamente fra gli obiettivi iniziali del Governo di Vienna.


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Schizzo 42 - Linea raggiunta dalle nostre unità alle ore 15,00 del 4.Xl.1918


CAPITOLO

XIX

SITUAZIONE A CONCLUSIONE DELLA BATTAGLIA: RISULTA TI E PERDITE CONTRIBUTO DELLE DIVERSE ARMATE (Schizzo n. 42; carte n. 39 + 44)

1. Situazione a conclusione della battaglia (carte 39 + 44 e schizzo n. 42)

Alle ore 15 del 4 novembre la linea raggiunta dalle forze italiane toccava le seguenti località: - 7a Armata: Sluderno (Schluderns) in Val Venosta - Passo della Mendola (Mendelpass) al di là della Val di Non ed a circa 12 km a S.O. di Bolzano; - 1a Armata: Rovere della Luna e Salorno in Val d'Adige e Cembra in Val d'Avisio; - 6a Armata: Baselga di Piné - Canezza - M. Panarotta (località a nord di Levico in Val Sugana); -- 4a Armata: Carzano in Val Sugana, Fiera di Primiero in Val Cismon; - ga Armata: Cencenighe in Val Cordevole, Selva di Cadore in Val Fiorentina, Chiapuzza in Valle d'Ampezzo e Domegge di Cadore nell'alta Valle del Piave; - 10a Armata: Pontebba in Val Canale, raggiunta dalle automitragliatrici blindate della 1a Divisione di Cavalleria, e Plezzo nell'alta Valle dell'Isonzo; - 3a Armata: Castions di Strada - S. Giorgio di Nogaro (ad ovest e sud-ovest di Palmanova) ma con le Divisioni di Cavalleria giunte alle porte di Caporetto, ris~endo la valle del Natisone, a Gorizia, Cervignano e Grado.

La 9a Armata aveva mantenuto le sue unità ove inizialmente dislocate, ma aveva ceduto alcune sue Brigate per la costituzione dei Corpi di spedizione destinati a Trieste e l'Istria (Brigate «Arezzo» e II bersaglieri). Essa aveva anche assunto il controllo dei passaggi sul Piave. Agli imponenti risultati territoriali si aggiungeva la_cattura di una grand_e massa dLprigionieri, di artiglierie e di altri materiali. Le perdite inflitte al nostro avversario nel corso della battaglia erano state rilevanti. Per quanto manchi una preçisa documentazione esse sono state calcolate da parte austro-ungarica attorno alle 30.000 unità, da attribuirsi essenzialmente ai combattimenti tra il 24 ed il 28 ottobre sul Grappa e sul medio Piave: tali perdite, pari all'incirca a quelle delle unità attaccanti, testimoniano l'accanimento dei combattimenti sostenuti e l'intenso logorio subito dal Raggruppamento «Belluno» e dalla 6a Armata avversaria,


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antecedentemente all'inizio del ripiegamento. I prigionieri, che alla data del 30 ottobre ammontavano già a 50.000 unità, alla sera del 1° novembre erano oltre 100.000; il 4 novembre essi salivano alla cifra di 428.000. Come è stato accennato, mentre buona parte della 5 a Armata avversaria riusciva a portarsi a salvamento, la conformazione dei rilievi e delle vie di comunicazione del settore montano portavano alla cattura di numerose unità 1• La difficoltà di guardare e soprattutto di alimentare cospicue masse di prigionieri imporrà anche di permettere ad unità avversarie di procedere verso il proprio territorio rinunciando alla loro cattura: ciò avverrà in particolare in Val Venosta ove fu consentito agli sbandati austriaci di proseguire per il Passo di <Resia, ed a unità accerchiate nella zona di Gemona di cui sarà consentito il deflusso dopo l'abbandono dell'armamento. Le artiglierie perse dall'avversario e catturate ammontavano a ben 6818 pezzi; rilevanti gli equipaggiamenti ed i materiali di ogni genere: particolarmente preziosi i depositi di materiali da ponte; scarsi, invece, i viveri ed i materiali sanitari, la cui disponibilità andava invece rivelandosi deficitaria di fronte ad esigenze enormemente accresciute. Ma, oltre alle perdite subite, particolarmente gravi erano anche le condizioni delle unità che avevano potuto sottrarsi alla cattura; ben poche di esse mantenevano una soddisfacente compattezza ed avevano conservato il proprio armamento di reparto. La maggior parte, infatti, si era scissa in nuclei corrispondenti alle varie nazionalità. Nel settore montano i fuggiaschi muovevano disordinatamente assalendo i treni, i depositi di viveri e le stesse popolazioni alla ricerca di vettovaglie e di mezzi di trasporto, in relazione al collasso del sistema logistico. All'estremità orientale della pianura il ripiegamento dalla valle dell'Isonzo incontrava difficoltà: sia per la penuria, la lunghezza e le condizioni delle vie di ripiegamento; sia per le reazioni frapposte dalle popolazioni slave che vi si opponevano disarmando quelle di altre nazionalità. Seppure, nell'anno precedente, la 2a Armata italiana aveva subìto a Caporetto una netta sconfitta e l'Esercito aveva avuto perdite in qualche grado abbastanza similari, tuttavia esse erano state circoscritte ad una parte solamènte delle forze; 3a e 4a Armata avevano ripiegato abbastanza ordinatamente ed avevano potuto stabilire una difesa efficace sul Grappa e sul Piave sostenendovi gli attacchi di fine 1917; 7 a, P e 6 a Armata non erano state per nulla provate. Il 4 novembre 1918 l'Esercito austro-ungarico invece era stato tutto battuto; anche le unità non catturate erano - nella maggior parte - in dissoluzione; esso non esisteva più. Con esso spariva l'Impero Asburgico ed era data la libertà a Stati nazionali e popolazioni danubiane e balcaniche con risultati, peraltro, non sempre per noi positivi, in quanto gli Slavi del 1

È riportata nel Documento n. 476 la sorte dei Comandi e delle Grandi Unità avversarie.

Un bilancio

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Sud si contrapporranno immediatamente al consolidamento politico territoriale della nostra vittoria. Il risultato era stato conseguito ad un prezzo non particolarmente elevato se confrontato con quello di altre offensive spesso scarse di esiti favorevoli. Valutazioni successive e più accurate fissavano le nostre perdite complessive dal 24/X al 4/XI in 37.461 uomini tra morti, feriti e dispersi, compresi quelli alleati. Ma ci sembra che possano dare meglio una idea delle difficoltà incontrate gli specchi relativi alle perdite segnalate immediatamente dalle varie Armate ancorché approssimate per difetto (vds. Doc. n. 476bis) 1• Da esse appare chiaramente la violenza dei combattimenti sostenuti dalla 4a Armata sul Grappa, e dalle Armate 12\ sa e 10a nei giorni 27, 28 e 29; mentre l'esiguità delle perdite delle altre Armate testimonia le condizioni di progressivo cedimento della resistenza avversaria, anche a prescindere dall'ordine unilaterale di cessazione delle ostilità dato dall'Alto Comando austro-ungarico. 2. Dell'azione delle Armate e del loro contributo al conseguimento del successo A. Premessa

Nel corso di questa Relazione si è dato ampio spazio alle decisioni ed agli interventi del Comando Supremo e dei maggiori Comandi per impostare e dirigere uno sforzo di un organismo così complesso, in una lotta che assunse i caratteri di un impegno gen~rale su una fronte di quasi 360 km e per una notevole profondità, in un momento sòtto certi aspetti molto difficile, soprattutto per eventi esterni non controllabili, quali: lo stato di allarme nazionale per la diffusione della «spagnola», il pericolo di rilassamenti per le attese di una pace imminente, le condizioni meteorologiche avverse. Ma, come si è accennato, il successo dopo i primi difficili giorni ed il suo carattere progressivo devono essere attribuiti soprattutto ad un comportamento ammirevole di tutte le Unità, grandi e piccole. Sicché sembra doveroso ricordare il contributo dato dalle varie Armate e da reparti dipendenti. Ciò che conferisce particolare aspetto e profondo significato alla bat-_ taglia di Vittorio Veneto è il fatto che al conseguimento del successo hanno contribuito tutte le Armate con tutte le forze terrestri ed aeree, mentre 1 Le perdite riferite dalle Armate subito dopo la battaglia corrispondevano a quelle constatate e segnalate immediatamente, mentre quelle complessive comprendono quelle successivamente accertate, comprese quelle verificatesi a seguito delle ferite o altre cause.


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Un bilancio

considerati molti militari dati inizialmente come dispersi, ed i feriti gravi, risultati poi deceduti. Dati più aggiornati elevano i morti al numero di 221 ufficiali e 5.000 militari di truppa ed il numero complessivo delle perdite ad oltre 25.000. Esse testimoniano del contributo fondamentale dato dalle unità della Armata al successo della manovra complessiva, impegnando con i loro violenti e ripetuti attacchi l'intero Raggruppamento «Belluno» e le sue riserve, ed inducendo i Comandi avversari in gravissimi errori di valutazione. L'elevata percentuale delle perdite non costituisce certamente, di per sé stessa, un titolo di merito; che anzi spesso corrispose a mancanza di adeguata preparazione, assenza di sorpresa e sfavorevole rapporto di forze, eccessiva diluizione degli sforzi, ritardi nelle decisioni o negli interventi, insomma a qualche manchevolezza di Comando oltre che alla fondamentale assenza di una effettiva superiorità di forze e di fuoco. Ma è anche vero che, solitamente, unità che avevano avuto perdite così elevate, come le Brigate «Pesaro», «Lombardia», «Aosta», «Calabria», «Cremona» o i Battaglioni dell'VIII Raggruppamento alpini e di tutti i Reparti d'assalto, perdevano per lungo tempo ogni capacità operativa. Nell'ambito della 4a Armata tutte le unità, invece, malgrado le perdite elevate, mantennero il loro mordente e poterono essere ripetutamente impiegate in azioni offensive; infine, si lanciarono d'iniziativa sull'avversario in ripiegamento conseguendo rapidamente gli obiettivi assegnati all'Armata negli ordini iniziali di operazione e superandoli di slancio . Ci manca l'entità delle perdite subite in combattimento dal nostro avversario; ma tutte le testimonianze dei suoi Comandanti parlano : di unità gravemente provate negli effettivi e nel morale per la violenza degli attacchi subiti; di un--impegno progressivo di tutte le unità in linea t;!d in riserva l)el settore; infine, di ripiegamenti affannosi e riusciti solo in parte con il sacrificio di forti retroguardie. La prosecuzione degli sforzi della 4a Armata in Val Sugana e verso la Valle dell' Avisio, tallonando da presso le unità avversarie, contribuiva ad esercitare quella minaccia che doveva spingere il nostro avversario ad accelerare ed estendere i ripiegamenti nei settori più occidentali del fronte.

venivano realizzate anche iniziative che vedevano una stretta collaborazione con la Marina nelle operazioni lagunari e nelle occupazioni oltremare. Sembra doveroso, quindi, ricordare sinteticamente il contributo dato dalle diverse forze che parteciparono alla battaglia. Appare, peraltro, opportuno premettere che il risultato fu conseguente in primo luogo a tutta l'attività svolta per ridare efficenza e morale ai reparti dopo la dura prova dei ripiegamenti dall'Isonzo. Sotto ogni aspetto, l'Esercito italiano del 1918 aveva fortemente evoluto dall'ormai lontano agosto del 1914. Si deve riconoscere un particolare merito allo sforzo riorganizzativo attuato nel corso del 1918 e particolarmente durante l'estate, su cui questa Relazione ha ritenuto doveroso soffermarsi a lungo nei suoi ultimi volumi ed, in questo, al Capitolo V. B. Il contributo della 4a Armata

Un posto d'onore a questo riguardo, va senza dubbio attribuito alla 4a Armata. Nel corso dell'esame della 1a Fase della battaglia abbiamo attentamente considerato l'azione di questa Armata e non abbiamo taciuto né le difficoltà e gli inconvenienti che l'Armata dovette affrontare per una azione decisa ed organizzata piuttosto affrettatamente, né le manchevolezze che l'esecuzione ebbe a dimostrare. E, tuttavia, la successione degli àttacchi reiterati in condizioni di insufficiente o nulla superiorità e, soprattutto, la pronta sollecitudine e la bçildanza con cui unità già fortemente provate seppt!ro sfruttare il momento favorevole e gettarsi all'inseguimento del nemico costituiscono una testimonianza di un grande spirito combattivo: reparti di assalto, battaglioni alpini e di fanteria sostennero grosse perdite e conseguirono spesso risultati di rilievo, che il mancato supporto dell'artiglieria per un terreno difficile e/ o per le condizioni di scarse possibilità di osservazione e di collegamento-non consentì di ·consolidare e mantenere. I dati delle perdite di molte unità impegnate in duri combattimenti sono testimonianza di una grande compattezza disciplinare e morale e di eroismi individuali e collettivi, che costituiscono un esempio ed un monito; ciò sia per le cifre assolute (complessivamente circa 25.000 'ùomini), sia per quelle percentuali (67% delle perdite totali nel corso della battaglia) . Infatti, la 4a Armata ebbe a subire durante la battaglia dal 24 ottobre al 4 novembre le perdite seguenti:

C. Il ·contributo della

sa Armata

Non vi è dubbio che l'azione svolta dall'8a Armata~ così come d.el resto era stato previsto nella pianificazione del Comando Supremo - risultò fondamentale, anzi determinànte ai fini del buon esito della nostra of- . fensiva. All'8a Armata, così come già si è precedentemente illustrato, era stato affidato il compito essenziale di costituire il cuneo che doveva spezzare il fronte del nemico nel punto nel quale esso appariva più sensibile e più debole.

- ufficiali: morti 150, feriti 599, dispersi 74; in totale: 833; - sottufficiali e truppa: morti 2737, feriti 17 .961, dispersi 2986; in totale: 23.684 .. Ma in queste cifre date dall'Armata subito dopo la battaglia non e~ano

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Lo svolgimento della battaglia, pur non corrispondendo nelle modalità e nei tempi di esecuzione alle previsioni formulate dal Comando Supremo ed alle direttive esecutive impartite dal Comando dell'8a Armata, permise comunque di raggiungere gli obiettivi previsti; il Generale Caviglia ed i suoi Comandanti in sottordine confermarono di essere ottimi capi poiché non si fecero mai sopraffare dagli avvenimenti, ma al contrario seppero il più delle volte prevenire sviluppi che avrebbero potuto risultare in contrasto con la visione generale della battaglia preventivamente formulata ed adottare con flessibilità provvedimenti idonei a ricondurla nell'alveo desiderato. L'urto sferrato contro lo schieramento nemico fu davvero poderoso ed efficacemente sostenuto; tuttavia le difficoltà incontrate inizialmente risultarono egualmente rilevanti. Il nemico tentò con ogni mezzo (favorito inizialmente dalle condizioni meteorologiche a noi avverse e dalla piena del Piave) di arrestare e respingere i nostri attacchi, ma venne sempre battuto; i suoi contrattacchi vennero arrestati. L'8a Armata, validamente appoggiata dalle due Armate laterali, con le quali costituì - battaglia durante un tutto unico, costrinse la 6a Armata avversaria ad abbandonare il Piave ed a ripiegare su posizioni arretrate, e quindi ne travolse ogni resistenza avanzando irresistibilmente e decidendo infine delle sorti della battaglia con l' occupazione di Conegliano e poi di Vittorio Veneto. Soltanto la firma dell'armistizio e la cessazione conseguente delle ostilità poté fermare la travolgente avanzata delle sue unità per le valli del Piave e del Cordevole fino alla Val Pusteria, e salvare i resti dell'Esercito austro-ungarico da una totale catastrofe. Indubbiamente il forzamento del Piave rappresentava un compito difficile e presentò momenti drammatici per le unità dell'Armata. Invero, nella giornata del 27 ottobre, il solo XXII Corpo d'Armata riusciva a costituire la testa di ponte di Sernaglia mentre gli altri due Corpi d'Armata (XXVII ed VIII) fallivano nell'impresa nonostante gli sforzi dei nostri pontieri. In questa giornata erano fortemente impegnate le artiglierie dell'Armata per neutralizzare le batterie avversarie e per sostenere le valorose truppe della· 1a Divisione d'Assalto e delle Brigate «Cuneo», «Mantova» e «Pisa», le quali, passate sulla riva sinistra del Piave e rimaste isolate nella testa di ponte a seguito della distruzione di tutti i passaggi sul fiume, pur battute violentemente dall'artiglieria del nemico e ripetutamente contrattaccate da preponderanti forze dell'avversario, seppero resistere con grande tenacia e riuscirono a consolidarsi sulle posizioni conquistate, efficacemente appoggiate dagli sbarramenti della nostra artiglieria. Nella seguente giornata del 28 ottobre la situazione delle unità che si trovavano nella testa di ponte di Sernaglia minacciò àd un certo punto di divenire critica in conseguenza dei ripetuti fallimenti dei gittamenti dei ponti e della sempre più incalzante pres-

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sione dei contrattacchi del nemico. La situazione difficilissima venne infine risolta dall'iniziativa presa dal Generale Caviglia di fare attraversare il Piave da parte del XVIII Corpo d'Armata sui ponti della 10a Armata e di fare convergere quindi tale Grande Unità verso nord sulla riva sinistra del fiume aprendo il passo_all'VIII Corpo d'Armata, cui era devoluta l'azione principale. Così, alla sera del 28, con il ripiegamento della 6a Armata austroungarica, il forzamento del Piave e la rottura della 1a posizione avversaria, erano state poste le premesse del successo, permettendo di trasf~rire oltre Piave le altre forze di questa Armata. Infatti, nella giornata del 29 ottobre, considerata da molti la giornata decisiva di tutta la battaglia, l'8a Armata raggiungeva l'obiettivo fondamentale di tutta la manovra offensiva. Superato il Piave, le unità dell'8a Armata avanzarono su tutto l'arco del fronte dell'Armata stessa, in nobile gara, travolgendo con slancio tutte le resistenze e catturando prigionieri e materiale bellico di ogni genere. Le teste di ponte delle tre Armate 12 a, 8 a, 10a si potevano congiungere trasformandosi in una fascia continua e profonda, densa di combattenti e di artiglierie; ora ben 11 Divisioni dell'8a Armata erano sulla riva sinistra del fiume, formando una massa compatta ed inarrestabile. Da tale fascia poté partire l'azione decisiva di sfondamento dello schieramento dell'avversario, alla quale concorsero tutti i Corpi d'Armata. Infatti, sulla sinistra, il XXVII Corpo d'Armata, dopo avere conquistato le alture di Valdobbiadene, salì, assieme all'ala destra della 12a Armata, le aspre montagne del Cesene dell'Ossarie; al centro, il XXII Corpo d'Armata, superato il cordone collinoso che sovrasta la piana di Sernaglia, si protese verso la Val Mareno e di qui verso Vittorio Veneto; all'ala destra l'VIII Corpo d'Armata conquistò Col della Tombola e Monte Cucco ed avanzò verso 'Vittorio Veneto; sull'estrema destra, infine, il XVIII Corpo d'Armata marciò verso il fiume Monticano e a tarda sera occupò Conegliano Veneto. Così era stato raggiunto l'obiettivo primario assegnato all'8a Armata, fondamentale di tutta la manovra; si era infatti costituito, dalla Val Mareno fino a Conegliano il cuneo centrale separatore delle forze nemiche. La 6a Armata austro-ungarica (che in tutto il corso della giornata aveva invano reiterato gli sforzi tesi ad arginare l'avanzata della nostra 8a Armata, abbarbicandosi al terren6 con le sue migliori truppe e spingendo disperatamente avanti le sue riserve) venne alla fine battuta, disorganizzata e costretta ad iniziare la ritirata, non disponendo più delle forze necessarie per ricostituire una nuova linea difensiva e vedendo minacciate le sue vie di ritirata sia verso l'alto Piave sia verso Sacile e la Livenza. Al primo mattino del 30 ottobre le unità dell'VIII Corpo d'Armata occupavano Vittorio Veneto, completando la rottura dello schieramento nemico e -raggiungendo così il secondo obiettivo della manovra: la recisione della linea di rifornimento della


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6 3 Armata avversaria. Proseguendo l'avanzata su tutto il fronte, a sera del 30: - il XXVII Corpo d'Armata occupava la displuviale delle Prealpi Bellunesi fra il Monte Cesen ed il Monte Schiaffet; - il XXII Corpo d'Armata aveva una Divisione (la 57 3 ) che combat-· teva al valico di San Boldo mentre la 60 3 Divisione, dopo aver superato le difese del Mondragon, stava scendendo a Revine Lago; - l'.V III Corpo d'Armata aveva raggiunto e sbarrava l'importante stretta di Serravalle immediatamente a nord di Vittorio Veneto; - il XVIII Corpo d'Armata aveva iniziato la conquista del Bosco del Cansiglio, combattendo contro unità nemiche sulle sue prime propaggini; - la 1a Divisione di Cavalleria, giunta in prima linea oltre il Piave, puntava verso la Livenza a monte di Sacile. La battaglia del Piave poteva ormai essere considerata vinta. Mentre la 6 Armata avversaria, divisa in due tronconi, era in piena ritirata, non restava alle nostre forze che procedere rapidamente per la rioccupazione delle nostre terre del Veneto occupate dal nemico dopo Caporetto, senza dare tregua alle sue uuità ripieganti. Ma, in questo momento, le unità dell' Armata venivano lanciate verso l'Alto Adige e la Val Pusteria per provocare il crollo del Trentino ed estendere le conseguenze della nostra vittoria. In questa ultima fase della battaglia, l'azione dell' 8 3 Armata, che era stata fino ad allora unitaria nello spazio e coordinata nel tempo, cambiava carattere e si frazionava in quella di singole colonne, che si lanciavano sui rispettivi obiettivi: dirette dall'iniziativa dei relativi Comandanti, spinte dall'entusiasmo delle truppe, frenate più dalle difficoltà logistiche che limitavano l'entità delle forze avanzanti che dall'avversario. Le retroguardie nemiche tentarono, dove e come potevano, difese ostinate onde permettere ai grossi di sfilare e di porsi in salvo; ma la loro resistenza non poté arrestare l'avanzata dell'8 3 Armata: mentre la 57 a Divisione travolgeva gli avversari al valico di San Boldo, e procedeva per le creste di Col Visentin con marce forzate, !'VIII Corpo d'Armata conquistava con una manovra abile e fortunata la Stretta di .Fadalto e proseguiva su Ponte nelle Alpi; la 1a Divisione di Cavalleria, a sua volta, si gettava verso Fiaschetti e, dopo avere impedito la distruzione del ponte, prima fra tutte le Grandi Unità, superava la Livenza. In tal modo, durante la giornata del 31 ottobre le Prealpi Bellunesi erano state superate ovunque, ed era stato assicurato il pieno possesso della riva sinistra della Valle Belluna da Lentiai alla zona di Fadalto. Così, parte delle forze del Raggruppamento «Belluno» erano costrette a ritirarsi per la Valle del Cordevole. Dopo la perdita di Belluno e di Ponte helle Alpi, il 3

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nemico, ormai in piena rotta, non poteva opporre più che sporadiche e deboli resistenze di retroguardie alle nostre unità incalzanti. Sicché, dopo il 1° novembre, le forze dell'8 3 Armata potevano finalmente cercare dicogliere i frutti della grande vittoria, puntando a sopravanzare il nemico nelle zone montane con azione parallela a quella della 4 a Armata, e tentando di impedirgli lo sgombero del saliente del Trentino - Alto Adige: manovra che veniva arrestata solo dall'entrata in vigore dell' armistizio. Solo parte dei grossi del nemico poteva sfuggire, soprattutto in virtù delle innumerevoli interruzioni predisposte, che inevitabilmente ritardavano l'avanzata delle unità italiane. Qualche cifra può dare sostanza ai risultati conseguiti dall'Armata. Dal 26 ottobre al 4 novembre, le unità dell'8 3 Armata avevano catturato 269 ufficiali e 19.237 uomini di truppa nemici, 319 cannoni, ingenti quantità di mitragliatrici, fucili, munizioni e materiali di ogni genere. Per contro, essa ebbe a lamentare complessivamente 655 caduti (fra i quali 53 ufficiali), 2831 feriti (dei quali 128 ufficiali) e 930 dispersi (dei quali 11 ufficiali). Come già si è precisato in precedenti note, i dispersi sono da addebitarsi per la quasi totalità alle gravi difficoltà incontrate nei primi giorni della battaglia durante il superamento del Piave e devono considerarsi deceduti, la maggior parte per annegamento. Perdite sostenute soprattutto nei primi giorni dell' azione e da considerare contenute soprattutto per l'appoggio efficace dato da una artiglieria soverchiante. Tutte le unità assolsero brillantemente il compito loro affidato. Tuttavia la Relazione ufficiale compilata dal Comando dell'8 3 Armata cita, come particolarmente meritevoli di menzione, alcune unità dei Corpi d 'Armata dipendenti: 1) XXVII Corpo d 'Armata

Vengono segnalate le Brigate «Cuneo», «Campania» e «Reggio»; di quest'ultima Brigata della 51 a Divisione basterà ricordare che, negli ultimi sei giorni, le sue unità avevano compiuto un'impresa veramente eccezionale, percorrendo oltre 150 chilometri su terreni aspri e difficili, quali le Prealpi Bellunesi, e superando successive forti resistenze nemiche. Le perdite subìte dal XXVII Corpo d'Armata, a tutto il 4 novembre, furono: 176 morti (1 7 ufficiali); 717 feriti (30 ufficiali) 276 dispersi (6 ufficiali) per la maggior parte da considerare deceduti. Nello stesso periodo le unità del XX VII Corpo d'Armata avevano catturato 6122 prigionieri (dei quali 81 ufficiali) e 139 cannoni. 2) X XII Corpo d 'A rmata

Sono segnalate la 1a Divisione d'Assalto, le Brigate «Pisa», «Mantova», «Piemonte» e «Porto Maurizio», tutte le unità di artiglieria e la 32 a


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compagnia telegrafisti. Quale consuntivo delle operazioni svolte durante la battaglia di Vittorio Veneto da questo Corpo d'Armata, ricorderemo che esso ebbe a lamentare le seguenti perdite: 453 mort i (dei quali 23 ufficiali), 1614 feriti (70 ufficiali), 287 dispersi (1 ufficiale). Nello stesso periodo si catturarono: 6250 prigionieri, 162 cannoni (fra i quali 2 obici da 305), 54 bombarde, 262 mitragliatrici, ingenti depositi di materiali di ogni genere, taluni dei quali di grandissima entità. Infine, la sua avanzata portò alla liberazione di 1300 prigionieri italiani e di oltre 200 prigionieri di altre nazionalità. 3) VIII Corpo d'Armata

Sono segnalati il 112° reggimento fanteria (della Brigata «Piacenza»), la Brigata «Tevere», i reparti d'assalto V e XXV, i battaglioni bersaglieri ciclisti III e Xl, il 52° reggimento artiglieria da campagna, il XXIII gruppo artiglieria da montagna, i battaglioni del genio VIII e LXIII, il II gruppo «Lanceri Firenze» con il 6° squadrone cavalleggeri «Piacenza», la 140a compagnia telegrafisti. Quale consuntivo delle operazioni svolte dall'VIII Corpo d'Armata, ricorderemo che, in sei giorni di avanzata, le unità avevano percorso circa 100 chilometri, catturando 8100 prigionieri, 68 cannoni e 223 mitragliatrici. Il Corpo d'Armata aveva subito complessivamente le seguenti perdite: 337 morti (dei quali 19 ufficiali), 982 feriti (42 ufficiali), 56 dispersi. Nel suo ambito e nel breve ciclo operativo di 7 giorni, la 2 a Divisione d'Assalto catturò 4500 prigionieri, 30 cannoni e 50 mitragliatrici, perdendo 38 morti e 138 feriti. 4) XVIII Corpo d'Armata

Particolarmente degni di menzione le azioni delle Brigate «Como» e «Bisagno», di cui si è parlato a lungo. 5) La Relazione ufficiale, infine, indicava come particolarmente meritevoli tutti i reparti del Genio Pontieri, per l'efficenza, l'impegno e le perdite sostenute, nonché l'Intendenza d'Armata e gli organi da essa dipendenti. Il 4 novembre, al termine delle operazioni, il Generale Caviglia diramava un vibrante ordine del giorno all'Armata, con il quale ringraziava tutte le sue truppe per avere così compiuto in pieno il loro dovere verso la Patria. D. Il contributo della 12 ° A rmata Non vi è dubbio che l'azione affidata alla 12a Armata durante la battaglia di Vittorio Veneto fu di primaria importanza per la riuscita della nostra offensiva. L'Armata venne, infatti, a costituire la cerniera fra i due maggiori bloc-

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chi delle nostre forze, quello destinato ad agire per l'alto sul sistema montano del Grappa e quello incaricato di sfondare nel punto più sensibile del Piave, operando a cavaliere del corso d' acqua. Tuttavia, la presenza del fiume non ostacolò l'unitarietà degli sforzi dei reparti dell'Armata agenti a cavallo del corso d'acqua; al contrario, vi fu una decisa interdipendenza fra le azioni effettuate volta a volta sulle due sponde, nel senso che esse si favorirono a vicenda. Del pari, vi fu un notevole apporto scambievole fra il I Corpo d' Armata ed il XXX Corpo d' Armata della 4 a Armata. Tutti questi reciproci concorsi favorirono grandemente la ri~scita delle operazioni; e si può quindi affermare senza alcuna ombra di dubbio che il Comando Supremo aveva deciso opportunamente inserendo questa Grande Unità fra la 4 a e la 8 a Armata per conferire maggior elasticità alla nostra massa d'urto. Il Comando dell'Armata e tutti i Comandi dipendenti dimostrarono di sapersi adeguare con la massima prontezza, molto spesso di iniziativa, al rapido evolvere della situazione, che comportò negli ultimi giorni della nostra offensiva notevoli varianti alla concezione operativa iniziale. Il discorso ha particolare valore per il I Corpo d'Armata, le cui unità seppero sempre aderire con la maggiore prontezza al rapido succedersi degli eventi sui fronti del XXX Corpo d' Armata e delle Divisioni di sponda sinistra del Piave, talvolta davvero sensibile rispetto alle pianificazioni iniziali. Durante questo periodo, le unità della 12a Armata catturarono 7273 prigionieri, 422 cannoni e grande quantità di mitragliatrici nonché di materiale di vario genere. Le perdite dell'Armata furono , complessivamente, di: 530 morti (dei quali 29 ufficiali), 2414 feriti (104 ufficiali), 354 dispersi (4 ufficiali). Le perdite della 23a Divisione francese assommarono a: 146 morti (dei quali 6 ufficiali); 398 feriti (8 ufficiali), 44 dispersi. E. Il contributo della 10° Armata Con l'entrata in vigore dell'armistizio si concludeva il breve ma importante ciclo operativo della 10a Armata italo-britannica. I risultati della sua azioqe erano andati ben oltre il compito ad essa affidato. Questo era essenzialmente di dare sicurezza al fianco destro della azione principale affidata alla 8 a Armata; ma la particolare contingenza che sul fronte della 10a era stato possibile creare la maggiore testa di ponte ed assicurare i passaggi sul Piave finì per attribuire alle operazioni dell'Armata un valore determinante. Ciò: sia permettendo al X VIII Corpo di passare il Piave e di aprire la strada, con la sua manovra laterale verso Nord, all'VIII Corpo d'Armata che doveva puntare su Vittorio; sia costituendo la punta dell'avanzata verso la Livenza e facilitando, a sud, lo sbocco oltre Piave della 3a Armata. La costituzione della testa di ponte in corrispondenza delle Grave di Papa-


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dopoli, sebbene facilitata da contingenze favorevoli e da qualche manchevolezza avversaria, costituì un brillante risultato degno di particolare riconoscimento per le belle truppe del XIV Corpo d'Armata britannico e dell'XI Corpo d'Armata italiano. In soli nove giorni, l'Armata aveva forzato il Piave, sfondato il fronte nemico, superato il Monticano e la Livenza, raggiunto ed attraversato il Tagliamento mettendo saldamente piede sulla sponda sinistra di questo fiume. Nel breve ciclo operativo, le sue Unità avevano catturato quasi 34.000 uomini di truppa, più di 240 cannoni abbandonati dal nemico in fuga, 1027 ufficiali ed una grande quantità di altre armi e di materiali di vario genere . Nello stesso periodo le truppe italiane della 10a Armata ebbero a lamentare 443 morti (dei quali 27 ufficiali), 1860 feriti (dei quali 74 ufficiali) e 881 dispersi (dei quali 22 ufficiali); le unità britanniche ebbero 274 morti (27 ufficiali), ·1147 feriti (41 ufficiali) e 193 dispersi (3 ufficiali). Tutte le Grandi Unità dell'Armata, sia italiane sia britanniche, agendo in perfetta armonia, si distinsero per valore, perseveranza, entusiasmo. Come venne posto in rilievo dalla Relazione del suo Comandante, particolare menzione merita l'operato dei reparti del genio, i quali furono ininterrottamente impiegati nella costruzione di ponti e di passerelle sul Piave, sul Monticano, sulla Livenza e più tardi sul Meduna - Cellina e sul Tagliamento; con la loro instancabile attività e con il loro valore (non dimentichiamo che anche questi reparti subirono fortissime perdite, perché lavorarono quasi sempre sotto il tiro delle artiglierie e sotto i bombardamenti dell'aviazione nemica) le unità pontieri resero possibile la rapida avanzata delle unità della 10a Armata. Non meno importante risultò, ai fini del nostro successo, l'attività dell'aviazione la quale, compatibilmente con il tempo spesso inclemente, non diede tregua all'avversario né sulle sue posizioni difensive, né durante la sua ritirata, orientando utilmente l'azione dell'Armata con le sue ricognizioni . La rapida avanzata richiese un grande sforzo all'apparato logistico, sia per i rifornimenti, sia nel campo dei trasporti. Infatti, nonostante lo stato disastroso delle strade, nonostante le distruzioni apportate dal nemico ai ponti, nonostante le grandi distanze dei terminali delle ferrovie rispetto alle zone alle quali i rifornimenti dovevano affluire, fu sempre assicurata la continuità dei rifornimenti essenziali per la vita, il.movimento e per il combattimento. Infine, merita ampio riconoscimento l'opera del Generale Lord Cavan che, con la sua azione di comando ~empre aderente alle direttive del Comando Supremo e del Generale Caviglia, con la tempestività dei suoi ordini, adeguati al rapido evolvere delle situazioni ed alle mutevoli esigenze del campo di battaglia, seppe dimostrare di essere un Comandante di alto valo-

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re realizzando condizioni di una eccellente cooperazione, a tutti i livelli, dei Comandi e d~i reparti britannici con quelli italiani.

F. Il contributo della 3° Armata Nel corso della battaglia di Vittorio Veneto la 3 a Armata, ancora una volta, confermò le belle doti che in tutte le precedenti batta_glie, da quelle vittoriose a quella tragica di Caporetto, le avevano sempre consentito di fronteggiare degnamente il nemico e che la fecero proclamare l'«invitta». In questa ultima battaglia, infatti, sebbene rimasta con forze ridotte, si era lanciata con ardimento contro lo schieramento avversario sul Piave partecipando e concorrendo decisamente alla riconquista dei confini della Patria. Come si è visto, durante la giornata del 30 ottobre, superando le ultime accanite resistenze di un nemico niente affatto domato né rinunciatario nonostante le altrui presunzioni e l'andamento generale dell'azione, la 3a Armata forzava il Piave; nella giornata successiva, manovrando essenzialmente con l'ala sinistra spinta in avanti, si portava alla Livenza; il 1° novembre, mentre consolidava le proprie posizioni su questo fiume, provvedeva ad assicurarsi i passaggi e gli sbocchi necessari per proseguire l'avanzata. Questa veniva ripresa con decisione nelle due giornate seguenti, in stretto collegamento con la 10à Armata; il 2 ed il 3 novembre le due Armate occupavano tutta la zona interposta fra Tagliamento e Livenza, costringendo l'avversario a ricercare la salvezza in una precipitosa ritirata. Il giorno 4 il ritmo .dell'inseguimento veniva ulteriormente accelerato fino alle ore 15, termine armistiziale delle operazioni. Questi risultati erano conseguiti con una disponibilità complessiva di sole 5 Divisioni e contro forze numericamente superiori. Durante il breve ciclo operativo della battaglia di Vittorio Veneto, le unità della 3a Armata catturarono circa 18.000 prigioneri, 752 cannoni (dei quali 20 di grosso calibro: 420 e 305 mm), oltre 1000 mitragliatrici, quasi 52.000 moschetti e fucili, 74 aeroplani. Venne infine liberato un gran numero di prigionieri italiani, per lo più catturati dal nemico durante la battaglia di Caporetto; di essi ben 130.000 furono sgomberati sulle retrovie a cura dei Servizi di Intendenza dell'Armata. Le perdite subite dalle unità della 3 a Armata durante la battaglia assommarono complessivamente a 2429 unità di cui: 305 caduti (28 ufficiali), 290 feriti (71 ufficiali), 517 dispersi (da considerarsi quasi tutti morti, in relazione all'esiguo numero di dispersi che ebbero successivamente a rientrare in Patria). Perdite non irrisorie, se si considera che furono per la maggior parte sostenute nelle operazioni di forzamento del Piave del 30 ottobre, e che.testirp.oniano anc~ra il buon comportamento delle unità avversarie e le difficoltà dell'impresa.


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G . Il contributo della 6° Armata

Alle ore 15 del 4 novembre, al momento del termine delle ostilità, le note dell'inno di Mameli, intonate dalla banda del ·69° reggimento fanteria, diffusero, dal Monte Panarotta nelle conche della Val Sugana, il saluto della Patria alle terre finalmente redente. Durante le cinque giornate dell' avanzata, tutte le unità della 6a Armata si erano distinte dando il massimo di sé stesse per il conseguimento degli obiettivi; superfluo, quindi, fare particolari menzioni di reparti, chè tutti ebbero ad operare lodevolmente: da quelli della 24a Divisione francese che realizzò le prime penetrazioni al centro della conca d'Asiago, a quelli della 48a Divisione britannica che permise l'avanzata in Val d' Assa con la conquista del M. Mosciagh e di M. Interrotto; dalla Divisione 20a del XII Corpo d'Armata che conseguì le profonde avanzate verso gli obiettivi di Folgaria, Caldonazzo e Pergine, a quelle del XX Corpo d'Armata che avanzarono arditamente nel Canale di Brenta ed in Val Sugana accompagnando l' azione della 4 a Armata. Enorme fu il bottino preso al nemico: oltre 116.000 prigionieri (dei quali 1200 ufficiali, e fra questi ultimi i Comandanti dei Corpi d'Armata III, XIV, XXI, catturati a Trento), 2762 cannoni, ingenti quantità di mitragliatrici e di materiali di ogni genere, nonché numerosi depositi abbandonati intatti dal nemico. Intere Grandi Unità del nemico furono tagliate fuori e fatte prigioniere: caddero in mano italiana le Divisioni 6a, 18a , 52 a, 53a, sa «Kaiserjager», 56a «Schiitzen» e la maggior parte delle Divisioni 39a Honved, 3a e 6a di cavalleria. Riuscirono invece a sfuggire alla cattura i reparti della 5a Divisione con il 59° reggimento fanteria della Divisione «Edelweiss» e gran parte della 40a Divisione Honved (che erano arrivati nella Val di Fiemme), le unità ungheresi che per prime avevano dato inizio alla ritirata lungo la Val d'Adige, le Divisioni 16a, 27\ 38a, 74a Honved 1• Le perdite della 6a Armata durante la battaglia furono : XII Corpo - 20 3 Divisione italiana: 16 morti, 49 feriti, 1 disperso; 48 a Divisione britannica: 7 morti, 123 feriti, 19 dispersi; XIII Corpo

14 3 Divisione italiana: 3 morti, 114 feriti; 24a Divisione francese: 2 morti, 38 feriti;

XX Corpo

7 a Divisione . f .. . .. : 16 morti, 209 ent1. 9a D1v1s10ne 2

Perdite relativamente esigue in relazione non tanto alle minori resistenze 1 Sono

comprese in questa elencazione anche le Divisioni dei Corpi d'Armata XIV e

XXI, già della 10• Armata austro-ungarica e posti alle dipendenze del Comando dell' 11 • Armata austro-ungarica il giorno 2 novembre.

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avversarie quanto alle azioni manovrate che, nella maggior parte dei casi, costrinsero alla resa buona parte delle unità nemiche. H. Il contributo della 1 a Armata

Alle ore 15 del 4 novembre la 1 a Armata aveva portato a termine nel migliore dei modi la manovra concepita dal suo Comandante. Erano state infatti superate in brevissimo tempo tutte le resistenze a protezione di Trento, nodo vitale delle comunicazioni delle Armate austro-ungariche, raggiunto con fulminea avanzata. Così tutte le Grandi Unità nemiche sugli Altipiani erano state sopravanzate agli sbocchi nei fondi valle e costrette alla resa. In tale quadro operativo, particolarmente brillante risultò l'azione di iniziativa del X Corpo d'Armata, che consentì di aggirare dal tergo il nemico ancora fermo sulle sue posizioni avanzate ad oriente dell' Astico e permise di travolgerne celermente tutte le forze , costringendole a cercare scampo in Val Sugana ed in Val Lagarina; invano, perché in entrambe le valli (e soprattutto nella vitale Val Lagarina) esse erano state prevenute dalle nostre truppe. II numero dei prigionieri catturati risultò enorme: si trattò di oltre 100.000 uomini, con interi Comandi di Grandi Unità. Incalcolabile fu anche il bottino in artiglierie (oltre 1000 pezzi), trattori, intere autocolonne, autocarri isolati, autoambulanze, carriaggi, quadrupedi, intatti depositi di viveri, di foraggi , di munizioni e di materiali del genio. Per contro, le perdite subìte dalle unità della 1 a Armata risultarono molto contenute: solo 292 uomini posti fuori combattimento, dei quali 43 morti, 231 feriti e 18 dispersi, per la maggior parte nell'azione di sfondamento sulla sinistra dell'Adige. Fra tutte le unità della 1 a Armata, meritano particolare menzione per il loro brillante comportamento: - il XXIX reparto d'assalto, per l' irruenza con la quale, in pieno giorno, sferrò il suo attacco a Serravalle, con feroci corpo a corpo, nei quali subì sensibili perdite. Il risultato di questo attacco permise la successiva rapida avanzata in Val Lagarina; - la 6 a Divisione del X Corpo d'Armata, la quale per prima balzò dalle trincee, iniziando la vasta manovra, che doveva portare le unità della 1a Armata, in sole 48 ore, ad oltre 50 chilometri di profondità in territorio avversario; - il 4 ° gruppo alpini, per il valido concorso dato allo sfondamento dello sbarramento di.Serravalle e per i successivi brillanti combattimenti sostenuti nell'avanzata verso Rovereto; - la 32a Divisione, per la celerità con la quale eseguì il suo movimen-


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to per affluire al settore di impiego dopo essere stata ritirata dalla lontana zona del X Corpo d'Armata. Va infine rilevato ancora che tutta la brillante operazione fu eseguita con pochissime truppe, con il sostegno di un numero minimo di artiglierie. Esse si trovarono dapprima ad affrontare un nemico quasi ovunque ancora tenacemente abbarbicato alle sue posizioni . Fu proprio qui che Comandi e truppe dimostrarono tutt~ la loro abilità ed il loro ardire: perché il più delle volte, anziché esaurire il proprio sforzo in sterili attacchi frontali, preferirono slanciarsi arditamente negli spazi vuoti per fare cadere le posizioni avversarie con manovre aggiranti. Si venne così a creare nei Comandi e nelle unità avversarie una situazione di incertezza, che ben presto degenerò in completo sc_o ramento e determinò una rotta disastrosa, aggravata dalle contrastanti direttive del Comando austro-ungarico e dalle notizie sugli avvenimenti politici dell'interno. I. Il contributo della 7° Armata

Il contributo della 7• Armata e delle sue unità non è misurabile con il numero delle perdite, veramente limitato rispetto alle enormi cifre di prigionieri e di cannoni, armi e materiali catturati oltre che ai guadagni territoriali conseguiti. Va detto anche che da un esame obiettivo della situazione di forza e di dislocazione delle unità di questa Armata appaiono anche scarsamente giustificate - seppure comprensibili nell'ansia del momento - le note di impazienza del nostro Comando Supremo, che ne sollecitava iniziative offensive contro forze superiori su posizioni robustissime. I tempi necessari per riunire i reparti sulle direzioni più opportune per una avanzata venivano ç_ompressi al massimo e le Unità dell'Armata affrontavano l'alea di attacchi a posizioni formidabili, il cui esito felice era indubbiamente agevolato dalla situazione di crisi generale che si era andata ormai diffondendo in tutto l'Esercito avversario nei primi giorni di novembre. Le unità della 7• Armata, che per più di tre anni avevano condotto una difficile guerra di logoramento sul versante occidentale del Trentino dovevano staccarsi dalle loro posizioni e affrontare l'avversario lungo le direttrici operative più sensibili e redditizie. Esse effettuavano queste manovre con celerità, superavano posizioni nemiche precedentemente attaccate invano e, sfruttando le strade dei fondi valle che adducevano ai nodi stradali più importanti delle linee di comunicazione dell'avversario (Mezzolombardo, Malé, La Mendala, Spondigna e Sluderno) ve lo precedevano, costringendo in una immensa sacca ed alla resa numerose unità nemiche. Nella riusdta della_manovra aveva indubbiamente avuto larga parte il fattore sorpresa: le truppe avversarie, ormai sconvolte dalle notizie tragi-

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che che pervenivano dagli altri settori del fronte, non si aspettavano certo un attacco talmente irruente ed improvviso da parte delle deboli unità della 7• Armata contro posizioni così ardue ed impervie, in una stagione ormai del tutto avversa alle operazioni. Ma è doveroso aggiungere che gi:andissimo merito della piena riuscita dell' operazione ebbero tutti i nostri militari, Quadri e gregari, che si prodigarono sino ai limiti delle possibilità umane per il conseguimento dei propri obiettivi, ricorrendo anche ad interessanti soluzioni di ripiego, per accelerare i movimenti. Essi, infatti, oltre ad agire in J.m terreno difficilissimo ed in condizioni atmosferiche completamente avverse, si trovarono a percorrere strade malagevoli, interrotte in più punti dal nemico, ingombre in maniera talvolta impressionante dai suoi carriaggi e dalle sue formazioni logistiche in ritirata, impiegando i cavalli delle artiglierie campali per avere a disposizione una fanteria montana. Tutte le Unità profusero le loro energie più riposte di ardimento, di valore e di resistenza alla fatica per assolvere i compiti assegnati; un cenno particolare merita l'Intendenza dell'Armata, per lo sfruttamento sapiente e per la tempestiva aderenza alle necessità operative in un ambiente molto difficile. Enorme risultò, per quantità e qualità, il bottino. Il nemico abbandonò sulle posizioni pressoché tutte le sue artiglierie: molti cannoni furono trovati intatti, ancora puntati contro le nostre linee e numerose mitragliatrici vennero prese con il nastro consumato a metà: ciò testimonia del panico che ad un certo punto invase i reparti avversari e della precipitazione con la quale essi si videro indotti ad abbandonare posizioni pure molto efficienti ed efficacemente munite. Furono inoltre catturati autocarri, trattori, carriaggi e materiali di ogni genere in quantità ingentissime; magazzini, depositi e posizioni fortificate furono trovati dai nostri reparti ricolmi di materiali ed ancora pienamente efficienti. Complessivamente, furono catturati oltre 75.000 prigionieri, fra i quali un Comandante di Corpo d'Armata, due Comandanti di Divisione ed uno di Brigata e 550 bocche da fuoco . Le perdite subite dalla 7• Armata furono, per contro, addirittura irrilevanti: 7 caduti e 33 feriti. Ma l'importanza dell'azione della 7• Armata, oltre che nell'entità degli uomini e dei mezzi catturati, va vista nel più ampio quadro delle operazioni condotte in quei giorni aggredendo da tutti i lati il saliente trentino. L'azione delle tre Armate, 6a, 1a e 7• , rispose al disegno unitario del nostro Comando Supremo, che tendeva a ricacciare le unità nemiche da tutte le posizioni montane per superarle e rinserrarle in una morsa che doveva chiudersi a nord di Trento nella Val Lagarina, ed a monte di Bolzano nella Val Venosta.


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Di questa ampia, grandiosa manovra, la 7a Armata si trovò a costituire la grande branca occidentale; essa riuscì perfettamente a chiudere quella parte della morsa che le era stata affidata, superando le enormi difficoltà di un ambiente così difficile e gli inconvenienti di una situazione di partenza del tutto sfavorevole. L. Il contributo della 9a Armata La 9a Armata non partecipò, come tale, alle operazioni; tuttavia non deve essere sottovalutato il contributo che essa ebbe a dare al successo delle nostre armi nel 1918. Invero, nel suo ambito si sviluppò l'intensa attività organizzativa ed addestrativa che fu a fondamento della evoluzione delle nostre Unità verso una migliore efficienza operativa. Prima con la denominazione di 5 a Armata, affidata al Generale Capello, e poi con quella definitiva di 9a Armata, con il Generale Morrone, le truppe provate sull'Isonzo della 2a Armata e poi, dopo il giugno 1918, quelle che avevano subito grosse perdite sul Piave si ritempravano e perfezionavano il loro addestramento in un quadro divisionale. Il Generale Morrone, già Ministro della Guerra, si dimostrò uomo avveduto, eccellente organizzatore ed ~nimatore, sicuro ed equilibrato nei giudizi delle sue inchieste sull'andamento della battaglia del giugno, pronto ad aderire alle direttive ed alle esigenze della lotta quali andavano evolvendo rapidamente in quell'ultimo scorcio del conflitto. Né figura di minore spicco doveva essere quella del suo Capo di Stato Maggiore, il Generale Francesco Grazioli, successivamente Comandante del Corpo d'Armata d'Assalto nelle esperimentazioni di una guerra di movimento e dell'VIII Corpo nella battaglia di Vittorio Veneto; sicuramente l'uomo con le idee più avanzate del nostro Esercito, allora e successivamente, forse non utilmente impiegato nel dopoguerra per questioni personali ed i suoi atteggiamenti sulla questione fiumana. Nel corso della battaglia di Vittorio Veneto l'Armata era in grado di fornire con immediatezza le Brigate che vennero impiegate a Trieste ed in Istria; essa doveva anche assumere compiti di coordinamento, sorveglianza e controllo dell'area a cavallo del Piave nei riguardi sia dei passaggi sul fiume, sia dei movimenti dalle retrovie alle zone ora raggiunte dalle Armate, sia - infine - della organizzazione di campi di raccolta dei prigionieri austriaci e di quelli italiani che affluivano alle nostre linee. La pronta disponibilità di un Comando di Armata si rivelerà poi importante per la quasi immediata sostituzione del Comando britannico della 10a Armata. Evidenti motivi di opportunità consigliavano di affidare a Comandi ed unità nazionali il controllo della linea armistiziale e delle aree attigue; ma non vi è dubbio che, anche qualora non vi fosse stata tale esi-

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genza sarebbe stato necessario fare appello a questa Armata. Infatti, anche se non si fosse avuto l' armistizio, con il ritorno dal Piave al Friuli, il fronte sarebbe tornato a passare dai 354 km di ampiezza sul Piave agli oltre 600 km di prima della ritirata dall'Isonzo. Come allora, il fronte orientale avrebbe richiesto due Armate; ciò tanto più che 1'8a Armata era stata lanciata·verso il Cadore e la Carnia, e la 3 a Armata verso Trieste; la direttrice operativa verso Lubiana e la Carinzia avrebbe indubbiamente richiesto, in ogni caso, di inserire un nuovo Comando di Armata fra le precedenti. L'impiego del Gen. Morrone e del suo Comando nel nuovo incarico non fu scevro di momentanei inconvenienti, che avrebbero forse potuto essere evitati se fosse stato anticipato e programmato, nonéhé accompagnato più tempestivamente dalla costituzione degli organi di Intendenza; esso risultò piuttosto affrettato per l'andamento così favorevole di operazioni, i cui risultati erano andati ben oltre il previsto e lo sperato. Tuttavia, la contemporanea abolizione del Comando della 7a Armata ed una vasta e complessa serie di provvedimenti testimoniano una elevata prontezza nella adozione delle soluzioni ordinative e logistiche appropriate che il Comando Supremo aveva saputo assumere. A tale riguardo, invero, alcuni uomini responsabili del tempo meritano una citazione; fra essi: il Col. Ambrogio Bollati, il Ten.Col. Curio Barbasetti, il Col. Pietro Maravigna, il Col. Pietro Gazzera. M. Il contributo del Corpo di Cavalleria

L'esposizione degli avvenimenti ha posto in rilievo le difficoltà che avevano le unità di cavalleria à partecipare utilmente come tali ad una lotta che aveva cambiato così vistosamente i suoi caratteri. Alla guerra di posizione i reparti del Corpo non potevano partecipare che come unità appiedate; nella guerra di movimento essi abbisognavano di convenienti rinforzi di truppe celeri e di. un robusto sostegno di fuoco. Permanevano peraltro, come si è già accennato, la flessibilità e la mobilità che ne facevano un utile strumento nelle fasi più critiche della battaglia, come era avvenuto nel giugno e si verificò nella fase di inseguimento del novembre. In questa occasione, comunque, doveva risultare piuttosto evidente la difficoltà di un impiego unitario del Corpo di Cavalleria ed anche delle stesse Divisioni, anche per le insufficienze dei mezzi di collegamento del tempo, mentre spesso emerse l'esigenza di un efficace coordinamento fra le unità di cavalleria e quelle di fanteria e di artiglieria delle Armate che le seguivano. In pratica l'azione risultò frazionata fra le singole colonne di brigata o reggimento cavalleria, mentre ebbe a dimostrarsi di utilità non inferiore l'impiego dei reggimenti di cavalleria propri delle Armate, quali ad esempio il «Foggia Cavalleggeri» e «Aquila Cavalleria». Come sempre, le unità di cavalleria partecipavano al-


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le operazioni conclusive del conflitto dando prove di slancio ed ardimento, del tutto in consonanza con le brillanti tradizioni di quest'Arma e garantendo il raggiungimento di quegli obiettivi di valore strategico che la rottura e la manovra avevano reso possibili. Non parliamo, qui, dei contributi dati dall'Aviazione e dalla Marina, nonché dalla organizzazione logistica delle Intendenze, ai quali abbiamo dedicato appositi capitoli. Del contributo dato dai Carabinieri e dalla Guardia di Finanza trattano esaurientemente specifiche pubblicazioni di questi Corpi.

3. I comunicati del Comando Supremo ed il bollettino della vittoria Nel corso della battaglia il nostro Comando Supremo aveva, nei suoi bollettini e nei comunicati dell'Agenzia Stefani, dato esatto conto dell'andamento della battaglia. Da essi era apparsa, nei primi giorni, la difficoltà della lotta sul Grappa, me~tre si era mantenuto a lungo il segreto sulle operazioni preliminari dell'attacco sul medio Piave. L'andamento dei combattimenti consentiva all'Alto Comando austro-ungarico ed agli 9rgani di stampa avversari di proclamare ad alta voce il successo delle proprie Armate. Solo in data 30 ottobre Vienna comunicava ufficialmente che: «In conformità alla decisione più volte espressa di addivenire ad un armistizio e ad una pace che ponga fine alla lotta dei popoli, le nostre truppe che combattono sul suolo italiano sgombreranno il territorio occupato». E, nella stessa giornata, veniva riferito da Vienna che l'Imperatore Carlo si era detto decisamente contrario a cessioni di territorio, da limitarsi eventualmente a striscie al confine italiano. Ancora il 2 novembre si accennava solo ad evacuazioni del territorio occupato oltre il Tagliamento ed al ripiegamento, in corrispondenza della fronte montana, sulle posizioni tenute all'inizio della guerra. Da parte italiana, naturalmente, le profonde penetrazioni degli ultimi giorni di ottobre e dei primi di novembre erano comunicati al Paese che seguiva con entusiasmo e commozione gli eventi di quei giorni. L'annuncio della liberazione di Trento e di Trieste sollevava il maggiore entusi.asmo e costituiva il segno più significativo del nostro successo, che doveva avere la maggiore sanzione nell'annuncio dell'armistizio firmato a Padova e della cessazione delle ostilità con l'Austria-Ungheria. Ma, a livello elevato, la soddisfazione ed il sollievo trovavano qualche remora negli atteggiamenti alleati nei confronti di quelle com:essioni territoriali che erano state, in buona parte, la molla e la giustificazione del nostro intervento: Abbiamo già detto, nel III e IV Capitolo di questa Relazione, dei

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motivi di tensione, particolarmente con la Francia e con gli Stati Uniti, concernenti l'assetto post bellico e con le Autorità militari francesi per la loro insistenza nei riguardi di una nostra offensiva nell'agosto e nel settembre. Ora, dinnanzi al successo delle nostre armi, era in atto tutta una manovra di svalutazione del nostro sforzo militare che l'Autorità politica ed il nostro Comando Supremo sentivano il bisogno di controbattere. Ecco perché il Presidente Orlando da Parigi si preoccupava di richiedere che si facesse sapere che la nostra offensiva aveva avuto inizio il 24 ottobre sul Grappa, affinché non si pensasse che era stata portata innanzi solo dopo i primi contatti con gli avversari in cerca di un armistizio: cosa perfettamente .vera, ma ché ha dato origine alla credenza contraria che la connessione fra l'attacco sul Grappa e quello successivo sul Piave fosse un ripiego a carattere propagandistico e non la semplice realtà, come abbiamo abbondantemente documentato. Sulla scena internazionale, l'attenzione delle corrispondenze e dei comunicati era rivolta al fronte occidentale ed alle crisi interne degli Imperi Centrali, mentre i successi al fronte italiano divenivano notizie di secondaria importanza; avveniva anzi che essi erano attribuiti essenzialmente al me- . rito delle poche unità francesi e britanniche presenti al nostro fronte. Il nostro Comando Supremo reagiva vivacemente chiedendo l'intervento del Governo. Di questa situazione si faceva portavoce fin dal 31 ottobre anche il nostro Addetto Militare a Washington; in merito si aveva un intervento anche del Ministro degli Esteri, Sonnino. Si spiega così, come, anche per mettere a punto le cose, il noto Bollettino della Vittoria, nel dare la notizia della conclusione dell'armistizio contenesse anche un sommario riepilogo dell'intera battaglia e l'indicazione delle forze nostre ed alleate, oltre che di quelle avversarie, nella speranza che in tal modo l'opinione pubblica mondiale ne fosse meglio informata: speranza che andò in gran parte delusa perché gli organi di stampa stranieri accennarono solamente alla resa austriaca ma generalmente non riportarono il bollettino, che resta peraltro, con quello del 3 che annunciava la liberazione di Udine, Trento e Trieste, una testimonianza felice dello sforzo corale e sanguinoso dell'intera Nazione Italiana a coronamento del suo Risorgimento e della affermazione ad esistenza nazionale e che noi non possiamo non ricordare, a conclusione di questa parte della Relazione. 4 novembre

La guerra contro l'Austria-Ungheria che, sotto l'alta guida di S.M. il Re - Duce Supremo - l'Esercito Italiano, inferiore per numero e per mezzi, iniziò il 24 maggio 1915 e con fede incrollabile e tenace valore condusse, ininterrotta ed asprissima per 41 mesi, è vinta.


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La gigantesca battaglia ingaggiata il 24 dello scorso ottobre ed alla quale prendevano parte 51 divisioni italiane, 3 britanniche, 2 francesi, una czecoslovacca ed un reggimento americano contro 73 divisioni austro-ungariche, è finita. La fulminea arditissima avanzata del 29 ° Corpo d'Armata su Trento, sbarrando le vie della ritirata alle armate nemiche del Trentino travolte ad occidente dalle truppe della Settima Armata e ad oriente da quella della Prima, Sesta e Quarta, ha determinato ieri lo sfacelo totale della fronte avversaria. Dal Brenta al Torre l'irresistibile slancio della Dodicesima, de/l'Ottava, della Decima Armata e delle divisioni di cavalleria, ricaccia sempre più indietro il nemico fuggente. Nella pianura S.A.R. il Duca d'Aosta avanza rapidamente alla testa della sua invitta Terza Armata, anelante di ritornare sulle posizioni da essa già vittoriosamente conquistate, che mai aveva perdute. L'Esercito austro-ungarico è annientato: esso ha subìto perdite gravissime nell'accanita resistenza dei primi giorni e nell'inseguimento; ha perduto quantità ingentissime di materiale di ogni sorta e pressocché per intero i suoi magazzini e i depositi; ha lasciato finora nelle nostre mani circa 300.000 prigionieri con interi stati maggiori e non meno di 5.000 cannoni. I resti di quello che fu uno dei più potenti eserciti del mondo, risalgono in disordine e senza speranza le valli, che avevano disceso con orgogliosa sicurezza. Firmato: D IAZ

CAPITOLO XX

ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLA BATTAGLIA DI VITTORIO VENETO

1.' La battaglia di Vittorio Veneto nel giudizio dei contemporanei e nella

storiografia

Per le circostanze che la precedettero, per l'entità delle forze coinvolte, per il risultato decisivo e le sue conseguenze - come già accennato al capitolo I - la battaglia di Vittorio Veneto doveva, naturalmente, essere oggetto di esaltazioni e rivendicazioni come di giudizi critici o denigratori. · Essa, inoltre, per la complessità degli eventi e la molteplicità degli attori e degli episodi, più di altre ha trovato difficoltà di una conoscenza non superficiale; sicché hanno finito per trovare credito due tesi del tutto contrapposte,nessuna delle quali veramente corrispondente ai fatti ed adeguata. La prima, prevalente in Italia, ha attribuito alla battaglia i caratteri della grande manovra strategica di stampo napoleonico, perseguita decisamente e magistralmente condotta da un Esercito Italiano, che, in tutti i suoi uomini - al vertice ed alla base-, aveva conseguito una netta superiorità sull'avversario. La seconda, prevalente nel giudizio straniero, invece, ha visto questa battaglia come un episodio di poco conto, quasi inutile, ed un successo ricercato per motivi politici, che non ha presentato problemi di ordine militare perché ottenuto contro un Esercito ormai in sfacelo per gli avvenimenti nell'interno della Monarchia Absburgica. Una svalutazione del nostro successo può anche essere attribuita ai nostri avversari che cercarono di accreditare la tesi di essere stati sconfitti per il crollo del fronte interno piuttosto che sul campo: Ma essa può essere attribuita essenzialmente al clima politico ed al complesso delle tensioni con gli Alleati, che caratterizzarono le nostre reciproche relazioni nell'anno 1918 ed andarono acutizzandosi negli anni successivi nel corso delle trattative di pace,.divenendo anche causa di diatribe interne. Nelle sue linee generali, lo sviluppo degli avvenimenti di quel periodo venne riferito dal nostro Comando Supremo subito dopo la battaglia, in una relazione pubblicata nei primi mesi del 1919 1• Come abbiamo già ricordato al Capitolo VII, il Caviglia definì questa relazione: «infantile, bolsa, retorica». Il carattere piuttosto retorico appar1 Regio Esercito Italiano: Comando Supremo, La battaglia di Vittorio Veneto (24 ottobre - 4 novembre 1918); ed. 1919.


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ve, allora, necessario ed opportuno soprattutto in relazione al desiderio di diffondere e fare accettare dalla opinione pubblica dei nostri Alleati e dai loro dirigenti una più corretta valutazione degli s{orzi e dei sacrifici sostenuti dal nostro Esercito e dall'Italia, reagendo alle conseguenze del disastro dell'autunno del 1917. Ciò è dimostrato dal fatto che della pubblicazione, immediatamente tradotta in francese ed inglese, si cercò di dare la maggiore diffusione possibile soprattutto all'estero. Per la verità, questa non valse molto allo scopo, in quanto gli obiettivi della svalutazione dello sforzo compiuto dal nostro Paese erano essenzialmente politici, intesi ad evitare nostre richieste, considerate eccessive, di compensi territoriali o di altra natura. Abbiamo visto, nel corso dell'esame degli avvenimenti del 1918, quanto difficili fossero stati i nostri rapporti con gli Alleati, in particolar modo con i Francesi. Non erano mancate le differenze di opinione fra gli Alti Comandi militari; ma soprattutto, denigratori nei riguardi del nostro apporto alla condotta della guerra erano stati i giudizi degli uomini politici di Parigi e della stampa da essi ispirata: giudizi connessi solo in parte con l'inattività prevalente sul nostro fronte nel corso del 1918 e tendenti soprattutto a limitare il peso politico riconosciuto al nostro Paese nella sistemazione postbellica. Per inciso, possiamo vedere già in questi contrasti il germe di contrapposizioni che finiranno per provocare un perenne conflitto fra le politiche e le diplomazie dei due Paesi e, insieme ad altri fattori, porteranno l' Italia a schierarsi a fiànco della Germania nel secondo conflitto mondiale. E, se non possono essere negati gli errori e le responsabilità delle classi politiche i{aliane che, allora e soprattutto successivamente, ps:rseguirono visioni nazionalistiche eccessive e sproporzionate rispetto alle nostre possibilità economiche e militari nonché distanti dalla volontà popolare, tuttavia ci sembra che non minori vadano attribuite agli uomini ed alla politiea della Nazione che usciva dal conflitto come la maggiore Potenza del continente. La Francia tendeva allora, infatti, a stabilire le basi di un suo predominio assoluto in Europa, che si traduceva non solo nella imposizione di dure condizioni alla Germania ma anche nella limitazione di una affermazione politica ed economica italiana, nei Balcani come in Medio Oriente ed in Africa: del resto in aderenza alla politica costante di questo Paese di contrastare ogni incremento di potenza delle Nazioni confinanti, fossero esse sul Reno, od ai Pirenei, od alle Alpi. Migliore era sempre stato, sia negli ambienti politici sia in quelli militari, l'apprezzamento del mondo anglosassone nei riguardi del nostro apporto allo sforzo bellico complessivo. Nelle Relazioni dei Comandanti britannici, Generali Herbert Plumer e Lord Cavan, come in ogni altro contatto con militari e civili inglesi, si può riscontrare il più ampio riconoscimen-

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to del contesto in cui le Unità britanniche ebbero ad operare, delle difficoltà della nostra guerra, dei risultati conseguiti dal nostro Esercito. Sicché, nel mondo britannico, più che una «diminutio» del nostro apporto e dei sacrifici sostenuti si ebbe - semmai - una minore attenzione ai fatti ed agli avvenimenti del nostro fronte: cosa del resto abbastanza comprensibile in un Paese, i cui interessi abbracciavano l'intero mondo, e che dava certamente più attenziòne alla guerra marittima nell'Atlantico od al progredire della Rivoluzione Bolscevica che alla lotta sul Piave. Per il mondo di lingua inglese, e quindi per la generalità del mondo esterno, le notizie dei successi nel Veneto e dell'armistizio di Villa Giusti finirono per essere sommerse e superate dalla successione di notizie favorevoli dal fronte principale francese e dalla vittoria finale sulla Germania. Del resto, ancora oggi, può comparire una pubblicazione 1 che vorrebbe avere dignità di storia nella quale la nostra battaglia è totalmente ignorata come fattore almeno concorrente della vittoria della Intesa. E perfino il Liddell Hart, in genere così preciso ed equilibrato nelle sue valutazioni, pur ricordandola nel testo, nelle considerazioni finali del suo volume sulla I Guerra Mondiale 2 non cita questa battaglia e l'apporto italiano come uno dei fattori importanti della conclusione vittoriosa ed anticipata del conflitto nell'autunno del 1918. E altrettanto scarso fu il riconoscimento prevalente nel mondo politico statunitense, di cui in Italia si lamentava la decisione di concentrare tutti gli sforzi sul fronte occidentale e di limitare gli aiuti al nostro fronte alfa misera cosa di un Reggimento di fanteria ed a qualche decina di ambulanze della Croce Rossa. Si trattò di un atteggiamento poco favorevole; di cui si avranno ulteriori manifestazioni successive nei contrasti con il Presidente Wilson ed il suo consigliere, Col. House. Ciò, anche se non mancarono come abbiamo visto - opinioni del tutto difformi, ,che peraltro - come avviene spesso in quel grande Paese - non valevano a mutare le linee direttrici di una politica spesso velleitaria ed utopistica, comunque poco informata delle realtà e delle aspirazioni nazionali dei popoli europei. Indubbiamente, la prima ricostruzione degli avvenimenti, presentata dal nostro Comando Supremo nel 1919, aveva anche qualche lacuna per l'assenza di riscontri a notizie e ·comunicazioni piuttosto imprecise, verificatesi nel corso della battaglia, specie nelle sue fasi più dinamiche, oppure a rivendicazioni esagerate di qualche unità. Nei riguardi, poi, della parte avuta dalle Unità alleate, la relazione del 1919 era anche inflenzata da un certo spirito di insofferenza per le attribu1 2

Toland John, 1918: Storia di un anno che decise la guerra, Rizzoli, Milano, 1982. Liddell Hart, History of the First World War, Casse!, Londra, 1970.


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zioniesagerate di meriti, da parte di organi alleati ufficiali e non, alle Unità francesi e britanniche che avevano partecipato alla battaglia, come è stato già riferito nei Capitoli precedenti. Era un desiderio di una puntualizzazione che - come abbiamo visto - aveva avuto espressione anche nella redazione del Bollettino della Vittoria del 4 novembre, che specificava il numero delle Divisioni nostre ed alleate. Nelle opere successive, quindi, senza dubbio anche in relazione alla retorica del tempo, quella partecipazione veniva addirittura minimizzata od omessa; ciò, mentre una più meditata e controllata ricostruzione da parte di questo Ufficio Storico è stata ritardata da vari fattori, essendosi la pubblicazione di questa Relazione Ufficiale arrestata, nel 1940, all'autunno 1917. È avvenuto così che gli Uffici Storici di Eserciti alleati od ex-nemici abbiano lamentato errori ed omissioni in quelle prime ricostruzioni dei fatti della battaglia di Vittorio Veneto. Per esempio, la Relazione Ufficiale britannica, pubblicata nel 1949, lamenta, a pag. 368, che «i resoconti italiani non abbiano reso giustizia al sostegno morale ed ai solidi consigli dati al Comando Supremo dal Maresciallo Foch, oppure alla parte vitale giocata dalle truppe francesi e britanniche sia in montagna sia in pianura. Questa parte è stata solitamente ignorata poiché se un resoconto veritiero fosse stato dato non si sarebbe potuto ignorare che i Britannici furono i primi al di là del Piave e che essi ricevettero la resa delle forze austriache a Trento prima che le truppe italiane vi arrivassero; ed in entrambi i settori del Teatro Operativo i Francesi furono egualmente preminenti nell'aprire la strada». Come questa Relazione ha messo in rilievo, il maggiore concorso degli Eserciti Alleati nel corso del 1918 si estrinsecò sul piano del miglioramento delle procedure organizzative e d'impiego. Ma, sembra necessario dire che la nostra ricostruzione ha confermato e documentat.o l'esistenza di una grave incomprensione fra il nostro Comando e gli uomini politici e militari alleati, in ispecie francesi, che, anche considerata a distanza di tempo e nello spirito più amichevole, appare da attribuirsi più a responsabilità e mancanze di tatto e ad errori di valutazione francesi piuttosto che a responsabilità degli uomini dei nostri Comandi. Tutte le decisioni circa la concezione e l'esecuzione della battaglia di Vittorio Veneto furono prese piuttosto in contrasto che in subordine ai consigli del Maresciallo Foch. Per quanto si riferisce alla partecipazione delle unità alleate agli avvenimenti dell'estate 1918 ed alla battaglia di Vittorio Veneto l'Ufficio Storico è stato in grado, in questa Relazione, di fare riferimento alla documentazione ed alle relazioni delle predette Unità, rilasciata a quel tempo dalle medesime circa l'attività svolta. Essa, inoltre, ha a qisposizione le Relazioni Ufficiali francese, britannica ed austro-ungarica e ne ha tenuto conto per con-

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frontare le diverse versioni e controllare i pochi punti rimasti incerti o controversi e degni di attenzion~ ai fini di un accertamento ulteriore circa i meriti da attribuire alle varie Unità ed ai diversi Comandanti. Al riguardo viene ritenuto del tutto ridicola l'affermazione che la liberazione di Trento possa attribuirsi ai due ufficiali britannici che ebbero a pervenirvi, quali parlamentari, nelle prime ore del pomeriggio del 3 novembre, in una situazione generale di assenza di contrasto evidentemente non imputabile o attribuibile a loro merito . Viene invece riconosciuto che la liberazione di Sacile nella mattinata del 31 ottobre deve attribuirsi ad unità britanniche della 23a Divisione (9° /York and Lancaster), e viene dato il giusto riconoscimento alla azione delle Unità britanniche che, con quelle italiane della 10a Armata ed anche per circostanze casuali, vennero a vedere un proprio compito secondario trasformato in una azione di grande rilievo ai fini complessivi della manovra. In conclusione, questa Relazione si pregia di attribuire alle unità alleate quei meriti che ad esse vanno riconosciuti. Nota al riguardo che i comportamenti delle unità alleate sul nostro fronte, così come di quelle italiane sul fronte francese, furono tutti eccellenti. Si potrebbe dire, anzi, che i soldati dei diversi Paesi, posti fianco a fianco, trovarono nella comunione dei compiti e dei sacrifici motivo di stretta collaborazione e di migliore comprensione; oltre che di sana emulazione; mentre le diversità di interessi politici e di visioni strategiche ebbero ad operare solo ai più alti livelli di comando. Al contempo, però, non può mancare di ridimensionare ancora una volta la portata del concorso dato dalle predette Unità nel corso della battaglia di Vittorio Veneto, alla quale esse parteciparono con uomini, mezzi, e perdite pari od inferiori a circa un decimo del totale. La .battaglia di Vittorio Veneto, quindi, con le sue luci e le sue ombre, rimane essenzialmente una vittoria italiana. Come si è voluto trattare piuttosto diffusamente, la prima relazione sulle operazioni dell'autunno del 1918, pur essendo aderente alla sostanza degli avvenimenti, ebbe caratteri intesi ~oprattutto ad innalzare il nostro prestigio nel mondo alleato ed a fare valutare maggiormente il nostro contributo al conseguimento del successo dell'Intesa. Indubbiamente, sul tono generale della pubblicazione e di altre, che - per esempio - ebbero a vedere la cancellazione di tutti i riferimenti relativi agli ammutinamenti avvenuti nelle unità austriache 1, influiva anche il desiderio di contrapporre, dinnanzi al Popolo italiano ed alla nostra opinione pubblica, alle diatribe per la sconfitta di Caporetto, lo spettacolo di una vittoria che doveva dare prestigio 1 C.do S.mo - Ufficio Operazioni, L 'azione dell'Esercito Austro-Ungarico nella battaglia di Vittorio Veneto, in Notizie Militari, n. 17 del 31 gennaio 1919.

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al Paese ed alle sue Forze Armate. Nè poteva mancare il desiderio degli uomini responsabili, da quelli politici quali il Presidente Orlando a quelli militari di ogni livello e grado, di vedere degnamente ricordata la propria partecipazione a questa grande battaglia. · Infine, doveva certamente concorrervi l'aspirazione degli uomini, che avevano in qualche modo partecipato, con la mente e con il cuore, alla concezione, alla organizzazione ed alla condotta di questa grande battaglia, a vedere pienamente riconosciuto quel complesso di attività che avevano portato al successo; e, su quel successo, di porre le basi anche delle proprie fortune personali. In seguito, la battaglia di Vittorio Veneto fu spesso ricordata, ma, per la verità, non molto approfondita nei suoi vari aspetti; ciò, come si è detto, anche per la complessità degli eventi e del suo andamento e la molteplicità dei momenti e degli attori. Anche le opere che successivamente sono apparse in Italia non si sono staccate dalla primitiva ricostruzione allora presentata: ciò vale sia per le note pubblicazioni del Dupont e del Rocca, sia per la voce «Vittorio Veneto» nella Enciclopedia Treccani, a suo tempo revisionata dal Cavallero. Le migliori e più aderenti ricostruzioni di aspetti e momenti parziali, basate sulla effettiva docume_n tazione disponibile, furono quelle del Col. Adriano Alberti, Capo Ufficio Storico dello Stato Maggiore Esercito negli anni 1919-1924, che peraltro non affrontò - dati il momento e la posizione - temi ed argomenti controversi. Maggiori lumi su alcuni aspetti della battaglia vennero da rivendicazioni e polemiche, quali: quelle del Cavallero, già Capo Ufficio Operazioni del Comando Supremo, circa la concezione della manovra; quelle del Caviglia che attribuiva a se stesso il maggior merito del successo; quelle del Giardino che tendeva a sottolineare l'apporto dato dalla sua 4a Armata; quelle del Vaccari che rivendicava la parte da lui considerata decisiva sostenuta nella Piana della Sernaglia dal suo XXII Corpo d'Armata; la messa a punto di Angelo Gatti circa i meriti della 23 a Divisione francese; contributi tutti citati nella bibliografia. La ricostruzione più aderente, degli intendimenti e dei momenti della nostra manovra, fu presentata dal Col. Claudio Trezzani in un suo lavoro pubblicato sulla Rivista Militare Italiana nei numeri di novembre e dicembre 1930, le cui linee furono seguite anche dal Segato nel suo «L'Italia nella Guerra Mondiale» in 4 volumi, pubblicati da Vallardi nel 1935. Nel compilare la presente relazione si è ritenuto che, a questa distanza dagli avvenimenti, fosse possibile ed opportuno non limitarsi ad una semplice esposizione delle operazioni, ma anche tentare una loro valutazione equilibrata ed obiettiva.

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2. Note sulla concezione e sulla condotta della battaglia da parte del nostro Comando Supremo

Come dovrebbe essere apparso evidente da quanto esposto in questa Relazione e dalla documentazione che l'accompagna, quella serie di avvenimenti che và sotto il nome di «battaglia di Vittorio Veneto», che concluse la nostra guerra con l'Austria-Ungheria ed affrettò la conclusione del primo conflitto mondiale, non ebbe - nella sua genesi, nella concezione e nella condotta - quell'andamento semplice e lineare che le venne allora accreditato. Essa non fu, infatti, la prosecuzione naturale del successo difensivo del giugno; si arrivò alla decisione di sferrare una offensiva sul Piave solo attraverso un processo lungo e piuttosto tormentato; la vittoria fu anche il risultato di un lavoro imponente fatto per migliorare l'Esercito. Né la. manovra che ebbe così decisivo successo fu concepita come tale da una mente superiore e vista fin dal suo inizio nei lineamenti che venne poi ad assumere. Infine, essa non fu quel successo facile e trionfale che fu successivamente proclamato. A noi sembra che la constatazione di queste verità non tolga nulla al merito di coloro che, pur tra tante difficoltà, alfine la decisero, la organizzarono e la condussero; e che - anzi - possano far giudicare più meritorio il complesso delle loro decisioni ed azioni. L'esame approfondito della Prima Parte di questo volume ha permesso di acclarare come sia del tutto falsa e non risponde9te alla realtà delle cose la presunzione che subito dopo la battaglia del Piave l'Esercito Italiano si trovasse nelle condizioni di potere sferrare a fondo una controffensiva decisiva. Sono state talora citate, al riguardo, opinioni espresse dal Gen. "Giardino, quando peraltro il Comandante della 4a Armata non era ancora al corrente dei gravi avvenimenti sia sulla sinistra della propria Armata sia sul Piave; come tali esse erano opinioni disinformate. Non Io consentivano né le condizioni obiettive del nostro Esercito, né quelle dell'Esercito austro-ungarico, né la situazione generale dell'Intesa. Analizziamo uno per uno tali elementi. Dopo la battaglia del Solstizio, nella quale non tutto era andato per il giusto verso, il nostro Esercito, che pure nei mesi seguenti alla prima battaglia d'arresto del Piave era stato miracolosamente irrobustito grazie ai provvedimenti presi dalle Autorità di Governo e militari, appariva ancora troppo fragile per potere affrontare una controffensiva di tale portata. Anzitutto le sue riserve si erano in buona parte già logorate nel corso della battagli~ testè conclusasi, e pertaiito quelle in linea apparivano al momento troppo . esigue. D'altro canto il parco delle artiglierie non aveva raggiunto i livelli prefissati e ritenuti ottimali, ed i mezzi disponibili per l'attraversamento del


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Piave erano al momento del tutto insufficienti in rapporto alle esigenze di una operazione di forzamento . Lo spirito delle truppe, infine, pur se esaltato dalla vittoriosa battaglia sostenuta, non dava ancora il pieno affidamento necessario: alquanto elevato appariva infatti il numero dei dispersi che si era dovuto registrare nella battaglia. Questo argomento era stato esaminato a fondo dal nostro Comando Supremo e dai maggiori Comandi subordinati; le ragioni principali di tale spiacevole aspetto erano stati individuati essenzialmente nella persistente fragilità morale di alcune nostre unità, specie quelle costituite da elementi troppo giovani o da soldati già'-provati dallo sbandamento avvenuto dopo la battaglia di CaJ?oretto e quindi non ancora del tutto ripresi alla mano; nonché, soprattutto, nella deficenza di Quadri, sia a livello Ufficiali, sia a livello Sottufficiali e Graduati di truppa. In ultima analisi, tutto un complesso di fattori attinenti inadeguatezza di forze, di mezzi ed a qualche deficenza morale ed addestrativa avevano a ragione sconsigliato il nostro Comando Supremo dall'intraprendere una operazione che non si presentava con prospettive favorevoli . Ma ammettiamo per un istante che una nostra controffensiva potesse venire coronata da successo. Di che entità sarebbe stato tale successo? È assolutamente impensabile che nel mese di luglio esso avesse potuto portare al disfacimento della Duplice Monarchia e del suo Esercito. Ancora non si erano manifestate in tutta la loro gravità le spinte disgregatrici all'interno dell'Impero e d'altro canto l'Esercito avversario, pur se non aveva colto la vittoria nella battaglia di giugno, era rimasto sostanzialmente intatto nelle sue forze e nel suo morale; i combattimenti locali del trimestre estivo ne avrebbero dato piena conferma. Dunque, si poteva sperare, con una nostra controffensiva immediata, di raccogliere tutt'al più un successo locale, che migliorasse la nostra posizione difensiva, come lo stesso Maresciallo Foch, del resto, si attendeva da una nostra offensiva sugli Altipiani. Ma, in tal caso, di fronte all'inevitabile maggior logorio delle nostre forze ed all'allungamento delle nostre linee di comunicazione, il nemico avrebbe potuto assumere nuove iniziative offensive e metterci in gravi difficoltà. Trattando delle condizioni dell'Esercito austro-ungarico, si è detto che la sconfitta del Piave non aveva scalfito né il suo spirito, né la sua efficenza : tant'è che negli ambienti degli Alti Comandi avversari si nutriva ancora la speranza di potere rinnovare una massiccia offensiva contro l'Esercito Italiano. Di tali intendimenti si aveva notizia presso il nostro Comando Supremo, il quale necessariamente, nei suoi orientamenti, non poteva non tenerne conto. Resta da considerare adesso la situazione dell'Intesa all'inizio di luglio. Di essa si è già detto nel Tomo 1° di questo V Volume e nel precedente capitolo I della Prima Parte del presente Tomo; nella sostanza, ricorderemo qui che sul fronte occidentale era tuttora in atto la massiccia pressione germa-

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nica, che soltanto dopo la metà del mese di luglio avrebbe preso ad attenuarsi progressivamente. Dunque, un nostro eventuale scacco non avrebbe potuto ricevere sostanziale sollievo, a quell'epoca, dalle Nazioni nostre alleate, né queste intenderanno successivamente ricercare un successo decisivo sul nostro fronte. Invero, la mancanza degli aiuti alleati, che doveva provocare anche qualche polemica fra le nostre Autorità militari e quelle civili, che se ne rinfacciavano reciprocamente la responsabilità, non era dovuta a colpa o negligenza di alcuno; essa era dovuta al ruolo secondario che il complesso degli interessi dei Paesi alleati maggiori faceva attribuire al nostro fronte, ed al fatto che l'Italia era sosta~zialmente tenuta ai margini della macchina decisionale ed organizzativa alleata. Sembra, dunque, di poter concludere che bene fece, sotto tutti gli aspetti, il nostro Comando Supremo, dopo la battaglia del Piave, a non tentare un'avventura senza possibilità di consistenti risultati positivi. Anche successivamente, una offensiva con obiettivi limitati avrebbe richiesto un concentramento cospicuo di forze nel settore prescelto offrendo, come si è visto date le caratteristiche del nostro fronte, rilevanti possibilità di contro manovra al nostro avversario . Ciò imponeva di sferrarla soltanto possedendo un minimo di disponibilità di forze e di mezzi che ci garantissero a tale riguardo; ma le nostre richieste di quantità del resto esigue di forze e mezzi alleati (25 carri armati, 20.000 tonnellate di yprite, 3.000 autocarri, e le 10-12 Divisioni americane ridotte rispetto alle primitive 20-25) non erano state prese in considerazione . Del resto, il Comando francese, che insisteva tanto per una nostra of- . fensiva, si era ben guardato dallo sferrarne nel corso del 1917 e del 1918 fino a che aveva avuto forze inferiori o pari a quelle avversarie, ed aveva assunto l'iniziativa solo quando l'afflusso di forze americane aveva consentito una disponibilità di forze, che nell'ottobre raggiungeva il 135% di quelle tedesche. Inoltre esso era in grado di assicurare alle sue offensive condizioni di netta superiorità di fuoco e di mezzi impiegando carri armati ed aerei su scala sempre più larga. Queste condizioni non esistevano sul fronte italiano; sicché solo quando la situazione generale fece balenare la possibilità di un successo, il nostro Comando Supremo non mancò di sfruttare il momento favorevole. E però non si può considerare che la decisione fosse provocata semplicemente dalle pressioni del Comando francese, cui si ritenne a lungo di non aderire, né dal ritiro della Bulgaria dalla guerra, che non fu considerato di rilevante conseguenza immediata, anche se questi fattori indubbiamente fecero parte del nuovo quadro generale assai più promettente. Come abbiamo visto, l'e-


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lemento che indusse ad assumere l'iniziativa fu, soprattutto, il timore di manovre politiche rivolte ad arrivare ad una pace di compromesso, che sacrificasse le nostre aspirazioni. Ma, in quel momento, giunti alla decisione di passare alla offensiva, la valutazione delle difficoltà e delle perdite probabili nonché quella delle scarse prospettive di una offensiva sugli Altipiani contro un nemico forte e pronto a rintuzzarla sconsigliavano l'esecuzione di quella a lungo predisposta e facevano optare per una operazione diversa, portata in altro settore del fronte con obiettivi e direzioni di maggiore significato strategico. Del resto, l'esito degli attacchi della 4a Armata sul Grappa nella battaglia dell'ottobre confermerà la sostanziale giustezza delle valutazioni del nostro Comando Supremo, il quale stimava che la montagna (con le sue possibilità di osservazione escludenti la sorpresa, con l'ostacolo al movimento che dilatava ogni tempo di preparazione e di esecuzione, con l'ampia disponibilità di zone non battute) esaltasse le possibilità della difesa in misura ancora maggiore di quanto esse non fossero già alimentate dalla combinazione trincea-reticolato-mitragliatrice. La scarsa fiducia nell'esito di offensive in montagna nelle condizioni di rapporto di forze esistente sul nostro fronte era, naturalmente, il frutto di tutta l'amara esperienza dei costi e dei fallimenti delle nostre offensive sul Carso ed all'Ortigara, ed era ancora stata ribadita dal recente fallimento della offensiva austriaca del Conrad. È stato considerato, questo, come un atteggiamento eccessivamente prudente ed irresoluto del Comando Supremo nell'estate del 1918; ma tutti gli avvenimenti precedenti, la situazione interna e quella dell'Esercito lo rendevano - a nostro avviso - perfettamente comprensibile, anzi doveroso. Esso, inoltre, era influenzato dalle stesse valutazioni alleate, che prevedevano una conclusione della guerra solo nel 1919, e da una situazione difficile dei complementi, che non aveva prospettive di miglioramento dinnanzi al rifiuto di invio di unità americane al nostro fronte. Né sembrano avere alcuna consistenza le critiche ulteriori di ritardi ed incertezze per l'inizio della offensiva solo verso la fine di ottobre. Abbiamo dimostrato come, iniziando le operazioni di ammassamento di unità e di mezzi attorno al 23-25 settembre, l'offensiva non avrebbe potuto che essere sferrata nella seconda metà di ottobre. Incertezze ulteriori furono provocate dallo stato meteorologico e del fiume Piave, il cui forzamento nella stagione presentava alee e motivi di preoccupazione rilevanti, anch'essi del tutto giustificati. È da dire, anzi, che non pochi inconvenienti derivarono da una preparazione che risultò in alcuni settori piuttosto affrettata e talora insufficente nella disponibilità dei mezzi necessari, nonostante una attività encomiabile volta a raggiungere il massimo livello possibile di forza e di prontezza operativa.

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Consideriamo ora la concezione della manovra che qualcuno definì <<temeraria» e destinata all'insuccesso, altri geniale, essendo una delle poche della 1a Guerra Mondiale tendente a sfruttare la rottura facendola seguire da una «guerra di movimento» e dal raggiungimento di obiettivi di valore strategico. Vi è anche stata una certa gara fra coloro che si sono contesi il merito della concezione di questa manovra. Al riguardo, appare opportuno ricordare come il Ludendorff abbia scritto che non mancano Ufficiali di Stato Maggiore sempre pronti a presentare idee e compilare piani; ma è sempre merito del Coma,ndante di accogliere, vagliare ed approvare un Piano, disporne e reggerne l'esecuzione, assumendosene tutta la responsabilità. Nel nostro caso, ci sembra che un complesso di fattori abbiano finito quasi per suggerire questa operazione quale «ovvia» ed unica azione possibile: «temeraria» - forse - in altra situazione; suggerita sia nella «memoria» molto bene ragionata della 3a Armata sia nelle proposte offensive della ga Armata; imposta dalla necessità di agire e dalla esclusione della opportunità di operare nel settore montano ed in quello del Basso Piave; portata - come sottolinea il Caviglia - contro un settore più debole dell'avversario ed idonea a realizzare la rottura dello schieramento; suscettibile di arresto dopo il conseguimento di qualche risultato utile ma anche di più favorevoli sviluppi - come voleva il Diaz -. Né può considerarsi criticabile l'atteggiamento del Diaz e del Badoglio di pensare anche a premunirsi per il caso che la offensiva avesse solo un parziale successo, mentre meritoria - pure se sofferta - fu la decisione di agire sfruttando il momento favorevole anche se persistevano molti elementi di incertezza e fattori di rischio di impossibile controllo, quali le condizioni meteorologiche e la piena del Piave. Ciò che è vero è che, seppure suggerita da un complesso di circostanze, la battaglia era impostata secondo concezioni di manovra coraggiosa, ido-nea a permettere un successo significativo; c'era il desiderio di evitare battaglie di tipo «carsico» e di non contrapporsi frontalmente all'avversario, ma di realizzare una rottura in un punto sensibile e meno solido e sfruttarne quindi i possibili sviluppi. Se poi si volesse ricercare a chi attribuire il merito della concezione, si può dire che non si tratta di una ricerca agevole, poiché - come si è visto - essa vide il concorso di varie circostanze e proposte. Ma, indubbiamente, i maggiori meriti vanno attribuiti sia al Capo Ufficio Operazioni del Comando Supremo, il Col. Cavallero, che vide le prospettive di successo dell'azione portata al limite fra 5a e 6a Armata austroungarica e le possibilità di sfruttamento che essa apriva puntando da Tezze, in corrispondenza delle Grave di Papadopoli, verso Vittorio Veneto e la Stret-


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ta di Fadalto, come suggerito dal Comando della 3a Armata; sia al Gen. Caviglia, che, forse unico, si batté per una offensiva a fondo di cui vedeva le possibilità risolutrici, che manifestava nei suoi ordini del giorno. Ciò rimane vero anche se non si possono condividere le sue propensioni per un forzamento «di sorpresa» sul Piave ed una azione principale nel settore di Falzé - Susegana, azione che, affidata all'VIII Corpo d'Armata, ebbe a fallire; insuccessi verso i quali peraltro il Caviglia stesso si era premunito con lè' sue predisposizioni ed ai quali ovviava brillantemente con gli interventi dell'artiglieria e con la «manovra laterale» del XVIII Corpo d'Armata passato oltre Piave sui ponti della 10 Armata. Si è detto che la battaglia non si sviluppò affatto come era nei programmi. La maggiore influenza l'ebbero le precarie e mutevoli condizioni meteorologiche: le condizioni del Piave imposero ritardi, le nebbie ridussero la possiblità di intervento delle artiglierie e degli aerei e la loro efficacia. La vittoria fu ottenuta solo dopo duri combattimenti, che le diedero sviluppi assai diversi da quanto programmato: inizialmente deludenti, successivamente favorevoli oltre lo sperato, sì da imporre adattamenti cui, peraltro, Comandi ed Unità si adeguarono con dinamismo e flessibilità. Quanto difficili e deludenti fossero i ·combattimenti delle prime giornate risulta a chiare lettere dal testo della missiva che il Ministro Nitti inviava al Presidente Orlando minacciandolo di gravi conseguenze per la responsabilità politica che egli si era assunta spingendo ad una offensiva per la quale non si avevano condizioni sufficienti di superiorità e che - nell'opinione di quel Ministro - avrebbe dovuto essere evitata, così come deciso nella riunione del Comitato di Guerra del 24 settembre. Gli attacchi della 4a Armata ebbero un andamento fortemente deludente che abbiamo cercato di approfondire nelle sue motivazioni; e, così, anche ebbe a fallire sia il tentativo di passaggio del Piave di sorpresa e, soprattutto, quello dell'VIII Corpo d'Armata tra Falzé e Nervesa, finendo per attribuire alla 1oa Armata una funzione di primissimo piano, non prevista. Ma, sappiamo come la reiterazione degli sforzi sul Grappa doveva egualmente portare un rilevante contributo al successo strategico complessivo. Per quanto si riferisce alle difficoltà del forzamento del Piave veniva confermato il fatto che una offensiva da portarsi oltre un fiume difficile, e per di più in piena, presenta alee e momenti di crisi difficilmente superabili; sicché risultarono provvidenziali tutti i provvedimenti rivolti alla moltiplicazione dei punti di passaggio ed allo sfruttamento tempestivo di quelli riusciti. Non vi è dubbio che, in qualche momento, vi furono ritardi nella piena realizzazione del successo conseguito ed anche qualche incertezza, che, - insieme al desiderio di mantenere uno schieramento prudenziale, di unità avanzanti parallelamente ed in contatto fra loro - finì per rallentare,

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nella pianura, un inseguimento che avrebbe consentito - forse - uno slancio maggiore. Nelle giornate tra il 29 ed il 31 sarebbe forse stato possibile anticipare operazioni di sfruttamento di una situazione vantaggiosa; così come si può vedere qualche incertezza nell'impiego delle Divisioni di Cavalleria, prima su certe direzioni e poi su altre; infine, venne a risultare una sproporzione tra le forze avviate a risalire le strette valli montane, ove erano facilmente rallentate dalle retroguardie avversarie, e quelle impiegate per l'inseguimento nella pianura, che era lasciato alla cura delle sole Divisioni di Cavalleria ed alle forze della 3a e 10a Armata in progressivo indebolimento. Ma, nell'esame della 4a fase, non abbiamo mancato di sottolineare le motivazioni, anche di ordine politico oltre che militare, che inducevano a dare priorità all'azione verso il fianco montano ed all'esigenza di incidere a fondo nel saliente trentino. Ciò, mentre su tutte le direzioni di movimento andavano man mano esercitando le loro influenze limitative le difficoltà logistiche connesse con una avanzata generale del dispositivo a forti distanze dalle basi di Intendenza, in una condizione di forte penuria di automezzi e di vie di comunicazione disastrate. Circa la celerità e gli esiti dell'inseguimento nella pianura ci sembra che non si possa dire meglio di come scrisse il Rocca 1: «Parve a taluno che l'inseguimento del nemico in ritirata non sia stato abbastanza celere. Ma se confrontiamo la nostra avanzata dal Piave al Taglimento con quella dall'Isonzo allo stesso Tagliamento per parte degli austro-tedeschi nella battaglia dell'Ottobre' 17 (Schizzi n. 43 e 44), non ci pare che l'asserzione sia giustificata. Dall'Isonzo al Tagliamento corrono in media 60 chilometri in linea d'aria (50 da Plezzo al Ponte di Pinzano, 70 da Tolmino a Ponte della Delizia) e poco meno dal Piave al Tagliamento (67 dai Ponti della Priùla a Pinzano e 43 da Ponte di Piave a Ponte della Delizia). Gli Austro-Tedeschi, dal forzamento dell'Isonzo a quello del Tagliamento, impiegarono non meno di 10 giorni (dal 24 otto. al 3 nov.) e non meno di 8 dal Tagliamento al Piave (3-11 nov.). Se si considera che l'Armata del Gen. Caviglia iniziò il forzamento del Piave la notte sul 27 ottobre e che la sera del 3 novembre, cioè dopo 7 giorni, le avanguardie erano al Tagliamento e lo passavano il giorno 4, raggiungendo quasi l'Isonzo alle ore 15 del giorno stesso - dopo meno di 9 giorni - non si può davvero dire che l'avanzata e l'inseguimento del nemico siano stati lenti. Si aggiunga che le difficoltà di passaggio e le resistenze da noi trovate sul Piave, sul Monticano, sulla Livenza e anche sul Tagliamento non furono certo inferiori a quelle che gli austro-tedeschi dovettero superare sull'Isonzo e sullo stesso Tagliamento, dove la resistenza fu accani1

Carlo Rocca, Vittorio Veneto, Corbaccio, Milano, pag. 446.


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ta: certamente le difficoltà incontrate da noi al Piave furono incomparabilmente maggiori di quelle incontrate dal nemico nel passaggio dell'Isonzo». A questo si può solo aggiungere quanto risultasse difficile realizzare una vera e propria manovra avvolgente e di annientamento: sia per la deliberata volontà austro-ungarica di sottrarsi al contatto rallentando la nostra marcia con estese interruzioni e con resistenze ritardatrici, che la mancanza di artiglierie al seguito rendeva difficile ridurre al silenzio e che potevano essere superate solo con avvolgimenti che ritardavano la nostra marcia; sia per la decisa priorità data alla azione sul fianco montano dal nostro Comando Supremo vuoi nella preparazione vuoi in fase di condotta della battaglia. In pratica, esso era ormai al corrente dell'intendimento austriaco di evacuare la pianura veneta e sapeva che il successo, fino al Tagliamento e forse - all'Isonzo, era ormai scontato. Qualora la guerra avesse proseguito, uno sforzo ulteriore nel Friuli sarebbe stato possibile solo dopo aver portato avanti tutto il dispositivo; esso non era effettuabile immediatamente. Esigenza prioritaria era, invece, di estendere il successo ed eliminare possibilmente il saliente trentino, od almeno dare profondità al nostro schiera- . mento sul fianco montano. Di qui la manovra·che diede, per le circostanze connesse con l'armistizio, risultati imponenti; ma che ne avrebbe senza dubbio permesso ancora maggiori qualora l'armistizio non fosse stato firmato e l'avanzata della 4a ed 8a Armata avesse potuto proseguire verso l'Alto Adige e la Val Pusteria. Invero, le invocazioni di un pronto armistizio da parte dei Generali Krobatin e Von Goglia sono indicative di quanto gravi e senza speranza fossero le prospettive delle Unità austriache del Trentino e della Valle del Piave; mentre appare in qualche misura giustificato il giudizio del Mar. Caviglia che scriverà: «L'armistizio di Villa Giusti, 3 novembre 1918, fu un grave errore» 1 esprimendo la delusione del Comandante dell'Armata cui era stato affidato il compito principale, sia al Piave sia nella penetrazione del fianco montano, e che aveva visto la sua Armata arrestata a metà dell'opera così felicemente iniziata. . Il fatto era che - seppure il nostro Esercito era andato maturando nelle concezioni e nella preparazione - questa, nell'autunno, era solamente avviata, mentre la disponibilità dei mezzi e del supporto logistico aveva limitazioni di cui il nostro Comando Supremo era bene consapevole quando andava sollecitando dagli Alleati prestiti di automezzi e maggiori assegnazioni di risorse; da quelle di carbone e benzina a quelle di materie prime per le fabbricazioni di aerei, motori, automezzi, prodotti chimici, e per i Servizi di Sussistenza e Commissariato. Critiche «a posteriori» hanno indica1

Enrico Caviglia, Diario, Casini, Roma, 1952, pag. 49.

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to possibilità maggiori di annientamento delle forze contrapposte della 5 a Armata a. u. e di più celere inseguimento; ma si tratta di elocubrazioni su ipotesi non aderenti a quelle che erano, allora, le effettive possibilità di azione e di movimento delle nostre unità. Quella condotta fino ad allora era stata una guerra di posizione; il passaggio alla «manovra» poteva essere perseguito nell'ambito del possibile; nell'entusiasmo dell'ora fu anche, spesso, attuato l'impossibile arrivando a critiche situazioni logistiche che ebbero a protrarsi anche dopo il termine delle operazioni belliche. Si doveva, infatti, verificare una grave crisi dei servizi, determinata dalla difficoltà di vettovagliare e rifornire un Esercito che improvvisamente avanzava per decine di chilometri su territorio impoverito dalle requisizioni di un anno di occupazione nemica e costretto ad attraversare numerosi corsi d'acqua in piena, con i ponti pressoché tutti distrutti od interrotti. L'anno prima gli invasori avevano dovuto rallentare assai l'avanzata per le stesse difficoltà, pur attraversando la ricca pianura friulana fra innumerevoli magazzini da noi abbandonati e non tutti distrutti. 3. L'esecuzione della manovra

Se l'attenzione dei memorialisti è stata rivolta soprattutto alla manovra ed alle decisioni del Comando Supremo, a noi sembra - invece - che la battaglia di Vittorio Veneto sia rimarchevole soprattutto per gli aspetti della condotta e della esecuzione dei combattimenti, da parte dei Comandanti e dei Quadri ai vari livelli nonché da parte delle Unità nel loro complesso. Ogni aspetto della battaglia, da quello della preparazione dello strumento a quello degli ammassamenti di unità, armi e materiali, attesta una notevole efficienza organizzativa conseguita in ogni settore; ciò, mentre nella condotta delle operazioni venivano rivelate pregevoli doti di dinamismo, perseveranza ed, al contempo, flessil;>ilità. Ricordiamo come nella battaglia del giugno, lungamente preparata e condotta con superiorità di mezzi, i Comandi austro-ungarici ebbero ad arrestare la loro offensiva in montagna la sera del primo giorno, impressionati dalle perdite subite. Sul Piave essi rinunciarono all'offensiva pur avendo conseguito penetrazioni, sul Montello ed a San Donà, di profondità superiore a quelle realizzate oltre il fiume dalle nostre Unità la sera del 28 ottobre; lo scoramento si diffuse ad ogni livello molto rapidamente. Dal 24 al 28 ottobre, invece, il nostro Comando Supremo, e tutti i Comandi ed i Reparti dipendenti, persistettero coraggiosamente nella loro azione cercando di adattarla alle circostanze.Il nostro Comando Supremo adeguò con flessibilità la sua manovra ritoccandola continuamente in fase di preparazione, perseguendo i suoi obiettivi con


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interventi ed adattamenti anche in fase condotta, estendendone a mano a mano gli scopi quando la situazione si andò rivelando tale da permetterlo. Al Gen. Badoglio va dato certamente atto di aver·saputo dare corpo a tutti gli aspetti organizzativi, particolarmente nei riguardi delle attività delle artiglierie, del Genio e dei Servizi. Ma l'apprezzamento per i suoi collaboratori non può far diminuire assolutamente quello per l'attività di Comando del Gen. Diaz. Egli indubbiamente era figura meno appariscente e decisa del Cadorna; ma più di questi egli si rivelò un Comandante moderno: capace di collaborazione con il potere politico ma anche di sapergli tenere testa quando necessario; capace di scegliere e di chiamare alla più feconda collaborazione gli uomini migliori; pronto ad accettare idee e suggerimenti altrui, anzi a stimolare i Comandanti subordinati e gli uomini del suo Comando ad esprimere il meglio di sé; rapido ad assumere le decisioni e le responsabilità del suo incarico, in ciò sostenuto dall'appoggio del Sovrano i cui interventi - seppure discreti - debbono essere considerati determinanti in questo periodo: sia nella astensione da iniziative offensive, sia nella decisione di passare alla offensiva. Ora, il maggiore riconoscimento che va dato al Gen. Diaz è proprio quello di aver saputo persistere in una azione che per molti giorni era parsa sull'orlo del fallimento. Del resto, è vero che - con la eccezione nell'animo del Caviglia e del Giardino e nel desiderio impaziente di molti - l'offensiva lanciata nell'ottobre non era affatto considerata, dal nostro Comando Supremo, come idonea a provocare il crollo dell'avversario e la sua resa. Vi era, nel Diaz, rispetto per l'efficienza dell'Esercito austro-ungarico, di cui si conoscevano le forze consistenti e bene disposte, oltre che la solidità che gli aveva permesso, nel passato, di superare molte difficili situazioni di carattere politico e militare. La decisione di passare ad una offensiva manovrata ed i caratteri ad essa impressi vanno ascritti a merito del nostro Comandante Supremo. Del comportamento superbo di tutti i reparti·abbiamo trattato a lungo nel Capitolo XIX. 4. Un giudizio sul nostro avversario

In verità la resistenza opposta nei primi cinque giorni della battaglia attesta che le valutazioni, che facevano il nostro avversario sull'orlo dello sfacelo, erano viziate da eccessivo ottimismo e molta faciloneria. È infatti assolutamente falsa la tesi che vuole attribuire alla vittoria nella battaglia di Vittorio Veneto i caratteri di un successo ottenuto con estrema facilità contro un Esercito minato perché a tergo vi era una Nazione in rovina: i caratteri di ul)a battaglia inutile. In realtà le unità austro-ungariche che ci fronteggiavano ebbero tutte un comportamento esemplare; i casi di ammutinamento ebbero scarsa rile-

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vanza fino al giorno 29 e non influirono minimamente sull'esito dei combattimenti sostenuti fino a tale data. La battaglia ebbe per noi un andamento assai difficile e deludente nelle prime due fasi, sia sul Grappa sia sul Piave; essa assumeva diverso andamento solo dopo che veniva iniziato il ripiegamento austriaco e la sensazione della sconfitta imminente si propagava rapidamente dagli Alti Comandi verso il basso e dall'indietro all'avanti. Appare,infatti, dall'esame delle unità e dei settori ove si verificarono, che gli ammutinamenti non ebbero influenza determinante sull'andamento della battaglia di Vittorio Veneto (Doc. n. 477). Invero, i primi casi ebbero luogo nelle unità dislocate sugli Altipiani (11 a Armata), che furono attaccate solo dopo il 31 ottobre, oppure nelle retrovie del Raggruppamento «Belluno» la cui resistenza, da parte delle truppe in linea, rimase salda fino a tutto il 30 ottobre. Anche nell'ambito delle Armate sul Piave (5a e 6a) gli ammutinamenti ebbero luogo nelle unità arretrate influenzando solo le possibilità di reazione a partire dal giorno 29 in poi, quando la decisione nella battaglia sul Piave era già stata conseguita. - Qualche influenza possono aver avuto episodi lamentati di minore resistenza da parte di unità ungheresi e ceche (1 1a Cavalleria Honved e 7a Divisione). Ma, al riguardo, va detto che unità ungheresi che erano a fianco delle predette, quali la 41 a e la 51a Divisone Honved, si comportarono molto bene; d'altra parte le perdite elevate e gli episodi di minore resistenza nei settori più battuti dalla nostra artiglieria ed investiti dagli assalti delle migliori unità italiane ed alleate appaiono perfettamente comprensibili ed in consonanza con altre esperienze, ormai consolidate nel 1918, della possibilità di realizzare con una certa facilità la rottura delle prime posizioni avversarie; essi non possono attribuirsi ad un cedimento particolare delle unità investite dall' attacco. Gli ammutinamenti nelle retrovie del Veneto, che si verificarono a partire dal giorno 29, ebbero ad incidere, semmai, sulla possibilità di realizzare manovre controffensive o tentativi di ricostruzione di fronti più arretrati. Peraltro, tali possibilità dovevano, comunque, risultare limitate in conseguenza della dislocazione piuttosto arretrata delle riserve e per l'esiguità delle forze che avrebbero potuto essere impiegate di fronte a quelle italiane, ormai preponderanti. Le maggiori ripercussioni degli ammutinamenti si ebbero sullo spirito e sugli orientamenti degli Alti Comandi austro-ungarici, che vedevano sfuggire, al contempo: sia la possibilità di co~durre la battaglia difensiva con success.o; sia quella di garantire, con le unità dell'Esercito, la sopravvivenza dello Stato sovranazionale. Infatti fino al 28 ottobre, nei Comandi av-


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versari vi era stata la massima fiducia nella resistenza sul posto. L'improvvisa consapevolezza della necessità di ricorrere ad una manovra in ritirata che fino all'ultimo si era voluto evitare, e la percezione delle sue difficoltà dinnanzi alla pressione esercitata dalle nostre Unità possono ritenersi le cause essenziali del precipitare di una situazione cui contribuirono indubbiamente: sia gli errori di valutazione della nostra manovra, che fecero disporre ed impiegare le riserve prevalentemente alle ali del nostro attacco trascurando le difese di fronte al Montello; sia la mancanza di una tempestiva decisione di sottrarsi alla nostra offensiva con opportuni ripiegamenti predisposti. Il successo della manovra politica a favore di una pace di compromesso era stato affidato ad una resistenza sul posto che la nostra manovra fece fallire con una dura battaglia protrattasi per più giorni fino al conseguimento di un successo che, proprio per questo, doveva risultare ancora più decisivo e clamoroso. Nel corso della guerra le offensive vittoriose avevano generalmente ottenuto i loro maggiori risultati nella prima giornata per veder poi esaurire gli sforzi della rottura e della penetrazione per l'accorrere delle riserve avversarie a tamponare la falla e ricostruire un fronte continuo. La battaglia di Vittorio Veneto ebbe un ben diverso andamento; la resistenza opposta dal nostro avversario per cinque giorni dimostra che si trattò di una battaglia combattuta, i cui imponenti risultati nelle due fasi finali successive furono proprio conseguenti alla crisi dovuta alla constatazione del disastro imminente che la resistenza sul posto non aveva potuto impedire. Gli ammutinamenti ebbero certamente una loro influenza dopo i giorni 29 e 30. Ma, allora, nei suoi obiettivi prioritari, la battaglia era già stata vinta! Inoltre queste defezioni ebbero, semmai, influenza solo nella estensione del nostro successo sul fronte montano, per il ritiro dagli Altipiani delle Divisioni 27a e 38a Honved e le ripercussioni che esso ebbe nel giudizio dei Comandanti e sul morale delle truppe delle altre nazionalità. In verità, dunque, il decadimento del morale e gli episodi di incertezza nei Comandi e di disfacimento hei reparti ebbero sicuramente il loro peso, ma soltanto nelle fasi finali della battaglia, permettendo alle nostre Unità di raggiungere risultati altrimenti non conseguibili, particolarmente sul versante occidentale del Trentino, con perdite così esigue. Va quindi riconosciuto che l'Esercito nemico, nella sua ultima battaglia, si difese ostinatamente, chiudendo nobilmente la sua storia plurisecolare. In effetti, fu un fenomeno veramente sbalorditivo il fatto che l'Esercito austro-ungarico si difendesse con tanto valore, lottasse con la stessa tenacia dei primi giQrni di guerra, mentre la compagine dello Stato era ormai in frantumi. I popoli della Duplice Monarchia si dividevano; ma l'Esercito al fronte teneva tuttora testa al nostro attacco, come è testimoniato dai pro-

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clami dal tono quasi trionfale diramati fino al 28 ottobre. In conclusione, gli ammutinamenti ai quali è doveroso aggiungere il ritiro, sia pure tardivo, delle unità ungheresi, esercitarono il loro effetto soltanto quando la battaglia si era risolta a nostro favore ed agevolarono sostanzialmente soltanto la nostra azione di inseguimento contro un Esercito avversario in piena rotta; tanto più che di essi noi non avevamo notizia. Al successo della nostra manovra molto contribuirono, invece, le incertezze dei Comandi avversari e la loro presunzione di disporre tuttora di una superiorità militare. Vi fu anzitutto una mancanza di sensibilità nei riguardi delle condizioni morali e politiche del Paese e dell'Esercito, proprie e di quelle del nemico, che si tradusse in indecisioni e ritardi sia nei tentativi di evoluzione politica interna sia nei riguardi della strategia da seguire sul nostro fronte. L'incertezza se ripiegare o meno finì per incidere sulla volontà di resistenza dei Capi maggiori e per orientarli ad una ritirata che si tradusse in una rotta sotto la pressione delle nostre Unità, come del resto era stato temuto e previsto da alcuni di essi. La nostra offensiva era attesa, ma ebbe ad influire negativamente la mancanza di valutazioni corrette circa i settori e le direzioni di gravitazione dei nostri sforzi. La minore efficienza delle difese nella Piana della Sernaglia e di fronte alle Grave di Papadopoli, nonché l'orientamento delle riserve prevalentemente dietro gli Altipiani, il Grappa ed il basso corso del P iave, costituirono fattori di peso non indifferente a favore del nostro successo. Ma, nel complesso, sul piano operativo la condotta delle unità avversarie fu improntata alla consueta abilità di Comandanti e Quadri di un ottimo Esercito quale era l'Esercito austro-ungarico. Si è detto che gli ammutinamenti non ebbero influenza sui combattimenti sostenuti dalle unità in linea e nei settori investiti dalla nostra offensiva; qualche cedimento di unità affrontate dai nostri attacchi sul Piave non può imputarsi a motivazioni di ordine politico, bensì a comportamenti abbastanza comuni in unità intensamente provate da poderosi concentramenti di artiglieria seguiti da attacchi travolgenti di reparti d'assalto o di elevato mordente. Nei tentativi di contrattacco e nelle difficili contingenze di una penosa ritirata la maggior parte delle unità operative avversarie si mantenne compatta assicurando in buona misura, con le retroguardie, il complesso delle operazioni. Come era avvenuto nel nostro Esercito nell'ottobre 1917, le maggiori ripercussioni della rotta si avevano nelle unità delle retrovie e nell'abbandono dei loro compiti da parte degli uomini dei servizi logistici. E, però, di fronte al dispositivo del nostro Esercito avanzante, era l'Esercito austro-ungarico, a fine ottobre, in grado di organizzare una difesa in profondità che valesse ad arrestarlo? Esso la tentò sul Monticano e la Livenza; esso la tentò sull'allineamento Prealpi Bellunesi - Bosco del Can-


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siglio - Tagliamento. Sul versante orientale del Trentino esso tentò un ritorno alle linee del '17 e poi a quelle del 1916, ma inutilmente. È stata da alcuni magnificata la celerità con cui le unità némiche ebbero a ripiegare dalla Livenza al Tagliamento, ed il Boroevic ebbe a vantarsi di aver riportato in patria la massa delle sue forze lasciando nelle nostre mani solo 50.000 prigionieri. Ma va considerato che ciò fu pagato con l'abbandono di tutti i materiali e la perdita di quasi tutte le artiglierie. Negli ultimi giorni della battaglia l'Esercito austro-ungarico aveva perso le possibilità di contrastare in modo sensibile qualsiasi nostra manovra; e ciò è vero anche se bisogna ammettere che gli equivoci, provocati dalla decisione unilaterale di cessare immediatamente le ostilità, facilitarono le nostre ultime penetrazioni del 4 novembre. Essi elevarono indubbiamente la dimensione immediata del nostro successo aumentando considerevolmente il numero dei prigionieri austriaci, peraltro limitando quello dei morti dell'una e dell'altra parte. Ma le proporzioni della vittoria erano già, a quel punto, vistose e soprattutto decisive; né le maggiori penetrazioni conseguite nella nostra avanzata dovevano avere influenza sui limiti delle occupazioni successive di territorio, che - come si è visto - erano già state definite in sede interalleata, nel corso della determinazione preventiva delle condizioni di un eventuale armistizio, e fissate nella dorsale alpina. Non può, inoltre, considerarsi fondata la tesi che la nostra manovra ebbe successo in quanto trovatasi a coincidere con l'intendimento avversario di ripiegare. È infatti vero che, prima dell'inizio della nostra offensiva, il Comando Supremo austro-ungarico aveva progettato di procedere ad uno sgombero graduale e metodico, inteso a riportare la linea difensiva sul vecchio confine, allo stesso modo con il quale l'Esercito germanico avrebbe dovuto portarsi sulla nuova linea difensiva invernale dietro la Mosa. D'altro canto il Comando Supremo avversario aveva previsto di poter compiere la ritirata sulla nuova 'linea in alcuni mesi; qualcuno calcolò fossero necessari nove mesi ed il progetto fu abbandonato. C'è poi da·considerare che la ritirata in questione doveva rispondere a finalità non tanto militari, quanto politiche: i due Imperi Centrali si proponevano infatti di portare le proprie forze su linee meglio difendibili; sulle quali fosse possibile procrastinare il più a lungo possibile la resistenza nella speranza di ottenere, con il progredire del tempo, migliori condizioni di pace dalle stanche Nazioni dell'Intesa. Inoltre, i ripiegamenti contemplati dal nostro avversario si riferivano ai soli territori italiani occupati e non comprendevano il ritiro dal Trentino che la nostra manovra permetterà di imporre. Al riguarµo, è anzi da considerare che una delle motivazioni di una immediata offensiva di grande impegno fu costituita dalla percezione che l'Esercito austro-ungarico stava predisponendosi ad una manovra di ripiega-

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mento dello schieramento, almeno di fronte al Piave e nella Pianura veneta. Ove tale manovra avesse potuto essere condotta senza un nostro intervento, le condizioni di un nostro attacco nel 1919, da eseguire senza concorsi alleati, sarebbero state assai peggiori di quanto non fossero state anteriormente all'ottobre del 1917. Ciò, in quanto la sicurezza nei riguardi di manovre controffensive sul fianco montano sarebbe stata assai minore, dati l'andamento del fronte fra Altipiani e Montello e, soprattutto, l'impossibilità di disporre di un numero di Divisioni superiore a quello esistente allora, poiché ora il livello di una cinquantina di Divisioni era mantenuto solo a grande fatica. Un nuovo allungamento del fronte avrebbe reso impossibile la costituzione di quelle masse di ·manovra che avevano permesso le offensive di Gorizia nel 1916 e dell'Ortigara e della Bainsizza nel 1917, quando il nostro Esercito aveva potuto disporre di un maggior numero di Divisioni. Le segnalazioni avute dagli informatori avioportati nelle retrovie del nemico, circa preparativi di sgombero di materiali pesanti e voci di suoi imminenti ripiegamenti, aggiungevano, qufodi, un fattore rilevante di carattere militare a tutti quelli di carattere politico che esigevano di assumere l'iniziativa. Quanto sopra è reso evidente dalla diffusione ai ordini orientativi a sfruttare prontamente eventuali ripiegamenti o sintomi di alleggerimento delle forze avversarie a noi contrapposte (Ipotesi R ed RR). In effetti, ripiegamenti o sottrazioni di forze avversarie a favore di altri fronti non ebbero a verificarsi. Sicché, mentre per il nostro Esercito andava rafforzandosi l'esigenza politica di"partecipare alla offensiva generale dell'Intesa, andava manifestandosi: da una parte, il carattere sempre impegnativo dell'impresa di affrontare un Esercito Asburgico risoluto a resistere sul posto in una battaglia decisiva; dall'altra, l'esigenza di impostare le operazioni in modo da impedire al nemico di condurre ordinate manovre in ritirata. Ciò, mentre permaneva immanente un fattore di grande incertezza costituito dall'elevata probabilità di piene rovinose del Piave. La nostra offensiva, dunque, ben lungi dall'ottenere qualche vantaggio dal progettato arretramento delle forze nemiche, ebbe invece il grandissimo merito di prevenire ed impedire l'attuazione del piano nemico di ritirare dal Veneto e dal Trentino materiali e risorse che, ripiegati in territorio nazionale, avrebbero sicuramente consentito il protrarsi della lotta; anche perciò essa consentì all'Intesa un notevole risparmio di energie e di vite umane permettendo di concludere la lotta entro il 1918. E, d'altra parte, a fine ottobre ogni speranza avversaria era connessa con: il successo della resistenza sul posto, il fallimento della nostra offensi-


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va, il recupero dell'Esercito. Tutti questi intendimenti furono resi vani dalla nostra azione militare. · E comunque, a chi ed a che cosa era dovuto il logoramento dell'Esercito austro-ungarico se non all'Esercito italiano? La nostra manovra finì indubbiamente per assumere carattere decisivo perché il nostro avversario era moralmente prostrato da mesi e mesi di guerra, e soprattutto dagli insuccessi che su tutti i fronti si erano susseguiti dopo quello sofferto nella battaglia del Solstizio. La crisi economica interna e la sfiducia in una soluzione favorevole del conflitto avevano portato a maturazione tutte le contraddizioni politiche interne dell'Impero Asburgico. A questa situazione di crisi aveva dato un importante, anzi prevalente, contributo il nostro Esercito, con le sue undici offensive sull'Isonzo e le due battaglie difensive sul Piave, dell'autunno 1917 e del giugrn.:i 1918. L'esito della battaglia di Vittorio Veneto può considerarsi quindi - come suggerito dal Papafava 1 - il degno coronamento di uno sforzo prolungato, forse non tanto diverso in sé da tutti gli altri non meno meritevoli, rappresentativo di un complesso di sforzi di un intero Paese e del suo Esercito per conseguire la vittoria in una guerra che aveva perso i caratteri di uno scontro di interessi per acquisire quello di una lotta per la sopravvivenza. 5. Alcune note di carattere tecnico-militare

Sul piano strettamente militare, le difficoltà superate e le perdite sostenute nel corso delle due prime fasi conferiscono alla battaglia di Vittorio Veneto i caratteri di una grande e complessa operazione di forzamento di un corso d'acqua fortemente difeso·e di rottura di una robusta organizzazione difensiva nemica, con aspetti di grande interesse su tutti i piani della concezione, della preparazione e della condotta. Ciò, a prescindere dai risultati di ordine strategico, territoriale, umano e politico conseguiti nelle fasi successive, indubbiamente facilitate dal crollo morale dell'avversario. Come abbiamo accennato in precedenza, la battaglia vide un impiego di Unità che avevano notevolmente migliorato il loro livello di efficienza per effetto dei nuovi orientamenti dottrinali ed addestrativi, nonché per la esperienza che i Quadri ad ogni livello avevano maturato. Nei Comandi e negli .Stati Maggiori vi erano uomini che possedevano ormai una pratica plurieqnale di guerra; i Quadri inferiori dei corsi accelerati nel 1916-17 avevano, ora, almeno un anno di permanenza nelle Unità al fronte. Tutte le componenti dell'Esercito avevano migliorato la propria efficienza: questo era N. Papafava, Nel cinquantenario della battaglia di Vittorio Veneto, in Ateneo Veneto, voi. 6 n . 2. 1

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vero sia per la fanteria, che aveva teso a perfezionare la tattica dell'infiltrazione e del diradamento delle formazioni nonché a realizzare un impiego più redditizio delle armi di accompagnamento a tiro teso e curvo (mitragliatrici, cannoni da 37 e da 65, bombarde e mortai disponibili ora in maggior misura); sia per l'artiglieria, le cui tecniche nelle azioni d'appoggio, interdizione, controbatteria si erano notevolmente affinate; ciò senza parlare dell'influsso dei nuovi mezzi: da quelli aerei a quelli radio, etc ... Tuttavia, date le caratteristiche del nostro fronte, di difficile montagna e di pianura fortemente intersecata da corsi d'acqua e canali, nonché per l'assoluta indisponibilità di carri armati, le possibilità ope'rative delle nostre Unità non erano molto cambiate rispettò agli anni anteriori e, comunque, rimanevano pari, se non inferiori, a quelle delle Unità avversarie. In verità, proprio l'adozione del nuovo «Battaglione Tipo», la formazione · di Corpi d'Armata d'Assalto e l'attività di ordine dottrinale ed addestrativa prevista per l'autunno e l'inverno 1918-19, nonché i programmi di approvvigionamento di aerei, carri armati ed artiglierie, tendevano, negli intendimenti del nostro Comando Supremo, a creare per il 1919 quella superiorità di cui il nostro Esercito non aveva mai potuto disporre - se non nel numero degli uomini. Nella battaglia di Vittorio Veneto, quindi, poterono solo in parte aversi gli effetti di un miglioramento quantitativo e qualitativo che era solo avviato; si fece insomma il possibile; anzi si compirono miracoli. Per quanto si riferisce alle fanterie è da mettere in rilievo come ebbero a risultare assai efficaci le tattiche di attacco e di infiltrazione adottate nella preparazione delle unità di assalto . Sul Grappa e sul Piave quasi tutte le colonne ebbero, come punta avanzata, reparti d'assalto, organici o di formazione, che conseguirono buoni risultati che i successivi reparti di fanteria non riuscirono spesso a consolidare ed a mantenere dinnanzi ai contrattacchi avversari. Per le contingenze della battaglia venne a mancare la sperimentazione di un impiego unitario delle Grandi Unità d'Assalto, che avrebbe potuto dare assai utili orientamenti verso l'ulteriore sviluppo di questo tipo di Grande Unità, che attraverso l'ampia utilizzazione del carro armato e dell'aereo, doveva ridare possibilità e vigore alla offensiva. Il mancato consolidamento di esperienze in merito, nonché le pressioni e le resistenze di altre formazioni dell'Esercito, quali la Cavalleria ed i Bersaglieri, a cui non furono estranee questioni di carattere ·personale ed i timori di ordine disciplinare e politico, dovevano portare ad un prematuro scioglimento di questo tipo di Grande Unità, trasferendone peraltro lo spirito - e certamente non fu un vantaggio - nell'ambiente politico . Nel complesso, gli esiti della battaglia di Vittorio Veneto confermavano il peso rappresentato ai fini del successo, da una forte superiorità di arti-


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glieria: nel numero, nei tipi , nelle gittate, nelle potenze e negli effetti dei colpi. Peraltro, doveva risultare ancora una volta l'importanza del quadro entro cui l'artiglieria può agire, costituito da un complesso di molteplici fattori: dall'accurata individuazione e localizzazione degli obiettivi all'avanzato stadio delle operazioni di preparazione topografica e balistica, dalle possibilità della organizzazione di comando e di osservazione a quelle di un efficace collegamento, nelle varie contingenze, con l'Arma base. La differenza degli esiti degli interventi sul Grappa rispetto a quelli sul Piave sottolinea le diverse possibilità sia degli schieramenti nei due settori sia delle condizioni in cui essi ebbero ad operare. Nel primo ambiente gli insufficienti interventi delle artiglierie condannavano l'azione delle fanterie all'insuccesso ed a forti perdite; nel secondo, invece, permettevano di superare momenti difficili ritardando o arrestando i contrattacchi avversari. Per quanto controbattute, le artiglierie avversarie e gli interventi degli aerei nemici rendevano difficili le operazioni di forzamento limitando notevolmente i punti di passaggio e le possibilità della loro alimentazione; ma, là dove si erano verificati i passaggi, tutti i contrattacchi erano arrestati, e potevano svilupparsi azioni utili ai fini del successo generale. Tutte le testimonianze, infine, e particolarmente valide dobbiamo considerare quelle dei Comandi britannici, concordano su una particolare efficienza operativa dimostrata dalle nostre Unità del Genio, specie pontieri , nel corso dell'offensiva, durante la quale - nonostante l'attività rivolta a potenziare la disponibilità di materiali ed equipaggiamenti - non mancarono deficienze sensibili, specie in materiale da ponte ed in mezzi per il pronto riattamento della viabilità ordinaria e ferroviaria. Si confermava, nei riguardi delle .esigenze di un forzamento di un corso d'acqua, la necessità di disporre di materiali pari ad almeno il doppio di quelli calcolati come indispensabili (se ne disponeva in quantità pari ad 1,5 volte) e di effettuare molteplici tentativi di passaggio su vasta fronte , nonché di sfruttare prontamente quelli riusciti. Nel corso della manovra di inseguimento, condotta da molte Grandi Unità e su ampie fronti, un particolare problema fu rappresentato dalle difficoltà poste all'esercizio dell'azione di Comando e di controllo, stanti lo stato primordiale dei collegamenti radio, l'impossibilità di seguire tempestivamente l'avanzata con quelli telegrafici e telefonici, i ritardi delle staffette auto e moto provocati dalle congestioni del traffico e lo stato della viabilità. Talora le notizie sui luoghi raggiunti pervenivano ai Comandi dalla osservazione aerea o tramite colombi viaggiatori, fornendo un quadro impreciso della situazione e rendendo talora impossibili od inadeguati gli interventi; mentre gli ordini giungevano tardi o non pervenivano affatto. Cosicché, a tale riguardo, fu del tutto giustificato il ritardo di 24 ore imposto

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dal nostro Comando per la cessazione delle ostilità dopo la firma dell'armistizio. I ritardi nelle comunicazioni non furono scevri di inconvenienti (per esempio circa l'impiego in un secondo tempo del XVIII Corpo d'Armata e delle Divisioni di Cavalleria) e vennero superati attraverso la diramazione di ordini di massima e lasciando molta briglia sciolta ai Comandi dipendenti. Questi seppero, generalmente, agire brillantemente di iniziativa sfruttando al meglio una situazione di vantaggio divenuto sempre più sensibile. E però l'inseguimento doveva trovare anche momenti di arresto e di ritardo soprattutto nelle difficoltà di far seguire prontamente le artiglierie ed i Servizi. Unità di fanteria e di cavalleria arrestate ai passaggi obbligati da forti retroguardie sostenute da mitragliatrici e cannoni non potevano superare le resistenze se non appoggiate da artiglierie; d'altronde gli avvolgimenti, subito ricercati secondo le direttive del Caviglia, allungavano i tempi della manovra e consentivano spesso ai grossi nemici di ripiegare. L'allungamento dei cicli'viaggio dei rifornimenti, oltre che - in qualche caso - la stanchezza delle Unità duramente impegnate, rese difficile assicurare l'alimentazione di tutto l'Esercito che procedeva rapidamente lungo l'intero fronte; sicché, negli ultimi giorrii della battaglia, si andava progressivamente assottigliando il numero delle Grandi Unità che potevano proseguire in profondità. Ciò non costituì un pericoloso inconveniente soltanto per la disgregazione che si verificava nell'Esercito avversario. In questo momento risultavano particolarmente utili ed efficaci le Divisioni ·di Cavalleria, delle quali, peraltro, si doveva constatare le insufficienti capacità di azione risolutiva. Arrestate alla Livenza, dovettero infatti attendere le fanterie che aprissero loro il passo; mentre al Tagliamento, potendo usufruire degli ampi varchi di uno schieramento nemico incompleto e di una più favorevole situazione generale, trovarono le condizioni per realizzare prontamente quelle puntate verso l'Isonzo che erano state loro commesse quale compito. La constatazione delle difficoltà di un'Arma, che aveva impiegato per secoli il cavallo come un mezzo di combattimento per vederlo ora ridotto ad un mezzo di locomozione, per di più in via di superamento da parte dei mezzi a motore, fu tuttavia ancora mascherata dai prodigi di valore che Unità di grandi tradizioni e di elevatissimo spirito di Corpo sapevano compiere in adempimento degli ordini ricevuti. L'aviazione, che pure dava un sensibilissimo contributo al successo par~ ticolarmente con la ricognizione del campo di battaglia, che permetteva di dare utili orientamenti all'azione di Comando rivelando per prima i movimenti in ritirata dell'avversario, e con gli interventi sulle colonne in movimento diurno sulle rotabili, vedeva le sue possibilità di azione sensibilmente subordinate alle condizioni atmosferiche incerte od avverse di una stagione ormai avanzata. Ciò doveva condizionare piuttosto negativamente il


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giudizio sul rendimento e sull'efficacia del concorso dei mezzi aerei nella battaglia terrestre. L'ultima fase del conflitto aveva sottolineato l'importanza del problema del personale. La mobilitazione degli Eserciti e quella industriale nel Paese avevano portato all'esaurimento delle risorse umane dei contendenti europei e ad una situazione di stallo che doveva essere superata dall'afflusso del contingente americano e dalla mobilitazione dell'apparato produttivo statunitense. Come abbiamo visto, il problema dei complementi ebbe ad assillare tutti gli Eserciti, compreso quello italiano, specie in seguito alle ingenti perdite del 1917. Si faceva anche sentire l'esigenza di una maggiore cura nella preparazione morale e tecnico professionale dei Quadri e della Truppa, sia negli individui sia nelle Unità; sotto questo asp.etto, indubbiamente le attività e gli orientamenti emersi, nel corso del 1918 e particolarmente nell'estate e nell'autunno di quell'anno, nei riguardi della cura del personale costituiscono un elemento di svolta nell'Esercito Italiano. Un elemento positivo di questa nuova tendenza erano anche il rafforzamento dello Spirito di Corpo e della cooperazione interarma al quale si puntava con molteplici provvedimenti: dalla attribuzione di nomi alle Armate alla inscindibilità della Divisione, ribadita come obbligatoria all'inizio della battaglia; dalle attività molteplici degli organi della Propaganda alle norme per il ritorno degli uomini recuperati alle unità di provenienza in vista di una stabilità organica, etc. Nel settore delle attività di Comando una particolare menzione va data allo sviluppo conferito al settore delle informazioni operative. Dai suoi umili ed incerti inizi questa attività era divenuta, nel corso della guerra, di importanza determinante; la documentazione disponibile, per quanto incompleta e lacunosa, attesta quanto rilevante fosse questa attività e quale peso essa finisse per avere sulle decisioni dei Comandanti. Ad essa concorreva sia la specifica organizzazione sia il concorso dei Comandi di artiglieria e dell'aviazione. Nel corso del conflitto e particolarmente nell'offensiva di Vittorio Veneto era andato rendendosi sempre più manifesto il peso esercitato, sull'esito delle battaglie, dal fattore logistico. Come ebbe a sottolineare il Liuzzi 1 doveva apparire del tutto superato il concetto che «i Servizi sono fatti per servire» e di una loro funzione accessoria e subordinata; la loro funzione di «preparare e alimentare le operazioni» rendeva strettamente connessi operazioni e servizi, che venivano a costituire un unico ed inseparabile sistema, i cui problemi richiedevano soluzioni coordinate e reciprocamente compatibili. E se questa esigenza di compatibilità era divenuta sensibile nel 1

Guido Liuzzi, Ricordi e Pensieri di un ex-Intendente d'Armata, Roma, 1922, pag. 11 .

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corso delle battaglie di logoramento, per l'entità degli ammassamenti, dei consumi e delle perdite, essa doveva risultare esaltata da un ritorno ad una guerra di movimento, condotta da ingenti masse di armati e di mezzi, su vaste fronti ed a notevoli profondità, oltre zone di terreno sconvolto ed ostacoli naturali ed interruzioni. All'incremento dei consumi od, almeno, di alcuni di essi si dovevano allora accompagnare: la mobilità di organi, depositi e scorte; l'allungamento dei cicli viaggio; la flessibilità per adeguare i rifornimenti alle variazioni dei consumi connesse con il variare delle forze per le esigenze della manovra; gli interventi per il risanamento del campo di battaglia e per il ripristino delle comunicazioni. Anche a prescindere dal contrasto avversario, le possibilità di ordine logistico tendevano a porre limitazioni non superabili alla profondità delle avanzate possibili. Avrebbe poi dovuto apparire sempre più evidente - anche se non sempre correttamente apprezzato - come, a loro volta, la soluzione favorevole dei problemi operativi e della stessa «logistica di impiego» fosse subordinata alla preventiva soluzione del problema della «logistica di approvvigionamento» di quanto necessario alle Forze Armate ed al Paese. In buona parte la vittoria d~ll'Intesa era attribuibile al successo conseguito nel campo degli approvvigionamenti, delle produzioni e dei trasporti, nonché all'aver potuto imporre il «blocco» alle attività corrispondenti in campo avversario . In ultima analisi l'aspetto militare della lotta diveniva strettamente c,;melato a quelli della economia, della politica e del morale, pur rimanendo quello che finiva per determinare l'esito del conflitto e per segnarne la conclusione. 6. Del significato della battaglia e del nostro armistizio nel complesso delle operazioni dell'intesa nell'autunno del 1918

Da qualche parte si è sostenuto - come già abbiamo affermato - che la battaglia di Vittorio Veneto sia stata una battaglia inutile, intrapresa per motivi politici più che militari. Indubbiamente la battaglia fece fallire la manovra politica avversaria di arrivare a discussioni di pace senza essere stata sconfitta sul campo e permanendo profondamente nel nostro territorio; essa era stata imposta dalla esigenza di contrastare tutta una serie di manovre ai nostri danni che si andavano profilando sul piano politico e diplomatico. Ma essa era anche il risultato, lo sbocco necessario di tutta una preparazione verso l'azione offensiva che indubbiamente era stata vista come proiettata nella primavera del 1919, ma·che nell'autunno del' 18 già appariva possibile e tale da consentire successi importanti se non decisivi. Sul piano ,generale della guerra essa, con perdite relativamente limitate rispetto ad altre grandi battaglie di quel conflitto, rappresentò l'elemento catalizzatore che doveva provocare la fine delle ostilità sia sul nostro fronte


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sia - a breve distanza di tempo - su quello occidentale, risparmiando all'Italia ed a tutti i Paesi dell'Intesa un altro «inverno in trincea». In merito una risposta va data a coloro che, in riferimento soprattutto alle perdite sul Grappa, ebbero a definire la battaglia uno sforzo inutile in quanto l'incremento delle forze alleate in Francia avrebbe portato sicuramente alla vittoria dell'Intesa, indipendentemente dalla nostra offensiva. Al riguardo, appare come l'intero quadro della situazione politica e militare nell'autunno del 1918 imponesse la nostra partecipazione all'offensiva interalleata condotta su tutti i fronti. Va, anzi, ascritto alle difficili condizioni metereologiche se essa ebbe a subire ritardi deleteri. Con qualche esagerazione il Caviglia ebbe a scrivere 1 : «Una tegola è caduta sulla testa dell'Italia alla battaglia di Vittorio Veneto con la piena del Piave. Essa ha ritardato di due giorni lo sfondamento del fronte austro-ungarico e la richiesta di armistizio». E indubbiamente le caratteristiche del fiume, particolarmente nel periodo autunnale, ebbero influenza determinante sulle esigenze della preparazione, sulla condotta delle operazioni di forzamento e di attacco, ed anche sulle possibilità successive di alimentazione dello sforzo. Ma la nostra vittoria non fu inutile sul piano generale della guerra; essa, infatti, come si è detto, anticipandone l'esito finale permise alle Nazioni dell'Intesa di realizzare un notevole risparmio di energie e di vite umane. Senza la vittoria italiana, infatti, gli Imperi Centrali avrebbero potuto resistere ancora a lungo, almeno fino alla primavera del 1919, come prevedevano i Governi e gli Alti Comandi delle Nazioni dell'Intesa. Sul fronte occidentale, in particolare, l'offensiva alleata in Lorena avrebbe dovuto superare ostacoli consistenti e ritardi considerevoli a causa delle interruzioni predisposte dai Tedeschi su tutte le vie di comunicazione e soprattutto per la ·strenua difesa che indubbiamente l'Esercito germanico av~ebbe opposto sulla Mosa ed ai propri confini. Infatti, è ben vero che gli Imperi Centrali avevano già subito duri colpi con la duplice defezione, in successione di tempi, della Bulgaria e dell'Impero Ottomano. C'è però da rilevare che i due fronti, macedone e siriano, erano molto eccentrici rispetto a quelli occidentali, sui quali i due blocchi contrapposti giocavano il tutto per il tutto: il fronte italiano e quello francese. A tale proposito, basti pensare che le forze al comando del Gen. Franchet d'Esperey, dopo avere eliminato la Bulgaria, non erano certamente in grado di compiere con immediatezza una nuova offensiva sul fianco meridionale dell'Impero austro-ungarico; ciò sia per la conformazione di quell'ambiente naturale, aspro, quanto mai difficile ed implicante gravi difficoltà di ordine logistico, sia per l'esigenza di •

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Caviglia E., Diario, Casini, Roma, 1952, pag. 128.

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impiegare le forze vittoriose nell'occupazione e nella riorganizzazione del territorio conquistato. A suffragio di tali considerazioni, sta il fatto incontrovertibile che alla data del 26 novembre - quindici giorni dopo la cessazione delle ostilità su tutti i fronti - le avanguardie di cavalleria del generale francese erano ancora ferme a Negotin, sulla riva destra del Danubio, impossibilitate ad attraversare il fiume a causa della mancanza di mezzi necessari, e che le fanterie raggiunsero il fiume stesso soltanto all'inizio di dicembre del 1918. Se la nostra vittoria costituì un fattore decisivo nei riguardi della fine della guerra, occorre aggiungere che ciò fu sicuramente fonte di sorpresa sia per i nostri Alleati, sia per gli avversari. Nel campo dell'Intesa, infatti, era convinzione generale che la guerra sisarebbe protratta almeno fino alla primavera del 1919. A metà ottobre le armate alleate, se pure sembravano avere infranto per sempre le capacità offensive dell'Esercito germanico, avanzavano comunque verso est molto lentamente e molto penosamente, a prezzo di pesanti perdite. A quella data, esse si trovavano ancora a cento chilometri ad occidente dei vecchi confini e l'Esercito germflnico sembrava capace di resistere ancora a lungo sulla nuova linea difensiva apprestata dopo che la sua spinta offensiva si era smorzata; tale resistenza era d'altro canto questione di vita o di morte per il Reich, poiché intesa ad ottenere migliori condizioni di pace quando la stanchezza avesse finalmente sopraffatto gli Eserciti alleati ed esasperato le opinioni pubbliche dei loro paesi di fronte alla prospettive di un altro anno di guerra. Questa situazione si riflette benissimo nelle affermazioni fatte il 23 ottobre dal Ministro Balfour a Londra («sebbene ancora innumerevoli sforzi possano essere necessari e benché i nostri sacrifici non siano ancora alla fine, credo che siamo entrati in una fase di questa lotta gigantesca che non vedrà più ritorni di fortuna dei nemici») e nelle convinzioni del Maresciallo Foch, che alla domanda postagli il 29 ottobre da Clemenceau e da Lloyd George («quando finirà la guerra?») rispondeva vagamente: «Fra tre mesi, fra quattro, chissà ... ». In campo avverso, d'altro canto, la defezione della Bulgaria non aveva sollevato particolari preoccupazioni. Si consideri che il 2 ottobre il Presidente del Consiglio Hussareck dichiarava al Reichstadt di Vienna che l'armistizio ottenuto dalla Bulgaria aveva «creato a sud-est una situazione seria, ma niente affatto critica» e che a seguito delle misure prese in accordo con l'Impero germanico l'Austria aveva «motivo di attendere con calma l'ulteriore svolgimento degli avvenimenti nei Balcani». Quanto al pensiero degli ambienti militari e di Governo germanici, si può affermare che la stessa risposta deludente del Presidente Wilson alla richiesta di armistizio degli Im-


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peri Centrali aveva risvegliato in essi una forte volontà di proseguire la lotta. Il Ministro della Guerra tedesco aveva dichiarato, infatti, che l'Esercito non era stato ancora sconfitto e che le sue forze erano tali da rendere possibile la difesa con pieno successo ..Tale punto di vista venne ancora una volta confermato il 28 ottobre, mentre già infuriava la battaglia di Vittorio Veneto, in una riunione indetta a Berlino dal Governo germanico, alla quale intervennero fra gli altri il Gen. Groener (che era successo al Ludendorff nella sua carica) e due dei più stimati Comandanti del fronte occidentale, i Generali Mudra e Gallwitz. Proprio quest'ultimo espresse l'opinione che se si fosse continuato a mantenere atteggiamento difensivo e si fossero conseguentemente inflitte forti perdite al nemico, sarebbe stato possibile evitare la catastrofe ed indurre l'Intesa a mitigare le proprie pretese. D'altra parte, fino a quel momento l'Esercito austro-ungarico aveva dato prova di grande saldezza resistendo molto bene ai veementi nostri attacchi sul Grappa ed all'inizio della nostra offensiva sul Piave. Se queste erano le impressioni generali degli Stati Maggiori e dei Governi dei due opposti blocchi, è d'altra parte doveroso rilevare che proprio il campo avverso si rese conto per primo della pericolosità della nostra offensiva. Mentre, infatti, il Foch il 29 ottobre rispondeva a Clemenceau ed a Lloyd George nei termini ricordati, nella riunione di Berlino citata lo stesso Gen. Gallwitz affermò che le sue ottimistiche previsioni erano destinate a crollare nel caso in cui l'Austria-Ungheria fosse stata costretta a firmare una pace separata con .l'Italia. Infatti, in questo caso, qualora le truppe degli Alleati occidentali avessero potuto attraversare il territorio austriaco, la situazione per la Germania sarebbe precipitata. L'evolvere della situazione sul nostro fronte doveva in brevissimo tempo dare conferma all'alternativa più pessimistica del Gen. Gallwitz. Ed in.siem.e a lui, il primo a comprendere che la nostra vittoria avrebbe avuto effetto decisivo sulle sorti dell'intera guerra fu proprio il Capo del nostro Comando Supremo, il Gen. Diaz, il quale, d'altra parte, era sempre stato convinto assertore dell'affermazione che la vittoria dell'Intesa sarebbe stata colta sul fronte italo-austriaco. · Vittoria decisiva, dunque, la nostra, in quanto produsse l'immediato ritiro dalla guerra dell'Impero austro-ungarico e quindi, a distanza di una settimana, la richiesta di armistizio da parte della Germania, minacciata, ora, di operazioni ai suoi confini meridionali. Fin dall'inizio delle trattative di armistizio, il Gen. Diaz, deciso a sfruttare fino in fondo le felici prospettive rese possibili dallo sviluppo della battaglia, aveva telegrafato a Parigi all'Onorevole Orlando per manifestargli i'opportunità che, fra le clausole dell'armistizio in corso di definizione in

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quella sede, fossero inclusi lo sfruttamento delle comunicazioni stradali e ferroviarie della Duplice Monarchia ed il passaggio attraverso i suoi territori delle truppe dell'Intesa. L'Onorevole Orlando aderì completamente al punto di vista del Gen. Diaz e già fra il 2 ed il 3 novembre il Consiglio Superiore di Guerra Interalleato studiava la composizione di un raggruppamento di forze alleate da inviare in territorio austriaco per agire da sud contro .la Germania. Ma, come si è detto, la situazione determinatasi a seguito dell'armistizio di Villa Giusti fu immediatamente avvertita in tutta la sua gravità negli ambienti politici e militari della Germania. Già subito dopo la conclusione dell'armistizio stesso l'ambasciatore tedesco a Vienna, conte Widel, aveva telegrafato a Berlino ammonendo che la minaccia di un attacco italiano dal sud contro la Germania era ormai una prospettiva più che verosimile. Quindi, il 5 novembre, il Gen. Groener, in una riunione dei ministri del Reich, definiva disperata per la Germania la situazione determinatasi a seguito del crollo dell'Austria e manifestava l'opinione che la resistenza che l'Esercito germanico avrebbe potuto opporre agli Alleati sarebbe stata ormai di breve durata. Come vedremo, per fare fronte all'incombente minaccia da sud, il Comando Supremo germanico dispose movimenti di truppe ai confini con l'Austria ed il Ministro della Guerra della Baviera, Gen. Heeligrath, telegrafò al Consiglio Nazionale del Tirolo che la Germania era ormai costretta ad inviare proprie truppe nella parte settentrionale di quella regione. A questo invio il nostro Comando Supremo rispondeva con l'ordine ai Comandanti delle Armate 1a, 4a e 7a di provvedere subito ad occupare non solo i valichi di Resia e del Brennero, ma altresì Nauders nonché il corridoio Landeck - Innsbruck e di proseguire quindi con la massima celerità fino alla gola di Kufstein. Il 9 novembre a Spa, presso il gran Quartiere Generale germanico, alla presenza del Kaiser, si tenne una conferenza nel corso della quale si riconobbe che, in conseguenza della battaglia di Vittorio Veneto e dell'armistizio di Villa Giusti, le porte della Germania meridionale erano ormai aperte all'Esercito italiano; pertanto, non disponendo più il Reich di alcuna riserva da opporre all'invasione della Baviera, la situazione era da considerarsi disperata e non lasciava altra soluzione possibile se non l'accettazione di qualsiasi condizione di armistizio da parte dell'Intesa; la Germania era ormai alla mercé degli avversari. Il giorno stesso un proclama del Cancelliere Max di Baden faceva conoscere alla Nazione Tedesca che la Germania, «abbandonata nel quinto anno di guerra dai suoi alleati, non poteva più continuare la guerra». Si può dunque concludere sull'argomento riportando le parole scritte dal Gen. Ludendorff in una sua lettera del 7 novembre 1919 al Conte Lerchenfeld: «Nell'ottobre del 1918 ancora una volta sul fronte italiano rintro-


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nò il colpo mortale. A Vittorio Veneto l'Austria non aveva perduto una battaglia, ma aveva perduto la guerra e sé stessa, trascinando anche la Germania nella propria rovina. Senza la battaglia di Yittorio Veneto, in unione di armi con la Monarchia austro-ungarica, avremmo potuto continuare la resistenza disperata per tutto l'inverno, avere in tal modo tempo e possibilità di conseguire una pace meno dura, perché anche gli Alleati erano molto stanchi».

PARTE TERZA

Dall'armistizio di Villa Giusti all'apertura della Conferenza della Pace (4-XI-1918 / 18-1-1919)


CAPITOLO

XXI

LA SITUAZIONE GENERALE ALLA FINE DEL 1918 E LE MAGGIORI ATTIVITÀ OPERATIVE TRA LA FINE DELLE OSTILITÀ SUL NOSTRO FRONTE E L'APERTURA DELLA CONFERENZA DELLA PACE A VERSAILLES (Schizzi n . 45 ..,. 48; carte n . 45 -;. 47)

1. La situazione generale

Il periodo immediatamente successivo all'armistizio di Villa Giusti assunse aspetti assai mutevoli in brevissimo volgere di tempo . In Italia, il 4 novembre, il bollettino della Vittoria veniva accolto da manifestazioni di sollievo e di giubilo immenso. Ma, in quei giorni, la guerra continuava sul fronte occidentale contro la Germania, sicché la nostra vittoria: andava quasi inavvertita dalla opinione pubblica dei Paesi Alleati, la cui attenzione era rivolta agli avvenimenti sul fronte francese ed il cui entusiasmo esploderà solo dopo l'armistizio dell'll novembre a Compiègne. Anche in relazione alla eventuale prosecuzione di operazioni contro la Germania, di cui parleremo successivamente, il nostro Comando Supremo il 5 novembre diramava disposizioni tendenti ad evitare che un eccessivo entusiasmo potesse incrinare l'efficenza operativa delle Unità e ne indebolisse le possibilità d'intervento (Doc. n. 478). A guerra finita, poi, il precipitare della situazione politica ed economica nei Paesi vinti costituiva una nuova preoccupazione: al timore di una vittoria nemica succedeva quello che essi od i paesi che da essi si distaccavano potessero cadere vittime della «infezione bolscevica». In tutti gli Stati europei, inoltre, la cessazione del conflitto significava la smobilitazione delle organizzazioni di controllo delle attività pubblicistiche ed economiche, e la fine delle compressioni delle forze politiche in vista della vittoria. Quasi improvvisamente, così, tutte le forze politiche, sindacali e sociali si rimettevano in movimento e portavano a situazioni critiche in quasi tutti i Paesi, compresi quelli vincitori o neutrali . Ciò, per effetto di tre condizioni obiettive, difficilmente controllabili e non sempre correttamente intese: - in primo luogo, per le difficoltà ineludibili di soddisfare le vaste aspettative sociali in una situazione economica depauperata dag_li sforzi di guerra e posta dinnanzi alle esigenze di riconversione all'assetto di pace; - in secondo luogo, per il nuovo caratter~ di «massa» assunto dai movimenti politici; ciò, per lo sviluppo assunto dal ricorso alle attività di pro-


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paganda attraverso i mezzi di pubblica informazione nonché per l'accresciuto interesse alla cosa pubblica da parte delle masse popolari e combattenti, in genere su posizioni critiche nei riguardi delle oligarchie dirigenti prima e durante il conflitto e frequentemente ritenute responsabili degli errori veri o presunti compiuti durante la guerra; - in terzo - e non ultimo - luogo, per il carattere rivoluzionario assunto dai movimenti socialisti in molti Paesi. Dinnanzi alle difficoltà interne risultava tanto più necessario, anche ai Governi dei Paesi vincitori, di riportare successi nel settore della politica estera conseguendo quegli obiettivi che erano stati motivo del conflitto ed il cui raggiungimento, spesso, risultava ancora più giustificato - agli occhi della opinione pubblica - dai grandi sacrifici compiuti. Ma, mentre, ovviamente, era annullato il potere contrattuale dei paesi vinti, emergevano forti contrasti anche fra i Paesi vincitori nei riguardi dell'assetto post-bellico. Succedeva, anzi, che quanto più debole era la loro situazione interna tanto più i Governi avevano estremo bisogno e ricercavano successi nella politica estera, che giustificassero, dinnanzi alla propria opinione pubblica, i gravi sacrifici sostenuti e ne assicurassero un certo consolidamento. Questa era soprattutto la situazione dell'Italia, che, tra i Paesi vincitori, aveva senza dubbio una situazione tra le più difficili. Tutte le testimonianze ci parlano di un vasto entusiasmo popolare per il conseguimento di un grande successo nazionale ed il superamento di una così difficile prova. Le visite del Re a Trento ed a Trieste ed il suo rientro a Roma erano state salutate da scene di entusiasmo incontenibile; i discorsi del Presidente del Senato Marcora e del Presidente del Consiglio Orlando in data 14 novembre avevano riscosso grande successo- in Parlamento e nel Paese; ma non mancavano i segni premonitori delle difficoltà che si sarebbero dovute incontrare su tutti i piani della politica: da quella interna ed istituzionale a quella economica ed estera. Sul piano della politica interna, in politici e militari, era avvertito il desiderio di venire incontro - per quanto possibile e consentito da una ·difficile .situazione economica - alle aspirazioni ed ai bisogni popolari; ma si manifestavano anche, quasi immediatamente ed a tutti i livelli, forti sentimenti di reazione rispetto alle spinte rivoluzionarie, provocate dalle tendenze massimaliste nel seno del Partito Socialista Italiano affermatesi nel congresso del settembre 1918 e dall'influenza di quanto stava avvenendo in Russia. La situazione politica risultava poi aggravarsi piuttosto rapidamente, soprattutto nei grandi centri industriali, per le difficoltà economiche. Nelle campagne, infatti, le questioni della distribuzione di terre ai mezzadri ed

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ai braccianti agricoli e della soluzione del problema dei latifondi tornava ad avere qualche peso; ma soprattutto - come si è detto - emergevano difficoltà e disoccupazione nei grossi centri industriali. Già durante il 1918 si era verificata una certa contrazione nelle produzioni, che avevano avuto la loro punta massima nel 1917; ciò, per difficoltà varie di tempestivo rifornimento di materie prime, di risorse energetiche, nonché di disponibilità valutarie. Dopo la fine del conflitto, poi, queste difficoltà risultavano immediatamente ingigantirsi per la cessazione di quasi tutte le produzioni di guerra e per ·L problemi connessi con le esigenze di riconversione. Soprattutto, questa era resa problematica dalle difficoltà valutarie, connesse con la cessazione dei ·prestiti di guerra da parte britannica e statunitense. Le pubblicazioni del Crespi e del Nitti hanno dato conto delle difficoltà ·di quell'ora che avevano, naturalmente, gravi ripercussioni: sia sulla politica interna, sia anche sulla possibilità di condurre una politica estera effettivamente indipendente, a sostegno degli obiettivi nazionali. Infatti il nostro Paese doveva fare i conti con una realtà economica molto difficile. Le riserve auree erano diminuite di 19 milioni di sterline (nel 1918 la sterlina oscillava tra 38,47 e 37,63 lire); il costo del nostro conflitto, considerando le spese governative, il valore capitalizzato delle vite umane, le perdite per mancata produzione di beni e servizi, le perdite di beni per cause belliche, le perdite della marina mercantile, ammontava a 2736 milioni di sterline. Avevamo ricevuto prestiti dalla Gran Bretagna per 459 milioni di sterline e dagli Stati Uniti per 354 milioni. Il costo in vite umane. era stato imponente: oltre 460 mila uomini. Avevamo perduto 846.333 tonnellate di naviglio mercantile. Le problematiche da affrontare all'indomani dell'armistizio erano essenzialmente economiche, ma si inserivano in un contesto politico articolato e contraddittorio; sia sul piano esterno, dove i risultati della guerra risultavano immiseriti dai contrasti con gli Alleati maggiori, i quali tendevano a contenere lo spazio di manovra dei cosiddetti alleati minori, mai indicati come tali, ma in tal modo considerati nei fatti; sia su quell'interno per l'esplosione dei movimenti di massa ed i contrasti di interessi ideologici, politici, economici e sociali. La carta geografica del mondo era stata completamente sconvolta dal crollo della Duplice Monarchia, dalla sconfitta zarista e dalla rivoluzione bolscevica, dal disfacimento dell'Impero Ottomano, dalla resa imposta all'Impero Germanico e dalla disponibilità delle sue ricche colonie, d~ sorgere di due potenze oceaniche, gli Stati Uniti e il Giappone, dai diversi equilibri che si stavano profilando nel Mediterraneo e nel vicino Oriente, perturbati anche dalle contrastanti aspirazioni al controllo delle risorse petrolifere del1' area ed alla costituzione di un "Focolare" Ebraico in Palestina.


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In questa situazione complessa il Governo Orlando sentiva la necessità di evitare insuccessi nel campo della politica estera che, invece, risultava quello più minacciato per l'opposizione alleata al raggiungimento di alcuni obiettivi che apparivano, agli occhi dei più, del tutto giustificati. Dei contrasti circa l'assetto post-bellico, particolarmente al nostro confine orientale, abbiamo già avuto occasione di parlare né ci sembra opportuno estendere l'esame della questione in questa sede. Importa rilevare solamente come essi avessero gravi ripercussioni sulla solidità interna del Governo portando, il 28 dicembre 1918, all'uscita del ministro Bissolati dalla sua compagine e all'adesione, per quanto dubbiosa e malferma, dei°Presidente Orlando alle· tesi rivendicative del Ministro degli Esteri, On. Sonnino. L'Italia intendeva attenersi alle clausole del Patto di Londra, e quindi alla occupazione dell'Istria e della Dalmazia, ma puntava anche alla acquisizione della città .di Fiume, la cui popolazione italiana aveva invocato l'annessione alla Madre Patria con un messaggio del 30 ottobre. I problemi della politica estera emergeranno nella loro completezza nel corso delle riunioni a Versaglia e saranno gravidi di conseguenze per la situazione interna italiana, la quale dalle proteste per la «vittoria mutilata» e dalle pressioni rivoluzionarie, riceverà una forte spinta verso l'espansione delle forze nazionaliste e combattentistiche e, successivamente, verso le soluzioni totalitarie del fascismo mussoliniano, bene illustrate dal Vivarelli 1 e dal De Felice 2 • Ma questi avvenimenti incideranno sulla vita nazionale degli anni successivi; per ora, nel corso di questo primo periodo del dopoguerra, il Governo Orlando, confidando di poter ancora risolvere favorevolmente le questioni, praticamente si asteneva dal definire più decisamente la sua politica. In un certo senso, la vittoria militare era giunta inaspettata e, in assenza di accordi politici preventivi, le Autorità militari si trovavano ad affrontare nelle zone di confine ed a Fiume situazioni difficili che le incertezze governative tendevano ad aggravare. Come ebbe a dire il Salvemini, un periodo difficile, nel quale l'Italia non passava da una situazione di guerra ad una di pace ma da una situazione di attività combattiva ad una assai delicata ed impegnativa sotto molteplici altri aspetti, anche se non cruenti come per il passato. Per quanto si riferiva alla politica militare, il Governo era assillato dal problema di contrarre le spese ed avrebbe voluto soddisfare i desideri della popolazione con una pronta smobilitazione; ma, nel contempo, era desideroso di sostenere con una cospicua forza militare: sia il consolidamento in1 Vivarelli Roberto, Il dopoguerra in Italia e l'avvento del Fascismo (1912-1922) voi. I (Dalla fine della guerra a/l'impresa di Fiume). 1st. lt. Studi Storici, Napoli, 1967. 2 De Felice Renzo, Mussolini il rivoluzionario (1883-1920), Einaudi, Torino, 1965.

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terno; sia le proprie ragioni di politica estera; sia, infine, la ripresa del controllo nelle colonie, specialmente in Libia, con l'invio di forze consistenti. D'altra parte, il Comando Supremo andava piuttosto preoccupandosi di evitare impegni eccessivi e non era affatto entusiasta di dover assumere compiti e responsabilità di altri organi dello Stato: da quelli del Ministero degli Interni a quelli dell'Agricoltura, degli Approvvigionamenti, dei Trasporti, dei Lavori Pubblici ed altri, in tutta la Zona di Guerra, la quale ora comprendeva le vaste aree liberate e redente e le loro popolazioni. Ma la pratica assenza, per lungo tempo, di tutti i poteri civili e la situazione catastrofica ivi riscontrata imponeva all'Esercito di intervenire con larghezza di vedute e grande impegno di uomini, di strutture e di mezzi. Ora non vi erano più i combattimenti, e con essi le perdite ed i consumi relativi; ma in effetti l'attività, particolarmente dei Comandi, non era meno gravata del periodo precedente. Essa, anzi, era divenuta più complessa e più difficile. In precedenza l'attività operativa aveva avuto una assoluta prevalenza; essa era stata - in un certo senso - legata a decisioni ardue ma semplici e lineari: se attaccare, dove, con quali forze, come e quando. Sulla base di queste decisioni tutta la struttura operava per la realizzazione del disegno operativo; tutte le altre attività di comando avevano minore attenzione e risultavano, in un certo senso, sacrificate e dipendenti. Ora, invece, pur continuando - come vedremo - una intensa attività di carattere operativo, connessa con movimenti e trasferimenti di unità, variazioni di dipendenze, predisposizioni ed orientamenti in vista di ulteriori esigenze, le Grandi Unità dell'Esercito Mobilitato e la organizzazione logistica delle Intendenze erano investite da una serie di incombenze di nuovo genere: da quelle politiche-amministrative di assunzione dei poteri civili nelle aree li. berate od occupate, a quelle dei gravosissimi interventi con uomini, mezzi di trasporto, viveri e materiali, a favore delle popolazioni di tali aree e per il riassetto delle comunicazioni e del territorio. Ciò doveva essere compiuto in una situazione di penuria di personale qualificato per l'avvenuto inizio dei congedamenti, che portava a crescenti difficoltà nei Servizi, che dovevano assolvere con personale e mezzi insufficienti a compiti enormemente aumentati in campo sanitario, del vettovagliamento, del vestiario e dei trasporti; questi compiti non si riferivano solo alla propria compagine spostata dal Piave ai nuovi confini, ma anche alla enorme massa di prigionieri austriaci e di ex-prigionieri italiani liberati ed alla popolazione locale. Ora questioni politiche, amministrative, ordinative, logistiche si aggiungevano e si sovrapponevano a quelle operative e connesse con la vita propria delle Grandi Unità; esse presentavano aspetti di grande interesse nazionale impegnando uomini e risorse. D'altra parte non mancavano sinto-


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mi di decadimento della tensione morale che aveva sostenuto per l'innanzi tutto il complesso; ciò anche per le ripercussioni connesse con una lenta smobilitazione che obbligava ad un caleidoscopico avvicendarsi di scioglimenti di unità, di accorpamenti delle residue, di trasferimenti di uomini da una unità all'altra e delle medesime da una all'altra zona. Rompendosi così tutti i vincoli di reciproca conoscenza e fiducia, si finiva per minare la solidità dei Corpi, la loro compattezza disciplinare e la loro efficenza operativa, con conseguenze ancora poco sensibili ma che andranno aggravandosi successivamente.

2. Le principali attività operative Nella stessa giornata del 4 ·novembre il Comando Supremo diramava numerose disposizioni applicative dell' armistizio stipulato. Esse riguardavano essenzialmente: il nuovo schieramento delle forze, gli orientamenti circa il comportamento da esigere da parte degli avversari, ed i provvedimenti intesi a garantire l'acquisizione dei materiali bellici che ci dovevano essere ceduti. Circa il nuovo schieramento che l'Esercito doveva assumere, venivano dati gli ordini con i fogli 14769 G.M. e 14774 G .M. in data 4 novembre: - il primo disponeva che la 12a Armata si raccogliesse in piano, nella zona Cittadella - Trevignano - Istrana - Galliera Veneta ove sarebbe affluita anche la 24a Divisione francese appartenente alla 6a Armata. Peraltro la 52a Divisione (alpina) doveva raccogliersi nella zona Feltre - S. Giustina e, dal 5 novembre, passare alla dipendenza della 4a Armata; - il secondo (Doc. n. 381 cit.) indicava alle varie Armate i tratti di fronte che ciascuna di esse avrebbe dovuto occupare sulla linea di armistizio. In particolare: - la 7a Armata doveva portare il III Corpo d'Armata nella zona di Glurns - Merano assicurando la sorveglianza dallo Stelvio al Timmel Joch (Passo del Rombo) incluso; - la 1 a Armata doveva portare il V Corpo d'Armata nella zona Bressanone - Sterzing (Vipiteno) - Welsberg (Monguelfo) assicurando la sorveglianza dal Brennero alle Tre Cime di Lavaredo; la ga Armata doveva portare: l'VIII Corpo d'Armata nella zona di Pieve di Cadore - Ampezzo , assicurando la sorveglianza dalle Cime di Lavaredo alla Zermola (ad est del Passo di Monte Croce Carnico); il XXII Corpo d'Armata nella zona Tolmezzo - Chiusaforte, assicurando la sorveglianza del fronte dalla predetta località fino al M. Mangart (escluso);

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la 10a Armata doveva portare: il XVIII Corpo d'Armata nella conca di Plezzo, provvedendo alla sorveglianza dal M. Mangart (incluso) al M. Hradica (compreso); l'XI Corpo d'Armata nella zona di Tolmino, con il compito di assicurare la sorveglianza dallo Hradica al valico di Nauporto (escluso); la 3 a Armata doveva portare: il XXVIII Corpo d'Armata nella zona Aidussina - Nauporto per la sorveglianza dal valico di Nauporto (compreso) allo Javornik (compreso); il XIV Corpo d'Armata (di nuova assegnazione) nella zona Trieste - Volosca per la sorveglianza dal M. Javornik al mare; il XXVI Corpo d'Armata nella zona Pisino-Pinguente, per il presidio della Penisola Istriana. Gli altri Corpi d'Armata delle Armate predette dovevano raccogliersi in zone arretrate, così come le artiglierie di medio e grosso calibro; in particolare il XIV Corpo d'Armata britannico doveva disporsi nella zona fra Tarcento ed Udine, dove avrebbe dovuto essere raggiunto dalla 4ga Divisione inglese, che - come è noto - aveva operato con la 6a Armata e si trovava oltre Trento. Venivano inoltre date disposizioni per la raccolta in piano della 6a Armata fra Thiene, Marostica e Duevill~ mentre la 4a Armata doveva rimanere nella zona di Borgo - Fiera di Primiero - Bassano . Con un successivo foglio 14978 G.M. del 10 novembre verrà, poi, precisata la nuova ripartizione del territorio fra le Armate. Nei riguardi delle unità avversarie in ripiegamento veniva disposto che le nostre colonne avrebbero dovuto avanzare mantenendosi ad almeno 3 km senza esercitare alcuna pressione su di esse «anche per non fare ulteriori prigionieri» dati i problemi che il numero imponente di essi andava ponendo. Tale ordine di non esercitare alcuna pressione era ancora confermato in data 14 novembre. Nei giorni immediatamente successivi insorgeva il problema di alcune unità austro-ungariche le cui vie naturali di ritirata erano state tagliate, ma che non erano state catturate né completamente accerchiate entro le 15 del giorno 4 novembre. Era il caso delle truppe residue delle Divisioni 31 a, 41 a e 12a Schtitzen, la cui via principale di ripiegamento per la Pontebbana era stata tagliata dalla occupazione di Stazione per la Carnia da parte della 1 a Divisione di 'Cavalleria. Questa, trovandosi di fronte ad una forza cospicua, che premeva minacciando di aprirsi il passo, chiedeva come compor-


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tarsi. Il Comando Supremo in data 6 novembre rispondeva riaffermando che l'elemento dirimente doveva considerarsi l'ora dell'armistizio; infatti altre unità che avevano cercato di aprirsi il passo·in Val Natisone erano state costrette alla resa dalla 3 a Divisione di Cavalleria dopo vivaci combattimenti ancora il giorno 5 novembre. Ma, nel caso delle numerose unità austroungariche in zona di Gemona - Venzone, peraltro, venne considerato che la loro cattura avrebbe reso ancora più grave il problema dei rifornimenti che erano già così critici per le nostre stesse unità più avanzate. Sicché, considerando anche che tali unità alle ore 15 del 4 novembre non potevano dirsi del tutto accerchiate, essendo loro aperte le vie di ripiegamento per le montagne, con fono 14888 G.M. del 7 novembre, la 1a Divisione fu autorizzata a permettere il loro ripiegamento per la Pontebbana, previa consegna dell'armamento pesante e di reparto. In pratica, nelle more di questa decisione, parte delle predette unità aveva già iniziato il ripiegamento attraverso i passi montani passando in Alta Valle Isonzo; sicché fruivano della concessione i soli reparti della 31 a Divisione, che ripiegavano in data 8 novembre. Per quanto si riferiva alla acquisizione dei materiali dell'Esercito AustroUngarico, sempre nella giornata del 4 novembre: - con il fono 14762 G.M. veniva raccomandato di tenere distinto il materiale catturato prima delle ore 15 del 4 novembre, da considerarsi preda bellica, da quello che avrebbe dovuto essere consegnato per effetto delle condmoni di armistizio; - con il tele 14771 (Doc. n. 479) veniva comunicato che tutte le armi e gli equipaggiamenti avversari, eccetto quelli individuali, dovevano essere acquisiti avvalendosi di Commissioni di Controllo, i cui compiti venivano indicati con il foglio 54585 R.S. dell'Ufficio Ordinamento e Mobilitazione del Comando Supremo (Doc. n. 480). Non mancarono anche direttive intese a salvaguardare la consegna e la conservazione dei materiali catturati, nonché per il ritiro di armi di cui le popolazioni si fossero impossessate (Doc.

n. 481). Venivano altresì date successivamente disposizioni per: - correggere alcune distorsioni nel comportamento di talune Commissioni di controllo, che, contrariamente ai patti di armistizio, ritiravano anche le armi individuali; - dare piena e assoluta attuazione delle condizioni di armistizio; - pretendere una completa attuazione dei patti d'armistizio ponendo, se del caso, truppe a disposizione delle Commissioni di controllo. Venivano disposte anche notevoli variazioni ordinative. Infatti, già nella giornata del 6 novembre era stato ordinato che il III Corpo d'Armata passas-

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se dalla dipendenza della 7a Armata a quella della 1a Armata, che veniva così ad assumere la responsabilità dallo Stelvio alle Cime di Lavaredo e cioè di tutto il Trentino e l'Alto Adige, di cui il Generale Pecari Giraldi era stato anche nominato Governatore, con i poteri paragonabili a quelli di un Prefetto nel territorio nazionale. Ritenendosi poi non opportuno che un Comando britannico assumesse la responsabilità di un tratto della linea di armistizio destinato a divenire la nuova frontiera ed in vista dei compiti ulteriori previsti per quel Comando nelle eventuali operazioni verso la Baviera, il 7 novembre, con il foglio ·14911 G.M . all'oggetto «Entrata in linea della 9a Armata» (Doc. n. 482) veniva disposto che il Comando dell'Armata di Riserva (Ten. Gen. Paolo Marrone), sostituisse, dal giorno 9, il Comando della 10a Armata nei suoi compiti assicurando la sorveglianza nel settore affidato con i due Corpi d'Armata italiani già ivi destinati (XVIII e Xl). Il XIV Corpo d'Armata britannico, arretrato, sarebbe stato sostituito dal VI Corpo d'Armata già della 4a Armata ed avrebbe dovuto raccogliersi nella zona dei Monti Berici ad ovest di Padova. L'ordine in questione disponeva anche per la cessione ad altri Enti dei compiti già attribuiti al Comando della 9a Armata nei riguardi della sistemazione e sorveglianza dei passaggi sul Piave, e che alle esigenze logistiche della 9a Armata doveva provvedere l'Intendenza della 3a Armata. Contemporaneamente si doveva approfittare della sosta nelle operazioni per rimettere in completa efficenza le artiglierie e porle in condizione di muovere per altre destinazioni. Lo schieramento disposto con questi ordini rimarrà tale fino attorno al 18 --;- 20 del mese di novembre, quando avranno attuazione i provvedimenti di cui al1' ordine 15165 G.M. in data 15 novembre, di cui parleremo in seguito. Le predisposizioni relative al raggiungimento delle linee armistiziali e ad altre condizioni di armistizio presupponevano, peraltro, di trovare corrispondenza in comportamenti controllati e controllabili della controparte con la quale dette condizioni erano state stipulate. In effetti, il crollo dell'organizzazione politica e militare avversaria portava a situazioni imprevedute e talora tali da rendere difficile od impossibile la osservanza delle condizioni previste. Mancarono, ad esempio: la regolare consegna dei materiali che infatti furono molto spesso abbandonati e successivamente solo in parte recuperati; la restituzione ordinata dei prigionieri italiani nella Monarchia Asburgica, che, rilasciati immediatamente, affluirono isolatamente a piedi o con mezzi di fortuna ed in condizioni penose fino ai nostri territori. Risultò anche difficile mantenere contatti regolari con le unità nemiche, il cui personale ripiegava disordinatamente, ed attivare le Commissioni di controllo che non trovavano spesso una controparte. Tuttavia, nel complesso, le truppe già avversarie tesero ad accelerare con ogni mezzo i tempi


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del loro trasferimento in patria, abbandonando tutti i materiali di qualche peso, e non presentarono resistenze né fecero alcuna difficoltà alla avanzata delle nostre unità. In sintesi si può dire che (Schizzo n. 45): - la «linea gialla» intermedia, da raggiungere entro le 15 del giorno 9, risultava in alcuni punti già superata all'atto dell'armistizio; presto essa veniva anche superata nell'Alto Adige per le condizioni che si vennero a verificare in tale zona, e di cui parleremo in seguito; - la «linea blu», cioè la dorsale alpina, fu raggiunta entro le ore 15 del giorno 19 come previsto dalle condizioni armistiziali e come raccomandato dal Comando Supremo (Doc. n. 483) 1• Le condizioni in cui le nostre Unità si portarono avanti risultarono assai difformi nel settore settentrionale ed in quello orientale del fronte. Nel primo settore ebbero influenza la necessità di interventi, invocata dalle stesse Autorità militari austriache per sovvenire di viveri le proprie truppe residue fino al loro sgombero e le popolazioni, e l'afflusso di unità germaniche ai passi della dorsale alpina, di Resia e del Brennero. Questi afflussi ed altre considerazioni condussero poi alla occupazione di alcune località oltre la linea di armistizio, nella Valle dell'Inn. Nel settore orientale, invece, la difficoltà fu rappresentata dall'immediata ostilità delle popolazioni slovene e croate e da organi politici e paramilitari da esse costituite. Erano popolazioni che noi consideravamo parte dello Stato nemico ed anzi da comprendere fra quelle che più attivamente ci avevano combattuto e che, invece, appellandosi ai principi di Wilson nei riguardi delle nazionalità e delle volontà di autonomia dei popoli, tendeva1 «Linea gialla» era una linea intermedia oltre la quale, per quanto previsto dagli accordi armistiziali (Art. 5 delle clausole militari del protocollo aggiuntivo) avrebbero dovuto ritirarsi le unità austro-ungariche entro 5 giorni dalle cessazione delle ostilità, cioè entro il 9 novembre. Essa era determinata dalle seguenti località e corsi d'acqua: Tonale, Noce, Avisio, Pordoi, Livinallongo, Falzarego, Pieve di Cadore, Colle Mauria, alto Tagliamento, Fella, Raccolana, Sella di Nevea, Isonzo. Per effetto dell'andamento delle operazioni negli ultimi due giorni del conflitto in molti settori la «linea gialla» risultava già superata. «Linea blu» - era la linea definitiva oltre la quale le unità avversarie dovevano ritirarsi entro 15 giorni dalla cessazione delle ostilità, cioè entro le ore 15 del 19 novembre. Meglio specificata ali' Art. 3 delle clausole delle condizioni di armistizio, essa partiva dal Piz Umbrail sul confine svizzero, seguiva il displuvio alpino sulle Alpi Retiche e poi sulle Carniche fino a Tarvisio; da qui scendeva per lo spartiacque delle Alpi Giulie fra Valle Isonzo e Valli della Drava e della Sava fino al Monte Nevoso e, quindi, raggiungeva il mare in corrispondenza di Volosca, una diecina di chilometri ad occidente di Fiume. Le linee sopra indicate si riferiscono al solo fronte tridentino-veneto-giulio; ulteriori disposizioni riguardavano lo sgombero .dalla Dalmazia e da altri fronti. Le truppe avversarie che non avessero oltrepassato le linee indicate entro le giornate previste sarebbero state considerate prigioniere di guerra.


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Schizzo 45 - Le linee "gialla" e "blu" previste dall'armistizio di Villa Giusti (3.XI.1918)


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no a svincolarsi dal peso della disfatta ed a far parte della coalizione vittoriosa. Nel caso specifico esse ricercavano un'unione con la Serbia, proclamata in quei giorni con la costituzione dello Stato unitario serbo-croatosloveno sotto la Monarchia dei Karageorgevic. Le difficoltà ebbero poi ad assumere particolari aspetti ed intensità nella occupazione di Fiume (17 Xl) e delle località della costa dalmata sia per le resistenze frapposte dalle popolazioni locali," sia, soprattutto, per il contrasto con i nostri Alleati, «in primis» con la Francia. Esamineremo di seguito gli avvenimenti considerandoli separatamente nei settori delle diverse Armate fra cui fu ripartita la competenza delle zone liberate ed occupate. Ricorderemo, anche, come nei primi giorni di novembre, in parte prima ed in parte dopo l'armistizio, venivano eseguiti sbarchi, che portavano alla liberazione di Pola nella Penisola Istriana ed alla occupazione della Dalmazia e di numerose isole dell'Adriatico; anche di queste operazioni parleremo successivamente. In data 15 novembre, in una situazione generale di maggiore chiarimento e tranquillità, il Comando Supremo dava nuove disposizioni circa l'articolazione delle forze con il foglio 15165 G.M. all'oggetto: «Assetto della fronte nell'attuale periodo» (Doc. 484) (Schizzo n. 46 e carta n. 45). Esso definiva compiti, forze attribuite e limite di competenza di: 4 Armate disposte a tergo della linea armistiziale: 1• Armata, come in atto e fino a Sillian (incluso); 4" Armata, che doveva sostituire 1'8" ricevendone i Corpi d'Armata già in sito, da Sillian (escluso) al M. Mangart (incluso); 9" e 3" Armata, dal valico di Nauporto al mare con competenza su tutta la Penisola Istriana (esclusa la Piazza Militare Marittima di Pola) e sul Presidio Interalleato di Fiume. 2 Armate di Riserva (6" e 8"), dislocate nella Pianura Veneta. Il medesimo ordine prevedeva che il giorno 18 novembre avrebbero cessato di funzionare i Comandi delle Armate 7", 10• e 12", del Corpo di Cavalleria, nonché i Governatorati militari di Trento e Trieste. Peraltro, l'ordine relativo alla cessazione di questi ultimi veniva successivamente annullato ed i due organismi continuarono ad operare; anzi la loro costituzione veniva sanzionata giuridicamente con una Ordinanza del 19 novembre (Doc. 485 e n. 486). Successivamente venivano diramate direttive tendenti a precisare le rispettive attribuzioni politiche e militari dei predetti Governatorati e delle Armate; di maggiore rilievo: - le diréttive a 3" e 9" Armata ed al Governatorato della Venezia Giulia in data 25 novembre (Doc. 487);


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- le direttive similari indirizzate alla 1• Armata in data 26 novembre; - le direttive politiche del 28 novembre (Doc. 488): - le ulteriori disposizioni date con il foglio 21'11 del 30 dicembre (Doc. 489). Nei riguardi delle due Armate di Riserva, di cui non ci occuperemo ulteriormente nel prosieguo, ricordiamo solamente che: - la loro prima costituzione e la loro dislocazione arretrata nella pianura erano in funzione delle previste eventuali operazioni di Armate Interalleate contro la Germania meridionale, di cui si parlerà successivamente; - la 6° Armata (Ten. Gen. Luca Montuori) si raccoglieva più ad occidente ed era costituita da: I Corpo d'Armata nella zona di Monselice-Conselve-Este; XXVII Corpo d'Armata ·nella zona di Brescello-Bagnolo-CarpiMirandola-Suzzara; XII Corpo d'Armata nella zona di Lonato-Montichiari-Volta Mantovana-Villafranca. Tale Armata rimarrà costituita per maggior tempo venendo disciolta solamente il 1° luglio 1919. - la 8° Armata, (Ten. Gen. Enrico Caviglia), che aveva ceduto parte dei suoi Corpi d'Armata alla 4 • Armata che ne aveva assunto i compiti (Doc. 490) veniva dislocata· più ad oriente, nella zona Brenta-Feltre-Vittorio Veneto, ed era costituita da: Comando a Vittorio Veneto; Corpo d'Armata d'Assalto in zona di Conegliano-Vittorio Veneto; Corpi d'Armata VI, IX e XXX (già della 4• Armata) raccolti nelle zone a Sud del Grappa, in Val Brenta e Conca di FeltreFonzaso; 52" Divisione (alpina) in zona di Feltre-S. Giustina. Salvo cessioni di reparti vari alla 3 • e 9 • Armata e lo scioglimento in data 28 novembre del Corpo d'Armata d'Assalto, non vi furono successive varianti di rilievo alla costituzione dell'Armata, che, peraltro, con inizio dal 15 dicembre, si trasferiva integralmente nella zona di Sacile-TricesimoPalmanova, immediatamente ad occidente della 9• Armata. Il Comando dell'Armata era il 22 dicembre a Cervignano ed entro il 1° gennaio 1919 tutte le Unità dell'Armata avevano assunto la dislocazione ordinata. L'Armata assumeva a suo carico i lavori stradali, di riparazione argini del Tagliamento e di assistenza alla popolazione dell'area di dislocazione.

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Nel corso del mese di gennaio del 1919; essa perdeva il Reggimento Lancieri «Firenze», che rientrava a Roma (23-1), e le Brigate «Pesaro» e «Massa Carrara» disciolte (22-1). Infine, il 31 gennaio 19191' Armata veniva disciolta; cessavano di funzionare sia il suo Comando sia quelli dei Corpi d'Armata VI e IX. La 15• Divisione passava alle dipendenze della 4• Armata; la 17• Divisione alla 3 • Armata; le Divisioni 18 • e 2 • d'Assalto alla 9• Armata. Lo scioglimento dell'Armata era accompagnato da un vibrante Ordine del Giorno del suo Comandante, il Ten. Gen. Enrico Caviglia, che dal 18 del mese era stato chiamato ad assumere l'incarico di Ministro della Guerra in sostituzione del Ten. Gen. Vittorio Zupelli. Per quanto si riferisce alle Unità alleate:

- il XIV Corpo d'Armata britannico, si raccoglieva nella zona di Tregnago-Valdagno-Arzignano-Lonigo; - il XII Corpo d'Armata francese, rimaneva dislocato nella zona di Cartigliano-Castelfranco Veneto-Istrana; - la 6· Divisione cecoslovacca veniva trasferita nella zona di Castelfranco Veneto; successivamente, con l'afflusso di altri volontari fra i prigionieri boemi e slovacchi, veniva costituito ed armato il Corpo d' Armata Cecoslovacco (Gen. Luigi Piccione) con le Divisioni 6· e 1•; il Corpo d'Armata, nel corso del mese di dicembre 1918, sarà trasferito in Boemia. Venivano allora costituite, sempre con ex-prigionieri volontari, anche una Legione rumena e, successivamente, una Legione polacca. L'assetto delle forze disposto il 15 novembre rimarrà sostanzialmente inalterato per tutto il periodo successivo nel 1918 ed a lungo anche nel 1919, salvo minori varianti nei limiti di competenza fra le Armate (vds. alla carta n. 47 la situazione al 17.1.1919). Varieranno invece: l'articolazione dei Servizi di Intendenza, i limiti di competenza nelle retrovie, nonché le Unità dipendenti dalle diverse Armate in relazione all'avvio della smobilitazione, allo scioglimento di Comandi ed Unità, ai trasferimenti di quelle residue nell'interno della Zona delle Operazioni o del Territorio. Verso la fine dell'anno veniva disposta la riduzione della Zona di Guerra, restituendo alla responsabilità civile ampie aree di territorio; in pratica, la Zona di Guerra, che antecedentemente andava a comprendere tutta l'Italia settentrionale ad est dell'Adda ed a nord dell'Appennino Tosco-Emiliano, veniva ridotta all'area ad oriente delle provincie di Brescia e Mantova (incluse). Progressivamente, inoltre, venivano aboliti molti dei provvedimenti limitatori disposti dalle Autorità militari per il controllo delle corrispondenze, dei movimenti delle persone e dei trasporti; venivano inoltre consentite le riprese dei lavori e dei traffici in zone precedentemente vincolate da predisposizioni di-


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fensive o di altro genere. La maggiore variazione alla situazione delle Intendenze si aveva ai primi di febbraio del 1919 dopoché, il 1° di quel mese, era stato disposto lo scioglimento del Comando della 8 a Armata. Il territorio nord orientale rimaneva affidato alle Armate 1a, 4 a, 9a e 3 a, che disponevano ciascuna di una Intendenza. A tergo era costituita una Intendenza della Zona delle Retrovie, che provvedeva ad alimentare la 6a Armata ,nell'area tra Lago di Garda-Monselice-Mirandola-Carpi-Brescello e tutti gli altri Enti dislocati a tergo delle Zone delle Armate in linea. Una zona attorno al porto di Venezia era a disposizione della 3a Armata quale base dei rifornimenti e sgomberi a favore di questa Armata, che avvenivano ancora quasi esclusivamente per via marittina. Circa l'attività operativa perseguita dal nostro Comando Supremo nei due mesi immediatamente successivi alla fine del conflitto, si può concludere che esso aveva cercato e conseguito di assicurare quegli obiettivi territoriali che il Patto di Londra ci aveva riconosciuti che erano considerati indispensabili: sia ai fini della riunione alla Madre Patria delle terre irredente, sia in vista di garantire sicurezza ai nostri confini terrestri nord-orientali. Contrariamente a quanto affermato allora o successivamente, esso era contrario ad iniziative di ulteriori espansioni che potevano portare a gravosi impegni di forze ed a peggiorare le possibilità difensive, esponendoci a perenni contrasti con il nuovo Stato jugoslavo. In questo quadro si era aderito con scarso entusiasmo alle richieste della Marina per l'occupazione della Dalmazia e delle isole, il cui possesso peraltro ci era stato riconosciuto sia dal Patto di Londra sia dagli accordi armistiziali. In merito, ricordiamo che l'Articolo 4 dell'Armistizio stabiliva che le Potenze Alleate si riservavano il diritto di libero transito attraverso il territorio austro-ungarico e l'eventuale occupazione, al di là della linea di armistizio, di tutti i punti strategici «ritenuti necessari per rendere possibili le operazioni militari o per mantenere l'ordine». Iniziative di occupazione al di là della linea armistiziale furono assunte esclusivamente nei riguardi di località dell'Alta Valle dell'Inn (Landeck ed Innsbruck) e di Fiume; di esse si parlerà più dettagliatamente in prosieguo considerandone a fondo le motivazioni ed i limiti. Vennero invece respinte tutte le altre iniziative. In particolare vennero ritirate nostre unità che nella zona di Nauporto avevano inavvertitamente oltrepassato la linea armistiziale per la indeterminatezza di tale linea nella zona; ciò, peraltro, solo dopo aver resistito dinnanzi a scorretti e minacciosi interventi di militari jugoslavi. Vennero, altresì, respinte richieste di intervento nella zona della Valle Gail ad oriente di Tarvisio. Quivi, si ebbero a verificare tensioni ed inciden-

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ti fra popolazioni di lingua tedesca e slava e l'avanzata di unità jugoslave attorno alla fine di novembre ed ancora verso il Natale del 1918. Queste inducevano rappresentanti delle popolazioni locali a rivolgersi ai Comandi della 4a Armata in zona di Tarvisio con richieste di nostri interventi. Ma, nel novembre, il Comando Supremo dispose negativamente prescrivendo alla 4a Armata (e successivamente anche alle altre Armate), che eventuali interventi oltre la linea di armistizio dovessero essere sempre prospettati al Comando Supremo e da esso disposti (Doc . 491, 492, 493). Nel dicembre, poi, la questione era rappresentata al Governo con parere nettamente negativo, che veniva rafforzato da quello concorde del Ministro degli Esteri Sonnino. Sembra interessante l'annotazione del Sottocapo di Stato Maggiore, Gen. Badoglio, che leggeva: «Benissimo, lasciamo che fra tedeschi e slavi si accapiglino»; annotazione rivelatrice della irritazione predominante negli ambienti del nostro Comando Supremo verso gli antichi e nuovi nemici alla frontiera orientale, sempre uniti nella ostilità verso di noi, durante il .conflitto ed anche successivamente. 3. Le predisposizioni in vista di operazioni contro la Germania meridionale (Schizzo n. 47 e carta n. 46)

Fin da quando l'andamento delle operazioni si era rivelato tanto promettente da far apparire possibile la conclusione di un armistizio favorevole con il nostro diretto avversario che aveva richiesto l'apertura di trattative, cioè fin dagli ultimi giorni di ottobre, il nostro Comando Supremo aveva preso in considerazione la possibilità di proseguire le operazioni contro la Germania. Si trattava evidentemente, oltre che di contribuire ad un pronto esito della guerra: di riaffermare ancora una volta la nostra piena adesione allo sforzo interalleato; di controbattere le accuse a noi rivolte per il ritardo con cui era stata dichiarata la guerra alla Germania; di ribadire l'importanza del nostro sforzo militare su un fronte difficile che i nostri Alleati avevano erroneamente sempre considerato secondario. D'altra parte, sul piano militare, non era ancora affatto certo che la Germania fosse prossima alla resa e l'estensione della minaccia ai suoi confini meridionali poteva avere effetti determinanti. Così, già nella giornata del 30 ottobre il Gen. Diaz aveva telegrafato al Presidente Orlando a Parigi prospettandogli l'opportunità di comprendere fra le condizioni di armistizio il libero passaggio di truppe alleate attraverso il territorio austriaco. La nostra proposta veniva accettata entrando a far parte del testo armistiziale, ali' Articolo 4 °. Contemporaneamente, a Padova, venivano poste allo studio le possibilità di sfruttamento delle vie ferroviarie ed ordinarie utilizzabili per una radunata di forze consistenti al di là della dorsale alpina, al confine bavarese


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con l'Austria. Il giorno 2 novembre l'Ufficio Operazioni presentava i primi risultati di tale studio (Doc. 494), che consideravano possibile di far affluire per ferrovia, in circa 15 + 20 giorni, 40 + 45 Divisioni alla fronte precitata. Peraltro, tale possibilità era subordinata al preventivo riattamento delle comunicazioni in Val Lagarina e nella Pianura Veneta, ed all'allacciamento fra i sistemi ferroviari italiano ed austriaco. L'effettiva attuazione di una minaccia consistente avrebbe potuto quindi verificarsi solo verso la fine dell'anno, nel pieno della stagione invernale ed era, quindi, subordinata anche al preventivo soddisfacimento di numerose altre esigenze logistiche. Tuttavia, le probabili ripercussioni di carattere politico e militare erano così evidenti che anche in sede di Consiglio Supremo di Guerra a Parigi, allora riunito per definire le condizioni di un eventuale armistizio con la Germania, le prospettive del verificarsi di tale evento, che il giorno 29 ottobre era apparso così lontano sia al Maresciallo Foch che al Maresciallo Haig, venivano allora ritenute conseguibili a più breve scadenza. Ora, anzi, si giudicava che, se l'Austria-Ungheria avesse accettato le condizioni impostele con il testo approvato il 31 ottobre, la Germania avrebbe dovuto accedere a sanzioni più severe. In questo quadro, appariva opportuno esercitare al più presto tale minaccia al confine meridionale della Germania, che veniva definito in via orientativa secondo linee assai similari a quelle dello studio del nostro Comando Supremo. In particolare il Foch, con i Rappresentanti militari Alleati, proponeva al Consiglio di Guerra di: -

agire concentricamente verso Monaco di Baviera con: una Armata di 10 Divisioni concentrata nella Valle dell'Inn in zona di lnnsbruck; un secondo gruppo di 20 + 30 Divisioni, riunite in 2 Armate, concentrate nella zona di Linz; - impiegare a tale scopo ben 35 Divisioni italiane e le 5 Divisioni alleate già in Italia, ponendo il Gruppo di Armate agli ordini di un Generale italiano, 1 ma prevedendo che l'insieme delle operazioni contro la Germa1 Da annotazioni a matita del Gen. Robilant appare che, come riportato anche da Luigi Aldrovando Marescotti nel suo libro «Guerra diplomatica» (Mondadori, Milano, 1937) venisse considerata la designazione del Duca d'Aosta al comando del Gruppo di Armate; veniva anche prevista la nomina dei Generali Giardino e Caviglia al Comando delle due Armate italiane e del Gen . Petitti di Roreto al Comando delle Retrovie. Da un successivo telegramma del Gen . Robilant risulta, invece, che il Mar. Foch faceva prevalere la sua proposta, cui il Presidente Orlando non si opponeva, di affidare il Comando delle Armate ai Generali delle tre nazionalità italiana, inglese e francese perché apparisse più evidente il carattere e la volontà interalleati della minaccia. Rimaneva attribuito ad un Comandante italiano l'incarico del Comando del Gruppo di Armate, da assegnarsi secondo le designazioni del Governo italiano. Questo designerà il Ten. Gen. Pietro Badoglio.


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nia sarebbe stato diretto dal Comandante delle Forze Alleate sul fronte occidentale, cioè dal Maresciallo Foch medesimo; - far concorrere all'azione di tali forze queHa di una o due Divisioni Cecoslovacche costituite in Italia ed il concorso di unità fornite dall'Armata d'Oriente del Generale Franchet d'Esperey; - operare in tal modo entro circa un mese. Il Gen. Robilant dava, il 3 novembre, comunicazione di quanto sopra al Comando Supremo (Doc. 495) avvertendo peraltro di aver espresso qualche riserva circa l'entità delle forze che l'Esercito Italiano avrebbe potuto mettere a disposizione e circa i tempi in cui l'operazione avrebbe potuto essere eseguita. Il giorno successivo comunicava (Doc. 496) che il piano era stato approvato dal Consiglio Supremo salvo la riserva relativa al numero di Divisioni che l'Italia avrebbe dovuto fornire. Egli successivamente rinnovava al Presidente del Consiglio Italiano, il 4 novembre (e, con la sua approvazione, al Maresciallo Foch, il 6 novembre) i suoi dubbi circa la possibilità di eseguire i trasporti ferroviari nei limiti di tempo contemplati. Il Gen. Robilant inviava, il 5 novembre, al nostro Comando Supremo copia della intera documentazione relativa alle discussioni intercorse a Versaglia con il foglio 6133. L'andamento delle conversazioni a Versaglia e le decisioni conseguenti non risultavano molto gradite al nostro Comando Supremo che, con suoi messaggi del 4 novembre a Parigi, rivendicava la priorità e la spontanea iniziativa con le quali era stata da noi considerata la prosecuzione della guerra contro la Germania, per la quale erano già in corso di esecuzione le disposizioni per la raccolta delle unità impiegabili (Doc. 497). Veniva anche prospettata l'opportunità che l'Esercito Italiano continuasse ad agire riunito agli ordini del nostro Comando Supremo e di dare pubblicità all'apporto dato così, d'iniziativa, dall'Esercito Italiano al successo dell'Intesa. In seguito, mentre si procedeva alla raccolta delle unità nella pianura tra il Mincio ed il Tagliamento alla dipendenza della 6a ed 8a Armata, veniva previsto che la 1a Armata, dopo l'occupazione dell'Alto Adige, dovesse assicurare lo sbocco oltre la dorsale delle Alpi con l'occupazione della valle dell'Inn fra Landeck ed Innsbruck. Nei giorni successivi, anteriori peraltro all'll novembre, l'annuncio che unità germaniche erano affluite al Brennero portava ad uno scambio di telegrammi fra il Gen. Robilant ed il Presidente Orlando affinché, come nelle condizioni dell'armistizio con l'Austria era stato stabilito che truppe germaniche dovessero abbandonare il territorio austriaco, così il ritiro delle truppe germaniche accorse nel Trentino fosse contemplato da analoga disposizione nell'armistizio in corso di definizione con la Germania.

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La firma dell'armistizio con la Germania non faceva considerare superate le predisposizioni connesse con eventuali operazionai contro quel Paese. È noto, infatti, che, soprattutto nel Comando Francese, permaneva il timore che la Germania potesse riprendere le operazioni dinnanzi alle dure condizioni di armistizio od a quelle che si intendeva porle nella Conferenza della pace. Come appare da una lettira del Rappresentante del Maresciallo Foch presso il nostro Comando, Maggiore Parisot, in data 13 novembre, tale preoccupazione non era condivisa dal Gen. Badoglio, che riteneva possibile esercitare una pressione sulla Germania limitandosi a dislocare nella valle dell'Inn un complesso di forze celeri in grado di penetrare rapidamente in Baviera. Nella medesima comunicazione si dava conto delle date entro le quali avrebbero potuto essere garantite le connessioni ferroviarie in Val Lagarina (22 novembre) e sulla Pontebbana (solo a fine mese). Venivano così confermate le previsioni del Gen. Robila.n t di una azione possibile solo verso la fine dell'anno. In concreto, solo attorno al 23 del mese la 1a Armata effettuava l'occupazione di Landeck ed Innsbruck: occupazione che, oltre a garantire la possibilità di radunate in Valle Inn per eventuali operazioni verso la Baviera, permetteva anche di poter eseguire eventuali interventi in Austria intesi ad assicurare l'osservanza delle condizioni di armistizio, nonché ad intervenire nel caso che si fossero esasperate le forze politiche tendenti ad una unione con la Repubblica germanica, cosa che non si intendeva assolutamente accettare. Con maggiore calma, inoltre, l'Ufficio Operazioni in data 29 novembre presentava una «Memoria sull'Operazione in Baviera» (Doc. n. 498) che, firmata dal Gen. Badoglio, veniva approvata dal Gen. Diaz e da questi trasmessa, «per conoscenza», al Mar. Foch. In tale memoria venivano considerati: - una articolazione su 4 Armate (6· -8·-10•-12•) per complessive 29 Divisioni, delle quali 24 italiane, 3 britanniche e 2 francesi; - 35 giorni necessari per la radunata nella zona: Alto Inn-SalisburgoLinz-Lambak; - rinforzi alleati di 650 locomotive, 15.000 vagoni, 2.500 tonnellate giornaliere di carbone, 8.500 autocarri di cui due terzi della categoria 18 B.L., motocicli, benzina e lubrificanti, un larghissimo quantitativo di indumenti invernali qualora l'operazione fosse stata intrapresa nell'inverno medesimo (uno studio dell'Intendenza Generale indicava la necessità di 2 milioni di serie complete di vestiario e di equipaggiamento). Peraltro ogni idea di effettuare l'operazione veniva successivamente abbandonata; nel corso del mese di dicembre 1'8 a Armata era trasferita più ad Oriente nella zona Pordenone-Tarcento-Cervignano, a tergo delle Ar-


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mate 9" e 3" in connessione alle tensioni ed alle voci di attacchi di forze jugoslave alla nostra linea di occupazione orientale. Come sappiamo, la predetta Armata veniva. poi disciolta a fine gennaio 1919 e la sola 6" Armata rimaneva di riserva nella zona a sud del Garda. Anche le Divisioni francesi e britanniche ed il Reggimento statunitense iniziavano ad effettuare il rimpatrio del proprio personale; esse rimarranno in tale dislocazione fino alla primavera-estate del 1919 subendo graduali riduzioni e venendo successivamente rimpatriate. Nel corso del novembredicembre 1918, esse fornivano alcuni battaglioni destinati a dare carattere interalleato alle occupazioni di località al di là della linea di armistizio. In particolare, venivano dislocati: - a Fiume, tre battaglioni (britannico, francese, statunitense); - a Cattaro, due battaglioni (francese, statunitense); - in Valle Inn, due battaglioni (britannico ad lmst, francese a Schwaz). 4. Le operazioni della l8 Armata in Alto Adige e l'occupazione di località nella Valle dell'lnn

Ricordiamo come, entro le ore 15 del 4 novembre, truppe della 75" Divisione (Ili Corpo d'Armata - 7" Armata) avessero raggiunto Sluderno (Schluderns) e Malles (Mals) in Val Venosta, sènza incontrare resistenza e lasciando peraltro passare, disarmate, unità austriache in ripiegamento, e come altre unità dell'Armata fossero giunte al Passo della Mendala immediatamente a sud ovest di Bolzano. In Val Lagarina le truppe della 1a Armata erano giunte oltre Salorno. Mentre nella Valle dell'Adige l'ulteriore ripiegamento delle truppe austriache era reso difficile dall'imponente numero degli uomini che doveva usufruire dell' unica via di ritirata disponibile, anche l'avanzata delle nostre unità non si presentava agevole per le difficoltà di alimentazione logistica dagli ormai lontani depositi d'Intendenza attraverso itinerari sconvolti, nonché per l'assottigliamento delle formazioni dovuto ai compiti vari di: costituzione dei presidi, accompagnamento di prigionieri, custodia di campi di raccolta materiali catturati, ecc .. Tuttavia , già nelle prime ore del 5 novembre, in vista di garantirsi possibilità di sbocchi oltre la dorsale alpina e di facilitare così la successiva eventuale ripresa delle operazioni contro la Germania meridionale, il nostro Comando Supremo ordinava alla 7" Armata di far proseguire l'avanzata della 75" Divisione oltrepassando l'ormai prossimo Colle di Resia e raggiungendo Landeck nella Valle dell'Inne, quindi, l'importante centro di Innsbruck. Gli ulteriori deflussi di truppe nemiche avrebbero dovuto avvenire per i passi del Brennero è di Dobbiaco. L'ordine, evidentemente, non supponeva difficoltà alcuna (Tele n. 14794 G.M. del 5-XJ-1918). Per quanto si riferiva

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ai movimenti in Val Lagarina, invece, essi venivano accelerati dal sopravvenire di richieste, in data 5 novembre, al Comando della 1• Armata a Trento nonché al Comando Supremo, da parte del Comando della 11 • Armata austro-ungarica, di un nostro intervento immediato per ristabilire l'ordine sulle linee ferroviarie oltre Bolzano e nella regione e per assicurare il vettovagliamento delle truppe austriache rimaste nella zona. Il nostro Comando Supremo aderiva a tale richiesta (Doc. 499) e contemporaneamente disponeva che l'intero III Corpo d 'Armata della 7" Armata (5" e 75" Divisione) passasse a disposizione della 1• Armata, che doveva provvedere alla occupazione sia della zona Landeck-Innsbruck sia di quella Bolzano-Brennero; il giorno successivo, come è noto, detto Corpo d'Armata transitava alla dipendenza della 1• Armata e contemporaneamente veniva disposto perché 1'8" Armata occupasse Sillian, oltre il Passo di Dobbiaco ed alla testata della valle del Gail, per guardare dalle provenienze da est - inviandovi il Gruppo d'Assalto già dislocato a Pieve di Cadore. I Comandi della 1• e della 7 • Armata iniziavano a dare esecuzione a quanto disposto; in particolare veniva previsto che tutte le unità del III Corpo d'Armata affluissero in Val Venosta, mentre la 5" Divisione doveva costituire uno sbarramento all'altezza di San Michele di Appiano-Bolzano in modo da obbligare le residue truppe avversarie a ripiegare per la Valle dell'Isarco. Peraltro, il giorno 6 novembre, veniva disposto che l'avanzata della 75 • Divisione si arrestasse al Passo di Resia in attesa che si chiarisse la situazione in Valle Inn; anche l'avanzata in Val Lagarina veniva rallentata dalla situazione caotica sulla via tra Ora e Bolzano , quale veniva comunicata dal Comando del XXIX Corpo d 'Armata, e dalle difficoltà di alimentazione logistica. Il 7 novembre, mentre il Comando Supremo comunicava il prossimo afflusso a Bormio della 34" Divisione (la Divisione avrebbe dovuto successivamente affluire al III Corpo d'Armata per essere destinata ad occupare Nauders e Landeck mentre la 75" Divisione si sarebbe spostata tutta nella zona di Innstiruck, ma il suo trasferimento fu poi annullato), la 1• Armata disponeva che la 75" Divisione, occupato il Passo diResia, si spingesse almeno fino ai forti del passo di Finstermiinz, a nord di Nauders (Doc. 500). Ma il Comando della Divisione rappresentava le difficoltà di rifornimento attraverso il Passo dello Stelvio, che, nella stagione ormai avanzata, non consentiva il transito ad autocarri e carri ma solo, e saltuariamente, a salmerie con carico leggero; sicché la sua avanzata avrebbe potuto avvenire con limitata aliquota di forze e fino al solo Passo di Resia. Nella stessa giornata il Comando della 1• Armata disponeva che il III Corpo d'Armata occupasse Bolzano, mentre il X Corpo d'Armata doveva far avanzare la 6" Divisione nella Valle Isarco fino al Brennero. Ciò in relazio-


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ne al nuovo assetto dell'Armata che prevedeva la dislocazione del III Corpo d'Armata dallo Stelvio al Timmeljoch e del X, anziché V, dal Brennero alle Cime di Lavaredo. Il XXIX Corpo d'Armata doveva rimanere di riserva in Val Lagarina a sud di Bolzano, mentre il V Corpo d'Armata doveva raccogliersi in piano nella zona di Schio. Ma, sempre nella giornata del 7, pervenivano notizie di afflussi di unità tedesche al Passo del Brennero. Era lo stesso Comando dell' 11 a Armata austriaca che ne dava comunicazione al Comando 1a Armata in Trento precisando che essi avvenivano contro la sua volontà e non significavano violazione dell'armistizio. Sicché il Comando dell'Armata ne avvertiva i Comandi dipendenti ed il Comando Supremo (Doc. 501). Notizie in merito pervenivano anche da altri fonti e risulteranno confermate anche dalla stampa svizzera che, nella stessa data, pubblicava addirittura, sul «Bund» di Berna, il telegramma del Ministero della Guerra Bavarese, inviato il 5 novembre al Consiglio Nazionale del Tirolo e preannunciante tale afflusso. Notizie sull'afflusso di queste unità verso il Passo di Resia e del Brennero erano confermate il giorno 8 dai Comandi del III e del XXIX Corpo d'Armata; quest'ultimo, anzi, comunicava che 1.500 Bavaresi erano già a Fortezza (Franzenfeste). Mentre il III Corpo d'Armata ordinava di portare a due battaglioni la nostra occupazione del Passo di Resia, il XXIX Corpo d'Armata disponeva l'occupazione del Passo di M. Giovo (Jaufenpass) a monte della Valle Passiria e di Chiusa (Klausen) in Valle Isarco allo scopo di impedire una loro eventuale ulteriore avanzata (Doc. 502). In relazione alle notizie pervenute il Comando Supremo, con il Suo Ordine 14900 G.M. in data 8 novembre (Doc. 503), disponeva per l'assegnazione di nuove forze alla 1a Armata ordinandole di «aprirsi al più presto, a qualunque costo e con qualunque mezzo, il passo e non solo occupare i valichi di Reschen e del Brennero, ma spingersi oltre quanto più possibile celermente per occupare in forze Nauders e il corridoio di LandeckInnsbruck, per portare poscia gradatamente l'occupazione fino alla gola di Kufstein». All'ordine del Comando Supremo faceva seguito quello dell' Armata, il quale prevedeva che il III Corpo d'Armata spingesse la 75a Divisione al Colle di Resia e la 5a Divisione verso il Passo di M. Giovo; il X Corpo d'Armata, invece, doveva occupare Bolzano, sostituirvi gli alpini della 5a Divisione ad avanzare verso Chiusa. L'intero X Corpo d'Armata doveva poi avanzare verso Bressanone e Vipiteno e procedere alla occupazione del Passo del Brennero. Ulteriori ordini venivano dati il 9 novembre al Gen. Cattaneo, Comandante del X Corpo d'Armata, perché si recasse a Bolzano assumendo il coordinamento di tutte le operazioni per la conquista del Brennero.

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Nella giornata pervenivano allarmate informazioni che, mentre già la sera del giorno 8 era stato occupato il Passo di Resia, minori unità bavaresi erano giunte fino a S. Martino in Val Passiria ed a Bressanone; ma già verso sera pervenivano comunicazioni tranquillizzanti dei Generali Cattaneo e Camerana. Le unità bavaresi a Vipiteno ripiegavano dinnanzi alle nostre truppe, che avevano già occupato Bressanone e la fortezza di Vipiteno: l'occupazione tedesca del Passo di M. Giovo era costituita da una sola compagnia, verso la quale marciavano i due battaglioni alpini «Moncenisio» e «Fenestrelle»; le unità austriache ancora in zona ripiegavano ordinatamente e non ostacolavano l'avanzata della Brigata «Chieti» della 6a Divisione e del Battaglione alpini «M. Mandrone»; la Brigata «Valtellina» della medesima Divisione stava giungendo, autocarrata, a Bressanone; nella giornata del 10 sarebbero proseguite le operazioni di avanzata verso il Brennero. Quando, in precedenza, nella stessa giornata, erano pervenute le più allarmanti notizie circa un'avanzata dei Bavaresi fino a Bressanone, il Gen. Pecari Giraldi aveva richiesto al Comando Supremo che la 4a Armata si spingesse nella valle della Rienza (Doc. 504); ma il Comando Supremo aveva obiettato che il concorso delle truppe della 4a Armata non avrebbe potuto essere tempestivo data la loro distanza dalla valle della Rienza. Esso disponeva invece che l'Sa Armata, che aveva già occupato con un gruppo d'assalto la località di Sillian, spingesse il più celermente possibile un gruppo su Brunico (Doc. 505). Successivamente veniva invece disposto che le due località di Sillian e di Brunico venissero occupate, ciascuna, da un Gruppo del V Raggruppament9 alpino mentre il gruppo d'assalto già a Sillian doveva raccogliersi nell'Ampezzano rientrando alla propria Divisione (1 a Divisione d'Assalto). Nella giornata del 10 novembre le nostre truppe raggiungevano il Passo del Giovo entro le 13,30, e verso le 17 il Passo del Brennero senza incontrare resistenza da parte delle unità bavaresi, che, anzi, comunicavano di aver ricevuto ordini di ripiegamento dall'Austria entro 3 giorni (Doc. 506). Nei giorni successivi le unità dell'Armata andavano riordinandosi e predisponendo gli ulteriori movimenti delle Grandi Unità destinate alle occupazioni di Landeck (75a Divisione) e di Innsbruck (6a Divisione) mentre altre Grandi Unità serravano distribuendosi nell'area assegnata all'Armata secondo direttive del 14 novembre (Doc. 507). Contemporaneamente aveva luogo il ritiro accelerato delle truppe austriache dall'Alto Adige, ritiro che risultava facilitato da una ripresa più ordinata dei trasporti ferroviari; a dare l'idea del peso di tali movimenti sarà sufficiente dire che, in una quindicina di giorni, vennero sgomberati oltre quattrocentomila uomini, avvalendosi sia dei trasporti ferroviari, sia di movimenti per via ordinaria. La profondità dell'avanzata compiuta dalle nostre truppe, lo stato del-


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le rotabili e l'insufficienza dei mezzi di trasporto automobilistico, la continuata interruzione della linea ferroviaria in Val Lagarina, fra Ala e Trento, ed in Valsugana, l'entità degli oneri connessi con ii vettovagliamento di prigionieri, unità austriache e popolazioni, avevano intanto portato a gravi difficoltà nei Servizi di Intendenza, ed a sitµazioni critiche che avevano provocato anche interventi del Comando dell'Armata (Doc. 508). La situazione peraltro rimarrà difficile e migliorerà lentamente solo dopo la riattivazione del movimento ferroviario in Val Lagarina. Sicché, solo il 15 novembre il Comando dell'Armata disponeva che il giorno 18 si attuasse la prevista occupazione di Landeck da parte della 75a Divisione alle dipendenze del III Corpo d'Armata (che avrebbe dovuto portare truppe della 5 a Divisione al Passo di Resia) e quella di Innsbruck da parte della 6a Divisione alle dipendenze del X Corpo d'Armata, (che, a sua volta, avrebbe dovuto presidiare il Brennero e Gries con il V Raggruppamento alpino) (Doc. 509). Contemporaneamente l'Armata sollecitava l'assegnazione di un'altra Divisione per il X Corpo d'Armata. Peraltro, il 17 novembre il Gen. Pecori Giraldi, con un suo "Riservato Personale" (Doc. 510), manifestava perplessità circa l'opportunità di tale occupazione che, «non procurerebbe vantaggio alcuno se limitata ai due centri abitati predetti» mentre sarebbe stato opportuno, limitandosi alla occupazione degli immediati sbocchi oltre la dorsale alpina e sorvegliando più facilmente un confine ben netto e facile da sorvegliare, «impedire con ogni mezzo le comunicazioni fra Bolzano e Innsbruck» ... sede del Consiglio nazionale del Tirolo, centro di propaganda «ché, potrebbe anche, in un avvenire non lontano, trasformarsi in opera di agitazione». Parere similare veniva espresso dall'Ufficiale di collegamento del Comando Supremo presso l'Armata, Col. di S.M. Ponza di S. Martino, al Capo Ufficio Operazioni del Comando Supremo, Col. Cavallero. Di fatto, il movimento di tali unità oltre la linea di armistizio veniva posticipato soprattutto per il dubbio di dover assumere compiti di rifornimenti alimentari superiori alle nostre possibilità (Doc. 511) ed aveva inizio il mattino del 20 novembre, cioè il giorno successivo a quello ultimo previsto per il ritiro delle truppe austriache. Ma, nellà stessa giornata, il movimento veniva arrestato dietro ordine del Comando Supremo (Doc. 512) in vista di assicurare alla occupazione delle due località un carattere interalleato con l'assegnazione di unità francesi e britanniche. A tal punto, però, l'Armata esprimeva al Comando Supremo la inopportunità di arresti o soste a pochi chilometri dagli obiettivi (Doc. 513); infine, dopo uheriori scambi di comunicazioni, nella giornata del 23 novembre le due località venivano raggiunte (Doc. 514 e n. 515) dalle nostre Unità. Ad esse si univano: il I O dicembre truppe di un battaglione britannico

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a Imst; il 7 dicembre truppe di un battaglione francese a Schwaz. Per quanto venisse attivamente perseguito il miglioramento della situazione logistica, il servizio ferroviario fra Ala e Trento permaneva assai carente per le difficoltà connesse con il cambio di sistemi ferroviari in corrispondenza del vecchio confine, mentre la ferrovia della Valsugana poteva essere riaperta al traffico solo nella seconda metà di dicembre. Comunque attraverso gli sforzi dell'intera organizzazione militare oltre che delle Amministrazioni locali, venivano man mano ristabilendosi condizioni di vita più accettabili. Le comunicazioni relative al Trentino rendono manifesto questo miglioramento della situazione delle comunicazioni e di tutte le attività, da quelle scolastiche a quelle produttive e commerciali. Le Unità dell' Armata, avvalendosi anche dell'opera di centurie di prigionieri, provvedevano al recupero di armi e materiali, alla ricostruzione delle vie di comunicazione, di opere d'arte e di costruzioni, ai rifornimenti vettovaglie, ecc .. Quelle nel territorio del Tirolo, austriaco ed a presidio sulla dorsale alpina dovevano naturalmente mantenere un assetto più idoneo a garantire possibilità di controllo e di intervento. Sia in Alto Adige sia nelle znne della Valle dell'Inn, oltre la linea di armistizio, dopo qualche incertezza, i timori della popolazione austriaca di vessazioni da parte delle nostre truppe scomparivano totalmente per il comportamento cortese e controllato delle medesime; si verificavano, anzi, numerose manifestazioni di ringraziamento delle Autorità locali per l'opera svolta a favore del ristabilimento dell'ordine e per i soccorsi ricevuti (Doc. 516). Peraltro, nel corso del dicembre, aveva inizio una attività di forze politiche e di organi di stampa di Vienna e di Innsbruck intesa a negare nelle future trattative di pace l'assegnazione dell'Alto Adige all'Italia. In relazione, poi, al pronunciarsi di forze politiche viennesi a favore di una unione dell'Austria tedesca alla Germania, venivano affiorando tendenze verso la costituzione di una Repubblica autonoma tirolese «entro confini naturali da Kufstein a Salorno» (Doc. 517). Nel Trentino, invece, avevano luogo comizi per l'unione di tutta la regione dell'Alto Adige all'Italia. Il Comando dell'Armata ..vedeva intensificare, quindi, i suoi interventi a favore degli Affari Civili secondo esigenze messe in luce da un promemoria d~l 10 dicembre (Doc. 518); non mancavano poi problemi di vario genere, che incidevano sulla tranquillità della regione e sulle possibilità di intervento delle forze militari. Se ne ricordano solo alcuni: - in data 15 dicembre, il Comando dell'Armata riferiva la notizia, poi smentita, dell'avanzata di truppe jugoslave nelle valli della Drava e del Gail, e di aver richiesto alla 55a Divisione in alta Valle Rienza di intensificare la vigilanza (Doc. 519);


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- in data 16 ~icembre, il Comando Supremo disponeva il rientro in Paese della 3 a Brigata di Cavalleria, mentre aderiva a lasciare per il momento a disposizione dell'Armata il XXV Corpo d'Armata, destinato ad essere disciolto. Intanto: - le Unità ed i Servizi stavano perdendo parte della loro forza per l'avvenuto inizio dei congedamenti; - le difficili condizioni di ricovero e di vita dei cavalli nella zona alpina e le difficoltà di affluenza dei foraggi obbligavano a disporre l'invio in pianura dei reggimenti di artiglieria da campagna delle Divisioni dell' Armata, che chiedeva l'assegnazione di un maggior numero di gruppi di artiglieria da montagna in loro sostituzione; - l'Armata, le cui responsabilità si estendevano dal Po ad oltre il Brennero, andava proponendo che il territorio a sud dell'antico confine ritornasse alla giurisdizione dei Corpi d'Armata territoriali di Milano e di Verona, provvedimento su cui il Comando Supremo concordava ma che presupponeva in precedenza la ricostituzione dei predetti Comandi territoriali e degli organi dipendenti; - le possibilità di movimento ferroviario permanevano piuttosto limitate e, seppure avevano avuto termine i trasporti di evacuazione dei militari atJstriaci, continuavano gli afflussi dei profughi e degli italiani ex prigionieri mentre avevano inizio il 17 dicembre i trasporti di truppe del Corpo d' Armata cecoslovacco costituito in Italia ed in via di trasferimento in Boemia; - venivano seguite attentamente le prime costituzioni di milizie nel territorio dell'Austria occupata (Doc. 520). Verso la fine di dicembre, l'organizzazione dell'Armata e la ripartizione del territorio fra le Grandi Unità doveva essere completamente revisionata per effetto delle contrazioni organiche conseguenti ai congedamenti ed agli scioglimenti di Grandi Unità in corso ed il riaccorpamento delle unità e delle truppe residue. Venivano infatti disciolti i Comandi del XXV Corpo d'Armata e delle Divisioni 4a e 11 a ed, a breve scadenza, delle Brigate «Piceno», «Vicenza», «Volturno», III bersaglieri, mentre le Brigate «Pavia», «Perugia» e «Torino» che rimanevano in vita dovevano passare rispettivamente alle Divisioni 33 a, 25 a e 32 a. Il personale non congedato delle brigate disciolte veniva impiegato per rimpolpare quelle destinate a rimanere. Oltre a verificarsi, così, numerosi trasferimenti e vasta dispersione di Quadri e Truppe dei Comandi e delle Unità disciolte fra quelle rimanenti, emergeva ora l'opportunità di attuare una nuova ripartizione delle responsabilità territoriali.

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La questione venne infine risolta secondo le proposte dell'Armata, che tendevano a far coincidere i limiti di responsabilità territoriale con le circoscrizioni amministrative della regione, assegnando, a partire dal 10 gennaio 1919, sedi e competenze delle Grandi Unità dipendenti secondo l'Ordine n. 38 del 1° gennaio (Doc. 521), che prevedeva: - III Corpo d'Armata a Innsbruck con: 75 a Divisione a Landeck, 6a Divisione a Innsbruck; - X Corpo d'Armata a Bolzano con: 55a Divisione a Brunico , 5a Divisione a Merano , 26a Divisione a Bolzano; - V Corpo d'Armata a Levico con: 69a Divisione a Cavalese, 32a Divisione a Trento, 21 a Divisione a Mezzolombardo. Nei primi giorni di gennaio 1919 veniva anche disposto lo scioglimento dell'Ispettorato deile Brigate di Marcia dell'Armata. Ricorderemo come questo Ispettorato avesse avuto grande importanza in questa Armata, cui erano assegnate numerose Brigate di Marcia (formate da truppa della classe 1900) che potevano trovare nella zona dei Monti Lessini zone idonee all'addestramento ed essere a portata di mano in caso di necessità. Successivamente all'avanzata dell'Armata l'Ispettorato aveva assunto funzioni di coordinamento delle attività di vario genere, non solo nei riguardi delle Brigate di Marcia ma anche dei reparti rimasti nelle retrovie dell'Armata quali: reggimenti di.artiglieria d'assedio e pesanti, reparti di Milizia Territoriale complementari e presidiari, provvedendo a coordinare molteplici attività di sgombero dei prigionieri, di intervento di lavoro, di recupero di materiali, .ecc .. Lo scioglimento di questo organismo rendeva necessaria la costituzione di quattro Comandi di Zona aventi giurisdizione sul territorio a sud dell'antico confine (Valtellina-Val Camonica-Giudicarie; Val Lagarina; Val d'Astico; Altipiani)' in attesa della proposta assegnazione della responsabilità di dette zone ai ricostituendi Comandi Territoriali di .Verona e di Milanò. Nel corso del gennaio, nell'imminenza dell'apertura della Conferenza dellti~ea Versailles (18 gennaio 1919) si andavano intensificando le già ace nnate manifestazioni ad Innsbruck a favore di una Repubblica Tirolese che m ndesse l'Alto Adige, cui facevano contraltare manifestazioni a Trento per un confine al Brennero . Nel complesso, però, la situazione si manteneva calma in tutta la regione, nella quale miglioràvano a_lquanto le condizioni delle comunicazioni e dei traffici superando anche i momenti di ctisi dell'inizio del mese, dovuti alle abbondanti nevicate . Gli unici incidenti di un certo rilievo nelle relazioni con la popolazione dei territori occupati erano costituiti, in tutto il periodo, dall'assalto e disarmo di unà missione militare formata da Ufficiali cecoslovacchi e da uno italiano, avvenuto nei primi giorni di dicembre alla stazione di Goergh, e


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da una rissa tra nostri militari e borghesi austriaci, avvenuta a Innsbruck il 26 dicembre. Avvalendosi della collaborazione, negli Uffici Affari Civili ed Informazioni, di uomini capaci e buoni conoscitori dell'ambiente, il Comando della 1a Armata seppe impostare l'attività amministrativa in Alto Adige ad una civile e generosa correttezza, che permise di superare le grosse difficoltà del momento e di conseguire risultati lusinghieri ed apprezzati dall'intera popolazione, successivamente rimpianti. 5. L'8a, e poi la 4a Armata, nella occupazione del Cadore, della Carnia e della Conca di Tarvisio

Nel corso delle ultime ore del conflitto le unità avanzate dell'8a Armata, superando le resistenze delle retroguardie avversarie e - soprattutto le difficoltà dei rifornimenti affluenti dagli ormai lontani depositi di Intendenza attraverso le mal ridotte vie di comunicazione, avevano raggiunto con le loro avanguardie il noto allineamento di Cencenighe in val CordevoleSelva di Cadore in Val Fiorentina-Chiappuzza in Val Boite-Domegge in Val Piave. Erano state, inoltre, occupate in forza le località di Forno di Zoldo e di Pieve di Cadore. L'Armata nei giorni successivi, in base all'ordine 14774 G.M. del 4 novembre del Comando Supremo circa il nuovo assetto del fronte, doveva: - portare l'VIII Corpo d'Armata (Div. 4ga e 58a) nella zona di Pieve di Cadore-Ampezzo, provvedendo alla sorveglianza del fronte dalle Tre Cime di Lavaredo alla Zermola (escluso); - il XXII Corpo d'Armata (Div. 57a e 60a) nella zona TolmezzoChiusaforte, provvedendo alla sorveglianza del tratto di fronte fra la Zermola e il M. Mangart (escluso); - riunire il XXVII Corpo d'Armata (Div. 51 a e 66a) e il V Raggruppamento alpino nella conca di Belluno; ed il Corpo d'Armata d'Assalto nella zona Vittorio-Conegliano; - lasciare nelle dislocazioni raggiunte le Divisioni 1a, 2a e 12a, impiegand_ole per il risanamento del campo di battaglia ed il riattamento delle vie di comunicazione. L'Armata dava gli ordini conseguenti il 6 novembre (Doc. 522). Ma, il 5 novembre, a seguito delle già ricordate disposizioni del Comando Supremo l'Armata ordinava: - all'VIII Corpo d'Armata di inviare un gruppo d'assalto della 2a Divisione d'Assalto a Sillian in Valle Gail, per guardare le provenienze da est ed opporsi ad eventuali tentativi tedeschi di prevenirci al Passo di Dobbiaco assicurando anche il controllo della ferrovia e della rotabile;

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- al XXVII Corpo d'Armata di inviare il V Raggruppamento alpini a Pieve di Cadore. Nelle giornate immediatamente successive al 4 novembre avvenivano quindi i movimenti ordinati che, dice il Diario Storico dell'Armata, si svolgevano ordinatamente e senza incidenti. Il Comando dell'Armata, facendo seguito a comunicazioni del Gen. Grazioli circa la situazione nelle località liberate, segnalava al Comando Supremo l'estremo bisogno di medicinali, viveri e personale sanitario delle popolazioni del Cadore mentre provvedeva attivamente a migliorare la situazione delle comunicazioni nelle retrovie. La difficoltà dei movimenti era sottolineata dal perdurare di difficili condizioni di passaggio sul Piave, ove solo 1'8 novembre era aperto al transito un ponte sospeso messo in opera a Vidor, e dalla disponibilità di un unico itinerario di movimento in Val Piave a monte di Belluno. In data 8 novembre, infatti, il Comando dell'Armata doveva disporre che il movimento del XXII Corpo d'Armata, per risalire il Piave e raggiungere per il Passo della Mauria la propria zona in Val Tagliamento, fosse iniziato solo dopo che era ultimato lo sfilamento dell'VIII Corpo d'Armata diretto verso il Cadore. Nella stessa data pervenivano notizie dell'arrivo dei Bavaresi al Brennero e veniva disposto che il V Raggruppamento alpini, anziché rimanere a Pieve di Cadore, proseguisse al più presto per Sillian passando poi alle dipendenze dell'VIII corpo d'Armata sostituendovi il gruppo d'assalto ivi dislocato, il quale avrebbe dovuto riunirsi alla propria Divisione in zona di Conegliano. Nel (rattempo il predetto gruppo d'assalto (4°) aveva raggiunto Sexten ed il 9 novembre, alle ore 16, era giunto a Sillian. In questa data il V Raggruppamento alpino giungeva a Pieve di Cadore, ove riceveva l'ordine di portarsi con un Gruppo alpini a Sillian per sostituirvi, come si è detto, il gruppo d' assalto e con un Gruppo a Brunico per guardare alle spalle le comunicazioni con Sillian, date le notizie pervenute degli afflussi di truppe germaniche a Sud del Brennero fino a Fortezza (Doc. 523). Per assicurare le condizioni di sicurezza nella zona, turbate dal comportamento delle truppe austro-ungariche in ripiegamento, il 10 novembre il Comando dell'Armata dava disposizioni acché, oltre ai compiti già assegnati, le unità del Raggruppamento, impiegando eventualmente la forza, assicurassero l'esecuzione dei patti di armistizio, l'ordine pubblico~ la protezione della popolazione. Peraltro il Raggruppamento alpini era ·in grado di raggiungere la dislocazione prescrittagli solo il 13 novembre situando i battaglioni «Ivrea» e «Val Chiese» a Brunico, il battaglione «Adamello» a Dobbiaco ed il 15° gruppo (battaglioni «Val d'Orco», «Mondovì», «M. Ortlern) a Sillian. Ciò, anche in armonia con le disposizioni del Comando Supremo, le quali prevedevano che, pur avanzando per l'occupazione delle località indicate, non ve-


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nissero esercitate pressioni sulle truppe nemiche in ripiegamento per non provocare disordine né perturbamenti nelle zone da esse percorse. In pratica, così, nell'alto Cadore ed in Val Pusteria già il 9 novembre era stata raggiunta con anticipo la linea «bleu» d'armistizio, ed era stata anzi occupata la località di Sillian al di là di tale linea senza alcun incidente. Il giorno 19 novembre pattuglie di Ufficiali raggiungevano, per la Valle Aurina, la Vetta d'Italia. Più a rilento, per i ritardi subiti dai movimenti ed i maggiori percorsi, avveniva in Val Canale l'avanzata del XXII Corpo d'Armata le cui truppe il giorno 16 sostavano in zona di Malborghetto, mentre a Tarvisio risultava la presenza di truppe che si professavano di nazionalità jugoslava. In conseguenza il Comando Supremo sollecitava il raggiungimento entro il 19 novembre della linea di armistizio anche nella zona di Tarvisio e lo stabilimento di un effettivo controllo; l'occupazione di località al di là di essa avrebbe dovuto essere proposta al Comando Supremo e da esso approvata. Gli ordini conseguenti erano emanati dal Comando dell'Armata con il foglio 8120 Op. del 18 novembre (Doc. 524); peraltro, successivamente ma nella stessa data, il medesimo Comando doveva comunicare che Tarvisio era stata già raggiunta il giorno 16 a seguito di sollecitazioni degli stessi abitanti (Doc. 525). Dal ritardo intercorrente fra gli avvenimenti e le relative comunicazioni appaiono evidenti i grossi inconvenienti connessi con un funzionamento assai difficoltoso dei collegamenti. Comunque, entro le date previste, e spesso con anticipo, 1'8a Armata aveva raggiunto con i suoi Corpi d'Armata e le sue Divisioni le dislocazioni previste. Ma, per effetto delle disposizioni del Comando Supremo in data 15 novembre, il Comando dell'8a Armata era destinato ad assumere la responsabilità di una delle due Armate di Riserva, costituite per essere eventualmente impiegate nelle operazioni contro la Baviera. Nei suoi compiti era sostituito dal Comando della 4a Armata che continuava ad avere a disposizione i Corpi d'Armata VIII, XXII e XXVII già in sito. La nuova 8a Armata veniva ad essere costituita dal Comando della medesima, dal Corpo d'Armata d'Assalto e dalle Grandi Unità già facenti parte della 4a Armata (VI, XI, XXX Corpo d'Armata e 52a Divisione alpina) (Doc. 526). L'Intendenza dell'8a Armata assumeva la denominazione di Intendenza della 4a Armata. Per effetto delle suddette disposizioni il settore del Cadore-CarniaTarvisio dal 23 novembre rimaneva affidato al Comando 4a Armata, comandata ora dal Ten. Gen. Giulio Tassoni già Comandante della 7a Armata ora disciolta. Nel settore, ora della 4a Armata, non si verificavano successivamente avvenimenti di particolare rilievo; peraltro la situazione a nord e ad est della conca di Tarvisio dava qualche preoccupazione per le tensioni

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che si andavano verificando fra le popolazioni tedesche e slave della Carinzia e le condizioni dei rifornimenti e dell'ordine pubblico nella zona. In data 24 novembre il Comando dell'Armata segnalava che erano pervenute richieste di intervento da parte di Autorità civili di Arnoldstein (in Valle Gailitz) che erano poi risultate ingiustificate; tuttavia il Comando dell'Armata chiedeva come comportarsi in caso di simili circostanze. Il Comando Supremo, come è noto, disponeva ancora una volta che eventuali interventi oltre la linea di armistizio avrebbero dovuto essere attuati solo dietro suo ordine. In quei giorni pervenivano anche notizie allarmanti di costituzione di grosse masse di armati jugoslavi (intorno a 200.000 uomini secondo una lettera al Gen. Diaz - Doc. 527) agli ordini del Gen. Boroevic che si approssimavano al nostro confine orientale; sicché il Comando della 4 a Armata invitava i Corpi d'Armata dipendenti ad attuare misure prudenziali, seguiva attentamente la situazione oltre confine (Doc. 528) ed emanava disposizioni per miglioramenti funzionali ed operativi della dislocazione delle unità (Doc. 529). In prosieguo l'Armata era prevalentemente ;impegnata nella riattivazione delle comunicazioni il cui miglioramento era insidiato: ora dalle piogge, e poi dagli innevamenti. Mentre le comunicazioni ferroviarie con l' Austria fra Dobbiaco e Linz erano bloccate per 5 giorni dal 4 al 9 dicembre per una interruzione alla galleria, di Assling (in Val Drava, sul versante austriaco), frequenti erano le interruzioni in corrispondenza dei numerosi corsi d'acqua, maggiori o minori. Proseguivano, seppure piuttosto lenta~ente, gli interventi a favore di una ripresa delle attività scolastiche, commerciali, di lavoro in tutta l'area. A fine dicembre era rimessa in esercizio per il trasporto merci la ferrovia Longarone-Calalzo ed erano attivate le «decauvilles» Tai di Cadore-Calalzo e Calalzo-Auronzo. Nei primi di gennaio, per completare l'occupazione della conca di Tarvisio e dietro ordine del Comando Supremo veniva disposta la costituzione di un nostro presidio anche a Radece; peraltro veniva ordinato di non intervenire nel caso di ostilità fra Tedeschi e Slavi, che non avessero ripercussioni a nostro danno (Doc. 530). 6. La 9a Armata sulla linea orientale d'armistizio· fra Monte Mangart ed il Valico di Nauporto

Dopo la conclusione del conflitto, l'avanzata oltre Udine per l'occupazione dell'alta e media valle dell'Isonzo e della linea d'armistizio fra il M. Mangart ed il valico di Nauporto, fu piuttosto rallentata da molteplici fattori, quali: l'esigenza di dar modo alle unità avversarie di ripiegare; la situazione piuttosto difficile per gli avvicendamenti nei Comandi respon~abi-


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li ed i ritardi nelle comunicazioni; la crisi dei rifornimenti. Infatti, alle ore 15 del 4 novembre, le unità italiane più avanzate erano costituite dalle Divisioni della 10 8 Armata (XVIII Corpo d'Armata sulla sinistra e XI Corpo d'Armata sulla destra) che avevano appena superato il Tagliamento; più oltre vi erano i reparti della 3 a Divisione di Cavalleria che si erano portati fino a Robic, nei pressi di Caporetto, e della 4a Divisione di Cavalleria alle porte di Gorizia. L'avanzata delle Divisioni di Cavalleria nella Valle del Fella (1 a Divisione di Cavalleria) e nella Valle del Natisone (3 8 Divisione Cavalleria) aveva portato a superare grosse unità avversarie, di cui non si era verificata ancora la resa; mentre il comportamento da tenere nei loro riguardi da parte delle nostre unità, complessivamente piuttosto deboli di forza, era anche complicato dai ritardi con i quali esse potevano inviare le comunicazioni e ricevere ordini dal Comando del Corpo di Cavalleria e dal Comando Supremo. Avvenne così che, come già si è accennato, nella zona tra Gemona e Venzone risultavano superate e bloccate le Divisioni austro-ungariche 31 •, 41 a e 12 8 Schiitzen il cui movimento sulla Pontebbana era precluso dall'avvenuta occupazione di Stazione per la Carnia da parte della 1a Divisione di Cavalleria. Terminate le ostilità, nella giornata del 5 novembre si verificavano da parte di rappresentanti dei Comandi delle Unità che si fronteggiavano: intimazioni di resa da parte italiana e minacce di aprirsi il passo da parte avversaria. Intanto, però, parte delle unità bloccate - vedendo impossibili le azioni di forza - preferì sottrarsi alla cattura abbandonando tutti i materiali ed avviandosi, per i passi montani ad oriente di Gemona e Venzone, alla Valle dei Musi ed all'alta Valle-dell'Isonzo nella conca di Plezzo. Il Comando Supremo, quando era stata prospettata la situazione, in un primo tempo aveva confermato quanto precisato in sede armistiziale, che - cioè - tutte le unità superate dovevano intendersi prigioniere; in un secondo tempo, probabilmente a ciò indotto anche dalle difficoltà crescenti che si andavano avvertendo in tutti i settori per i rifornimenti di viveri alle nostre unità, alle masse di prigionieri ed alle popolazioni, notificava che, nel caso specifico, le unità avversarie non potevano considerarsi del tutto accerchiate essendo loro possibile ripiegare sia pure per i difficili passi montani, e che pertanto poteva essere loro concesso il passo per la Pontebbana, peraltro dopo la consegna di tutto l'armamento pesante. Così nella giornata dell'8 novembre avveniva il ripiegamento per la valle del Ferro della 31 a Divisione austroungarica, avendo buona parte del personale delle altre due Divisioni già ripiegato per i passi montani. Nella valle del Natisone, invece, unità austro-ungariche ripieganti alle spalle della nostra 3 a Divisione di Cavalleria, avevano, nella notte sul 5 no-

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vembre, cercato di aprirsi il passo con le armi in zona di Vernasso, ma la pronta.reazione delle nostre unità in posto (reggimento «Montebello») e di altre accorse da Cividale le costringeva alla resa. A tergo delle unità di cavalleria le Divisioni della 10 8 Armata (XVIII Corpo d'Armata a sinistra e XI Corpo d'Armata a destra) avanzavano ulteriormente dislocandosi a cavallo della rotabile Udine-Cividale. In base ai noti ordini emanati dal Comando Supremo circa il nuovo assetto della fronte (F. n. 14774 G.M. del 4.Xl.1918) il Comando della 10" Armata doveva portare: - il XVIII Corpo d'Armata (Div. 33a e 56 8 ) nella zona di Plezzo, per la sorveglianza della fronte M. Mangart (incluso) - M. Hradica (compreso); - l'XI Corpo d'Armata (Divisione 31 a e 37 8 ) nella zona di Tolmino, per la sorveglianza della fronte Hradica (escluso) - Valico di Nauporto (escluso), mentre la 10 8 Divisione doveva rimanere a sud di Udine; - il XIV Corpo d'Armata brit. (Divisione 7 8 e 23 ") nella zona fra Tarcento ed Udine, dove avrebbe dovuto essere raggiunto dalla 48 8 Divisione operante - come sappiamo - sugli Altipiani nel quadro della 6 8 Armata. Peraltro, successivamente, mentre le unità di Cavalleria si riunivano in piano, in data 7 novembre il Comando Supremo diramava disposizioni affinché, entro il giorno 11 novembre, il Comando della 10 8 fosse sostituito da quello della 9a Armata, già della Riserva, la quale emanava - a sua volta - le conseguenti disposizioni (Doc. n. 531). La sostituzione trovava ampia giustificazione: sia nella opportunità che la responsabilità sulla fronte della linea d'armistizio e nell'area in particolare venisse devoluta ad un Comando italiano; S!a nelle predisposizioni in corso di attuazione per la costituzione delle Armate che avrebbero dovuto operare contro la Germania meridionale, una delle quali - come sappiamo - avrebbe dovuto essere costituita da Divisioni britanniche ed italiane ed affidata a Lord Cavan. L'ordine in questione del Comando Supremo prevedeva, quindi, che il Comando della 9a Armata (che aveva già fornito il Comandante del XXIII Corpo d'Armata con parte del ptoprio Stato Maggiore, la II Brigata bersaglieri ed altri reparti (9 8 Divisione) destinati a Trieste e la Brigata «Arezzo» (61 • Divisione) destinata a Pola ed altre località dell'Istria): - si trasferisse da Lonigo ad Udine; - assumesse i compiti in precedenza della 10 8 Armata, disponendo dei Corpi d'Armata XVIII e XI già in linea e degli altri reparti italiani di quella Armata. Il XIV Corpo d'Armata britannico, in 2 a linea, avrebbe dovuto trasfe-


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rirsi ad ovest del Piave in zona Verona-Padova-Vicenza, mentre la 9a Armata avrebbe potuto disporre quale riserva del VI Corpo d'Armata da assegnarsi a cura del Comando Supremo; successivamente, in luogo di questo Corpo d'Armata raccolto in zona di Bassano e già così provato nella battaglia sul Grappa, verrà assegnato, invece, il XXIII Corpo d'Armata con le Divisioni 10a e 23a. Il Comando della 9a Armata, cui era stato in precedenza attribuito il compito della sorveglianza sull'andamento dei passaggi sui ponti del Piave, doveva cedere tale incombenza all'Ispettorato delle Divisioni di marcia dell'Armata, che doveva anche provvedere alla sorveglianza dell'affluenza dei prigionieri austriaci e degli italiani liberati ed al loro avvio ai campi di concentramento ed ai centri di raccolta dislocati ad occidente del Piave. Il Comando Generale del Genio doveva provvedere, insieme alla ricostruzione dei ponti del Piave, alla sistemazione degli accessi. Successivamente, il 15 novembre, veniva disposto che la Intendenza della 7a Armata, che era destinata ad essere disciolta, si dovesse trasformare in Intendenza della 9a Armata, il cui supporto logistico da parte della Intendenza della 3 a Armata si era rivelato - come vedremo - piuttosto affannoso e deficiente. Mentre si andavano così riorganizzando l'articolazione di Comando e logistica dell'Armata, le unità dei Corpi d'Armata in linea continuavano la loro avanzata; in particolare risultavano raggiunte: - entro il giorno 12 novembre, le località di Plezzo, Ternova, Caporetto dalle unità del XVIII Corpo d'Armata, e quelle di Tolmino, Canale, Bainsizza, Ternova da parte dei reparti dell'XI Corpo d'Armata; - entro il 15 novembre, i passi di Predii, di Moistrocca e di Bogatin e Tribusta; . - entro il 19 novembre, la linea prevista dalle condizioni di armistizio. Mentre l'avanzata non incontrava difficoltà nelle unit~ austro-ungariche che anzi acceleravano i loro ripiegamenti, le nostre unità trovavano accoglimento piuttosto freddo ed ostile nelle popolazioni slave della valle dell'Isonzo e delle località ad oriente di questo fiume . Una situazione particolarmente difficile si verificava a Gorizia ove risultavano operanti due Comitati civici, uno italiano ed uno sloveno, che avevano costituito reparti armati. In data 8 novembre il Comando Supremo dava disposizioni all'XI Corpo d'Armata perché intervenisse con forze adeguate (Doc. 532); peraltro, dinnanzi all'afflusso dei nostri Comandi e delle nostre truppe le unità sedicenti jugoslave ripiegavano ed i Comitati civici di entrambe le nazionalità venivano disciolti. Il Comando dell'Armata in data 18 novembre confermava ordini di fermezza di fronte a qualsiasi tentativo di opposizione (Doc. n. 533

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e 534). In quei giorni venivano date ulteriori disposizioni circa il comporta-

mento nei riguardi della popolazione alloglotta e per stabilire soddisfacenti condizioni di sicurezza e di ordine pubblico, (Doc. n. 535 e 537), ma proposte di spingere le occupazioni oltre la linea di armistizio (Doc. n. 536), come vedremo, saranno respinte. Il Comando dell'Armata riferiva, in data 27 novembre, sugli avvenimenti e le modalità seguite nella presa di possesso dei territori oltre il vecchio confine (Doc. 538) e, nei primi giorni di dicembre, diramava «Direttive politiche sommarie per i territori occupati entro le linee d'armistizio» nelle quali erano riassunte tutte le disposizioni fino ad allora emanate: sia dal Comando Supremo, sia dal Governatore della Venezia Giulia (Ten. Gen. Petitti di Roreto), sia infine, dal medesimo Comandante della 9a Armata (Doc. 539). Ci si limita qui a ricordare come, in merito alle direttive generali di condotta, veniva detto che: «Si consideri anzitutto che i territori occupati dovranno entrare a far parte del Regno d'Italia; occorre trattarli quindi in modo da avvincerli a noi. Ciò non si ottiene né con la sola forza, né tanto meno colla debo lezza; bensì colla equità, colla giustizia, con l'ordine del prestigio di tutte le autorità italiane, coll'avvenuto accaparramento degli organi locali». Nel corso del dicembre e del gennaio successivo l'Armata operava attivamente per: il ripristino dei ponti maggiori e minori sull'Isonzo e sul Natisone, il riattamento delle vie rotabili, la riattivazione dei servizi idrici, elettrici, ospedalieri ad Udine e nelle altre località, la riapertura delle scuole, la ripresa delle attività commerciali e dei lavori agricoli. Migliorata la situazione logistica, che permetteva anche l'apertura di spacci cooperativi e di case del soldato, venivano attuate in molte località anche distribuzioni di viveri alla popolazione, sicché la situazione generale nell'area migliorava alquanto. Infatti, la «Relazione sull'opera compiuta dall'Armata dalla cessazione delle ostilità al 15 febbraio 1919» 1 riferiva: «Nei territori di occupazione, mentre all'inizio della nostra presa di possesso, la popolazione dinazionalità slovena ha mantenuto verso di noi un contegno freddo e riservato, poco alla volta, per l'azione previdente dei comandi, per l'opera di assistenza svolta tra essa nelle forme e coi mezzi su accennati, per le buone maniere e la cordialità caratteristica del nostro soldato, collo svolgimento infine di una oculata propaganda, si è riusciti quasi ovunque a vincerne le riluttanze. Isolati ed anche eliminati 2 i pochi elementi perturbatori, si è ottenuto da essa una certa fiducia che ci permette oggi di esercitare assiduo conDel Comando 9• Armata in data 15. 11.1919 (Rep. E - 2/ busta n. 135). Ci si riferisce all'allontanamento da cariche pubbliche di alcuni sindaci o presidenti di comitati jugoslavi costituitisi in alcune località nel periodo anteriore all'arrivo delle nostre truppe ed a funzionari della precedente amministrazione austro-ungarica, nonché all'internamento di un limitatissimo numero di essi. 1

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trollo ed anche influenza sulle correnti politiche e sull'opinione pubblica e di ottenere importanti e fondate notizie per la nostra sicurezza e pei nostri interessi. Da alcune località del Goriziano, dalle valli dell'Idria, e del Boca, sono pervenute attestazioni anche collettive di ringraziamento e di riconoscimento pei benefici arrecati alle popolazioni dall'opera dei Comandi e delle truppe» (Doc. n. 540). In effetti, in tutta la zona dell'Armata non si verificavano incidenti di alcun genere mentre doveva essere esercitata una attiva sorveglianza sulla linea d:armistizio per impedire l'afflusso di persone, giornali ed altri stampati che intendevano stimolare una ostilità nei nostri riguardi e l'opposizione ad una assegnazione permanente dell'area alla nostra sovranità nelle prossime trattative di pace (Doc. n. 541). La nostra occupazione fu mantenuta entro la linea prevista dall'armistizio con limitatissimi aggiustamenti di carattere locale di cui il Comando dell'Armata riferiva in data 10 dicembre (F. n. 6432 Op. del JO.Xll.1918 - Doc. n. 542). · Verso la fine del mese di dicembre provocavano qualche all~rme e l'intensificazione di misure di vigilanza le voci di concentrazioni di forze jugoslave al di là della linea di armistizio e di probabili attacchi notturni di sorpresa nella zona di Podberdò; mentre numerosi dovevano essere gli interventi per riaprire al traffico le vie di comunicazione ed i collegamenti telegrafici e telefonici interrotti dalle abbondanti nevicate. Come appare dalle relazioni quindicinali sullo spirito delle truppe e delle popolazioni, di cui si riportano alcuni esempi, la situazione poteva considerarsi soddisfacente. Una efficace presentazione di tale situazione risulta anche da una relazione in data 18.1.1919 dell'Ufficio I.T.O. (Informazioni Truppe Operanti) della 9a Armata (Doc. n. 543). 7. La 3 8 Armata nella occupazione del settore orientale della linea d'armistizio dal Valico di Nauporto al Golfo del Quarnaro, del Carso e dell'Istria.

Gli ordini del Comando Supremo assegnavano alla 3a Armata l'occupazione del bacino del basso Isonzo, del Triestino e dell'Istria e la sorveglianza della linea d'armistizio dal Valico di Nauporto fino al Golfo del Quarnaro ad oriente di Volosca. L'avanzata delle unità dell'Armata dopo il 4 novembre veniva notevolmente rallentata dalle condizioni delle rotabili e dalle interruzioni su tutti i numerosi corsi d'acqua e canali della bassa pianura veneta. Nella giornata del 5 novembre il Comando dell'Armata disponeva acché Je. unità provvedessero a riordinarsi sulla linea raggiunta e cercassero di migliorare la propria situazione logistica che aveva raggiunto punte critiche. Successivamente, il giorno 6, l'Armata dava disposizioni per la ri-

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presa del movimento secondo gli accordi armistiziali che prevedevano il raggiungimento dell'Isonzo entro le 15 del giorno 9 e quello della linea Valico di Nauporto-Volosca entro le 15 del giorno 19. Con detto ordine venivano altresì assegnate le zone di competenza dei Corpi d'Armata dipendenti (XIV di nuova assegnazione, XXVI e XXVIII) (F.n. 9202 del 6-XI-Doc. n. 544). Altre disposizioni venivano diramate con il foglio 9277 del 7 novembre in relazione al fatto che il ripiegamento delle unità avversarie appariva risultare accelerato; sicché, pur senza esercitare alcuna pressione su di esse sembrava possibile avanzare più celermente, essendo d'altra parte conveniente mantenere costantemente il contatto. Ma la situazione-delle comunicazioni nelle retrovie dell'Armata era così difficile che il Comando Supremo, 1'8 novembre, nell'assegnare per il presidio della Penisola Istriana il Comando del XIV Corpo d'Armata con le Divisioni 9a e 61 a che dovevano aggiungersi alla II Brigata bersaglieri già a Trieste, doveva prevedere il trasporto via·mare da Venezia di tutte le unità, comprese le artiglierie da campagna ed i servizi (Doc. n. 545). Il movimento via terra doveva limitarsi alle sole artiglierie pesanti campali, da effettuarsi però non appena possibile. Per effetto delle assegnazioni di varie unità, la 3 a Armata, al 9 novembre, risultava notevolmente irrobustita, come appare dall'ordine 9349 circa compiti e dislocazioni delle unità dipendenti (Doc. n. 546). In particolare essa disponeva di:- XXVIII Corpo d'Armata (Divisioni 2sa e 53a) per la sorveglianza della linea d'armistizio dal Valico di Nauporto al M. Pomario; - XXVI Corpo d'Armata (Di visoni 45 a e 54 a), fra M. Pomario e Volosca; - XIV Corpo d'Armata (Divisioni 9a e 61 a) destinato al presidio di Trieste e della Penisola Istriana; - XXIII Corpo d'Armata (Oivisioni 10a e 23a) in seconda linea in zona Pozzuolo del Friuli-Pavia di Udine-Palmanova, a disposizione del Comando Supremo; - 2 a e 4 a Divisioni di Cavalleria.

Dipendevano tatticamente dal Comando della 10a Armata, al quale subentrerà l' 11 novembre il Comando della 9a Armata, ma continuavano ad avere supporto logistico dalla Intendenza della 3a Armata: sia l'XI Corpo d'Armata (Divisioni 3P e 37a), che avanzava sulla direttrice GoriziaAidussina; sia il XVIII Corpo d'Armata (Divisioni 33 a e 56a) che procedeva verso l'Alta Valle dell'Isonzo. Il supporto logistico della 9a Armata dovrà proseguire fino a che non sarà funzionante l'Intendenza di questa Armata. Nel settore dell'Armata le unità in linea, nella loro avanzata,' e le Commissioni di Controllo inviate nelle località indicate dai termini di armistizio


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per il ritiro .dei materiali di armamento collettivo, andavano incontrando difficoltà per le proteste e gli atteggiamenti ostili di comitati, in qualche caso sostenuti da formazioni armate, che professavano di assumere il potere locale a nome di un sedicente «Governo Nazionale sloveno-croato-serbo». Alle richieste dell'Armata di avere direttive sulla linea di condotta da tenere di fronte alle pretese di tali Autorità (Doc. n. 547) il Comando Supremo dava istruzioni per un atteggiamento deciso inteso ad ottenere una esecuzione integrale dei termini di armistizio da parte austriaca ed il disarmo di ogni altra formazione armata (tele 14924 G.M. dell'8.XI - Doc. n. 548). Rallentate sempre dalle difficoltà logistiche le teste delle nostre colonne della 3a Armata raggiungevano: la sera del 9 le località di Gradisca, Oppacchiasella e Nabresina; la sera del giorno 11, quelle di Matteria, Sesana, S. Daniele, Aidussina . . Circa la situazione.nei territori che si andavano man mano occupando risultano di qualche interesse, più che le comunicazioni ufficiali, quelle degli Ufficiali di collegamento; riportiamo stralci di comunicazioni che segnalavano l'enorme afflusso di nostri soldati ex prigionieri «affamati, laceri, scalzi» ed il problema politico e di sicurezza posto dalle formazioni volontarie armate che si dichiaravano jugoslave (Doc. n. 549). In relazione a queste notizie, nel suo foglio 9438 in data 11 novembre, l'Armata avvertiva che «nella situazione che si andrà formando .... importanza pari e anche superiore alla vigilanza da esercitare lungo la linea stessa avrà la materiale occupazione ... del territorio incluso nella linea di armistizio». Veniva perciò previsto di ripartire le truppe nei centri di qualche importanza della regione e di àssicurare una divisione del territorio fra unità organiche. In data 12 novembre, con il foglio 9449, veniva poi prospettato al Comando Supremo l'esigenza di avere l'assegnazione di altre Grandi Unità in quanto «sembra che per dominare la situazione senza dover far uso della forza, la quale in molti casi inasprirebbe, anziché risolverli, i conflitti non vi sia mezzo migliore che la materiale occupazione del territorio con forze tali da eliminare a priori ogni velleità di. resistenza» (Doc. n. 550). Così, mentre per l'avvenuto acceleramento dei ripiegamenti avversari la linea di armistizio veniva già raggiunta nella giornata del 13 novembre, l'Armata, il 15 novembre, sollecitava l'assegnazione di ulteriori forze e rappresentava la inopportunità di avere una giurisdizione politica affidata ad un Comando di Corpo d'Armata (Gen. Petitti) nell'intera regione della Venezia Giulia ove erano dislocate due Armate (F. n. 9493 del 15.XJ). Si·trattava di una situazione critica dell'articolazione di Comando, data la difficoltà di scindere gli aspetti militari da quelli politico-amministrativi nella regione; ma, di fatto, mentre con l'ordine del Comando Supremo del 15 novembre n. 14774 G.M. veniva prevista la cessazione del funzionamen-

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to dei Governatorati di Trento e di Trieste, tale disposizione era successivamente annullata. I predetti Governatorati, infatti, come si è già detto, venivano invece non solo mantenuti in vita, ma veniva data ad essi veste giuridica appropriata con l'Ordinanza del Comando Supremo del 19 novembre (Doc. n. 485). In merito il Comando Supremo emanava disposizioni con il già citato foglio 15459 G.M. all'oggetto «Attribuzioni Militari e Politiche dei Comandi» che il Comando d'Armata diffondeva con il suo foglio 9890 del 26 novembre. Per quanto si riferiva alle attività della 3a Armata essa otteneva l'assegnazione anche della 1a e 3a Divisione di Cavalleria, oltre la 4a già in zona, per intensificare l'attività di presenza, controllo e perlustrazione nell'interno della regione istriana. Al riguardo, peraltro, i notiziari informativi del1' Armata, che nei primi giorni dell'occupazione segnalavano la piuttosto generale ostilità nei paesi dell'interno abitati da popolazioni slovene e/o croate, andavano man mano dando notizie più rassicuranti circa atteggiamenti del tutto mutati; ciò, nonostante le attività di perturbatori e di organizzazioni d'oltre linea d'armistizio, soprattutto per effetto del corretto comportamento delle nostre truppe e gli aiuti dati alle popolazioni in viveri, medicinali, interventi di assistenza e di lavoro. In effetti, mentre procedeva l'attività di raccolta di armi e mezzi abbandonati dal nemico in ritirata, e quella di disarmo delle popolazioni, non si verificava in tutta la zona il menomo grave incidente. Sulla linea di armistizio, nelle vicinanze di Nauporto, si aveva invece un incidente con truppe comandate da un Capitano serbo. In tale occasione, mentre veniva riconosciuto che, per mero errore di interpretazione di una linea di armistizio tracciata male per difetto di riproduzione su una carta all'-1 :500.000, vi era stata nella zona di Longatico un lieve superamento della linea di armistizio, aveva provocato una assai sfavorevole impressione la minaccia del predetto Capitano di ricorrere alle armi. Pertanto il Comando dell'Armata disponeva che il ripiegamento avvenisse solo dopo «che l'incidente col Capitano serbo sarà esaurito» ed esprimeva l'avviso che qualsiasi intervento dell'Esercito serbo fosse improprio nei riguardi di una linea armistiziale definita fra l'Esercito italiano e quello austriaco (Doc. n. 551 e n. 552). Nei giorni successivi sulla linea armistiziale e specialmente in corrispondenza delle stazioni ferroviarie avvenivano fermi di persone con manifestini, giornali e pubblicazioni che tendevano a provocare resistenza nei riguardi di una permanente assegnazione del territorio, nelle prossime trattative di pace, alla nostra sovranità. Altro motivo di preoccupazione era il controllo dei passaggi di moneta cartacea austriaca, assai svalutata, da parte di persone che la introduceva-


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no in Italia per cambiarla in lire alle condizioni più favorevoli poste dalle nostre Autorità per agevolare l'economia della regione. Il controllo dei passaggi attraverso la linea di armistizio presentava; quindi, numerosi problemi poiché i divieti emanati in merito dal Comando Supremo incontravano difficoltà nell'applicazione, per le moltissime persone che tendevano a rientrare nella zona (ex profughi, internati, ex militari). Inoltre tali divieti incidevano sulla possibilità di riattivare traffici di rifornimento viveri provenienti dall'esterno ed un ripristino delle normali correnti di traffico. Particolare problema rappresentavano poi i transiti diretti da e per il territorio di Fiume, che si trovava fuori dalla linea di armistizio e distaccato da quello occupato della Venezia Giulia. Ma il maggiore problema per l'Armata, oltre a quello della crisi logistica di cui si parlerà a suo tempo, era rappresentato dall'insorgere della questione di Fiume. Il Comando dell'Armata, infatti, a partire dal 15 novembre veniva sempre più coinvolto dalla situazione che si andava sviluppando in quella città, della quale si tratterà specificatamente più a lungo in altra sede. In quella data, infatti, il Governo e il Comando Supremo comunicavano che «condizioni di Fiume impongono immediato intervento interalleato per ristabilire ordine» (Doc. n. 553 e n. 554). Veniva pertanto ordinato «d'accordo con Governo» l'invio entro il giorno 17 novembre di un presidio di forze (Brigata «Granatieri», un battaglione americano; successivamente uno britannico ed uno francese) agli ordini del Magg. Gen. Enrico di San Marzano. Detto presidio, che costituirà poi il Corpo d'Occupazione Interalleato di Fiume (C.0.1.F.), doveva dipendere dal Comando della 3a Armata, di cui avrebbe costituito distaccamento, e da questo ricevere le direttive. In data 16 dicembre il Comando dell'Armata diramava nuovi ordini circa l'assetto dell'Armata, che potrà considerarsi per alcun tempo definitivo, fatta eccezione per quanto disposto al paragrafo 4 circa la prossima cessazione del funzionamento del Governatorato di Trieste, che - come si è detto - risulterà invece successivamente mantenuto in vita. In base a tale ordine il presidio interalleato di Fiume veniva posto alle dipendenze del XXVI Corpo d'Armata, schierato sulla linea di armistizio tra M; Pomario e Volosca. Il successivo intensificarsi di contrasti ed incidenti nella città del Quarnaro provocherà un crescendo di problemi, proposte ed interventi che impegneranno il Comando della 3a Armata ed i Comandi subordinati coinvolti. Tutta la documentazione testimonia la volontà da una parte di evitare maggiori incidenti, ma anche di non cedere a manifestazioni ostili od atti di forza. La crescente, evidente, esasperazione nell'animo di tutti, dai Comandanti ai minori livelli al Comandante dell'Armata Ten. Gen. Emanuele Filiberto Duca d'Aosta, di cui è noto l'atteggiamento preso nella questione

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fiumana e successivamente verso il movimento fascista, appare provocata, ancora più che dall'atteggiamento della popolazione locale, di cui si comprendevano i sentimenti e che si contava di attrarre con provvedimenti di larga autonomia e generosità non disgiunti da fermezza , dalla sempre più evidente ostilità ed inframmettenza degli alleati francesi che si rivelavano costantemente alle spalle ed a monte di tutte le attività a noi ostili: a Fiume, in Dalmazia, in Grecia. Avveniva anche che le nostre Autorità militari non avvertivano inizialmente come tali atti fossero conseguenti ad una azione politica deliberata dall'alto, oltre che il risultato delle pubbliche polemiche anteriori circa la nostra inattività operativa nell'estate del 1918; sicché nel corso dei primi momenti della nostra presenza a Fiume, esse ritennero che fosse dovuta ad atteggiamenti e pregiudizi degli uomini particolari con i quali avevano a che fare. In pratica la mancata soluzione al livello governativo dei contrasti poneva le Autorità militari «in loco» di fronte a situazioni sempre più difficili ed incresciose che non potevano trovare soluzione. Il Comando dell'Armata, in data 20 novembre, proponeva, al fine di eliminare numerosi inconvenienti e permettere un più efficace controllo militare e politico della regione, di «estendere, fino alla conclusione della pace, l'occupazione del retroterra istriano fino ai centri di: Lubiana a nord est di Trieste; Brod e Delnice ad est di Fiume; Laas e Cabari a nord e ad est del Monte Nevoso; Cirkniza ad est del Passo di Postumia; ed alla principale arteria stradale che collega tali centri». (f.n. 9697 del 20.XI - Doc. n. 555). Ma il Comando Supremo, con il suo foglio 15439 G.M. del 25 novembre (Doc. n. 556), esprimeva una decisa opposizione a simili iniziative riaffermando che l'occupazione di punti esterni alla linea di armistizio avrebbe potuto avvenire solo per salvaguardare straordinarie esigenze di ordine pubblico e dietro esplicita richiesta delle autorità militari o civili dei territori interessati, oppure per assicurare il possesso di punti strategici di eccezionale importanza. Comunque·, veniva ribadito che ogni occupazione avrebbe dovuto essere approvata e decisa dal Comando Supremo. Tali disposizioni venivano ulteriormente confermate con il foglio 15877 G.M. dell' 11 dicembre (Doc. n. 557)comunicando che eventuali rettifiche della linea di armistizio avrebbero potuto essere ricercate in sede di trattative per la definizione delle frontiere definitive del Regno. Contemporaneamente potevano essere intensificate le attività volte ad affermare come definitivo il nuovo regime diffondendo i simboli di italianità e «dimostrando possibile ed utile la pacifica convivenza delle due stirpi nei paesi a popolazione mista». Venivano intensificate, altresì, le misure di controllo dei transiti attraverso la linea di armistizio, ed estese alle zone occupate le norme sulla circolazione e sul soggiorno in Zona di Guerra, la cui applicazione incontrava, peraltro, notevoli difficoltà (Doc. n. 558).


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All'azione propagandistica si cercava; altresì, di affiancare una attività concreta di ricostruzione delle opere pubbliche nella regione. Verso la fine di novembre venivano concesse all'Armata altere due Divisioni per creare una fitta rete di presidi in tutto il territorio occupato; ciò permetteva una nuova sistemazione organica e territoriale. Rimanevano allora all'Armata le sole 1a e 3 a Divisione di Cavalleria in quanto fin dal 23 novembre le unità della 4a Divisione erano state avviate d'urgenza a Treviso per essere poi trasportate per ferrovia a centri dell'interno (Reggimenti: «Treviso» a Firenze, «Nizza» ad Ancona, «Vercelli» a Bologna) e poste a disposizione del Ministero della Guerra; ciò, evidentemente, in vista di ridare alle Autorità di Governo maggiore capacità di intervento di Ordine Pubblico. Il 15 dicembre, poi, anche la 1a Divisione di Cavalleria veniva avviata a Treviso per ivi imbarcarsi sulla ferrovia e rientrare nel Paese. Nel corso del mese di dicembre andavano giungendo notizie di apprestamenti militari jugoslavi a noi ostili mentre risultavano maltrattamenti e vessazioni inflitti agli Italiani costretti ad attraversare le regioni slovene per rimpatriare. La situazione e soprattutto i timori di sorprese od incidenti spingevano a misure di precauzione (che acquisivano carattere forse anche eccessivamente esagerato) e ad impegnarsi fortemente in attività informative· che investivano gli aspetti politici oltre che quelli militari (Doc. n. 559) mentre il Governatorato di Trieste raccomandava di evitare eccessivi cambiamenti nei Comandi di presidio (Doc. n. 560). In data 29 dicembre il Comando Supremo, con il suo foglio 35803 alla 3a Armata e per conoscenza al Governatore della Venezia Giulia, cercava di limitare l'attività dell'Ufficio Informazioni dell'Armata disponendo che esso si occupasse solo di questioni militari e si astenesse dall'occuparsi di questioni politiche, che, evidentemente, erano riservate alla cura del Governatore (Doc. n. 561). Ma il Comando dell'Armata, con il suo foglio 184 AG del 7-1-1918, faceva obiezione rivendicando la necessità e l'utilità delle attività informative condotte avanti dall'Armata stessa (Doc. n. 562). L'anno 1919 iniziava con un rallentamento delle preoccupazioni nei riguardi di possibili minacce alla linea orientale di armistizio, anche per i contatti che si andavano sviluppando con il nuovo Stato jugoslavo (Doc. n. 563 e n. 564); rimaneva, invece, ed andava anzi aggravandosi, la questione di Fiume per l'intensificarsi delle diffidenze e degli incidenti con le Autorità militari francesi. 8. Il Governatorato di Trieste e della Venezia Giulia

Delle circostanze e delle modalità con le quali si arrivò, il 3 novembre,

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allo sbarco delle nostre Unità a Trieste si è già detto al Capitolo XV. Sono indicate in allegato le unità allora impiegate (Doc. n. 565). Il Ten. Gen. Petitti di Roreto, giungendo il 3 novembre a Trieste, aveva assunto con un proclama le funzioni di Governatore della Città fra l'entusiasmo della popolazione (Doc. n. 566). Le forze ed i mezzi a sua disposizione erano esigui (2 battaglioni bersaglieri rinforzati: 10° e 39°), ma la situazione dell'ordine nella città era del tutto soçldisfacente. Con le altre unità della II Brigata bersaglieri affluite successivamente (8 ° battaglione il 5 .XI; 27° battaglione il 6.XI; 11 °, 33 ° e 44 ° il 7 .Xl) il presidio veniva esteso alle località di Opicina, Prosecco, Divazza, Mattuglie, Pisino, Buia, mentre la Marina inviava propri reparti a Parenzo e, successivamente, a Monfalcone, Grado e Capodistria. Il giorno 10 novembre, con la Regia Nave «Audace» erano a Trieste S.M. il Re con i Gen. Diaz e Badoglio; il Diario Storico del Comando Supremo registra: «Accoglienza entusiastica, delirante». Numerosi eran_o gli interventi delle Autorità militari per migliorare la situazione della cittadinanza, specialmente quella sanitaria ed ospedaliera, nonché per avviare la normalizzazione della vita economica. Ma il maggior problema era costituito dal fatto che, per le interruzioni dei ponti sul Piave e sugli altri corsi d'acqua del Veneto, le comunicazioni stradali e ferroviarie con il nostro territorio rimanevano ancora interrotte, sicché tutti gli afflussi di uomini e di mezzi dovevano avvenire via mare da Venezia. Questi, a loro volta, erano resi insufficienti dalla situazione deficitaria della nostra Marina Mercantile in Adriatico. La molteplicità delle esigenze di trasporto fra le due sponde imponeva uno sforzo che risultava vincolato a limiti piuttosto esigui rispetto alle esigenze, moltiplicate dall'inatteso rovesciarsi a Trieste di una fiumana di nostri militari ex prigionieri. Mentre, infatti, le comunicazioni fra Trieste e Venezia erano interrotte, le comunicazioni ferroviarie interne all'Austria potevano funzionare ancora abbastanza ordinatamente; venivano anzi avviati verso il Trentino, il Tarvisiano ed il Triestino (almeno fino a Lubiana) i treni che dovevano sgombrare all'interno i militari dell'Esercito austro-ungarico; su questi treni affluivano verso le zone occupate dalle nostre truppe i militari italiani già prigionieri che - nel marasma generale dell' Impero asburgico - erano stati semplicemente lasciati liberi e con ogni mezzo giungevano alle aree liberate. Mentre il nostro Comando Supremo si preoccupava di far affluire nuove forze affidando - come già si è detto - al XIV Corpo d'Armata, (9a e 61 a Divisione) alle dipendenze della 3a Armata il presidio dell'intera Penisola Istriana con l'esclusione della Piazza Marittima di Pola (Doc. n. 545), il Gen. Petitti doveva, dal giorno 9 novembre, fare segnalazioni sempre più concitate per un afflusso crescente di ex prigionieri per i quali era difficile


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assicurare il vettovagliamento ed impossibile uno sgombro tempestivo (Doc. n. 567). Il numero di questi prigionieri saliva infatti, a tale data, già alla cifra di 20.000 ed alla data del 15 novembre a ben 60.000. Si trattava di una massa di uomini che giungevano, come già riferito, «affamati, laceri, scalzi»; al loro arrivo potevano solo in minima parte trovare ricovero e dovevano bivaccare sui piazzali del porto ricevendo magre razioni per l'insufficiente disponibilità di viveri. Si trattò di una situazione penosa che mosse ad intervento anche le Autorità del XIV Corpo d'Armata britannico, che, avvalendosi dei maggiori mezzi a loro disposizione, fornirono 100.000 razioni e provvidero a sgombrare con proprie autoambulanze 200 ammalati (Doc. n. 568). Altri interventi furono curati dal Comando Supremo e dal Comando della 3a Armata per incrementare sia l'afflusso di vettovaglie sia le possibilità di sgombero via mare (Doc. n. 569). La situazione, superati momenti criticissimi attorno alla metà del mese, poteva considerarsi abbastanza normalizzata solo verso il 25 novembre (Doc. n. 570 e n. 571); essa, successivamente, andava sempre migliorando a mano a mano che si venivano ripristinando le comunicazioni via terra con Venezia. Ma, se le attività del Governatorato trovavano una certa facilità di attuazione nella città e zone limitrofe, non altrettanto agevoli ed efficaci dovevano risultare quelle relative all'intera regione della Venezia Giulia, che, per effetto dell'ordinanza del 19 novembre, erano state affidate al Gen. Petitti di Roreto ed al Comando XIV Corpo d'Armata. Si trattava di incombenze di carattere politico, amministrativo e di intervento in campo civile, ma che dovevano essere esercitate in un territorio in cui le responsabilità militari erano attribuite a due Comandi di Armata (3a e 9a) ed al Comando della Piazza Marittima di Pola. E ciò in una regione divenuta di frontiera, in cui: la situazione politica permaneva incerta, quella militare delicata, quella amministrativa ancora confusa per il permanere di personale delle Amministrazioni dello Stato austriaco e l'insufficiente disponibilità di quello italiano. La situazione doveva poi essere resa più difficile: - sia dalla difficoltà medesima di ripartire interventi e responsabilità fra i vari Comandi; - sia dalla scarsa disponibilità di uomini e di mezzi da parte del Governatorato costituito dal Comando XIV Corpo d'Armata e dalle difficoltà delle comunicazioni e dei contatti con gli organi esecutivi nelle zone esterne, cioè i Comandi di Grandi Unità nelle varie zone che permanevano alle dipendenze di Comandi militari più elevati; - sia infine anche da qualche suscettibilità personale. È noto, infatti, che il Comandante della 3a Armata, il Duca d'Aosta, avrebbe ritenuto più conveniente l'attribuzione del Governatorato al Comando della medesima (le esperienze più positive del Governatorato di Trento, affidato alla 1a Ar-

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mata, attestavano che tale soluzione sarebbe forse stata migliore, anche per le maggiori possibilità di intervento di quel Comando). Comunque, i rapporti fra il Comando della 3 a Armata ed il Governatorato furono di una volenterosa collaborazione come richiesto dalla situazione (Doc. n. 572). Le relazioni fra il Governatore della Venezia Giulia e l'Ammiraglio Cagni, Comandante della Piazza Militare di Pola, ebbero a subire, invece, momenti di burrascoso contrasto che, dalla differenza di opinioni o di esigenze, finirono per passare al livello di discussione dei reciproci poteri e responsabilità. In ultima analisi, il Gen. Petitti fu posto dinnanzi a compiti difficili che assolse con scarsi mezzi e con esito nel complesso positivo nonostante le ardue circostanze; di esse una testimonianza nel documento n. 573. Un problema particolare ebbe ad emergere in merito alla dipendenza dei Comandi dei Carabinieri, che erano stati piuttosto rinforzati nell'area anche con l'assegnazione di uomini scelti dei vari reparti. Il Governatorato proponeva la costituzione di una apposita Legione Territoriale alla diretta dipendenza, mentre le Armate non ritenevano possibile tale costituzione che le avrebbe private di uomini ed organi indispensabili alle proprie attività e sicurezza. La questione veniva risolta dal Comando Supremo con la costituzione dei Comandi Territoriali autonomi dei Carabinieri nel Trentino, nella Venezia Giulia ed in Dalmazia, dipendenti dai Governatori delle rispettive aree, ma costituiti per la maggior parte con nuovo personale designato dal Comando Generale dell'Arma (Doc. n. 574). 9. Le occupazioni di Pola, Fiume, della Dalmazia e delle Isole dell'Adriatico (Schizzo n. 48)

A. Generalità

L'urgenza di un pronto intervento militare per l'occupazione dei territori dell'Istria e della sponda orientale dell'Adriatico, di cui era prevista l'assegnazione all'Italia dal Patto di Londra, era stata sottolineata dalla situazione politica quale si andava delineando già alla fine di ottobre. Erano giunte allora notizie relative alla cessione della flotta austriaca agli Jugoslavi ed alle rivendicazioni del Consiglio Nazionale di Zagabria per una attribuzione al nuovo Stato di tutti i territori ad oriente dell'Isonzo e, addirittura, secondo alcuni, del Tagliamento. In data 1° novembre il Presidente Orlando telegrafava da Parigi: «occorre essere pronti in caso di armistizio ad affrettare l'occupazione dei territori indicati dall'armistizio. E poiché il tempo di procedere per via di terra potrebbe essere relativamente lungo credo opportuno predisporre fin d'ora


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Schizzo 48 - Occupazioni via mare di località dell'Istria, delle isole e della sponda orientale dell'Adriatico


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l'occupazione per via di mare la quale potrà riferirsi tanto all'Istria che alla Dalmazia» (Doc. n. 435). In verità, il crollo dell'Impero Asburgico avvenne così inaspettatamente ed in modo così precìpitoso che le nostre Forze Armate si trovarono piuttosto impreparate ad affrontare le esigenze di grosse spedizioni nel Mare Adriatico. Queste, infatti, oltre e più che da una pronta disponibilità di unità dell'Esercito (data la nuova situazione operativa, avrebbe potuto essere assicurata con relativa facilità almeno in partenza da Venezia), erano subordinate alle possibilità di trasporto marittimo . Ora, la Marina mercantile italiana aveva subito perdite ingentissime; le sue navi residue facevano parte del «pool» interalleato che assicurava i trasporti necessari all'Intesa secondo le disposizioni del Comitato Trasporti Marittimi di Londra; esse si trovavano quindi impegnate sulle rotte più varie. Inoltre, in relazione alla guerra in corso in Adriatico aveva dovuto essere evacuato da questo mare anche il naviglio minore e di cabotaggio. Sicché, la pronta disponibilità di naviglio mercantile per la nuova esigenza risultava assai ridotta, e si dovette ricorrere in gran parte al trasporto con naviglio militare, di scarsa potenzialità. Tutte le operazioni furono attuate sotto la direzione della Regia Marina e nell'ambito delle sue possibilità di intervento; dell'andamento e dei particolari circa la loro esecuzione riferiscono compiutamente le pubblicazioni dell'Ufficio Storico di tale Forza Armata 1 • Ci si limita pertanto, a dare qualche notizia circa la partecipazione alle operazioni da parte di unità dell'Esercito; fa eccezione a tale criterio quanto è avvenuto a Fiume. Con altro ordine del 3 novembre (Doc. n. 575) venne destinata per l'occupazione di Pola e dei porti dell'Istria la Brigata «Arezzo» (reggimenti 225° e 226°) rinforzata (Brig. Gen. Bonaini da Cignano), ceduta dalla 61 a Divisione del XXIII Corpo d'Armata (9a Armata) e fatta affluire a Venezia. Tale Brigata sarà successivamente sostituita dalla Brigata «Pinerolo» (Brig. Gen. Carlo Perris) in quanto destinata - come si vedrà - ad essere disciolta. Per la occupazione delle loca,lità della Dalmazia e delle numerose isole dell'Adriatico vennero designate la Brigata «Savona» (reggimenti 15° e 16°) ed altre unità della 36a Divisione dislocate in Albania. Ciò, in quanto, nel Basso Adriatico, erano più prontamente disponibili le navi ordinariamente impiegate per i trasporti a quel fronte e per la sorveglianza dello sbarramento del Canale d'Otranto , ed in Albania erano le truppe più prossime all'area. In merito, per disciplinare il complesso delle operazioni, il Capo di Stato Maggiore della Marina, in data 5 novembre, disponeva che le oc1 Vds .: «La Marina Italiana nella Grande Guerra» (Voi. VIII), Ufficio Storico R. Marina, Vallecchi, Firenze, 1942, a cura di Silvio Salza.

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cupazioni territoriali avvenissero: da Venezia, per l'Istria; da Ancona e Brindisi per la Dalmazia. In tempi successivi, cioè verso la fine di novembre, fu inviata in Dalmazia la 24a Divisione di fanteria (Magg. Gen. Luigi Tiscornia) ceduta dal I Corpo d'Armata della 6a Armata, con partenza da Venezia; la Divisione comprendeva le Brigate «Taranto» (reggimenti 143° e 144 °) e «Gaeta» (reggimenti 263 ° e 264 °) ed il 21 ° reggimento artiglieria da campagna, nonché altre unità in rinforzo (Doc. ·n. 576). Affluì anche in Dalmazia il 138° reggimento fanteria (Brigata «Barletta» dall'Albania); l'altro reggimento della brigata (137°) partecipava alla occupazione di Cattaro con il II ed il III battaglione insieme ad un battaglione americano mentre il I battaglione occupava Antivari, nel Montenegro, insieme a minori reparti francesi e serbi. In relazione ai tempi assai ristretti connessi alle varie situazioni, la Marina riuscì ad effettuare alcune operazioni prima dell'ora di scadenza dell'armistizio, altre solo successivamente. In allegato n. 577 sono state riassunte tutte le occupazioni precisando i porti di partenza, le date di sbarco e le unità dell'Esercito impiegate per il presidio delle località in questione. Importa qui sottolineare come gli avvenimenti in Dalmazia ed in Adriatico furono dominati da una serie di contrasti sia con la popolazione locale; prevalentemente slava, sia con i nostri alleati, soprattutto con i Francesi. Al riguardo ricordiamo come il Patto di, Londra del 26 aprile 1915 avesse previsto l'assegnazione all'Italia della parte centrale della costa dalmata con un retroterra abbastanza profondo e quasi tutte le isole a nord di Curzola e Meleda (comprese). L'armistizio di Villa Giusti aveva stabilito l'evacuazione da parte delle unità austro-ungariche di tale zona, che per accordi intervenuti fra gli Alleati, avrebbe dovuto essere occupata dalle forze italiane. Gli altri tratti di costa (a nord fra Volosca e Lisarica; ed a sud da Capo Planka fino agli ancora non ben definiti confini dell' Al~ania) avrebbero potuto essere occupati, se necessario per .esigenze di ordine strategico o motivi di ordine pubblico, da forze delle potenze alleate ed associate. In conseguenza di questi accordi, l'occupazione di località di tali tratti di costa (fra le quali erano Fiume, Spalato e Cattaro) avrebbe dovuto avere carattere interalleato. Essa peraltro doveva avvenire in una situazione di più o meno aperto dissenso fra i Comandi della Marina italiana e di quella francese, questi ultimi strumenti attivi della volontà politica di Parigi. Questa era risoluta a contrastare l'espansione della influenza italiana nei Balcani ed a stimolare le aspirazioni jugoslave: sia impedendo qualsiasi ulteriore concessione oltre quelle già previste dal Patto di Londra; sia alimentando l'irredentismo croato e sloveno nell'area di prevista assegnazione all'lta~; sia creando condizioni di permanente opposizione fra l'Italia ed il nuovo Stato degli Slavi del Sud. L'azione politica e militare italiana doveva risultare piuttosto incerta ed


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inefficace per molti motivi. Sul piano politico, infatti, il Ministro degli Esteri, Sonnino, riteneva prioritario attenersi a quanto previsto dal Patto di Londra e non appellarsi, per Fiume od altrove, al p,rincipio di nazionalità, che avrebbe potuto far mettere in discussione quanto stipulato con quel Patto; ciò anche in relazione alla politica delle nazionalità proclamata nei quattordici punti del Wilson. Il Presidente Orlando era invece incline ad una politica più attiva, tendente ad assicurarci Fiume, il cui possesso doveva divenire un acuto problema di politica interna, mentre era più possibilista nei riguardi della occupazione della Dalmazia. Nei riguardi della occupazione del versante orientale dell'Adriatico vi era anche una differenza di giudizio fra l'Alto Comando della nostra Marina ed il nostro Comando Supremo. Il primo, ossessionato dalla situazione di inferiorità della nostra costa adriatica rispetto a quella orientale ed orientato a realizzare una assoluta sicurezza in questo mare per poter devolvere ogni cura alla difesa del Mediterraneo occidentale e centrale, premeva attivamente per un controllo il più esteso possibile della costa orientale e delle isole nell'Adriatico. Il secondo, invece, considerava non" rispondente a nostri permanenti int~ressi'l'occupazione, particolarmente di vaste aree oltremare, in Dalmazia. , Il nostro Comando Supremo, come si è detto, era contrario ad una espansione territoriale oltre Adriatico, che in prosieguo avrebbe potuto costituire un gravissimo impegno difensivo e che ci avrebbe inevitabilmente coinvolti nelle contese balcaniche. Il Cadorna, a suo tempo, era stato un forte oppositore anche di ogni sforzo eccentrico ed all'invio di unità in Albania; aveva poi aderito all'invio di forze per la costituzione del fronte macedone sia per garantire una presenza nel quadro interalleato sia perché riteneva di poter così contribuire ad aprire il passo agli aiuti alla Russia, la cui sopravvivenza e partecipazione al conflitto erano per noi di primaria importanza. Venuta a cessare ogni speranza di proficuo intervento, per la resa russa e la riduzione a mal partito delle forze rumene, il nostro Comando Supremo nel 1918 era stato ostile all'invio «anche di un solo uomo o di un fucile» al fronte macedone; esso, nell'agosto, aveva aderito all'invio di forze in Albanìa per ovviare ad una situazione divenuta critica ed assicurare il possesso di Valona, considerato essenziale e sufficiente per garantire la chiusura dello sbocco dell'Adriatico. Ma esso ora considerava con preoccupazione ogni occupazione oltre mare e non condivideva le pressioni della Marina per annessioni il più estese possibili in Dalmazia e nelle isole; mentre non si riteneva che gli Stati balcanici avrebbero potuto rappresentare una grossa minaccia marittima, la difesa di presidi ed aree dalmate avrebbe in ogni occasione costituito una palla al piede vincolando, per la loro preservazione, ìngenti forze terrestri e marittime. Abbiamo, in merito, una annotazione autografa del Gen. Diaz su un

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taccuino, relativa ad un suo colloquio con il Presidente Orlando svoltosi alla metà di dicembre 1918, che si esprime così: «Mollare la Dalmazia se occorre ma Alto Adige no». Gli avvenimenti nell'area dovevano, come si è detto, esser~ gravemente influenzati da questi contrasti di interessi e di opinioni, mentre alle nostre Autorità di Governo sfuggiva quanto debole fossero le nostre possibilità di positiva affermazione ·a guerra ormai conclusa. Come si è rappresentato al Capitolo II la posizione italiana nel concerto europeo, che aveva potuto godere del vantaggio di costituire un ago nella bilancia dell'equilibrio anteguerra, era destinata ad essere piuttosto isolata e trascurabile nella situazione che vedeva la scomparsa del contrappeso degli Imperi Centrali. E tuttavia le questioni adriatiche venivano a rappresentare rapidamente gravi motivi di turbamento della situazione politica interna spingendo le nostre Autorità civili e militari a sostenere richieste che apparivano del tutto legittime in relazione agli sforzi sostenuti ed al contributo dato alla vittoria alleata. B. Pola

Le forze navali agli ordini dell'Ammiraglio Cagni, con a bordo reparti da sbarco della Marina, 200 Carabinieri ed un battaglione del 225° reggimento fanteria (Brigata «Arezzo»), il giorno 5 novembre occupavano la base navale di Pola. Le difficoltà connesse alla occupazione delle installazioni della base ed alla resa delle navi della flotta aV'~ersaria furono rappresentate non dalle Autorità austro-ungariche ormai inesistenti ma da quelle che si professavano jugoslave ed alleate; esse, comunque, venivano brillantemente superate . Nei giorni successivi (12 novembre) affluivano altre unità della Brigata «Arezzo» ed alla Piazza Militare Marittima di Pola venne attribuita la responsabilità di una vasta area che comprendeva tutta la parte più meridionale dell'Istria a sud di Dignano (fra Orsera sulla costa occidentale dell'Istria ed il Golfo dell'Arsa su quella di levante). All'Ammiraglio Cagni, quale Comandante in Capo militare marittimo, veniva attribuita la giurisdizione da Porto Buso a Volosca e sulle Isole del Quarnaro; successivamente, il 19 dicembre, i suoi poteri marittimi venivafl:O estesi ed egli divenivà Comandante in capo di Pola e dell'Alto Adriatico, con responsabilità, quindi, anche nei riguardi delle attività navali nel porto di Fiume. C: Dalmazia ed isole dell'Adriatico Il 4 novembre, prima delle ore 15, aveva luogo l' occupazione di Zara da parte di due torpediniere provenienti da Venezia che avevano a bordo, ciascuna, un plotone di fanteria; un terzo plotone affluiva il giorno successivo: si trattava di unità del 225° reggimento fanteria della Brigata «Arez-


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zo». Successivamente, a seguito dell'ordine del Capo di S.M. della Marina in data 5 novembre perché le forze in Dalmazia fossero inviate dall'Albania e dai porti di Brindisi ed Ancona, affluirono a Zar.a unità della Brigata «Savona»: in un primo tempo un battaglione del 16° reggimento fanteria, seguito poi da altre unità della Brigata, con le quali fu possibile estendere l'occupazione ad isole del litorale dalmata ed all'interno. Tutte le forze che operavano nella Dalmazia e nelle Isole Dalmate e Curzolane erano agli ordini dell'Ammiraglio Enrico Millo che, con l'Ordinanza del 19 novembre veniva nominato dal Gen. Diaz Governatore di quell'area e Comandante delle truppe dell'Esercito ivi destinate; come tale, egli veniva a dipendere dal Comando Supremo. In data 30 novembre il Capo di S.M. della Marina con un suo messaggio 151561 (Doc. 578) confermava tale posizione dell'Ammiraglio chiarendo peraltro che egli rimaneva alle proprie dipendenze quale Comandante in Capo militare marittimo. In relazione alle difficoltà incontrate nel presidio delle principali località della Dalmazia ed alle voci insistenti di tentativi di occupazione serba di centri della costa o di sbarchi sulle isole, l'Ammiraglio Millo, in data 26 novembre inoltrava al Capo di S.M. dell'Esercito una richiesta di rinforzi. A tale domanda erano premesse notizie sulla dislocazione delle forze allora in Dalmazia e nelle isole e sulla situazione nell'area (Doc. 579). In data 30 novembre veniva, pertanto, disposto l'avviamento della 24" Divisione nonché della 13 • squadriglia auto blindo mitragliatrici da Genova. Ma, in data 30 dicembre, con il foglio 2917 il Governatore faceva ulteriori richieste di personale ed unità che potevano essere solo in parte soddisfatte. In particolare veniva comunicato di non .poter andare incontro alla richiesta di 4 battaglioni alpini e di numerosi complementi. In data 14 gennaio, l'Ammiraglio Millo tornava a presentare proposte per l'assegnazione ulteriore di 4 reggimenti fanteria, oltre che di personale tecnico per esigenze varie. Verso la fine del mese di dicembre le forze del Governatorato della Dalmazia, partendo da Zara, effettuavano operazioni intese ad estendere il nostro controllo nell'interno della Dalmazia; superate piuttosto deboli opposizioni di formazi?ni irregolari armate venivano occupati Knin ed altri centri minori. Si omette di trattare degli avvenimenti in altre località del versante orientale adriatico, quali Spalat!) e Cattaro, limitandoci solo a ricordare come i frequenti episodi ed incidenti con la popolazione locale e soprattutto con i Francesi dovevano contribuire a creare uno stato di tensione che si doveva ripercuotere anche sulla situazione a Fiume. D. Fiume Degli avvenimenti connessi con la occupazione di questa località merita trattare più dettagliatamente, date le conseguenze che essi ebbero nella

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politica interna ed estera nel nostro Paese. Inoltre, mentre gli avvenimenti della fine del 1919 e del 1920 dopo la «marcia di Ronchi» e l'intervento del D'Annunzio sono largamente noti, non altrettanto sono quelli che dettero inizio a tutta la vicenda e provocarono nell'ambito militare pericolose fratture. Alla fine di ottobre 1918, di fronte al crollo dell'Impero di Vienna si affermavano fra i vari popoli soggetti le spinte nazionalistiche più vivaci. Avveniva anche che popolazioni, le quali avevano potuto convivere in relativa armonia nell'Impero sovra-nazionale, rifiutavano ora di far parte di nuovi Stati a carattere fortemente unitario ove sarebbero divenute minoranze estranee, e tendevano ad aggregarsi agli Stati della propria nazionalità. Mentre nelle campagne la dispersione della popolazione rendeva più difficili le possibilità di affermazione politica, nei centri maggiori le comunità prevalenti tendevano a pronte affermazioni nazionali; si verificavano, così, gravi contrasti e perturbazioni fra comunità divise da aspirazioni profondamente sentite. Era quanto succedeva a Fiume, ove i due terzi della popolazione erano di lingua e sentimenti italiani ed un terzo circa di sentimenti croati o sloveni; nel quadro dell'Impero Asburgico l'autorità politica ed amministrativa era stata sempre ungherese, ed aveva una limitata rappresentanza anche nella popolazione. Così, mentre al fronte e nell'interno dell'Impero si andavano manifestando i sintomi del disfacimento dell'Esercito e dello Stato, anche a Fiume si verificava un vuoto di potere che le forze politiche locali tendevano ad occupare con la costituzione di Consigli e Comitati, proclamando la propria volontà di unione al proprio Stato nazionale; fra le comunità si intensificavano incidenti e si verificavan:o gravi perturbazioni dell'Ordine Pubblico, che avevano ripercussioni a vasto raggio. In particolare i contrasti circa la futura destinazione politica del territorio fiumano si erano presto verificati dopo il noto proclama delÌ'lmperatore Carlo del 17 ottobre 1918. Infatti, già nella seduta del 18 ottobre del Parlamento di Budapest, il deputato fiumano Ossoinack protestava energicamente contro l'inclusione della città nel gruppo politico della «Jugoslavia asburgica», che si intendeva costituire nel quadro degli intendimenti ormai tardivi dell'Imperatore C;irlo verso una Triplice Monarchia. Il deputato dichiarava che Fiume era sempre stata città autonoma anche nel quadro dell'Ungheria e che, rivendicando il diritto di autodecisione dei popoli proclamato dal Presiderite Wilson, intendeva disporre dei propri destini e rimanere italiana come era sempre stata nel passato . Dinnanzi poi alla costituzione a Zagabria, il 23 ottobre, di un Consiglio nazionale Sloveno-Croato-Serbo, che rivendicava il possesso dell'intera Istria, comprese Trieste, Fiume e la Dalmazia, si verificavano i primi di-


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sordini nella città. Quando, poi, ebbero luogo a Fi me, il 28, i noti primi ammutinamenti di reparti croati, il 29 ottobre il Go 1 ernatore e le altre autorità ungheresi con gli organi di polizia abbandonavano la città e si costituivano, nella medesima, organismi rappresentativi delle due nazionalità. Il Consiglio Municipale, a prevalenza italiano, dichiarava che non intendeva consegnare la città al Governo croato volendo la città essere unita all'Italia. Esso, inviava, altresì, propri rappresentanti a Trieste perché, unendosi a quelli di questo centro, cercassero di giungere a Venezia per invocare l'intervento di nostre Unità. Nella giornata del 30 l'atteggiamento del Consiglio Municipale italiano veniva confermato con un Proclama, che dichiarava l'annessione della Città alla Madre Patria Italia. Ma, nella medesima giornata, si presentava a Fiume un Commissario jugoslavo che proclamava l'appartenenza della Città al nuovo Stato croato. Per alcuni giorni permanevano i poteri di entrambe le comunità che non si riconoscevano vicendevolmente e si andavano verificando incidenti fra individui delle due nazionalità. In Italia, la prevalente italianità della città di Fiume era nota, ma essa - per vari motivi - aveva costituito minor-motivo di rivendicazione di quelle di Trento e Trieste. D'altra parte, il noto Patto di Londra non aveva contemplato la cessione all'Italia della città di Fiume, il cui porto era stato considerato necessario ali' Austria-Ungheria o ad un eventuale Stato croato, quale indispensabile accesso al mare. Anche nella definizione della linea di armistizio era stata prevista come limite alla occupazione più orientale quella dello spartiacque che scende dal M. Nevoso al mare in corrispondenza di Castua e Volosca, sicché la città di Fiume veniva a trovarsi oltre la linea di armistizio, sebbene di pochi chilometri, e nell'area del territorio adriatico di cui non era prevista la cessione all'Italia. Tuttavia, quando i rappresentanti fiumani giunsero a Vene~ia il 1° novembre ed ebbero conferito il 2 con il Capo di S.M. della Marina, Amm. Revel, questi inviava al Presidente Orlando, a ·Parigi, un messaggio rappresentando l'opportunità della occupazione della città (Doc. 580). Con l'assenso del Presidente Orlando il 3 novembre una Divisione navale speciale, agli ordini del Contrammiraglio Rainer, partiva da Venezia ed entro le 12.00 del 4 novembre entrava nel porto di Fiume fra l'entusiasmo della più gran parte della popolazione . Peraltro, pur avendo a bordo della corazzata «Emanuele Filiberto» un migliaio di uomini, il Contrammiraglio Rainer non provvedeva alla materiale occupazione della città. Nei giorni successivi non mancavano a Fiume incidenti minori nei quali venivano spiegate bandiere e portate coccarde da individui delle due nazionalità. Intanto, la questione della italianità di Fiume andava montando anche in Italia, come già accennato e come si evince da alcune comunicazioni

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apparse nei Documenti Diplomatici Italiani (Serie VI - val. I) . Il Ministro degli Esteri Sonnino era ostile ad estendere le nostre rivendicazioni alla città di Fiume preferendo attenersi al disposto del Trattato di Londra e non fare eccessivo appello al principio di nazionalità, che avrebbe imposto una rinuncia alla Dalmazia. Il Presidente Orlando era invece favorevole ad un accoglimento dei «desiderata» della popolazione in nome dei noti «principi» del Wilson. (Doc. n. 581, 582, 583 e 584). La situazione locale, peraltro, precipitava il 14 novembre per l'ingresso nella città di due battaglioni del 5° reggimento di fanteria serbo con il Ten. Col. Maximovic, che occupava, d'accordo con la minoranza slava, gli edifici pubblici più importanti escluso il Municipio, sede del Consiglio Comunale Italiano, ed armava anche formazioni di prigionieri serbi liberati e di volontari croati loc~li. Si intensificavano allora i disordini nella città e, nella giornata del 14 stesso, il Comando Supremo riferiva al Presidente del Consiglio le notizie allarmanti portate anche dal Capo del Partito Laburista inglese, Signor Fisher, e prospettava «un immediato intervento di una brigata di fanteria e di un battaglione americano per impedire un massacro» (Ooc. 585). In giornata, il Presidente del Consiglio esprimeva la sua concordanza suggerendo di dare all'occupazione un carattere interalleato con la partecipazione anche di contingenti britannici e francesi (Doc. n. 586) e, successivamente, di motivare l'occupazione con l'esigenza di salvaguardare un ordine pubblico fortemente turbato anche secondo testimonianze straniere. Da porsi in rilievo che nelle condizioni di armistizio era specificatamente prevista l'ipotesi di occupazioni interalleate di località oltre la linea d'armistizio per motivi strategici o per gravi motivi di ordine pubblico. Alle precedenti comunicazioni si aggiunsero quelle dell' Amm. Rainer circa l'ingresso in città di truppe serbe, ed il 16 novembre un messaggio indignato dell' Amm. Cagni da Pola, sicché il Comando Supremo dava ordini per una immediata occupazione della città (Doc. 587). In un primo tempo era stata designata per l'occupazione la Brigata «Lecce» che doveva trasferirsi a Venezia per essere trasportata a Fiume via mare; ma successivamente, il 15 novembre, considerandosi tale invio non abbastanza tempestivo, venivano impartiti ordini perché la Brigata «Granatieri di Sardegna» (1 ° e 2° reggimento fanteria), attestata sulla linea di armistizio, con il 6° reggimento artiglieria campale muovesse verso Fiume per via ordinaria. Alle sue spalle doveva affluire e disporsi sulla linea di armistizio la Brigata «Sesia», (201 ° e 202° reggimento fanteria), pronta ad intervenire in caso di bisogno. Detta brigata veniva posta alle dipendenze della 54a Divisione. Un battaglione del 332° reggimento fanteria USA doveva essere fatto affluire .con la Brigata Granatieri, trasportandolo d'urgenza su autocarri. Un battaglione britannico ed uno francese avrebbero dovuto affluire sue-


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cessivamente. tutte queste unità venivano poste agli or!·ni del Magg. Gen. Enrico Asinari di San Marzano. In merito, poi, alla questione della presenza.delle t uppe serbe a Fiume, il Ministro degli Esteri Sonnino, che si tn:lVava a Parigi, il 16 comunicava ai nostri Ambasciatori nelle capitali alleate che il nostro Governo non poteva ammetterla; data, infatti, la situazione della città, prettamente italiana, la presenza dei Serbi avrebbe potuto essere causa di conflitti con la popolazione e con le nostre truppe che non avrebbero potuto evidentemente ritirarsi. Non vi erano peraltro obiezione alla presenza, insieme alla nostre truppe, chiamate dai nostri connazionali, di truppe francesi, inglesi ed americane. Il Comando militare francese, dietro autorizzazione del suo Governo, aderiva a partecipare all'occupazione con un battaglione; lo stesso faceva anche il Comando britannico, il quale peraltro avvertiva cqe le truppe britanniche erano mandate per mantenere l'ordine ed affermare il carattere interalleato dell'occupazione, ma che in nessun caso avrebbero potuto essere impiegate per operazioni offensive contro gli Jugoslavi. Portatasi nella giornata del 16 nella zona di Castua, la mattina del 17 la Brigata Granatieri veniva temporaneamente arrestata nella sua avanzata da un messaggio del C. Amm. Reiner che dilazionava l'afflusso delle nostre unità in città per dare tempo alle forze jugoslave di ritirarsi dalla medesima ed evitare così uno scontro. Ciò veniva ottenuto piuttosto faticosamente e dopo ulteriori rinvii, tergiversazioni ed interventi del predetto Ammiraglio, finalmente le nostre Unità, costituite in cinque colonne, alle ore 16 del giorno 17, entravano in Fiume fra l'entusiasmo della popolazione e senza incidenti. Contemporaneamente sbarcavano dalle navi italiane reparti di marinai ed un plotone americano del 332° Reggimento. Il battaglione americano destinato a Fiume, attardato da difficoltà di trasporto e di movimento, giungerà solo il 20 novembre; il 24 novembre affluirà quello francese . L' Armata riferiva sobriamente in data 18 novembre; successivamente inviava una più particolareggiata relazione in data 19 novembre. Contemporaneamente, il Comando della 3 a Armata, con il foglio 9598 in data 18 novembre, prospettava al Comando Supremo che «il presidio di Fiume costituirà pur sempre un distaccamento distante qualche chilometro dall'attuale linea di armistizio e collegato per mezzo della sola strada litoranea alla restante zona da noi occupata. Al fine di conferire tranquillità e consistenza all'occupazione della città e del porto di Fiume, e per soddisfare alle esigenze economiche e sociali di quell'importante centro civile, si prospetta la convenienza che alla nostra occupazione di Fiume sia dato respiro estendendola per lo meno al bacino della Rèccina, con che essa risulterebbe anche meglio collegata al retroterra istriano dalle tre rotabili di Volosca,

Castua e Scalnica, e dalla strada ferrata». Venivano perciò fatte proposte alternative circa i limiti della zona da occupare. A questa proposta il Comando Supremo rispondeva il 23 novembre con il foglio 15332 G.M., che ribadiva come la linea di armistizio non potesse subire variazioni e l'occupazione di Fiume costituisse una misura di carattere eccezionale imposta da gravi ragioni di ordine pubblico. Concordando peraltro sulla opportunità di estendere l'occupazione agli immediati dintorni della città si indicavano i limiti di detta occupazione, corrispondenti a quelli precedentemente indicati come a raggio più ristretto dal Comando della 3 a Armata. Appare, quindi, anche nel caso della 3 a Armata così come in quelli già visti della 4a, nei riguardi di eventuali interventi ad Arnoldstein, e della 9a Armata, circa occupazioni delle testate di valli oltre la linea di armistizio, il netto orientamento del nostro Comando Supremo ad evitare un aumento dei contrasti con i nostri vicini od a maggiori impegni militari. Il nostro Comando Supremo, infatti, era orientato a garantire, nelle imminenti trattative di pace, essenzialmente il possesso dei territori fino alla dorsale alpina, che conferivano buone possibilità difensive limitando al massimo l'inclusione di alloglotti (circa 150.000 alto-atesini e circa 500.000 sloveni). Si deve quindi ritenere che l'intervento a Fiume, del resto deciso solo il 14 novembre ed eseguito nei giorni successivi, fu imposto dalle çircostanze per rispondere ai desideri della popolazione locale e disposto dal Governo non per una volontà di espansione imperialistica ma in quanto ritenuto in consonanza con i principi di nazionalità e di volontà popolare propugnati dal Wilson. Il Gen. Diaz sarà, inoltre, anche in prosieguo, sempre favorevole a soluzioni di compromesso che prevedessero la rinuncia alla Dalmazia di contro al riconoscimento del possesso di Fiume, che era divenuto politicamente necessario dinnanzi alla mobilitazione spontanea di tutta l'opinione pubblica italiana. La questione di Fiume doveva invece farsi sempre più complessa per l'opposizione non solo degli Jugoslavi, ma soprattutto degli Alleati, in particolar modo dei Francesi. Nei riguardi dei primi, dalla documentazione esistente, particolarmente di .carattere informativo, appare che mentre vi era molta comprensione nei riguardi dei sentimenti delle popolazioni (specialmente slovene) delle zone entro le linee d'armistizio, la cui acquiescenza si riteneva peraltro possibile ottenere con un governo giusto, ed una amministrazione corretta e generosa in armonia con le direttive ricevute, esisteva una netta avversione nei riguardi delle attività degli emissari croati e preoccupazioni per le formazioni croate e serbe che venivano a contatto. Si riteneva che le forze politiche croate fossero rimaste fedelissime alla Monarchia

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asburgica finché era apparsa possibile una vittoria egli Imperi Centrali; le unità croate e bosniache avevano combattutto semp egregiamente contro di noi ancora nell'ultima nostra battaglia sul Grapp · le nuove formazioni croate avevano alla loro testa ex-ufficiali dell'Esercito austro-ungarico; tutti gli avvenimenti, fra cui non ultimo quello della truffaldina cessione della flotta al Consiglio Nazionale Croato, apparivano come sotterfugi intesi a vanificare le conseguenze dell'esito infausto del conflitto. Se tale doppiezza non si poteva attribuire al Governo Serbo, appariva peraltro ingiusto e pretenzioso un ingrandimento tanto importante di questo nostro pessimo Alleato, che - in fin dei conti - doveva al nostro intervento ed ai nostri sacrifici la sopravvivenza ed il conseguimento dei suoi ideali nazionali. - I -nostri Comandi Militari, poi, tendevano a lasciare la cura delle questioni politiche al nostro Ministero degli Esteri ed al Governo, mentre localmente non potevano accettare imposizioni da militari ex-nemici o rappresentanti di Stati non esistenti o dubbi alleati. Tendevano, così, a contrastare le attività delle formazioni jugoslave attribuendo, forse, eccessivo peso alla loro pericolosità. Si tendeva, comunque, ad evitare incidenti mantenendo assai robuste le nostre occupazioni. Ma i nostri Comandi vennero a trovarsi soprattutto a disagio nei confronti di atteggiamenti ostili e provocatori di Comandi e militari alleati, particolarmente francesi. Non al corrente delle dispute politico-diplomatiche né avvertiti delle forti correnti di opinione a noi contrarie alimentate da politici, commentatori e organi di stampa d'oltralpe, essi non si resero conto tempestivamente di come tutto ciò rispondesse ad una precisa pòlitica intesa a contenere quello che a Francia e Gran Bretagna appariva un indebito espan. sionismo italiano. Soprattutto inizialmente - e finché gli avvenimenti della Conferenza della Pace a Versailles non ebbero a rivelare la natura e la consistenza della opposizione - tali atteggiamenti vennero considerati come manifestazioni di ostilità personale e collusioni opinabili con i nostri avversari, e perciò tanto più da contrastare facendo al contempo appello alle Autorità di Governo perché divergenze e problemi venissero risolti al livello politico. Ma le illusioni e le note incertezze della nostra diplomazia non consentivano di chiarire il substrato politico dei contrasti e, mentre non si perveniva ad accordi soddisfacenti con i Governi alleati né a compromessi cop il Governo Serbo raccomandati anche dal Masaryk, si mantenevano le nostre unità nelle località occupate e si confermav~no gli intendimenti annessionistici, pur raccomandando,. nel contempo, di evitare ad ogni costo incidenti di qualsiasi natura con gli Alleati. Era, in pratica, una situazione assai difficile in cui i nostri Cornandanti ed i militari tutti venivano posti e che porterà spesso a situazioni insostenibili, a forti esasperazioni che - come è noto - addur-

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ranno ai noti fatti di Fiume. Fatti gravi non tanto in sé, concludendosi con il Trattato di Rapallo in soluzioni compromissorie, ma in quanto incisero sulla saldezza dell'Esercito e delle Istituzioni e vennero ad alimentare una vivace reazione nazionalistica, la quale sfocerà nel Fascismo, ma che ebbe i suoi primi sintomi nelle dimissioni dal Governo Orlando del Bissolati, il 28 dicembre del 1918, ed in quelle del Nitti nel gennaio del 1919. In particolare, il medesimo giorno 19 novembre, veniva segnalato dal Comando militare di Fiun:ie che il Comandante del battaglione serbo che aveva lasciato la città, chiedeva di rientrarvi; gli era stato risposto che ogni richiesta similare doveva avvenire tramite le autorità di Governo (Doc. n. 588).

Da una successiva comunicazione appariva che tale richiesta era appoggiata dal Comando francese dell'Armata d'Oriente, che, in data 17 novembre, aveva disposto la costituzione a Fiume di una propria base logistica. Il Comando della 3" Armata prospettava di aver confermato gli ordini di non ammettere in città alcun contingente serbo e la opportunità di mettere subito il Governo al corrente della questione e di chiarire, sempre ad alto livello, la sostanza della costituenda base logistica dell'Esercito francese d'Oriente. Gli ordini al Gen. di San Marzano prescrivevano di non permettere l'ingresso che .alle unità alleate già designate dal nostro Comando Supremo, di non accettare _discussioni né con Serbi né con altri alleatj e di comuc nicare che qualsiasi richiesta fosse fatta pervenire tramite i rispettivi Governi. Il giorno 20 novembre, inoltre, il Comando dell'Armata chiedeva al Comando Supremo come comportarsi nei riguardi del riconoscimento del Consiglio Nazionale della città è di altre questioni di diritto internazionale e di condotta politica dell'Autorità militare . Altra richiesta di precisazioni circa il comportamento da tenere veniva inoltrata il giorno 24 novembre dinnanzi alle dichiarazioni del Generale inglese Gordon ed agli atteggiamenti dei Comandanti alleati, intesi ad esercitare un controllo «vicino e continuato sull'operato e sulle disposizioni del Comando del presidio interalleato di Fiume». Appare comunque che la situazione andasse del tutto normalizzandosi nella città·e nei dintorni; il presidio nella giornata del 25 veniva rinforzato dall'arrivo di 4 compagnie mitragliatrici e di un battaglione britannico. Ma, nella giornata del 24 e del 25, arrivavano a Fiume Ufficiali francesi e successivamente reparti che si dicevano incaricati di preparare in Fiume una base logistica a favore delle truppe alleate di Budapest e Belgrado, che sarebbe stata affidata al Generale francese Tranié, Comandante della 11 a Divisione dell'Armata d'Oriente (che, si noti, ancora si trovava a sud del Danubio e di Belgrado). Il Comando del presidio e quello dell'Armata lamentavano questa presentazione di richieste dirette ai Comandanti sul posto e


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prospettavano l'esigenza che, per evitare inconvenienti, e se fossero presentate per via gerarchica e che al Comando Presidio di Fiu e giungessero tempestivi preavvisi. Ciò, del resto, risultava necessario anc e per il fatto che, data la situazione delle comunicazioni, questo poteva rife ·re e poteva ricevere istruzioni solo con molto ritardo (Doc. n. 589). Constatiamo, infatti, che il foglio 15382 G.M. del Comando Supremo in data 22 novembre, nel quale si confermava l'ordine al Gen. di San Marzano di non ammettere l'ingresso in Fiume di truppe serbe ed invece di permettere quello di truppe francesi, inglesi ed americane qualunque fosse la loro provenienza, risulta inviato dal Comando della 3 a Armata in Trieste solo il 26 novembre e poteva evidentemente pervenire a Fiume, quanto meno, solo il giorno successivo. Ma, mentre - come si è detto - andava normalizzandosi la vita nella città, giungeva a Fiume, proveniente da Zagabria, il Gen. Tranié che, oltre a presentare le sue richieste relative alla costituzione della base, sosteneva la necessità di far ritornare a Fiume il battaglione serbo che ne era stato allontanato e faceva dichiarazioni che appaiono anche di una insolenza inaudita quando si pensi che erano fatte ad un Comandante interealleato, rappresentante di un Esercito che per pervenire a quella città aveva sacrificato mezzo milione di uomini (Doc. n. 590 e n. 591). In conseguenza, tutti i Comandi coinvolti interessavano ancora una volta il Comando Supremo, e questo il Governo, per averne norma di come comportarsi. Intanto, ìl Comando Supremo, mentre confermava di opporsi in ogni caso al ritorno delle truppe serbe, provvedeva ad inviare d'urgenza a Fiume il Ten. Gen. Francesco Grazioli, affinché il Comandante del Corpo Interalleato d'Occupazione fosse superiore in grado al Gen. Tranié (Doc. n. 592 e 593). Veniva stabilito che egli doveva dipendere direttamente dal Comando della 3 a Armata. Nella giornata del 28 il Comando Supremo, retto dal Gen. Badoglio in assenza del Diaz, precisava in due fogli, di cui uno «Riservato», le sue direttive per l'occupazione della città (Doc. n. 594 e n. 595). Contemporaneamente veniva dato conto di quanto avvenuto al Presidente del Consiglio e si chiedeva di interessare il Governo francese perché fossero date al Gen. Franchet d'Esperey istruzioni che lo rendessero «estraneo ad ogni ingerenza su Fiume dove la situazione sta divenendo delicata». Ma, come appariva dalla risposta del Presidente Orlando (Doc. n. 596), redatta dopoché della questione si era trattato a Roma in sede di Comitato di Guerra, il Governo non intendeva assumere una posizione ferma e precisa; anzi, trovandosi di fronte a proteste del Governo francese - evidentemente orientato ad attaccare per prevenire le proteste altrui - per pretesi eccessi da noi compiuti con l'occupazione di Fiume esso aveva acceduto alla costituzione di una Commis-

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sione di quattro Ammiragli, incaricata di esaminare la situazione e proporre provvedimenti. Nel frattempo, conveniva temporeggiare conservando lo «statu quo»; al Generale francese si doveva comunicare che la questione era oggetto di trattative e che ciò imponeva di attenderne le conclusioni. Ma, mentre il Governo Italiano, nelle sue direttive, chiedeva che fossero evitati ulteriori incidenti, non altrettanto avveniva da parte alleata. Il Gen. Grazioli rappresentava ancora il 29 novembre che la situazione avrebbe potuto «con facilità mettere capo a incidenti grandemente spiacevoli», e, riconoscendo in Fiume la località più adatta per la costituzione della nota base, proponeva che si offrisse ai Francesi di provvedere noi alla sua costituzione. Era quindi evidente la preoccupazione dei Comandi italiani di evitare l'insorgere di incidenti, mentre si andava invece consolidando l'atteggiamento ostile dei nostri Alleati. In merito, in data 30 novembre: - il Comando Supremo riferiva al Presidente del Consiglio che il Gen. Franchet d 'Esperey aveva chiesto al suo Governo che anche il presidio di Fiume fosse posto sotto il suo comando (Doc. n. 597); · - la 3 a Armata informava di dichiarazioni ostili fatte a Buccari il 22 novembre dal Comandante di una torpediniera americana.

In data 1° dicembre il Comandante della 3 a Armata, inviando una relazione del Gen. di San Marzano sulle modalità della avvenuta occupazione di Fiume, esprimeva chiaramente il suo parere che non vi fossero stati assolutamente gli eccessi per cui i Francesi avevano presentato proteste e che, invece, se c'era qualcuno che aveva.ragione di protestare era il Governo italiano (Doc. n. 598). Ancora il giorno 2 dicembre il Comando della 3a Armata inviava altra lettera segnalando ulteriormente l'attitudine «provocante» del Gen. Tranié; si chiedeva che fosse rappresentata al Governo la situazione gravida di seri pericoli e che fossero risolte le questioni della base franco-serba di Fiume, della dipendenza del distaccamento francese e dell'allontanamento del Gen. Tranié (Doc. n. 599). Contemporaneamente il Comando dell'Armata diramava disposizioni intese ad evitare incidenti. con gli Jugoslavi, in armonia con le direttive del Governo mentre il Comando Supremo comunicava quanto era stato prospettato in sede governativa e confermava le disposizioni di garantire lo «statu quo»; cosa che il Gen. Grazioli assicurava. Il Comando Supremo disponeva che, in attesa dell'arrivo della predetta Commissione dei 4 Ammiragli, si doveva «usare prudenza cercando di evitare incidenti e non pregiudicando alcuna questione» (Doc. n. 600 e n. 601). Ma, ecco che il 4 dicembre insorgevano nuove maggiori richieste del Gen. Tranié; il Comando della 3 a Armata presentava ancora la proposta


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di costituire a nostra cura la base dell'Esercito d'Oriente, ma riba iva l'esigenza di chiarire al più presto la situazione. Intanto si davano ult riori direttive al Gen. Grazioli intese ad evitare ogni incidente con gli eati. Alla tensione «in loco» si aggiungevano ora le rimostranze info date del Clemenceau per asserite difficoltà frapposte alle comunicazioni del O~n. Tranié con il suo Comando e per arbitrarie appropriazioni di risorse alimentari locali. Era evidente che, sia a Parigi sia a Fiume, avvalendosi di motivazioni più o meno serie, si contestava la nostra presenza in Fiume e si cercava di metterne in discussione: vuoi la legittimità, vuoi le modalità di attuazione e di funzionamento. L'inerzia e l'incertezza delle nostre Autorità di Governo nell'affrontare e risolvere il problema di fondo, quello cioè di decidere su quali rivendicazioni fare leva e trovare una soluzione di compromesso non solo accettabile ma anche efficacemente sostenibile, continuava a mettere in difficoltà i Comandi locali. Il 7 dicembre il Comando 3a Armata, confermando l'esigenza che la costituenda base logistica fosse italiana proponeva che, nel caso fosse francese, ne fosse prevista la costituzione non a Fiume, ma in altro porto ed eventualmente anche a Trieste: idea che il Comando Supremo respingerà decisamente. Negli stessi giorni, a Fiume, il Gen. Grazioli cercava di arrivare ad uno schema di accordi con il Gen. Tranié per l'impianto della nota base logistica, rimanendo impregiudicato chi dovesse costituirla, se la Francia o l'Italia, e circa i limiti fra detta base e la zona di occupazione interalleata (Doc. n. 602). Ma, ecco che, nonostante tutti i tentativi del Gen. Grazioli di trovare qualche accomodamento, la situazione diveniva sempre più delicata in quanto le richieste francesi si accrescevano continuamente; inoltre, i contrasti divenivano universalmente noti e diffondevano malanimo fra le truppe dei due Paesi; frequenti divenivano gli incidenti fra soldati francesi e popolazione italiana. Nel riferirne al Comando Supremo il Gen. Graziali ed il Duca d'Aosta sottolineavano che non si trattava di una questione militare, ma di una questione politica che richiedeva un deciso intervento governativo prima che si potessero verificare maggiori incidenti; ciò mentre il Gen. Tranié confermava il suo atteggiamento in contrasto con le richieste del Gen. Graziali. Del resto la concordanza con l'atteggiamento filo jugoslavo di altri Comandanti francesi in altre località rendeva sempre più manifesto che esso rispondeva a precise direttive del governo francese. Attorno alla metà del mese la questione della costituenda base logistica franco-serba veniva esaminata a Parigi, in sede di Conferenza Interalleata; quivi il nostro Governo doveva accettarne la costituzione e dava le conseguenti istruzioni al Comando del Presidio Interalleato di Fiume che arrivava ad accordi di compromesso con il Gen. Tranié per una divisione

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del controllo del porto, delle sue installazioni e dei movimenti ferroviari, che potesse garantirne l'efficienza senza provocare incidenti. Altri tentativi di regolare le questioni relative a Fiume erano condotti a Parigi dal Gen. Robilant con il Maresciallo Foch, che era stato incaricato di definire, arbitrando e decidendo in merito alle proposte e richieste del nostro Comando Supremo e del Comando dell'Armata d'Oriente, i limiti delle zone d'azione assegnate ai due Comandi. Seppure il Foch si manifestasse contrario alle eccessive pretese del Franchet, anche il Gen. Robilant richiamava l'attenzione sulla «eccessiva e manifesta jugoslavofilia che la Francia ritiene utile oggi far assumere alla propria politica». L'opposizione ad ogni affermazione degli interessi italiani e la volontà deliberata di favorire le rivendicazioni croate dovevano risultare apparenti anche negli incontri della Com·missione dei Quattro Ammiragli, i cui lavori venivano praticamente ad essere sospesi per l'inconciliabilità delle tesi sostenute dai vari rappresentanti. Intanto, ottenuta l'autorizzazione a costituire nel porto di Fiume la nota base logistica, il Comando francese presentava richieste sempre maggiori di locali, magazzini, installazioni portuali e ferroviarie. Le dimensioni di tali richieste tendevano chiaramente - così si esprime il Gen. Graziali in una sua relazione del 20 dicembre: «a togliere a/l'occupazione italiana ogni importanza e la possibilità stessa del suo funzionamento ... la base francese a Fiume rappresenta nient'altro che un mezzo per sostituirsi gradatamente ma inesorabilmente a noi nella occupazione della città... Questa invasione francese, camuffata da motivi logistici, irrita in modo grave il sentimento italiano di questa popolazione, ben conscia della chiara e lampante politica francese ai nostri danni perché volta ad acuire tutti i dissidi col nascente stato jugoslavo, col quale invece è assai facile intendersi dovunque noi veniamo a contatto senza i francesi». A ciò va aggiunto che, mentre il Consiglio Municipale di Fiume aveva in data 7 dicembre deliberato l'annessione della Città all'Italia ed inviato il 10 dicembre tale delibera al Presidente del Consiglio perché la comunicasse agli Alleati, questi non aveva ritenuto di aderire a tale invito, ed aveva consigliato che essa fosse inviata ai Governi alleati direttamente dal Consiglio stesso (Doc. n. 603). Così, né egli né il Ministro degli Esteri ritenevano di contrapporsi decisamente all'azione francese sul piano politico lasciando ai nostri Comandi militari l'ingrato compito di contrastare l'azione esercitata localmente ai nostri danni, e per altro raccomandando sempre di evitare incidenti. Nel periodo successivo e fino all'apertura della Conferenza della Pace la situazione alternava momenti di relativa distensione ad altri di tensione per: incidenti fra civili o militari italiani e militari alleati; incremento continuo delle richieste a favore della base franco-serba dell'Armata d'Oriente;


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manifesta ostilità verso il Comandante del Corpo d'occupazione in eralleato, Gen. Graziali, da parte del Comandante di detta Armata, Gen Franchet d'Esperey, e del Gen. Tranié, suo rappresentante a Fiume; falli ento di tutti i tentativi di accomodamento a livello governativo. Quasi gio nalmente vi erano appelli del Gen. Grazio li e del Comandante della 3 a Arm ta perché fosse rappresentata al Governo l'esigenza di affrontare e risolvere, i problemi politici e di dare chiare direttive ai Comandanti locali circa gli atteggiamenti da tenere (esempi nei Doc. n. 604, 605, 606). Ma, in pratica, mentre rimanevano ferme le direttive di mantenere il presidio della città e di impedire il rientro di unità slave, si continuava a raccomandare di evitare incidenti con gli Alleati ed in particolare con i Francesi che degli Jugoslavi si erano fatti paladini (Doc. n. 607). Si confidava - a Roma, come ad Abano - che nelle prossime trattative di pace sarebbe stato possibile conseguire il riconoscimento del nostro possesso della città fiumana; nell'attesa, non si dovevano in alcun modo compromettere le nostre possibilità. A tal fine, però, le Autorità locali erano chiamate a comportamenti compromissori, che erano nettamente in antitesi con le direttive fondamentali intese a garantire la nostra presenza. Così, ancora in data 17 gennaio, il Comando Supremo raccomandava al Gen. Graziali «di astenersi da qualsiasi atto che possa in qualche modo denotare un'influenza esercitata sul Consiglio nazionale (fiumano) e in genere da qualsiasi atto che possa apparire ai Comandanti dei contingenti alleati come ispirato ad ingerenze politiche» (Doc. n. 608) ed, in data 20 gennaio, dopo incidenti avvenuti a Zagabria ed a Fiume, comunicava alla 3 a Armata un ennesimo appello che vale la pena riportare integralmente: «Questo Comando riconosce la gravità della situazione a Fiume, specialmente dopo i disordini avvenuti il giorno 12 gennaio, e concorda con S.E. Grazio/i nel ritenere che il ripetersi di simili disordini potrebbe avere dannose ripercussioni politiche; ma, d'altra parte, non vede la possibilità di una soluzione anteriore a quella che verrà dal Congresso della pace. È quindi indispensabile che S.E. Grazio/i cerchi in ogni modo di evitare ulteriori incidenti e mantenga con il suo tatto e la sua attività il delicato equilibrio fino alla invocata decisione del Congresso della Pace; decisione che non si deve certo supporre di poter affrettare». Ma la volontà di evitare incidenti si scontrava con i chiari intendimenti altrui di provocarli e finiva per esacerbare gli animi dei Comandanti responsabili. Il Gen. Graziali aveva tentato già di sottrarsi all'incarico ingrato a metà dicembre, quando era stata accolta dal nostro Governo, a Parigi, la costituzione della nota base logistica franco-serba, ma ne era stato dissuaso dal Comandante della 3 a Armata che aveva fatto appello «al suo patriottismo ed al suo spirito di abnegazione».

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Appare chiaramente da tutti gli atti come il Duca d'Aosta condividesse ed approvasse pienamente le idee e gli atti del nostro Comandante a ~iume e si facesse interprete della esigenza di risolvere al più presto i problemi politici connessi con la nostra presenza in questa città, e di dare, comunque, direttive aderenti ad una situazione in continuo peggioramento e che non era risolubile con mezzi militari. Le sue comunicazioni, inviate quasi giornalmente al Comando Supremo, corrono tutte sul medesimo tono, aggiungendo continuamente nuovi argomenti alla richiesta di decisioni politiche e di chiare direttive. Ma la situazione non trovava correttivi; il 18 gennaio avrà inizio a Parigi la Conferenza della pace, le cui discussioni anziché risolvere finiranno per aggravare le tensioni fra noi ed i nostri Alleati. La situazione a Fiume dovrà vieppiù complicarsi dando luogo, poi, agli avvenimenti largamente noti. 10. Attività in vista delle prossime trattative di pace

Come abbiamo visto nel Capitolo XVII, l'Ufficio Operazioni del Comando Supremo aveva partecipato con propri rappresentanti alla definizione delle condizioni di un possibile armistizio. In data 16 novembre, con personale dell'Ufficio Operazioni e della Segreteria del Comando Supremo era stato costituito un «Ufficio Armistizio e Trattative di Pace» al quale era stato preposto il Col. di S.M. Alberto Pariani. Intanto, già in data 10 novembre, con il foglio 14997 G.M. (Doc. n. 609) era stato ordinato alle Armate dislocate sulla linea di armistizio di costituire, ciascuna, una «Commissione per lo studio della futura linea di confine», incaricata di effettuare studi e ricognizioni sul proprio tratto di fronte. Oltre alle disposizioni date verbalmente ai membri di dette Commissioni che ebbero a riflettersi nelle direttive delle Armate, delle quali si riportano solo quelle della 1a Armata, in data 30 novembre veniva precisato che si doveva ricercare un confine nitidamente definito e, a tal fine, evitare di abbandonare la displuviale alpina alla ricerca di particolari e minuti vantaggi tattici concludendo: «Assicurato l'elemento essenziale (come sarebbe ad es. la Valle di Sexten, la conca di Tarvis, la testata della Sava di Wochein ecc.) non occorre scendere lungo il versante esterno delle Alpi per brevi tratti di terreno e per ragioni locali le quali, come è ovvio, non potrebbero essere né validamente discusse né propugnate» (Doc. n. 610). Pervenivano così dalle Armate numerosi studi monografici compilati da dette Commissioni; mentre, con altro foglio del 23 dicembre 1918, il Comando Supremo disponeva che le Armate trattenessero a disposizicme qualche Ufficiale facente parte di dette Commissioni per raccogliere gli esitf delle varie ricognizioni ed altri dati secondo le direttive del Comando Supremo.


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Un primo risultato degli studi del Comando Supremo era presentato al Presidente del Consiglio, al Ministro degli Esteri, al Ministro della Guerra ed·al Ten. Gen. Robilant a Versaglia in data 2.5 novembre con il foglio 350 A.C. all'oggetto: «Studi per le trattative di pace» (Doc. n. 611). In tale comunicazione, oltre a prospettare la opportunità c;li precisare diciture e linee geografiche incerte del testo armistiziale, veniva sottolineata la necessità di includere nella nostra linea di confine sia la valletta di Sexten che la conca di Tarvisio, e si proponeva l'eventualità di includere in tale linea le città di Fiume e di Spalato: «eventualità che 'se non è essenziale per ragioni militari, lo può essere per ragioni politiche e commerciali che sfuggono alla competenza del Comando Supremo». Alla predetta comunicazione faceva seguito, in data 29 dicembre 1918 con il foglio 866 A.C., la trasmissione al Presidente del Consiglio degli studi definitivi relativi alla linea di confine di cui si suggeriva la richiesta alle trattative di pace sia verso settentrione sia verso oriente secondo varie ipotesi (Doc. n. 612). Oltre che per la definizione più opportuna della linea di confine, il Comando Supremo interessava la Presidenza del Consiglio ed il nostro Rappresentante a Versailles per una importante questione che si era affacciata alla ribalta in quei giorni. Come apparirà più compiutamente trattando della situazione logistica, si stava verificando allora una crisi dei trasporti. Una componente di tale crisi era rappresentata dall'aumento della estensione della rete ferroviaria, cui non corrispondevano un incremento del materiale rotabile e le disponibilità di carbone. Era anche avvenuto che, mentre nel testo dell'armistizio stipulato a Compiégne con la Germania era stato stabilito che questa avrebbe dovuto cedere a Francia e Belgio grossi quantitativi di locomotive e vagoni, precisati nel numero, nel testo del nostro armistizio con l'Austria-Ungheria ciò non era stato contemplato. Per ovviare alla deficienza, con il foglio n. 272 in data 20 novembre il Comando Supremo aveva già interessato la Presidenza del Consiglio ed il nostro Rappresentante a Versailles, Ten. Gen. Robilant, in vista di ottenere un prestito di materiale rotabile dagli Alleati. Con il predetto foglio 350 A.C. del 25 novembre si prospettava, quindi, che nel corso delle trattative di pace si richiedesse l'assegnazione di un cospicuo numero di locomotive, vetture, e carri ferroviari, anche in compenso di quello che ci era stato catturato nel 1917. Sulla questione, nonostante l'interessamento di tutte le Autorità coinvolte, non si poté, peraltro, ottenere molto soprattutto perché era venuta a scomparire una controparte affidabile ed ogni Stato successore dell'AustriaUngheria si tenne tutto il materiale rotabile esistente nel suo territorio e resistette alle pressioni intese ad imporre eventuali cessioni. Sulle questioni della mancata definizione particolareggiata della linea

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di armistizio e del materiale rotabile che avrebbe dovuto esserci ceduto, il Gen. Robilant inviava interessanti precisazioni in una sua relazione in data 8 dicembre (Doc. n. 613). Il 17 Dicembre veniva inoltre disposto che il Brig. Gen. Ugo Cavallero si recasse a Parigi per essere a disposizione, insieme al Ten. Gen. di Robilant già a Versaglia, della Missione italiana alla Conferenza della Pace ed assisterla per quanto si riferiva alle questioni di carattere militare che potessero sorgere ed in particolare per la definizione dei confini. In tempi successivi, a conferenza iniziata, numerosi Ufficiali si recheranno a Parigi per periodi più o meno estesi portando dati od elementi di interesse; fra essi il già citato Col. Pariani dell'Ufficio Armistizio e Trattative di pace, il Magg. Giada dell'Ufficio Situazione ed il Col. Marchetti dell'Ufficio Informazioni. Un ultimo settore che impegnò notevolmente, soprattutto per l'urgenza con cui si dovette procedere, fu quello della determinazione dei danni di guerra subiti e per i quali si intendeva richiedere la ripàrazione nelle imminenti trattative di pace. Era stata, infatti, costituita, con Decreto Luogotenenziale dell'll novembre 1918, n. 1711, una «Reale Commissione d'inchiesta sulle violazioni del diritto delle genti commesse dal nemico» che doveva eseguire tali accertamenti in tempi molto ristretti. Tutti i Comandi dell'Esercito distribuiti nel territorio che era stato impegnato dalle operazioni furono incaricati della raccolta di tali dati, del loro controllo e della loro presentazione alla predetta Commissione. Come è noto, circa tali violazioni ed i danni subiti, la Commissione ebbe successivamente a pubblicare una vasta documentazione nei sette volumi della sua Relazione. 12. La contrazione dei compiti dell'Aeronautica Militare

Abbiamo visto come l'Aeronautica dell'Esercito avesse contribuito in. modo consistente all'esito della battaglia e come fossero evoluti fortemente· compiti e concetti di impiego di questi nuovi mezzi. Attraverso sforzi notevoli del Commissariato Generale per l' Aeronautica affidato all'On. Eugenio Chiesa e del Comando Generale di Aeronautica alle dipendenze del Magg. Gen. Luigi Bongiovanni, gli uomini, i mezzi e le Unità del Corpo avevano raggiunto alti livelli quantit~tivi e qualitativi. Secondo una recente pubblicazione di Antonio Pelliccia 1, al 20 dicembre 1918 la consistenza totale di velivoli al fronte, per la difesa territoriale, nelle Colonie, per la Marina, le Scuole e nei depositi era intorno ai 6.000 velivoli, dei quali 975 da ricognizione, 2.640 da caccia, 273 da bombardamento, 651 da 1

Antonio Pelliccia: «Il periodo epico dell'Aeronautica», Roma, Veant, 1985, pag. 104.


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addestramento (Scuole di volo), 849 idrovolanti, 690 di tipo vario (ris~ incluse). All'atto dell'armistizio esistevano al fronte 1.381 velivoli defl'Esercito e 413 della Marina per un totale di 1. 794 velivoli délle varie spec) lità. Nel complesso, conteggiando anche i 2.399 velivoli in riparazione, l' A ronautica disponeva di 8.349 velivoli e di 11.361 motori. Il personale, nello stesso periodo, assommava a 73.905 uomini, sottufficjali e truppa, e a 4.719 ufficiali; i campi di pilotaggio (compresi gli idroscali) erano 109; il parco macchine di 3.850 autovetture, con officine e depositi; Servizi: artiglieria, fotografico, archeologico, radioelettrico, edile. L'industria aeronautica poteva produrre 1.300 velivoli e 2.400 motori al mese. Ma, in questo momento, le esigenze impellenti da soddisfare erano ben diverse da quelle operative; esse infatti richiedevano presenza di truppe sul terreno per presidiare i nuovi confini o prestazioni di lavoro e di trasporto che l'Aeronautica del tempo non poteva offrire. Avveniva, anzi, che molti degli organismi costituiti, ad es·empio tutti quelli della difesa aerea, rappresentavano ormai un peso inutilizzabile; sicché risulterà abbastanza naturale ricorrere ad un loro smantellamento per recuperare uomini e, particolarmente, mezzi di trasporto. Vi è stato chi ha voluto vedere nei provvedimenti di quel tempo un vero e proprio intendimento distruttivo nei riguardi della nostra aviazione ed una assoluta incomprensione delle sue future possibilità. Dalla documentazione rintracciata, relativa almeno a questo primissimo periodo del dopoguerra, non sembra si possa condividere tale opinione. Anzi, proprio in qnei giorni, veniva disposto il rafforzamento dell'aviazione in Libia in parallelo all'invio di tre Divisioni (38\ 81 a e 1a d'Assalto) in vista delle operazioni di riconquista che si intendeva effettuare. Ma indubbiamente le esigenze prevalenti del momento dovevano far apparire inutilizzabili ed eccessivamente onerose le dimensioni assunte da questo Corpo. Di fatto era lo stesso Comando Generale di Aeronautica che in data 11 novembre con il suo messaggio 1679 Op.: sospendeva ogni invio in Zona di Guerra di personale e di materiali di ogni tipo; annunciava il rinvio dei materiali in arrivo; chiedeva di limitare il montaggio di apparecchi nuovi. Soprattutto esso chiedeva che venisse fatto affluire in Zona di Guerra il maggior numero possibile di autocarri richiesti dal Comando Supremo per trasporti di ogni genere ed informava che anche i dirigibili e gli aerei Caproni venivano impiegati per trasporto di viveri. In data 13 novembre il Comando Generale di Aeronautica presentava le sue proposte per il riordinamento delle unità dell'aviazione dell'Esercito e la smobilitazione di alcune di esse (Doc. n. 614), emanando le relative disposizioni. Queste, peraltro venivano quasi immediatamente modificate con il foglio 81476 che stabiliva il «Nuovo ordinamento dei mezzi aeronautici in Zona di Guerra» (Doc. n. 615).

Attività operative dopo l'armistizio

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Ma lo stesso 17 novembre, con il foglio 81550, venivano sospesi tutti i movimenti di spostamento di mezzi aeronautici dichiarando che: «Per imprescindibili necessità di ordine superiore e di carattere urgentissimo il Comando Supremo prescrive che tutti i mezzi di trasporto non strettamente necessari alla vita delle unità e degli enti mobilitati siano messi a sua disposizione». Nel corso del mese di dicembre, poi, i congedamenti in corso imponevano lo scioglimento di alcune squadriglie facendo affluire il personale residuo a quelle mantenute in vita. Veniva allora disposto anche lo scioglimento dei Comandi di Difesa Aerea e di molte unità di artiglieria contraerea, passando la competenza in merito ai Comandi di artiglieria delle Armate e dei Corpi d'Armata territoriali (Doc. n. 616). Con il provvedimento si pensava di recuperare così un non indifferente numero di uomini e di mezzi, particolarmente di trasporto e di collegamento. Il processo di contrazione dell'Aeronautica doveva successivamente accelerarsi dinnanzi ai costi di una organizzazione che appariva superflua rispetto alle esigenze del momento. Ripartiamo sempre dall'opera del Pelliccia 1: «la smobilitazione ed il passaggio degli ordinamenti militari da quelli del tempo di guerra a quelli del tempo di pace crearono una vera e propria crisi dell'aviazione italiana. L'Esercito infatti si affrettò ad alienare i mezzi aeronautici, la Marina fece altrettanto o quasi preoccupandosi però di mantenere un nucleo organico del tempo di pace». Secondo la metafora, che circolava nei corridoi ministeriali del tempo, dopo aver costruito sontuosi palazzi li si bruciava per sottrarsi alle spese di manutenzione, per poi riedificare edifici più modesti. Scrisse il Canevari: «La smobilitazione effettuata nelle rìote condizioni, assunse il carattere di una vera distruzione, anzi, di un saccheggio. Si voleva deliberatamente la rovina dell'Aeronautica perché di sentimenti notoriamente nazionali ... si distrussero gli apparecchi, si abbandonarono le aviorimesse, si devastarono furiosamente i campi. I resti degli aerei e i motori vennero venduti a prezzo di rottame di legno e di ferro. Le officine vennero chiuse, disper,so il materiale, congedati e visti di mal occhio gli aviatori» 2 · Nel riportare queste note e pur riconoscendo che la contrazione delle forze e dei mezzi concessi all'Aeronautica raggiunse allora punte eccessive, dobbiamo peraltro ritenere che essa trovò giustificazione non in una deliberata volontà distruttiva od in una incomprensione dell'importanza bellica 1 Antonio 2

1965.

Pelliccia: Op. cit., pag. 104. Emilio Canevari: Italia 1861-1943: Retroscena della disfatta, (voi. I, pag. 227), Roma,


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del nuovo mezzo di combattimento, ma in situazioni e contingenze di fatto che in quel momento imponevano il soddisfacimento di altre esigenze, che l'Aviazione del tempo non poteva concorrere ad assolvere. ~ Del resto, un fenomeno similare avveniva anche in tutti gli altri Paesi. ~

I

CAPITOLO XXII

L'AVVIO ALLA SMOBILITAZIONE ED ALTRE NOTIZIE RELATIVE AL PERSONALE

1. Gli orientamenti nei riguardi della smobilitazione e degli ordinamenti postbellici; i primi congedamenti

La cura che il Generale Armando Diaz dedicava ai problemi del personale emerge dal diario delle attività del Comando Supremo, il quale registra, già il 1° novembre, un suo colloquio con il Ministro della Guerra, Gen. Zupelli, «su questioni di ordinamento, di quadri e di smobilitazione». Altri colloqui sullo stesso argomento avvengono il 6 novembre, sempre con il Ministro della Guerra, con S.E. Nava ed altri e con il Sovrano, ed ancora il 9 novembre con il Ministro. Analoga preoccupazione nei riguardi dicome affrontare il problema e circa l'esigenza di mettere in grado tutte le Amministrazioni centrali, provinciali e comunali di affrontarlo in modo soddisfacente era espressa dal Ministro della Guerra nel suo foglio 24110 G. del 1° novembre, non appena - cioè - si era profilata l'eventualità di un prossimo armistizio (Doc. n. 617). I primi provvedimenti adottati furono quelli relativi al congedamento delle classi più ;mziane, (1874 - 75 - 76) ordinato già in data 5 novembre; si trattava, peraltro, di classi la cui consistenza di uomini alle armi era relativamente limitata ed il cui impiego prevalente era nel Paese, come appare da una situazione della Forza alle Armi distinta per classi di leva e riferita al 1° luglio 1918 (Doc. n. 618). Veniva comunque previsto che l'invio di detto personale in licenza illimitata, in attesa del congedo definitivo da parte dei Depositi o dei Distretti, venisse effettuato in 10 scaglioni giornalieri; infatti, sebbene si trattasse di classi non numerose, si dovevano diluire i relativi movimenti per la situazione critica del traffico ferroviario e per facilitare le preventive sostituzioni dei congedandi nei reparti dei Servizi, nei quali essi erano prevalentemente impiegati. Gli orientamenti erano di proseguire i congedamenti della truppa per classi fino ad un ritorno ad un piede di pace, da conseguirsi gradatamente in relazione alle molteplici esigenze del momento, spesso in contrasto fra loro. Infatti il desiderio di venire incontro alle aspirazioni del Tesoro per una rapida contrazione delle spese e di quelle degli individui per un ritorno alle proprie case, trovava un freno sia nelle incertezze della situa- . zione internazionale sia nel timore del Governo di creare una forte disoccupazione, particolarmente nei centri industriali, nei quali questa sarebbe stata innescata anche dall'arresto delle produzioni belliche. Al pronto inizio dei


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primi congedamenti della truppa non corrispondeva quello degli Ufficiali, per i quali la situazione deficitaria si trasferiva ora dall'Esercito Mobilitato alla Organizzazione Territoriale, investita dai problemi connessi con la smobilitazione. Per affrontarli venivano anzi disposti richiami in servizio di anzianissimi nella Riserva ed erano concordati, tra Ministero della Guerra e Comando Supremo, programmi di trasferimenti dalla Zona di Guerra agli Enti territoriali. D'altra parte, erano già state avvertite dal Comando Supremo le preoccupazioni espresse da molti Ufficiali di Complemento circa la propria sistemazione post-bellica (Doc. n. 131); sicché si poteva presumere non sgradito da molti un mantenimento in servizio anche per un certo tempo. Venivano anche date disposizioni perché cessasse la concessione di licenze invernali, che nel 1917 erano state previste a favore dei Quadri, nel periodo di stasi operativa. Intanto, presso il Comando Supremo si andava definendo l'orientamento verso i possibili ordinamenti postbellici, ai ·quali tendere almeno provvisoriamente in attesa di soluzioni definitive. È noto come sulla questione di tali ordinamenti dovevano aversi negli anni successivi polemiche e discussioni infinjte, che, nelle incertezze e nei contrasti politici del dopoguerra troveranno un forte alimento e che si concluderanno solamente nel 1923 e nel '25 con gli ordinamenti Diaz e Mussolini. Può, pertanto, presentare interesse ricordare come i lineamenti ordinativi che risulteranno adottati successivamente fossero già per gran parte definiti in promemoria interni del Comando Supremo, elaborati nel novembre del 1918. L'Ufficio Operazioni presentava, infatti: - il 14 novembre, un interessante promemoria circa la Costituzione dei Comandi in tempo di pace, che registrava importanti modifiche alla organizzazione precedente e che risulterà adottata su vasta scala nel nostro ed in altri Eserèiti; lo accompagnava un annesso relativo ad una ristrutturazione del Servizio Informazioni (Doc. n. 619); - in data 18 novembre, un «progetto di riordinamento dell'artiglieria per il dopo guerra» basato su un ordinamento di pace di 15 Corpi d'Armata (cioè i 12 anteriori al conflitto più tre destinati al Trentino, Venezia Giulia ed Albania) e 31 divisioni di fanteria (Doc. n. 620); i lineamenti di questo progetto venivano approvati e davano luogo ad alcuni provvedimenti immediati; ci si riferisce a fogli: 15474 G.M. del 25.XI.1918, che fissava l'organico dei Reggimenti di artiglieria da campagna e pesanti campali delle Divisioni e dei Corpi d'Armata; 16759 G.M . del 23.I.1919 relativo all'ordinamento dell'artiglieria pesante;

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- in data 28 novembre un «progetto di difesa permanente del confine» , che proponeva la costituzione di Zone fortificate sulle grandi strade di confine (7..,.. 8 al confine francese ed 11 al nuovo confine con l'Austria e la Jugoslavia), con opere avanzate ed arretrate ed unità di guardia di confine (Doc. n. 621)). Nei riguardi degli ordinamenti post-bellici un problema minore era quello di decidere cosa fare dei reparti di arditi .ed' Assalto che erano stati costituiti. Esso poteva trovare facile soluzione per i plotoni di arditi inseriti nei battaglioni alpini e bersaglieri e nei reggimenti di fanteria , i cui uomini potevano essere riassorbiti con lo scioglimento dei reparti. Cosa diversa era, invece, rappresentata dai reparti d'assalto delle Armate e dalle due Divisioni d'assalto, per la cui costituzione erano stati attinti uomini provenienti da tutte le Armi e Specialità. In merito sembra di grande interesse un promemoria del Comandante del Corpo d'Armata d'Assalto, Ten. Gen. Francesco Graziali, che, in data 18 novembre 1918, presentava sue proposte «sulla sorte possibile delle truppe d'assalto»: proposte alle quali si associava il Comandante dell'Armata, Ten. Gen. Enrico Caviglia, che ne disporrà l'attuazione quando - in seguito - sarà nominato Ministro della Guerra. Il promemoria (Doc. n. 622), dopo aver ricordato gli obiettivi da conseguire e le esigenze da soddisfare che avevano portato alla costituzione di queste unità, di cui il Grazioli era stato il primo organizzatore ed il più attivo propugnatore, rappresentava l'opportunità di addivenire ora al loro scioglimento. Esse, infatti, erano state costituite per soddisfare precise esigenze particolari messe in luce dalla guerra in atto; «nel futuro è meglio provvedere preparandoci al momento opportuno a creare cose nuove a seconda di ciò che le circostanze e le esigenze delle nuove guerre consiglieranno»; 'quanto di buono era nel loro addestramento, specie per quanto riguardava l'addestramento fisico, avrebbe dovuto essere esteso a tutte le unità di fanteria. Il Grazioli rappresentava la eventuale possibilità di impiego di tali reparti in colonia, purché a base di reclutamento volontario (suggerimento che risulterà seguito con l'avvio della 1a Divisione d'Assalto in Tripolitania insieme alle Divisioni 38a e 81 a). È interessante anche il giudizio negativo espresso dal Grazio li circa l' opportunità o meno di impiegare tali reparti in servizi di ordine pubblico nel Paese, e la chiara avversione verso i primi tentativi di certa stampa di uno sfruttamento politico dell'"arditismo" di guerra. Circa il complesso della questione smobilitazione ed ordinamento provvisorio da adottare, era di immediato interesse soprattutto un promemoria dell'Ufficio Segreteria del Comando Supremo (Doc. n. 623), in data 14 novembre, nel quale si presentavano proposte relative ai «provvedimenti per


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la smobilitazione». In esso il Magg. Gen. Gazzera raccoglieva i provvedimenti concordati fra i vari Uffici e coordinati dall'Ufficio Ordinamento e Mobilitazione. In detto promemoria: - si ricordava che nel Teatro di guerra italiano (esclusi, quindi, Balcani e Francia) vi erano 22 Corpi d'Armata ed un Corpo di Cavalleria di 2 Divisioni (2a e 4a; le due Divisioni 1a e 3a dovevano in quei giorni essere cedute al Ministero della Guerra); - si prevedeva di dover disporre, almeno transitoriamente ed indipendentemente dall'ordinamento di pace, di 18 Corpi d'Armata su 2 Divisioni e 2 Divisioni alpine autonome, per un totale di 38 Divisioni (di cui 2 d' Assalto). Avrebbero potuto quindi essere sciolti i Corpi d'Armata e le Divisioni di fanteria eccedenti; - si considerava che la forza dell'Esercito operante avrebbe dovuto mantenersi provvisoriamente su 1.300.000 uomini, sicché avrebbero potuto essere inviate in licenza illimitata tutte le classi dal 1877 al 1884 (circa 600.000 uomini dell'Esercito operante e 175 ,000 nel Paese) in un lasso di tempo di 24 + 30 giorni considerando un deflusso giornaliero di circa 25 .000 uomini, da effettuarsi con inizio il 1° dicembre per l'esigenza dei provvedimenti preventivi necessari. Dal 1° gennaio 1919 avrebbe potuto attuarsi l'invio di un altro blocco di classi (1885 + 88); attorno ai primi di febbraio del blocco 1889 + 1892; ed entro la fine dello stesso mese delle classi dal 1893 al 1896. Così, a partire dal 1° marzo 1919 sarebbero stati alle armi complessivamentè 700 + 800.000 uomini delle classi dal 1897 al 1900 per tutte le esigenze in Paese e nei vari Scacchieri, comprese le colonie. Venivano poi considerate varie modalità esecutive della smobilitazione. In un capitolo speciale erano rappresentati: i provvedimenti relativi al1' Aeronautica, per la quale il Gen. Diaz aveva il 14 stesso un colloquio con S.E. Eugenio Chiesa, Commissario Generale alla medesima; le modalità particolari da prevedersi nei riguardi del congedamento degli ufficiali; provvedimenti vari da sollecitare anche da parte di altre Amministrazioni soprattutto in vista di assistere i congédati nel loro reinserimento nella vita civile. Ulteriori suggerimenti circa i problemi connessi con la smobilitazione e le loro soluzioni erano dati in un annesso al promemoria. In attuazione del programma predetto, con la circ. 982 in data 23 novembre 1918, veniva disposto l'invio in licenza illimitata delle classi 1877 + 78 a partire dal 5 dicembre. Trattandosi di militari spesso in servizio presso reparti di Milizia Territoriale, veniva disposto che le Unità e gli Enti con maggiori deficenze venis-

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sero senz'altro disciolti e che il personale residuo andasse a rinsanguare reparti e servizi rimasti deficitari ma da mantenere. Con altra circolare del 6 dicembre, il Ministero, facendo seguito ad analoghe disposizioni del Comando Supremo, .ordinava l'invio in licenza illimitata dei militari appartenenti a classi anteriori al 1896, eh~ fossero segnalati come necessari per la riorganizzazione civile ed amministrativa delle provincie già invase dal nemico. In data 9 dicembre, infine, veniva disposto l'invio in licenza illimitata di tutti i militari delle classi 1879 + 1884, da completarsi in due scaglioni (dal 18 dicembre classi 1879-80-81 e dal 28 dicembre classi 1882-83-84), con l'eccezione dei militari automobilistici di tutte le classi. Avveniva, infatti, che, con l'invio in congedo dei militari più anziani, che per effetto dei numerosi provvedimenti intesi all'impiego dei più giovani nei reparti combattenti, erano numerosi nei reparti dei Servizi ed in quelli automobilistici, si andavano verificando situazioni critiche in questi ultimi reparti, che provocavano grosse richieste di sostituzioni da parte delle Intendenze. La situazione era particolarmente grave nei riguardi dei trasporti automobilistici: sia per le accresciute esigenze dei trasporti, sia per il tempo necessario al1' addestramento dei militari di classi giovani che avrebb.e ro dovuto sostituire i congedanti; in merito, in data 9.1.1919 venivano impartite tassative di-. sposizioni per un impiego del personale specializzato esclusivamente per le esigenze in questione. Numerose le disposizioni a carattere particolare; fra le altre ricordiamo: - la circ. 200 G. in data 6.1.1919 delMinistero, che disponeva per la celere riduzione progressiva della concessione di esoneri dal servizio militare a favore di industrie o dell'agricoltura; - la circ. 62798 R.S. Mob. del 7.1.1919 del Comando Supremo che, tenuto conto delle migliorate condizioni di vita e dei trasporti nei territori liberati, autorizzava l'invio in licenza ordinaria o speciale dei militari che avessero la propria famiglia nei territori compresi nella linea di armistizio, in antecedenza soggetti a particolari limitazioni ed a richieste delle Autorità locali. Come previsto dalle Autorità Militari, entro i primi giorni di gennaio era stato completato il programma predisposto con i congedamenti delle classi 1874 + 1884. A tal punto, peraltro, si verificava un temporaneo arresto dei congedamenti, la cui ripresa avverrà solo nel marzo con quello delle classi 1885 (1 + 20 marzo), 1886 (20 + 30 marzo) e 1887 (1 + 20 aprile) per poi arrestarsi nuovamente. Inoltre, nel periodo 20 febbraio - 1 marzo sarà attuato il congedamento della classe 1900, di cui veniva previsto il richiamo alla normale scadenza nel 1920, allo scopo di consentire a suo tempo il congedamento delle classi che . si sarebbero trovate ad avere ultimato il loro servizio.


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L'Esercito Italiano nella Grande Guerra

È da dire che, in merito alle attività connesse con la smobilitazione ed agli studi relativi al riordinamento dell'Esercito, si era venuta man mano creando una certa difficoltà di coordinamento fra quanto disposto dal Comando Supremo ad Abano e quanto previsto o desiderato dal Ministero della Guerra; ciò, anche in relazione con i contatti di questo con altri Ministeri interessati, quali quelli del Tesoro, dell'Industria e Commercio e Lavoro, dell'Assistenza militare e pensioni di guerra. In data 27 gennaio 1919 con la propria circolare 1460 G . «Ufficio Smobilitazione ed Ordinamento dell'Esercito» il nuovo Ministro della Guerra, Ten. Gen. Enrico Caviglia, disponeva per la costituzione di detto Ufficio alle proprie dirette dipendenze, con rappresentanti sia del Comando Supremo sia di tutte le Direzioni Generali interessate (Doc. n. 624). La situazione della smobilitazione a fine gennaio ed i programmi ulteriori venivano riassunti in un «Promemoria a S.E. il Ministro», in data 7 febbraio 1919 (Doc. n. 625). 2. La riduzione della forza complessiva dell'Esercito; lo scioglimento di Comandi ed Unità esuberanti; la ridistribuzione delle forze; l'approntamento di Unità destinate in Libia

Per effetto degli invii in licenza illimitata degli appartenenti alle classi 1874--;-1884 nonché di numerosi militari delle classi anteriori al 1896 in difficili situazioni di famiglia o capi di aziende agricole ed iadustriali, la forza alle armi nel gennaio 1919 si era notevolmente ridotta. La situazione complessiva dei congedamenti' dell'Esercito mobilitato in Zona di Guerra era indicata dal Ten. Gen. Badoglio al Magg. Gen. Cavallero, allora a Parigi, in un messaggio del 24 gennaio, che riportava l'avvenuto congedamento di 800.000 uomini e l'invio nelle retrovie di circa 100.000 uomini e 40.000 quadrupedi; nella medesima comunicazione si dava notizia anche del prossimo rinvio del congedamento di altri 400.000 uomini per la situazione internazionale (piuttosto tesa, come è noto, ai nostri confini orientali). La forza e le unità dell'Esercito operante, alla data dell'll gennaio, risultano dalle consuetudinarie comunicazioni inviate a Versaglia ai Rappresentanti Militari (Doc. n. 626). Poiché i congedamenti in .atto avrebbero ridotto a limiti non accettabili la forza dei reparti, veniva contemporaneamente attuato il previsto scioglimento di Comandi ed Unità esuberanti, rinsanguando così le unità rimaste in vita. Questo processo comportava, peraltro, numerosi trasferimenti di reparti e di uomini, nonché esigenze di riaddestramento di militari più giovani, destinati a sostituire gli specializzati dei Servizi da congedare. Al riguardo, come si è detto, particolari difficoltà furono rappresentate dalla esigenza di assicurare una sufficente dispoajbilità di automobilisti, il cui con-

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gedamento dovette essere posticipato di alcuni mesi. Aggiungendosi ai movimenti connessi con una migliore distribuzione delle Unità sulla linea di armistizio ed in profondità, ciò provocava trasferimenti continui di Unità, Quadri e Truppe con conseguenze non favorevoli su morale e solidità di un organismo che fonda tanta parte della sua efficienza sui fattori spirituali, sulla conoscenza reciproca degli uomini e sullo Spirito di Corpo oltreché" sulla disciplina. Ad alcuni degli inconvenienti conseguenti allo scioglimento di unità che si erano guadagnate larga fama ed al reimpiego dei loro Comandanti, spesso in Enti Territoriali, il Gen. Diaz cercava di ovviare con un suo foglio 56317 R.S. del 6.XII.1918. (Doc. n. 627). Seguivano le prime disposizioni orientative circa le modalità dello «Scioglimento di Comandi di Grandi Unità» (f.n. 56477 in data 11.XII.1918). Ricordiamo come, in data 18 novembre, erano già stati disciolti i Comandi di tre Armate: la 7a, i cui compiti nel Trentino, insieme a parte delle unità erano passati alla 1 a Armata; la 10a e la 12a Armata, trasformate il 14 ottobre in Armate «di manovra» con Divisioni alleate ed italiane. Seguivano gli scioglimenti: - il 27 novembre, del Comando del Corpo d'Armata d'Assalto; - tra l' 11 dicembre 1918 ed il 5 gennaio 1919 dei Corpi d'Armata: XIII, XX, XXV, XXIX e XXX, nonché del Comando del Corpo di Cavalleria; - nello stesso periodo, delle Divisioni: 1 a, 2a, 4a, 7a, 11 a, 14a, 20a, 29a, 47a, 50a e 59a . Venivano anche disciolte moltissime unità nel territorio: di Milizia Territoriale, presidiarie e Comandi ed Enti di vario genere; fra essi ricordiamo lo scioglimento entro il dicembre dei Comandi Difesa Aerea, i cui compiti passavano ai Comandi Artiglieria Territoriali. Entro il gennaio 1919 venivano anche disciolti: l'Ispettorato Brigate di Marcia della 1 a Armata; quasi tutti i Comandi di Brigate di Marcia (eccetto il 5° e 1'11 ° della 3a Armata); numerosi Reggimenti e Battaglioni di Marcia; un gran numero di unità di bombarde, di artiglieria da campagna e d'assedio, di centri sanitari, di raccolta e comandi di tappa. Si andava, così, attuando celermente il programma di smobilitazione che era stato delineato nel promemoria del 14 novembre, di cui si è parlato al numero precedente. Per quanto si riferisce alle Brigate di Fanteria, allora pedine fondamentali dell'Esercito mobilitato, il 13 gennaio 1919 veniva annunciato, con il foglio 57440 R.S. in data 13 gennaio 1919 (Doc. n. 628), lo scioglimento di 19 Brigate, che avrebbe dovuto permettere di tenere a numero - per quanto possibile~ le restanti destinate per il ·momento a sopravvivere. Delle Brigate disciolte veniva per il momento conservato un Nucleo destinato a per-


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mettere l'eventuale inquadramento di altro personale: in particolare, dei prigionieri di guerra liberati non appartenenti a classi congedate. Con il foglio predetto veniva previsto anche lo scioglimento delle Compagnie mitragliatrici mod. 907 F, intendendosi mantenere esclusivamente le Compagnie Mitragliatrici Fiat. In allegato al foglio veniva indicata, alle sole Armate ed alla Intendenza, la composizione dell' Esercito di cui si prevedeva - almeno temporaneamente - la conservazione in Italia (escludendo, cioè, le Unità in Francia, Albania, Macedonia e Colonie). Erano previsti, in particolare: - 6 Comandi di Armata (1 a, 3a, 4a, 6a, sa, (che sarà disciolto però il 31 gennaio), e 9a (che assumerà successivamente la denominazione dig a); - 16 Comandi di Corpo d'Armata: I, III, V, VI, VIII, IX, X, XI, XII, XIV, XVIIt XXII, XXIII, XXVI, XXVII, XXVIII; - 35 Divisioni (31 di fanteria, compresi i bersaglieri; 4 alpine). (A tali Divisioni di fanteria vanno aggiunte 1 Divisione d'Assalto e le 4 Divisioni di Cavalleria). Le Divisioni mantenute erano le seguenti: di fanteria: 6a, 9a, 10a, 12\ 15a, 17\ 18\ 2P, 22a, 23\ 25\ 26 \ 27\ 3P, 32\ 33\ 37a, 45 a, 4ga, 5P, 53a, 54a, 55a, 56a, 57a, 58a, 60a, 61a, 65a, 69a, 70a; alpine: 5a, 52a, 75a, g2a. Erano inoltre mantenute le Brigate «Pinerolo» e «Granatieri», alle dipendenze della 3 a Armata, rispettivamente per il presidio della Piazza Marittima di Pola e per quello di Fiume quale parte del Corpo di Occupazione Interalleato di Fiume (C.O.1.F.). Entro i primi giorni di gennaio, inoltre, erano avviati nelle retrovie tutti i battaglioni di marcia della classe 900, il cui personale doveva essere posto sucessivamente in licenza illimitata, nonché quasi tutte le Divisioni di Cavalleria (P - 2a - 4a). Peraltro anche la 3a Divisione doveva presto seguire le altre nel.rientro al territorio. Venivano inviati nelle retrovie anche numerosi reggimenti di artiglieria da campagna sia per disporre di unità per eventuale Ordine Pubblico sia per facilitare il rifornimento foraggi ed i relativi trasporti, alleggerendo il numero dei cavalli in Zona di Guerra. Avevano anche lasciato quest'ultima: -

la 24 a Divisione, trasferita in Dalmazia; la 38 a Divisione e la ia Divisione d'Assalto, destinate in Libia.

Al mç>mento della fine della guerra con l'Austria-Ungheria il Ministro delle Colonie aveva, infatti, rappresentato che le condizioni armistiziali non avevano sufficentemente salvaguardato i nostri interessi nelle Colonie, garantendo la cessazione delle attività dei Turchi in Libia, e la necessità di irrobustire le nostre forze, per consentire di ripristinare una situazione com-

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promessa durante il conflitto. Il Comando Supremo già il 24 novembre 1918 disponeva per la cessione al Ministero delle Colonie di unità e materiali pari ad un Corpo d'Armata rinforzato (Doc. n. 629). In data 27 novembre veniva inoltre disposto per un notevole rafforzamento delle forze aeronautiche in Libia (Doc. n. 630). Al 18 gennaio una prima ridistribuzione delle forze risultava completata e l'Ordine di Battaglia schematico dell'Esercito Italiano risultava come segue:

I" Armata Comando - a Trento; III Corpo - 6a - 75a Divisione, in Valle Inn; X Corpo - 5a - 26a - 55a Divisione, in Alto Adige; V Corpo - 21 a - 32a - 34a - 69a Divisione, nel Trentino.

4" Armata Comando - a Vittorio Veneto; VIII Corpo - 4ga - 5ga Divisione, in Cadore e Carnia; XXII Corpo - 57 a - 60a Divisione, in Carnia e conca di Tarvisio; XXVII Corpo - 51 a - 66a Divisione, nel Bellunese; 1a Div. d'Assalto - in zona di Preganziol.

9" Armata Comando - ad Udine; XVIII Corpo - 33a - 56a Divisione, in alta Valle Isonzo; XI Corpo - 31 a - 37a Divisione, in zona ad est del Medio Isonzo; XXIII Corpo - 10a - 23 a Divisione, in zona ad est di Udine.

3" Armata Comando - a Trieste; XXVIII Corpo - 25a - 53a Divisione, in zona Nauporto-Postumia; XXVI Corpo - 45 a - 54a Divisione, in zona M. Nevoso-Mare; IV Còrpo - 9a - 12a - 61 a Divisione, in zona Trieste-Istria; 3 a Divisione Cavalleria, in zona di Ponte di Brenta.

6" Armata Comando - a Breganze; I Corpo - 70a - goa Divisione, in zona Vicenza-Cittadella; XII Corpo - 22a - 27a Divisione, in zona Thiene-Marostica.


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Armata I Comando VI Corpo IX Corpo 2 • Divi_sione

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3. Il congedamento degli Ufficiali a S. Andrea di Cavasagra (ovest di Treviso); 15• - 52• Divisione, in zona S. Daniele-Tricesimo; 17• - 18· Divisione, in zona Codroipo-Palmanova; d'Assalto, fra Pordenone e Tagliamento.

Comando Superiore Forze Britanniche in Italia XIV Corpo Brit. - Divisioni 7• - 23• - 48•, in zona tra vérona e Vicenza.

Comando Superiore Forze Francesi in Italia XII Corpo Fran. - Divisioni 23• - 24•, in zona Castelfranco VenetoMontebelluna.

Forze Americane 332° Regg. fant. U.S.A.

Piazza Marittima Pola Brigata «Arezzo»

Corpo Occupazione Interalleato di Fiume Brigata «Granatieri»; VIII Btg. bers. ciclisti.

Governo della Dalmazia - Isole Dalmate e Curzolane 24• Divisione.

Comando Superiore Forze Italiane nei Balcani XVI Corpo - Divisioni 13• - 36· - 38•, in Albania; 35• Divisione, in Macedonia.

Corpo di Spedizione in Francia II Corpo -

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Divisioni 3 a

-

8• .

Corpo di Spedizione in Siria e Palestina - Truppe Italiane in Estremo Oriente - Unità del Regio Corpo Truppe Coloniali in Tripolitania, Cirenaica, Eritrea e Somalia. ·L'Armata veniva disciolta a fine gennaio.

Il congedamento degli Ufficiali richiamati presentava problemi particolari e venne affrontato separatamente da quello della truppa, per vari motivi. Innanzitutto il numero degli Ufficiali era stato sempre deficitario; inoltre le esigenze dell'Es.ercito mobilitato avevano depauperato l'intera organizzazione territoriale che doveva ora essere rinsanguata tempestivamente tanto più che in essa erano stati impiegati i Quadri più anziani, che ora avrebbero dovuto essere congedati per primi. Inoltre, le esigenze dell'Esercito erano ora maggiori in attività di assistenza sanitaria ed in interventi di lavoro che in attività operative; d'altra parte il Paese e le Pubbliche Amministrazioni reclamavano il congedo anticipato di particolari categorie di funzionari e di professionisti, necessari per una ripresa delle attività. Come abbiamo già visto, inoltre, il Comando Supremo era particolarmente sensibile alla esigenza di andare incontro a coloro che vedevano con preoccupazione il loro rientro immediato nella vita civile senza prospettive di lavoro o che avevano dovuto interrompere i loro studi universitari esaudendone le richieste di trattenimento a domanda, almeno temporaneamente e fino a che esso corrispondeva anche ad esigenze dell'organismo. Per quanto si riferiva agli Ufficiali in Servizio Attivo Permanente si verificava quindi un trattenimento temporaneo in servizio anche di quelli già in ausiliaria e nella riserva che, generalmente impiegati nella organizzazione territoriale, videro i loro impegni intensificati per breve tempo fino a che furono attuati i trasferimenti di Ufficiali più giovani dalla Zona di Guerra agli Enti Territoriali. Per quanto si riferisc~ agli Ufficiali della Riserva, cioè di Complemento richiamati, il Ministero con una sua lettera del 25 novembre (Doc. n. 631) confermava la necessità di «separare, per ora, la sorte degli Ufficiali da quella delle rispettive classi di leva» e comunicava che «si provvederà per ora a disporre congedamenti di Ufficiali soltanto quando ciò risulterà possibile». I primi congedamenti, limitati ai nati anteriormente all'anno 1874, erano disposti il 14 dicembre a partire dal 22 del mese (circ. 2470); altri avvenivano con circolari del 17 e del 28 d~cembre; tuttavia entro la prima metà di gennaio i congedamenti erano limitati solo fino alle classi 1876. Peraltro, mentre venivano trattenuti in servizio medici, farmacisti, cappellani militari, ingegneri e ragionieri, venivano invece anticipati i congedamenti di Sindaci, segretari comunali, funzionari di Amministrazioni Centrali e provinciali, Opere Pie, Istituto Nazionale delle Assicurazioni, ecc .. . Circa.i criteri osservati nello stabilire tali congedameqti presenta qualche interesse lo scambio di corrispondenza su tale argomento fra la Direzione Personale Ufficiali (fg. n. 2496 del 17.XII.1918) ed il Comando Supremo (fg. n. 63352 del 21.Xll.1918).


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Con il secondo foglio veniva previsto, attraverso il recupero di un certo numero di Ufficiali giovani ottenuto con lo scioglimento di Comandi ed Unità ed il loro avvio agli enti Territoriali, di poter incrementare il numero degli UfficiaH congedati fino a raggiungere la classe del 1887, avvicinandosi così ai congedamenti avvenuti per la truppa (naturalmente con le eccezioni dei trattenuti a domanda o per particolari esigenze). Come avvertito dal Gallinari nel suo libro «L'Esercito Italiano nel primo dopoguerra 1918-1920», edito dall'Ufficio Storico dello S.M.E. nel 1980, è piuttosto arduo definire in cifre l'entità dei congedamenti avvenuti entro la fine del 1918 date le contraddizioni esistenti fra vari documenti, di cui alcuni del tutto inattendibili. Comunque alla data del 10 gennaio 1919 erano stati posti in congedo gli Ufficiali delle sole classi anteriori al 1874 e dal 1874 al 1876 la cui consistenza totale era di 6.411; peraltro, di essi ne risultavano effettivamente congedati 5.400; oltre 3.000 Ufficiali di classi più giovani erano stati posti in congedo perché appartenenti a particolari categorie. Il Ministro della Guerra in data 12 gennaio 1919 si faceva interprete del malcontento. particolarmente nelle categorie di ingegneri e ragionieri trattenuti in servizio, e della opportunità di sollecitare i congedamenti degli Ufficiali delle varie classi, in parallelo a quelli della truppa. In tale occasione si prospettava anche la situazione critica dei trasporti ferroviari e si proponeva una forte riduzione dei quadrupedi mobilitati al fine di alleggerir.e le esigenze del rifornimento foraggi. Il Comando Supremo rispondeva in data 20 gennaio assicurando di porre a disposizione dell'Esercito mobilitato 5.600 Ufficiali entro il mese di gennaio; ma confermando la necessità di limitare, con provvedimenti vari, il congedamento di ingegneri e ragionieri, trattandosi di personale indispensabile in relazione alle attività in atto in quel periodo. Il congedamento degli Ufficiali doveva successivamente proseguire sempre con particolare lentezza e macchinosità; sicché si cercava di andare incontro alle esigenze personali, specie degli studenti universitari, con particolari provvidenze. Non è mancata, al riguardo, qualche espressione critica perché è stato ritenuto che i provvedimenti di trattenimento in servizio e le provvidenze ed agevolazioni concesse agli ufficiali sarebbero state eccessive rispetto a quelle previste per la truppa, indicando, anche sotto tale aspetto, una mentalità classista. Una analisi attenta dalla documentazione non s~mbra suffragare tali ipotesi. Il contenimento dei premi di congedamento e della durata dei sussidi concessi alla truppa era manifestamente dovuta alla nota situazione del bilancio e definito dal Ministero del Tesoro. D'altra parte, la massa dei soldati di origine contadina poteva trovare immediatamente lavoro all'atto del congedo; la minoranza impiegata nell'industria od in altre occupazioni si poteva presumere occuparsi entro i tre mesi di durata del sussidio, né la pro-

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pria posizione professionale poteva considerarsi peggiorata per effetto del proprio servizio in guerra; anzi, spesso, nel corso del conflitto aveva potuto acquisire nuove conoscenze ed attitudini professionali. Invece i Quadri richiamati, particolarmente quelli giovani non ancora affermati nella vita civile od ancora in corso di formazione universitaria, avevano subito forti danni sul piano professionale per il loro servizio e vedevctno con preoccupazione il loro invio in congedo, pur anelando ad esso con impazienza:. Una testimonianza, fra le tante, di questo stato d'animo dei Quadri è data da una circolare del Comando della 1a Armata n. 3308 P . del 12.XII.1918 all'oggetto «Stato d'animo degli Ufficiali» (Doc. n. 632). Di qui, l'esigenza sentita dal Comando Supremo di provvedimenti particolari a favore della categoria sulla quale riposavano tutte le possibilità di saldezza ed efficienza delle Unità. 4. Il rientro dei nostri militari già prigionieri in mano austro-ungarica

Nelle condizioni di armistizio era stato previsto che l'Austria-Ungheria avrebbe dovuto immediatamente cessare ogni impiego dei nostri militari pri~ gionieri e provvedere al loro rimpatrio entro 14 giorni. Gli avvenimenti all'interno dell'Impero Asburgico facevano sì che tali condizioni non fossero rispettate; avveniva anzi che i prigionieri venissero abbandonati immediatamente a loro stessi. Così essi, già in ben misere condizioni di nutrizione e di vestiario, dovevano muovere verso il nostro Paese avvalendosi di mezzi di fortuna od a piedi ed in tempi ristretti. Nella regione veneta, inoltre, vi erano nuclei di prigionieri dell'autunno 1917 che non erano stati avviati a campi di concentramento ed erano, invece, stati impiegati in lavori sul posto. Infine, durante la profonda avanzata si presentavano ai nostri reparti molti militari che erano rimasti nascosti per lungo tempo nelle valli della Carnia. Tutti questi uomini arrivavano, fin dai primi giorni di novembre, alle zone liberate e si presentavano alle nostre Unità, di cui abbiamo rappresentato la critica situazione logistica già appesantita dall'ingente numero di prigionieri austro-ungarici. In pratica, infatti, il numero degli uomini da vettovagliare nelle aree avanzate veniva quasi a rad- · doppiare, mentre si presentava anche l'esigenza di dare soccorso alle popolazioni affamate. L'entità del problema relativo ai prigionieri ed ai nostri militari liberati può essere sintetizzata dalle cifre seguenti (approssimative): militari austro-ungarici fatti prigionieri nella battaglia di Vittorio Veneto: 428.000 prigionieri italiani in mano austriaca: fino all'ottobre 1917 260.000 280.000 . catturati nell'autunno 1917


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catturati nel 1918 Totale:

50.000 620.000

deceduti o dispersi rimpatriati a fine 1918

120.000 500.000

Già in data 31 ottobre, appena giungevano le prime notizie circa il loro afflusso tumultuoso alle.nostre linee, venivano diramate disposizioni da parte del Comando Supremo per l'avvio dei nostri militari liberati alle località di Gossolengo nel Piacentino; successivamente venivano designati nuovi centri di raccolta a Rivergaro, Mirandola e Castelfranco Emilia, e costituita una grossa organizzazione agli ordini del Ten. Gen. Luigi Zuccari per il ricovero, l'assistenza ed il controllo di questa rilevante massa di individui, nonché per l'esame d~lle responsabilità relative alle circostanze della cattu- ra. Tutti, infatti, arrivavano in pessime condizioni fisiche e di vestiario; alcuni anche risultavano aver subito l'influenza di predicazioni sovversive e provocavano incidenti effettuando ruberie sul loro cammino. Non manca·vano poi incidenti fra i prigionieri stessi; era infatti insorta - già nei campi di detenzione - una certa ostilità tra i èaduti in prigionia in combattimento ed altri arresisi nella battaglia dell'ottobre 1917. Infine, al Comando Supremo interessava soprattutto accertare, oltreché il comportamento dei singoli - particolarmente degli Ufficiali - e l'individuazione di eventuali sobillatori, l'andamento effettivo di alcuni avvenimenti ed jl comportamento di alcune unità nella battaglia dell'ottobre 1917, che risultavano ancora piuttosto inspiegabili. Ordini in merito alla raccolta di tali prigionieri liberati erano diramati ancora il 1° novembre con la circ. 43585 R.S. ed il 5 novembre con il tele 33923 (Doc. n. 633): Ma l'entità dèl problema provocava segnalazioni allarmate dei Comandi dipendenti, di. cui si riportano solo alcune a titolo di esempio. Infatti, in data 6 novembre il Comando della 1• Divisione di Cavalleria segnalava di non avere modo di provvedere per 10.000 uomini «quasi mancandone per propri reparti»; nella stessa data la 3" Armata segnalava il problema di oltre 100.000 ex-prigionieri in marcia verso il Piave; per il loro rastrellamento in corrispondenza del Tagliamento veniva impiegata la 4" Divisione di Cavalleria (Doc. n. 634). Ulteriori disposizioni erano date dal Comando Supremo in data 7 novembre (Doc. n. 635). Una situazione particolarmente grave doveva crearsi a Trieste, ove, come si è già accennato, affluivano grosse correnti di questi ex-prigionieri avvalendosi del traffico ferroviario in funzione con l'interno dell'Impero asburgico, mentre le comunicazioni della città con il nostro territorio erano ancora possibili solo per mare; sicché gli avvii dei rifornimenti e degli sgomberi erano del tutto insufficenti. Di questa situazione sono effi-

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cace testimonianza le richieste del Comandante della 3 • Armata, Ten. Gen. Emanuele Filiberto di Savoia, in data 18 novembre (Doc. n. 636)). Per il rimpatrio di ex-prigionieri provenienti dalla Germania vi era, intanto, un particolare interessamento dei nostri rappresentanti a Parigi per ottenerlo via Francia e Svizzera con l'assistenza delle Autorità francesi (soprattutto per l'assegnazione di veicoli ferroviari), mentre l'Italia provvedeva all'assistenza di ex-prigionieri alleati che provenivano dall'Austria-Ungheria e giungevano alle nostre linee. L'assistenza agli ex-prigionieri non mancava di presentare particolari difficoltà; il loro passaggio per città e stazioni ferroviarie, oltre a richiedere interventi di rafforzamento della vigilanza per il loro controllo provocava anche richieste della opinione pubblica di un più sollecito intervento a loro favore, di cui il Presidente Orlando si faceva portavoce. Alle critiche veniva risposto rappresentando qu_a nto già veniva compiuto per una loro completa vestizione, effettuabile peraltro solo dopo il loro raggiungimento dei centri di raccolta (per non doverla effettuare due volte). Con una disposizione del 1-9 novembre, inoltre, veniva autorizzata la concessione di licenze ai liberati meritevoli, il cui reimpiego avrebbe dovuto avvenire seguendo la s_o rte della rispettiva classe di appartenenza. Con altre disposizioni veniva altresì ordinato di accelerare per quanto possibile .le procedure delle Commissioni interrogatrici; sicché verso la metà del gennaio del 1919, essendo assai diminuito il flusso degli arrivi ed avviato il deflusso, potevano essere disciolti tre dei quattro cent_ri di raccolta rimanendo in funzione il solo centro di Mirandola, che avrebbe dovuto progressivamente contrarsi fino ad un miniìno per eventuali ulteriori arrivi. Circa i sentimenti di questi exprigionieri liberati riportiamo una interessante relazione dell'Ufficio «I» della 3" Armata in data 20 novembre (Doc. n. 637). 4. I prigionieri di guerra austro-ungarici ed il loro impiego; la costituzione di unità .cecoslovacche, rumene e polacche I prigionieri di guerra austro-ungarici erano, fino al 24 ottobre 1918, circa 180.000. Anteriormente all'ultima battaglia il Comando Supremo aveva diramato disposizioni (fg. 23900 R.S. dell'Ufficio Ord. e Mob. in data 22 Settembre 1918), intese ad assicurare una immediata utilizzazione della maggior parte di essi. Oltre a contemplare un campo di concentramento per ogni Armata, veniva previsto il suecessivo invio degli Ufficiali e della truppa a campi in diverse località secondo la nazionalità; i prigionieri militari di truppa dovevano essere suddivisi in «centurie» comandate da sottufficiali o graduati della stessa nazionalità; tre o quattro «centurie» dovevano essere riunite e costituire una «compagnia» agli ordini di un Ufficiale inferiore italia-


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no; dovevano successivamente costituirsi «compagnie di lavoratori» con personale di inquadramento e di scorta italiano, da trarsi dai disponibili più anziani o meno atti al servizio in linea. Veniva prevista la separazione dei prigionieri di nazionalità cecoslovacca ed italiana per il loro es,a me e possibile reimpiego: i primi nelle note unità del corpo Cecoslovacco. Gli Uffici Informazioni delle Armate erano autorizzati a prelevare dai campi di concentramento quei prigionieri che «ritengono poter utilmente impiegare nel servizio informazioni e propaganda». Infatti, oltre alla nota 6a Divisione Cecoslovacca, era stato possibile costituire nuclei di varie nazionalità delle popolazioni dell'Impero Asburgico, impiegate per indurre elementi avversari alla diserzione e per la raccolta di informazioni fra prigionieri. Presso 1'8a Armata era poi stata costituita una «compagnia volontari romeni», che parteciperà assai onorevolmente ai combattimenti del 27 e 28 ottobre sul Piave. Come riferito altrove, dopo l'armistizio la costituzione di reparti con ex-prigionieri cechi, rumeni e polacchi fu notevolmente ampliata portando ad un accelerato rimpatrio degli uomini di tali nazionalità. Nel corso della battaglia di Vittorio Veneto, il numero dei prigionieri divenne «enorme»: così lo definiva un messaggio della 7" Armata. Essi erano solo poco più di 5 .000 nei giorni 24 + 26 ottobre, raggiungevano la cifra di oltre 50.000 entro il 30 dello stesso mese; entro la sera del 31 ottobre, quando aveva inizio l'inseguimento, avevano già raggiunto un livello superiore alle 100.000 unità e, nei giorni successivi, raggiungevano la cospicua cifra complessiva di 428.000 uomini. Come si è detto altrove, mentre il Gruppo di Armate Boroevic conduceva una manovra in ritirata abbastanza controllata lasciando nelle nostre mani circa 50.000 prigionieri, il Gruppo di Armate del Trentino, anche per la particolare conformazione della rete di comunicazione sul tergo, vedeva molte delle sue unità cadere prigioniere. Una così improvvisa cattura di grandi masse di uomini finì per creare numerosi problemi: sia per assicurarne la scorta e la sorveglianza, sia per soddisfarne le più impellenti necessità e per effettuarne lo sgombero. Il problema si presentò più o meno in tutti i settori delle Armate avanzanti, ma risultò particolarmente grave per la 1 • e la 6" Armata, letteralmente sommerse dalla massa di prigionieri del Trentino da rifocillare e da evacuare. La situazione era resa ancor più difficile dalla impossibilità di ricovero dei prigionieri e dal loro movimento a piedi fino alle retrovie in una stagione invernale ormai avanzata. Al riguardo, oltre alle note infondate rimostranze dell'Alto Comando austriaco per l'avvenuta cattura di parte dei prigionieri dopo le ore 15 del giorno 3 novembre e della quale si sarebbe preteso la immediata restituzione, furono in pubblicazioni austriache ed ungheresi lamentate insufficenze nel trattamento dei prigionieri dopo la loro cattura nel novembre 1918, nonché il loro prolungato trattenimento in stato di prigionia a guerra conclusa.

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Si trattò, invero, di polemiche del tutto ingiustificate. Le stesse Autorità austriache ebbero a riconoscere successivamente la correttezza di tutti gli atti del Comando Supremo italiano in applicazione delle clausole armistiziali, ed in particolare - appunto - nei riguardi della cattura degli uomini superati entro le 15 del giorno 4 novembre, per la quale l'Alto Comando austriaco aveva presentato ben sette proteste del tutto immotivate. Circa la durata del trattenimento in prigionia, va considerato che buona parte dei prigionieri venne rilasciata a breve scadenza perché riconosciuta di nazionalità italian·a o, come si è detto, favorevole all'Intesa (cecoslovacchi, rumeni, polacchi). Disposizioni particolari venivano date, infatti, a favore dei militari dell'Esercito già nostro avversario appartenenti ai territori occupati dal n~stro Esercito; mentre in tempi brevi successivi i prigionieri cechi, rumeni e polacchi verranno raccolti in particolari formazioni e rimpatriati (Doc. n. 638). Rimanevano gli altri, impiegati generalmente nei lavori di ricostruzione nel Veneto; comunque, è da dire che il loro rimpatrio fu quasi integralmente ultimato entro la fine dell'anno 1919 cioè, entro un anno dalla cattura della maggior parte di essi. Circa il trattamento fatto ai prigionieri è noto come in alcuni casi - specie in combattimenti notturni o condotti da particolari unità (arditi) - non vi sia stata l'osservanza delle norme umanitarie del Diritto di guerra. Si trattò sempre, peraltro, di eccessi attribuibili a singoli ed alla eccitazione del momento, mai di comportamenti decisi dal Comando o deliberati o tollerati. Incontrò invece repulsione e sgomento nelle file dell'Esercito italiano l'incitamento del Comando avversario a finire feriti e gassati con mazze ferrate, comprovato dal rinvenimento di un cospicuo numero di tali arnesi; della riprovazione di tale abitudine è testimonianza una lettera del 23 novembre 1918 in cui si chiedeva che cosa fare di esse, dato che si trattava di materiale «che nel nostro Esercito non ha mai avuto è non avrà mai impiego» (Ddc. n. 639). Così, è indubbio che il trattamento che le Unità poterono garantire ai numerosi prigionieri nei primi giorni di novembre fu del tutto insufficente, poiché, nella difficile situazione logistica del momento, la maggior parte dové eseguire trasferimenti a piedi, pernottare all'aperto e ricevette piuttosto scarse razioni. Ma già nel dicembre del 1918 si era provveduto a sanare una situazione insoddisfacente: infatti, erano stati gli stessi Comandi inferiori a rappresentare l'esigenza di concedere razioni adeguate al lavoro richiesto, mentre l'ambiente in cui i prigionieri operavano era divenuto tanto permissivo da provocare un intervento del Comando Supremo inteso a mantenere maggiore disciplina nelle formazioni (Doc. n. 640). Vi è, comunque, una constatazione non discutibile: in sede di presentazione della documentazione circa i danni di guerra causati da violazioni del diritto delle genti commesse dal nemico veniva rappresentato come fra i prigionieri di guerra in nostra


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mano, i deceduti per tutte le varie cause erano stati del 13 per mille, percentuale di poco superiore a quella del 9 per mille registrati in Austria-Ungheria, in tempo di pace, per uomini tra i 18 ed i 45 anni.1. In altre parole, con un calo da considerarsi quasi normale date le circostanze e la diffusione della «spagnola», la sorte poté considerarsi benigna per tutti coloro che finirono prigionieri in Italia; da questo punto di vista le dichiarazioni del Generale Von Arz (che, con i suoi ordini, aveva inteso evitare perdite ulteriori in una guerra ormai persa) possono considerarsi aderenti alla verità. Appaiono invece infondate le lamentele circa il trattamento subito, quando si confrontino con il-trattamento fatfo ai nostri militari prigionieri dei quali circa il 20% non faceva ritorno dai campi di concentramento austriaci ed il rimanente 80% ritornava nelle ben note misere condizioni (Doc. n. 642). Un aspetto particolare assunse la questione dei prigionieri di nazionalità jugoslava o, meglio, slovena e croata. Già nel corso del 1918 era stata fatta richiesta, anche nella sede di Versaglia attraverso i Rappresentanti Militari, che l'Esercito Italiano consentisse a volontari tra i prigionieri slavi di essere liberati e di essere inviati come complementi all'Esercito serbo in Macedonia. Peraltro non si era ritenuto possibile aderire alla proposta: sia per i noti contrasti che erano sempre intercorsi con il Governo serpo, sia soprattutto in quanto non si era quasi mai potuto riscontrare tra i prigionieri sloveni e croati in nostro possesso quei sentimenti di contrapposizione alla Monarchia asburgica e di favore alla propria causa nazionale che avevano consentito di dar vita alle formazioni cecoslovacche. Di fatto, fino all'ultimo ed anche nel corso della battaglia di Vittorio Veneto il comportamento dei militari avversari di quella nazionalità era stato ferocemente ostile; nel Bellunese ed in Val Piave unità bosniache di retroguardia erano state le più accanite nel contenimento della nostra avanzata; e, come abbiamo già visto, le popolazioni slovene e croate con formazioni di militari armati di quelle località si andavano contrapponendo alle nostre unità fin dai primi giorni di novembre nelle zone dell'alto e medio Isonzo e ad oriente di esso. Sicché, mentre nell'animo di Quadri e soldati del nostro Esercito si riteneva che avrebbe dovuto essere a noi riconosciuto il merito di avere tanto contribuito alla liberazione nazionale di quelle popolazioni, si doveva invece constatare la loro più aperta ostilità nei nostri confronti, maggiore assai di quella espressa dalle medesime popolazioni austriache. La lontana memoria dei presidi croati nel nostro territorio, le constatazioni più recenti di una netta contrapposizione ad ogni nostra aspirazione facevano sì che non si potessero che accogliere con aperto sospetto e con assoluta sfiducia tutte le manifestazioni con le quali i nuovi organi politici, particolarmente sloveni e croati, cercavano di accre1 Cifre

più precise vennero date nel 1936 (Doc. n. 641).

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ditare una propria compartecipazione al suq:esso alleato ed un proprio particolare diritto a fianco dei vincitori. Si è già parlato dei numerosi incidenti che andavano verificandosi a Fiume e nelle località dalmate; mentre venivano segnalati maltrattamenti e ruberie a danno dei nostri uomini per le zone slovene (Doc. n. 643). In questo quadro dovevano app~rire presuntuose ed assurde le richieste del Governo di Zagabria per la restituzione immediata di tutti i prigionieri di guerra e internati civili jugoslavi 1• Si trattava, inoltre, di una restituzione che, se in un altro contesto politico generale avrebbe anche potuto essere considerata opportuna, non avrebbe certo corrisposto a criteri di equità nei riguardi degli altri prigionieri, austriaci ed ungheresi, che finivano per rimanere i soli esclusi da provvedimenti di favore. . Un altro aspetto particolare nei riguardi dei prigionieri fu quello dell'isolamento in campi a Cas_sino del personale di origine russa comunque affluito nel nostro territorio, quali prigionieri o internati, che, influenzato dalle notizie sugli avvenimenti nella madre patria, risultava effettuare intensa attività di propaganda politica verso militari e civili con cui veniva in contatto (Doc. n. 644).

5. Cura del morale e delPefficienza dei reparti La cessazione delle ostilità, la trasformazione dei compiti delle unità e le incisive mutazìoni organiche per effetto dei congedamenti e degli scioglimenti di reparti tendevano ad avere ripercussioni sulla efficienza operativa dei reparti e sulla loro compattezza disciplinare. Il Comando Supremo seguiva, quindi, con particolare vigilanza la situazione morale e disciplinare delle Unità attraverso le relazioni quindicinali degli Uffici Informazioni delle Armate e le numerose ed interessanti comunicazioni degli ufficiali dei Nuclei di collegamento e degli ufficiali alla Propaganda, i quali riferivano, spesso còn molta libertà ed iniziativa, sugli argomehti più vari stimolando interventi nei settori di qualche interesse sia da parte dei Comandi d'Armata sia da parte ·del Comando Supremo. Questi, con il messaggio 15388 in data 18 novembre (Doc. n. 645), disponeva che si evitasse assolutamente di lasciare in ozio le truppe e si desse sviluppo ad istruzioni che necessità di guerra non avevano fino ad allora consentito di svolgere. Veniva raccomandato in particolare di «migliorare con razionale esercizio le condizioni ,fisiche .... e (di curare) con ogni mezzo il benes- · sere morale e materiale del soldato». Alle disposizioni del Comando Supremo facevano stguito quelle delle Armate, di cui si ricordano, a solo titolo di 1 Min.

Affari Esteri - Doc. Dipl. · It. - Serie VI - Voi.I - n. 622.,


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esempio: un foglio del Comando 4a Armata in data 20 novembre all'oggetto «Impiego del tempo» ed uno del Comando 3 a Armata in data 8 gennaio 1919 all'oggetto: «Cura del Soldato» (Doc. n. 646). In data 1° dicembre venivano date disposizioni circa il contegno dei militari in pubblico; ulteriori raccomandazioni venivano rivolte con altre circolari del 10 e del 14 gennaio 1919 circa l'obbligo del saluto e la cura delle uniformi (Doc. n. 647). In data 22 gennaio, infine, il nuovo Ministro, Gen. Enrico Caviglia, diramava, quale uno dei suoi primi atti di governo, la circ. 2600 in cui si richiamava l'obbligo dei militari di astenersi dal partecipare a pubbliche dimostrazioni ed a manifestazioni di carattere politico di vario genere (Doc. n. 648). Mentre non mancava di giungere ai reparti la voce del Comandante, Generale Diaz, con i suoi Ordini del Giorno e, con il miglioramento del Servizio postale e della diffusione dei giornali, l'eco dell'entusiasmo popolate per la vittoria conseguita, il Comando Supremo richiedeva a tutte le Armate la trasmissione di ampie relazioni sulla battaglia appena conclusa. Seppure mancanti sotto aspetti particolari e talora imprecise, la loro raccolta costituisce tuttora una imponente documentazione di grande interesse per la su'a ader.enza alle impressioni del momento. In data 28 novembre, poi, veniva richiesta alle Armate la segnalazione dei Reparti che si erano maggi6rmente distinti, nonché quella delle unità che per prime avevano conquistato posizioni importanti od occupato particolari località. Oltre alle risposte avute immediatamente, seguivano per tutto l'anno 1919 segnalazioni specifiche e rettifiche, spesso di carattere marginale, ma comunque tali da permettere una più precisa ed accurata ricostruzione degli avvenimenti. Contemporaneamente venivano disposti provvedii;nenti per la conces~ sione di sussidi ai militari residenti nelle aree liberate al momento del loro invio in licenza, nonché di premi agli inviati in licenza illimitata in attesa di congedo, mentre veniva disposta la continuazione dei sussidi alle famiglie bisognose per tre mesi dopo l'avvenuto congedo. Si trattava indubbiamente di premi e sussidi molto contenuti, date le note difficoltà finanziarie, ma che rappresentan_o una testimonianza dell'interessamento del Comando Supremo per i problemi del personale smobilitato . . Le preoccupazioni per gli aspetti umani e sociali connessi con una vasta smobilitazione avevano avuto espressione anche nei numerosi provvedimenti contemplati dal promemoria presentato il 14 novembre dal Gen. Gazzera (Doc: n. 623). Il maggior risultato di tale interessamento, che avrà ripercussioni a distanza di tempo, fu la organizzazione di «Uffici di Collocamento» costituiti con D.L. 17.11.1918, n. 1911, e portati a conoscenza di tutti i militari' con circolari del Comando Supremo e poi del Ministero della Guerra. (Doc. n. 649 e n. 650). Né mancava l'interessamento del Comando

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Supremo perché venissero affrontati i problemi connessi con l'assistenza morale, sanitaria ed economica ai militari provati da fatti di guerra, che incideranno per numerosi anni del dopoguerra sui bilanci delle Forze Armate.


Gli interventi logistici CAPITOLO

XXIII·

LE ATTIVITÀ LOGISTICHE E GLI INTERVENTI A FAVORE DELLE AREE E DELLE POPOLAZIONI LIBERATE

1. La situazione logistica al termine della battaglia di Vittorio Veneto e nel periodo immediatamente successivo nella Zona di Guerra e nei territori liberati

Alle ore 15 del 4 novembre tutto l'Esercito italiano, che solamente una decina di giorni prima era ai piedi dei monti del Trentino ed a tergo del Piave, si era portato in avanti per una profondità notevole; esso doveva nei giorni successivi, avanzare ancora fino alla nota linea di armistizio. Le unità in marcia erano separate dai Depositi di Armata, oltre che da grandi distanze, da zone in cui ogni via di comunicazione era sconvolta e spesso interrotta. La situazione logistica aveva raggiunto punte critiche.che solo l'entusiasmo aveva saputo superare. Ma, all'indomani del successo, essa doveva farsi sentire pesantemente, soprattutto nei riguardi di alcuni servizi fondamentali. Se, infatti, vi era - ormai - un alleggerimento di alcuni di essi, quali quello di Artiglieria, per la fine dei consumi relativi peraltro sostituiti ora dalla esigenza di ingenti recuperi, altri erano ora maggiormente impegnati. Si trattava, poi, di esigenze che non ammettevano dilazioni o mancati soddisfacimenti, quali: l'assistenza sanitaria, i rifornimenti viveri alle truppe, agli ex-prigionieri affluenti al nostro territorio, ai prigionieri austroungarici, alle popolazioni affamate, gli onerosi rifornimenti di foraggi per muli e cavalli: il tutto in una zona che era stata depredata di ogni risorsa. Particolarmente impegnato era anche il Servizio Lavori del Genio per le esigenze di riattamento ponti, strade, ferrovie, argini dei fiumi, impianti idrici, edifici pubblici e privati. Rifornimenti e sgomberi si traducevano in oneri di trasporto che, date le interruzioni delle ferrovie, dovevano essere soddisfatti esclusivamente per via ordinaria. Anche considerando disponibili gli automezzi normalmente impiegati per i trasporti delle munizioni, l'allungamento dei cicli viaggio fino a ben 4 giornate e le pessime condizioni delle vie di comunicazione portarono ad una situazione di crisi che fu particolarmente grave soprattutto in alcuni settori e per alcune Unità. Numerose sono le testimonianze di tale situazione di crisi; a solo titolo di ~sempio si ricordano: - i messaggi delle Divisioni di Cavalleria, che già nei primi giorni di novembre lamentavano la mancanza di rifornimenti di viveri, foraggi e benzina; - una segnalazione della 1 a Divisione di Cavalleria di non essere in

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grado di vettovagliare gli oltre 10.000 tra prigionieri ed italiani ex prigionieri; - le difficoltà di alimentazione delle unità alpine in Val Venosta; - la limitazione delle Ùnità avanzanti e l'arresto di molte Divisioni nelle zone raggiunte a fine ottobre; - il mantenimento ad ovest del Piave di unità di artiglieria pesante, campale, bombarde, ecc.; - il ritiro di automezzi da reparti di artiglieria, difesa contro aerei, reparti aeronautica ed altri a favore dei trasporti adibiti ai rifornimenti essenziali; - il pronto ritiro verso la pianura delle unità alleate. Ma oltre e più che alle proprie esigenze, l'Esercito si trovò di fronte al problema di intervenire prontamente a favore delle zone liberate e delle loro popolazioni. Infatti, nel corso della battaglia ed avanzando nei territori così a lungo occupati dall'avversario, si erano andate constatando le condizioni disastrose in cui esse erano state ridotte e la necessità di pronti interventi che solo l'Esercito avrebbe potuto in qualche modo soddisfare; in merito riportiamo in allegato una lettera del Ten. Gen. Francesco Graziali, Comandante dell'VIII Corpo al Comandante della sa Armata, Gen. Caviglia, già in data 30 ottobre (Doc. n. 651). Notizie sulla sitùazione venivano inoltrate con urgenza il 31 ottobre con un messaggio inviato al Presidente del Consiglio a Parigi (Doc. n. 387) perché il Governo affrontasse tempestivamente il problema, la cui soluzione andava oltre le possibilità e la competenza della organizzazione militare. Oltre alle esigenze di rifornimenti si presentavano impellenti quelle di grossi interventi di riparazione di opere pubbliche gravemente danneggiate che interessavano soprattutto: - la riparazione di impianti idrici; - la ricostruzione delle arginature dei fiumi del Veneto e degli impianti di drenaggio delle cimose lagunari; - la ricostruzione dei ponti ed il riattamento delle comunicazioni stradali e ferroviarie. Agli interventi per soddisfare i bisogni principali delle popolazioni se ne univano altri intesi a soddisfare moltissime altre esigenze che andavano man mano insorgendo quali, a solo titolo di esempio: .- il pagamento dei funzionari, impiegati, lavoratori delle ferrovie, delle Amministrazioni pubbliche, insegnanti delle scuole ed altri organismi che si invitavano a riprendere le attività, compresi quelli già dipendenti in precedenza da Amministrazioni austro-ungariche; - l'introduzione nelle aree della moneta italiana èd il cambio delle corone austriache in possesso della popolazione e degli ex-prigionieri liberati;


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- la riattivazione del servizio postale e telegrafico; - l'assistenza alla riapertura di forni, impianti idrici, scuole, ospedali con assegnazione di uomini, mezzi, medicinali, -animali da lavoro; - Io smantellamento delle opere, dei reticolati e delle interruzioni predisposte nelle linee difensive già esistenti, ip. tutta la zona di guerra; - il risanamento del campo di battaglia da cadaveri, carogne di animali, armi e munizioni, esplosivi, altri materiali utili o pericolosi. Le attività in questione trovavano direzione e stimolo nell'opera del Segretariato Generale Affari Civili, costituito nel 1915 alle dipendenze del Comando Supremo, e diretto sempre egregiamente dal Prefetto Agostino D' Adamo.

2. L'azione di Comando nella emergenza

Al fine di migliorare la situazione generale, mèntre dovevano essere soddisfatte le esigenze di ordine operativo e quelle di ordine politico che abbiamo considerato al Capitolo XXI, l'Ufficio Operazioni del Comando Supremo non mancava di coordinare e di stimolare gli interventi di tutti i Comandi e le Unità dipendenti a favore della ricostruzione dei territori liberati. Tale attività doveva essere agevolata dalla distribuzione delle truppe su tutto il territorio; mentre venivano potenziati gli interventi degli Uffici Affari Civili delle Armate e, per i territori occupati oltre i vecchi confini del Regno, dei Governatorati del Trentino, della Venezia Giulia e della Dalmazia, costituiti con una Ordinanza del 19 novembre 1918 ed operanti secondo la circolare 5000 della Presidenza del Consiglio nella medesima data (Doc. n. 652 e n. 653). Innumerevoli gli ordini e gli interventi per venire incontro alle esigenze della popolazione particolarmente dopoché venne superato ·il primo periodo di crisi logistica verificatasi nei mesi di novembre. Un particolare aspetto era toccato dagli ordini emanati il 16 dicembre, intesi a mitigare le disposizioni di allontanamento dalla zona di guerra o di internamento di individui ritenuti pericolosi. In merito, veniva ricordato che «per quanto particolarmente riguarda i territori occupati ... ragioni di opportunità nei territori delle aspirazioni nazionali, consiglino indirizzo ~he valga conciliare simpatie popolazioni a nuovo regime»; e, più avanti, « ... avvertesi che per considerazioni essenzialmente politiche procedere massima cautela ad evitare che provvedimento (di internamento) divenga atto di soverchio rigore ed alieni simpatie popolazioni territori occupati». L'Amministrazione civile nei territori occupatfveniva ulteriormente disciplinata dal Comando Supremo con circolare 2111 del 30 dicembre 1918 dell'Ufficio Affari Civili (Doc. n. 489),

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mentre un ulteriore stimolo veniva dato con il foglio 16672 G.M. in data 23 gennaio dell'Ufficio Operazioni aH'oggetto: «Concorso a risorgere della vita civile nelle province invase». Un aspetto particolare di tale concorso veniva soddisfatto con l'immediata assunzione in servizio, presso le scuole di ogni ordine e grado del territorio occupato, di militari di truppa forniti di diploma di abilitazione all'insegnamento ed al momento in servizio presso l'Esercito mobilitato. Gli Uffici Affari Civili, per l'assolvimento delle loro funzioni vennero notevolmente potenziati con l'assegnazione di personale particolarmente idoneo, fornito in parte dal Ministero degli Interni od altre Amministrazioni dello Stato o pr~scelto fra i Quadri di complemento per le proprie attitudini od i precedenti professionali. Una particolare attività che ebbe ad impegnare tale organizzazione fu costituita dalla rapida raccolta di notizie e di dati circa i danni arrecati a persone e cose dal nemico; ciò, al fine di fornir elementi alle Autorità di Governo per le «richieste» di riparazioni danni di guerra, da presentarsi alla Conferenza della Pace. Ricordiamo come i dati raccolti furono presentati in ben 5 grossi volumi di documentazione pubblicati successivamente. Il complesso delle esigenze di sicurezza e di nuove prospettive politico-amministrative impose anche notevoli variazioni alle attività dei servizi di polizia; propaganda ed informativi. Mentre veniva fatto largo ricorso, nelle zone occupate, ad unità di Carabinieri, spingendo anche a nuovi reclutamenti ed affiancando militari di buon affidamento a quelli dell'Arma, gli Uffici «P» tesero ad organizzare attività volte a mantenere saldo morale e disciplina nelle Unità ed a migliorare le relazioni tra le Unità e le popolazioni, in particolare quelle alloglotte. Gli Uffici Informativi, specie quelli delle Armate, dovevano assumere nuovi compiti, differente organizzazione, con nuovo personale più idoneo ad assolverli. 3. Le trasformazioni dell'Organizzazione di Intendenza

Nel capitolo XVI abbiamo già ricordato come in data 2 novembre l'Intendenza Generale, con sede a Bologna, avesse costituito una propria Delegazione avanzata a Treviso destinata a costituire un organo di stretto e continuo collegamento con le Intendenze delle Armate 1 a, 3 a, 8 a, Grappa, Altipiani (4a e 6a Armata) e C.D. (Intendenza Corpi a Disposizione) (Doc.

n. 442). In data 9 novembre, in relazione alle direttive del Comando Supremo circa il nuovo assetto delle Armate, di cui al foglio n. 14774 G.M. in data 4 novembre del Comando Supremo (Doc. n. 381) che prevedeva la dislocazione di 4 Armate a difesa della linea di armistizio (1 a, 4 a, 9 a e 5a), e di 4 Armate (6a, 8a, 10a e 12a) e del Corpo di Cavalleria nella pianura veneta


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ma destinate ad operare eventualmente verso la Baviera, l'Intendenza Generale presentava proposte circa una nuova organizzazione logistica (Doc. n. 654). Questa contemplava la costituzione di tre Intendenze: una della 1a Armata; una della 4a Armata, ed una che doveva alimentare la 9a e la 3a Armata (bacino Isonzo ed Istria). Le tre Intendenze avrebbero dovuto assumere anche i compiti di «Intendenze di base» per le Armate che fossero impiegate al di là delle Alpi sulle direttrici: Brennero-Kufstein; TarvisioSalisburgo; Trieste-Lubiana-Marburgo, alimentandone le rispettive Intendenze. Peraltro, mentre la fine della guerra anche contro la Germania rendeva superato questo progetto, diveniva sempre più difficile la situazione della Intendenza della 3 a Armata. Il Comando dell'Armata, con il foglio 34613 in data 11 novembre lamentava l'eccessiva estensione della zona di competenza che andava dagli invariati limiti occidentali fino all'Isonzo ed oltre. La predetta Intendenza era posta poi in gravi difficoltà per lo stato assai precario delle comunicazioni e l' onere dei reparti da alimentare, delle due Armate 3a e 9a. Infatti, fino a che non venne ripreso il traffico ferroviario sul Piave (23 novembre) i rifornimenti a Trieste dovevano effettuarsi per la maggior parte via mare. In una sua relazione circa il funzionamento dei Servizi per il periodo 4+ 23 novembre l'Intendenza della 3a Armata ricordava up.a situazione di carenza di mezzi e tuttavia richiamava l'intensità degli sforzi compiuti per soddisfare le esigenze, particolarmente dei Servizi Sanitario, di Commissariato e delle Tappe, che erano stati molto oberati mentre gli altri Servizi avevano potuto essere convenientemente ridotti. Ma int(;!rveniva allora il Comando della 9a Armata che, con un suo foglio 14795 in data 12 dicembre, affermava, invece, che i predetti servizi erano stati del tutto carenti, nel periodo considerato, nei riguardi delle unità dell'Armata. Il foglio predetto mostrava, peraltro, un certo spirito polemico nei riguardi della Intendenza della 3 a Armata e ciò provocava un intervento del Duca d'Aosta che, pur riconoscendo gli inconvenienti lamentati, affermava essere stati in massima parte inevitabili e non potersi addebitare a gravi manchevolezze della propria Intendenza. La corrispondenza allora intercorsa costituisce una interessante documentazione della crisi logistica che ebbe a verificarsi nel corso del.mese di novembre e che fu, più o meno, comune a tutta la struttura a tergo delle Armate. Solo verso la fine del mese di novembre la situazione andò normalizzandosi per la riattivazione dei servizi ferroviari, la ricostruzione dei principali passaggi fissi sui corsi d'acqua; l'evacuazione nel Territorio dei nostri ex prigionieri liberati e della massa dei prigionieri austro-ungarici, eccetto quelli impiegati in lavori sul posto. In data 19 novembre, in relazione al nuovo assetto delle for,ze stabilito dal Comando Supremo con il foglio 15165 G.M. del 15 novembre (Doc. n. 484)

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l' Intendenza Generale stabiliva, con il suo foglio 110 del 19 novembre 1918 (Doc. n. 655), che, dopo una serie di provvedimenti di attuazione graduale, si sarebbe raggiunta una sistemazione definitiva con quattro Intendenze che dovevano provvedere alle esigenze delle Armate alla frontiera, e due Intendenze arretrate. In particolare sarebbero rimaste in funzione le: · Intendenza 1a Armata: per la 1a Armata, nel settore Trentino-Alto Adige; Intendenza 4a Armata (si trattava della Intendenza della ga Armata che mutava denominazione): per la 4a Armat;1 nel settore Carnia-Cadore; - Intendenza 9 a Armata (costituita con organi già della Intendenza della 7a Armata): per la 9 a Armata; - .Intendenza 3a Armata: per la 3a Armata; - Intendenza 6 a Armata (costituita con organi già della Intendenza Grappa ed Altipiani): per la 6a Armata in zona arretrata; - Intendenza C.D.: per gli Enti ad ovest dell'Adda ed a sud del Po, · compresi i Centri Raccolta per gli ex prigionieri italiani. Per i Corpi d'Armata dell'Armata di riserva (S a Armata) avrebbero provveduto le Intendenze delle Armate ove essi erano dislocati; d'àltra parte la suddetta Armata doveva essere presto disciolta. A ciascuna delle predette Intendenze veniva assegnato uno o più Depositi Centrali. La predetta sistemazione della organizzazione logistica, che richiese anche numerosi interventi minuti, poteva ritenersi completata verso la fine dell'anno. 4. Gli interventi della organizzazione igienico-sanitaria

Nel novembre miglioiavano alquanto le condizioni sanitarie delle truppe per la diminuzione dei càsi di malaria e di influenza. Naturalmente l' esaurirsi delle perditè in combattimento permetteva un rapido alleggerimento della organizzazione ospedaliera delle Armate e nel Territorio e di aderire alle richieste della organizzazione sanitaria civile che risultava, invece, ancora molto oberata per la forte diffusione della influenza «spagnola». Peraltro l'organizzazione igienico-sanitaria delle Armate, nei suoi organi avanzati ed arretrati, fu fortemente impegnata a favore delle popolazioni nelle regioni liberate ed occupate oltre confine attraversò: la fornitura di medicinali; l'assistenza ambulatoriale del personale dei reparti; la riattivazione degli ospedali in tutti i centri maggiori o minori, trovati per la più parte inattivi. Essa affrontò anche il risanamento del campo di battaglia ed una prima sistemazione dei cimiteri di guerra sia nei territori a cavallo dell' Isonzo sia sugli Altipiani e sul Piave.


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A titolo di esempio dell'impegno a favore delle popolazioni delle aree liberate si ricorda che una delle prime richieste del Gen. \etitti, Governatore di Trieste, fu costituita dall'urgente invio di medici, medicinali e 100 militari di sanità per la riattivazione degli Ospedali di Trieste. Interventi similari di personale medico avvennero per gli ospedali dei maggiori centri delle aree liberate ed a favore delle popolazioni delle località ove erano dislocate le unità. D'altra parte, l'onere per l'assistenza ai malati risultava aggravata: dalla esigenza di fa'r serrare o costituire ex-novo le strutture sanitarie avanzate; dalla contrazione delle strutture sanitarie nelle retrovie e nel Paese a mano a mano che diminuiva la forza dell'Esercito mobilitato; dalla crisi dei trasporti automobilistici e ferroviari. Un onere particolare fu rappresentato dagli interventi per la disinfezione, l' assistenza contumaciale e la cura degli ex prigionieri liberati, nonché dalla organizzazione di assistenza, cura e, possibilmente, riabilitazione dei numerosi mutilati ed invalidi. Una comunicazione della 4a Armata in data 23 dicembre (Doc. n. 656) è indicativa delle difficoltà in cui si trovava ad operare questo servizio ad oltre un mese dalla fine delle ostilità. Un deciso miglioramento dell'organizzazione poteva considerarsi in atto solo verso la fine del gennaio 1919, quando, per la migliorata situazione delle strutture civili, l'avvenuta chiusura dei campi di raccolta ex prigionieri italiani e di molti campi di concentramento prigionieri austriaci, e la riduzione della .forza mobilitata, risultava già in corso una contrazione delle strutture ospedaliere e delle formazioni sanitarie.

5. Le difficoltà nel settore della Sussistenza e del Vestiario Già negli ultimi giorni dell'avanzata_si erano manifestate difficoltà per i rifornimenti di viveri e foraggi alle unità più ayanzate. L'onere del rifornimento dei viveri e dei foraggi, questo soprattutto per il loro volume, diveniva ancor più rilevante successivamente per l'esigenza di vettovagliare un numero crescente di prigionieri austriaci e di ex prigionieri italiani e di fornire assistenza alle popolazioni. Possono dare un'idea dei nuovi bisogni solo questi dati: - la massa dell'Esercito operante aveva avanzato di una media di circa 150 km; - i prigionieri cui provvedere ammontarono ad oltre 428.000 uomini, mentre gli ex prigionieri liberati superavano già i 150.000 uomini attorno al 10 novembre; - la po_polazione delle aree italiane liberate (attorno ai 500.000 abitanti) era in condizioni di estrema penuria di viveri ed aveva bisogno di immediate forniture di vettovaglie essenziali;

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- le popolazioni alloglotte dell'Alto Adige e della Slovenia (circa 650.000 abitanti in totale) erano generalmente in condizioni migliori perché su di esse non era stata esercitata l'azione predatrice ad oltranza delle Autorità avversarie; tuttavia non erano in condizioni molto buone e l'avvio verso una sufficienza dei rifornimenti ed una normalizzazione dei traffici e delle attività avevano anche interesse ai fini del consolidamento della nostra immagine e, quindi, una valenza politica.

La situazione poi fu particolarmente difficile nei grandi centri urbani quali Trento, Bolzano, Udine, Gorizia e Trieste. In quest'ultima località, dove affluirono in pochi giorni dall'interno dell'Austria-Ungheria decine di migliaia di prigionieri italiani liberatisi, si ebbero punte di estrema difficoltà che poterono essere superate solo dopo il 25 novembre, dopoché fu provveduto ai rifornimenti di viveri sia via mare sia con trasporti da parte di dirigibili ed il concorso della Sussistenza del XIV Corpo d'Armata britannico, nonché con lo sgombero con ogni rriezzo, via mare e per via ordinaria, di forti aliquote dei medesimi. Lo scambio affannoso di messaggi e numerose testimonianze attestano la drammaticità di una situazione che andava spesso al di là delle possibilità di umano intervento ed era aggravata dallo stato di inedia degli uomini che affluivano presso le aree liberate nonché dalle condizioni del loro vestiario e dalla rigidità del clima nella stagione ormai avanzata. Ad indicare le difficoltà delle Intendenze va anche ricordato come la disponibilità di vettovaglie fosse, nel periodo, assai compressa anche nel paese inentre gli afflussi ai depositi delle Armate erano contenuti dalle difficoltà dei movimenti ferroviari per la diffusione della «spagnola» fra il personale delle ferrovie (ridotto del 40%). Le Intendenze poterono alimentare le Unità con trasporti automobilistici, che richiedevano cicli viaggio pari - in alcuni casi e per le unità più avanzate - a ben 4 giornate, assicurando per tale esigenza una consistente, maggiore disponibilità di automezzi. A tal fine vennero utilizzati sia gli autocarri in altri momenti ii:npiegati per i trasporti delle munizioni, sia autocarri recuperati da reparti ed enti le cui esigenze potevano essere contratte, particolarmente della difesa aerea. Una contrazione delle esigenze fu anche assicurata riportando verso le zone di i:,ianura e più arretrate molte unità: sia quelle destinate a costituire le Armate di riserva sia quelle di meno utile impiego nelle zone avanzate, soprattutto di artiglieria. Particolare difficoltà fu rappresentata dal rifornimento foraggi per i numerosi cavalli e muli allora in dotazione. Le Divisioni di Cavalleria furono presto ritirate in piano; parte di esse venne poi avviata nell'area della 3 a Armata per l'impiego nelle zone interne; infine, esse furono trasferite verso il territorio sia per facilitarne il rifornimento sia al fine di migliorare


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le possibilità di intervento per eventuali esigenze di ordine pubblico. Simile avviamento verso il piano e località meglio rifornibili fu attuato anche per i reggimenti di artiglieria da campagna, allora ippotrainati, mentre le Divisioni di fanteria in zone alpine ricevettero in assegnazione gruppi di artiglieria someggiata. Analoghe difficoltà si avevano nei riguardi del rifornimento del vestiario, e delle calzature (Doc. n. 657): sia per la penuria di disponibilità, sia per la distanza dai depositi delle unità, ora in buona parte dislocate in nuove località di montagna. D'altra parte la fine delle ostilità non riduceva le esigenze che trovavano anzi molti fattori di incremento; fra gli altri: - la necessità di migliorare, per ovvi motivi, le condizioni di ~quipaggiamento degli uomini nelle aree liberate ed·occupate'oltre i vecchi confini; - l'esigenza di rimettere in efficienza le Grandi Unità destinate eventualmente ad operare oltre la frontiera alpina, per le quali µna situazione di fine novembre segnalava la necessità di avere 2 milioni di serie complete di vestiario invernale; · - la fornitura di vestiario ai prigionieri italiani liberati. Nei riguardi di questi-ultimi vale la pena di ricordare come pervenissero alle Autorità di Governo numerose rimostranze per le condizioni penose nelle quali essi ancora venivano fatti affluire ai centri di raccolta ·e poi trasferiti ai centri appositi costituiti a Piacenza (Gossolengo), Mirandola, Conselve e Castelfranco Emilia. Come già riferito, il Presidente Orlando richiedeva provvedimenti in merito; peraltro una vivace comunicazione d'ell'Intendenza Generale opponeva l'impossibilità di cambiare la proceduta seguita e riconosceva l'entità dello sforzo-già sostenuto a favore di talè personale.

6 . .Servizio Recuperi

Un particolare sviluppo ebbe in questo periodo il Servizio Recuperi che impegnò prevalentemente il Servizio Artiglieria. Nella zona delle operazioni ed in tutto il territorio che andava praticamente dal Mincio all'Isonzo dove le opposte Armate avev;mo vissuto e combattuto, alla fine della guerra vi erano abbandonati armi, munizioni e materiali di ogni genere impiegati nella costruzione delle posiziqni difensive e per il ricqvero del personale. Le Autorità militari ed anche quelle gov\!rnative sollecitavano un pronto recupero di tali materiali in vista di molteplici obiettivi: - acqtlisire armi, e particolarmente ottime artiglierie possibilmente complete in ogni loro parte, che negli anni successivi saranno introdotte in servizio nel nostro Esercito;

Gli interventi logistici

1099

- impedire che armi e munizioni potessero essere sottratte dai singoli per proprio uso o per farne commercio; · - garantire la sicurezza con il disarmo di mine e di interruzioni predisposte~ raccogliendo nei luoghi opportuni grandi quantitativi di munizioni abbandonate, con particolare riguardo a quelle con caricamenti speciali; - provvedere al recupero di materiali di grande interesse per la nostra economia quali: ferro, rame, legname: Per questa esigenza vennero diramate particolari direttive (Doc. n. 658): i Co_rpi.d,' Armata, nelle rispettive zone di dislocazione, e le Intendenze d' Armata costituiroqo «centri di raccolta» ai quali i reparti dipendenti e unità formate da prigionieri di guerra (centurie) effettuavaQ.O i versamenti di quanto raccolto. Da q,uesti .centri i mate_riali veniv~no avviati a «Depositi principali d'Armata» distinti per specie di materiale; .quivi erano esaminati dal personale tecnico delle Commissioni Ricupero d'Armata ed avviati, a seconda del loro stato, a Depositi di Artiglieria, Genio o di altrÒ gener.e dell'Intendenza Generale oppure avviati a Centri Ricupero Rottami nelle retrovie. Un aspetto particolare fu rappresentato dal ricupero del numero ingente di equini e del materiale di salmeria abbandonato dal n~mico in fuga. Si trattava di bestie spesso malnutrite ma che era utile salvare ed acquisire; spesso, poi, esse erano state arbitraria.IIJ.ente trattenute dalle popQl~ioni sulle vie di ripiegamento dell'avversarjo. Venne ritenuto opportuno effettuare un recupero di tale bestiame; peraltro l;mona parte' di esso fu lasciato poi in consegna ai contadini che dimostravano la necessità di impiegarlo e la volontà .d i ben mantenerlo; mentre altra partè, non recuperabile, fu venduta. È da dire che, nonostante le prescrizioni intese al maggior -controllo della entità e qualità dei recuperi effettuati esso poté essere esercitato con successo sòlo nei'riguardi delle artiglierie di maggior· pregio, per il recupero integrale delle quali il Comando Supremo ebbe a diramare specifiche raccomandazioni. Nei riguardi del controllo e della vendita dei rimanenti materiali non mancarono episodi di malcostume, probabilmente anche in relazione alla scarsa idoneità dell'organizzazione ad affrontare con buona utilità la vendita dei suddetti materiali, che peraltro soddisfece le esigenze di rifornimenti del Paese in un momento di grosse difficoltà valutarie. L'organizzazione impegnò per un certo tempo personale e trasporti, _mentre gli introiti derivatine risultarono piuttosto esigui. Numerosi, infine, gli interventi dell'Ufficio S,ervizi e dell'Ufficio Tecnico del Comando Supremo per attivare il recupero dei materiali nella Zona di Guerra, in particolar modo delle artiglierie e delle munizioni a caricamento esplosivo ·e speciale, la cui diffusione ·non mancava di provocare


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Schizzo 49 - La ricostruzione nei territori liberati: personale impiegato dal Comando Generale del Genio


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L'Esercito Italiano nella Grande Guerra

già numerosi incidenti. Alcune notizie relative ai materiali recuperati in Allegato n. 659. 7. Il vasto impegno del Servizio Lavori Genio (Schizzi n. 49 e 50)

Ancora nel corso della battaglia il Comando Generale del Genio avvertiva l'imponenza delle esigenze di lavoro che sarebbero state conseguenti all'avanzata. In data 29 ottobre, con il foglio 31500 (Doc. n. 660) venivano date disposizioni perché le Armate si facessero seguire dai propri personale e mezzi, mentre il Comando Generale del Genio assumeva in proprio, attraverso le Direzioni di Zona, la competenza dei lavori in corso di esecuzione sulla fronte fino allora occupata. Venivano, inoltre, costituite unità speciali che dovevano provvedere tempestivamente ad assicurare il rifornimento idrico a favore delle truppe e delle popolazioni nelle aree liberate; mentre il Comando Supremo sollecitava ripetutamente tutti i Comandi perché fosse devoluto il maggior impegno possibile ad un pronto ripristino delle comunicazioni stradali e ferroviarie . I maggiori impegni del Servizio Lavori Genio, che dovette affrontare grosse difficoltà di personale e di mezzi, furono rivolti: - alla ricostruzione dei maggiori passaggi sul Piave e su altri fiumi dell'area Veneto-Friulana; - alla riattivazione della viabilità stradale e ferroviaria; - alla riparazione delle opere pubbliche ed, in particolar modo, degli argini dei fiumi del Veneto e degli impianti di bonifica dei territori lagunari. Nei riguardi della sistemazione dei passaggi sul Piave, occorre considerare che i ponti esistenti nei primi giorni di novembre erano stati realizzati con materiali di equipaggio e costruiti piuttosto affrettatament~ nel corso delle operazioni di forzamento. Vennero, in un primo tempo , attuati il loro consolidamento e rafforzamento e la sistemazione degli accessi secondo proposte -del Comando Generale del Genio, inoltrate il 5 novembre ed approvate il successivo giorno 8. In particolare, era previsto di recuperare personale e materiale, resosi esuberante, a favore della ricostruzione di ponti su altri corsi d'acqua e di mantenere, rafforzandoli: un ponte a Fener, per la 12 a Armata; due ponti a Vidor e due alla Priula, per la 8 a Armata; due ponti alle Grave, per la 10a Armata; due ponti a Ponti di Pieve e due a S. Donà, per la 3 a Armata. Intanto, !'«Ufficio Ricostruzione Ponti» di Treviso, affidato - come è noto - al Magg. Gen. Luigi Maglietta, lavorava attivamente per la rico-


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Schizzo 50 - La ricostruzione nei territori liberati: mezzi impiegati dal Comando Generale del Genio

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Gli interventi logistici

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struzione dei ponti fissi sul Piave, idonei a garantire il passaggio anche in caso di piena, mentre le Armate provvedevano a riattare i ponti sui corsi d'acqua ad oriente del Piave. In una situazione presentata a fine novembre, veniva assicurato di poter garantire, in una quarantina di giorni, e cioè entro la prima metà del gennaio 1919, la riattivazione di tutte le arterie stradali del Veneto. L'intensità dei trasporti oltre Piave imponeva, oltre la sistemazione dei ponti di equipaggio sul fiume, anche la conservazione ed anzi l'aumento delle teleferiche costruite a cavallo del corso d'acq1:1a: sia per sussidiare le possibilità di rifornimento, sia per garantirlo in caso di piene rovinose che potessero travolgere i primitivi ponti di equipaggio. In data 6 novembre il Comando Generale del Genio presentava una carta con l'indicazione delle teleferiche in·esercizio e di quelle ulteriormente proposte per questa esigenza. In data 9 novembre, poi, in relazione al nuovo schieramento delle Armate, veniva proposta una nuova distribuzione dei reparti del genio teleferisti, da·ordinarsi secondo le esigenze proprie delle medesime. In tempi successivi la competenza dell' «Ufficio Ricostruzione Ponti» fu estesa al riattamento dei maggiori ponti sul Brenta (Cismon), Tagliamento, Iudrio ed Isonzo. Così, mentre la 1a Armata provvedeva in proprio ai lavori dei ponti in Val Lagarina ed in Val Sugana, l'«Ufficio Ricostruzione Ponti», che disponeva di 10 battaglioni Genio e di ingente personale civile, provvedeva al ripristino di numerosi ponti in tutto il Veneto; in particolare: - n.'2 ponti di nuova costruzione sul Brenta in zona di Solagna e di • Campese; - n. 1 ponte sul Cismon al Ponte della Serra; - n. 5 p~nti s·ul Piave a: ' Fener, Vidor, Priula, S. Donà (stradale e ferroviario); n. 3 ponti ferroviari sulla Livenza a: Sacile, Motta, Tezze; - n. 2 ponti sul Meduna a: Pordenone (stradale e ferroviario); - n. 12 ponti sul Tagliame~to a: Tolmezzo, Stazione per la Carnia, Tresaghis, Pinzano (due), Bonzicco, Ponte della Delizia (due stradali ed uno ferroviario), Latisana (due stradali ed uno ferroviario); - n. 2 ponti sullo Iudrio a nord di Cormons; - n. 15 ponti sull'Isonzo a: Canale, Plava, Salcano, Gorizia (due stradali ed uno ferroviario), Mainizza, Sagrado, Cossegliano, Villa Vicentina (due stradali ed uno ferroviario), S. Valentino, Coluzza. Rilevante, poi, l'impegno per il riattamento delle comunicazioni stradali e ferroviarie, raccomandato vivacemente dal Comando Supremo con suoi messaggi del 31 ottobre· e 1° novembre. In relazione allo stato deplorevole della viabilità stradale nelle zone eva-


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L'Esercito Italiano nella Grande Guerra

cuate dal nemico ed alla indisponibilità locale di ghiaia, il 5 novembre, il Comando Generale del Genio richiedeva rinforzi di mezzi di trasporto (del~ l'ordine di centinaia di automezzi), di unità del Genio, di civili e di 50.000 prigionieri. Ma, il Comando Supremo, in data 6 novembre, comunicava l'impossibilità di assegnare automezzi per «gli urgenti bisogni per i rifornimenti che hanno tutte le Armate in conseguenza della lunghezza venutasi a creare nelle linee di operazioni senza che ancora possano funzionare le ferrovie»; anche circa le forze di lavoro non si potevano sottrarr~ unità del Genio alle Armate e si dovevano impiegare i prigionieri già in loco od altri da assegnare (Doc. n. 661 e n. 662). Nuove proposte venivano inviate il 7 novembre dal Comandante Generale del Genio anche per la sistemazione degli argini fluv.iali; infine il Comando Supremo dava direttive in data 18 novembre affidando al Comando Generale del Genio funzioni di coordinamento ed indicando le arterie stradali di interesse prioritario (Doc. n. 663). Come risulta chiaramente da tutta la documentazione esistente, un interesse prioritario, sia ai fini delle esigenze militari sia per una ripresa delle attività civili, era attribuito al ripristino d~lle comunicazioni ferroviarie, i cui lavori erano stati affidati: alla 1a Armata, per quelli in Val Lagarina ed in Val Sugana; alla Direzione Trasporti, per quelli nella Pianura Veneta. I primi, superando notevoli difficoltà, procedevano alacremente sì che il traffico ferroviario poteva essere ripreso in Val Lagarina il 17 novembre, ed in Val Sugana il 16 dicembre, dando luogo ad un particolare compiacimento dell'Armata e del Comando Supremo alle compagnie Genio Ferrovieri che vi erano state impegnate (2a, 4a, 6a, 7a e 14a) (Doc. n. 664). Nella Pianura Veneta il ripristino del traffico ferroviario sulla Treviso-ConeglianoCasarsa-Portogruaro-Cervignano-Trieste poteva avvenire attorno al 25 novembre; per le distruzioni dei ponti della Delizia e la avvenuta distruzione dei ponti di Latisana il traffico avveniva quindi utilizzando per un primo tratto la Venezia-Udine e per un secondo tratto la Venezia-Trieste, passando dall'una all'a_ltra linea avvalendosi dell'arroccamento Casarsa-Portogruaro. Un'altra grossa esigenza di lavori era rappresentata dalla ricostruzione urgente delle arginature dei fiumi del Veneto, date la caratteristica pericolosità delle loro piene, .e del sistema di idrovore e canali di bonifica della cimosa lagunare dell'Alto Adriatico. Le condizioni di queste opere in tutta l'area erano veramente disastrose, ed i lavori necessari si presentavano rilevanti ed urgenti. Essi vennero affrontati con larghezza di vedute ed impegnarono notevole numero di uomini e mezzi. Di essi hanno riferito ampiamente, a suo tempo, pregevoli pubblicazioni del Comando Supremo dell'Esercito: L'Esercito per la rinascita delle terre liberate: Il ripristino della viabilità - Ponti e Strade (novembre 1918 -

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giugno 1919), Bologna - dicembre 1919; Il ripristino delle arginature dei fiumi del Veneto dalla Piave al Tagliamento (dicembre 1918-aprile 1919). Ne trattò diffusamente anche una grossa opera del Commissariato per le riparazioni dei danni di guerra «Le ricostruzioni nelle terre liberate», edito dalla Libreria dello Stato nel 1924. In questa sede ci si limita a ricordare che, come appare dagli schizzi n. 49 e 50, fu veramente cospicua l'entità degli uomini impiegati, che era già di 100.000 circa a fine 1918 e doveva ulteriormente accrescersi fino ad oltre 200.000 nei mesi successivi, affian~ando ad una media di 35.000 uomini del Genio: uomini di altre Armi, prigionieri ed operai borghesi. Rilevanti i mezzi impiegati, dagli autocarri ai carri, dalle teleferiche ai quadrupedi. La estensione delle aree interessate dai lavori e l'entità del personale e dei mezzi da impiegare_impegnarono notevolmente gli organi di Comando operativo oltre quelli di competenza specifica. Prevedendo l'utilizzazione su larga scala anche dei prigionieri, con la circ. 34800 del 4 dicembre venivano date disposizioni per gli interventi, da concentrarsi sul ripristino di strade, ponti, opere idrauliche e sulla fornitura di infissi agli edifici che pqtessero così rendersi abitabili. Numerosi gli interventi del Comando Supremo effettuati per sollecitare le Armate a fornire i mezzi di trasporto necessari per il ripristino della viabilità. Peraltro, esso ritenne, ad un certo punto, di dover intervenire perché il Genio Militare non assumesse impegni per lavori di grande entità e durata richiedenti un complesso di provvedimenti di Governo che competevano esclusivamente all'Autorità Centrale (Doc. n. 665). Il Comando Generale del Genio aveva, infatti, proposto e discusso direttamente con il Ministro dei Lavori Pubblici un progetto in base al quale tutti gli interventi venivano affidati all'Arma del Genio ed in particolare alle Direzioni e Uffici Lavori delle Armate che si sarebbero avvalsi delle proprie unità, nonché delle formazioni di operai civili assunti dal Genio. Veniva anche previsto che il Genio avrebbe potuto trattenere alle armi quei militari congedandi che non avessero potuto dimostrare di avere immediatamente una occupazione all' atto del ritorno alla vita civile. Ma il Comando Supremo interveniva perché fossero limitati i compiti e gli oneri assunti per interventi che erano di spettanza di altri Ministeri, e che fosse previsto solo un «concorso» dell'Arma del Genio. Ciò per non vincolare organi ed unità ad attività non di competenza privandone l'organizzazione delle Grandi Unità dell'Esercito, in un momento in cui la disponibilità di personale sarebbe andata diminuendo per effetto della smobilitazione. Oltre alle attività di maggior rilievo, altre di non minore rilevanza era-


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L'Esercito Italiano nella Grande Guerra

no costituite dal disarmo delle interruzioni predisposte, dalla rimozione di reticolati e di altre opere per consentire la ripresa dei lavori agricoli, già permessi con foglio del 12-XI-1918, dalla sistemazione di opere di difesa che si riteneva opportuno mantenere, dagli aiuti alla ricostruzione dei paesi fortemente danneggiati specie per: edifici di interesse pubblico (scuole, acquedotti, ospedali, municìpi); porte ed infissi di edifici privati, nonché per il risanamento del campo di battaglia, l'approntamento di cimiteri, la costruzione di baracche', ecc .. Costituivano infatti problemi non indifferenti quello di garantire il ri'Covero di truppe nelle località di nuova dislocazione delle unità in zone montane in antecedenza ìnai pres'i diate, e quello di assicurare loro sufficiente autonomia nel caso di interruzione delle comunicazioni per neve, valanghe, piene di corsi d'acqua durante fa imminente stagione invernale. In effetti, già verso la metà del mese di dicembre ebbero luogo forti innevamenti nell'Istria orientale, mentre nei primi giorni del gennaio 1919 si verificarono grosse precipitazioni, piene e valanghe, che ebbero a travolgere qualche ponte e resero difficili e precarie per qualche tempo le comunicazioni in tutta l'area veneta ed alpina. Il significato e l'importanza di tuttì questi lavori ai fini della possibilità di vita nell'area sono efficacemente documentati dal fatto che di essi veniva fatta menzione nei comunicati giornalieri così come, in antecedenza; degli avvenimenti operativi. 8. Trasporti Si è più volte sottolineato èome le situazioni critiche fossero provocate d alle difficoltà dei trasporti a fronteggiare la mole di rifornimenti a forti distanze e attraverso zone di difficile transito. Il primo problema, venne rappresentato dal ritardo con cui fu possibile ripristinare la circolazione ferroviaria, per la quale il Comando Supremo già in data 5 'novembre sollecitava a tutti la fornitura di massimi concorsi di personale e di mezzi alla Direzione Trasporti. Attraverso sforzi consistenti era possibile riaprire al traffico ferroviario: 0

il 1'9 novembre, la ferrovia Verona-Trento; il 16 dicembre, la ferrovia della Val Sugana; il 20 novembre, il ponte ferroviario della Priula sul Piave riattivando, per Casarsa-Portogruaro-Latisana, le comunicazioni fra Venezia ed Udine-Trieste.

Per molteplici motivi, peraltro, il traffico trovava difficoltà a normalizzarsi nei collegamenti oltre la vecchia linea di confine, mentre risultava

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eccessivo l'aumento delle percorrenze e dell'area servita di fronte ad una disponibilità insufficiente di locomotive e materiale rotabile ed, infine, ad una crisi dei rifornimènti di carbone per le difficoltà finanziarie' del paese e l'arresto delle forniture in conto bellico da parte britannica. Le insufficienze dei trasporti ferroviari, che incidevano anche sui congedamenti (provocandone la diluizione nel tempo) e sulla ripresa di tutte le attività, spingevano ad un ricorso massiccio ai trasporti automobilistici, particolarmente in tutta la Zona di' Guerra. Ma, a loro volta; questi erano posti in crisi dall'allungamento delle tappe e da ùn eccesso di prestazioni in condizioni poco propizie; in merito abbiamo una segnalazioné della 4a Armata che, a fine dicembre, lamenta come il 50% degli automezzi fosse abbisognevole di riparazioni e non impiegabile (Doc. n. 666). In linea di massima, peraltro, la situazione dei trasporti, attraverso molteplici interventi~ verso la fine di dicembre tendeva a migliorare alquanto permettendo un certo incremento dei movimenti di persone e cose. Il complesso delle difficoltà del Servizio Trasporti testimoniava anche come fossero sostanzialmente giuste le richieste avanzate dal nostro Comando Supremo di prestiti di autocarri presentati a suo tempo al Mar. Foch e non soddisfatte. Anzi avveniva che, ancora nel novembre, la Francia cerèasse di assicurarsi forti aliquote della produzione di autocarri della FIAT che questa non riusciva soddisfare per insufficienti assegnazioni di materie prime. Il Comando Supremo doveva intervenire per assicurare l'intera produzione FIAT al soddisfacimento delle nostre esigenze (Doc. n. 667).


Conclusione della Relazione CAPITOLO

XXIV

A CONCLUSIONE DELLA RELAZIONE ALCUNE CONSIDERAZIONI E QUALCHE AMMAESTRAMENTO

1. Premessa

Questo Volume conclude la Relazione Ufficiale dell'Ufficio Storico dello Stato Maggiore su «L'Esercito Italiano nella Grande Guerra (1915-1918)», che ebbe ad aprirsi, a suo tempo, con un'ampia presentazione dei precedenti storici, della situazione dell'Esercito Italiano negli anni antecedenti la guerra e della sua mobilitazione. Concludendosi oggi la Relazione, avrebbe potuto apparire conveniente una trattazione estesa fino al rientro nella piena normalità ed allo stato di pace, al termine della smobilitazione. _E però questa, nella situazione politica interna ed internazionale che ebbe a verificarsi in Italia al termine della I Guerra Mondiale, finì per protrarsi alquanto e per assumere aspetti molto particolari. L'attività operativa, benché allora fosse venuta a ridursi rapidamente, rimase comunque connessa con una situazione di pronta disponibilità in vista di una improbabile ripresa della guerra contro la Germania e di una difficile situazione internazionale per la tensione in Adriatico, nelle Colonie, ed - infine - per i problemi interni e nelle Colonie. Sicché la Nazione e l'Esercito continuarono ad essere impegnati nella soluzione di situazioni difficili e complesse, che, pur avendo origine negli avvenimenti della guerra 1915-18, ebbero a costituire un capitolo del tutto nuovo e distinto che trovò conclusioni del tutto insospettate ed insospettabili alla fine del 1918. L'Esercito, infatti, doveva trovare un assestamento stabile solo nell'«ordinamento Diaz-Mussolini» nel 1925 dopo tempi prolungati di transizione, sui quali l'Ufficio Storico ha già dato ampi particolari nelle sue pubblicazioni: - «L'Esercito Italiano tra la 1a e la 2a Guerra Mondiale» Roma, 1954; - «L'Esercito Italiano nel primo dopoguerra 1918-1920», Roma, 1980. Viene, quindi, considerato opportuno concludere la Relazione con le attività dell'Esercito immediatamente successive al termine delle operazioni combattute sul nostro fronte, fino all'apertura della Conferenza della Pace a Versailles, il 18 gennaio 1919. Sebbene non vi fossero più vere e proprie operazioni di guerra la estensione al periodo successivo al 4 novembre 1918 fino al gennaio 1919 appare giustificata dalla particolare ampiezza e natura dei compiti che l'Esercito fu chiamato ad assolvere in quei mesi, in condizioni eccezionalmente difficili, e dall'interesse che può essere attribuito alla documentazione relativa a questo primo periodo di confronto con i problemi del dopoguerra, del tutto inedita.

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Sembra opportuna unà ulteriore premessa circa il carattere di quest'ultima parte della Relazione Ufficiale sulla nostra Guerra 1915-18. II Capo di Stato Maggiore Generale Pietro Badoglio, nella sua Prefazione al I Volume della pubblicazione, nel 1927, specificava: «L'Ufficio Storico, dopo aver vagliato con il più coscienzioso rigore tutti i documenti, si limita qui a narrare i fatti ... Narra, dicemmo, e non commenta». Invero i primi volumi della Relazione ebbero carattere piuttosto asciutto e cronachistico, teso a riferire essenzialmente sulla situazione ordinativa e sulle attività operative compiute; mancò spesso la presentazione delle reali motivazioni e dei fattori che condizionarono quelle operazioni. Così il primo volume, pur con la sua ampia ed accurata presentazione delle forze belligeranti, dei loro ordinamenti ed armamenti, in re_altà non fornisce una risposta esauriente al quesito di quanto il nostro Esercito fosse pronto a sostenere un eventuale conflitto alla fine del luglio 1914, all'inizio della guerra europea, né quale fosse la sua effettiva situazione nei confronti di quello austro-ungarico nel maggio 1915. I volumi successivi II e III, relativi agli anni 1915 e 1916, furono quasi esclusivamente dedicati alla esposizione delle operazioni condotte in quegli anni dalle nostre Unità, fornendo una ampia documentazione degli ordini dati, del contrasto opposto dal nostro avversario, dei risultati conseguiti. In questa pubblicazione mancava un inquadramento circa il quadro generale politico ed economico, nazionale ed interalleato, nonché le notizie circa gli accordi con gli Alleati che furono spesso alla base delle nostre iniziative. Solo nel volume relativo alla prima parte del 1917 (voi. IV Tomo 1°), pubblicato nel 1940, veniva dato ampio sviluppo, oltre alle operazioni della 10a battaglia dell'Isonzo: sia agli ingenti sforzi che il Paese e l'Esercito avevano compiuto per ampliare la di. sponibilità di unità e di mezzi; sia al quadro generale degli accordi di carattere militare intervenuti con gli Alleati in incontri, conferenze, convegni in Italia ed all'estero. II conflitto, non risolto ancora sul piano militare, assumeva, infatti, sempre più i caratteri complessi di guerra fra contrapposte coalizioni, in cui gli aspetti politici ed economici acquisivano un peso rilevante, influenzando le possibilità militari e le decisioni conseguenti. Infine i volumi IV - Tomo 2° e 3°, relativi alle operazioni della seconda parte del 1917, e quello V - Tomo 1° sulle operazioni del primo semestre del 1918, (pubblicati solo nel secondo dopoguerra, rispettivamente negli anni 1954, 1967, 1980) davano sempre maggiore spazio al quadro generale, nazionale ed interalleato, entro il quale si sviluppavano le operazioni. Ciò: sia per la possibilità di disporre su tali aspetti di una maggiore documentazione; sia per il peso sempre crescente da essi assunto. Questo carattere di maggiore attenzione ai fattori determinanti delle decisioni e ad una visione più critica delle operazioni e dei loro risultati è


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stato necessariamente ancora più accentuato in questo ultimo volume della Relazione, considerando il maggior tempo trascorso dagli avvenimenti. D'altra parte, nelle pubblicazioni più recenti non sarebbe stato possibile non tener conto, oltre che della documentazione in possesso dell'ufficio, di quanto su quei fatti ormai piuttosto lontani è stato da molteplici attori rivelato o dagli storici commentato. Si è quindi ritenuto opportuno dare a quest'ultima pubblicazione un carattere meno cronachistico per evidenziare cause effettive, difficoltà e momenti critici, situazioni e risultati, quali possono apparire ad una visione più lontana degli avvenimenti e più obiettiva. Ciò, anche per dare un giusto ed equilibrato riconoscimento, non disgiunto però da sereno giudizio, a Uomini ed Unità che compirono allora tutto il loro dovere nel modo che ritennero migliore e più rispondente al bene del Paese. Come precisava il Gen. Badoglio, la Relazione intendeva: «innanzitutto sciogliere un debito verso l'Intera Nazione offrendole la dimostrazione più evidente del valore spiegato e del sacrificio compiuto dai suoi figli» . Il tempo trascorso ed i fatti èmersi non hanno per nulla diminuito quel debito né fatto scordare quel sacrificio, dal cui ricordo gli Italiani di oggi possono ancora trarre monito ed auspicio. La Relazione ha fornito, di ogni periodo, larga messe di informazioni, di dati e di documenti circa le attività svolte per il potenziamento dell'Esercito e per la condotta delle operazioni. È indubbio, peraltro, che molteplici aspetti delle attività allora svolte meriterebbero ulteriore attenzione e potrebbero essere considerate a fondo attraverso l'esame di una documentazione imponente disponibile negli archivi dell'Ufficio Storico dell;Esercito e tuttora inesplorata. Sicché la presente Relazione potrà essere arricchita da studi a carattere monografico: sia nei riguardi delle attività relative al personale sia nel campo di quelle ordinative, informative, addestrative e logistiche. Le questioni relative agli esoneri di Comandanti, al governo del personale, all'impiego e addestramento degli uomini, all'organizzazione dei Servizi Informativi, delle Intendenze, delle Retrovie, alla mobilitazione degli animi, ai problemi sanitari, alla sorte ed al comportamento dei prigionieri, e molte altre ancora, attendono di essere approfondite ed esaminate in modo esauriente, non con intendimenti polemici e critici ma considerandole dal punto di vista dell'interesse generale, del peso assunto nei riguardi della efficienza dell'Esercito, delle decisioni del Comando e della condotta delle operazioni. In questa conclusione della Relazione, ci si intende limitare a: riconsiderare, alla luce di una visione ·più vicina e della documentazione oggi disponibile, alcuni degli avvenimenti più importanti della nostra guerra; metterne :;t fuoco - quando possibile - gli aspetti fondamentali; infine, esprimere alcune considerazioni di qualche interesse storico e professionale.

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2. La I Guerra Mondiale per l'Europa e per il Mondo; una guerra moderna

Oggi è diffuso il giudizio critico sulla I Guerra Mondiale, «la Grande Guerra», considerata un fatto storico di immensa gravità che portò a perdite umane spropositate (oltre 10 milioni di uomini) e la cui conseguenza fu la fine di una certa Europa e di una certa epoca. Indubbiamente, infatti, essa significò la conclusione di un'età in cui il Continente europeo, i suoi popoli e le loro culture ed economie avevano un assoluto predominio. La contrapposizione acerba fra le maggiori Potenze del Vecchio Continente aveva posto fine a quella che fu chiamata «la Belle Époque» e, in una Europa prostrata dalla guerra e per le sue ripercussioni, si innescarono i totalitarismi ed il nuovo conflitto 1939-45, con le sue rinnovate tragedie. Ad un tempo si ebbe il fallimento della politica di equilibrio tra coalizioni contrapposte, che era stata al fondo della strategia bismarckiana e della formazione della Triplice Alleanza e dell'Intesa, e quello di un tentativo di predominio assoluto di una singola Potenza, già fallito con la Spagna di Carlo V e la Francia di Luigi XIV e di Napoleone. Ciò che più impressiona è il fatto che la maggior parte degli uomini politici e militari del tempo, anzi la quasi totalità, venne a trovarcisi impegnata senza averne preventivamente valutate compiutamente la gravità e l' onere. Si può dire, a tale riguardo, che fossero più avvertite proprio le maggiori Autorità italiane che' paventavano le alee ed il costo di un conflitto. Naturalmente, una volta che gli si era dato inizio, tutti i contendenti non potevano che cercare di evitare la sconfitta e finivano per impegnare fino all'estremo limite ogni propria risorsa umana ed economica. Ma le condizioni di relativo equilibrio esistenti fra le contrapposte forze europee le rendevano incapaci di pervenire ad una rapida decisione e portavano a far entrare nel conflitto forze esterne quali quelle degli Stati Uniti e del Giappone, mentre in un grande Paese quale la Russia si sviluppavano forze rivoluzionarie, che ne avrebbero sconvolto lè 'istituzioni e si sarebbero poste alla testa di ogni sovversione delle Società del vecchio mondo. Le cause effettive o remote della guerra sono state riconosciute nei contrapposti imperialismi ideologici, politici ed economici; quelle prossime nella esasperata ricerca della sicurezza che faceva preferire una guerra in quel momento piuttosto che in situazioni future ritenute peggiori, nonché nelle errate valutazioni del probabile comportamento degli Stati antagonisti. Nel corso della guerra, divenuta assai diversa da quanto unanimemente preventivato, gli obiettivi e le motivazioni del conflitto venivano a confondersi alquanto; da ambe le parti la saggezza politica finì per essere oscurata dalle tensioni originate dai caratteri assunti dalla guerra, mentre le difficoltà e gli adattamenti necessari nel quadro delle coalizioni finivano per


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renderne condotta e risultati scarsamente rispondenti ai «desiderata» dei vari Paesi. In pratica l'esito della guerra darà luogo ad una pace dura ed incerta, e ad una situazione internazionale ben lontana da quella anteriore al conflitto. È stato detto che ogni guerra è espressione di uno squilibrio anteriore e porta ad una pace che segna un nuovo equilibrio più duraturo. Se la prima affermazione può trovare qualche rispondenza nei fatti che'"portarono al suo inizio, non così fu riguardo al suo esito; la pace di Versailles non costituì la premessa di un equilibrio durevole ed, anzi, pose le premesse del conflitto successivo che la crisi economica degli anni trenta doveva portare a maturazione. La lotta, per la sua lunghezza ed i suoi caratteri, assunse la forma di una guerra fra Nazioni e non più fra Eserciti, portando a più alti livelli le esperienze piuttosto trascurate della guerra civile americana e della guerra russo-giapponese. Durante il conflitto tutte le energie erano impegnate nel potenziamento delle Forze Armate in uomini e mezzi sicché, rispetto alla guerra condotta sul campo dagli Eserciti, assunsero peso non inferiore lo sviluppo scientifico-tecnologico e la \otta finanziaria ed economica. E mentre gli Eserciti dovevano curare assai più che nel passato la logistica «di distribuzione», cioè la organizzazione di Intendenza e dei Servizi di Campagna, l'esito della lotta veniva in ultima analisi deciso in buona misura dalla logistica «di approvvigionamento». La coalizione dell'Intesa, con la sua politica di blocco ed assicurando - seppure con una certa fatica la difesa del traffico marittimo dalla minaccia sottomarina avversaria, consentì di strozzare la vita interna della coalizione nemica e di portare gradatamente le proprie forze a condizioni di netta superiorità su tutti .i fro11ti, nonostante le indubbie maggiori capacità militari della coalizione degli Imperi Centrali. Da questa guerra avrebbero dovuto derivare alcuni ammaestramenti _ che pure non tutti intesero appieno nel periodo successivo. In primo luogo risultò sfatata l'illusione di poter limitare un conflitto coinvolgente interessi ed obiettivi primari delle maggiori Potenze e di poter risolverlo con guerre corte. Le Nazioni hanno rivelato di essere capaci di grandi sforzi e di grandi sacrifici quando hanno identificato nella lotta esigenze primarie di tutela della propria esistenza e dei propri interessi. Per inciso, dobbiamo anche dire che, sotto tale riguardo, assume grande peso e validità il dettato della nostra Costituzione del 1947, che contempla esclusivamente la possibilità di guerre difensive, in quanto la coscienza di non aver partecipato in alcun modo alla provocazione del conflitto e l'appello al natwrale spirito di tutela della Patria costituiscono un fattore fondamentale di coesi9ne morale dei cittadini e dei soldati di qualsiasi Paese. È ovvio, infatti, che, pur se un'ampia disponibilità di mezzi risulta necessaria per condurla con successo, la guerra rimane sempre fondata sul fattore uo-

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mo, essendo essenzialmente provocata dal contrasto fra una società che persegue certi obiettivi ed un'altra che non intende accettare quella imposizione. La I Guerra Mondiale evidenziò che in un conflitto vi sono sempre successi ed insuccessi, ed anche i primi hanno il loro corrispettivo di costi e sacrifici, sicché la tutela del morale dei soldati e dei cittadini costituisce un fattore determinante della resistenza nazionale, mentre la consapevolezza e la motivazione dei suoi uomini sono alla base della efficienza di un Esercito. Un altro ammaestramento che può essere tratto è che il mantenimento della pace nella sicurezza richiede una politica attiva ed avveduta. In una vita politica ed economica internazionale soggetta a naturali evoluzioni e competizioni, la pace può essere garantita solo da un equilibrio, che non consenta ad una parte di potere risolvere rapidamente e con vantaggio una contesa. Perché una tale condizione non abbia a verificarsi occorre impegno e consapevolezza da parte di Autorità politiche e militari nella adeguata preparazione del Paese e delle Forze Armate e nella azione diplomatica, intese ad evitare il conflitto; aspetti nei quali si ebbero assolutamente grosse mancanze negli anni anteriori alla I Guerra Mondiale e negli avvenimenti che addussero ad essa. Per quanto un Paese possa ricercare di evitare un conflitto, questo può essergli imposto dalle circostanze e dall'avversario; anche la carta delle Nazioni Unite riconosce il diritto ed il dovere di azioni di difesa da parte di un paese minacciato . Simile evento, come si è detto, può essere allontanato solo con una preparazione che non consenta alla controparte di ritenere di ,poter conseguire un facile successo. La preparazione deve inoltre tener conto che la guerra moderna non è solo contrasto_di Eserciti ma piuttosto di Nazioni. Il coinvolgimento di tutti i cittadini alle operazioni o nel Fronte Interno, le offese in profondità con le azioni aeree, le offensive ideologiche e politiche, le lotte economiche, fanno sì che il conflitto non risulti determinato solò dall'esito sul campo di battaglia, che - in effetti - costituisce solo l'espressione conclusiva di una superiorità complessiva di una società sull'altra. Gli avvenimenti della I Guerra Mondiale mostrano, poi, che difficilmente un conflitto può rimanere limitato al confronto fra due Paesi maggiori; e ciò non solo per violazioni o minacce o pressioni esercitate da una parte o dall'altra; ma anche per la preoccupazione che esso ingenera nei Paesi terzi circa la: possibile situazione politica ed economica che potrebbe risultare al termin~ del conflitto nel caso di una vittoria non gradita di una delle parti. Questa - del resto - fu, a nostro avviso, la motivazione fondamentale dell'intervento dell'Italia e di altri Paesi nel conflitto '14-' 18, e non solo l'obiettivo di annessioni territoriali o la tutela di altri interessi. Quindi, un grande conflitto moderno. tende a divenire una «guerra di coalizioni»,


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in ciascuna delle quali gli alleati, per diversa collocazione geografica e potenzialità economica e militare, tend0no - abbastanza naturalmente - ad avere anche obiettivi ed esigenze diversi. Sicché, ·se è un errore ritenere di poter condurre guerre esclusivamente «nazionali» o «parallele» poiché l'esito finale della guerra determina e condiziona il successo di ogni membro della coalizione, occorre anche che la politica e la strategia interalleata salvaguardino intelligentemente gli interessi primari dei membri della coalizione. Si tratta di una esigenza che deve essere sentita prioritariamente dalla o dalle Potenze «Ieaders» della coalizione, ma altresì dalle classi politiche e dalle opinioni pubbliche di tutti gli alleati. Sono necessarie, infatti, una azione politica intelligente, sensibile ed attiva ed una stretta coordinazione delle operazioni militari. Strategie politiche e militari di successo debbono pertanto basarsi su corrette valutazioni delle possibilità e degli intendimenti non solo propri ma anche degli alleati e degli avversari; uomini politici e militari di ogni Paese possono e debbono salvaguardare gli interessi nazionali, ma debbono saperlo fare con l'avvertenza di porli nel quadro generale. Un detto popolare proclama: «patti chiari, amicizia lunga»; ed indubbiamente un chiarimento tempestivo circa gli obiettivi, sforzi possibili, aiuti reciproci costituisce la condizione fondamentale di una condotta unitaria della guerra. Ma questa è anche il frutto delle capacità degli uomini cui è affidata di comprendersi e di collaborare. Sono necessarie attitudini ad una azione comune, la conoscenza delle lingue, la volontà di cooperazione, .la conoscenza e la comprensione delle altrui culture e aspirazioni nazionali, l'informata e corretta valutazione delle possibilità proprie nel quadro generale; occorre, insomma, che nei posti di Governo e dei maggiori Comandi nazionali ed interalleati siano posti gli uomini migliori, che posseggano in modo spiccato le doti anzidette, piuttosto che solamente quelle del carattere tenace e del valore personale e professionale, pur sempre necessari. Va riconosciuto che buona parte degli insuccessi della nostra azione politica e militare nel quadro dell'Intesa va attribuita anche a qualche insufficienza di tali attitudini in uomini politici e militari del tempo e ad un certo «provincialismo» della opinione pubblica italiana, che non seppe intendere ed agire con una più ampia visione delle esigenze e possibilità dell'ora. Escono dagli obiettivi di questa Relazione un esame ed una critica della strategia politica e della pQlitica militare del Governo italiano nel corso della guerra; non è, peraltro, possibile passare sotto silenzio il fatto che i limiti e le insufficienze delle classi politiche dirigenti e soprattutto gli scollamenti fra di esse finirono per ripercuotersi anche sulla condotta della azione militare e sulle possibilità operative, così come. ebbero poi a provocare la crisi postbellica. L'attenzione degli storici si è incentrata prevalentemente sulle questio-

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ni di politica estera ed interna; sulle prime, circa: la condotta di una politica oscillante ed incerta, nei riguardi sia dell'intervento sia del carattere di esso; la ricerca di una guerra autonoma del Salandra; i contrasti nelle azioni politiche dell'Orlando, del Sonnino, del Nitti e del Bissolati. In tempi più prossimi l'esame maggiormente critico si è invece rivolto alle insufficienze dell'azione politica interna, bene illustrate dal Melograni 1• Minore attenzione è stata data alle difficoltà incontrate dall'apparato statale nell'affrontare i compiti di ordine finanziario, economico e produttivo, nonché nell'assicurare una equa ripartizione degli oneri e dei sacrifici: difficoltà ed insufficienze nelle quali debbono riconoscersi molte delle cause della crisi postbellica. Interessa qui sottolineare come, soprattutto, sia risultata insufficiente l'azione di governo nel coordinamento delle attività dei vari Ministeri e quindi sia venuto a mancare una efficace convergenza fra la politica interna e quella estera, economica e militare, così come - del resto - anche fra Esercito e Marina. Non che vi fosse un deliberato disaccordo, ché - anzi - la collaborazione fra gli esponenti delle varie Amministrazioni dello Stato fu spesso spontanea e felice; ma mancavano: la continuità dei contatti, gli organi necessari, le procedure appropriate. Nei primi capitoli di questo Tomo abbiamo detto della trasformazione assunta dai caratteri del conflitto, divenuti così diversi dal preventivato. ~a guerra era divenuta lunga, onerosa, globale e totale; essa non era più solamente un fatto bellico. La classe dirigente italiana non ebbe tempestiva visione di tale trasformazione. Mentre, in ambito interalleato, l' azione politica dominante fu indubbiamente quella britannica e sul piano militare prevaleva la direzione francese, in Italia fu - in pratica - la guerra ad imporre i suoi caratteri. Una volta entrati nel conflitto, rivelandosi esso così diverso dal previsto, per le successive situazioni ed esigenze Governo ~ Nazione finirono per adeguarsi ad esso più che in qualche modo dirigerne e dominarne l'andamento. Comunque, pur con queste limitazioni, }!intero Paese ed i suoi uomini seppero essere all'altezia dell'ora ed esprimere sforzi anche superiori a quelli di altri Stati di più antica formazione e maggiori possibilità, ben superiori a quanto stimato da nemici ed alleati. Di questi sforzi l'Esercito tutto fu espressione ma anche stimolo efficace. Un aspetto, inoltre, che non fu inteso appieno se non negli ultimi erisolutivi scorci del conflitto, fu il peso e l'influenza delle azioni di strategia indiretta rispetto a quelle di strategia diretta: la propaganda, l'inganno, l'a/.

'Melograni Piero, Storia politica della Grande Guerra 1915-18, Laterza, Bari, 1969.


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zione politica diretta al sostegno del proprio fronte interno e quella diretta a minare quello del nemico, la guerra economica, lo sviluppo della ricerca scientifica, il controllo delle risorse energetiche, alimentari e minerarie, l'organizzazione dei rifornimenti, ecc .. Anche nell'ambito del nostro Esercito fu dato il peso dovuto a molti di questi fattori solo dopo la tragedia dell'autunno del 1917, così come troppo a lungo ci si mantenne fedeli alle idee di necessarie offensive ad oltranza, . perdipiù concepite sempre come impegno dell'avversario sulle direttrici per lui più pericolose, e quindi sempre rivolte ad affrontarne il «forte» piuttosto che provocarne la crisi dopo averlo colpito in settori deboli con azioni inattese. Si trattò, peraltro, di fenomeno comune a tutti gli Eserciti allora contendenti, che appare oggi di una evidenza quasi lapalissiana, ma che probabilmente non risultava tale allora agli uomini che ricercavano una soluzione ad una serie di novità complesse in una situazione di estrema pressione psicologica e nell'ansia di conseguire un successo decisivo. 3. L'Italia ed il suo Esercito nella I Guerra Mondiale È, oggi, ben riconosciuto come, nello scoppio del conflitto, non possa attribuirsi alcuna responsabilità all'Italia, la cui politica estera è stata talora giudicata erroneamente perturbatrice ed espansiva. È noto, infatti, che l'Italia rimaneva nella Triplice Alleanza esclusivamente con intendimenti ,, difensivi. I suoi uomini di Governo e le sue maggiori Autorità militari erano ben consci della strutturale inferiorità del nostro Paese sulle Alpi e nel Mediterraneo: sia sul piano umano, sia su quello economico, oltre che per le difficoltà di una società giovane con problemi interni complessi, quali quello clericale e quelli delle forti differenze sociali e regionali. La Triplice Alleanza ci tutelava da conflitti con l'Impero Asburgico, potenza di 52 milioni di abitanti, e ci dava sicurezza da attacchi della Francia; essa non comportava - almeno fino allo scoppio della guerra - una contrapposizione con la Gran Bretagna nel Mediterraneo. La ricerca ulteriore della pace in un ambiente di controassicurazioni era stata perseguita attivamente con la politica estera del Prinetti (accordo Prinetti-Barrère del 1902 con la Francia) e del Tittoni (avvicinamento alla Russia - 1907). Si è voluto attribuire talora eccessivo significato e gravità alla nostra occupazione della Libia come atto che provocò poi le guerre balcaniche e, di riflesso, la competizione austro-russa nella regione balcanica ed il risveglio del movimento panserbo. Ma occorre dire che ci sembra esagerato attribuire al fatto una importanza maggiore di quella assegnabile ad uno dei numerosi momenti di tensione fra le Grandi Potenze. La verità era che i contrasti grossi erano fra

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queste, mentre apparvero non accettabili iniziative minori ed una ricerca di espansione coloniale da parte di una media Potenza: ciò che era concesso ai Grandi non doveva essere consentito ai Piccoli! Del resto la nostra diplomazia aveva cercato e, di massima, garantito un riconoscimento generale della nostra occupazione della Libia; nel 1914 la questione era già ben chiusa. Si potrebbe osservare che l'Italia, come del resto la Gran Bretagna, non fece molto - nel luglio 1914 - per impedire lo scoppio del conflitto chiarendo anticipatamente la sua posizione; ma è indubbio che, forse più di altre, la sua intera classe politica rimase sorpresa dalla piega che assunsero gli avvenimenti e, semplicemente, non vi partecipò attivamente. L'Italia, insomma, non ebbe responsabilità - né lontane, né vicine - nello scoppio del conflitto. Sorge, peraltro, il problema se, a conflitto iniziato, essa poteva rimanere permanentemente neutrale e, in caso negativo, se essa fece bene ad entrare dalla parte dell'Intesa, in quel modo ed in quel momento. Si tratta di giudizi che hanno dato luogo a vaste e profonde contrapposizioni e che, . dovendosi basare spesso su fatti opinabili e non accaduti, permangono difficili a sostenere od a contrastare. Il paradossale è, poi, che i giudizi maggiormente negativi siano espressi proprio da quegli uomini o partiti «democratici» o «di sinistra» le cui aspirazioni politiche sarebbero state maggiormente compresse da una vittoria di Stati monolitici a regime militare, e che allora furono maggiormente attivi per un intervento italiano a fianco della Repubblica francese e dell'Intesa. Appare incontrovertibile che nei primi giorni dell'agosto 1914 l'Italia non avrebbe potuto affiancarsi agli Imperi Centrali in una politica ed in una guerra di aggressione dalle quali essa era stata deliberatamente esclusa; il Von Bulow lo riconobbe chiaramente nelle sue Memorie. È da dire che il nostro intervento a fianco di essi avrebbe potuto avere, allora, effettivamente valore determinante: impedendo alla Francia di portare due Corpi d'Armata sulla Marna, ostacolando l'afflusso di unità dal Nord Africa, ponendo a disposizione della Germania quelle forze cospicue che vennero a mancare alla sua manovra. La disponibilità del nuovo Capo di Stato Maggiore, il Gen. Luigi Cadorna, ad un intervento a fianco degli Alleati della Triplice che si riteneva in consonanza con impegni politici sottoscritti, giudicato spesso come segno di un interventismo ad oltranza, va invece giudicato con il metro della totale disponibilità ed obbedienza che le Autorità militari dell'Esercito Italiano hanno sempre osservato nei riguardi del potere politico; ciò, anche quando non ne hanno condiviso vedute ed obiettivi e, talora, finendo per non contrastarne sufficientemente errori ed omissioni. Il nostro·mancato intervento avev·a costituito indubbiamente un grave


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danno per la Triplice ed un primo apporto al successo dell ' Intesa. Sembra perciò che sarebbe stato difficile mantenere a lungo la neutralità, viste le irose manifestazioni che essa aveva provocato a -Vienna ed a Berlino. Sicché, in pratica, si temettero subito le ripercussioni negative post-belliche della nostra neutralità in caso di vittoria degli Imperi Centrali. Si spiega, così, come immediatamente dopo la dichiarazione di neutralità, il nostro Capo di Stato Maggiore volgesse la mente e le predisposizioni alla ipotesi di una guerra contraria a quella alla, quale solo alcuni giorni prima ci si era orientati. Considerando, inoltre, le pressioni che l'una e l' altra parte andavano esercitando e che successivamente andranno incrementandosi con i blocchi economici ed i controblocchi, appare improbabile che l'Italia avrebbe potuto continuare a mantenersi neutrale, e tantomeno che avrebbe potuto entrare successivamente a fianco degli Imperi Centrali subendo nel Mediterraneo il blocco delle flotte franco-inglesi e loro eventuali operazioni anfibie. Nell'inverno tra il 1914 ed il 1915 una sua neutralità avrebbe forse potuto essere assicurata da una più avvertita azione politica e diplomatica dell'Austria-Ungheria, che non intese condurla affatto perché fiduciosa ancora nella vittoria ed anzi orientata .a quel successivo regolamento di conti con l'alleata traditrice, che noi temevamo. Sicché, se indubbiamente l'essere entrati nella guerra ebbe a costare parecchio (5 .2 milioni di mobilitati, 680.000 morti, oltre un milione di feriti, mezzo milione di mutilati ed invalidi) non possiamo d'altro canto dimenticare cosa e quanto avrebbe potuto costarci non partecipare, oppure quali sarebbero state le ripercussioni nei nostri confronti se avessero vinto gli Imperi Centrali. Si trattò, comunque, di decisioni che la classe politica del tempo prese in piena autonomia; ad esse soltanto può farsi ,risalire ogni responsabilità. Per l'Esercito ed i suoi uomini, una volta entrati nel conflitto, divenne assolutamente necessario immettervisi tenacemente fino alla vittoria; né i sacrifici sostenuti ebbero ad esserlo invano, contrariamente a quanto sostenuto da alcune parti con la leggenda della «v_ittoria mutilata». L'Italia, infatti, conseguiva: la quasi completa annessione delle popolazioni italiche; un confine terrestre ben determinato e facilmente difendibile; un netto predominio in Adriatico. Costituiv~no, invero 1 un deciso miglioramento delle condizioni di sicurezza ai nostri confini terrestri i seguenti fattori tecnico-geografici: - dallo Stelvio al mare, le precedenti 14 maggiori vje di in_vasione da nord e da est s.i riducevano a 7 (Resia, Brennero, Dobbiaco, Tarvisio, Circhina, Nauporto, solco Fiume-Trie~te); - in luogo di fruire del profondQ saliente del Trentino, il mondo tedesco era ora respinto alla dorsale:; alpina dietro la quale potevamo disporre

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di una profonda massa montana; inoltre, da una eventuale Germania ostile ci venivano a dividere due Stati minori indipendenti: Svizzera ed Austria; - ad oriente, il confine passava dalla pianura friulana allo spartiacque fra la valle dell'Isonzo e quelle della Drava e della Sava, assicurandoci anche su questo lato una buona profondità montana. Veniva, infine, a scomparire ogni consistente minaccia nell'Adriatico. La sicurezza ai confini terrestri e la nuova posizione politica sul piano internazionale avrebbero potuto consentire una politica più attiva nel Mediterraneo, in Africa e nel Medio Oriente, le cui condizioni, peraltro, sarebbero state determinate da una strategia informata, avveduta e lungimirante, basata su fattori che una accorta azione della classe dirigente avrebbe dovuto promuovere, e cioè: - il miglioramento, essenzialmente culturale e civico, della ingente forza umana del Paese; - la ricerca di un maggiore potenziale finanziario, tecnologico e produttivo inteso sia alla soluzione dei problemi sociali del Paese sia al maggiore inserimento nel panorama economico mondiale; - una partecipazione intelligente al contesto della politica mondiale, intesa alla sicurezza ed allo sviluppo. Solo la mancata sensibilità della classe politica nei riguardi delle esigenze prioritarie ed il suo volgersi verso politiche di contrapposizione con gli altri Paesi vincitori, di autarchia e di affiancamento al «revanchismo» tedesco, dovevano portare l'Italia alla disgraziata partecipazione al 2° conflitto mondiale e ad una situazione ben altrimenti rovinosa al termine di questo. Un altro argomento di discussione è costituito dal giudizio circa la scelta del momento ed il modo in cui si è entrati nel conflitto, che risultarono forse assai diversi dal preventivato. Connesso, ma solo in parte, con questo è il giudizio sullo stato di preparazione del nostro Esercito ad entrare in guerra nel 1914 e nel 1915; si dice «connesso solo in parte» poiché mancò anche la pur minima collaborazione fra l'Autorità politica e militare, sicché la prima procedette nelle sue ormai note trattative ed alla assunzione di gravi impegni politici e bellici senza la assistenza né la partecipazione delle Autorità militari, poste sempre di fronte ai fatti compiuti e nelle peggiori condizioni di tempo e di mezzi. In particolare, da più parti è stato espresso il giudizio di una assoluta impreparazione dell'Esercito ad entrare in guerra nel 1914, formulando un parere negativo sia sulla politica militare dei Governi anteriori a quell'anno sia sulle Autorità militari che non avrebbero saputo curare tale preparazio-


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ne. A questa impreparazione fecero riferimento: il Salandra nelle sue dichiarazioni di neutralità ed il Cadorna rivendicando a proprio merito le attività svolte per ovviarvi prima del nostro ingresso nel conflitto. Tale giudizio negativo viene poi aggravato dalle accuse di coloro che opinano essere state eccessive le spese militari del tempo per un Paese come l'Italia, e non aver avuto contropartita in una maggiore efficienza. In verità sembra doversi dire che questi giudizi così negativi sono tutti piuttosto ingiustificati. Indubbiamente nell'Esercito del 1914 vi erano profonde deficienze, aggravate dai consumi e dai perturbamenti provocati dalla guerra di Libia che avevano assunto dimensioni inattese; vi erano, altresì, carenze - particolarmente nel settore delle artiglierie di medio e grosso calibro, delle mitragliatrici e delle relative munizioni - che da tempo aspettavano di essere ripianate nonostante le sollecitazioni dei Capi di S.M. Saletta e Pollio; ed, infine, un esame delle spese militari di bilancio con quelle degli altri Paesi europei testimonierebbe il loro contenimento in limiti sempre inferiori non solo alle richieste delle Autorità militari ma anche a qualsiasi confronto con i Pé!,esi viciniori. Hanno quindi qualche fondamento le critiche espresse, allora e successivamente, dai militari per una miope comprensione delle esigenze delle Forze Armate da parte di una classe politica sorda nei riguardi dei problemi difensivi, ma, quel che è peggio, contemporaneamente desiderosa di partecipare più attivamente alla vita politica europea e coloniale. Tuttavia, è anche vero che il nostro Paese aveva una economia più debole di quella degli altri maggiori Paesi europei, ed era uscito solo nei primi anni del secolo dalla crisi del 1898; i Governi Giolitti, sotto la spinta dei Capi di S.M. prima nominati, avevano, dopo il 1907, aumentato le spese militari e cercato di venire incontro alle crescenti esigenze; infine, pur dinnanzi a chiari segni di esasperazione delle tensioni politiche europee, la nostra posizione di sicurezza nel quadi;o continentale e la nostra politica militare strettamente difensiva rimanevano invariate. È arduo quindi sostenere sia che il.Paese avrebbe potuto fare molto di più, e che le Autorità militari avrebbero potuto fare meglio. Né è giusto asserire che non vi fosse sufficiente apprezzamento dei caratteri che avrebbe assunto un nuovo conflitto nonostante le esperienze della guerra russo-giapponese ed il largo ricorso colà fatto alla trincea ed alla mitragliatrice. Occorre considerare che si era trattato di un conflitto in un ambiente periferico, considerato quasi coloniale; dalle esperienze allora fatte non aveva tratto deduzioni valide nemmeno l'Esercito russo che le aveva subite, né tanto meno tutti gli altri; dopo oltre quarant'anni di pace si era ancora, generalmente, alle idee ed agli ammaestramenti della guerra del 1870 e non erano stati avvertiti, da nessuno, i mutamenti di ordine politico e sociale, ordinativo e tecnologico che dovevano influenzare così largamente il nuovo conflitto ma che da esso risulta-

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rono fortemente accelerati. Va detto, inoltre, che nel settore della preparazione dottrinale e pratica delle Forze Armate dei Paesi europei, è sempre esistita una tendenza a guardare soprattutto nel campo del vicino e più probabile avversario; sicché il mancato apprezzamento delle nuove tendenze belliche fu un fenomeno comune a tutti gli Eserciti, che nel 1914 erano scarsamente preparati ad affrontarne le difficoltà. Infine, va ricordato che nonostante gli sforzi egregi, per le difficoltà di avvio delle produzioni e per l'arresto delle esportazioni di armi da parte dei paesi produttori (mitragliatrici da Gran Bretagna, artiglierie da Germania e Francia), la disponibilità di armamenti e munizioni nel 1915 non era praticamente molto variata rispetto al 1914; sicché la potenzialità offensiva esistente nei due anni considerati si doveva considerare immutata. In conclusione, sembra si possa dire che l'Esercito italiano del 1914 aveva i pregi ed i difetti di tutte le altre Armate; il suo intervento in una fase di campagne manovrate quale fu quella iniziale della guerra avrebbe potuto forse rappresentare un fattore di grosso peso sconvolgendo i rapporti di forza e portare a qualche maggiore decisione entro l'anno; in caso contrario, avrebbe finito per portare alla situazione che si era verificata sugli altri fronti. Un utile ammaestramento, comunque, è costituito dalla constatazione di quanto sia difficile, costoso e talora vano, riparare alle conseguenze di una deficiente preparazione in tempo di pace. Essa infatti: rappresenta innanzitutto la causa prima dello scoppio di un conflitto ponendo la politica del Paese in condizioni di inferiorità; in secondo luogo, è motivo di maggiori sforzi e sacrifici per ovviare alle conseguenze di tale inferiorità; infine, può compromettere l'esito del confronto fin dalle battute iniziali. Un fattore critico di difficile apprezzamento nella situazione del 1914 è costituito dal quadro di insufficienza del numero degli Ufficiali e Sottufficiali e dal basso livello di forza delle troppo numerose unità e del loro addestramento, in merito al quale l' allora Comandante di Armata Ten. Gen. Luigi Cadorna si era lamentato con il Capo di S.M. Gen. Alberto Pollio in una interessante lettera del 4 marzo 1914 (Doc. n. 668). Per converso, le esperienze della guerra di Libia avevano costituito una efficace scuola di esperienza particolarmente per numerosi Comandanti, che nel corso del conflitto passarono ad alti gradi (Diaz, Capello , Pecori Giraldi, Fara e molti altri). Dunque, le critiche nei riguardi della situazione dell'Esercito nel 1914 sembrano piuttosto ingiustificate sia nei riguardi delle attività di Governo sia nei riguardi delle Autorità militari. D' altra parte il volume I di questa Relazione illustra bene come tutta la pianificazione e la preparazione del nostro Esercito fossero a carattere difensivo e come fosse stato perseguito attivamente un miglioramento della sua efficienza bellica successivamente agli inconvenienti ed alle esperienze della guerra italo-turca.


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Diverso, invece, appare il giudizio esprimibile nei riguardi della situazione nel 1915 anche se di molte deficienze nella preparazione e nella condotta si possono spesso riscontrare ampie giustificazioni piuttosto che colpe ed errori.' In primo luogo, come si è accennato, l'intera condotta dell'azione politica interna ed estera fu del tutto indifferente ·alla esigenza di garantire le migliori condizioni allo sforzo bellico. La condotta delle trattative non vide mai, infatti, la compartecipazione delle Autorità militari le quali non solo non furono consultate circa le stipulazioni del patto di Londra ma nemmeno furono poste al corrente del suo testo e solo con ritardo ebbero conoscenza della sua firma (il Cadorna solo il 5 maggio ebbe casuale conoscenza dal Salandra della firma avvenuta il 26 aprile e dell'impegno ed entrare in guerra entro la scadenza di un mese). Fa parte della storia nota come si sia arrivati al conflitto in una situazione parlamentare e politica di aspra contrapposizione e non di impegno almeno maggioritario. Infine, le con.cessioni di fondi sollecitate dal Ministero della Guerra furono sempre insufficienti e tardive, sicché - anche per le difficoltà di incremento immediato delle produzioni e delle importazioni, di cui si è già parlato - la situazione dei materiali di artiglieria, automobilistico, àeronautico nel maggio 1915 non era molto migliorata rispetto all'anno precedente nonostante gli sforzi compiuti lodevolmente in ogni campo. In conclusione, un ammaestramento di grande peso emerge da tutti questi avvenimenti e cioè che, nel confronto internazionale, potenziale in tempo di pace ed effettivo in tempo di guerra: politica interna, estera, economica e militare costituiscono solamente diversi settori di applicazione di uno sforzo comune, che deve essere esercitato con una visione unitaria ed attraverso una costante collaborazione fra persone ed organi delle diverse Amministrazioni dello Stato, alla cui guida vanno chiamati gli uomini migliori, prescelti in base ai meriti effettivi e non solamente a seguito di giochi di potere. Nella situazione del momento, che vedeva gli altri belligeranti già mobilitati ed era completamente·diversa dal preventivato, l'Alto Comando dell'Esercito doveva provvedere, con forze praticamente invariate, a: 1) - migliorare la situazione dei Quadri e delle Unità, dal punto di vista della forza e dell'addestramento; 2) - predisporre modalità di mobilitazione e di radunata idonee a porci nelle migliori condizioni per la condotta delle successive operazioni; 3) - definire una nuova pianificazione e prepararci ad una condotta offensiva. Nei rigu'a rdi dei provvedimenti relativi al personale il I volume della Relazione fornisce ampi e documentati particolari sui provvedimenti adot-

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tati; al riguardo va peraltro notato che ampliamenti consistenti della intelaiatura dei Quadri, compiuti piuttosto affrettatamente, ebbero ad incidere sfavorevolmente sulla preparazione dell'intero complesso, la cui efficienza risultò poi ulteriormente ridotta quando - all'atto della mobilitazione la struttura venne sommersa dalla marea dei richiamati. Il passaggio di un Esercito a larga intelaiatura allo stato di guerra costituisce un momento di crisi e provoca comunque - almeno per un certo tempo - un abbassamento della efficienza operativa delle unità. Questo fenomeno abbastanza naturale per tutti gli Eserciti doveva essere maggiore in quello italiano per i caratteri: nazionale, del reclutamento; e regionale, della mobilitazione. Si sarebbe trattato di un inconveniente meno grave se subito da tutti i contendenti che avessero iniziato contemporaneamente, o quasi, la mobilitazione e la guerra, e quindi nelle medesime condizioni; era gravissimo per noi che dovevamo mobilitare trovandoci di fronte ad un nemico già mobilitato da quasi un anno e con unità già sperimentate e compatte. Questa situazione di incertezza nelle decisioni politiche e di inferiorità militare fino a mobilitazione e radunata compiute, insieme alla ricerca di una sorpresa che mancherà affatto, provocò l'esigenza di rinforzare la copertura e l'adozione di imponenti modifiche alle modalità di mobilitazione e di radunata (mobilitazione «rossa>~). Queste, unendosi ai ritardi del loro inizio, e fors'anche a qualche errore di impostazione per non aver privilegiato un carattere più progressivo e più idoneo ad assicurare una pronta disponibilità di una più consistente aliquota dell'Esercito, finirono per consentire a 2 soli Corpi d'Armata di raggiungere una buona efficienza il 24 maggio, e la prontezza operativa dell'intero Esercito soltanto verso la fine del giugno 1915; la mobilitazione e la radunata avevano richiesto 43 giorni invece dei 24 previsti dai piani di mobilitazione anteriormente predisposti. A questi ritardi si aggiunsero: l'assenza di qualsiasi sorpresa per le rivelazioni della stampa in Francia tendenti a premere per un nostro intervento; le stesse 'discussioni in Italia; le «defaillances» di Comandanti e unità nel corso del cosiddetto «primo balzo offensivo». In realtà, un confronto delle forze contrapposte in questo periodo evidenzia come il nostro Esercito non seppe cogliere in quel momento quel successo che avrebbe potuto essere consentito da una marcata differenza quantitativa. Ma, alla insufficienza di artiglierie e mitragliatrici ed alla difficoltà immediata di superare gli ostacoli dei reticolati e delle trincee, si sommarono in quel momento tutte le debolezze di un organismo in cui Comandanti e Truppe non avevano esperienza bellica e che aveva appena ultimato la mobilitazione. In pratica, i piani di manovra offensiva che la mente strategica del Cadorna aveva elaborato ebbero solo un timido accenno di esecuzione; successivamente essi si appiattirono invece nella nota successione di ·sterili


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offensive sull'Isonzo contro le solide difese avversarie; offensive che avrebbero dovuto portare ad un progressivo impegno e logoramento dell'avversario, ma che finirono per provocare un pari se non maggiore logoramento del nostro Esercito. Circa la condotta della guerra è stato detto e scritto che l'Italia fece nel primo periodo una guerra «nazionale» a tutela dei propri interessi, e solo successivamente aderì ad una concezione più aderente alle esigenze della coalizione dell'Intesa. Ma se ciò può essere vero sul piano politico, non lo fu su quello militare. Il Cadorna, mente strategica quanto altri mai, operò offensivamente spesso per aderire alle richieste altrui perché convinto di dover contribuire al successo interalleato e di sostenere così la posizione politica del nostro Paese nell'alleanza. Il Diaz ed il Governo Orlando, pur sottolineando le migliori intenzioni di aderire alla strategia interalleata cui del resto eravamo obbligati dalla situazione economica e finanziaria, di fatto si attennero ad una politica e ad una strategia militare più aderenti alle effettive possibilità nazionali del momento e più idonee, così, a permettere il successo: sia nostro, sia interalleato. Ed, invero, mentre un crollo del nostro Esercito a fine 1917 e nella prima estate del 1918, aggiungendosi a quello russo, avrebbe avuto ben gravi ripercussioni sull'esito del conflitto in Francia, la ripresa offensiva sul Grappa e sul Piave - sebbene ritardata dagli ormai noti fattori - provocò, comunque, la fine anticipata del conflitto, dalla primavera del 1919 all'autunno del 1918. Quello dell'apporto dato alla vittoria e del peso rappresentato dalla nostra partecipazione al conflitto finì per costituire uno dei maggiori motivi di contrasto fra noi ed i nostri alleati, soprattutto al livello della stampa e delle opinioni pubbliche, peraltro stimolate da uomini ed interessi politici. Sarebbe eccessivamente oneroso e non necessario dare dimostrazione di quanto ingiustificate fossero le critiche rivolte allora all'Italia: ad un alleato che concorreva alla guerra comune con tutti i mezzi a propria disposizione e con pesanti sacrifici di sangue. Duole, quindi, che echi di quelle critiche, provocate da meschini interessi politici volti a contenere la cosiddetta temuta spinta espansiva del nostro Paese, siano presenti anche nelle opere più recenti. È sufficiente riportare alcune righe dell'inglese A.J .P . Taylor, che pure gode la fama di storico. Egli nel suo libro «La monarchia asburgica», del 1948, forse anche sfogando i livori contro l'avversario della 2• Guerra Mondiale, ha creduto di stigmatizzare invece con sintesi antistorica la nostra battaglia dell'ottobre 1918 con queste poche righe: «Dopo la firma dell'armistizio ma prima della sua entrata in vigore gli italiani sbucarono da dietro le truppe inglesi e francesi dove si erano tenuti nascosti e nella grande "vittoria" di Vittorio Vene-

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to - raro trionfo delle armi italiane - catturarono centinaia di migliaia di soldati austro-ungarici disarmati e che non opponevano nessuna resistenza». Giudizio falso e immeritato, sostanzialmente non mutato anche in un'opera posteriore del medesimo autore («Storia della prima guerra mondiale», del 1963), la quale evidenzia come il medesimo non abbia nemmeno tenuto conto delle stesse testimonianze ufficiali britanniche, dei Generali Plumer e Lord Cavan, né della pur sobria e severa relazione ufficiale dell'Ufficio Storico inglese, pubblicata nel 1949 e non avara di osservazioni critiche. Pertanto, va detto che il primo motivo della ricercata rivalutazione del nostro sforzo bellico fu costituito dalla esigenza di ristabilire la verità dei fatti ed una giusta considerazione del nostro sforzo. Soltanto successivamente essa doveva essere portata a vertici di retorico e discutibile gusto a sostegno di una politica nazionalistica aggressiva finendo per conferire, a uomini poco avveduti, illusioni di potenza e spinte ad azioni politiche e militari al di là del nostro effettivo potenziale. Rimane il fatto che, in una guerra che si mantenne ancora a misura d'uomo, l'Italia seppe compiere sforzi notevoli del tutto comparabili con quelli delle maggiori Potenze partecipanti al conflitto, che la fecero annoverare fra i Grandi d'Europa. In un opuscolo pubblicato in lingua inglese «What Italy has done far the Warn del 28.X.1918, venivano allora forniti elementi sullo sforzo compiuto, in comparazione con la potenzialità demografica ed economica del Paese. In esso veniva sottolineato come l'emigrazione avesse, negli anni precedenti la guerra, depauperato soprattutto la nostra popolazione di uomini atti alle armi, sicché lo sforzo umano sostenuto dall'Italia non era inferiore a quello di altri belligeranti ed in qualche caso lo superava, e che gli sforzi economici e militari compiuti non avrebbero potuto essere superiori senza intaccare le possibilità di resistenza del Paese. In ultima analisi, seppure il nostro intervento non costituì quell'apporto determinante in cui da noi e da altri si era confidato per provocare un rapido esito del conflitto, rimane il fatto che esso garantì un impegno sempre crescente di Divisioni austriache (Schizzo n. 51). A causa della resa della Russia e dello scarso impegno nei Balcani, l'Esercito austro-ungarico finì per impegnare quasi tutte le sue forze sul nostro fronte inviando sul fronte occidentale solo quattro Divisioni ed un limitato numero di artiglierie. In assenza di un concorso sui fronti orientale e balcanico la vittoria ottenuta dall'Italia in un confronto diretto con il grande Impero Asburgico, dopo appena 45 anni di unità nazionale, si doveva considerare altamente meritoria per il nostro Paese e per il suo Esercito. Invero il nostro sforzo andò ben al di là di quanto noi stessi ed i nostri alleati avessimo ritenuto possibile e consacrò, oltre che il nostro diritto ad una esistenza nazionale, il peso esercitabile nell'arengo internazionale per la posizione geografica e per la co-


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spicua potenzialità umana e, in determinate condizioni, anche militare. Un elemento, infatti, che allora non fu valutato appieno fu il fatto che la imponente mobilitazione del nostro sistema produttivo era stata permessa dal nostro schieramento nella coalizione che garantiva l'afflusso delle materie prime necessarie, superando anche le difficoltà creditizie e quelle connesse con le ingenti perdite della flotta mercantile. In effetti, le disponibilità di carbone, metallurgiche, ma specialmente alimentari risultarono in certi momenti compresse a minimi livelli, quantunque solo in casi limitati giunsero a provocare consistenti riduzioni del morale delle popolazioni e delle produzioni. Tuttavia i tumulti di Torino dell'agosto 1917 per il mancato rifornimento di farina per la panificazione, la situazione sempre a livello critico dei rifornimenti di carbone - della quale ebbero ad occuparsi ripetutamente il Consiglio di Guerra ed il Comitato dei Rappresentanti Militari di Versaglia - ed, infine, l'entità dei crediti ottenuti a Londra ed a Washington resero manifesti i limiti del nostro potenziale bellico e le alee connesse con una nostra partecipazione ad un conflitto prolungato. Nel loro complesso, quindi, gli avvenimenti rendevano ancora giustizia alla scelta compiuta di partecipare alla guerra a fianco dell'Intesa, anche se - per la verità - le clausole di carattere economico del Patto di Londra testimoniano quanto insufficienti fossero state le valutazioni allora compiute dal nostro Governo nei riguardi della prevedibile durata del conflitto e dell'ampiezza dei suoi oneri finanziari. L ' andamento e l'esito della guerra, invece, dovevano dimostrare che la vittoria richiede alcune condizioni di base necessarie sotto gli aspetti economici e logistici. Il 25 novembre 1917, dopo il crollo di Caporetto, si appurò, con un'indagine svolta per la prima volta, che l'Italia necessitava mensilmente di 400 mila tonnellate di grano, 110 mila di carne, granoturco e caffé, 690 mila di carbone, 240 mila di metalli e munizioni. La nostra flotta mercantile poteva trasportarne 386 mila. Senza una poderosa assegnazione di naviglio da parte degli alleati non si sarebbe vinta la guerra; anzi, le nostre possibilità di resistenza si sarebbero rapidamente esaurite. L'ottimismo degli Austro-Ungarici, in quel periodo, non era quindi del tutto sconsiderato. Quello individuato era uno dei problemi di maggiore entità da affrontare rapidamente e da risolvere al meglio. La guerra aveva assunto dimensioni globali, che nessuno nel 1914 e nel 1915 aveva lontanamente immaginato. In conclusione la presenza italiana nella I Guerra Mondiale fu è.flfatterizzata, come scrisse il Bacchelli, dalla necessaria partecipazione ad un assetto più confacente dell'Europa. Essa permise, con la vittoria, il conseguimento di grossi obiettivi politici e militari, che la malaugurata tesi di una «vittoria mutilata» finì per nascondere portando a distorsioni nella nostra politica interna ed internazionale, non imputabili peraltro al conflitto quanto


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alle insufficienze postbelliche delle classi dirigenti del tempo. A medio termine queste avevano considerato fattibili per il Paese politiche di grande potenza che si rivelarono invece superiori alle nostre possibilità e contrarie ai nostri interessi. A questi errori concorsero gli strascichi delle tensioni con i nostri alleati e le crisi economiche e sociali del dopoguerra, le quali non possono essere soltanto attribuite alla nostra partecipazione alla guerra 191518. A lungo termine la vittoria conseguita ed i sacrifici allora sostenuti hanno sanzionato il diritto all'esistenza ed all'unità del nostro Paese e lo hanno collocato in una situazione di necessaria presenza nel contesto internazionale, non del tutto cancellata dal diverso esito del secondo conflitto mondiale. Circa gli avvenimenti di maggior rilievo sul nostro fronte nel corso dell'ultima parte della guerra, un amante del paradosso quale fu Prezzolini ebbe a scrivere - ad un dipresso - che Caporetto fu una buona ventura per l'Italia perché indusse gli Italiani alla concordia e li spinse ad una partecipazione più attiva e consapevole allo sforzo bellico, mentre la vitto~ia nella battaglia di Vittorio Veneto fu una disdetta perché convinse l'Italia di essere una Grande Potenza e la indusse a politiche più avventate, Ed, invero, qualche verità è contenuta in questo giudizio: il nostro Paese veniva portato a considerarsi una Grande Potenza ed a misurarsi soprattutto in contrasti con la Francia, in una situazione internazionale che non era contrassegnata dall'equilibrio precedente fra gli Imperi Centrali e l'Intesa franco-russa. Ma sembra palese che non si possano attribuire i successivi errori di valutazione e di giudizio <Ìella classe politica italiana all'Esercito ed ai suoi uomini, che nel 1918 erano impegnati in una lotta senza quartiere e che concludevano finalmente una guerra durata 41 mesi con il raggiungimento quasi integrale degli obiettivi per i quali si era entrati nel conflitto. Né, come si è detto, scarsi e poco significativi erano i risultati conseguiti, sicché fu un errore politico quello di parlare di «vittoria mutilata». Si trattò di un errore politico sul piano internazionale poiché le diplomazie alleate rimasero refrattarie alle resistenze dell'Orlando ed alle prospettive di una crisi interna italiana, che non le indussero affatto a venire incontro alle nostre richieste. Fu un errore politico soprattutto sul piano interno in quanto l'esaltazione per la vittoria fu seguita da una diffusa delusione, che fece attribuire ai ritardi della offensiva ed a motivi militari una situazione di debolezza politica internazionale del nostro Paese, che era insita, invece, nel complesso del nuovo assetto internazionale. Tale errore, insieme alle motivazioni economiche e sociali, ·doveva indurre le forze già neutraliste proclamare l'inutilità di tutti gli sforzi ed i sacrifici fatti per la guerra ed a provocare, conseguentemente, la reazione delle forze nazionaliste e di quelle combattentistiche, unificandole e spingendole verso soluzioni estreme. In realtà, la batta-

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glia di Vittorio Veneto, vista - come si è detto ripetutamente altrove come momento conclusivo di uno sforzo prolungato, rappresentativo di un complesso di enormi sacrifici umani, economici e di impegni individuali e collettivi di grande valore, costituisce un fatto storico di determinante significato per il nostro Paese e per il nostro Popolo. Se meritevoli di giusto apprezzamento furono la manovra concepita e la sua condotta da parte dei Comandi, costituì e può tuttora costituire motivo di compiacimento e di soddisfazione soprattutto il comportamento di tutte le Unità, in ogni luogo ed in ogni momento. Il successo nella battaglia di Vittorio Veneto venne conseguito dopo un travaglio lungo ed aspro, dopo mesi di guerra combattuta e difficoltà di ogni genere, dopo momenti di sconforto e di angoscia che avevano investito l'intero Paese ed avevano costituito lo stimolo per una nuova comunione di timori e di speranze: timori di sopravvivenza di tanti e della stessa collettività nazionale; speranze in un mondo politicamente e socialmente migliore. Era una comunione che aveva infuso nel Paese e nell'Esercito un nuovo vigore di intenti e di solidarietà e conferito alle Forze Armate nuova fiducia nella vittoria e molta consapevolezza del dovere da compiere. Anche se dopo il successo si dovevano verificare reazioni e conseguenze politiche ed economiche negative, che la classe politica del tempo non seppe padroneggiare, nell'autunno del 1918, ad un solo anno dal disastro di Caporetto, le nostre Unità avevano tenuto comportamenti brillanti che vanno ascritti, indubbiamente, a merito dei Comandanti e dei Quadri del momento, così come al Paese tutto. Sembra doversi dire dunque, che è particolarmente sotto questo aspetto che la battaglia di Vittorio Veneto può essere considerata come l'apice di un momento magico nella storia del nostro Paese e del nostro Esercito: quello di una felice comunione di sentimenti e di intenti che animò Comandanti e Gregari, Esercito e Popolo permettendo di superare una grave crisi e di completare una unione nazionale perseguita attraverso un secolo dagli uomini del nostro Risorgimento. I risultati della battaglia, militari e politici, furono grandiosi: da una parte, la distruzione di un Esercito e, con esso, quella di un Impero; dall'altra una vittoria decisiva per l'Italia e per l'Intesa, ottenuta per manovra e con perdite relativamente limitate; fu una vittoria netta e chiara, la più grande e significativa della storia dell'Italia e dell'Esercito Italiano. Essa, infatti, vista nella sua prospettiva storica, rappresenta indubbiamente la prima battaglia veramente decisiva combattuta e vinta dagli Italiani uniti in libera Nazione nel corso di tutte le guerre combattute dopo il 1848. Essa rappresenta inoltre il suggello della nostra storia risorgimentale di circa un secolo, in quanto riunì alla Patria le ultime popolazioni irredente e consentì finalmente all'Italia di raggiungere i suoi confini naturali lungo tutto l'arco della catena alpina. La vittoria, ottenuta su una Grande


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Potenza avversaria, aveva chiuso un periodo di secolare intromissione austriaca nel nostro Paese e sanzionato l'espulsione di ogni ingerenza straniera. Essa non solo assicurava all'Italia un posto di tutto rilievo fra i Paesi democratici, ma contribuiva a dare libertà ai popoli soggetti all'Impero Asburgico. Ciò era vero, anche se poi l'eliminazione dell'Austria-Ungheria si rivelerà, in una situazione mutata, fattore di instabilità. Al momento in cui la grande vittoria fu conseguita sembrò, infatti, che essa avesse sgomberato definitivamente il terreno dal pericolo sece5lare costituito dalla presenza sui nostri confini della potente Monarchia austro-ungarica adesso dissoltasi. Soltanto nel 1938 un nuovo pericolo da parte delle popolazioni germaniche si affacciò sulle Alpi con l'annessione della piccola Austria al Terzo Reich. Ciò, mentre sull'Adriatico si sviluppava immediatamente una situazione di reciproca ostilità fra l'Italia ed il nuovo Stato jugoslavo. Ma si trattava di problemi che solo anni dopo e per molti altri errori di uomini politici e militari venivano a turbare sensibilmente la politica europea ed, infine, a portare al 2° conflitto mondiale. Sul piano interno la guerra del 1915-18 ed il successo nella battaglia di Vittorio Veneto costituiscono momenti e simboli di un necessario comportamento di ogni cittadino e della collettività dinnanzi ad una grave minaccia alla esistenza ed agli interessi nazionali. Per quattro anni le lotte di partito, i conflitti di classe e quelli tra ceti e organismi diversi passarono in secondo piano; di fronte ai sacrifici comuni della vita o di dure privazioni si diffuse l'esigenza di un equo egualitarismo sicché assunsero gravità e soprattutto incont::-arono condanna morale i fenomeni degli «imboscati» e dei «profittatori di guerra». Le Forze Armate, oltre ai loro compiti di condotta delle operazioni, divennero centri propulsori di tutte le attività del Paese ed, in un certo senso, scuola di tutta la Nazione, in quanto oltre 5 milìoni di uomini su 35 milioni di abitanti entrarono nei loro ranghi e le foro fortune coinvolsero più o meno tutte le famiglie e l'intera collettività nazionale. Al termine della guerra esse restituirono quegli uomini al Paese senza andare al di là dei loro compiti, in una situazione politica che pure avrebbe offerto non poche giustificazioni per un loro intervento . La partecipazione corale di tutti gli uomini validi, i loro sacrifici e la loro vita in comune nelle trincee, la comunanza protratta di uomini di diverse regioni, dialetti, opinioni costituirono un enorme fattore di amalgama. Gli episodi di diserzione od i tentativi di sottrarsi ai pericoli ed ai sacrifici di un~ guerra così lunga e dura, in una certa misura del tutto comprensibili o comunque non superiori a quanto avvenuto in compagini di Paesi di più lunga formazione nazionale e non configuratisi mai in vere e proprie ribellioni, non sminuiscono il fatto di una larga e generale compattezza delle nostre Unità, che il gran numero di decorazioni concesse e di episodi indivi-

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duali e collettivi di eroismo possono confermare. Tutti testimoniarono che l'Italia, dopo soli 45 anni dalla sua costituzione, era una Nazione degna di partecipare con la propria individualità politica e militare alla determinazione del proprio avvenire e alla difesa dei propri interessi, sostenuta da una popolazione .fondamentalmente solidale nelle sue diversità regionali, ricca di uomini capaci, attivi e consapevoli. Anche in un altro settore, oltre quello delle Forze Armate, vi furono testimonianze di un'ampia partecipazione popolare allo sforzo bellico. A convalidare il contrario, è stato spesso fatto riferimento a qualche manifestazione di malcontento femminile,' dovuto generalmente a disfunzioni nei rifornimenti alimentari, ritardi nella concessione di sussidi dovuti od altre cause concrete, piuttosto che ad una vera e propria opposizione politica. Certamente non vi poteva essere nell'animo femminile entusiasmo per una guerra che allontanava dalla propria casa e minacciava la vita di padri, mariti e figli; ma non mancò affatto la più ampia partecipazione delle donne allo sforzo consapevole di tutto il Paese; Si potrebbe anzi dire che la I Guerra Mondiale costituì un momento di grande trasformazione· della figura e del peso della donna nella nostra società. Si fa spesso, a tale riguardo, riferimento all'impiego rilevante di mano d'opera femminile negli stabilimenti militari, ausiliari e non, che passava da 25.000 presenze al 31 dicembre 1915 a 89.000 nel dicembre 1916, 175.000 nèl,dicembre 1917 e 198.000 al 1° agosto 1918 (pari al 22% della mano d'opera impiegata). Ma l'impiego delle donne era ancora più grande in tutte le industrie non militari, che non potevano aspirare ad ottenere esoneri e che dovettero ricorrere al lavoro di anziani, donne e giovanissimi; così, per esempio, nelle industrie tessili ed alimentari. Donne, infine, furono largamente impiegate negli uffici e nei servizi pubblici, comprese - sempre per esempio - poste e tramvie. Infine, l'ampio reclutamento di contadini nei.ranghi, in quanto più sani e robusti, fece ricadere prevalentemente sulle donne l'onere delle attività nelle campagne. Oltre e più che la suddetta partecipazione nelle attività lavorative, ciò che costituì un fattore di evoluzione sociale rilevante fu il fatto che l'assenza per lunghi periodi degli uomini dalle famiglie conferì nuovo senso di responsabilità, consapevolezza e rispetto alla donna come reggitrice autonoma dell'andamento familiare. E se in alcuni casi ciò poteva essere ascritto a motivi di necessità o di interesse, non mancò la consapevolezza dell'adempimento del dovere, come fu ampiamente dimostrato dalla diffusione del fenomeno del «madrinato di guerra» e dell'ampio concorso volontario alle attività assistenziali dei soldati. Ingente, infatti, il numero delle donne che diedero il loro contributo di lavoro e di cure nella organizzazione sanitaria di guerra, nei posti di ristoro nelle stazioni ferroviarie, nelle «case del sol-


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dato», nella Croce Rossa, nella produzione di scaldarancio. Né si debbono dimenticare le 192 decorazioni al valore militare concesse e le 45 donne decedute per fatti di guerra, né l'impiego di donne quali «portatrici a spalla» nelle montagne del Bellunese, del Cadore e della Carnia. La larga partecipazione popolare allo sforzo bellico non era certamente dovuta ad un entusiasmo forsennato per la guerra, che induhbiamente non vi è stato in Italia se non in minoranze del tutto irrisorie, ma certamente in una diffusa accet_tazione, talora rassegnata ma il più spesso convinta, della inevitabilità del nostro intervento e della necessità di una osservanza collettiva ed individuale dei propri doveri. Accettazione che, seppure ancora parziale e riservata in alcuni limitati settori prima della crisi della fine del 1917, divenne successivamente generale: come manifestato persino in ambienti ed organi cattolici e socialisti, e come confermato - ad esempio - dal notevole successo dei prestiti di guerra del Governo Orlando. Anche l'attività della stampa quotidiana e di quella rivolta ai soldati nonché quella degli organi del servizio «P» non appaiono - pure considerate oggi con occhio critico - ispirate a semplici criteri di propaganda, ma piuttosto dettate da profonde convinzioni e dal desiderio di pubblicisti, intellettuali e poeti di contribuire al successo nazionale offrendo il contributo ad essi più congeniale. Si può, a tale riguardo, concludere che - seppure non desiderata né voluta - la nostra partecipazione alla I Guerra Mondiale fu profondamente sentita come fatto nazionale e dovere individuale, che tutti coinvolse e che da tutti fu affrontata con spirito di sana abnegazione. Se nel 1861 si era fatta l'Italia, nel 1918 risultavano esserci anche gli Italiani. Di fronte alle esigenze ed alle vicissitudini della guerra la grande maggioranza dei cittadini aveva fatto quanto meno tacere il proprio interesse o giudizio personale o di parte ed aveva dato il suo contributo al successo nazionale. In tutti i settori: della produzione come della finanza; dell'agricoltura come dell'industria; della organizzazione delle assegnazioni di materie primè come del controllo dei consumi, erano stati raggiunti risultati cospicui nonostante si trattasse di esigenze emerse per la prima volta e che costituivano assolute novità di ordine politico, economico e sociale. In tutti i settori erano prevalsi sia l'equa ripartizione degli oneri sia l'esigenza di soddisfare le esigenze primarie nazionali. Gli inevitabili errori minori ed il malessere in minoranze di opposizione non avevano potuto incidere sensibilmente su un quadro nazionale di tutto rispetto, che aveva retto il confronto con quello degli altri maggiori Paesi europei. Sul piano militare la vittoria sanzionava un progressivo sviluppo qualitativo e quantitativo degli sforzi che il nostro Paese aveva saputo compiere. L'Esercito del 1918 non era più quello del 1914 e del 1915; esso termina-

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va la guerra con uomini, idee, preparazione aggiornati e del tutto all'altezza di quelli degli Eserciti alleati ed ex-avversari. Un inconveniente che solo il tempo rivelerà disastroso fu che gli uomini di quella vittoria furono anche quelli che rimasero al Comando per tutti i decenni successivi; essi dovevano risultare tenacemente ancorati alle forti esperienze di quegli anni e finirono per guardare con scetticismo quelle innovazioni che altri Eserciti, nella loro ansia di rivincita, andavano invece ricercando o potevano - in extremis - realizzare attraverso il loro superiore potenziale economico ed industriale. Venne inoltre eccessivamente esaltato il fattore umano trascurando come l'aspetto materiale nella I Guerra Mondiale fosse stato risolto con il nostro schieramento in una Alleanza che ne assicurò, bene o male, una soluzione soddisfacente. Ma, prescindendo da tali considerazioni, la vittoria dell'autunno del 1918 fu e rimane la dimostrazione di quali e quanti risultati possono essere raggiunti da un Paese quando Popolo ed Esercito siano accomunati in una identica aspirazione e siano uniti nella consapevolezza di un comune destino. E se fu vero che, come disse l' Albertini, «si è vinta la guerra ma poi si è perduta la pace» ciò non può d'altronde significare che sarebbe stato meglio o che si sarebbe dovuto perdere la guerra per vincere la pace. Nel 1915 forze politiche di destra e di sinistra avevano portato il nostro Paese nel conflitto, ed a loro andava il merito od il demerito di scelte che apparirono giustificate. All'Esercito spettava partecipare degnamente al conflitto e vincerlo; le sorti dell'intero Paese e del suo Popolo dipendevano dalla sua vittoria. L'Esercito Italiano, allora, vinse; sconfitte successive per una politica eccessivameneambiziosa potranno infliggere perdite di territori e dure conseguenze, ma non scalfire l'integrità nazionale né la sostanza della nostra presenza nel mondo, che la vittoria nella I Guerra Mondiale aveva sanzionato. . Il successo in Italia, ottenuto prima di quello in Francia, rappresentava una conferma delle validità della opinione del nostro Comando Supremo che, sia con il Cadorna sia con il Diaz, aveva sempre ritenuto che l'Intesa avrebbe potuto conseguire più facilmente la vittoria mettendo fuori causa, per primo, il più debole degli Imperi Centrali. Ed, invero, nel 1918: la prima vittoria difensiva la si ebbe sul Piave; la spinta decisiva alla conclusione della guerra la si ebbe pure sul nostro fronte. La questione dell'importanza relativa della lotta nell'Europa occidentale e sul Reno rispetto a quella nel Mediterraneo ed in Italia doveva avere il suo peso anche nella Seconda Guerra Mondiale; come nella Prima, essa doveva essere risolta a favore del primo Teatro di Operazioni. Ma, come allora, la lotta si concluse prima in Italia nonostante lo scarso impegno dato alla lotta nel nostro Paese e l'evidenza delle reciproche influenze dell'andamento degli avvenimenti nei due Teatri. Nel corso della guerra 1915-'18,


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inoltre, si era dimostrato vano ed assolutamente fuori luogo ogni tentativo di pervenire ad un distacco dell'Austria-Ungheria dalla Germania e ad una pace separata con la prima; i due Imperi avrebbero vinto o perso assieme. L'apporto rappresentato dalla nostra partecipazione alla guerra al fianco degli Alleati costituì un elemento di vantaggio sensibile, particolarmente in alcuni momenti, quali ad esempio: la dichiarazione di neutralità dell'agosto 1914 che permise alla Francia di impiegare le forze già stanziate alla nostra frontiera; l'intervento nel 1915 in un momento di crisi al fronte russo; l'esecuzione di ripetute offensive nel 1917 a sollievo della situazione critica dell'Esercito francese. Se è vero che nell'autunno del '17 undici Divisioni alleate dovettero venire in nostro aiuto, questo aiuto risultò poi ridotto fin dalla primavera del 1918 e controbilanciato dall'invio di nostre forze di soldati e di lavoratori in Francia e in Macedonia. Ma se si vuole evitare di fare riferimento a fatti ed interventi che corrisposero anche a precisi interessi politici e militari del momento della intera coalizione, e si vogliono invece vedere le cose nei loro aspetti fondamentali, ciò che può meglio essere significativo nei riguardi di tale contributo è costituito dal numero delle Divisioni avversarie che vennero impegnate sul nostro fronte rispetto a quello complessivo degli Imperi Centrali. Appare evidente che, particolarmente do• po la resa della Russia, la disponibilità anche parziale di numerose Grandi Unità e di cospicui mezzi austro-ungarici sul fronte tedesco avrebbe consentito la vittoria della Germania. L'impegno italiano in uomini, perdite, sacrifici economici fu ingente e, in proporzione alle rispettive possibilità nazionali, superiore a quello di altri Paesi, con influenze che dovevano protrarsi nel tempo.. Il mancato riconoscimento del nostro successo e del nostro contributo alla vittoria alleata, oltre che ad· immediate ripercussioni politico-diplomatiche, doveva ferire in maniera sensibile l'amor proprio degli uomini che avevano intensamente combattuto e sofferto, e avere riflessi fortemente negativi sulla politica interna ed internazionale del nostro Paese per tutti gli anni avvenire. Invero, nel corso del 1918, le sollecitazioni da parte francese perché l'Esercito italiano assumesse iniziative offensive ebbero ad assumere carattere di grande insistenza allegando anche la critica situazione interna del nostro avversario. Ma il crollo dell'Austria-Ungheria poteva essere ottenuto solo battendone l'Esercito, che costituiva l'anima e la struttura portante di questo Impero plurinazionale. La vittora era, peraltro, un'impresa ardua per il solo Esercito italiano dopo la scomparsa di quello russo che, ad oriente, ne aveva impegnato una parte cospicua fino al 1917. Sono quindi giustificabili tutte le incertezze nei riguardi di una ripresa di iniziative offensive nel 1918. La vittoria dell'ottobre, senza dubbio facilitata dalla crisi interna dell'Impero asburgico, era il risultato non solo di una manovra coraggiosa e di un magnifico comportamento delle Unità impe-

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gnate ma era anche e soprattutto l'espressione di una raggiunta unità nazionale e della intima solidità della struttura umana ed economica del nostro Paese. Ed a confutare ulteriormente la tesi di un insufficiente nostro contributo allo sforzo alleato è sufficiente ricordare che, se era indubbiamente principale il fronte francese di 875 chilometri, su quel fronte erano impegnate forze belghe, britanniche, francesi, italiane, portoghesi, statunitensi per 220 Divisioni contro 190 Divisioni tedesche e 4 austriache con una superiorità del 135% da parte alleata nella forza numerica complessiva; ciò, mentre sul fronte italiano di 360 chilometri le nostre 57 Divisioni, di cui 6 alleate, mantenevano impegnate eguali forze austriache, corrispondenti ad oltre un quarto dell'intera forza degli Imperi Centrali (Doc. n. 669). II contributo italiano era quindi consistente anche senza la vittoria sul campo; sarebbe divenuto determinante con l'offensiva rischiosa, decisa, condotta faticosamente, e vinta. 4. La condotta delle operazioni sul fronte italiano

La condotta strategica delle operazioni dell'Esercito italiano nella I Guerra Mondiale iniziava nel 1915 a rime obbligate. È stata da qualche autore criticata la mancata recisione del saliente Trentino come atto preliminare all'offensiva verso Oriente sull'Isonzo, rifacendosi, in merito, anche alle esperienze napoleoniche. Ma queste critiche non considerano le difficoltà di tale operazione, condotta in un terreno difficile di per sé e per di più rafforzato con imponenti fortificazioni che non si sarebbero potute battere efficacemente per le carenze del nostro parco di assedio. Inoltre, una offensiva nel Trentino, mentre era oltremodo onerosa per noi, non avrebbe inciso che alla estrema periferia dell'Impero asburgico presentando semmai solo qualche interesse per una minaccia verso la Germania meridionale, che il nostro Governo non contemplava, almeno inizialmente. Sicché, dovendosi - per il mutato quadro generale - assumere l'iniziativa e passare ad un atteggiamento offensivo, l'attacco sull'alto e medio Isonzo verso Klagenfurt e Lubiana si presentava come unica soluzione possibile, in quanto tale da permettere di portarci verso il cuore della Monarchia avversaria ed, inoltre, di recidere le comunicazioni con Trieste e Pola e risolvere quindi a nostro vantaggio la lotta in Adriatico.· È vero che il Conrad ebbe a meditare, nel 1915, di lasciare libero il passo alle nostre forze sull'Isonzo per batterle in una grossa battaglia al di là della zona montana e lontane dalle loro basi, nella Valle della Sava; ma si sarebbe trattato di una manovra anch'essa evidente, né è da ritenersi estranea la preoccupazione di_simile trappola nella prudenza delle nostre operazioni iniziali. In una rapida sintesi possiamo ricordare come fosse tutt'altro che pro-


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pizia la situazione generale nella quale l'Italia dovette combattere. Tuttavia, nonostante le difficoltà del teatro di guerra e la maggiore esperienza iniziale del nemico, l'Esercito italiano nel 1915, oon ostinate sanguinose offensive, vincolò sempre più rilevanti forze austriache impedendo che fossero portate contro la Russia e contro la Serbia. Nel 1916, ·poi, sostenne la poderosa offensiva del Trentino, nella quale l'Austria aveva impegnato la parte migliore delle proprie forze a danno della fronte russa, ciò che facilitò il grande risultato ottenuto dal Brussilov. A sua volta il nostro Esercito -:- cessate lè operazioni nel Trentino - assestò all'avversario il fiero colpo di Gorizia e continuò tenacemente nelle operazioni durante l'autunno, in modo da non consentire che fossero distolte forze dall'Isonzo per rivolgerle contro la Romania. Nel 1917, le due grandi offensive del maggio e dell'agosto misero in forse la compagine dell'Esercito austriaco, tanto che questo ebbe bisogno di ricorrere all' alleato. Ma neppure la sconfitta di Caporetto potè fiaccare la forza di resistenza dell'Esercito italiano, che un mese dopo, da solo, arrestava gli Austro-Tedeschi sulla fronte montana. «Io mi dovetti convincere - scrisse Hindenburg - che le nostre forze non bastavano al raggiungimento di tali còmpiti ... La più tenace volontà dei Comandi che erano sul posto e delle loro truppe dovette, davanti a quella realtà, lasciar cadere le armi». In sostanza, nei primi tre anni di guerra il nostro Esercito conseguì un forte logoramento, a costo di gravi perdite, della parte migliore dell'Esercito austriaco sino a ridurlo all'estremo. Magnifica fu la ripresa dello spirito combattivo dopo l'invasione nemica seguita alla dodicesima battaglia, perfettamente paragonabile a quanto avvenne in Francia nel primo anno di guerra: ripresa che fu felicemente assecondata dalle disposizioni del nuovo Comando Supremo, intese a curare il morale delle truppe e ad assicurare la compagine organica delle divisioni. È indubbio che successivatnente al fallimento delle offensive iniziali il nostro Comando Supremo finì per vedere i propri disegni strategici sempre a raggio piuttosto limitato, nel quadro di una strategia interalleata intesa al «logoramento» ed al concorso reciproco tra i vari fronti attraverso il massimo impegno delle forze contrapposte. D'altra parte veniva giudicato che non si potesse rimanere inattivi: sia per l'esigenza politica di sostenere. l'utilità del nostro intervento, sia per la convenienza di ordine militare di concorrere alla vittoria alleata ed al contempo impedire all'esercito avversario di assumere le pericolose iniziative a lui consentite dall'infelice andamento del nostro fronte. Ma pure in un quadro così riduttivo va riconosciuto che esso diede al successo comune un importante contributo costringendo l'avversario ad aumentare costantemente il numero delle divisioni sul nostro fronte. Va ricordato, al riguardo, che, nelle pri-

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me 5 offensive dell'Isonzo, la nostra superiorità numerica in uomini, battaglioni e divisioni non trovava possibilità di realizzare successi sostanziali per le deficienze di artiglierie, munizioni, mitragliatrici ed altri mezzi. Successivamente la situazione dei mezzi tese a migliorare sia per l'aumento degli equipaggiamenti, sia per il perfezionamento di alcuni di essi, (bombarde, petardi Tevenot, ecc.), sia per il miglioramento delle tecniche d'assalto e della cooperazione fra le armi (conquista del Sabotino). Ma è da rilevare che il successo fu possibile solo quando venne realizzata, anche in minor grado, qualche sorpresa. Il Maresciallo Boroevic ebbe a dire che la difesa sul suo fronte era stata resa possibile dal fatto che egli aveva potuto sempre avere tempestivamente qualche avvisaglia degli attacchi imminenti e dei settori più minacciati, ai quali fare accorrere le sue riserve. La lunghezza dei preparativi connessi con gli ammassamenti di artiglierie e munizioni, le lunghe e metodiche preparazioni delle artiglierie, permettevano di predisporre le difese, rinforzarle, spostare le riserve verso i settori investiti. Invero, contrariamente a quanto generalmente ritenuto, gli assalti alle prime posizioni avversarie ebbero spesso a conseguire buon esito realizzando la «rottura»; ma questi primi successi erano poi annullati dai pronti interventi dei rincalzi e delle riserve nemiche che avevano buon gioco sulle esauste truppe giunte sulle trincee conquistate. Sicché i nostri successi maggiori poterono essere conseguiti, seppure sempre a caro prezzo, quando fu possibile realizzare in qualche grado una certa sorpresa. Così avvenne, ad esempio, nella 6a battaglia (di Gorizia) del 1916, quando dopo l'arresto della offensiva austriaca nel Trentino vennero trasferite rapidamente forze ingenti al settore isontino realizzandovi una robusta superiorità. Così avvenne anche, in parte, nella 11 a battaglia dell'Isonzo (o della Bainsizza) nel 1917, quando vennero sfruttati successi in settori inattesi e ricercate manovre «laterali» ausiliarie. Si è molto accusato il Cadorna per le sue direttive dottrinali sull' «attacco frontale» e per la reiterazione di azioni offensive condotte senza disporre di quei mezzi, ·specie artiglierie, che avrebbero dovuto consentirle con minori perdite e maggiori risultati. Al riguardo va detto che l'attribuzione di arretratezza di giudizio e di mancanza di sensibilità verso l'evoluzione tattica in atto, da parte del Cadorna, non sembra affatto cogliere nel segno. La taccia di colpevolezza alla direttiva del Cadorna costituì una s~mplificazione nel giudizio delle masse, di fronte all'imponenza del~e perdite'. queste ultime spesso causate da altri fattori quali: le incertezze di comandi inferiori, lo scarso addestramento alla cooperazione interarmi, l'addensamento delle formazioni, la mancata tutela del segreto, l'eccessiva persistenza delle azioni, ecc .. Certamente, pur constatando i fallimenti delle azioni offensive, non si ebbe il coraggio o l'accortezza di sospenderle; ma, su que-


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ste decisioni sembra doversi dire che non ebbe ad influire soltanto un minore apprezzamento delle possibilità dell'azione difensiva quanto - a nostro avviso - le condizioni stesse del nostro intervento, gli obiettivi politici che si riprometteva, la mentalità prettamente strategica del Cadorna, che - come si è detto - gli suggerivano un persistente mantenimento dell'iniziativa italiana nel quadro interalleato. L'Italia era infatti intervenuta con la speranza e l'aspirazione di rappresentare un fattore decisivo; il mondo politico ancora più di quello militare si attendeva un esito positivo ed abbastanza pronto; le caratteristiche del lungo fronte arcuato rendevano pericolosa qualsiasi iniziativa avversaria, peraltro possibile in molti punti del fronte; erano quindi convenienti ed erano anche sollecitati dagli Alleati l'assunzione ed il mantenimento dell'iniziativa. Le operazioni del 1915 avevano in conclusione costituito un duro banco di prova, che aveva messo in luce la necessità di maggiori mezzi e di procedimenti tattici più appropriati. Sul piano umano le unità avevano dato prove confortanti della loro compattezza; ma le forti perdite, soprattutto di Quadri, e la prospettiva evidente di un conflitto prolungato e logorante avevano posto in evidenza le esigenze di un ampliamento dell'intera struttura; alle maggiori esigenze di soldati si affiancavano le richieste di uomini per la mobilitazione industriale che riceverà da allora un contributo stimolante, dando i suoi frutti soprattutto nel 1917 e nel 1918. L'inverno 1915-1916 costituì un periodo importante di evoluzione dell'Esercito sia per l'esigenza di attrezzarsi a vivere ed operare in un ambiente invernale di alta e media montagna, sia per le anzidette necessità di espansione dell'intelaiatura militare e di mobilitazione dell'intero Paese. È indubbio che va attribuito al Comando Supremo retto dal Cadorna il merito di una mobilitazione integrale non solo dell'Esercito ma anche delle risorse umane, economiche e produttive del Paese, di cui esso assunse la direzione o ne fu, almeno, lo stimolo. È noto che non mancarono, fra Comando Supremo, Ministero della Guerra ed altre Amministrazioni dello Stato, ed infine con il Parlamento contrasti e tensioni che erano spesso insopprimibili espressioni di differenti vedute e possibilità. Vi fu chi ha sostenuto che il Governo aveva esautorato il Parlamento ed il Comando Supremo aveva esautorato il Governo assumendo tutti i poteri; né mancarono accuse di intendimenti del Cadorna di attribuirsi poteri politici, cosa che non risulta affatto provata e che può, anzi, essere decisamente negata. Certamente una maggiore flessibilità dell'uomo ed una sua più ampia ricerca di collaborazioni avrebbero agevolato il conseguimento di una maggiore armonia ed il raggiungimento di più felici risultati. Ma tuttavia è indubbio che, dinanzi alle incertezze romane ed allo spirito spesso compromissorio dei politici, la fermezza del Cardona costituì un importante fattore di consolidamento della

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organizzazione militare e di sviluppo dello sforzo nazionale; la sua freddezza e forza di carattere consentirono di superare anche i momenti di crisi che l'azione avversaria e - talora - gli errori suoi o le manchevolezze altrui dovevano provocare. Sembra si debba dire, inoltre, che non vi fu mai un tentativo dei militari - a nessun livello - di esorbitare dai compiti e dalle proprie prerogative e responsabilità; ma che fu piuttosto una debolezza del Governo e della classe politica in generale a provocare una situazione di vuoto decisionale che spinse le Autorità militari a farsi promotrici dei provvedimenti considerati indispensabili od a rappresentarne la necessità. Attraverso l'Amministrazione della Guerra o altri organi, in buona parte costituiti da militari o da essi sollecitati, il Paese in quegli anni compì enormi sforzi di mobilitazione umana, finanziaria, produttiva e perfezionò le proprie possibilità in ogni settore. II conseguimento della vittoria costò indubbiamente grandi sacrifici. Il costo elevatissimo in morti, feriti, mutilati, dispersi e prigionieri, il prolungarsi del conflitto, il carattere di estremo logoramento per la vita in condizioni difficili nelle trincee e per le perdite provocate da una prevalenza del fuoco di artiglierie, bombarde e mitragliatrici piuttosto che da un contrasto umano a viso aperto, il grosso impatto nella vita di tutti per le privazioni alimentari e di vario genere non potevano non avere ripercussioni sul morale degli uomini e di tutti i cittadini nel paese, con influenze evidentemente reciproche. Le grosse perdite del 1915 presentarono subito il problema: quello cioè di garantire solidità all'intera compagine fino al raggiungimento della vittoria che - nelle nuovissime condizioni della lotta nella quale l'Autorità politica ci aveva comunque gettati - era condizione necessaria per la medesima sopravvivenza della compagine nazionale. E questo si presentava come problema non facile: sia per le condizioni di incertezza politica con cui si era arrivati al conflitto; sia per la continuata azione di contrasto esercitata da certe forze politiche e sociali; sia infine - appunto - per i caratteri assunti dalla guerra, la difficoltà di conseguire brillanti successi, le perdite ingenti connesse anche con quelli piuttosto risicati. Era - non vi sono dubbi - un grosso problema di difficile soluzione. Il Cadorna ebbe ad affermare come suo merito quello di aver saputo mantenere l'Esercito sul campo della lotta per oltre 29 mesi, in quelle difficili condizioni; è un merito che indubbiamente gli va riconosciuto. Ma va anche riconosciuto che - con le sue direttive e la sua condotta dell' azione disciplinare ed operativa - la soluzione data al problema, basata esclusivamente su un rafforzamento del regime disciplinare e penale e su una esacerbata selezione dei Quadri con l'esonero di coloro che in qualche modo avessero fallito nel raggiungimento degli obiettivi o nell'assolvimento del com-


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pito, ebbero a portare nel 1917 ad una grave situazione di logoramento del morale e, quindi, dell'efficienza operativa dell'Esercito. Checché se ne dica, il Cadorna fu un grande Capo, con le doti intellettuali e di carattere del Condottiero, ma pervicace nelle sue idee, vissuto in un ambiente civile e militare che anteponeva il Dovere, Dio e la Nazione, rappresentata dalla Istituzione monarchica, ad ogni interesse individuale e collettivo. La sua concezione dell'azione di comando era di stampo antico. Egli riservava a sé ogni decisione ed era piuttosto insensibile alle informazioni ed ai suggerimenti od alle richieste altrui: intendeva, insomma, avere ragione di amici e nemici incalzando gli uni e gli altri: i primi, per avere ed ottenere un sempre maggiore apporto; j secondi, nella costante ricerca del modo di logorarli e di batterli. Ma in questo sforzo egli finiva per non avere collaboratori di vaglia al suo Comando; egli non aveva - spesso - fiducia nei Comandanti di Armata alle sue dipendenze ma non li controllava né li seguiva riservandosi di esonerarli al primo insuccesso; respingeva le intromissioni del Re e dei politici ma, così facendo, si isolava e si privata della loro collaborazione e del loro supporto; sentiva l'esigenza di curare la salute e l'efficienza dei soldati e delle unità ma non il loro morale; per se stesso e per tutti esisteva una sola religione: quella del dovere. Alla lunga e, soprattutto, nei momenti di crisi questa durezza porterà a contrasti ed aspri giudizi: infine, alla intenzione del Governo di procedere alla sua sostituzione. Come si è detto, egli ispirava la sua condotta e la sua azione di comando ad una elevata concezione del dovere. Ma se tale concezione e le doti intellettuali e di carattere del Cadorna avrebbero potuto avere buon gioco in una guerra quali quelle"sostenute nel secolo precedente, esse - nelle condizioni di quella in atto e per la serie di apparenti insuccessi delle sue offensive - portavano non solo al logoramento della compagine avversaria ma anche a quello delle nostre Armate e dei loro uomini. Il Voi. IV di questa Relazione ha messo in rilievo quelle che sono state le manchevolezze e gli errori che furono all'origine del disastro di Caporetto, né ha taciuto delle deficienze dell'azione politica del Governo che il Cadorna lamentava così vigorosamente nelle sue lettere al Salandra ed al Boselli; in questa sede, si ritiene di dover dire che le indubbie deficienze negli schieramenti e nell'impiego di artiglierie e riserve probabilmente non avrebbero avuto ripercussioni così estese se non vi fosse stata una situazione tanto compromessa sul piano della solidità morale della compagine. Al contempo, si deve riconoscere che la maggiore colpa del nostro Comando Supremo va attribuita, più che agli errori di carattere strategico o tattico ai quali del resto seppe sempre ovviare in· modo nel complesso superiore ad ogni elogio, proprio sul piano dell'azione morale e del governo degli uomini che sta alla base di qual-

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siasi successo. Mancò infatti nel Cadorna, ma anche in altri maggiori Comandanti e negli Stati Maggiori dei Comandi, la percezione esatta della estensione e gravità della depressione morale delle truppe; soprattutto mancò la percezione di quanto essa fosse conseguente ad una condotta offensiva della guerra troppo impegnativa e scarsa di risultati, portata avanti da unità scarsamente idonee per mezzi ed addestramento. In quella situazione il Comando Supremo avrebbe dovuto avvertire come fosse impossibile al Governo fare molto di più, e che comunque il problema doveva essere risolto nel quadro dell'Esercito stesso, consolidandone la struttura, concedendo un riposo alle truppe, limitando gli oneri ed i sacrifici, ricercando risposte alle esigenze di maggiori mezzi, migliori forze, nuovi metodi. Il grande merito del Diaz, uomo sotto certi aspetti inferiore al Cadorna sul piano del carattere e delle idee ma non su quello professionale e pratico, fu di aver attribuito la dovuta priorità alla soluzione di questo problema conseguendo - certamente in una situazione generale diversa e dopo il giugno del 1918 sempre più favorevole - quel risultato che in precedenza era stato inseguito invano. Il problema della condotta delle operazioni offensive va riconosciuto che rimase sempre irrisolto da noi, come - del resto - su altri fronti; e con esso, ad eccezione dell'ultima battaglia, quello di come far seguire alla rottura la penetrazione in profondità, soprattutto per le difficoltà degli spostamenti in avanti delle artiglierie e di tutto. il pesante dispositivo connesso con una concentrazione di forze così consistente in spazi piuttosto limitati. Di fronte alla reiterazione degli attacchi sul fronte isontino o in corrispondenza di difficili posizioni montane (Tonale, Coni Zugna, M. Santo, M. Ortigara) la condotta strategica e tattica austro-ungarica poteva avere buon gioco essendo avvantaggiata da tutti quei fattori che - nel corso della I Guerra Mondiale - andarono a favore della difensiva. Invero, sia per effetto del loro impegno su altri fronti, sia per l'andamento pendolare della strategia degli Imperi Centrali, l'Esercito austro-ungarico venne a limitare le sue operazioni offensive ad una sola per ogni anno: 1916,'17, '18, dando ad esse maggior cura nella preparazione e nella scelta dei punti di applicazione ai fini delle possibilità di sfruttamento strategico. Era, peraltro, una possibilità maggiore connessa con l'andamento così infelice del nostro fronte, ad S rovesciata e con sviluppo parallelo al mare, sì da facilitare operazioni di avvolgimento delle forze dislocate all'estremo orientale della Pianura Veneta. È da dire che, nel caso delle offensive austro-ungariche del 1916 e del 1917, non ebbero a mancare le notizie a noi pervenute circa i preparativi avversari, l'entità delle forze, il settore d'azione probabile, l'imminenza del-


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l'attacco; ma la sorpresa ebbe egualmente a verificarsi per effetto dello scarso conto che ne venne tenuto al Comando Supremo. Allora, il nostro Servizio Informazioni, pur partito da assai umili inizi, ebbe a conseguire successi sempre più notevoli; ma il maggiore inconveniente, particolarmente durante il periodo del Cadorna, fu che le informazioni raccolte sia dal Comando Supremo sia dai Servizi Informativi delle Armate, fra le quali ebbero a distinguersi particolarmente quello della 1a Armata nel Trentino e quello della 3a Armata, non vennero adeguatamente apprezzate e sfruttate. . Sicché, indubbiamente, le offensive austro-ungariche conseguirono buoni successi sul piano tattico realizzando sempre la rottura su tratti più o meno vasti del fronte. La «Strafexpedition» del maggio-giugno 1,916, in particolare, ottenne rapidi successi iniziali su unità disposte in posizioni poco idonee alla difesa, ma trovò anch'essa difficoltà nella prosecuzione e nell'alimentazione degli sforzi nella zona montana e potè essere arrestata prima di aver raggiunto il piano; i ritardi nella sua esecuzione dovevano, dapprima, permettere la costituzione della 5 a Armata destinata ad una eventuale battaglia campale agli sbocchi in piano, ed in seguito il successo italiano a Gorizia. L'offensiva austro-ungarica dell'ottobre 1917 fu concepita ed organizzata con molta cura, portata in un settore e su direzioni assai bene scelte, eseguita secondo nuovi procedimenti di azione dell'artiglieria e delle unità attaccanti che avrebbero sicuramente conséntito un buon successo almeno iniziale. È purtuttavia chiaro, da un accurato esame «a posteriori», che molte circostanze fortuite ebbero a facilitarne un esito particolarmente rapido e felice, il quale - a sua volta - si ripercosse negativamente sulle possibilità di reazione dei Comandi e delle Unità di riserva e diffuse il panico, particolarmente nelle retrovie. Certamente l'offensiva austro-ungarica dell'ottobre 1917 ebbe a conseguire un grosso successo, ma, come è stato già posto in rilievo, questo non addusse ad una situazione strategica foriera di maggiori risultati; esso, anzi, determinò per noi una condizione di maggior equilibrio tra forze ed estensione della fronte che, in ultima analisi, consentì all'Esercito italiano di sostenere vittoriosamente i tre ultimi decisivi confronti con l'Esercito avversario: quelli difensivi del novembre-dicembre 1917 e del giugno 1918, quello offensivo dell'ottobre del 1918. Decisivo risultò, nonostante qualche successo iniziale, il fallimento dell'offensiva austriaca del giugno del 1918 che, nonostante una rilevante supetiorità di forze, trovò un Esercito italiano pronto a riceverla, a constrastarla con gli interventi dell'artiglieria e dell'aviazione, a contenerla prima ed a respingerla poi con l'organizzazione della difesa in profondità e con l'impiego di forti riserve. In ultima analisi, sul nostro fronte, né da parte italiana né da parte austriaca furono completamente risolti i problemi connessi con la realizzazio-

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ne di un pieno successo dell'azione offensiva contro posizioni difensive organizzate e presidiate con forze di sufficiente densità e salde nel morale. Mancò sul fronte italiano quella sproporzione fra forze e spazi che facilitò le rotture e le manovre sui fronti russo e balcanico, mentre non fu possibile realizzare da nessuna delle due parti quelle concentrazioni di forze e di mezzi che sul fronte francese consentirono: prima ai Tedeschi i successi della primavera del 1918, e poi agli Alleati la successione di spinte offensive dell'autunno del 1918. Comunque, come si è detto, l'Esercito italiano, pur senza mai riuscire a battere decisamente il suo avversario in singole battaglie, ne venne man mano ad assorbire la quasi totalità delle forze provocandone un deciso logoramento, c~e incrinò, insieme al blocco economico, le sue possibilità di resistenza all'urto finale. Nel 1918 l'Esercito italiano, attraverso molteplici provvedimenti di cui si è parlato (costituzione delle unità d'assalto, costituzione del battaglione di fanteria «Tipo» pluriarma, articolazione del dispositivo in «masse di rottura» e «masse di penetrazione», emanazione di nuove «Direttive per le Grandi Unità nell'attacco», etc ... ) stava evolvendo in modo deciso in vista di quelle operazioni manovrate che si intendeva condurre nella primavera del 1919. In un certo senso, quindi, nell'autunno del 19 i 8 esso non era ancora preparato convenientemente né aveva attuato tutti quei provvedimenti organici ed addestrativi che avrebbero dovuto consentire una maggiore capacità manovriera. Ma, nell'ottobre del 1918, esso seppe cogliere il momento favorevole impostando una manovra concepita con larghezza di vedute in vista di grossi risultati di ordine strategico ed attuata con largo impegno di Comandi ed Unità, uniti in uno slancio assai apprezzabile, particolarmente dopo oltre 40 mesi di guerra e dopo le tristi esperienze dell'autunno del 1917: Il modo con cui l'Esercito intero aveva sapùto reagire al disastro ed alle perdite di quell'anno e lo spirito offensivo rivelato dalle sue Unità già nella «battaglia dei Tre Monti» del gennaio del 1918, nei contrattacchi sul Montello e sul Basso Piave, ed infine negli attacchi sul Grappa e sul Piave, testimoniano di una struttura nel complesso sana, capace ad ogni livello di Comando e di esecuzione, ed animata da spirito di iniziativa e di volontà combattiva, tesa a cogliere quel successo che solo un atteggiamento offensivo poteva permettere. Certamente, però, l'entità del successo costituì, sotto certi aspetti, una sorpresa poiché il nostro Comando Supremo ebbe sempre il massimo rispetto dell'avversario e fu piuttosto contrario alle facili sottovalutazioni delle sue possibilità, che rimanevano cospicue; ma esso e tutte le Grandi Unità ·dipendenti seppero adeguare prontamente la loro azione a situazioni fluide ed in rapida evoluzione. In effetti, l'inseguimento trovò ostacolo essenzialmente nelle grosse difficoltà logistiche che abbiamo cercato di illustrare; difficoltà - del resto - analoghe a quelle riscontrate poi da parte alleata sul fronte occidentale.


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Abbiamo in precedenza ricordato come l'Esercito austro-ungarico abbia eseguito poche azioni offensive preparandole però accuratamente, esercitando grossi sforzi in settori relativamente deboli ed agendo su direttrici opportunamente scelte. Sebbene non siano pervenute agli obiettivi strategici desiderati, esse hanno sempre conseguito la rottura e risultati di tutto rispetto impegnando severamente i Comandanti e le Unità italiane, che nel 1917 furono costrette alla più difficile delle manovre: quella in ritirata. Ciò va considerato una testimonianza che il nostro avversario era un Esercito ben comandato ed efficiente, degno delle sué migliori tradizioni. È da dire, anche, che nel corso delle nostre offensive buona parte delle perdite - soprattutto di prigionieri e dispersi - nonché di posizioni in precedenza occupate, erano provocate dalla prontezza con cui venivano esercitati i contrattacchi e le azioni controffensive da parte di rincalzi e di riserve tenute in posizioni defilate ma impiegate decisamente e tempestivamente contro le nostre unità spesso esauste e non ancora consolidate sulle posizioni nemiche, ben note al nostro avversario e non ancora predisposte a difesa col fuoco e coll'ostacolo. Ciò indusse una certa sTiducia nelle capacità del nostro Esercito di condurre con successo azioni difensive; abbiamo visto emergere in una lettera del Diaz del gennaio 1918 un giudizio di maggiore idoneità dei nostri uomini all'azione offensiva; né mancò - prima del giugno 1918 - qualche timore di cedimenti di fronte all'imminente grosso tentativo avversario. La convinzione di una presunta minore attitudine e fermezza del nostro soldato nella difesa e, quindi, della opportunità conseguente di mantenere sempre l'iniziativa attaccando, merita un approfondimento. È da porre in rilievo come, sul piano dottrinale, il Comando Supremo non abbia mancato di diffondere e prescrivere l'adozione dei provvedimenti che man mano, nel corso del conflitto, venivano assunti dai vari Eserciti per perfezionare le possibilità difensive del proprio fronte. Norme per la costituzione di doppie e triple linee di bretelle, l'organizzazione delle posizioni, lo schieramento degli ostacoli e degli elementi della fortificazione c~mpale; infine, nel 1918: le predisposizioni per una difesa in profondità, il forte scaglionamento delle riserve, l'organizzazione degli interventi dell'artiglieria, testimoniano della cura rivolta dall'Alto Comando nei riguardi di questo problema. Non va però negato come, sul piano della condotta strategica, furono indubbiamente . compiuti errori di valutazione che, spesso trascurando o non apprezzando correttamente le notizie ricevute, consentirono al nostro avversario di conseguire successi iniziali di qualche peso che imposero contromanovre piuttosto affannose. È noto, infatti, come - nel 1916 - di fronte alle richieste di rinforzi da parte del Gen. Brusati, motivate dalle informazioni di una offensiva im-

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minente nel Trentino, il Cadorna rimanesse scettico verso questa possibilità prendendo provvedimenti adeguati soltanto dopo che la minaccia si era concretata esiziale. In pratica, questo errore fu ripetuto anche nell'ottobre 1917 con l'assunzione di provvedimenti tardivi ed insufficienti nonostante le informazioni dettagliate e concordi avute dai disertori; la rapidità con cui si verificarono le penetrazioni, i ritardi e le inesattezze con cui pervenivano le informazioni sulla situazione, le difficoltà di tempestiva diramazione degli ordini, i ritardi negli interventi delle riserve ed il loro impiego spesso maldestro si tradussero in una crisi dell'intera ala sinistra della 2a Armata, che si ripercosse su tutta la retrovia di questa grossa unità complessa. I giudizi critici allora diffusi circa il comportamento non onorevole delle unità avanzate sono risultati successivamente del tutto infondati; episodi di resa semmai interessarono unità di seconda linea che, male impiegate, si videro attaccare improvvisamente e spesso superare, finendo per considerare ormai vana ogni resistenza dinanzi a forze che si ritennero soverchianti, dati i risultati ormai conseguiti. Alla situazione di confusione e di panico non mancò di contribuire la consapevolezza che in tutte-le nostre precedenti offensive era risultato pressoché impossibile esercitare profonde penetrazioni. Ed il fatto aveva finito per ingenerare la convinzione, anche nei maggiori Comandanti, che un ritorno alla guerra manovrata fosse impossibile, mentre le Unità avevano perso la capacità di condurla. La profondità delle penetrazioni e la rapidità con cui si verificarono costituirono, quindi, una «sorpresa», inspiegabile sul momento e, perciò stesso, più gravida di effetti. Mentre il Comando Supremo ed i vari Comandanti ad ogni livello pensavano a come sottrarsi al contatto e riparare al disastro (ed occorre riconoscere che, pur con grandi sacrifici, lo seppero fare assai bene), gli avvenimenti avevano gravi ripercussioni soprattutto su unità ed organi dei servizi nelle retrovie che si sbandarono in ripiegamenti affannosi-e incontrollati anche perché erano mancate tutte le predisposizioni per una eventuale ritirata. Le direttive per la battaglia del giugno 1918 tennero ben conto di queste infelici esperienze ed ovviarono in modo ~ccellente agli errori precedenti. Ma più che agli errori di ordine strategico la nostra preparazione al combattimento difensivo si rivelò carente in campo tattico, per molteplici motivi di vario ordine: materiale e morale. Le stesse diatribe avvenute nel corso e dopo la guerra circa le priorità ed i caratteri delle azioni di fuoco dell'artiglieria stanno a dimo-5trare come esse ebbero ad evolvere partendo da una situazione iniziale di scarsa aderenza alle esigenze della contropreparazione, della interdizione e della controbatteria nell'azione difensiva. Per quanto si riferiva all'azione di fuoco della fanteria per l'arresto degli attacchi e degli assalti avversari, va considerato che - data la limitata distanza generalmente esistente fra le contrapposte trincee avanzate - essa poteva es-


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sere efficace soprattutto se sviluppata da mitragliatrici impiegate con tiro fiancheggiante avanti e sull'ostacolo. La nostra scarsa disponibilità di tali armi, rispetto all'avversario, imponeva di aumentare il numero dei fucili e degli uomini nelle linee avanzate per consentire una maggiore capacità di fuoco e di resistenza all'urto. Era una tendenza che trovava alimento anche in alcuni fattori indubbiamente presenti: il primo era costituito dal desiderio di mantenere il possesso di posizioni per la cui conquista si era duramente combattuto; il secondo consisteva nel fatto che il giudizio di un maggiore vantaggio tattico offerto dal passaggio alla difesa su posizioni più arretrate ed economiche era contrastato dal timore in molti Comandanti di essere accusati di scarso spirito combattivo e, perciò, «esonerati», o come si diceva «silurati» (cosa esecranda non solo e non tanto per le prospettive di una carriera che sono state sempre - in Italia - piuttosto magre, quanto per il demerito attribuito ad un comportamento poco onorevole; ciò particolarmente in un Esercito come quello italiano, che ha sempre conferito sommo significato alle virtù del valore, della tenacia, dello spirito di sacrificio; insomma del comportamento «onorevole» sul campo di battaglia); quale terzo fattore va considerato che il soldato italiano non ama sen(irsi minacciato da avvolgimenti o accerchiamenti o prospettive di prigionia. Sicché i Comandanti non ritenevano confacente alla solidità della difesa il diradamento della difesa avanzata e lo scaglionamento delle forze in profondità, provvedimenti che avrebbero potuto tradursi in una rapida perdita delle posizioni avanzate, in un intempestivo intervento dei rincalzi, in una insufficiente tenuta delle linee più arretrate. A tutti questi fattori vanno poi aggiunti quelli endemici del carente inquadramento e dello scarso addestramento. Nel calore del combattimento l'uscita dai ricoveri, gli interventi di fuoco ed i contrassalti finivano per essere affidati ai minori Comandanti in linea, di cui si sono ricordati, nel capitolo V, la insufficiente preparazione nonché la esigua entità, particolarmente nel settore così importante .dei Sottufficiali. Ma l'eccessivo addensamento sulle posizioni avanzate aveva due gravi riflessi negativi. Il primo era che le predette posizioni avanzate, ravvicinate all'avversario, note nel loro andamento e spesso dominate, erano più intensamente battute dalle artiglierie nemiche, mediamente di calibri maggiori delle nostre e quindi più efficaci contro lavori di fortificazione campale; in conseguenza le unità ivi dislocate subivano grosse per,dite e venivano quasi sempre sopraffatte. Il secondo si traduceva nel fatto che, realizzata la rottura delle posizioni avanzate, mancavano forze per l'occupazione di quelle più arretrate mentre l'intervento delle riserve poteva risultare tardivo e talora mancante' qualora esse non fossero a portata di mano, come infatti avvenne nella battaglia di Caporetto, ma anche sull'Altopiano di Asiago nel

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1916. A questi inconvenienti maggiori se ne possono aggiungere altri minori che ebbero talora qualche peso; ci riferiamo, per esempio, alla tendenza ad una eccessiva propensione per il possesso delle quote a svantaggio della difesa dei fondi valle, oppure allo schieramento della difesa in cresta anziché sulla pendenza od in contropendenza. Nel complesso, il nostro avversario - fors'anche perché combatteva in un territorio non proprio ed in altro quadro di ordine politico e strategico - organizzò sempre le sue posizioni difensive secondo criteri di sicura validità strategica e tattica. L'organizzazione della resistenza nelle teste di ponte di Tolmino e di Gorizia, nonché ad oriente di quest'ultima località e sul ciglione del Carso, i suoi ripiegamenti sulle forti posizioni della conca di Asiago nel giugno del 1916, l'apprestamento della difesa sul Grappa dimostratasi così efficace anche nella nostra ultima offensiva, testimoniano una concezione difensiva sempre impostata su criteri tatticamente ineccepibili. Ma, esposti e riconosciuti i fattori che molto spesso ebbero a provocare una minore efficienza difensiva delle nostre Unità ed a ripercuotersi quindi negativamente nel corso delle maggiori offensive avversarie, riteniamo di dover negare nettamente l'accusa di scarsa fermezza del soldato italiano, di una sua maggiore attitudine all'entusiasmo ed all'attacco e di una sua congenita minore capacità difensiva per facile demoralizzazione. Gli innumerevoli episodi, sia nella zona montana - al Tonale, al Pasubio, sull' Altopiano di Asiago e sul Grappa - sia sul Piave (soprattutto nella strenua difesa del novembre e dicembre 1917 in condizioni difficilissime per inferiorità di forze e mancanza di sistemazioni difensive predisposte) testimoniano l'avventatezza e l'assoluta fallacia di questo giudizio. È cosa naturalmente logica che nell'azione offensiva il morale delle unità possa essere galvanizzato dalla percezione della superiorità acquisita nelle forze e nei mezzi, nonché dalla maggior dinamica dell'attività e dalla fiducia nel successo. Ciò, mentre nell'azione difensiva l'attesa, le incertezze, talora la consapevolezza di una manifesta inferiorità possono indurre preoccupazioni e timori. Ancora maggiori le difficoltà di condotta dei reparti nel corso delle manovre più difficili: quelle in ritirata, specie quando manchino notizie precise sull'andamento generale dell'azione, nostra ed avversaria. Ma, anche sotto questo aspetto possiamo ricordare il lodevole comportamento delle unità della 3 • Armata e delle Divisioni del Corpo d'Armata Caviglia nel corso della ritirata dall'Isonzo al Piave, quello encomiabile delle Divisioni 20• e 33 • del Corpo d'Armata Speciale del Gen. Di Giorgio nella difesa della testa di ponte di Monte Ragogna - Ponte di Pinzano, quello eroico delle unità di fanteria della Brigata «Bergamo» (Reggimenti 25° e 26°) e di cavalleria della II Brigata (Reggimenti «Genova» e «Novara») nelle azioni di retroguardia in quel di Pozzuolo del Friuli. La fermezza nelle


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azioni difensive ed il controllo della manovra in condizioni spesso difficili di forze, tempo e spazio nonché di incertezza di ordini ed informazioni sono subordinate a: buon inquadramento ad ogni livello; efficienza fisica, morale e materiale; compattezza della compagine normalmente classificata come «Spirito di Corpo»; consapevolezza dei motivi della lotta. Sono condizioni certamente più agevoli ad ottenersi in una guerra difensiva in cui i cittadini-soldati si sentono minacciati nella vita, nella libertà, negli averi. E, come è noto, anche per questi motivi le unità del nostro Esercito dimostrarono ben altra efficienza nelle azioni di fine anno 1917 e del 1918, quando cioè le condizioni morali e spesso quelle materiali ebbero a richiederlo ed a consentirlo. Contribuì anche, come abbiamo già notato in altra occasione, la maggiore stabilità organica e l'esperienza acquisita dal personale di inquadramento formato piuttosto affrettatamente negli anni 1915 e 1916, ma poi impratichitosi nella dura vita di guerra. L'Esercito italiano nel 1·918, come ripetutamente si è riferito, non era inferiore né negli uomini né nei metodi a quelli amici ed avversari; i suoi mezzi erano ritornati ad un buon livello, inferiore ancora - peraltro - a quello del 1917; ma, soprattutto, i suoi soldati erano motivati, convinti della loro buon causa, risoluti a non cedere altro terreno della Patria, desiderosi di concludere la guerra con la vittoria. Nella sua conferenza del 23 settembre 1918 il Sottocapo di Stato Maggiore dell'Esercito Gen. Badoglio riconosceva che occorreva risparmiare gli uomini «dei quali troppo si era sperperato». Quello del personale, della forza complessiva alle armi, dei complementi e degli esoneri era un problema organico, ma era soprattutto un problema morale; il Comando Supremo del 1918 non ebbe ad indebolire il livello disciplinare né, proporzionalmente, ebbe a diminuire molto gli esoneri e le condanne verso gli immeritevoli, né abbandonò la persecuzione dei disertori; ma i provvedimenti repressivi erano accompagnati da misure di ogni ordine intese _a rinfrancare il morale delle unità attraverso la stabilità organica, la revisione degli impieghi, la misura nelle richieste dei sacrifici, la ricerca di una elevata probabilità di successo sia nell'azione offensiva sia in quella difensiva, Il soldato italiano, così sensibile al trattamento ed al rispetto della sua personalità, avvertì tutto questo: sentì di non essere più buttato allo sbaraglio inutilmente, sentì di poter aver fiducia nel Comando che gli additava compiti e doveri; la propaganda, non assente anche prima di Caporetto, si innestava in una condotta della guerra più prudente ma anche più risoluta in tutta la compagine nazionale. Il successo finale, quindi, non può considerarsi solamente frutto di una situazione di logoramento e di inferiorità morale del nostro avversario, ma anche di una accresciuta capacità operativa delle nostre forze che, per effetto degli sforzi dell'intero Paese e di tutta la struttura militare, avevano

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saputo riaversi dalla crisi del 1917 e trovare le vie di un deciso potenziamento morale e materiale; L'esito della battaglia di Vittorio Veneto non fu un evento fortunoso né un episodio a sé stante. Esso fu il risultato conclusivo di 41 mesi di guerra duramente combattuta e sofferta dall'intero Esercito e dal Popolo italiano, condotta, anche con qualche errore ma con onestà di intenti e spirito di sacrificio, da Comandanti, Stati Maggiori, Quadri ed Unità, che si dimostrarono all'altezzà del bisogno ed in tutto degni della fiducia in essi riposta. 5. L'evoluzione organica, tattica e dei Servizi informativi e logistici del nostro Esercito

Prima del conflitto gli orientamenti ad una guerra manovrata, che avrebbe dovuto risolversi in grandi battaglie d'incontro, aveva portato a concezioni ordinative piuttosto standardizzate su base binaria (Corpo d'Armata su 2 Divisioni di 2 Brigate di 2 Reggimenti); variabile risultava essenzialmente la composizione delle Armate; era previsto che le Brigate di Fanteria fossero frequentemente sostituite quando logorate. Nel corso della guerra di posizione le lunghe ed accurate fasi di preparazione degli atti tattici avevano portato, invece, alla ri'cerca di precisi dosamenti delle varie Armi secondo le prevedibili esigenze della rottura e della penetrazione nei singoli casi. Quindi ogni azione doveva implicare sforzi coordinati di vari mezzi; inoltre, sia in difesa sia in attacco, le sostituzioni o gli scavalcamenti delle schiere e scaglioni avanzati rappresentavano momenti di crisi sicché le Unità dovevano avere maggiori capacità di persistenza nell'azione nonché disporre di riserve e rincalzi in proprio; di qui un successivo orientamento ad organizzazioni ternarie ed alla stabilità divisionale. La proporzione di artiglierie, genio ed altri supporti aveva progressivamente teso ad aumentare sicché in tutti gli Eserciti ci si orientava ad una composizione molto variabile della Grande Unità tattica Corpo d'Armata, mentre relativamente stabile era divenuta la Divisione a base ternaria. Nell'Esercito italiano permanevano invece le due Brigate su due Reggimenti; ma, nel 1918, era acquisito il criterio di una stabilità organica della Divisione, essenzialmente come mezzo per assicurare un migliore affiatamento di tutti i suoi componenti e per garantire la possibilità di inserire opportunamente nella sua struttura ordinativa i consistenti rinforzi assegnati di volta in volta. A questa esigenza rispondeva evidentemente la costituzione dei Comandi divisionali di artiglieria. Il rafforzamento dell'azione di fuoco dell'artiglieria, le cui disponibilità in entità ed interventi si facevano sempre più determinanti, non riduceva però le esigenze del supporto di fuoco rav-


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vicinato e di aderenza, a tiro teso e curvo, della fanteria. Ciò: sia in fase di rottura, per la vicinanza degli obiettivi in relazione alle distanze di sicurezza; sia in fase di penetrazione, per la difficoltà di realizzare, a quel tempo, tempestività ed aderenza in fase di movimento. Sicché la fanteria tendeva a disporre in proprio di mezzi molteplici, dalle mitragliatrici pesanti e leggere ai moschetti automatici ed alle pistole mitragliatrici; dai lanciafiamme alle bombe a mano ed ai lanciabombe; dai mortai ai cannoncini. Sebbene nell'autunno del 1918 il nuovo battaglione «Tipo» fosse ancora in fase sperimentale, le unità d'assalto erano avviate a costituire gli elementi di punta della manovra, mentre la disponibilità di unità di accompagnamento di vario tipo, organiche e di rinforzo, si era andata diffondendo largamente. È indubbio che l'artiglieria, specialmente quella pesante e pesante campale, accrebbe di numero e di peso sull'esito delle azioni; la superiorità fu ricercata anzitutto attraverso la concentrazione di pezzi per chilometro di fronte e-la abbondante disponibilità di munizioni, oltreché attraverso superiori modalità tecniche di impiego. Ma l'accresciuto valore attribuito al fuoco (si disse «senza fuoco non si avanza») non diminuì affatto l'importanza di una fanteria solida, bene armata, intensamente addestrata. Le formazioni serrate di «carne da cannone» si rivelarono improduttive di risultati e provocatrici di grosse perdite, dando luogo a formazioni rade ed alla tattica di infiltrazione di piccole «colonne» pluriarma al livello plotone. La formazione della «massa» fu quindi attribuita all'artiglieria, mentre una fanteria di «élite» manteneva i caratteri di fattore determinante ed elemento decisivo dell'esito dell'azione. Rilevanti le esperienze relative allo sfruttamento dei mezzi a motore per il trasferimento di artiglierie e l'ammassamento di uomini e munizioni. In molteplici occasioni fu, pertanto, ricercat_a la «manovra» intesa come rapido trasferimento, possibilmente segreto, da un settore all'altro del fronte per realizzare quivi una decisa superiorità. La costituzione della 5 a Armata nel 1916 nel Trevisano e la successiva traslazione delle sue unità per la conquista di Gorizia, così come la concentrazione di mezzi e di forze realizzata per la offensiva dell'ottobre 1918 costituirono due esempi di ampio sfruttamento delle possibilità ancora piuttosto limitate della motorizzazione. Tali favorevoli esperienze si dimostrarono l'elemento di supporto degli orientamenti successivi verso una più ampia «motorizzazione» e la costituzione di «truppe celeri». Mancarono invece del tutto, nel nostro Teatro di Operazioni, esperienze di impiego di carri armati, mentre scarsamente probanti furono anche quelle di autoblindate. Nello sv1luppo della Relazione si sono dati ampi particolari circa la sempre più larga esigenza di unità del Genio e dei Servizi, che presentava pro-

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blemi gravosi e specifici di personale di inquadramento e di truppa, nonché di formazione addestrativa. È peraltro da notare che, quantunque la percentuale della forza complessiva della fanteria tendesse a diminuire rispetto al totale, la maggior parte delle perdite continuava a verificarsi nel suo ambito; sicché erano le sue unità che subivano il maggior logoramento mentre risultava per essa più delicato il problema del ripianamento delle perdite, se individuale o per pacchetti di uomini o per intere unità. Ciò si traduceva nel nostro Esercito in provvedimenti di varia natura intesi a realizzare una più razionale organizzazione delle Unità di marcia e delle loro attività addestrative, a migliorare gli interventi sanitari a favore dei colpiti, ad assicurare il rientro dei feriti ed ammalati guariti alla propria unità. L'ampliamento delle strutture e le perdite ingenti in una guerra che era divenuta anche guerra di materiali avevano dato al conflitto, sotto l'aspetto umano, caratteri di massa; sembrò, quindi, ad un certo punto, che l'aspetto qualitativo, e se vogliamo anche artistico, almeno sotto taluni aspetti, della condotta della guerra finisse per poter essere trascurato. Si trattava, però, di sensazioni e giudizi che l'ulteriore progredire del conflitto faceva superare. Le attività di informazione, comando e controllo risultavano sempre più articolate e complesse; quelle di combattimento coinvolgevano mezzi e procedure complicati e disparati; le stesse fanterie meno specializzate, la infelicemente definita «carne da cannone», si rivelavano via via più povere di risultati e tutti i belligeranti ricercavano la soluzione dei problemi tattici nella costituzione di truppe scelte, nell'accurato addestramento, nella cooperazione interarma, oltre che - laddove possibile - nel ricorso a nuovi mezzi quali le armi chimiche, le «tanks» e gli aerei. Mentre l'impiego dei carri armati fu a noi precluso sia dalla loro indisponibilità, sia dalle scarse prospettive loro offerte dalla geomorfologia e dall'andamento del fronte, il nostro Esercito, particolarmente negli ultimi due anni di guerra, non fu da meno degli altri nella ricerca di soluzioni agli ardui problemi tattici che la guerra di posizione andava ponendo. E, seppure - come d'altronde gli altri - non sempre abbia saputo trovare soluzioni proprie originali e risolvere completamente i problemi, tuttavia fu pronto a fare tesoro anche delle esperienze degli alleati o di quelle che ci venivano dal confronto con gli avversari. Abbiamo infatti sottolineato nel Cap. V di questo volume la prontezza con la quale, avvalendosi di un potenziato Servizio Informazioni e dei Nuclei di Collegamento con le Armate e con gli Alleati, si andarono nel 1918 modificando, nell'azione difensiva, schieramenti, procedure di intervento delle artiglierie, organizzazione dei fuochi, della osservazione e dei collegamenti, azione dei rincalzi. Una analoga ricerca di perfezionamenti veniva altrettanto perseguita nei riguardi delle predisposizioni e delle modalità del-


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l'attacco. Si doveva richiedere audacia, valore, ma anche freddezza e spirito di iniziativa, frutto di un addestramento consapevole e di una consuetudine scevra da improvvisazioni. L'attacco dovéva essere condotto con formazioni rade, sottili, e il meno vulnerabili possibile, tenendo pronti nutriti elementi a rincalzo immediato delle ondate avanzate. Al riguardo del costo dei nostri attacchi sembra opportuno ricordare che le perdite ed il logorio _,dei reparti italiani erano pari a quelli che si verificavano negli altri Eserciti. Tuttavia, l'Esercito italiano aveva in precedenza sofferto costantemente di sensibili deficienze di materiali e di addestramento. Nel campo tattico i comandanti dei minori reparti, pur non mancando di entusiasmo e di senso del dovere, avevano manifestato capacità limitate rispetto a1 quelle, per esempio, dei Quadri tedeschi; nei fanti si registrava la tendenza a raggrupparsi, provocando addensamenti nelle prime linee, sia negli attacchi sia nella difesa. In conseguenza si verificavano perdite assai elevate nelle unità di prima schiera ed una certa dipendenza del buon esito dell'azione era legata all'andamento degli scaglioni avanzati nei primi momenti dello scontro. Ciò, senza voler considerare altre questioni connesse, ad esempio, con la tendenza ad impiegare per le azioni più impegnative sempre le stesse unità, considerate di più elevato mordente. La costituzione dei reparti arditi e di assalto, quella prevista del Battaglione «Tipo», l'impiego di Divisioni e Corpi d'Armata di Assalto e di Cavalleria (a composizione mista di reparti di fanteria d'élite, ciclisti, cavalleria, artiglieria da montagna e autoportata), lo sviluppo di tecniche di rilevazione delle batterie nemiche per una attiva azione di controbatteria, la ricerca della manovra, l'intervento a massa dell'aviazione a favore delle operazioni terrestri, l'organizzazione accurata dello sforzo logistico anche in vista di una ripresa della guerra di movimento, costituiscono soltanto alcuni degli elementi indicativi dello sforzo che faceva dell'Esercito italiano del 1918 uno strumento del tutto degno di comparazione con quelli alleati e del successo conseguito. Nel corso della nostra guerra una larga parte dell'impegno offensivo e difensivo si era prodigata in terreni montani dove, alle difficoltà frapposte dallo stato delle difese e degli armamenti, si erano aggiunte quelle rappresentate dall'ambiente naturale e dal clima. Quivi, anche la relativa immobilità delle fronti non aveva consentito un alleggerimento delle condizioni non certo lievi della sopravvivenza stessa, specie nelle stagioni meno propizie. Ricordiamo come in tale ambiente risultassero particolarmente elevate le perdite per valanghe e congelamenti, soprattutto nell'inverno del 1915, e insufficienti le possibilità di ricovero sul Grappa alla fine del 1917. Per la guerra nelle aree dell'Adamello, dell'Ortles, del Pasubio, delle Dolomiti e delle Alpi Carniche il nostro Corpo degli Alpini, spesso affiancato da uni-

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tà di fanteria di linea, meno preparate ed attrezzate ma non meno pronte al paziente lavoro ed al tenace sacrificio, trovò motivo di svilupparsi e di migliorare le tecniche di vita e di combattimento, in nobile gara con reparti non meno quotati quali quelli dell'«Alpen Korps» bavarese e dei «Kaiserjagern austriaci. Nell'ambiente alpino i grandi successi arrisero certamente poco, ma quelli ottenuti furono sempre espressione di grande impegno tecnico e tattico, ed il risultato di iniziative operative di grande valore. Sul piano strategico la solidità delle nostre truppe in montagna indusse nel Comando Supremo la convinzione e la garanzia di poter affidare la difesa di un ampissimo tratto di fronte a forze relativamente esigue, nonostante la delicatezza e la sensibilità di alcune direttrici in relazione alle possibili azioni avversarie. In pratica questa fiducia rimase parzialmente delusa soltanto nel maggio del 1916, quando - peraltro - il successo avversario fu consentito dagli errori di valutazione sia del Comando Supremo circa la probabilità di una offensiva, sia della 1a Armata in merito alle possibilità difensive delle linee avanzate. In quell'occasione, così come in altre relative sempre alla difensiva, si rivelò appieno quello che appare il maggiore difetto della nostra condotta tattica: l'eccessivo impegno per il mantenimento di posizioni avanzate di scarso valore impeditivo ed operativo. Si trattò di un aspetto che si accompagnò a quello dello sforzo insistito e protratto nell'azione offensiva per la conquista di pochi metri di terreno o di posizioni che, dominate da quelle avversarie accuratamente prescelte, non costituivano affatto obiettivi corrispondenti ai sacrifici sostenuti. L'andamento del conflitto palesò inoltre, ed in modo sempre più manifesto, come i maggiori risultati di un attacco fossero copseguiti nel primo giorno della offensiva; allorché, infatti, gli obiettivi di qualche importanza non potevano essere acquisiti immediatamente, gli sforzi ulteriori si dimostravano tendenzialmente destinati al fallimento essendo destinati a scontrarsi con le riserve affluenti e ad essere sconvolti da tiri di repressione efficacemente orientati. D'altra parte, la difesa impostata sulle linee più avanzate aveva minori possibilità di essere condotta felicemente ed a lungo se non sostenuta tempestivamente da una capillare organizzazione dei fuochi e d'intervento delle riserve. Come si è detto, la tendenza prevalente nel nostro Esercito a concepire Io scontro immediato delle forze a contatto come un confronto di valore e di tenacia, e la conquista od il mantenimento di uha posizione come un elemento di prestigio da ascrivere al Comando ed all'Unità impegnati, corrispondeva ad una mentalità fortemente radicata. Mentalità legata al1'idea che la vittoria arride a colui che sia più capace dell'ultimo sforzo 0 dell'estrema resistenza e si appella alle più alte virtù del Comandante e dei soldati: religione del valore e dello sprezzo del sacrificio allora vivissima nel


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soldati; religione del valore e dello sprezzo del sacrificio allora vivissima nel nostro Esercito ma che, se conservava idoneità per una azione che potesse risolversi in una sola battaglia o in una breve campagna, non lo era più in una guerra di logoramento, nella quale la scelta delle strategie e delle tattiche più redditizie doveva dare soltanto alla lunga il suo risultato, così come la scelta degli obiettivi e delle posizioni. In pratica, per il timore di critiche o di minori apprezzamenti, si rinunciò ad esercitare una maggiore e più avveduta azione di Comando, provocando talora insuccessi e perdite controproducenti. A fianco delle esperienze di unità idonee alla guerra in montagna, nel nostro Esercito si manifestò una ricerca di ritornare - nei terreni piani ad una guerra di manovra attraverso lo sfruttamento della motorizzazione. Come si è più volte accennato non si trattò tanto di una vera e-propria applicazione del motore a mezzi di combattimento, cioè di un orientamento alla «meccanizzazione», quanto ad una «motorizzazione», vista: sia come mezzo di rapida traslazione di unità, artiglierie e supporti logistici al fine di manovrare all'interno del proprio fronte e realizzare in tempi brevi le grosse concentrazioni necessarie alla offensiva e la sorpresa; sia del celere sfruttamento delle rotture conseguite dalle truppe d'assalto. A questo orientamento avevano concorso le esperienze della battaglia di Gorizia nell'agosto del 1916 e quelle del Piave e di Vittorio Veneto nel 1918; esso trovava qualche espressione anche nelle direttive delle Grandi Unità per l'attacco, ed era fortemente caldeggiato dal Gen. Grazioli, di cui abbiamo riportato impressioni ed idee che troveranno echi ulteriori in un articolo del 1922: «Cavalleria moderna e Corpi celeri misti». D'altra parte, come si è avuto modo di far notare, nel corso della guerra di posi:z;ione erano andate perdendosi eccetto che sul piano dello Spirito di Corpo - le motivazioni di una differenza fra le specialità della fanteria quali i granatieri ed i bersaglieri ed anche tra fanteria e cavalleria. Solo nel 1918 la prospettiva di più ampi ricorsi a «masse di manovra», sia nell'azione offensiva sia in quella difensiva in profondità, rendeva manifesta l'esigenza di diversificare organizzazione, equipaggiamento ed addestramento delle unità destinate a costituirle. A fianco della fanteria, «regina» delle battaglie e dei sacrifici, nonché protagonista prima delle avanzate e delle resistenze, fattore necessario e spesso determinante del successo fu l'artiglieria. Già all'inizio del conflitto la nostra artiglieria disponeva di Quadri molto ben preparati dal punto di vista tecnico-balistico; i deludenti esiti delle nostre offensive iniziali furono essenzialmente il risultato di una scarsa disponibilità quantitativa di batterie e di munizioni, particolarmente nei tipi più necessari. Vi era infatti una prevalenza del calibro 75 mm, più idoneo in azioni manovrate e di scarso effetto contro trincee e reticolati, e forte deficienza di pezzi pesanti e pesan-

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ti campali. Oltre gli incrementi quantitativi dei materiali si fece altresì (particolarmente dopo le esperienze del 1917 ed anche in base agli scambi di notizie con i Servizi Informativi alleati sui rispettivi procedimenti di impiego delle artiglierie, nonché per le brillanti iniziative - fra gli altri - del Ten. Gen. D'Alessandro, Comandante Generale dell'Artiglieria, del Gen. Roberto Segre, Comandante l'Artiglieria prima della 3a e poi della 6a Armata, del Gen. Giuliano Ricci, Comandante dell'Artiglieria dell'8a Armata) un notevole passo in avanti nell'adozione di più idonee procedure tecnico-tattiche per la preparazione del fuoco, la predisposizione dei tiri, un più efficace coordinamento con l'azione dell'arma base, lo sviluppo di metodi di individuazione e determinazione delle batterie avversarie. Fu rivolta, inoltre, una maggiore attenzione alla organizzazione dell'osservazione ed ai collegamenti necessari per garantirla, anche con largo ricorso al Servizio Aereo di Artiglieria esercitato con palloni frenati e con aerei. Nei riguardi dell'impiego dell'aviazione si deve lamentare che l'ampia diffusione delle felici intuizioni del Douhet sul futuro della guerra aerea, le sue critiche talora intemperanti ed eccessive alla condotta del conflitto i suoi contrasti con altri uomini di spicco della giovane Aeronautica italia: na, nonché le vicissitudini post-belliche che addussero alla costituzione, nel 1923, di una Forza Armata indipendente, hanno ingenerato un giudizio del tutto errato circa un Esercito italiano scarsamente sensibile e pronto a servirsi dei nuovi mezzi aeronautici, e cieco e sordo nei riguardi sia delle esigenze della guerra nell'aria, sia delle possibilità di concorso aereo alla battaglia terrestre. Questo giudizio - come si è detto - è del tutto falso qualora si consideri che il nostro Esercito, indubbiamente quello meno ricco di fondi e di mezzi, fu il precursore dell'impiego bellico dell'aviazione nella guerra di Libia e che il nostro Comando Supremo, tanto con il Cadorna quanto con il Diaz, si adoperò per ottenere il maggior concorso possibile dai mezzi aerei, stimolando acquisti e produzioni di materiali e devolvendo le maggiori cure, in personale ed equipaggiamenti, allo sviluppo della nuova Arma. La verità è che le idee del Douhet, particolarmente nei primi anni della guerra, rappresentavano soltanto visioni avveniristiche rispetto ai mezzi allora effettivamente disponibili ed alle loro possibilità di impiego; i contrasti che lo videro protagonista e vittima furono dovuti non tanto alle sue idee in materia di lotta nell'aria quanto a questioni connesse con la sua personalità e le sue attività pubblicistiche politiche. Notevole ostacolo a più pronti risultati fu costituito dalle stesse lotte intestine fra gli uomini della nostra Aeronautica, divisi: fra preferenze a favore del più pesante o del più leggero dell'aria, fra il materiale aereo nazionale od estero e fra diversi tipi di impiego (ricognizione lontana e vicina, caccia, bombardamento). Ciò ritar-


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dò le produzioni e l'entrata in linea di molti modelli, mentre rese più problematica la soluzione del problema chiave della formazione del personale pilota ed osservatore, particolarmente in un Esercito che aveva una grossa deficienza di Quadri. Come abbiamo posto in rilievo a suo tempo, nonostante le grosse produzioni di aeroplani e di motori, il numero dei velivoli idonei al volo si mantenne nel 1917 e nel 1918 su cifre piuttosto costanti (600 + 700) ed il numero delle missioni compiute era contenuto soprattutto dalla disponibilità di piloti (circa 450 durante la battaglia di Vittorio Veneto). I successi ottenuti dalla nostra aviazione, l'ampio ricorso ad essa in ogni fase delle operazioni, e gli orientamenti dottrinali e d'impiego espressi prima durante e dopo le battaglie del 1918, la formazione presso nostre Scuole di Volo di piloti dell'aviazione americana (circa 400), la fornitura agli Alleati di aerei Caproni da bombardamento e di motori, i bombardamenti e le ricognizioni lontane con dirigibili ed aerei veloci, gli interventi di ogni genere nel corso delle battaglie che assicurarono nel 1918 una crescente superiorità sul cielo delle battaglie, costituiscono testimonianza di quanto asserito. È vero peraltro che nella guerra condotta dal nostro Esercito in terreno montano ed in un ambiente quale quello Venet(?-Friulano, che offre spesso condizioni scarsamente favorevoli al volo per precipitazioni o scarsa visibilità, la effettiva partecipazione dell'aviazione alla battaglia terrestre trovavà particolari difficoltà ed era sempre soggetta a numerose alee che rendevano poco certi, tempestivi e valutabili i reali risultati delle operazioni. Né si pensò m:l;i ai bombardamenti delle città indifese anche perché i possibili obiettivi erano costituiti da centri italiani delle terre da liberare o da «redimere», sicché gli interventi furono diretti essenzialmente ai campi di aviazione avversari od alle installazioni ferroviarie. Ricordiamo come, anche se con risultati locali e parziali rilevanti, nella stessa battaglia di Vittorio Veneto la partecipazione dell'aviazione alle operazioni incontrò forti limitazioni nelle condizioni atmosferiche avverse. Forse anche per questi riscontri di limitata affidabilità e sicurezza di intervento adeguato e tempestivo alle operazioni, nell'Esercito italiano, dopo la guerra, non si fece strada un maggior entusiasmo per il concorso ottenibile con il mezzo aereo, e si rimase piuttosto ancorati al supporto dell'artiglieria, mentre nel personale dell'Aeronautica l'attenzione finì per rivolgersi prevalentemente alla lotta nell'aria ed al bombardamento strategico, non legati ai tempi ed ai modi della battaglia terrestre, con la conseguente creazione di una nuova Forza Armata autonoma, che ai vantaggi molto noti accompagnò anche effetti spesso negativi ed inconvenienti. La Relazione ha dedicato la maggiore attenzione alle attività ordinative ed a quelJe operative, entrambe più appariscenti e documentabili; va detto, peraltro, che forse i maggiori progressi furono compiuti in due settori

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le cui organizzazioni erano molto carenti all'inizio del conflitto: quello dei Servizi Informativi e quello dei Servizi Logistici. Nei riguardi dei primi il libro del Col. Marchetti ne ha evidenziato lo sviluppo ed i risultati conseguiti 1 • Ciò, non tanto nei riguardi del vero e proprio spionaggio: settore nel quale la scarsa preparazione iniziale non potè essere corretta, sicché si dipese molto dalle informazioni della stampa e raccolte in paesi neutrali come la Svizzera finendo per essere «intossicati» (piuttosto che «informati») da notizie diffuse ad arte dai Servizi austriaci; maggiori informazioni si ebbero dalla collaborazione con i Servizi alleati, specie britannici. Ebbe invece assai felice sviluppo l'attività del Servizio Informazioni Operativo, sfruttando sia l'apporto ottenuto con l'interrogatorio dei prigionieri e dei disertori sia l'attività dei reparti in linea e sia, nel 1918, l'attività di informatori nelle zone del Veneto occupato. Fu quest'ultima una attività che abbiamo documentato in questo volume e che permise addirittura di concepire una organizzazione di guerriglia alle spalle dell'Esercito nemico, da far intervenire in combinazione con le offensive previste nel 1919. L'episodio di Carzano, illustrato dal Pettorelli Lalatta 2 e dal Di Lauro 3 - seppure non conclusosi con l'esito sperato - e soprattutto l'assenza di responsabilità nei riguardi dei successi austro-ungarici nelle offensive del maggio 1916 e dell'ottobre 1917, sulle quali erano state date tempestive ed accurate informazioni, testimoniano di un funzionamento soddisfacente del Servizio che, specie nel 1918, garantì un quadro sempre molto aggiornato e preciso dell'avversario, della sua consistenza ed atteggiamento, delle sue intenzioni. Per quanto concerne il Servizio Informazioni Operativo - infine - risultarono preminenti più che le difficoltà di ricavare notizie, spesso sovrabbondanti, quelle di ottenerne la conferma e di trarre quindi un corretto quadro informativo conclusivo. Inoltre è risultato pregiudiziale il rapporto troppo spesso non abbastanza stretto e confidente tra Comandante ed organi operativi da una parte, ed organi informativi dall'altra. Si deve tuttavia considerare che Comandanti di forte personalità tendono a far prevalere le proprie valutazioni ed a restare scettici di fronte a valutazioni altrui poco gradite o non corrispondenti ai propri disegni, mentre anche l'attività del Servizio ed il suo rendimento sono spesso subordinati agli orientamenti ed alle richieste del Comandante. Essenzialmente per queste motivazioni in molti casi non si ebbe un felice sfruttamento delle informazioni raccolte. Minori risultati furono conseguiti nei riguardi della tutela del segreto. 1 Marchetti Odoardo, Il Servizio Informazioni dell'Esercito italiano nella Grande Guerra, Regionale, Roma, 1937. 2 Pettorelli Lalatta Cesare, Note di un Capo del Servizio Informazioni di Armata, Agnelli, Milano, 1934. 3 Di Lauro Ferdinando, 1917. Un sogno: Carzano, in «Saggi di Storia etico-militare», USSME, Roma, 1965.


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Il controspionaggio fu infatti reso difficile sia per il permanere delle condizioni di pace con la Germania fino all'agosto del 1916, sia per le attività avversarie tramite la Svizzera e sia, infine, per 1a buona organizzazione di intercettazione telefonica e radiotelegrafica realizzata dai Servizi Informativi nemici cui seguì qualche nostro ritardo nell'avvertirne le possibilità ed i pericoli e nell'adottare i provvedimenti protettivi. Occorre inoltre ricordare che l'efficienza dei Servizi Informativi fu limitata dalla impostazione tardivll di essi, dalla molteplicità degli organi costituiti, dalla loro complessa dipendenza, dalle frequenti variazioni nella loro organizzazione strutturale e nel personale prepostovi. In ultima analisi, la concezione della guerra come scontro di volontà e di forze, da una canto, ed il preponderante impegno operativo, dall'altro, incisero sempre sfavorevolmente nella soluzione del problema informativo che in altri Eserciti, ad esempio quello britannico, è considerato fattore preminente e prioritario di qualsiasi successo. Nei riguardi dei Servizi logistici, questo volume ha cercato di dare una illustrazione del loro peso nel corso della battaglia di Vittorio Veneto. Sullo sviluppo delle produzioni e dei consumi numerose pubblicazioni hanno fornito elementi di valutazione quantitativa che permettono di avere un quadro efficace delle esigenze soddisfatte e dello sviluppo degli approntamenti. È da considerare che questi ultimi si estrinsecarono in innumerevoli provvedimenti ed attività intrapresi nel Paese, in tutta la sua dimensione e nelle retrovie della Zona di Guerra, da una serie quasi infinita di organi dipendenti dal Ministero della Guerra, dalle Intendenze (Generale e delle Armate), dalle Armate ed Unità dipendenti. Sicché una loro illustrazione completa, oltre che difficile per una documentazione spesso monca e lacunosa, risulterebbe sovrabbondante ed inconcludente. Ma non vi sono dubbi che solo dal funzionamento sempre più soddisfacente di questa pletora di organismi emerse la possibilità di condurre effettivamente e con successo le operazioni che portarono alla vittoria. Delle difficoltà e dei problemi affrontati, delle soluzioni adottate e dei risultati raggiunti ha trattato con efficacia il Gen. Guido Liuzzi, del _q uale ricordiamo ancora la conclusione: non è giusto dire che «i Servizi sono fatti per servire». Essi, infatti, «preparano ed alimentano le operazioni», sicché «operazioni e servizi devono costituire un unico ed inseparabile sistema» 1• Sul piano del funzionamento dei Servizi e dell'approvvigionamento dei materiali e dei mezzi necessari per la condotta della guerra è stato dato sempre molto rilievo all'imponenza dei consumi, ai problemi connessi con il loro trasporto ed il loro costo . Ma non dovrebbero essere trascurati neppu1Liuzzi Guido, Ricordi e pensiero di un ex-Intendente di Armata, Poligrafico della Guerra, Roma 1922, pag. Il.

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re gli influssi positivi che risultarono dallo stimolo indotto dalle esigenze belliche; a solo titolo indicativo se ne indicano alcuni : - i notevoli miglioramenti nella cura di feriti e traumatizzati e del Servizio Sanitario in genere; - la diffusione di consumi quali caffè, zucchero, carne , in precedenza assai limitati per buona parte della popolazione; - gli incrementi della produzione mineraria, metallurgica, meccanica e chimica, che costituirono un grosso passo verso l'industrializzazio~e del nostro Paese; - lo sviluppo delle produzioni cantieristiche, motoristiche ed aeronautiche, nonché di quelle ottiche e di precisione; - la grande spinta nei riguardi della diffusione dei mezzi radiotelegrafici; - la preparazione di ingenti masse di uomini e donne all'impiego di mezzi nuovi e moderni diffondendo nuove conoscenze e nuove capacità di studio e di lavoro. Non vi sono dubbi che, sul piano degli orientamenti tattici molte delle esperienze della prima guerra mondiale si debbono considerare superate; tuttavia si possono ancora trarre alcuni ammaestramenti di valore permanente. Un primo: se indubbiamente soltanto un atteggiamento offensivo ed il ricorso all'iniziativa ed alla manovra possono effettivamente portare al successo, occorre tuttavia che siano disponibili i mezzi necessari, siano preparati gli uomini e scelti, opportunamente i punti di applicazione degli sforzi, le direzioni, i momenti, le modalità di coordinamento . Quando ciò non sia consentito, oppure si intendesse esercitare l'iniziativa in diversi settori, può imporsi di ricorrere largamente all'azione difensiva; azione difficile ma, talora, redditizia quando ci si sappia avvalere compiutamente dei fattori incrementali del terreno e dello spazio, oltre che dell'ostacolo e del fuoco. Un altro ammaestramento è che la dottrina e la preparazione di un Esercito non debbono né possono ancorarsi al passato. Da una parte esse non possono che fornire, specie per i minori reparti, indirizzi legati alla disponibilità e qualità dei mezzi, propri ed avversari, e quindi vincolati al presente; ma dall'altra subentra l'esigenza di ricorrere ad uno sforzo di previsione nei riguardi dei più probabili aspetti delle operazioni future. Nella preparazione dei Comandanti e degli Stati Maggiori, poi, occorre considerare che ogni guerra ed ogni operazione tendono ad essere diverse dal preventivato e che ogni conflitto stimola alla adozione di nuovi mezzi e nuove procedure. Nella formazione dei Quadri è necessario quindi assicurare la capacità di affrontare il nuovo con flessibilità e prontezza; non solo, ma mentre in altri tempi gli Eserciti tendevano ad essere organismi com-


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plessi che accettavano con difficoltà ogni innovazione, oggidì Comandi ed Unità devono essere pronti ad accogliere ed, anzi, a promuovere le novità. Gli Eserciti moderni sono soggetti a continue rist,rutturazioni, alla introduzione continua di nuovi mezzi e modalità d'azione, al costante riaddestramento dei loro uomini: questi orientamenti, già validi in tempo di pace, lo divengono ancor più in tempo di guerra quando si verifica un processo di intensa accelerazione dei fenomeni. Altro ammaestramento di carattere permanente è che il successo è sempre legato alla sorpresa ed alla realizzazione, con la manovra e magari con l'inganno, di qualche forma di concreta superiorità che costituisca uno spiazzamento per l'avversario; quando questo venga a mancare, il successo è sempre dubbio e molto costoso. È inoltre controproducente il cercare di battere il «forte» dell'avversario senza avere creato le condizioni di una sua crisi operando preventivamente sul «debole». L'azione di successo non dipende solo da una corretta definizione di una strategia operativa, ma da una armonica soluzione degli aspetti informativi, logistici e di ogni altro genere che influenzano la preparazione delle forze e la loro efficienza operativa. Infine, non sarà mai ripetuto abbastanza che se gli esiti delle operazioni, come quelli dei combattimenti, sono condizionati dall'imponderabile, lo sono soprattutto dalle condizioni e dalle attività dell'avversario; e noi, comunque, abbiamo il dovere di affrontare l'azione nelle migliori condizioni per conseguire il maggior risultato al prezzo di perdite il più possibile contenute. Se il merito maggiore del successo o l'ignominia del fallimento vanno al Comandante del momento, tuttavia essi sono generalmente da attribuire a tutto il complesso degli uomini, delle scelte e delle attività previe all'avvenimento conclusivo; in guerra, successo o sconfitta non appartengono ad un uomo solo, ma all'intera Nazione, alla sua classe politica come alla sua organizzazione militare ed a tutti i suoi cittadini; su di essi ricadono meriti e demeriti, oneri e vantaggi. In conseguenza di ciò, gli aspetti morali e materiali e quelli politici e militari della preparazione e della condotta devono essere strettamente connessi ed esigere un apprezzamento unitario, coordinato e consapevole di tutte le Autorità civili e militari responsabili, sia in pace sia, ed a maggior ragione, durante un conflitto bellico. 6. Gli uomini

Nel corso della guerra il fattore materiale, quello delle armi, del munizionamento e di tutti gli altri mezzi di vita e di combattimento, ebbe senza dubbio un peso rilevante, di cui la Relazione Ufficiale ed altre pubblicazioni hanno dato conto in modo esauriente. Ma nello sviluppo del lungo con-

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flitto e delle alterne sorti delle azioni intraprese e subite doveva ancora emergere il peso prevalente del fattore uomo, sia nei suoi aspetti quantitativi sia in quelli qualitativi. Del grosso sforzo in questo settore abbiamo già parlato in capitoli precedenti; in questo capitolo conclusivo ci limiteremo quindi a sottolineare alcuni ulteriori concetti essenziali. Dei Comandanti Supremi, il Gen. Cadorna e il Gen. Diaz, e dei caratteri della loro azione di Comando abbiamo già dissertato a lungo senza ricerca di agiografici riconoscimenti o meschini infingimenti nei riguardi di qualche manchevolezza od errore ad essi imputabili. Oggi una critica impietosa ha identificato, particolarmente nel primo, ogni male ed ogni causa di insuccesso, oppure ne è andata scavando i piccoli nèi della personalità e del carattere. Se al riguardo si può ricordare il detto che «Napoleone era grande per tutti eccetto che per il proprio cameriere!», qui possiamo invece notare la paradossale pretesa di un Paese che - pur avendo negato sempre ogni peso alle sue Forze Armate, lesinato i loro bilanci, male ricompensato i loro uomini - allorché la sua classe politica le ha impegnate in troppe guerre senza i mezzi necessari, ha voluto da esse uomini perfetti, pronte vittorie, né ha dimostrato di accettare il principio che ad una guerra occorre andare con due sacchi: uno per darle e l'altro per prenderle. Ricordiamo altresì che, di insuccessi certamente maggiori dei nostri riportati da altri paesi, le opinioni pubbliche di questi stessi, le loro classi politiche e la storia hanno ricercato le cause e le responsabilità, ma senza le esagerazioni e l'acredine dei giudizi espressi da quelle italiane. Ora, è doveroso ammettere che in entrambi i casi si trattò di uomini eccellenti, di grande carattere, di provata onestà, di prodigiosa attività e di profonda dedizione verso il Paese, l'Esercito e le Istituzioni. Il Cadorna, chiamato all'alta carica perché riconosciuto il più capace, fu indiscutibilmente il "Capo", organizzatore abile e tenace, di ampia visione strategica; ma, come si è già detto, la sua concezione di Comando assoluta ed esclusiva - sarebbe stata soprattutto idonea ad una guerra che si fosse conclusa in una sola battaglia od in una breve campagna. La sua scarsa apertura verso collaboratori e subordinati, l'insofferenza nei riguardi di ogni differente visione e la difficoltà di creare attorno a sé e con gli altri organi dello Stato una felice collaborazione dovevano invece finire per incidere negativamente sulla possibilità di una sua permanenza in quell'Uf. ficio. Si deve comunque aggiungere che furono piuttosto le debolezze dei politici a mantenerlo nell'incarico anche dopo l'insuccesso del maggio 1916, oltre al fatto che non si riteneva che vi fossero altri migliori di lui. Come si è già detto altrove, le vicende susseguenti all'offensiva austriaca dell'ottobre 1917 portarono al Comando Supremo uomini maggiormente


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capaci di esercitare un'azione di Comando moderna e meglio coordinata sia nell'ambito del Comando sia con gli altri organi dello Stato. Soprattutto, il grande merito del Diaz - come di altri uomini quali il Caviglia, il Giardino, il Duca d'Aosta, il Graziali - fu quello di comprendere l'importanza del morale delle truppe e di far intendere questa importanza a tutta la struttura dei Comandi e delle Unità. Il Gen. Diaz avvertì chiaramente come in truppe convinte della inutilità dei propri sforzi si verificasse il crollo del morale, e si preoccupò di assicurare in ogni momento buone possibilità di successo alle nostre azioni difensive ed offensive, impegnandosi nelle seconde solo quando vi furono condizioni adeguate. Egli capì, in poche parole, che la propaganda risulta efficace soltanto se suffragata dai fatti. Una parola va detta anche sui maggiori Comandanti di Grandi Unità. Quelli che si trovavano nei gradi più elevati all'inizio della guerra erano uomini che avevano fatto la loro lunga carriera in anni di pace con unità ridotte di forza; alcuni si rivelarono poco idonei a reggere aliquote cospicue dell'Esercito ed a controllarne e stimolarne le attività. Dalla documentazione successivamente emersa risulta che di alcuni di essi il Cadorna non aveva molta stima e, praticamente, egli li allontanò dal Comando con il sistema delle esonerazioni al primo insuccesso. È stato però osservato che il sistema dei «siluramenti», insieme a quello delle frequenti promozioni per l'allargamento della struttura dell'Esercito ed i conseguenti trasferimenti, condusse ad una instabilità perniciosa per le frequentissime sostituzioni. II sistema di selezione ed avanzamento per anzianità in tempo di pace provoca naturalmente, durante un conflitto, l'esigenza di eliminare dagli incarichi di maggiore responsabilità ed interesse coloro che si siano dimostrati meno idonei ed affidabili e di affidare tali incarichi agli uomini che si siano rivelati migliori. Questa esigenza fu sentita in tutti gli Eserciti ed in ogni guerra, ma fu risolta spesso con migliori soluzioni sia nei riguardi degli individui provocando in essi minori ripercussioni sul loro morale e quindi sulla loro serenità di giudizio quali Comandanti - sia soprattutto nei confronti del rispetto che devesi nutrire verso la maggiore solidità e compagine della struttura e delle Unità. In particolare, sembra che sia preferibile il sistema seguito, ad esempio, dall'Esercito statunitense nella seconda Guerra Mondiale: quello, cioè, della ricerca preventiva degli uomini di maggior spicco e della attribuzione ai medesimi di gradi «temporanei» o «funzionali» ponendoli nei posti di Comando che richiedono persone più giovani e dinamiche, impiegando gli altri in compiti organizzativi o più consoni alle loro attitudini. Il sistema di ritenere che un grado raggiunto per semplice anzianità sia titolo ed obbligo di Comando e di responsabilità elevate non appare il più efficace, né sembra ammissibile che non si possa allontanare da un Comando

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un uomo che non si ritiene idoneo a quell'incarico. Tuttavia una volta che un ufficiale sia stato riconosciuto idoneo e prescelto per un incarico di Comando non sembra conveniente la sua sostituzione al primo insuccesso, se non per motivate ragioni. Insomma, la ricerca degli elementi migliori deve possibilmente essere preventiva e non soltanto il frutto di una selezione «a posteriori», derivata dall'eliminazine dei meno idonei o dei più sfortunati: eliminazione che gli eventi di una guerra possono imporre ma non con la sistematicità con cui ebbero a verificarsi nel nostro Esercito durante la I Guerra Mondiale. Va comunque riconosciuto che, sia pure attraverso gli inconvenienti del sistema seguito, nel corso del conflitto venne man mano attribuendosi una decisa prevalenza ai meriti effettivi. Sia al vertice delle Armate che delle Grandi Unità dipendenti, sia nell'ambito degli Stati Maggiori furono infatti destinati uomini capaci che si dimostrarono ripetutamente all'altezza della situazione e costituirono, allora e successivamente, la struttura portante della nostra Forza Armata. Scorrendo gli ordini di battaglia dell'estate del 1918 e della offensiva di Vittorio Veneto si incontrano i nomi di coloro che anche in seguito furono considerati i migliori, ascendendo alle più alte cariche dell'Istituzione.' La partecipazione alla guerra costituì, quindi, un fattore di decisa selezione dei nostri Quadri, conferendo ai migliori ed al vertice militare in genere una preparazione ed una efficienza complessive che non erano inferiori a quelle di nessun altro Paese. Sia pure con i ritmi propri del tempo, si erano profondamente mutate anche le organizzazioni dei Comandi. A fianco di una attività multiforme degli _uffici operazione, si erano andate sviluppando non solo le attività inforniative e logistiche ma anche quelle di innumerevoli settori minori: da quella degli Uffici del personale, dell'ordinamento e della mobilitazione, del servizio cartografico a quelle degli uffici situazione; da quella degli affari civili a quella del servizio tecnico; ecc .. Come abbiamo visto, le esperienze della guerra indussero ad una organizzazione permanente degli Stati Maggiori dei Comandi sulla base delle note quattro branche di attività (personale, informazioni, addestramento e operazioni, logistica) che diventeranno comuni per tutti gli Eserciti e che, sostanzialmente, rimarranno invariate fino all'epoca odierna. Nell'ambito dei reggimenti, dei battaglioni e delle unità minori, come si è riscontrato ripetutamente, il problema dell'inquadramento ~~ 0t ituì per tutta la guerra un aspetto carente della nostra organizzazione; e ciò non per demerito dei singoli. Per quanto si rifersce agli Ufficiali in Servizio Attivo Permanente (SAP) l'enorme aumento della struttura, con le maggiori esigenze di Comandanti e Stati Maggiori, e le perdite ingenti delle prime offensive portarono a rapide


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promozioni, alle conseguenti frequenti sostituzioni di Comandanti, alla loro scomparsa dai minori reparti, al cui livello avevano assicurato in pace un certo modello «standard» di comportamento. e di efficienza. II problema quantitativo fu risolto piuttosto malamente mediante l'immissione di subalterni effettivi con preparazione troppo affrettata e ridotta a soli tre mesi, che non li differenziava dagli Ufficiali di complemento. • Anche l'entità e la preparazione di questi ultimi lasciò piuttosto a desiderare: non per carente cònsapevolezza dei propri doveri ma per insufficiente preparazione addestrativa e pratica di Comando. Notammo in sede precedente il miglioramento verificatosi nel corso del 1918 per: la maggiore permanenza di molti Ufficiali nei ranghi; la relativa stabilità organica nel quadro divisionale ed in unità che nel corso dell'anno avevano affrontato minor numero di combattimenti; la maggior cura dedicata all'addestramento d'assieme nei più lunghi turni di riposo. Un rilievo comune da parte di molti osservatori, nostri e stranieri attribuì infatti un certo eccesso delle perdite a manchevolezze dell'adde;tramento individuale e collettivo, ed all'insufficiente inquadramento dei reparti. Che tale problema fosse effettivamente sentito è reso manifesto dall'impostazione - nell'autunno del 1918 - di quel vasto ed elaborato programma addestrativo in funzione delle esigenze .del 1919 per i Quadri di ogni livello dai Comand~nti di GrandÌUnità e Superiori fino ai Graduati di Truppa: da effettuarsi da parte di organismi Centrali e di Armata: programma che troverà soltanto un inizio di attuazione e che sarà poi abbandonato per l'inattesa fine delle operazioni. Indubbiamente, alle deficienze di inquadramento dei minori reparti - dovute sia ad una insufficiente formazione degli Ufficiali di Complemento, non pari comunque alla loro cultura ed al loro entusiasmo o senso del dovere, sia soprattutto alla pratica assenza di quei Sottufficiali che in altri Eserciti costituiscono l'ossatura del sistema in quanto più vicini ai singoli soldati - si devono anche attribuire momenti od episodi di perdite eccessive e di maggiore rilassatezza del morale O minore rendimento in servizio. Pubblicazioni recenti hanno illustrato i casi di renitenza, di diserzione, di autolesionismo e rimarcato l'elevato numero dei reati commessi e perseguiti. Va detto, anzitutto, che un esame approfondito condotto da altri studiosi, ha ridimensionato tali cifre. Renzo De Felice, ad esempio, fa notare come, dei 384.961 renitenti al 30.9.1917, ben 337 .506 (1'88% !) fossero cittadini residenti all'estero, sicché il loro numero va considerato ridotto a poco più di 48 mila (meno dell' 1% dell'intera forza alle armi); così il numero dei disertori deve parimenti essere considerato- inferiore quanto meno al 50% dei denunciati poiché molti di questi erano semplicemente ritardatari nei rientri ai Corpi dalle licenze.

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Vigeva infatti la norma, ad evidente scopo dissuasivo, di provvedere immediatamente alla denuncia per diserzione allorché i ritardi superavano le 24 ore; peraltro, nella maggioranza dei casi, tali ritardi risultavano successivamente giustificati da cause di forza maggiore o da ritardi ferroviari e si concludevano con un nulla di fatto . Interessanti, poi, le cifre assai esigue, oscillanti fra il IO ed il 20 per mille, delle reclute segnalate come «sovversive» in occasione della loro chiamata alle armi. Inoltre, molti di questi studi di carattere sociologico·, se posseggono l'indiscutibile merito di aver portato alla luce aspetti meno noti della nostra guerra, hanno spesso voluto assumere strumentali toni scandalistici ed espresso considerazioni del tutto opinabili: sia nei riguardi di una vasta e profonda ostilità popolare alla nostra guerra, giudicata voluta da una esigua minoranza «borghese» e per interessi di parte; sia su una presunta congenita scarsa attitudine alla guerra del nostro cittadino-soldato; sia, infine, circa un malgoverno degli uomini, istituzionale nel nostro Esercito ed imputabile ad uno spirito di casta o di classe dei suoi Quadri. Al riguardo sembra si possa notare come cifre proporzionatamente similari e fenomeni anche più gravi si siano ugualmente manifestati in altri Eserciti; cifre e fenomeni dai quali non possono comunque obiettivamente trarsi le considerazioni sopra riportate. Per quanto concerne il nostro intervento nel conflitto è indubbio che fu dovuto alle pressioni di una minoranza, che peraltro ritenne di interpretare meglio gli interessi nazionali e non ne conseguì vantaggi pur avendo affrontato per prima tutti i sacrifici, come è dimostrato dall'elevato numero di volontari che non ebbero alcun riconoscimento; essa del resto, nel 1915, era stimolata da sentimenti «democratici» e costituita da prevalenti forze di sinistra, mentre quelle di destra e nazionaliste risultarono più forti al termine del conflitto per le tensioni da questo indotte. La massa della popolazione e particolarmente quella contadina che allora costituiva oltre il 55% della popolazione e la più elevata percentuale della forza combattente (concentrata specie nella fanteria e che subì il 63% delle perdite) - non fu certamente entusiasta dei richiami alle armi e della partecipazione ad un conflitto verso il quale i partiti più popolari manifestavano dubbi e riprovazione. Ma tutte le testimonianze dicono di un Esercito che eseguì impeccabilmente nel 1915 import'anti operazioni di mobilitazione e radunata e di Unità che sostennero con slancio sanguinose operazioni offensive riscuotendo ammirazione dagli stessi avversari. Successivamente, i caratteri logoranti assunti dal conflitto e la scarsa compattezza della politica nazionale dovevano avere influenze negative sul morale degli uomini e delle unità; ciò poneva - come già si è accennato - all'Alto Comando il problema di assicurare, comunque, il raggiungimento del successo. Il Cadorna ritenne di poter


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L'Esercito Italiano nella Grande Guerra

conseguire il risultato richiamando tutti, Governo ed Esercito, al dovere ed esercitando nel proprio ambito una azione piuttosto severa e talora repressiva; il Diaz, mentre lo stesso andamento del cçnflitto stimolava positive reazioni nel Paese, si rendeva conto della esigenza di maggiori provvedimenti interni all'Esercito in funzione di una migliore cura degli uomini e del loro morale nonché di una condotta operativa più prudente ed intesa a conseguire maggiori risultati con minori perdite. Nei riguardi del comportamento del nostro soldato abbiamo accennato ad alcuni fattori che dovevano diminuire per forza di cose le possibilità delle unità: da quelle della inferiorità dell'armamento alle difficoltà insite negli attacchi a forti posizioni nemiche; dalle insufficienze di inquadramento a quelle dell'addestramento. Ma non ebbero a mancare durante tutta la guerra manifestazioni di valore non solo individuale. Il modo in cui, nonostante le perdite, in innumerevoli occasioni unità fortemente provate reiterarono le loro azioni, oppure tennero le loro posizioni sull'Altopiano di Asiago, sul Grappa o sul Piave, testimonia le belle qualità complessive del nostro soldato 1• Quanto, infine, al regime disciplinare non risultano manifestazioni di ribellione e nemmeno di divisione fra Ufficiali e Soldati. Seppure ispirato all'esigenza del mantenimento di una solida compagine, il Regolamento di Disciplina del tempo e l'ambiente concreto delle nostre Unità erano generalmente caratterizzati da una cura piuttosto paternalistica dei propri uomini da parte dei Comandanti di reparto, e da una intensa devozione dei soldati, più che nei confronti di un astratto dovere, verso i propri Ufficiali. Gli uni e gli altri condivisero assieme le asprezze della vita in trincea ed i sacrifici negli assalti; sicché, sotto questo punto di vista, una guerra così lunga e dura fu veramente un fatto «democratico» e «popolare», stimolatore di scambi umani e culturali fra uomini di ogni ceto, professione e regione, con effetti duraturi e risultati non certo negativi ai fini di una definitiva compattezza nazionale. La validità dell'affermazione è confermata dalla situazione morale e dai risultati operativi conseguiti dal nostro Esercito in tutti i combattimenti del 1918, pur dopo le perdite subite nel 1917 e gli eventi drammatici di quell'anno. Anche in questo caso possiamo fare appello, oltre che alle relazioni scritte dei Comandi delle nostre Unità e dei loro reparti, alle testimonianze di nemici, stupiti di fronte al prodigioso recupero, e

'Le decorazioni concesse dal 1915 al 1918 furono: 307 collettive (37 M.O .; 175 argento, 92 bronzo; 3 croci V.M.) e 127.624 individuali (364 M.O.; 38.614 argento, 60.224 bronzo, 28.422 croci V.M :) (da Min. Guerra, Nel I Centenario delle medaglie al valore, Tip . Reg ., Roma 1933).

Conclusione della Relazione

1167

di alleati, dai rapporti del Generale britannico Lord Cavan alle pagine del soldato Norman Gladden 1• Sul morale del Paese e dell'Esercito sono reperibili molteplici contrastanti testimonianze: di elevata consapevolezza del proprio dovere, di rassegnata accettazione dei sacrifici, oppure - infine - di esacerbata opposizione. Sicché, la storiografia in argomento risulta molto periodizzata ed influenzata dalla situazione e dagli interessi politici del momento: generalmente elogiativa e retorica quella del ventennio fascista; acrimoniosa e monocorde nella riprovazione quella successiva, che sembra sia andata intenzionalmente raccogliendo tutte le testimonianze contrarie. Un giudizio equilibrato non può non riconoscere a fianco delle manifestazioni di turbamento e depressione, provocate dai caratteri assunti dalla guerra e sfociati nei tentativi di sottrarsi ad essa, anche gli innumerevoli episodi di valore, a loro volta testimoniati dalle decorazioni concesse e riconosciuti dallo stesso nemico. La compattezza dimostrata dalla quasi totalità delle nostre unità durante tutto il conflitto ebbe la sola eccezione dell'evento di Caporetto, che vide peraltro realizzarsi circostanze del tutto inconsuete e particolari nel settore sinistro della 2 a Armata. Elementi indicativi al riguardo vanno considerati la grande fioritura di racconti, poesie e canti popolari, spesso di ignota origine, che trassero argomento da quella guerra, ed-il forte spirito di cameratismo che unì allora, ed anche successivamente, i suoi combattenti di ogni grado. L'aspetto umano della guerra ebbe, come si è accennato, risvolti quantitativi e qualitativi. Nel capitolo V si è parlato a lungo del problema dei complementi e degli sforzi fatti per rastrellare tutti gli uomini più giovani ed efficienti e portarli nei reparti combattenti sostituendoli con anziani e meno atti nelle retrnvie. Ma nonostante gli sforzi compiuti il rapporto fra non combattenti e combattenti tese anche in Italia ad aumentare; ciò, senza considerare l'impegno di forze di lavoro maschili e femminili nelle produzioni di guerra e nelle campagne. Un grosso problema fu quello degli esoneri; esigenze imprescindibili della produzione consentirono a qualche giovane di sottrarsi al richiamo alle armi. Occorre tuttavia considerare che anche il problema qualitativo rappresentò una grossa difficoltà in un Paese nel quale l'analfabetismo era ancora elevato e le forze di lavoro erano prevalentemente contadine e non qualificate. Le esigenze di specializzati nell'Esercito e nelle industrie dovettero quindi tradursi in numerose attività intese ad individuare gli elementi più idonei ai vari compiti ed a qualificarli. È sufficiente ricordare quelle del Padre Agostino Gemelli per la selezione attitudinale e quelle per la formazione di con1Gladden· Norman, Al di là del Piave, Garzanti, Milano, 1977. (tit. orig. : Across the Piave, H.M.S.0., Londra, 1971).


1168

L'Esercito Italiano nella Grande Guerra

duttori di automezzi e degli addetti ai collegamenti. Quindi, anche se può aver dato luogo a qualche distorsione, la spinta nei riguardi delle attività culturali, scientifiche, tecnologiche e la diffusio!le di una maggiore preparazione civica e professionale di cittadini e soldati può considerarsi di effetto positivo. Non così può invece dedursi nei riguardi degli orientamenti politici e dello spirito di violenza che porteranno, insieme alle vicissitudini di Fiume e del Trattato di pace ed alle difficoltà economiche, alla crisi postbellica. Ma sarebbe quanto meno semplicistico attribuire soltanto alla guerra la causa prima di tale crisi, la cui vera origine più propriamente sembra collocarsi nella inetta condotta dell'azione politica da parte delle classi dirigenti e dei partiti del tempo. Nel corso della Relazione non si è mancato di rilevare le insufficienze del nostro Esercito nonché gli errori e le «defaillances» di uomini, mezzi ed unità. Indubbiamente l'organismo che operò nella guerra 1915-18 ebbe anche le sue pecche: un migliaio di Ufficiali «esonerati»; una insufficiente preparazione dei Quadri di accelerata formazione; una troppo esigua disponibilità di Sottufficiali; un addestramento individuale e collettivo affrettato ed incompleto; una iniziale scarsa cooperazione interarmi; una condotta disciplinare, strategica e tattiéa talora discutibile. Ma se vogliamo fare un bilancio conclusivo dobbiamo esprimere un giudizio estremamente positivo su quanto fu allora conseguito dall'Esercito italiano. E poiché è un assioma consolidato che un Esercito è quale lo fanno i Quadri che ne costituiscono l'ossatura e lo formano, lo addestrano e lo conducono, dobbiamo dare atto degli enormi passi compiuti dalla sua costituzione nel 1861 ed attribuire al Corpo degli Ufficiali in servizio attivo permanente il giusto riconoscimento. Se consideriamo, infatti, l'enorme ampliamento della struttura dell' Armata (Schizzi n. 52 e 53) ed i risultati conseguiti nella formazione di nuovi Quadri e di milioni di uomini, nell'impiego di un numero enormemente accresciuto di unità in una guerra lunga e difficile, nella stimolazione e guida di una mobilitazione umana ed economica dell'intero Paese; e se pensiamo infine che tutte queste e molte altre attività trovarono il loro innesco e centro propulsore nei poco più di 15.000 Ufficiali in SAP - dei quali oltre 4.000 circa caddero, in gran parte nelle prime operazioni del 1915 - dobbiamo dire che fu compiuta allora un'opera che ha del miracoloso. Gli uomini dell'Esercito italiano, tutti, seppero dare il meglio di sé; quelli in servizio attivo, come quelli richiamati. Un grande storico, studioso di quella guerra che visse ed approfondì sotto ogni aspetto, il professore Piero Pieri, ebbe a scrivere che essa fu sostenuta e condotta da «un popolo in armi guidato dalla sua borghesia in ar-

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Schizzo 52 - Lo sviluppo dell'Esercito Italiano nel corso della guerra 1915-18: unità ed uomini


Conclusione della Relazione

mi" . Si può aggiungere che, a differenza di quanto doveva avvenire in una guerra successiva, dal primo giorno l'Esercito e la Nazione videro in linea il proprio Sovrano e le maggiori figure del Paese, mentre l'intera Società assumeva posizioni di condanna nei riguardi di coloro che in qualche modo si sottraevano ai propri oneri o traevano ingiusto profitto dalle attività economico-produttive.

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Schizzo 53 - Lo sviluppo dell'Esercito Italiano nel corso della guerra 1915-1918: mezzi principali

Questa Relazione, nel descrivere la situazione e le operazioni del nostro Esercito nel corso della I Guerra Mondiale non ha potuto che riferire elementi piuttosto aridi relativi alle azioni compiute, citando luoghi, fatti, unità e registrando successi ed insuccessi, perdite e conquiste. Altre opere, come quella delle «Medaglie d'Oro» e quelle relative alla storia delle nostre Brigate e dei Corpi dell'Esercito, possono integrarla con la narrazione degli episodi in cui individui ed unità si segnalarono particolarmente. In nessuna, però, è stato né sarà mai possibile dare completamente conto di quella somma di sacrifici, speranze e timori che agitarono i milioni di uomini che operarono nelle sue fila. Come si è più volte ricordato, se i fattori materiali ebbero un peso rilevante sull'esito del conflitto, la guerra rimase - come tuttora rimane - un fenomeno prettamente umano, nel quale gli aspetti del morale, della consapevole motivazione dei singoli e della solidarietà nelle unità, delle capacità tecnico-professionali, dell'addestramento individuale e collettivo, della superiorità nella condotta e nella organizzazione come della perfezione nella esecuzione, conservarono un peso determinante. Per quanto si sia cercato di dare loro una giusta collocazione, essi non sono rappresentabili con sufficiente efficacia; né i numerosi relatori che hanno operato per la redazione di quest'opera possono presumere di averlo fatto adeguatamente. Tuttavia, come il Paese ha ritenuto di esprimere con l'omaggio al Milite Ignoto la sua gratitudine a tutti i soldati italiani che allora combatterono, morirono e vinsero, così lo Stato Maggiore dell'Esercito ha ritenuto di onorarne la memoria fissando, con questa Relazione, i momenti fausti ed infausti che comunque li videro protagonisti. Ad essi, agli eventi che costituiscono una grande e gloriosa tradizione del nostro Esercito, ai nomi dei luoghi che videro il loro sacrificio, alle Unità nei cui ranghi e sotto le cui Bandiere essi combatterono vada - con questa conclusione - il pensiero memore di tutto l'Esercito Italiano e della Nazione .


PRINCIPALI ABBREVIAZIONI

A a

a . ass . a. camp. a. mont. a . pes . camp . a . som. alp . app . ab!. atr. A.V. B.E . bers. bomb . brg. Brig. brit. btg. btr. C. o CĂ C .A. C.A.A. e.a . Camp . Cap. ciel. C.do S.mo Com.te div. F. f.to F.J. F.M. F.L.M. fra. ftr. g. gen. G .M .

o.o . G.M.

Armata artiglieria artiglieria d'assedio artiglieria da campagna artiglieria da montagna artiglieria pesante campale artiglieria someggiata alpini appiedata (unitĂ cavalleria) autoblindo autotrainata austro-ungarica Bosno-Erzegovese (unitĂ austriaca) bersaglieri bombardieri brigata Brigadiere (Colonnello Brigadiere o Generale di Brigata) britannico battaglione batteria Casa Corpo d'Armata Corpo d'Armata d'Assalto contraerea (artiglieria o mitragliatrice) da campagna (artiglieria) capitano ciclisti Comando Supremo Comandante divisione fiume firmato Feld Jager = cacciatori Feld Marshall = feldmaresciallo (grado austriaco attribuito al Comandante di gruppo di Armate) Feld Marshall Leutnant (tenente maresciallo, grado austriaco al livello divisione) francese fanteria genio generale Guerra Mondiale (contrassegnava con il numero di protocollo i fogli dell'Ufficio Operazioni del Comando Supremo es.15394 G.M . ) Generai Oberst (Colonnello generale di Armata) Generai Major (maggior generale di brigata)


1174 G.d .A . G.d .l. G.d.K. Gr.A. G.S. H. I. ~ -1. L .st.

M. magg . M. Gen . magg. gen . mitr. mon. oberst Op .

P. pes. pont. prot. q. Q.G.

R. Ris. RR. R.E . R.G .F . R.M. R.M .P . rgpt. rgt.

s. Sch. S. cav. Sch . cav. S.M. Segr. segr . sqd. ten. ten . col. t. gen . ten. gen. V.P .

Principali Abbreviazioni Generai der Artillerie (di Corpo d'Armata) Generai der Infanterie (di Corpo d'Armata) GeneraL der Kavallerie (di Corpo d'Armata) Gruppo di Armate Gebirge Schiitzen (tiratori di montagna) honved (ungherese unitĂ ) Informazioni Kaiser Jager (cacciatori imperiali) Landsturm (milizia territoriale) Monte maggiore Maggior Generale (Comandante una brigata od una divisione) Maggior Generale (Comandante una brigata o una divisione) mitraglieri montagna colonnello austriaco operazioni propaganda pesante pontieri protocollo quota Quartier Generale Riservato Riservato Riservatissimo Regio Esercito Regia Guardia di Finanza Regia Marina Rappresentante Militare Permanente presso il Consiglio Supremo di Guerra a Versailles (Parigi) raggruppamento reggimento Schiitzen (tiratori) Schiitzen (tiratori) Schiitzen a cavallo Schiitzen a cavallo Stato Maggiore Segreteria (contrassegnava i fogli della Segreteria del Comando Supremo) segreto squadrone tenente tenente colonnello tĂŠnente generale tenente generale Vigilanza e Propaganda

INDICI


1196

Indice Analitico

CAPITOLO XVI: I SERVIZI NELLA BATTAGLIA DI VITTORIO

B. La definizione delle condizioni di armistizio e la loro comunicazione alle Autorità di Vienna ...

"

917

920

D. La tormentata conclusione dell'armistizio ..... .

" "

926

4. Alcune considerazioni sulle condizioni armistiziali e sulla condotta delle trattative ........ .................. .

"

930

CONTRIBUTO DELLE DIVERSE ARMATE .................... .

pag.

936

1. Situazione a conclusione della battaglia ............ .

"

936

A. Premessa .............. .. ....... .. .. ... .................. .

" "

B. Il contributo della 4a Armata ..................... .

"

939 939 940

C. Il contributo della 8a Armata ..................... .

" "

VENETO .. ................ . ...........••... .. .. : .. .. ............ ... ..

pag.

868

1. Premessa .................................................... .

"

868

2. Il Servizio di Sanità ........ ... .. ............... .......... .

"

871

C. Le indecisioni dell'Imperatore Carlo e l'ordine unilaterale dell'Alto Comando austro-ungarico di cessare le ostilità ................................... : .. .

3. Il Servizio di Commissariato ............... .... ........ .

"

875

4. Il Servizio di Artiglieria ... ........ .. .................... .

"

877

S. Il Servizio del Genio ............................... ... ... .

"

880

6. Il Servizio Veterinario ................................... .

"

882

7. Il Servizio Postale ..................................... ... .

"

882

8. Il Servizio delle Tappe ................................... .

"

883

9. Il Servizio Automobilistico ............................. .

"

883

10. Il Servizio dei Trasporti .. ..... ... ....................... .

"

885

2. Dell'azione delle Armate e del loro contributo al conseguimento del successo ................................. .

11. L'Ispettorato delle Retrovie ............................ .

"

886

12. Alcune considerazioni sul funzionamento dei Servizi

"

886

CAPITOLO XVII: AVIAZIONE E MARINA NELLA BATIAGLIA

1197

Indice Analitico

CAPITOLO XIX: SITUAZIONE A CONCLUSIONE DELLA BATTAGLIA DI VITTORIO VENETO: RISULTATI E PERDITE; IL

941

DI VITTORIO VENETO . ......................•..............•.....

pag.

890

1. L'Aviazione dell'Esercito nella battaglia ............ .

"

890

F. Il contributo della 3 a Armata .................. ... .

" "

2. Il concorso della Marina ..... ... ........................ .

"

896

G. Il contributo della 6a Armata .................... .

"

H. Il contributo della 1 a Armata .................... .

L. Il contributo della 9a Armata ........ ...... ....... .

" " "

M. Il contributo del Corpo di Cavalleria .......... .

"

946 947 949 950 951 952 954 955

"

956

GLIA DI VITTORIO VENETO ....... . ......................•.....

pag.

959

1. La battaglia di Vittorio Veneto nel giudizio dei contemporanei e nella storiografia .................. . .

pag.

959

2. Note sulla concezione e sulla condotta della battaglia da parte del nostro Comando Supremo ....... .

"

965

CAPITOLO XVIII: L'ARMISTIZIO DI VILLA GIUSTI (3-XI-1918)

l. I precedenti da parte italiana: orientamenti verso un eventuale armistizio e la pace ........... .. .... .. .. .... . .

pag.

"

902 902

3. I comunicati del Comando Supremo ed il bollettino della Vittoria ................... ........................ .

2. I precedenti da parte austriaca, fino alla decisione di avviare trattative dirette con il Comando Supremo italiano ................................................. ...... .

"

910

3. La condotta delle trattative armistiziali .......... .. . .

"

914

A. Dalla presentazione del parlamentare .austriaco alle nostre linee al primo incontro delle Commissioni di armistizio (29-31 ottobre) ............... .

E. Il contributo della 10a Armata ................... .

I. Il contributo della 7a Armata ...................... .

E LA CONCLUSIONE DEL CONFLITTO CON L'AUSTRIA-UNGHERIA ........................•...... ... .......................•...

D. Il contributo della 12a Armata .•..................

CAPITOLO XX: ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLA BATTA-

"

914


1198

Indice Analitico

3. La esecuzione della manovra .......................... .

,,

4. Un giudizio· sul nostro avversario ...... : ............. .

,,

5. Alcune note di carattere tecnico-militare ....... .... . 6. Del significato della battaglia e del nostro armistizio nel complesso delle operazioni dell'Intesa nell'autunno del _1918 .................... .. ........................... .

,,

,,

977 978

984

989

PARTE TERZA: L'ESERCITO ITALIANO ALLA FINE DEL 1918 FINO ALL'APERTURA DELLA CONFERENZA DELLA PACE

1918 E LE MAGGIORI ATTIVITÀ OPERATIVE TRA LA FINE DELLE OSTILITÀ SUL NOSTRO FRONTE E L'APERTURA DELLA CONFERENZA DELLA PACE A VERSAILLES ....... .

1. La situazione generale ................................... . 2. Le principali attività operative ........................ .

pag.

,,

,,

3. Le predisposizioni in vista di operazioni contro la Germania meridionale .......................... .. ...... . .

,,

4. Le operazioni della 1 a Armata in Alto Adige e l'occupazione di località nella valle dell'lnn ........... . .

,,

5. L'8 8 , e poi la 4a Armata, nella occupazione del Cadore, della Carnia e della conca di Tarvisio ....... . 6. La 9 8 Armata sulla linea orientale d'armistizio fra M. Mangart ed il valico di Nauporto ............... .

CAPITOLO XXII: L'AVVIO ALLA SMOBILITAZIONE ED ALTRE NOTIZIE RELATIVE AGLI ORDINAMENTI ED AL PERSONALE

1. Gli orientamenti nei riguardi della smobilitazione e degli ordinamenti post-bellici .......................... . 2. La riduzione della forza complessiva dell'Esercito; lo scioglimento di Comandi ed Unità esuberanti; la ridistribuzione delle forze; l'approntamento di unità destinate in Libia ....... .... ........._..................... . 3. Il congedame~to degli Ufficiali ....................... . 4. Il rientro dei nostri militari già prigionieri in mano austro-ungarica .. ...................... ...... .. ............ .

CAPITOLO XXI: LA SITUAZIONE GENERALE ALLA FINE DEL

997

5. I prigionieri di guerra austro-ungarici ed il loro impiego; la costituzione di unità cecoslovacche, rumene e polacche ................. .............................. .

1002

6. La cura del morale e dell'efficienza dei reparti ... .

1013

CAPITOLO XXIII: LE ATTIVITÀ LOGISTICHE E GLI INTER-

997

1199

Indice Analitico

pag.

,,

" ,,

,,

,,

1069

1069

1074 1079 1081

1083

"

1087

pag.

1090

"

1090

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1092

VENTI A FAVORE DELLE AREE E DELLE POPOLAZIONI LI-

1018

"

1026

"

1029

BERATE .•...........................................................

1. La situazione logistica al termine della battaglia di Vittorio Veneto e nel periodo immediatamente successivo, nella Zona di Guerra e nelle aree liberate 2. L'azione di Comando nella emergenza ........ ...... . 3. Le trasformazioni della organizzazione di Intendenza

1093

7. La 3 8 Armata nella occupazione del settore orientale d'armistizio, dal valico di Nauporto al golfo del Quarnaro, del Carso e dell'Istria ..................... .

"

1034

4. Gli interventi della organizzazione igienico sanitaria

"

1095

8. Il Governatorato di Trieste ............................. .

pag.

1040

5. Le difficoltà nel settore della sussistenza e del vestiario ...................................................... .

"

1096

9. Le occupazioni di Pola, di Fiume, della Dalmazia e delle isole dell'Adriatico .............................. .

"

1043

6. Il Servizio Recuperi ......... ...................... ..... .. .

pag.

1098

10. Attività in vista delle prossime trattative di pace ..

"

1063

7. Il vasto impegno del Servizio Lavori Genio ....... .

11. La contrazione dei compiti dell'Aeronautica Militare

"

1065

8. Trasporti ..... ......................... ............. ......... .

,, "

1100 1106


1200

Indice Analitico

CAPITOLO XXIV: A CONCLUSIONE DELLA REALIZZAZIONE ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLE OPERAZIONI CONDOTTE DALL'ESERCITO ITALIANO NELLA GUERRA 1915-1918 .

pag.

1108

1. Premessa ................ ... .... ........ .... .... ... .. .... ... . .

"

1108

2. La I Guerra mondiale per l'Europa e per il mondo; una guerra moderna .......................... ..... ....... .

"

1111

3. L'Italia e il suo Esercito nella I Guerra Mondiale

"

1116

4. La condotta delle operazioni sul fronte italiano ...

"

1135

5. L'evoluzione organiza, tattica e dei servizi informativi e logistici del nostro Esercito ....... ...... .

"

1149

6. Gli uomini ...................................... .. .......... .

"

1160


IN DICE DEGLI SCH IZ ZI E D ELLE TABE LLE NEL TESTO

41

Cessioni territoriali in Adriatico previste dal Patto di Londra del 26-IV-1915

XVIII

903

Linea raggiunta dalle nostre unità alle ore 15,00 del 4.Xl.1918

XIX

937

43

Tempi ed avanzate della battaglia di Caporetto

xx

972

44

Tempi ed avanzate della battaglia di Vittorio Veneto

xx

974

Le linee "gialla" e "blu" previste dall'armistizio di Villa Giusti (3.Xl.1918)

XXI

1007

Assetto del fronte disposto dal Comando Supremo in data 15 novembre 1918

XXI

1009

Predisposizioni in vista di operazioni contro la Germania meridionale

XXI

1014

Occupazioni via mare di località dell'Istria, delle isole e della sponda orientale dell'Adriatico

XXI

1044

La ricostruzione nei territori liberati: personale impiegato dal Comando Generale del Genio

XXIII

1101

La ricostruzione nei territori liberati: mezzi impiegati dal Comando Generale del Genio

XX III

1102

Forze avversarie impiegate sul fronte italiano nel corso della guerra 1915-18

XXIV

1126

Lo sviluppo dell'Esercito Italiano nel corso della guerra 1915-18: unità ed uomini

XXIV

1169

Lo sviluppo dell' Esercito Italiano nel corso della guerra 1915-1918: mezzi principali

XXIV

1170

42

45 46 47 48 49

50 51 52 53


1205

Indice Nomi di Persona

e

627, 630, 635 ,670, 702,703 , 798,851 ,960, 1031, 1125 , 1167 Caviglia, Enrico, 82, 91 , 137, 173,267 nt, 268, 276,277,286,288,292,308,312,313,317, 356,357,372,393,457,500,510,519, 528 , 538,539,557,559,562,564,575,578 , 592, 595,596,603,620,625 , 627,664,670, 703, 725,867,881,908,942 , 943 , 946,959,969, 970, 971, 976, 978, 987, 990; 1010, 1011 , 1015, 1071, 1074, 1088, 1091 Chiesa, Eugenio, 1065, 1072 Chiodi, Errico, 136 Chiossi, G. Battista, 136, 392 Cicconetti, Luigi, 393 · Clausewitz, Carlo, 27, 86 Clemenceau, George 73 , 81, 104, 105, 108, 115, 116, 123,274,277,288, 991, 992, 1060 Cangemi Alberto, 136, 392 Coco, Francesco, 137, 139 Comandini, Ubaldo, 901 Conrad, Francesco, 43, 53, 55, 96, 98, 503, 968, 1135 Coralli, Felice, 865 Cramon, von (generale tedesco), 279, 285, 920, 921 Crespi, Benigno, 70, 999 Croce, Giovanni, 138, 394, 632 Csicseric, von Bacsany, 403, 633

·Cadorna, Luigi 73, 76, 77, 78, 80, 82, 83, 86, 97,167,274,351,978, 1048, 1117, 1120, 1121, 1122, 1123, 1124, 1133, 1137, 1138, 1139, 1140, 1141 , 1142, 1142, 1145, 1155, 1161, 1165 Cagni, Umberto, 1043, 1049, 1053 Caillaux, Joseph, 26 Calcagno, Riccardo 294 Camerana, Vittorio, 136, 391, 776, 1021 Canevari, Emilio, 1067 nt. Cangemi, Alberto, 392 Canini, (colonnello), 466 Capello, Luigi, 80, 90, 96, 102, 267 nt., 297 , 352, 954, 1121 Carlo, Imperatore d'Austria 22, 40, 44, 273, 280,281,598,911,912,913,920,956, 1051 Carlo V, (re di Spagna), 1111 Cassinis, Giuseppe, 392 Cassola, Giuseppe, 852 Castagnola, Giovanni, 138, 394 Cattaneo, Giovanni, 136, 391, 764, 1021 Cavallero, Ugo, 77, 268, 276, 277, 286, 287, 308, 312, 578, 579, 731, 964, 1065, 1074 Cavan, Lord Frederich Rudolph Lambart, 136,142,289,290,311 , 313,317,320,371, 372,394,457, 539, 559, 564, 568 ,594, 603,

D'Adamo, Agostino, 1092 D'Alessandro, felice, 188, 1155 Dallolio, ALfredo, 65 Dalmazzo, Lorenzo, 718 D'Annunzio, Gabriele, 178, 477, 1051 De Albertis, Vittorio, 136, 391, 766 De Arnbrosi, Carlo, 834 De Ambrosis , Delfino, 905 De Angelis, Ciro, 138, 394 De Bono, Emilio, 137, 392 De felice, Renzo, 1000 De Gasperi, Oreste, 521, 522 Degondrecourt (generale francese), 84 del Giardino, Giusto, 916 de Marchi, Ernesto, 139, 393 del Prà, Emanuele, 139, 394 De Martino, Alfredo, 907 Diaz, Armando, 73, 74, 77, 78, 79, 80, 89, 91, 97, 98, 100, 101, 103, 104, 105, 107, 108, 110,111,112, 115, 116,117,118, 119, 120, 122,123,124, 131,160,170,180, 183,185, 201 , 263,268,269,270,272,274,276,277 , 278,286,287,288,289,292,293,297,308,

INDICE DEI NOMI DI PERSONA CITA TI NEL TESTO

A Accinni, Francesco, 917 Alberti, Adriano, 285, 914, 964 Albertini, Giuseppe, 69, 70, 1133 Albricci, Alberico, 38, 290 Alessi, Rino, 178 Alfieri, Vittorio, 139, 394, 632 Amantea, Luigi, 771 Andrassy, Giulio, 281, 911 , 914, 921 Arrighi, Giovanni, 137, 391 Arz, Arturo A ., von Struassenburg, 45 , 46, 284, 913, 920, 921, 922, 923, 926, 1086

B Babington, Sir J .M., 136, 394 Bacchelli, Augusto, 1127 Badoglio, Pietro, 77, 78, 79, 80, 88, 89, 91 , 108,110, 111 , 124,160,180,184,268, 275, 278,287,289, 291,297,578,910, 916,917, 918, 919, 924, 926, 927, 969, 978, 1013, 1015, 1017, 1041 , 1058, 1074, 1109, 1148 Balfour, Arthur James, 19, 991 Baragiola, Carlo, 835, 836 Barattieri di S. Pietro, Warmondo, 139, 393, 837, 859 Barbasetti, Curio, 77, 955 Bareo, Lorenzo, 136, 392 Baronis, Luigi, 139 Barrère, Camille, 73, 84, 1116 Basso, Luigi, 137, 392 Battisti, Cesare, 917 Battistoni, Giuseppe, 136, 391 Bencivenga, Roberto, 452,469, 470,471,484, 485, 486, 487, 544, 546, 547, 548, 610 Bernot, Pietro, 850 Bertolini Francesco, 136, 394, 864 Bertsch, (colonnello austriaco), 626 Bissolati, Leonida, 63, 69, 122, 123, 1000, 1057, 1115 Bliss, H . Tasker, 105 Bloise, Carlo, 136, 391 Boffi, Annibale, 136, 773 Bollati, Ambrogio, 77, 955 Bonaini da Cignano, Riccardo Adolfo, 1046 Bonfait, Ernesto 137, 392

Bongiovanni, Luigi, 1065 Bonin, Longare, 108, 118 Boriani, Giuseppe, 137, 392 Boroevic, Svetozar, von Boyna, 44, 45, 46, 52, 53,54,56,272,282,283,299, 400,404, 407, 408,422,423,436,459, 477,492,493 , 504, 507,531,551,564,571 ,575,576, 577,581, 598,627, 633,699,849, 910, 915, 982, 1029, 1137 Boselli, Guido, 1140 Boyd, (colonnello statunitense), 106 Braganza, (duca di), 753 Breganze, Giovanni, 137, 394 Brusati, Roberto, 1144 Brussi, Roberto, 138, 139, 393 Brussilov, Aleksej Alekseevic, 1136 Buriàn, van Rajeez, Istvàn, 279, 28 1

D

309, 311 , 490,501,505 , 510,578,707,906, 908,915,916,919,929,969,978,992,993 , 1013, 1017, 1029, 1041, 1048, 1050, 1055, 1058, 1069, 1070, 1072, 1075, 1088, 1108, 1121, 1133, 1141 , 1144, 1161, 1162, 1166 di Benedetto, Vincenzo, 138, 394 Di Giorgio, Antonio, 137,393, 618, 714, 725 , 1147 Di Lauro, Ferdinando, 1157 Diotaiuti, Roberto, 139 di San Marzano, Enrico, 1038, 1054, 1057, 1058, 1059 Dupont (storico), 964 Douhet, Giulio 1155

E Emanuele Filiberto di Savoia, Duca d'Aosta, (S.A.R.), 138,394,627,635,636, 703, 798, 1038, 1042, 1060, 1063 , 1083, 1094, 1162 Eugenio, Principe, 297 Etna, Donato, 392

F Fabbrini, Giulio, 138 Falkenhayn, Erich von, 37 Fara, Gustavo, 138, 394, 1121 Faracovi, Giuseppe, 391 Farsac, (colonnello francese), 121 , 297 Fayolle, Marie Emile, 83, 97, 274, 289, 297 Ferigo, Luciano B., 173 Ferrari, Giuseppe, 137, 392 Ferrario, Carlo, 136, 391 Ferrero, Giacinto, 111 Filippini, Pietro, 139, 393, 834 Filipponi di Mombello, Carlo, 137, 393 Fisher, John, 1053 Foch, Ferdinand, 15, 19, 33, 34, 35, 37, 38, 72, 73, 74, 79, 81, 82, 83, 84, 97, 98, 101 , 103, 105, 106, 107, 108, 109, 110, 111, 112, 113,114,115,116, 117, 118,119,121,122, 123, 125,170,241,256,272,274,277,278, 286,287,288,293,297,302,311,496,699, 962,966,991,992, 1015, 1016, 1017, 1061, 1107 Fraccaroli, Arnaldo, 178 Franchet d'Esperey, Louis, 111, 270, 278, 990, 1016, 1058, 1059, 1061 , 1062.

G Gagliani, Francesco, 137, 393 Gallinari Vincenzo, 1080


1206

Indice Nomi di Persona

Gallwitz, Max von, 992 Gambi, Enrico, 487, 546, 547 Gandolfo, Asclepia, 138, 393, 394, 558, 559 562, 632 , Gasparotto, Luigi, 178 Gatti, Angelo, 579, 964 Gazzano, Alfonso, 394 Gazzera, Pietro, 77, 916, 927, 955, 1072 Gemelli, Agostino, 1167 Ghersi, Giuseppe, 136, 391 Giardino, Gaetano, 86, 87, 137, 180, 262, 286, 287, 315, 317, 339, 349, 392, 421, 444 nt., 454,472,473,490,496,497,498,501,503, 505,548,549,550,653,688,964,965,978 1015, 1162 ' Gioda, Benvenuto, 1065 Giolitti, Giovanni 66, 1120 Giraldi, Pecori Guglielmo, 136, 387, 391, 1021, 1022, 1121 Giuseppe, (arciduca), 43, 44, 53, 54, 55,281, 283, 399, 406, 656, 762 Gladden, Norman 116 Gonzaga, Maurizio, 392 Gordon, (generale inglese), 1057 Graziani, Andrea, 136, 171, 510, 555 Graziani, Jean Cesar, 137, 142,289,290, 31 I, 315,317,349,350,392,583,659,713,739 Grazioli, Francesco Saverio, 107, 139, 183, 184, 185, 274, 275 nt., 368, 393, 559, 562, 621, 664, 665, 714, 718, 731, 954, !Ò27, 1058, 1059, 1060, 1061, 1062, 1071, 1091 1154, 1162 ' Groener, Wilhelm, 992, 993

H Haig Douglas, 35, 1015 Heeligrath, Philipp von, 993 Hegedus (maggiore generale), 523 Hindenburg, Paul Ludwig, 1136 Hornthal, Horsetzky, 400 Horetzky, Ernst, 285, 396 House, Edward Mandel, 906, 961 Hussareck Heinlein, Max, 991

I Invrea, Pio, 137, 393

J Joffrè, Joseph, 33, 83 Johnson (maggi:ore statuniténse), 905

K Kaiser, 280 Kaiser, (generale), 781, 793 . Kàrolyi (politico inglese), 281 Kerensky, Alexsandr-Fedorovic, 9 Kletter, von Gromnik, 403, 633 Kosak, (generale), 400 , Kéivess, (generale), 921 Kràlicek (generale austro-ungarico), 4Q2 Krauss, Rudolf, 401, 523 Krobatin, Alexander, 53, 399, 406, 762, 976 Kuhlmann, Richard, 19

L Lammasch, Heinrich, 921, 922 Lansing, Robert, 280 Latini, Giulio, 138, 394 Lenin, Nikolaj, 27 Leoncini, Adolfo, 137, 392 Lerchenfeld, (conte di), 993 Liddel, Hart, 267 L!nde:, (colonnello e nùnistro ungherese), 921 Lmzz1, Guido, 988, 1158 Lloyd, George, 37, 72, 77, 102, 991, 992 Lodge, Henry Cabot, 271 Lombardi, Stefano, 137, 392 Ludendorff, Erich, 72, 285, 969, 992, 993 Luigi XIV (re di Francia), 1111 Lutgendorf, (generale austroungarico), 762

M Maglietta, Luigi, 707, 1100 Magliulo, Angelo, 138 Malagodi, Olindo, 121 nt., 123 nt., 286,287, 292 Mameli, Goffredo, 950 Maravigna, Pietro, 916, 955 Marchetti, Tullio, 916, 1065, 1157 Marchino, Amedeo, 836, 848 Marconi, Guglielmo, 904 Marcora, Giuseppe, 998 Marescotti, Aldrovandi, 906, 1015 Marro, Prospero, I_! I Masaryk, Tomas Garrique, 172, 1056 Max, (cancelliere di Baden), 280, 993 Maximovic, (tenente colonnello serbo), 1053 Mazzoni, Piero, 138 Melograni, Pietro, 295 nt., 1115 Milio, Enrico, 1050

1207

Indice Nomi di Persona Modignani Litta, Vittorio, 139 Moizo, Riccardo, 544 Montanari, Umberto, 139, 392 Monesi, Sigismondo, 136, 393 Montuori, Luca, 136, 346,391 , 455, 473, 613, 654, 741, 751, 1010 Morrone, Paolo, 91, 138, 394, 954, 955, 1005 Mozzoni, Pietro, 393 Mudra, Bruno, 992 Mussolini, Benito, 1070, I 108

N Napoleone I Bonaparte, 297, 1111 Nava, Luigi, 1069 Negri, Ettore, di Lamporo, 391 Nicolis di Robilant, Mario, 35, 84, 100, 106, 109, 11 I, 113, 115, 116, 117, 118, 199, 908, 1015, 1016, 1017, 1061, 1064, 1065 Nitti, Francesco Saverio, 63, 70, 73, 80, 122, 199,271,274,311,970,999, 1115 Nivelle, Roberto, 9, 33, 83 Néihring, (luogotenente, maresciallo di campo austriaco), 563, 570 Noris, federico, 826 Nyékhegyi, (tenente colonp.ello austroungarico), 910

o Odry, Donùnique Joseph, 137, 392 Oietti, Ugo, 178 Olivero, (colonnello), 315, 318 Orlando, Vittorio Emanuele, 35, 62, 63, 68, 70, 72, 73, 74, 77, 80, 84, 90, 98, 100, 101, 102,104,107,108,109,111,116,117,118, 119, 120, 121, 122,123,269,270,272,277, 278,286,287,288,291,292,293,294,295, 495,865,906,907,909,915,917,957,964, 970, 992, 993, 998, 1000, 1013, 1015, 1016, 1042, 1043, 1048, 1049, 1052 1053 1057 1058, 1083, 1115, 1124, 1128, 113~ ' Ossoinack, (deputato fiumano), 1051

p Pacini, Gioacchino, 391 Pajola, Ulderico, 138, 394 Pantano, Gherardo, 137 Paolini, Giuseppe, 138, 394 Papafava, N., 984 nt.

Pariani, Alberto, 907, 917, 1063, 1065 Parigi, Cesare, 136, 394 Parisot, (maggiore francese), 278, 311, 1017 Pecor, (generale austro-ungarico), 586, 618, 662 Pecori Giraldi, Guglielmo, 758, 759, 760, 761, 764, 1005, 1121 Pelliccia, Antonio, 1065, 1067 Pennella, Giuseppe, 138, 391, 741, 753, 754 Perelli, Ippolito, 117 Perris, Carlo, 746, 750, 754, 1046 Pershing, John, 35, 84, 106, 115, 116, 117 Petain, Enrico Filippo, 35 Petilli, Giuseppe, 392 Pettorelli Lalatta, Cesare, 1157 Piacentini, Settimio, 137 Piccione, Luigi, 136, 172, 214, 394, 1011 Piella, P<!olo, 619 Pietro Ferdinando, (arciduca), 53, 56, 781 Pintor, Pietro, 77 Podkajsky, (generale austro-ungarico), 569, 600, 603, 604 Poincarè, Raymond, 274 Pollio, Alberto, 1120, 1121 Ponza di S. Martino, 731, 1022 Porro, Culo, 78, 83 Porro, Felice, 388 Porta, Ugo, 136, 391 Prezzolini, Giuseppe, 1128 Prinetti, Giulio, 1116 Pugliese, Emanuele, 137, 393

R Radcliffe, Sir Percy, 87 Raimondo, G.B., 392 Rainer, Guglielmo, 1052, 1053, 1054 Randini, Tedeschi, 476 Ravazza, Edoardo, 139, 391 Ravelli, Agostino, 138, 392 Repington, Charles à Court, 102 nt., 260 nt., 271, 274 Rény, Giorgio, Schariczer, 402, 633 Ricci, Giuliano, 1155 Robertson, William, 77 Rocca, Cario, 964, 971 nt. Roffi, Annibale, 391 Ronchi, Pietro, 137, 392 Ronge, Max, 167 nt. Rosacher, Luigi, 136, 392 Rossi, Gastone, 392 Ruggera, Kanùllo, 910, 914, 916, 918, 920


1208

Indice Nomi di Persona

s Sagramoso, Pier Luigi, 136, 394 Sailor, Emilio, 394 Salandra, Antonio, 70, 82, 902, 1115, 1122, 1140 Salazar, Michele, 138,393,591,664,665, 718 Salemi, (conte di), 128 Saletta, Tancredi, 1120 Salvemini, Gaetano, 1000 Sani, Ugo, 137, 392, 741 Sanna, Carlo, 138, 393 Saporiti, Alessandro, 136, 391 Schiiffer, (colonnello tedesco), 916 Schencheustuel, Vittorio, 53 Schneller, Karl, 910, 916, 918, 920, 923, 925, 926, 927, 929 Schiinburg, Hartenstein Alois, 44, 45, 46, 55, 401, 531, 597, 670 Schiinauer, (generale austro-ungarico), 839 Scialoia, Vittorio, 902 Scipioni, Scipione, 275, 916 Scotti, (generale austro-ungarico), 400 Segato Luigi, 964 Segre, Roberto, 189, 1155 Seiller, von Victor, 910, 916 Seitz, (Presidente del Consiglio di Stato austroungarico), 921, 922 Shoubridge, Tommaso, 137, 394 Sirianni, Giuseppe, 394 Smaniotto, Ercole, 128, 150 Sonnino, Sidney, 63, 70, 73, 118, 122, 269, 274, 286, 906, 1000, 1013, 1048, 1053, 1054, 1115 Spitzmiiller, (Ministro del Governo austroungarico), 921 Squillace, Carmelo, 137, 393 Stiiger-Steiner, von Steinstatten Rodolfo, 921

T Tagliaferri, Alessandro, 137, 392 Tamasy, von Fogaras, 402, 848 Tassoni, Giulio, 136, 391, 776, 779, 1028 Thaon di Revel, Paolo Carnillo, 908, 1052 Tiscornia, Luigi, 137, 138, 392, 1047 Tittoni, Tommaso, 1116 Toscano, Mario, 902

Tranié, (generale francese), 1057, 1058, 1060, 1062 Trenner, (capitano trentino, cognato di Cesare Battisti) 9i7 Trentini, Ignazio, 245 Trezzani, Claudio, 964 Turra, Antonio, 862

V Vaccari, Giuseppe, 138, 393, 579, 619, 620, 964 Vallardi, 964 Verdross, (generale austro-ungarico), 762 Viganoni, Agenore, 172 Vigliani, Alessandro, 137, 393 Viora, Giuseppe, 138, 391 Vittorio Emanuele III, 172 Vittorio, Emanuele di Savoia Aosta, (conte di Torino), 139, 395, 798 Vivarelli, Roberto, 1000 Volpe, Gioacchino, 178

w Walker, H.B., 136, 392, 741 Wandruska, Adam, 931 Warren, Whitney, 271 Weber,vonVebenau,425,508,910,913,914, 915,916,918,919,922,923,924,925,926, 928, 929 Widel, (coante di), 993 Wilson, sir Enrico, 28, 65, 101,179,280,282, 287,291,406,495,658,904,906,910,911, 912, 913, 935, 961 Wilson, Thomas Woodrow, 991, 1006, 1048, 1051, 1055 Wurm, Venceslao (barone di), 54, 402, 408, 633

z Zaccone, Vittorio, 200 Zampolli, Isidoro, 137, 392 Zoppi, Ottavio, 139, 393, 521 Zuccari, Luigi, 1082 Zupelli, Vittorio, 200, 1011, 1069 Zwierlowski, von Giorgio, 910, 927

INDICE DEI NOMI DI LOCALITÀ CITATI NEL TESTO

A

Abano: 286, 291, 357, 914, 916, 919, 920, 1005, 1006, 1025, 1062, 1074. Abbazia: 513, 514. Abbazia (Pederobba): 715. Abbeville: 34, 84, 123. Adamello (Monte): 56, 211, 212, 220, 241, 760, 777, 780, 784, 787, 791, 1152. Adamello (Gruppo): 776, 778, 792. Adamello (Cima): 786. Adda: 170, 212, 1095. Adige: 72, 79, 143, 146, 191, 427, 701, 708, 756, 766, 767, 770, 771, 787, 789, 951. Adige (Alto): 290, 700, 701, 708., 908, 918, 920,944,945,976, 1016, 1021, 1023, 1025, 1049, 1077, 1095, 1097. Adige (Valle d'): 721, 740, 752, 753, 755, 758, 774, 775, 790, 793, 936, 950, 1018. Agenzia Giuliani: 647. Agnello (Col dell'): 727. Ago Mingo: 212, 214. Agordino: 309, 428. Agordo: 612, 625, 714, 715, 728, 730, 734, 893. Agordo (Valle d'): 662, 671, 719, 720, 722, 725, 728, 734. Agordo (Conca d'): 434, 726. Aidussina: 1003, 1035, 1036. Ala: 762, 767, 768, 1022, 1023. Alano:337,344,351,401,423,440,456, 511, 553, 582. Alano (Conca d'): 348, 383, 457. Albania: 270, 902, 905, 906, 1078. Albaredo: 749, 761, 765. Albergo della Stanga: 730. Albina: 630, 806, 807, 811. Albina Alta: 603. Albiolo: 228, 785, 788. Aldeno: 774. Aldino: 756. Alessandria: 176. Alleghe: 431, 728, 732. Alpago (Farra d'): 664, 666, 718. Alpe Pozze: 769. Alsazia: 906. Altamura: 173. Altare (Monte): 355, 622.

Altipiani: 576, 614, 698. Altissimo (Monte): 133, 171, 397, 433, 758, 759. Altivole: 321. Alto Nove: 665. Altopiano dei Sette Comuni: 310, 432, 739, 742, 748, 760, 763, 765, 766. Alture: 855. Ambrosini (Case): 455, 491, 613, 653. Amiens: 34, 100. Ampezzo: 856, 1002, 1026. Ampezzo (Valle d'): 936. Ampola: 229, 777, 782. Ancillotto (Casa): 561. Ancillotto (Palazzo): 815. Ancona: 1047, 1050. Anne (Croce d'): 724, 729. Annone: 829. Annone Veneto: 649, 682, 814. Ansalunga: 643, 648 . Antivari: 900, 1047. Anzini: 106,209,214,215,216,238,336,392, 441. Aonèdis: 851. Aquileia: 436, 855, 862. Arabba: 719. Arcade: 368, 595, 630. Arcano: 824. Arco: 895. Ardo (Torrente): 720. Ariis: 853, 860. Arnoldstein: 1029, 1055. Arras: 15. Arrignano: 1011. Arsa (Golfo dell'): 1049. Arsego (Campo d'): 394. Arsiè: 333,342,349,431, 552, 709, 712, 713. Arsiè (Conca d'): 383. Arten: 313,315,317,319,333,338,340,341, 342,347,349,686,689,709,711,713,733. Arten (Piana d'): 431. Arten (Solco d'): 343, 427. Artent (Monte): 659, 661. Arzino (Torrente): 830, 834. Arsiago: 60, 91, 97, 99, 105, 107, 108, 109, 111,135,146,202,235,243,248,572,653, 656, 740, 741, 743, 750, 893. Asiago (Altopiano d'): 220, 222, 248, 259, 273,


Indice dei Nomi di Località

1210 275,298,351,399,413,431,652,698,741, 747, 761, 765, 1147, 1166. Asiago (Conca d'): 739, 950, 1147: Asolo: 122, 124, 297. Asolone (Monte) : 60, 106, 133, 135, 222, 243 , 250,251 , 284,332,333 , 336,337,341,342, 392, 401,407,418,420,441 , 442,443,444, 446,453,459,462,463,464, 477, 479,480, 481,482,483,493,541,581 , 604, 605,606, · 607, 608, 609, 612, 682, 683 . Asoloni (Colli): 364. Assa (Val d'): 60,135,653,656, 721 , 739, 740, 742, 745, 748, 749, 759, 764, 863, 950. Assa (Torrente): 432, 741. Assa (Forra dell'): 744. Assling: 1029. Asta (Monte): 654, 656. Astico: 13 , 53 , 71, 122, 135, 136, 140, 269, 290,322,380,391,399,740,758,762,951 . Astico (Val d'): 247, 432, 721, 749, 751, 759, 760, 761 , 764, 765 , 766, 1025. Aune: 719. Aurin (Monte): 342. Aurina (Valle): 1028. Auronzo: 1029. Ave: 237, 248, 257 , 455, 572, 741. Aveati (Monte): 754. Avena(Monte): 342, 343,612, 708, 709,711, 712, 713, 721, 724, 729. Avena (Colle): 689. Avezzano: 172, 173. Aviano:207,671,805,808,818,821,826,827, 834, 895. Aviano (Castel d' ): 822. Avien (Monte) : 447 . Avio: 914, 916, 920. Avisio: 436, 708, 740, 755, 776, 1006. Avisio (Valle d'): 936, 941. Ayello: 844, 847, 855, 862. Azzano Decimo: 813, 820, 825, 827.

B Bacchiglione: 79, 146. Baden: 44, 45, 46,282,283,459; 507,913,915, 993. Badenecche (Monte): 432, 744, 746. Badia (Valle): 736. Bagnara: 825 , 838 . Bagnària Arsa: 847. Bagnarola: 814, 838 . Bagnolo: 1010 . . Bagolino: 782. Baia! (Col del) : 452, 457 .

Baiusizza: 80, 983, 1137. Baiusizza (Canale): 1032. Baio (Col di): 342. Balcani: 283, 287 . Balcon (Monte): 583, 586, 617 . Baldi (Casa): 556. Baldo (Monte): 143 , 171, 745. Balfiore: 649, 682. Balladore (Valtellina): 783. Banato : 172. Barbanich (Casera): 615 . Barbarie (Monte): 563, 583, 586, 617, 625 . Barbeano: 823 . Barbisanello: 364, 367 ,' 589. Barbisano: 589. Barca (Passo): 353 . Barchi (Col di): 612 . Barco: 367, 525 , 561. Barriera Sarano: 367, 368 . Basagliapenta: 851. Basalghelle: 672. Baselga di Piné: 735, ~36. Basiliano: 852. Bassano del Grappa: 45, 122, 124, 214, 322, 348, 479, 687, 711, 1003 . Basson (Monte): 753. Bastia (Monte): 350. Bastiani (Casa): 401, 514, 523. Battaglia (Passo della): 213. Battisti (Corno): 254, 255, 771. Baudo: 842, 843 . Baviera: 993, 1005, 1017, 1028, 1094. Bedollo: 775. Belassi (Vallone di): 247. Belgrado: 1057. Bella (Val): 249. Bellis (Cà): 638. Belluno: 56,309,355,364,383,400,401,409, 416,417,427,428,459,492,494,496, 540, 551,586,612,618, 619,625,660,662,665, 690,698,711,713,714,716,718,720,722, 726, 735, 895, 944, 1026, 1027. Bellunese (Valle): 669. Belvedere (Casa): 367 . Benedetti (Casa): 373. Benotto (Casa): 567. Berat: 111. Berici (Monti) : 171, 1005. Berlino : 18, 992, 993, 1118. Bernardo (Villa de): 365. Berretta (Col della): 336, 337, 342, 420, 438, 441,442, 444,462,463,464,472,480,481, 483,491 , 570,605,606,608,609,682,683. Bersaglio della Priula: 402.

Indice dei Nom i di Località Berti (Casa): 558, 559, 590. Berti (Villa): 558, 559, 590. Bezzecca: 229, 782. Biadene (Casa): 513 , 515, 517, 556 . Biaderle (Casa): 353 . · Biaina (Monte): 767. Biano: 857 . Biasini Malatesta: 845 . Bicinicco: 833 , 848, 850. Bidoggia (Fosso): 60, 376, 405, 644. Bidoggia (Torrente): 536, 633, 648. Bidoggia (Zona) : 677. Bidoggia (Canali): 648 , 679. Bieda: 537 . Bigolino: 514, 555, 557, 726 . Bisciola: 814. Blessaglia: 814. Boale Zocchi: 255. Boaria Donegal: 520. Boca (Valle del): 1034. Bocca di Cadria: 59. Bocca di Serra: 350 . Boccaòr (Monte) : 336, 448 . Boccardo: 769. Boccasini (Casa): 827. Bocche: 900. Bocchetta di Cima Alta: 484. Bochetta Tortule: 742, 750. Bocchetta di Mezzo: 446. Bocchette (Valle delle): 337, 401, 445, 609, 649. Boemia: 172, 1024. Bogatin: 1032. Boio (Col del): 683, 686 . Boite (Valle del): 732, 735, 736, 1026. Bologna: 131, 176, 871, 874, 1093. Bolzano: 207, 297, "399, 431, 433, 670, 688, 700, 701,702,714,743,752,757,759, 760, 763,778,780,781,783,788,791,793 , 936, 953, 1018, 1019, 1022, 1025, 1097. Bolzano Vicentino: 322, 394. Bonato (Colle): 342, 348 , 437, 438, 477, 481, 683, 689. Bondon: 258. Bonvais: 34. Bonzicco: 804, 809, 822, 823, 824, 835 ,'837, 857, 1103. Borea: 718 . Borea di Cadore: 735. Borcola (Fosso della): 766. Borcoletta (Monte): 766. Bordano: 839. Bordelga: 757. Bordone (Monte): 759.

1211 Borghetto: 758, 762, 898. Borgo (Val Sugana): 612, 652,657, 722, 734, 742, 746, 748 , 751, 755 . Borgo:657, 728,736,755,863, 893 , 895, 1003. Borgo Antiga: 619. Borgo Bernardi: 592. Borgo Bianchi: 630. Borgo Collo: 619. Borgo Malanotte: 532, 533,538, 540, 564, 801 , 802, 803 . Bormio: 1019. Bormiolo (Casa): 602. Bormiolo (Fosso): 602. Bortolotto (Cà): 376. Bosco: 514, 556, 587, 653 , 741. Bosco del Cansiglio: 296,374,427, 581 , 597 , 622,623,625 , 627,667,669,670,671,692, 701, 795, 796, 944, 982. Bosco del Gallio: 460, 572, 613, 655, 656, 746. Bosco Posellaro: 750. Brada (Monte la): 755. Braulis: 856. Bravo (Cima): 757 . Breganze: 1077. Brennero : 902, 905, 921, 1006, 1016, 1019, 1020, 1021 , 1022, 1024, 1025, 1027, 1094, 1118. Brenta (Val): 209, 214, 215, 220, 222, 234, 239, 240,241,248,249,250,254, 258,259,260, 317,319,332,341,342 , 347, 348,380, 383, 392,427,431 , 432, 440,441,454, 654,682, 683,688,691,711,723,734,739,741,742, 746, 747 ; 750, 754, 1010. Brenta (Canale del): 106 , 391, 740, 950. Brenta (Ponte di): 1077. Brenta (Fiume): 44, 45, 46, 57, 72, 98, 124, 135, 136, 137, 140, 143, 146,191,202,235, 238,290,294, 297 , 299,309, 315,316,317, 318, 321,333,336,340,342,343,349,351, 398,399,400,401,407,413,416,426,438, 605,612,614,634,657,659,688,691,697, 727, 736, 742, 755, 780, 867, 893, 1010, 1103. Brenta! (Punta) : 548 . Brentella (Torrente) : 364. Brescello : 1010, 1012, Brescia: 156. Bressanone: 552, 1020, 1021. Brest-Litowsk: 13. Brian: 679. Bribano: 722. Brindisi: 1047, 1049. Brocon: 719, 727 . Brod: 1039.


Indice dei Nomi di Località

1212 Bruffione (Monte): 143. Brugnera: 597, 626, 627, 628, 629, 804, 805, 806, 807, 810, 812. Brunico:670, 700,714,736, 1021, 1025, 1027. Buccari: 1059. Bucovina: 172. Budapest: 52, 308, 866, 926, 1051, 1057. Buia: 1041. Buie: 900. Burian: 279. Busatti: 772. Busazza (Cima): 223, 224. Busco: 676. Busche: 661, 662, 690, 712, 713, 714, 715. Busche (Punte di): 661. Busetto (Cason del): 544. Buso (Casa): 675, 676. Buso (Porto): 1049. Buttrio: 434, 859.

e Cabari: 1039. Cacaole (oggi Cocchiole): 780. Cacaoli (oggi Cocchioli) 787. Cà del Porto: 678. Cadini (Monte): 59. Cadino (Passo): 734; (Valli): 701. Cadola: 718, 727. Cadore: 306, 309, 316, 428, 718, 719, 955, 1027, 1028, 1077, 1132. Cadore (Pieve di): 431, 612, 625, 714, 718, 728,732,735,736, 1002, 1006, 1019, 1020, 1026, 1027. Caerano: 146. Caffaro (Valle): 143. Calalzo: 1029. Calalzo (Ponte di): 735. Calamento: 701. Calamento (Val): 722, 728. Calceranica: 755. Calcino (Torrente): 336, 424, 511, 583, 615. Calcino: 336, 337, 401, 448, 449, 451, 545, 546, 548, 687. Calconega (Casa): 253. Caldaro: 793 . Calderano: 806. Caldiera (Cima di): 736. Caldonazzo:427,433, 701,740,741,751,753, 754, 755, 756, 758, 775, 863, 895, 950. Calisio (Monte): 755, 757. Calliano: 757, 768, 770, 774. Calnova: 646. Calvecchia: 646, 647, 678.

Camino: 841. Camino di Codroipo: 843, 853. Camisano Vicentino: 395, 799. Camminada ·(Cimitero): 536. Camonica (Valle): 59,143,211,212, 777, 784, 788, 1025. Campagna (Casa): 637. Campagna (Col): 522. Campagna delle Scuole: 679. Campagnola (Casa): 806. Campagnole: 385, 393. Campagnole di Sotto: 513. Campea (Torrente): 425. Campeggia (Colle): 336. Campese: I 103. Campigolo (Casera): 447. Campo (Cima): 59, 343, 709, 712, 721. Campo (Zona): 615, 617. Campo Bernardo: 641, 676. Campodarsego: 312. Campo di Mezzo: 600. Campo di Pietra: 641. Campoformido: 853. Campolongo: 760, 766. Campolongo (Cima): 765. Campomolino: 604, 663. Campomolon: 765, 766, 773. Campomulo: 432, 745, 750. Campomulo (Valle): 455, 746, 747. Campon: 666. Camporovere: 741, 742, 744. Campo Sampiero: 394, 864. Canai: 661. Caneva: 597, 627, 668. Caneva di Tolmezzo: 856. Canezza: 753, 936. Caniezza (Pieve): 350. Canova: 491, 805. Canove: 222,235,248,256,613,653,690, 741. Cansiglio (Piano del): 622,667,668,796,812. Cao de Villa: 364, 520. Casole (Casa): 660. Caorame (Torrente): 661. Caorle: 376, 644, 679, 680, 681. Cap di Casa: 780. Capitello Mulche: 613. Capo d'Argine: 675. Capo di Sopra: 623. Capodistria: 900, 1041. Caporetto: 595, 795,819,857,858,867,936, 938,944,949,966, 1030, 1032, 1127, 1128, 1129, 1136, 1140, 1148, 1167. Capra (Val): 691 . Capre (Colle delle): 447, 660.

Indice dei Nomi di Località Caprile (Colle): 60, 243, 250, 336, 337, 342, 348,401,441,442,462,472,480, 491,570, 605, 606, 682, 690, 742. Capriolo (Col): 590. Caputo (Casa): 476. Carbona: 814. Carbonara: 757, 775. Carbonare: 772, 773. Carinzia: 701, 819, 955, 1029. Cadi (Cà): 637, 639. Carnia: 150,918,955, 1026, 1077, 1095, 1132. Carniche (Alpi): 291, 1152. Carniche (Prealpi): 681, 702, 801, 808, 821 , 856. Carnolin (Casa): 680. Carpacco: 851. Carpano: 824. Capernedi (Colle): 215, 250. Carpenedo: 859. Carpene di Grottella (Colle): 249. Carpi: 170, 1010, 1012. Carretta (Casa): 676. Carso: 97, 396, 864, 968, 1034, 1147. Carzano: 657, 736, 749, 936, 1157. Casa Bianco: 860. Casa Bianca: 852. Casale: 177. Casale (Monte): 780. Casa Romano: 842. Casa Rosa: 852. Casa Rossa: 816. Casarsa: 893, 895, 1104, 1106. Casarsa della Delizia: 671,692,796,824, 826, 833, 838, 840, 852. Case Rosse: 637. Casera Val Sugana: 667. Casio Maggiore: 713. Casona: 366. Casonet (Monte): 337. Casoni: 676. Casotto: 765, 776. Castagnole: 326, 799, 878. Castelfranco Veneto: 146,171,272,321,326, 368, 394, 705, 864, 878, 1011, 1078. Castelfranco Emilia: 1082, 1098. Castelir (Monte): 630. Castella: 676, 677 ., Castellaccio (Punta): 787. Castellano: 767 . Castellaro (Monte): 750. Castelletto: 765, 766. Castel Lavazzo: 730, 731. Castellir: 568. Castello: 587.

1213 Castello (Monte): 355, 729. Castel Tesino: 657, 721, 729, 734, 752. Castenaso: 881. Castiglione delle Stiviere: 799. Castions (Villa): 825, 826. Castions di Strada: 844, 847, 854, 860, 936. Castua: 1052, 1054, 1055. Cà Tasson (Costone di): 251, 467. Cattaro: 900, 1047, 1050. Cattolica (Stretta di): 203, 897. Cauriol: 752. Cavalese: 722, 728. Cavalier: 642, 648, 675, 677. Cavazzo: 826. Cavazzo sul Meduna : 834. Cavazzo (Lago di): 835. Cavedago: 775. Cavento (Corno di): 209,211,212,213,214, 222, 777. Cavolano: 806, 810. Cavrera: 659, 660, 71 3. Cedee (Val): 780. Ceggia: 646, 678, 680, 816. Cellina (Torrente): 671, 808, 818, 827, 948. Celotti (Casera): 480. Cembra: 436, 775, 776, 936. Cencenighe:431,434,662, 714,715,728,732, 734, 736, 936, 1026. Cengles: 791. Centa S. Nicolò: 772. Cento (Pieve di): 876. Cera (Col di): 742. Cercena (Passo): 790. Ceresera: 716. Cervada: 529. Cervignano: 434, 436, 795 ,833, 839,846, 847, 848,850,855,859,860,861 , 862,936, 1010, 1017, 1104. Cesana: 586, 618, 659, 661 , 662, 689, 690. Cesarolo: 417. Cesen (Monte): 60, 301 , 337, 355, 364, 369, 426,555, 583,586,617, 618,620,625,661, 714, 943, 944. Cesilla (Val): 250,251,253,333,337,441 , 442, 444,445, 446,463,464,465, 542,543,570, 605, 612, 649. Cesio Maggiore: 714, 724. Cessalto: 845. Cevedale (Monte): 133. Cevedale (Passo): 789. Champagne: 13. Cherso: 900, 902. Chiappuzza: 436, 936, 1026. Chiarano: 675, 677, 678, 681 , 813, 814, 830.


1214 Chiarmacis: 859, 860, 861. Chiaulis: 835 . Chienis: 767 . Chiese: 43, 245. Chiese (Valle del): 433, 777, 782, 785, 792. Chiesetta: 537. Chiesuola: 520, 521, 590. Chior (Col di): 348, 454, 691 , 746, 747, 750. Chiusa (Valle di): 1020. Ciano: 364, 676. Ciano (Grave di): 302, 312, 353, 354, 515, 556, 586. Cigona (Torrente): 663. Ciconicco: 824. Cignagno: 212. Cima Alta (Casera): 465, 544, 609. Cimadolmo: 533, 801, 802. Cimetta: 599, 600. Cimone (Monte): 355,663, 745, 763, 765, 766, 774. Cimpello: 819. Cinespa (Val): 447, 546. Cintello: 838 . Cinqueponti: 816. Cinto Caomaggiore: 813, 814, 820, 825, 826, 832. Circhina: 1118. Cirenaica: 1078. Cirkniza: 1039. Cismon (Torrente): 306, 315, 333, 336, 341, 342,347,383,440,477,683,691,701,709, 712,719,722,723,724,728,729,732,734, 742, 936, 1103. Cismon (Val) : 309, 317, 319, 340, 426, 428, 431, 433, 683 , 688, 893. Cismon (Monte): 620, 625. Cison: 573, 597, 692. Cison di Val Mareno: 619, 894, 895. Cisterna: 824. Cittadella: 705, 864, 1002, 1077. Città Nuova: 648 . Cividale: 434, 819, 821, 857 . Civizzano: 754, 755, 758, 775. Clauzetto: 834. Cles: 212, 436, 780. Cocchioli: 223, 227, 228. Code: 646. Codognè: 568, 603, 604, 624, 804, 806. Codroipo: 397,403, 404,405,412, 563, 604, 614,633,681,702,801,802,832,840,841, 843, 847, 848, 852, 895, 1078. Cogollo del Cengio: 766. Colbertaldo: 361, 413, 514, 555, 557, 588. Col dell'Alto: 622, 623, 667 .

Indice dei Nomi di Località Col del Vecchio (Casera): 441,442,443 , 462, 463, 481, 541. Col de Rosso: 99, 133,135,222,235,236,237, 248, 249,.257, 474. Colesel (Colle): 665 , 666. Colfosco: 355. · Colfranchi: 636. Colfrancini: 6 02 . Collabrigo: 381, 621. Coli' Alto: 668, 669. Collalto (Alture di): 365, 366,367,413, 516, 520, 521, 529, 589, 590. Collalto (Bocca di): 643. Collalto (Casa): 520. Collarghe: 533 , 536. Collegio: 241, 247. Collicello: 744. Colmi: 617. Colrnirano: 553, 583. Colorni (Cascina): 823. Colombara: 746. Col Santo: 247, 298, 769. Coluzza: I 103. Comina: 692. Conce (Case): 637 . Concei (Val): 220, 229. Conche (Casa): 216. Concordia Sagittaria: 813, 816, 832. Condino: 782. Conegliano: 60,125,207,292,301,308,309, 312,355,356,360,367,368,381,383,423, 425,529,533,540,561,563,568,569,570, 573,578,590,591,593,595,597,598,613, 614,624,626,672,681,702,797,801,893, 894, 943, 1026, 1027, 1095, 1104. Coni Zugna: 247, 391, 758. Conselve: 1098. Consiglio: 313 . Convalle Bellunese: 818. Corbase: 590. Corbolone: 680. Cordenons: 670, 810, 813, 818, 824. Cordevole (Torrente): 317, 319, 350, 369, 625, 658,662,700,701,711,712,719,722,725, 726, 729, 730, 732. Cordevole (Val): 431,433,612,660,689, 715, 734, 863, 936, 942, 944, 1026. Cordignano: 403, 417,623,624,626,804,805. Cordovado: 434, 819, 838, 839. Corlo: 342, 683. Cormons: 434, 436, 821, 850, 859, 1103. Cormor (Torrente): 861. Corna (Villa): 244. Cornarè: 568, 601, 603, 628, 629 .

Indice dei Nomi di Località Cornelia (Monte): 336, 351, 660. Cornetto (Monte): 759. Cornino: 851. Cornino (Ponte di): 856 . Corniolo: 860, 861. Corno (Monte): 247. Corno (Torrente): 860, 861. Corno del Coston: 766. Cornone (Monte): 106, 215, 220, 239, 474, 746. Cornosega (Monte): 336. Cornuda: 380, 413. Cornudella: 538. Corte in Val Brenta: 257. Cortellazzo: 679. Cortes (Casa): 457, 491. Cortina d'Ampezzo: 612, 714, 736. Corvara (Val Badia): 612, 736. Cos: 780. Cosa (Torrente): 823, 824, 826, 833 . Coseano: 824. Cosniga: 568. Cossegliano: 1103. Costa: 653, 827. Costa Alta: 742, 893. Costa (Cima): 743, 744. Costa Grande: 355. Costalunga: 257. Costa (Monte): 717. Costa Stenda: 767, 768. Coston (Corno del): 766. Costone della Sorgente: 59. Cotton (Cà): 679, 680. Covola: 741, 743. Covolo: 432, 513. Cravaia: 825. Cravera: 712, 724. Cremona: 177, 199. Crep (Monte): 618, 662. Crespano: 322. Crevada (Torrente): 594. Criero (Casa): 676. Croazia: 902. Croce d'Anne: 724, 729. Croce (Monte): 662. Croce (Punta della): 752. Croce Comelico (Passo): 612. Crocetta Trevigiana: 364, 595. Croce Valpore: 341, 392, 445, 447. Croce Vinchiaruzzo: 824. Crodarotta (Colle): 447. Cronicello (Alture): 752, 763 . Cronicello (Monte): 743 . Crozzon del Diavolo: 211.

1215 Cuc (Col del): 252, 420, 447, 448, 449, 450, 459,468,469,484,485,489,492,544,545, 570, 571, 610, 686. Cucca (Villa): 632. Cucco (Monte): 355,367,368,591,592,943. Cucco (Vetta del): 748. Curogna (Torrente): 348, 351, 360, 361, 369, 392, 393, 513. Curzola: 1047. Cusignana: 146, 368.

D Dalmazia: 865, 902, 905, 906, 918, 1000, 1006, 1008, 1039, 1046, 1047, 1048, 1049, 1050, 1051, 1053, 1055, 1076, 1092. Danubio: 122, 991, 1057 . Daone (Val): 245, 777, 782. Dardanelli: 30. Delizia: 60. Delizia (Ponti della): 802, 804, 825, 832, 836, 1103, 1104. Delnice: 1039. Dente di Cane: 230, 233. Dese: 393, 394. Desenzano: 886. Devoli: 111. Dignano: 837 . Dignano (Ponte di): 839, 840, 1049. Dimaro: 433, 777, 790, 791. Divazza: 1041. Dobbiaco: 54, 306, 670, 700, 708, 714, 905, 1018, 1027, 1028, 1118. Dobbiaco (Passo di): 1019, 1026. Doberdò: 850. Dodecanneso: 902. Dogna: 727. Dolomiti: 1152. Domanius: 808, 824, 826. Domegge: 436, 1026. Domegge di Cadore: 936. Dosegù: 224, 229. Dosegù (Passo): 228, 784, 790. Dosegù (Cima): 228, 245. Dosegù (Vedretta del): 244. Doss della Greve: 755. Doss di Brusadi: 755, 757. Dosso del Fine: 749. Dosso del Somma: 764. Dotta (Villa): 8 I O. Doubles: 34. Drava: 700, 905. Drava (Valle della): 1006, 1023, 1029, 1119. Drò: 767.


Indice dei Nomi di Località

1216 Dueville: 1003. Dulcigno: 900.

E Echele (Col d'): 99, 133, 135, 235, 236, 248 . Ech (o Eck): 432, 434, 741, 743. Ecker (Cima): 655. Egna:431,688, 700,701,702,708,740,742, 755. Eisak: 908. Enego: 347, 349, 746, 747, 750. Eraclea: 645. Ercavallo (Dorsale): 224, 783. Ercavallo (Punta di): 223. Brio (Monte): 759, 766. Eritrea: 1078. Este: 1010. Euganei (Colli): 171.

F Facen: 713, Fadalto: 355, 374, 614, 622, 624, 626, 669, 717, 718, 719, 720. Fadalto (Case di): 666. Fadalto (Stretta di): 431, 658, 717, 800, 944, 969. Fadalto (Passo): 625. Fadalto (Sella): 664. Fagarè di Piave: 394, 643. Failli (Casa): 629. Falsarego: 1006. Falserego (Passo): 612, 732. Falsè: 262,286, 302, 308, 312, 323, 325, 352, 353,354,356,366,367,380,385,401,402, 515,516,517,518,520,521,523,524,557, 558, 559, 590, 970. Falzè di Piave: 513, 519. Fanglis: 862. Fara (Alture di): 519. Farnie (Col delle): 341. Parra: 364, 589. Parra di Soligo: 381, 557, 563, 588, 619. Farsola: 491. Fasolo (Bosco di): 750. Fassa: 728. Fassa (Val di): 431, 719, 733, 760. Fassa (Alpi di): 612, 657, 698. Faverghera (Monte): 665. Faveri: 555, 583. Faveri (Case dei): 354, 367, 513. Felettis:862. Fella: 1006.

Fella (Valle del): 1030. Feltre: 207, 306,309,313,315,317,319,325, 333,336,337,339,340,341,342,343,347, 349,350,369,380,383,400,401,404,409, 416,417,426,427,431,438,440,447,448, 477,492,496,540,551,552,617,618,624, 625,652,658,659,660,661,686,687,688, 689,690,692,698,708,711,712,713,722, 724, 733, 893, 895, 1010. Feltre (Conca di): 1010. Fener: 337, 457, 491, 512, 661, 1100, 1102. Fener (Cimitero di): 553. Fenilon (Colle): 336. Fer (Col del): 603, 669. Ferragh (Monte): 432, 460, 654, 655, 741, 743 . Ferrara: 207. Ferrera (Torrente): 593. Ferro (Col del): 668. Ferro (Valle del): 670, 700, 719, 800, 821, 1030. Fiandra: 13. Fiara: 746. Fiara (Monte): 736, 746. Fiaschetti: 603, 668, 669, 796, 805, 807, 812, 944. Fiemme (Alpi di): 722, 734. Fiemme (Val di): 399, 701, 728, 732, 756, 760, 950. Fiera di Primieiro: 436, 612, 723, 727, 728, 729, 732, 733, 734, 893, 936, 1003. Fieri: 11. Finocchio (Monte): 763, 764. Finstermiinz: 1019. Fiorentina (Valle): 735, 936, 1026. Firenze: 177. Fiume: 54, 68, 69,284,285,400,413,696, 711, 864, 900, 902, 905, 1000, 1006, 1008,- 1012, 1018, 1038, 1039, 1040, 1046, 1047, 1048, 1049, 1050, 1051, 1052, 1053, 1054, 1055, 1057, 1058, 1059, 1060, 1061, 1062, 1063, 1064, 1076, 1087, 1118, 1168. Fiumesino: 825. Fiume Veneto: 840. Flagogna: 834, 835, 856. Flaibano: 835, 837, 858. Flumignano: 860. Foglie (Valle delle): 337, 683. Folas: 767. Folgaria (Altopiano di): 202, 721, 743, 748, 751,752,759,760,761,763,764,770,774, 775, 776, 834, 856, 950. Foligno: 172. Folina: 635. Poli: 583.

Indice dei Nomi di Località Folletto (Monte): 59, 212, 213, 214, 222, 791. Pollina: 122,123,272,296,312,355,356,381, 383,403,425,557,573,589,597,619,725, 894, 895. Pollina (Cona): 275. Fontana: 588, 589, 765, 766. Fontana (Val): 236. Fontana dél Buero: 353, 354, 361, 384, 393, 513, 514, 515, 517, 558, 587, 588. Fontana Fredda: 672, ·792, 852, 810. Fontanasecca: 342. Fontanasecca (Monte): 447, 448, 487, 488, 686, 689 . Fontane! (Monte): 447, 452, 471, 484, 488, 546. Fontanelle: 569,600,603,604,624,629,671, 803. Fontanellette: 568, 600, 601, 602, 629, 671. Fontigo: 401, 519, 520, 522, 524, 556, 589. Fonzaso: 325,401,426,433, 459 477, 492, 612, 658,758,659,689,692,700,708,709,711, 712,713,719,723,724,727,729,818,893, 1010. Fora: 742, 746. Forcella Bassa: 660. Forcella Camporanetta: 448, 547. Forcella San Daniele: 659, 660. Forcelletta (Monte): 401,418,420, 447,448, 449, 450, 459, 468, 472, 485, 489, 571. Forchetta (Monte): 369. Forconetta (Monte): 662. Formeniga: 365, 515, 620, 666. Formisel: 511, 553. Formosa (Casa): 536, 537, 565. Fornace: 567, 637. Fornasotto (Casa) : 647. Fornera (Casa): 376. Forni: 764, 765. Forni (Valle): 788 . Forni Alti (Monti): 759. Forno (Monte): 224, 244. Forno (Valle Avisio): 722. Forno di Zoldo: 735. Fortezza: 1020, 1027. Fortini: 59. Fortogna: 730. Fosco (Col): 573. Fossabiuba: 631, 672, 673, 812, 827. Fossadelle (Casa): 637 . Fossalta: 675, 813, 814, 839. Fossalta Maggiore: 677. Fossalunga: 573. Fosso Borongot: 476, 534. Fosso di Confin: 252.

1217 Fossoluzza (Casa): 561. Foza: 742. Fragogna: 824. Francenigo: 630. Francenigo (Ponte di): 806, 807, 810, 812. Franchi (Col): 355 . Francia: 36, 272, 287 . Francini (Colle): 806. Frassene: 648, 675, 676, 677, 678, 681, 814, 816. Fratta: 622, 894. Fratte (Coston delle): 499. Fratte (Cason delle): 441,443,444,463,481, 483, 605, 606, 607, 608. Frattina: 829. Fredina (Monte): 686. Predino (Colle): 342. Fregona: 597. Frezona (Zona di): 801. Frenzela (Valle): 202,212,235,238,248,249, 257,260,460,655,691,740,741,743,745, 754. Freschi (Casa): 637 . Fricca: 757, 775 . Frison: 747. Friuli: 697, 849, 955, 976. Fucine: 784, 787 . Fumo (Monte): 211, 213, 227, 315, 318. Funer: 512. Furlan çcasa): 637.

G Gaiarine: 568, 603, 624, 628, 629, 671, 805 . Gaica: 248. Gai! (Valle): 1012, 1019, 1023, 1026. Gailitz (Valle): 1029. Galizia: 904. Galleriano: 858. Galliera Veneta: 705, 1002. Gallio: 741, 742, 746. Gallio (Giardini del) : 746. Gallo (Col del): 341, 349, 438, 682, 683, 688, 709. Galmarara (Monte): 746. Galmarara (Valle): 746, 748, 750. Galvagna: 637, 837. Ganda di Martello: 791. Garda:43, 102,133,135,136,140,246,254, 351,391,397,399,432,433,702,738,758, 777, 781, 782, 785, 897, 898, 1012, 1018. Garda (Monte): 659, 661. Gardena (Ponte): 714. Gasparinetti (Casa): 637, 638.


1218 Gastaldino (Casa): 637. Gava (Passo): 783. Gaverina: 211. Gavia (Val): 224. Gazza (Monte): 780. Gazzo: 799. Gemona: 8,19, 938, 1004, 1030. Genova: 1050. Genova (Val di): 211,212,222,223,224,227, 777, 784, 787, 789, 792. Ghelpach: 60, 135, 432, 460, 613, 655, 741, 743. Ghiani (Casa): 216. Ghirano: 827. Ghizza (Valle): 445. Giais: 670. Giaramadon: 250. Giaron: 713. Giogo dello Stelvio: 780. Giogo di Cadin: 657, 728, 749, 752. Giovo M. (Passo): 1021. Giudicarie: 43, 59, 143, 187, 202, 203, 211, 391, 436, 736, 821, 833, 864, 983 , 1025. Giudicarie (Valli): 433, 777, 778, 779, 782, 789, 790. Giudicarie (Gruppo): 792. Giumella (Monte): 59, 244. Giupponi (Cà): 350. · Giusti (Villa): 268, 308, 435, 908, 910, 917, 919,924,925,928,%1, 976,993,997, 1047. Giuzza (Casa): 660. Gleris: 842. Glorenza: 777, 791. Glurus: 1002. Gobbera: 723. Goccia (Valle): 337, 683. Godego: 894. Goergh: 1025. Golfo (Casa): 644. Gonars: 862. Gonfo: 376. Gorizia: 102,400,902,936, 1030, 1035, 1097, 1103, 1136, 1137, 1142, 1147, 1154. Gorizzo: 841. Gossolengo: 1082, 1098. Gradenigo (Cà): 376, 647, 831. Gradisca d'Isonzo: 821, 823, 839, 844, 847, 1036. . Grado: 434, 436, 795, 850, 936, 1041. Granza: 592. Grappa (Monte, Massiccio del): 55, 56, 60, 78, 97, 99, 106, 107, 110, 122, 124, 133, 135, 143, 151, 162, 168,179,202,209,217,241, 250,251,259,262,269,284,292,293,294,

Indice dei Nomi di Località 295,296,297,298,299,301,306,309,316, 318,319,332,333,337,340,341,351,369, 381, 382, 396, 404,407,408, 413, 418, 420, 424,425,428,433,438,440,441,445,453, 454,456,459,460,461,465,472,473,477, 479,492,493,494,495,496,497,498,499, 500,503,504,505,507,531,540,549,551, 570,576,579, 581,597,611,612, 61'3, 624, 631,649,652,653,657,659,688,689,696, 698,709,712,723,733,739,866,887,911, 912,936,938,939,947,956,957,968,970, 979, 981, 985, 986, 990, 992, 1032, 1056, 1093, 1095, 1124, 1143, 1147, 1152, 1166. Grappa (Cima): 240,336,337,445,447,468, 711. Grassaga: 375, 648, 678. Grassaga (Scolo): 376. Grassaga (Fosso): 639, 640, 641. Grassana (Canali): 643, 644. Grattariole (Casa): 647. Gratz: 207. Graziani (Casa): 680. Grecia: 1039. Gresal (Torrente): 370. Gries: 757, 1022. Grigno: 431,688, 709, 721, 727, 729,750,893, 895. Grigno (Bersaglio di): 754. Grions: 837 . Grisignano: 799. Griso: 766. Grisolera: 376, 645, 647. Gron: 716, 722, 729 . Grottaglie: 173. Grottella: 215, 241, 243, 250, 258, 691. Gruaro: 825. Grumolo delle Badesse: 799. Guarda (Col di): 301, 573, 574. Guia: 364. Guimella (Valle): 782. Guizza (Casa): 365, 660. Guizzo: 591, 827.

H

Indice dei Nomi di Località Indrio: 850, 1103. lnn (Valle dell'): 396, 1012, 1016, 1017, 1018, 1019, 1023, 1077. Innsbruck: 993, 1012, 1015, 1016, 1017, 1018, 1019, 1020, 1021, 1022, 1023, 1025. Intelvi (Valle di) : 791 . Interrotto (Monte): 432, 572, 654, 741, 744, 746, 749, 950. Isarco: 1019. Isera: 767, 771. Isola della Scala: 799. Isola di Sopra (Casa): "642. Isola Grossa: 900. Isole Curzolane: 900. Isonzo: 9, 53, 54, 62, 71, 128, 259, 275, 405, 407,658,697,702,795,807,821,833,849; 857, 858,859,905,936,938,940,954,971 , 976,984,987, 1006, 1029, 1033, 1034, 1035, 1043, 1086, 1094, 1095, 1098, 1103, 1109, 1119, 1124, 1135, 1136, 1147. Isonzo (Ponte dell'): 821. Isonzo (Valle dell'): 1004, 1030, 1032, 1077. Istrana: 368, 705, 1002, 1011. Istraga: 822. Istria: 739, 902, 906, 936, 954, 1000, 1031, 1034, 1045, 1046, 1047, 1049, 1051, 1077, 1094, 1106. Istrice (Selletta dell'): 546.

J Jacur (Villa): 365, 591. Janna (Casa): 645, 646. Jap (Casa): 823 . Javornik: 1003. Joannis: 855 . Jpres: 18.

K Kegerle (Punta): 749. Klangerfurt: 114, 1113. Knin: 1050. Kufstein: 993, 1023, 1094.

Hradica (Monte): 1003, 1031.

L

I Idria (Vale d'): 1034. Idro (Lago d'): 143. Imer: 689, 728. Imst: 1018, 1023.

Laas: 1039. La Castella (Monte): 348. La Contea: 146. Ladino: 722. La Fossa: 677. Lagarina (Val): 59, 112, 133, 171, 246, 285,

1219 297,301,306,404,425,432,496,697,698, 702,738,742,743,755,757,758,759,760, 761, 762, 763, 766, 772, 774, 775, 778, 791, 886, 898, 914, 919, 951, 953, 1015, 1018, 1019, 1020, 1021, 1025, 1103, 1104. Laghi: 894. Lagoscuro (Punta): 787. La Gusella (Monte): 479 . Lambac (Cime di): 1005, 1017, 1020. Lambara (Monte): 657 . Lamon: 689, 719 . Lamuda: 730. Lan (Cima di): 342, 343, 709, 721. Lana .(Col di): 893 . Lancenigo: 326, 878. Landeck: 793 , 993, 1012, 1016, 1017, 1018, 1019, 1020, 1021, 1022, 1025. Langhirotto (Rio): 637. Lardaro: 785. Lares (Vedretta di): 212, 780. Larici (Cima): 742, 754. La Rotta: 813. La Sega: 813, 816. Lastebasse: 432, 765, 766. Latisana: 60,434,682,802,804,820,829,831, 832,837,838,839,844,845,846,847,859, 863, 895, 1103, 1104, 1106. Latisana (Ponti di): 854. latisanotta: 837, 838, 839, 845, 859. Lavaredo (Cime di): 1002, 1020, 1026. Lavarone: 721,739,740,742,743,761,775 . Lavarone (Altopiano di): 654, 748, 749, 751, 752, 759, 760, 761, 762, 763, 770. Lavazzo (Castello): 730, 731. Lavena (Cà): 376. Lazzaretto: 747 . Lebi (Valle dei): 253, 337, 465. Ledra (Canale di): 852. Ledro (Val di): 229, 781, 782. Ledro (Lago di) : I 13. Legnago: 162. Le Marche: 491. Le Masiere: 716, 726, 734. Lemene: 844. Lemene (Canale di): 819. Lentiai: 427,617,625,659, 662, 692, 714, 725, 944. Lepre (Monte): 443 . Lessini (Monti): 132, 196, 1025. Lestans: 822, 823, 826. Lestizza: 858, 862. Levada: 393 . Levade (Case di): 628. Levico: 351,427,433,478,655, 701, 722, 729,


1220 740,742,751,752,753,754,755,757,936, 1025. Libano: 722. Limaga: 620. Limana: 622, 662, 663, 716. Linz: 1015, 1017. Lippi (Casa): 675, 828. Lisarica: 1047. Lisser (Monte): 315, 319, 347, 348,349,432, 454, 657, 747, 750. Lisson: 649. Listino (Monte): 133,143,211,213,227,391 , 738, 776, 777, 782. Livenza:60,96, 125,150,262,275,292,306, 309,312,313,317,371,374,375,376,425, 426,427,428,432,539,563,568,569,573, 575,581,597,603,604,614,615,623,624, 625,626,627,628,630,631,639,640,641, 643,646,647,648,658,668,669,670,671, 673,677,679,680,681,692,702,707,719, 793,795,796,797,798,800,801,802,803, 804,805,806,807,808,810,811,816,817, 819,825,826,827,828,829,831,832,833, 841,866,895,943,944,947,948,949, 971, 981, 982, 987, 1103. Livenza (Motta di): 403, 427, 428, 573, 629, 636,637,638,648,649,672,675,678,682, 802,803,804,812,813,814,815,820,829, 830, 842, 843, 847, 855, 893, 894. Livenza (Fiume): 405. Livinallongo: 1006. Livorno: 177. Livrio (Monte): 59. Lodrone: 782. Lonato: 886, 1010. Londra:29,66,67, 68,69, 71,101,127,864, 902, 904, 906, 909, 930, 991, 1000, 1012, 1043, 1046, 1047, 1048, 1052, 1053, 1127. Longara (Monte): 342,347,432,654, 657, 741 , 745. Longarone:433,612, 714,720,727,728,730, 731, 1029. Longarone (Colle): 625. Longatico: 1037. Lonigo: 513, 1011, 1031. Loreggia: 394. Lorena: 906, 990. Loria: 321. Lotzo: 742. Lubiana: 207, 308, 396, 689, 849, 850, 955, 1039, 1041, 1094, 1135. Lucinigo (Ponte di): 858. Lumignacco: 859. Lupo (Ridotto del): 59.

Indice dei Nomi di Località Luserna: 752, 773. Luserna (Forte di): 765. Lussino: 902. Lustrano: 568, 569, 600, 601, 604, 629, 631, 803.

M Macedonia: 22, 270, 1078, 1086. Madal (Monte): 440, 451,456,457,474,491, 553,554,555,569,583,586,617,618,659. Madonna della Salute: 825, 830. Madonna di Campiglio: 212, 433, 777, 778, 790, 792. Madonna di Caravaggio: 512. Madrano: 754. Madrisio: 60, 405, 634, 830, 832, 939, 842, 844, 847. Madrisio (Ponte di): 820, 837, 853. Madrone: 758. Maè {Torrente): 731. Maggio (Monte): 765, 766, 773. Magnano: 856. Magno (Casa del): 629. Mainizza: 1103. Maio (Monte): 59, 222, 230, 234, 766. Malborghetto: 367. Malè: 212, 433, 436, 778, 790, 952, 954. Magia Cheserle: 769. Malga Murelon: 486. Malga Portule: 654. Malga Sarta: 772. Malgaringia: 59. Malles: 1018. Mandre: 413. Mandria (Cima): 336, 448. Mandriccio (Hoch Jok): 789. Manga (Col di): 612, 689. Mangart (Monte): 1002, 1003, 1008, 1026, 1029, 1031. Maniago: 434, 719, 807, 822, 826. Mantello (Monte): 59, 220, 222, 223, 224, 229, 241, 243, 244, 245 , 779, 788, 792. Mantova: 146, 199, 799. Manzano: 859. Manzanne: 666. Manzona: 621, 622. Maor (Col): 364, 365, 515, 553 . Maor (Monte): 364. Maora (Cima): 745. Marano Lagunare: 828, 845, 846, 855, 899. Marburgo: 1094. Marcai: 750, 754. Marcatelli: 525, 563, 568, 592.

Indice dei Nomi di Località Marcesina: 413, 742, 747. Marco: 768. Marcon (Casa) 559, 561. Marenò di Piave: 403, 593, 599, 802, 803. Mareno (Val): 380, 383, 529, 573, 588, 595, 621, 943. Marignana: 825. Marigonda: 812. Marna: 13, 15, 84. Marostica: 1003, 1077. Marrocca (Casa): 348. Marsure: 808. Martello (Val): 749, 765, 777, 789, 791, 792. Martignacco: 824. Martignano: 824. Martina (Col della): 445, 472, 483, 489, 570, 605, 683. Martina Col della (Casera): 609. Martino (Col del): 894. Marziai: 661 , 714. Mas (Ponte di): 722. Mas (Torrente): 715, 716, 726, 730, 818. Masera (Cima): 657. Mason: 348. Massiccio di Cima Peri: 789. Matassone: 761. Materasso: 520, 521. Mattarello: 772, 773, 836, 863 . Matteria: 1036. Matterott: 212, 213 . Matterott (Malga): 212. Mattiuzzi (Casa): 637, 676, 677. Mattuglie: 1041. Mauria (Colle della): 1006. Mauria (Passo della): 670, 700, 701, 725, 800, 1027. Mayor (Col): 622, 623, 667. Meata (Monte): 745, 749. Meda (Monte): 336 . Meda! (Monte): 351. Medata (Monte): 336, 337, 448, 451, 548, 652. Meduna: 417, 434, 575, 692, 707, 808, 810, 811, 815, 825, 826, 827, 948, 1103. Meduna (Torrente): 670, 818, 819, 820, 822. Me!: 350, 427, 586, 617, 620, 623, 662, 663, 669, 692, 712, 726. Mela di Velo d'Astico: 766. Melaghetto: 236, 432, 743. Melaghetto (Casera): 60, 257. Melaghetto (Monte): 690. Meleda: 1047. Meletta di Gallio (Monte): 745. Melette: 347, 432, 657, 745, 747, 748 . Meliana (Col): 588.

1221 Melina Casier: 632. Melon (Casa al): 813 . Melone (Col del): 724. Mendola: 778, 952. Mendola (Passo della): 433, 436, 791, 793 , 936, 1018. Meneguggia: 251. Menegugia (Casera): 443, 541. Menicigolo: 211,212,213,214,222,224,227, 228. Meolo: 146, 147. Merano: 778, 783, 791 , 792, 793, 1002, 1025. Mercatelli: 402. Mercatelli (Casa): 353 . Mereto di Tomba: 851, 852, 858. Merlengo: 529. Meschio: 628. Mestre: 207, 321, 330, 881. Mestrino: 322. Mezzano: 732. Mezzaselva: 749, 765. Mezzodì (Cima): 755. Mezzolombardo: 399,431,433, 702, 750, 775, 778, 780, 781, 789, 952, 1025. Migne: 425, 715, 726. Miela (Monte): 744, 745. Miela (Valle): 745, 747. Miesna (Monte): 342,618,661,711. Miglio (Col del): 99, 250. Milani (Casa): 366, 567. Milano: 1024, 1025. Mincio: 72, 79, 143, 146, 1016, 1098. Mincio (Col del): 91, 99 . Mion (Casa): 367, 516. Mira (Casa): 353, 518, 522. Mirandola: 162, 164, 324, 1010, 1012, 1082, 1083, 1098. Mis: 433, 730. Mis (Valle del): 730. Modane: 104, 272. Moi (Col de): 662, 663. Moistrocca (Passo di): 1032. Moliana (Col): 364. Molinetti: 661 . Molinetto: 351, 586, 615 . Molinetto di Pederobba: 385 , 513, 514, 574. Molini {Linea dei): 366, 516. Molino (Borgo del): 536, 565, 600, 635, 636, 637. Molino del Manente: 367, 522, 589. Molino di Mezzo: 813 . Molino Romano: 852. Molveno (Lago di): 778 . Monaco di Baviera: 1015.


1222 Moncader (Monte): 355 , 364, 563, 597. Mondragon:355,365,597,598,620,625, 791, 944. Monfalcone: 821,839,846,847,848, 850, 854, 859, 862, 1041. Monfenera: 135,325,336,351,420,421,457, 491, 553. Monguelfo: 714. Monigo: 799. Monselice: 1010, 1012. Montagnola: 512, 554. Montaner: 623. Montdidier: 15 . Monte (Val del): 777, 783, 784, 787. Montebelluna: 146,321,324,529, 706, 1078. Montecchio Emilia: 154, 155. Montecollo: 775. Monte Croce Carnico (Passo): 1002. Montello (Monte): 44, 45, 60, 72, 91, 97, 99, 122,146,173,202,205,262,278,296,298, 301,302,308,315,319,325,352,353,356, 357,361,364, 367,369,380,408,413,496, 528,556,594,595,658,977,980,983, 1143. Monte Negro: 902, 1047. Monte Nevoso: 905, 1006, 1039, 1052, 1077. Montereale: 818, 827, 839. Monte Rosa: 791. Monte Santo: 124, 202, 256, 273, 336, 736, 1141. Monticano: 69, 96, 262, 381, 423, 425, 507, 539,540,562,563,564,567,569,575,576, 580,581,593,594,595,596,597,598,599, 600,601,602,603,613,623,626,627,628, 629,630,637,671,672,681,707,793 ,803 , 815, 943, 948, 971, 981. Monticella (Casa): 593. Monticello: 223, 227. Monticello (Sistema del) : 686, 786. Montichiari: 1010. Montorso (Sella di): 790. Montozzo (Forcellina di): 786, 787. Moreno (Val): 296, 312, 313, 317, 356, 364, 590. Mori: 246. Mori Vecchia: 768, 769, 771. Mori Nuova: 769, 771. Moriago: 353, 355, 361, 364, 366, 514, 519, 520, 522, 523, 556. Morsano al Tagliamento : 833, 838, 839, 842. Mortegliano: 833, 852, 862. Moruzzo: 824. Mosa: 980, 982. Moscher (Colle): 659, 661. Moschin (Colle): 133, 739.

Indice dei Nomi di Località Mosciagh (Monte) : 347, 432, 654, 741, 744, 746, 748, 749, 950. Mosnigo: 361, 425, 514, 519, 523, 555, 556, 588. • Mosto (Cà di): 644, 816. Mossul: Il. Mure (Valle delle): 337, 470, 487. Murelon (Malga): 486. Musi (Valle dei): 1030. Musi!: 364, 367. Musile di Piave: 644, 679, 842. Musile: 133, 376, 813. Musone: 146. Mussolente (Colline del): 143. Muzzana al Torgnano: 846, 854, 899. Muzzana del Tauriano: 861, 895 . Muzzanella (Torrente): 846. Muzzara: 848 . ·

N Nabresina: 1036. Nagler: 59. Natisone (Valle del): 821,857,858,936, 1004, 1029, 1033 . Nauders: 793 , 993, 1019, 1020.: Nauporto: 1003, 1012, 1118, 1037, .1077. Nauporto(Valicodi): 1029, 1031, 1034, 1035, 1037. Navisego: 375. Navisego (Fosso): 640. Negotin: 991. Negrisia: 637 . Negrisia (Rio): 533 ,- 536, 537, 540. Negro (Cà del): 645, 646. Nero (Monte) : 97, 291. Nervesa: 301, 312, 352, 353, 354, 367, 372, 384, 385, 525, 526, 533, 558, 590, 594, 970. Nevea (Sella): 1006. Nicoli (Cima): 668, 669. Noce (Torrente): 212, 223, 784, 1006. Noce (Valle del): 790'. ' Nogare: 754. Nogaredo: 808 . Noi (Val di): 654. Non (Val di): 778, 792, 936. Norcen: 724. Nos (Monte): 745, 895. Nos (Val di): 432, 742, 746, 748 . Nova: 322. Novale: 253. Novale (Ponte di): 803. Novaledo : 755. Noventa: 644, 646, 647.

Indice dei Nomi di Località

1223

o

p

Oderzo: 312,421,569,602, 603,604,628,629, 630,632,635,637,638,639,647 648, .672, 675, 676, 677, 797, 806,814, 829, 842. Olantreghe: 731. Olt~a (Ponte di): 729. Ongaro (Casa): 647. Onigo: 354, 361, 623. Opicina: 820, 1041. Oppocchiasella: 1036. Ora: 700, 1019. Orcenigo: 826. Orcenigo di Sopra: 825. Orcenigo di Sotto: 825, 840. Orco (Valle del): 769. Oregno: 715 , 726. Oria Biasia di Sasso Rosso : 257, 258 . Ormelle: 374, 566, 567, 601, 602, 629, 635 , 637, 675. Ornic (Valle, Torrente) : 168, 219, 235, 336, 337,344,348,420,451,452,457,459,491 . Orsago : 603, 628, 802, 805, 806, 811. Orsene: 583. Orsera: 1049. Orsere (Monte): 583, 617, 618. Orso (Colle del): 209, 219, 240, 253, 332, 333,336,337,341,445,447,448,470,486; ,544. Ortigara: 9, 80, 97 , 740,968, 983 , 1141. Ortigher (Cima del) : 617. Ortler (Gruppo): 776. Ortles (Monte): 212, 760, 788, 792, 1152. Orzes: 725 . Osanna: 790. Osoppo: 856. Ospedaletti: 729, 893. Ospedaletto: 477, 742, 746, 754, 755, 895 . Ospitale: 728, 731, 735, 799. Ossaria (Montagne dell'): 943. Osteria Broccon: 689, 723. Osteria dei Locatori: 786. Osteria del Forcelletto: 446,465,466, 467, 472, 483, 542, 544, 649, 683. Osteria del Ponte della Priula: 367. Osteria di Castelnuovo: 659. Osteria di Monfenera: 344, 456. Osteria il Lepre: 480, 482. Osteria Nuova: 512. Osteria Palù: 893 . Osteria (Ponte di): 829. Otranto (Canale d') : 1046.

Paccagnello (Palazzo di): 361. Padova: 85,146,172,273,321,322,394,705, 799,877,886, 907,908,916,919,956, 1005, 1013, 1032. Paese: 799. Paganella: 780. Pago: 900. Paiole (Alpi di) : 59, 223, 228, 780, 786. Paladini (Casa): 373. Palazzo del Magno: 803. Palazzolo: 863 . Palazzon: 135, 138, 188, 325, 353, 360, 371, 380, 393,3~4,399,413,460,513,564,569, 596, 801, 802. Palazzon (Ponte di): 596, 800. Palmanova: 434, 821, 839, 848, 895, 936, 1010, 10135, 1078. Palane (Monte): 336, 448, 759. Palù: 246. Paludotti (Casa): 523, 555. Pampaluna: 861. Panarotta (Monte): 436, 743, 754, 755, 936, 950. Papadopoli (Villa): 678, 679, 680, 681, 814, 816., Papadoli {Grave di): 268,286, 291, 302, 308, 312,313,320,323,327,340,353,354,369, 371,372,373,384,389,402,403,404,413, 418,420,421,422,424,438,457,458,459, 461,474,476,478,479,492, 506,.525, 531, 534,537,540,566,573,576,577,578,579, 601, 631, 637, 639, 947, 969, 981. Paradiso (Colle): 622, 623. Paradiso (Monte): 668, 854, 860, 861. Parenzo: 900, 1041. Pari (Monte): 433. Pari (Cima): 782, 785. Parigi: 13, 67, 68, 74, 100, 101, 102, 107,,111, 112, 115,118,119,120,263 271,286,288, 292,294,705,904,906,907,908,915,917, 920, 960, 992, 1013, 1015, 1016, 1043, 1047, 1052, 1054, 1060, 1061, 1063, 1065, 1074, 1083,. 1090. Pasian di Prato: 852, 853, 857 . Pasian Schiavonesco: 862. Pasiano: 827, 840. Passiria (Valle): 1020, 1021. Pastrolin (Casa): 367, 385, 513, 525, 526. Pasubio (Massicio) 759. Pasubio: 97, 107, 108, 111, 124,135,230,241, 247,256,297,298,324,736,759,761,769, 1147, 1152.


1224 Pavia: 881. Pavia di Udine: 1035. Pedavena: 689, 690, 709, 713, 724. Pedeguarda: 589. Pederobba: 45, 135, 137, 286, 302, 312, 325, 340,348,351,352,354,369,384,392,393, 404,413,422,424,511,514,553, 555,582, 712. Peio: 784, 787. Peio (Valle di): 788, 790. Pelizzano: 790. Perarolo: 718,731, 735. Pergine: 207,433, 729, 753, 755,_756, 757, 758, 775, 950. Peri (Cima, Massiccio di): 789. Perlo (Monte): 350, 427, 511, 512, 554, 583. Peron: 690, 719, 720, 726, 728. Pertica (Monte): 60, 133,135,209, 216, 217, 252,332,333,336,337,341,401,407,418, 420,421,438,445,446,447,453,462,465, 466,467,472, 473,477,478, 483,484,489, 490,492,541,542,543,544,548,551,570, 576, 604, 605, 609, 612, 649, 683, 754. Peschiera: 34, 79, 146. Pescincanna: 840. Peteano: 821. Peurna (Monte): 336, 342, 447, 687. Peperotto (Casa): 647. Pez (Valli dei): 337. Pezza (Monte): 663. Pezzi (Val dei7: 252, 445, 484, 686. Piacenza: 162, 177, 32~, 706, 1028. Piadena: 199. Piai (Monte): 622. Piana (Valle): 224, 244, 612. Pianale: 590. Pianar (Monte): 511, 512, 554, 583 . Pianzano: 568, 592, 593, 622. Piave; 9, 13, 19, 44, 45, 46, 56, 60, 61, 62, 71, 72, 78, 79, 80, 83, 89, 90, 95, 96, 97, 98, 99, 100, 110, 112, 122, 124, 125, 128, 132, 133,135,137,138,143,147,149,152,155, 156, 161, 162, 165 , 166, 171, 175, 177, 187, 189, 191,199,202,204,205,209,211,215, 220,254,262,269,272,274,275,276,277, 279,283,286,287,293,294,295,296,297, 298,301,302,306,308,309,311,312,313, 315,316,317,318,319,320,321 ,325,327, 329,332,333,336,337, 338, 340,341,343 , 344,348,349,350,351,352,353,354,355, 356,357,360,361,364,365,366,369,372, 373, 377,378,379,380,381,383,384,385, 389,390,394,398, 399,400,401 , 404,405, 408,413,414,416,418,420,421,422,418,

Indice dei Nomi di Località 420, 421,422,423, 424,425,427,438,448, 454,456,458,459,460,461,462,472,474, 476,477,479,492,493,494,495,496,497, 498, 500: 505, 506,507,508,510,511,512, 515,516,517,518,520,521,523,524,525, 526,528,529,530, 531,532,533,534,538, 539,540,551,552,553,554,555,556,558, 559,560,561,562,564,567,568,569,571, 572,574,575,576, 579,581,582,586,587, 589,590,591,592,593,594,596,601.603, 611,612,613,614,615,617,619,620,621, 623,624,627,629,630,631,633,634,635, 639,640,642,643,644,645,646,647,648, 652,657,658,660,661;662,663,664,669, 676,678,690,692,694,699,701 , 706;707, 708,711 , 712,713,714,715,718,719, 724, 726,727,728,730,731,736,739,759,793, 797,799,800,801,802,803,804,813,814, 816,828,831,842,864,866,867,870,871, 872,878,879,880,881,882,887,888,894, 896,901,911,912,914,934,936,938,942, 943,944,947,948,949,954,955,956,957, 961,965,966,967, 968,969,970,971,976, 977,979,981,983,984,985,986,990,992, 1001, 1005, 1027. Piave (Ponte di): 312, 322, 353, 371, 378, 394, 403,404,416,426, 604,614,631,632,635 , 636,637,638,639,642,648,677,813,971. Piave (Valle del): 332,431,433,434,436,661, 670,720,725,727,730,732,735,818,863, 936, 1026, 1086. Piave (Quartiere di): 355. Piavesella: 539, 540, 564, 601. Piavon: 648,675,676,677,680,817,830. Piavon (Canale): 375, 376, 640, 643, 644, 678. Piavon (Torrente): 648. Piazzuola sul Rabbi: 790. Piccardia: 13, 15. Pierantoni (Casa): 257, 258. Pietina (Passo di): 729. Pietroburgo: 67, 904. Pieve (Ponti di): 1100. Pigolino: 361. Pilonetto: 522. Pinguente: 1003. Pinnar (Monte): 424. Pinzano: 434,614,667.668. 719, 796, 801, 804,809,819,822,823,824,834,839,840, 851, 857, 1103. Pinzano (Ponte di): 971, 1147. Pinzano (Stretta di): 821. Pinzolo: 212, 784, 787, 790, 792. Piombino: 172, 393, 394. Pione (Valle): 749.

Indice dei Nomi di Località Pirano: 899, 900. Pirano (Promontorio di): 434, 864. Pisino: 1003, 1041. Piz Umbrail: 1006. Planar (Monte): 350. Planka (Capo): 1047. Plant (Altura di): 764. Plateau del Monte Corno: 247. Platiglione: 59 . Plava: 1103 Plezzo: 795, 821, 936, 971, 1032. Piubega: 782, 789. Po: 72, 79, 1024, 1095. Pocenis: 859, 860. Podberdò: 1034. Podenzioi: 731. Poiana: 886. Poi (Col del): 663. Pola; 54, 207, 285, 400, 413, 425, 698, 864, 865, 900, 912, 914, 915, 926, 1008, 1031 , 1041, 1042, 1043, 1053, 1076, 1135. Polazza (Torrente): 590. Polcenigo: 624, 625, 626, 673, 796, 802, 804, 805, 812. Polenta (Colle): 588 . . Polentes: 716. Polpet: 720. Pomario (Monte): 1035, 1038. Ponale: 777, 782. Ponale (Rio): 133. Pont: 713 . Pontfel: 819. Ponte Alto: 734. Pontebba: 434, 436, 670, 700, 795, 796, 800, 856, 857, 936, 1017, 1030. Ponte della Delizia: 971. Ponte della Priula: 54, 137, 204, 209, 296, 299, 301,308,352,353,355,367,372,374, 401, 402, 423, 561, 590, 1106. Ponte delle Alpi: 313, 317,383,431,433, 529, 581,625,664,714, 718,720,725,727,729, 730, 895, 944. Ponte di Legno: 786, 788. Ponte di Plaz: 245. Ponteggio: 554. Pontesega (Val): 457, 474, 512. Por (Forte): 59. Porcen: 713. Pordenone:403,417,573,596,597, 604,626, 670,672,681,692,702,796,797, 802,810, 813,824,825,826,837,852,893,894,895, 1017, 1018. Pordoi: 1006. Porpetto: 861.

1225 Portecche: 222,235,243,248,254,256, 257, 455, 654, 741, 743. Porta del Salton: 209,219,240,252, 332, 336, 341, 392, 447, 448, 451, 452, 548. Porto (Cà del): 376, 678. Portobuffolè: 312, 313, 317, 371, 374, 375, 568,573,596,602,603,614,628,629,630, 631,648,672,673,746,797,800,802,803, 804,805,806,807,811,812,827,894,895 . Portogradi: 647 . Portugraro: 397,403,417, 573,633,649,682, 813, 814, 816, 817,820,825, 830, 831, 832, 827, 832, 837, 893, 895, 1104, 1106. Portule (Cima): 745, 746, 748, 750, 752. Posina (Valle): 59, 230, 247, 391 , 759, 760. Posmon: 589. Possagno: 553, 733. Postumia (Passo di): 1039, 1077. Povegliano: 368 . Pozzacchio: 769. Pozzacchio (Forte): 772. Pozzi Alti: 786. Pozzo: 824, 826. Pozzola: 366 Pozzuolo del Friuli: 821 , 852, 853, 859, 1035. Praga: 28 1, 308. Pra Gobbo: 442,443,462,479,480,541,605, 608, 682, 690. Pra Gobbo (Monte): 342. Prai (Col del): 336, 472, 683, 686. P ramaggiore: 814, 826, 830. Prassolan (Monte): 60, 333, 336, 342, 344, 40( 418, 440, 445,447, 453, 466, 489, 549, 571, 683, 686, 689. Prà Sotto: 251. Prata: 672, 797. Prato di Pordenone: 811, 827. Praturlone: 672, 797, 826, 841. Pravisdomini: 797, 813, 814. Prealpi Bellunesi: 818, 981. Prealpi Venete: 819. P redazzo: 612. Predii (Passo di): 1032. Preganziol: 1077. Premuda: 900. Presanella (Gruppa della): 792. Presena (Valle): 777,783,784, 787,790. P resena (Cima): 211, 223, 785. Presiana: 830. Presina: 799. Pressanin (Casa): 646. Primolano: 313,315, 319, 338, 340, 347, 349, 431, 438, 477, 652, 709, 728, 863, 893. Primolano (Solco di): 341, 342.


1226

Indice dei Nomi di Località

Priula (Valle della): 559. Prosecco : 1041. Pulioro (Col) : 367. Punta d'Albiolo: 223 . Pusteria (Valle) : 431,612,670, 697, 714, 732, 733, 736, 942, 944, 976, 1028. Pusteria (Alta): 297, 708.

Q Quarnaro: 902, 1038. Quarnaro (Golfo del): 1034. Quarnaro (Isole del): 1049. Quartarezza: 814. Quero:336,351 , 424, 440, 456,511 , 553 , 660, 709, 895 . Quero (Conca di): 383, 586. Quero (Stretta di): 60, 301, 352, 355, 369, 403,426, 554, 660.

R Raboso: 364. Raccolana: 1006. Ragogna: 824,851, 1147. Rai: 374, 377, 565, 566, 567, 568, 600, 629. Ramera: 600, 603. Rarniscello: 814. Rapallo: 34. Rasta (Monte): 741, 744, 749. Rauscedo: 824, 825 . Ravenna: 207 . Reale (Monte): 818. Re (Casa): 365 . Rèccina: 1054. Redigole (Casa): 842. Refrontolo: 381,425,516,529,590, 597, 619, 621, 664, 894. Refrontolo (Costa): 515 . Regina (Ponte della): 843 . Regina Baldassarre: 667 . Reggio Calabria: 164. Reims: 15. Rendena (Valle): 777, 778, 780, 789, 790, 792. Reno: 290, 1133 . Reschen: 1020. Resena: 394. Resia: 905, 993 , 1006, 1118. Resia (Colle di) : ·1018. Resia (Passo di) : 433, 791 , 793 , 938, 1019, 1020, 1021. Resiutta: 856. Revèdoli: 376, 403 , 633, 635 , 644. Reviano: 767 .

Revidal : 780. Revine (Lago) : 619, 620, 622, 625, 663 , 717 . Revine (Laghi) : 894, 944. Revine (Valle) : 621 , 622. Rianza (Valle): 1023 . Ribano: 804. Ridoiado (Fossetto) : 637 . Rienza: 1021. Riese: 321 . Rignano: 853, 860. Rimonta (Valle): 625 . Rio Bidoggia: 566, 567 . Rio Bosco: 667 . Rio Salmanega: 661. Risano: 859. Riva: 397, 433 , 759, 778, 781 , 785 , 792. Riva (Porto di) : 898. Riva Alta (Casa) : 556. Riva dei Valeri: 673 , 675, 815 . Rivignano: 844, 847 . Rivetta: 824. Rivergaro: 1082. Rivolta: 851, 853. Roana: 744, 749, 765 . Robic: 436, 1030. Robici: 858 . Rocca Cisa: 336, 351 , 660. Rocchetta (Cima): 59. Roccolo: 106, 209, 216, 217, 218, 243 , 251 , 253, 337, 445 , 446, 447, 472, 483. Rodeano: 824. Roganzuolo (Castel) 592, 593, 622, 623. Rogaredo: 809. Roggia Versiola: 837. Rolle (Passo) : 612, 719, 722, 734, 736. Rolle: 597. Roma: 62, 84, 121, 1222, 124, 173,275 , 276, 294, 907, 998, 1010, 1058, 1062. Romanziol: 375 , 426,640,641,643,676,842. Romano: 337 . Roncadelle: 536, 567, 602, 635, 637, 639. Roncegno: 433 , 755, 758 . Ronchi: 823. Ronchi (Valle): 432. Roncolà: 246. Roncon (Monte): 333 , 336,337,341 , 343,427, 440, 445, 683 , 686, 688, 789. Rosà: 321 . Rosade (Casa): 637, 639. Rosai (Monte): 687. Rosole (Valle): 779. Rosper (Torrente): 364. Rosper (Rio) : 514, 519, 520, 522, 523, 524. Rossan (Casa): 647 .

Indice dei Nomi di Località Rossan: 321. Rossa (Casa): 647 . Rovere della Luna: 775, 936. Rovere (Monte): 751. Roveredo: 797, 805, 808, 810, 827 . Rovereto: 351, 432, 672, 759, 76.7, 770, 772, 774, 895, 914, 916. Rovigno: 900. Rua di Feletto: 620, 622. Ruggiat: 365, 368, 529, 582. Rui (Casa): 639. Rustignè: 676.

s Sabbionera: 643 . Sabbioni (Casa) : 561. Sabotino: 79, 97, 1137. Saccher: 727. Saccon (Casa): 216. Sacendello: 434, 838. Sacile: 125,299, 301, 313, 317, 355, 356, 371 , 403 , 417, 427,568, 569, 573,596, 597, 598, 603, 614, 623,624, 625,626, 627,628,630, 671,672,692,793,797,800,802,804,805, 806,807,810,812,893,894,895,943,944, 963 , 1010, 1103. Saciletto: 855 . Sagrado: 1103 . Saint Mihiel: 18, 272. Salcano: 821 . Salera (Pian di): 668 . Salettuol: 394, 458 , 560, 561 , 564, 593 . Salettuol (Ponte): 800. Salgareda: 375, 377,426, 639,640,641,642, 676, 677. Saline (Valle delle): 441 , 442, 444, 463, 481, 482, 499, 605, 608, 610. Salisburgo: 1017, 1094. Salonicco: 114, 123 , 277. Salorno: 436, 740, 775 , 776, 898, 936, 1018, 1023. Salte (Col di): 625 . Salvotti (Villa): 768, 771. Salubio (Monte): 736. 749. Salubio (Valle, Monte): 612, 657. Saluggio (Monte): 766. Salvotti (Villa): 768, 771. Salzè: 713. San Barnaba (Casera) : 583 . San Bartolomeo (Cima): 59. San Biagio: 632. San Boldo: 529, 597, 598, 944. San Boldo (Passo): 427, 618, 619, 620, 625 ,

1227 626, 658, 662, 663 , 669 715, 717 . San Bovo (Canal): 433 , 689, 719, 729, 73 1, 733, 734. San Candido: 736. San Colombano (Ponte di): 772. San Daniele: 367, 591, 824, 851 , 1036, 1078. San Donato : 529. San Felice: 662. San Fior di Sopra: 381 , 568, 592, 593, 622. San Floriano: 664, 812, 852, 753 . San Foca: 808, 809, 827. San Francesco : 258, 691 , 746, 835. San Francesco (Colle): 60. San Francesco (Chiesa): 257 . San Gallo: 589. San Giacomo: 587. San Giacomo (Cima): 244. San Giorgio al Tagliamento : 845 . San Giorgio della Richinvelda: 808, 824, 825, 836. San Giorgio delle Pertiche: 326, 878. San Giorgio di Nogaro: 833 , 846, 847, 848, 860, 861 , 895, 936. San Giorgio in Piano: 878. San Giovanni di Moriana: 904. San Giovanni: 361 , 376, 417, 555, 644, 852. San Leonardo: 827, 839. San Lorenzo: 253, 452, 457 . San Lorenzo (Valli): 336,337,401 , 441 , 442, 443, 479, 480. San Marco (Casera): 583 . San Marino: 691, 742. San Marino (Monte di) : 348 . San Martino: 670, 1021. San Martino (Colle): 364, 424, 529, 555, 588, 589. San Martino di Castrozza: 728, 808, 809. San Matteo (Punta): 220,223 , 224,229, 241 , 243, 245, 259, 788. San Michele: 521, 533, 845. San Michele di Appiano: 1019. San Michele al Tagliamento: 845 . San Michele (Valle di): 668 . San Nicola: 641. San Nicolò: 676, 829. Sano: 768, 769. San Paolo: 532, 848. San Pietro : 851. San Pietro di Barbozza: 381, 529, 555, 583, 670. San Pietro di Feletto: 355, 619, 626, 664. San Pietro al Natisone: 857. San Pietro in Gu: 394. San Polo di Piave: 373, 374, 422, 533, 536,


Indice dei Nomi di Località

1228 537, 538 , 565, 566, 567, 629, 630, 638. SanQuirino: 670, 672, 797, 808, 818,826,827, 839. San Quirino (Ponte) : 857. San Salvatore (Castel): 592. San Sebastiano : 350, 773, 776. Sansonetto (Palazzo): 816. Santa Croce (Lago di): 355, 573, 618, 718, 720. Santa Felicita (Valle): 240, 336, 337 . Santa Giustina: 401 , 417,662, 690, 711,' 714, 722, 895 . Santa Maria: 712. Santa Maria di Feletto: 355, 590, 591, 621. Santa Maria (in Val di Piave): 618, 660. Santa Maria (Lago): 425, 573 . Sant' Anastasio: 376 , 681, 798. Sant'Andrat: 860. Sant'Andrea (Porto): 895. Sant'Andrea di Cavasagra: 1078. Sant'Antonio : 667, 759 . Sant'Elena: 680. Santino (Colle): 769 . Sant'Odorico: 434, 796, 824, 836, 837-, 839, 859. Sant'Orsola: 755 , 757. Santo 'Stefano: 555 . San Valentino: 1103 . San Vito al Tagliamento: 672, 682, 813, 814, 819, 820, 827, 841 , 842, 853, 893 . San Vito di Fagagna: 824. San Vito di Valdobbiadene: 401,512,667, 7%, 797, 839, 840. Sanzano: 660. San Zenone: 321. Sarca: 752, 763, 767, 898. Sarca (Valle del): 433, 778, 782. Sarmede: 597, 627, 801. Sarooc 668. Sarto (Casa): 639. Sartori (Casa): 556. Sartori: 744, 765 . Sassano: 321. Sasso Rosso: 60,238,258 , 492,455,691, 742, 746, 893 . Sasso Sega: 246. Sasso Stefani : 222, 239. Sassuma: 342. Sassuma (Cima): 447 . Sassuolo: 155. Sava: 905, 1119, 1135 . Sava (Valli della): 1006. Savoiano (Casa): 861. Savorgnan: 842. Sbroiavacca: 814 .

Scalnica: 1055. Scalon del Piave: 612 . Scalzeri : 766. Scandolara: 799. Scarabozza (Valle): 247 . Schiaffet (Monte): 619, 620, 625 , 944. Schiavenin: 427,448,618,659,660, 687, 733. Schiavenin (Valle) : 689, 698 . Schio: 1020. Schi:imbrum: 921 . Schrum (Pùnta) : 752. Schwaz: 1018, 1023 . Sclannicco : 862. Scorluzzo (Monte) : 59, 780, 788. Sculazzon: 136, 322, 391, 739. Scuole: 353 . S. Donà: 353, 377, 403, 426, 633, 647, 679, 813, 816, 842, 845, 977, 1100, 1103. Sebenico: 900. Sec: 572. Sedico: 662, 714, 720. Sedrano: 670, 808 , 818 . Sega: 830. Seghe Prime: 771. Segni (Passo di): 223, 227. Segusino: 41~. 511 , 55~, 563,583,586, 617 . Sella di Monte Croce di Comelico : 736 . Selletta: 244, 255 . Sellett!I Salopa: 782. Selva: 754. Selva di Cadore: 718, 735 , 936, 1026. Selva di Sotto: 824 . Selve: 900. Senaiga (Val): 689, 721, 729, 733 . Seren: 427, 687, 689, 733 . Seren (Valle): 251, 336, 343, 383 , 413. Sernaglia: 125, 202, 262, 364, 366, 422, 424, 516,519,520,521,522,523,524,528,531 , 556, 557 , 621, 894. Sernaglia (Piana della): 268, 299, 301, 355 , 380,381,383,403,409,413,425,529,530, 573 , 575, 579, 591, 943, 964, 981. Sernaglia (Ponte della): 942. Serra (Ponte della): 721, 729, 1103 . Serravalle: 133, 356, 727 . Serravalle (di Vittorio Veneto) : 620,627, 663,. 664, 767, 898, 914, 916, 944, 951. Serravalle (Stretta di): 625 . Serravalle (Conca di): 626. Serre (Ponte): 433, 709, 711. Servo: 719. Sesapia: 1036. Sesto al Reghena: 403, 633, 814, 825, 843. Sette Casoni: 376. 0

Indice dei Nomi di Località Settolo : 554. Settimo : 829. Settiol (Casa): 512. Sexten: 1027, 1064. Sexten (Valle di): 1063. Sforzellina (Passo della): 784. Sforzellina (Valico della) : 787 . Signoressa: 326. Sile (Sistema del) : 146, 147 . Sile (Fiume): 841. Sillian: 1008, 1019, 1021 , 1026, 1027. Sisemol (Monte): 222,243,248,257, 259, 348, 432, 455 , 460, 613, 655, 743 . Siva di Zenco (Casa): 680. S. Lucia di Piave: 368,413,533,559,561, 563 , 567, 592, 802, 894. Sluderno: 433, 436, 791 , 793, 952, 1018. Sofia: 122. Sogno (Baia di): 898. Soissons: 15. Sol (Cason del): 487 . Sologna: 1103. Solaroli: 60, 106, 209, 240, 333, 342, 383, 418, 420,440,449,450,452, 453 , 468,469,470, 471 , 472, 484,485,486, 487, 489,492, 541 , 545, 610, 612, 686, 687, 893. Solarolo (Monte): 168,218,219, 243, 252,253 , 336, 337, 401, 447, 452. Solarolo (Malga): 470. Solco Feltrino: 688 . Solda (Val): 777, 783, 789, 791. Solda (Cima): 788. Sole (Val di): 43,433 , 777, 783, 785, 787, 788, 790, 791, 792. Solighetto: 381, 557, 589. Soligo : 301 , 312,355,521,557,563,576,588, 589. Soligo (Bacino): 422 . Soligo (Pieve): 355 , 556, 557, 589, 590, 620, 664, 893. Soligo (Solco): 356. Soligo (Valle): 364, 381, 425, 529. Somalia: 1078. Somator (Monte): 767 . Sonna: 349. Sonna (Valle): 670. Sonna (Torrente): 612, 712. Sorriva: 713. Sospirolo : 716, 720, 726, 734. S. Osvaldo : 394, 403, 633, 755 , 758. Sotto Castello: 768. Soverzene: 727 . Spadoni (Casera): 441, 443, 463, 482, 607 . Spalato: 1047, 1050, 1064.

1229 Spalazzari (Casera): 463 , 607 . Sperone (Monte) : 720. Spia (Pian di): 667. Spii (Monte): 772. Spilimbergo: 668 , 808, 823 , 840. Spinoncia (Monte): 55, 60,333,336,337, 342, 344, 383 , 401,407,420, 440,448,450,452, 456, 457,471,472, 474, 484, 489,491,511, 686. Spitz (Monte): 691 , 746, 747. Spitz di Rotzo: 765 . Spitz di Kegerle: 750. Spondigna: 777, 791. Spresiano: 760, 795 , 630. S.S. Angeli del Montello : 352, 368. S. Stino di Livenza: 376, 644, 798, 813 , 820, 831. Stabie: 661. Stabiuzzo : 373 , 424, 537, 538, 637 . St~blel (Monte): 209, 211, 213, 214, 222. Stablel (Cresta) : 212, 213 , 228 . Stablel (Malga): 212. Stablelin: 214. Staffolo: 678 . Stalla Cinespa: 452, 687 . Stalla Alta: 34& . Stazione della Carnia: 433, 670, 682, 701, 702, 719, 796, 800, 821, 822, 826, 1003, 1030, 1103. Stazione di Susegana: 526. Stazione di Cornino: 851. Stella (Fiume): 828, 853. Stella (Forte): 491, 690, 859. Stella (Palazzolo della) : 832, 854, 859. Stelvio: 44, 53, 56, 102, 133, 135, ·136, 143, 322,391 , 395,396,397,399,428,432,433 , 700,702,738,760,762,777,778,781,783, 788, 867, 1002, 1005, 1020, 1118. Stelvio (Passo dello): 766, 1019. Stelvio (Giogo dello): 788 . Stenfle: 236, 248, 348, 455 , 741, 743. Stenfle (Casa): 222, 235 , 237, 654. Stenta (Valle) : 687. Sterzing (Vipiteno): 1002. Stevene: 597 . Stino (Monti): 759. Stino di Livenza (San): 573, 649, 675, 678, 680, 681, 692, 816, 820, 842, 844, 894, 895. Stizzone (Valle): 179,219,337,342,345,347, 348,445 , 447,448,469,489,570,649,683 , 687, 711. Stizzone (Torrente): 336 . Stoccareddo : 235 , 236, 248, 258, 392, 746. Storo: 782.


1230

Indice dei Nomi di Località

Strada: 785. Strada (Rocca di): 367, 368. Strenta (Valle): 687. Strigno: 692, 863. Strigno (in Valsugana): 895. Stringhella (Casa): 536, 567, 600, 601, 637. Stua (Ponte della): 659, 660, 687. · Suffrata: 565. Sugana (Valle): 689, 708, 709. Susegana: 44, 262, 355, 367, 368, 413, 423, 513,529,561,567,568,575,591,592,602, 621, 970. Susegna (Alture di): 403. Susin: 729. Suzzara: 1010.

T Tagliamento: 6Ì, 96,150,297,306,405,431, 432,434,575,614,627,633,634,658,667, 668,670,671,672,673,678,681,682,692, 697,702,704,707,795,796,801,806,813, 816,818,819,821,822,823,824,826,827, 829,830,831,832,833,835,836,837,838, 839,840,841,842,843,845,846,847,848, 849,851,852,853,855,856,857,859,863, 864,866,929,948,949,956,971,976,982, 987, 1006, 1010, 1016, 1030, 1043, 1078. Tagliamento (Valle del): 701, 719, 800, 1027. Taglio di Piave: 635. Taglio (Porte di): 644. Taglio Veneto: 813. Taibon: 728. Tai di Cadore: 1029. Talmasson: 672, 812, 860. Talpina: 768. Talponada: 676, 677. Taranto: 173. Tarcento: 1017, 1030. Tarso: 622, 626. Tartaro: 146. Tarvis: 291. Tarvis (Conca di): 1063. Tarvisio: 800, 819, 821, 1006, 1012, 1013, 1028. Tarvisio (Conca di): 1026. Tarvisio (Quinto di): 321. Tas (Monte): 342, 448, 452. Tasson (Cà): 216,218,252,253,446,447,465, 483, 570,571, 649, 683, 686. Tauriano: 808, 822, 823, 840. Tavena: 477. Tegorzo (Valle): 553, 687. Tegorzo (Torrente): 511, 583.

Tellio Veneto: 833. Telve: 728, 749. Telve (Monte): 342, 711, 713. Tempio: 374, '377, 566, 567, 568, 600, 601, 602, 629, 635, 636. Terragno (Valle): 751. Terragnolo: 770, 772. Terragnolo (Valle): 759, 760, 768. Terzo: 855, 862. Tesa (Monte): 351. Tesero: 722. Tesino (Castel): 657,688, 721, 728, 729, 734, 752. Tesino (Conca di): 433; 436. Tesse (Monte): 711. Tessere: 615, 617. Testa (Monte): 763, 769, 772. Tezze:299,373,374,377,422,532,533,539, 564, 612, 680, 689, 690, 806, 842. Thiene: 1003, 1077. Tiarno: 782. Tierno: 768, 771. Tiezzo: 672; 797. Tione: 211,212, 777, '780, 784, 785, 789, 790, 791. Tirolo: 433, 720, 863, 902, 993, 1020, 1022, 1023. Tisoi: 720. Tivoli: 167. Toblach: 291, 700. Toere (Casa): 511. Toldo: 772. Tolmezzo: 434,701,821,834,835,856, 1002, 1026, 1103. Tolmino: 821, 971, 1003, 1031, 1032, 1147. Tematico: 319, 333. Tematico (Monte): 336, 337, 342, 343, 349, 427, 440, 447, 448, 492, 687, 688. Tomba (Monte): 45, 135,336, 337, 348, 350, 420, 421, 556. Tombai: 491. Tombola (Col della): 301,353,365,367,521, 529, 573, 590, 591, 592, 943. Tomo: 713. Tonale: 187,202,203,211,212,213,220,222, 223,224,227,270,297,433,698,702,784, 790, 792, 1006, 1141, 1147. Tonale (Sella di): 777, 779, 786, 789. Tonale (Passo del): 783. Tonale (Prateria del): 780. Tonale Orientale (Monte): 43, 49, 104, 108, 133, 212, 223. Tondarecar (Monte): 746. Tonezza (Altopiano): 760, 761, 765, 766, 774.

1231

Indice dei Nomi di Località Tonon (Casa): 538, 559,' 564. Tordere (Linea): 553. Tordere (Bastione di): 583. Toraro (Monte): 765, 766, 773. Torniano (Muzzana del): 833. Torino: 64, 156. Torre di Mosto: 376,403,633,649,678,680, 816, 820, 842. Torrese!: 663. · Torrione (Cresta del): 59, 223, 227, 780. Torrione (Punto Albiolo): 787. Torsa: 853, 860, 861. Torta: 135. Tortole: 59. Tovena: 620. Tovena (Villa): 668. Trafoi (Valle): 433, 777, 783, 791, 792. Transilvania: 46, 172. Travesio: 822, 834. Travignolo: 701. Trebaseleghe: 393, 799. Tre Busi (Monte): 667. Tregnago: 1011. Tremeacqua: 811. Tremeacqua (Ponte di): 825. Trento:207,212,316,351,416,427,432,434, 478,656,694,701,702,728,736,738,739, 740,742,743,748,751,752,753,755,756, 757,759,760,761,763,767,770,771,772, 774,775,776,777,778,781,789,862,898, 910,9\2,913,914,918,919,924,925,927, 950, 951, 953, 956, 957, 963, 998, 1003, 1008, 1019, 1020, 1022, 1023, 1025, 1037, 1052, 1077, 1097, 1106. Trentini (Casa): 559, 561. Trentino: 283, 297, 697, 698, 699, 708, 709, 743,748,751,752,763,776,789, 795;866, 906,921,923,928,944,945,952,976,980, 982, 983, 1005, 1023, 1041, 1074, 1077, 1084, 1090, 1092, 1095, 1118, 1135, 1136, 1142, 1145. Tresaghis: 1103. Tre Pezzi (Cima): 60,246,247,254,255,690, 741, 765. Tre Ponti (Masseria di): 862. Tresero: 228. Treviso: 85,145,207,322,324,330 368,421, 561,569,632,799,841,871,881,882, 1040, 1078, 1093, 1100, 1104. Trevignon: 321. Trevignano: 705, 1002. Tribusta: 1032. Tricesimo: 1010,, 1078. Trichiana: 356, 427 459, 586, 598, 618, 663, 669, 689.

Trieste: 54,207,400,413,434,435,694, 700, 708,739,820,863,864,865,883,899,902, 912, 914, 936, 954, 955, 957, 998, 1003, 1008, 1031, 1035, 1037; 1039, 1040, 1041, 1051, 1052, 1058, 1060, 1077, 1082, 1094, 1096, 1097, 1104, 1118, 1135. Trigozzo (Valle del): 447, 448. Tringhele (Val): 744. Tripolitania: 1078. Trivio Ninni: 677. Trugole (Valle): 749, 750. Tummel Joch (Passo del Rombo): 1002, 1020. Turcio: 746. Turrida: 837. Tusno (Monte): 440.

u Umago: 900. Udine:284,434,627,681, 702,796,821,823, 824,833,835,836,848,849,852,853,857, 863, 957, 1029, 1030, 1033, 1097, 1104, 1106. Umberto (Colle): 592, 622, 623. Umbrail (Passo): 777. Uson: 553. Usson: 517.

V Vag (Monte): 229. Vaio! (Colle): 471. 548. Valbella (Monte): 99, 133, 135,235,237,248, 249, 257, 655, 690, 741. Valbona (Rio): 590. Valcellina: 826. Valdagno: 1011. Val dei Pezzi (Malga): 252, 253. Valdella (Monte): 663. Valderoa (Monte): 219, 240, 252, 342, 383, 418,420,421,440,447,448,450,451,452, 453,459,471,472,473,487,488,489,492, 544,545,547,548,549,551,570,571,576, 610. Valderoa (Seletta del): 488, 546. Valderosa (Monte): 336, 337. Valdobbiadene: 53, 54, 60, 124, 262, 272, 292, 299,313,317,348,350,351,355,361,364, 369,381,385,399,413,422,423,424,425, 511,512,554,555,583,590,692,894; 943. Valeblla (Monte): 99, 133,135,235,237,248, 249, 257, 655, 690, 741. Valeriano: 840. Valerna (Casa): 724.


1232 Vallarsa: 135, 351, 759, 768, 769, 770, 772, 774. Vallarsa (Corno di): 259. Valle Bellunese: 669. Valle Scura: 238, 441 . Vallina (Monte): 355. Vallotta (Case): 365. Vallotta (Case): 365. Valmorbia: 255. Valona: lll, 902, 1048. Valpore di Fondo (Malga): 216, 253. Valpore di Sotto: 218. Val Piana (Monte): 657. Valsorda: 756, 774. Valstagna (Cornone): 238. Valsugana: 124,202,298,301,306,309, 31.6, 319,426,427,431,436,478,496,656,688, 701,721,722,723,728,729,738,740,742, 745 . Valsugana (Casera): 667. Valtellina: 59, 143, 776, 784, 1025. Valvasone: 840. Val Vecchia: 691, 746. Vanini (Ponte di): 742. Vanoi (Monte): 721. Vanza: 769. Varda: 807. Varmo: 837, 839. Varzola: 564, 565, 599, 671, 802, 803, 804, 894. Vas: 553, 617, 618, 660. Vattaro (Vigolo): 761, 773, 774, 776. Vattaro: 756, 761. Vedelago: 321. Vedoia (Pian di): 727. Vela: 756, 774. Vendrame: 533. Vendrame (Casa): 559. Venezia: 72, 85, 99, 135, 203, 273, 434, 864, 865, 897, 1012, 1035, 1041, 1042, 1046, 1047, 1049, 1051, 1053, ll04, ll06. Venosta (Valle): 306, 433,436, 702, 777, 778, 788, 791, 792, 793, 936, 938, 953, 1019, 1090. Venzone: 839, 857, 1004. Verdun: 37. Verena (Monte): 654, 749, 760, 766. Vermiglio (Valle): 212, 229, 777, 783, 784, 786, 787, 788, 790. Vernada (Col): 355, 586. Vernasso: 1031. Verona: 799, 10~4, 1025, 1032, 1078. Versa: 844,847. Versailles: 10, 15, 34, 101, 106, llO, 909,910,

Indice dei Nomi di Località 925,927,928,997, 1025, 1056, 1064, lll2. Versaglia: 81, 84,103, 104,105,106,109, lll, 116,117,290, 1016, 1064, 1065, 1074, 1086, 1027. Vetta d'Italia: 1028. Vezzena: 742, 746, 750, 752. Vezzena (Cima): 750, 751, 754. Vezzena (Altopiano di): 753. Vezzano: 778, 795. Viarago: 753. Vic~nza: 85, 146, 321, 799, 1032, 1077, 1078. Vidor: 325,327,355,361,380,401,402,513, 529, 555, 573, 575, 587, 619, 1027, 1100, 1103. Vidor (Alture di): 515. Vidulis: 835 . Vienna: 22, 41, 42, 43, 67,102,114,121,207, 279,280,281,308,406,423,508,576,697, 864,866,910,911,912,913,914,917,919, 923, 925 . Vies (Monte): 229. Vignole: 722. Vigolo: 778. Villa (Monte): 365, 515. Villabruna: 661, 713, 714, 724. Villaco: 833, 912. Villa Dotta: 810. Villa Fratta (Villa): 623, 630. Villaga (di Feltre): 712. Vilagra: 712. Villalba: 402. Villamotta: 516, 520, 521, 522, 556. Villanova: 554, 672, 679, 797, 814, 843, 851. · Villaorba: 852, 859. Villapiana: 659. Villaraccetta: 841. Villa Vicentina: 846, 847, ll03 . Villotta: 797,813,814,816,822,825,826,827, 829, 832, 841 . Vincasso: 858. Vipacco (Valle del): 821. Vipiteno: 1020, 1021. Visentin (Colle): 355,597,598,619,663,665, 669, 716, 718, 944. Visinale: 672, 797. Visnà: 803, 805. Visnale di Sopra: 819. Vissoto: 676. Vistorta: 806. Vittorio Veneto: 79, 89, 97, 110, 125, 127, 151, 155, 158, 170, 173, 175, 1_89, 207,267,281 , 284,285,296,2?7, 299,301,302,308,309, 312,313,317,355 , 356,364,381,383,386, 403,404,416,417, 418,425,426,494,528,

Indice dei Nomi di Località 529,562,569,573,578,581,590,595,596, 597,598,619,620,621,622,623, 624,626, 627,658,664, 669,692, 714,719,778,800, 801,821,865,867,868,874,876,787,883, 885,886,887,890,893,894,895,896,897, 898,939,843,944,946,947,949,954,959, 962,964,965,969, 977,978,980,984,985, 988, 989, 900, 992, 993, 994, 1010, 1026, 1077, 1081, 1086, 1149, 1154, ll56, ll58. Vivaro: 672, 797, 808, 809. Volano: 770. Volina: 44. Volsea: 291, 902, 1003, 1006, 1034, 1035, 1047, 1049, 1052, 1054. Volpago: 146. Volta Mantovana: 1010.

w Washington: 67, 81,101,286,957, ll27. Welsperg (Pale di S. Martino): 1002. Wiener Nesistadt: 207. Wochein (Sava di): 1063.

z Zandonadi (Casa): 593. Zara: 900, 1049, 1050.

1233 Zarzoi: 729. Zebio: 745. Zebio (Monte): 391, 392, 657, 736, 752. Zebrù (Passo di): 244. Zeduai: 861 . Zellina: 861. Zenson: 403. Zermola: 1002, 1026. Zieresara: 741. Zigolon (Cima): 211,224. Zingarella (Monte): 657, 745, 748, 749, 750, 752. Zoe (Punta): 342, 344,451,456,457,468,471, 474, 489, 491, 5ll, 555, 610, 686. Zocchi: 235, 541, 572. Zocchi (Piana dei): 332, 341. Zoldo (Forno di): 1026. Zoldo (Val di): 718. Zogo (Monte): 660, 661. Zomo (Monte): 745 . Zompicchia: 841, 853 . Zorso (Val di): 718. Zuianello (Casa): 680. Zugara (Costone): 769. Zugna Torta: 767, 768. Zugna (Costone di): 59, 133, 767, 768. Zuino (Torre di): 854, 862. Zurez (Dosso Alto di): 168, 222, 230, 246. Zuri: 900.


Indice delle Unità e dei Reparti

INDICE DELLE UNITÀ E DEI REPARTI ITALIANI CITATI NEL TESTO

A) Unità e reparti contraddistinti con nominativo

Abruzzi (Brigata), 250, 251, 442, 443, 464, 480, 481, 541, 682 Acqui (Brigata), 767, 771 Adamello (Battaglione Alpini), 1027 Alessandria (Reggimento Cavalleria), 759, 761, 762, 766, 767, 768, 770, 898 Ancona (Brigata), 258, 690, 742, 747, 750, 755 Antelao (Battaglione Alpini), 470, 487, 488, _547, 733 Aosta (Brigata), 448, 450, ·451, 452,468,470, '471,487,488,489,545,546,547,548,652, 686, 687, 733, 807, 941 Aosta (Reggimento Cavalleria), 807, 810, 838, 860 Aquila (Brigata), 591, 622, 664, 665, 666 Aquila (Reggimento Cavalleria), 648,673,675, 678,681,806,814,826,842,843,844,847, 853, 854 Arezzo (Brigata), 865,936, 1031, 1046, 1049, 1078 Arvenis, Monte (Battaglione Alpini), 758, 767 Avellino (Brigata), 643, 675, 676, 677, 814, 815, 829, 843 Assalto (Battaglione Ciclisti d'), 157 Assalto (Corpo d'Armata d'), 102, 107, 124, 133, 139, 141, 142, 148, 156, 157, 158, 159, 171, 172, 178, 183, 184, 185,197,202,321, 361, 368, 559, 562, 626, 714, 799, 1010, 1026, 1028, 1075 Assalto (Divisione d '), 155 Bafile (Battaglione di Marina), 898 Baldo, Monte (Battaglione Alpini), 617 Baltea, Val (Battaglione Alpini), 213 Bari (Brigata), 443, 444, 463, 464, 479, 605 Barletta (Brigata), 1047 Basilicata (Brigata), 216, 442, 443, 605, 683 Bassano (Battaglione Alpini), 512 Bergamo (Brigata), 423, 455, 474, 691, 742, 746, 750, 755, 1147 Bisagno (Brigata), 560, 561, 592, 593, 623, 664, 667, 668, 946 Bologna (Brigata), 240, 448, 449, 468, 469, 484, 485, 486, 544, 610, 686, 687, 733

Borgo San Dalmazzo (Battaglione Alpini), ' 784, 787 Brenta, Val (Battaglione Alpini), 223, 228 Cadore (Battaglione Alpini), 470, 545, 547 Calabria (Brigata), 250, 443, 464, 479, 483, 605, 606, 608, 941 Campania(Brigata), 513,514,582,586,587, 588, 618, 945 Caorle (Battaglione di Marina), 898 Casale (Brigata), 619 Caserta (Brigata), 568,628,629,804,840, 852 Castoldi (Colonna), 822, 834, 856 Cavento (Battaglione Alpini), 213, 784, 789, 790 Cenischia, Val (Battaglione Alpini), 783, 784 Cervino, Monte (Battaglione Alpini), 544, 610, 686 Cesare Battisti (Compagnia Mitraglieri), 255 Cevedale (Battaglione Alpini), 686 Chiese, Val (Battaglione Alpini), 1027 Chieti (Brigata), 765, 766, 769, 772, 773, 776, 1021 Cismon, Val (Battaglione Alpini), 470, 471, 487, 489, 547 Cividale (Battaglione Alpini), 486, 487, 544, 610 Clapier, Monte (Battaglione Alpini), 223,228, 783, 787, 790 Como (Brigata), 219,253,423,560,561,562, 593, 594, 623, 668, 840, 851, 946 Cordevole, Val (Battaglione Alpini), 784 Cosenza (Brigata), 645, 679, 816, 845 Cremona (Brigata), 250, 251, 446, 447, 465, 467, 483, 484, 542, 609, 941 Cuneo (Brigata), 422,514,515,516,517,518, 523,555,556,587,588,589,779,788,791, 942, 945 De Ambrosi (Colonna), 822, 835, 856 Dronero (Battaglione Alpini), 788 Edolo (Battaglione Alpini), 213, 783, 784, 787, 790

Emilia (Brigata), 219, 252, 253 Exilles (Battaglione Alpino), 230, 544, 547, 610, 686, 687 Faracovi (Colonna), 768, 770 Feltre (Battaglione Alpini), 758, 767 Fenestrelle (Battaglione Alpini), 784, 787, 1021 Ferrara (Brigata), 639, 643, 676,677, 815, 829, 830, 843 Ferrari Orsi (Gruppo), 811, 825, 826 Firenze (Brigata), 465,467, 542, 543, 544, 649, 683, 721, 733 Firenze (Reggimento Lanceri), 565, 601, 812 Foggia (Brigata), 458,476, 534, 536, 537, 565, 566, 601, 629, 672, 812, 827, 840, 853 Foggia (Reggimento Cavalleggeri), 565, 601, 812 Foggia (Gruppo Squadroni Cavalleggeri), 841, 853 Forlì (Brigata), 464, 479, 481, 482, 483, 605, 606, 683, 721 Gaeta (Brigata), 660, 712, 713, 724, 1047 Genova (Reggimento Cavalleria), 822, 1147 Golametto (Reggimento della Marina), 865, ~98 Granatieri (Brigata), 644, 1038, 1053, 1054, 1076, 1078 Granero, Monte (Battaglione Alpini), 784 Intelvi, Val d' (Battaglione Alpini), 213,223, 783, 786, 790 Intra (Battaglione Alpini), 783, 787 Ionio (Brigata), 641, 643, 676, 677, 830, 843 Ivrea (Battaglione Alpini), 1027 L'Aquila (Reggimento Cavalleggeri),.636, 637, 638 Lario (Brigata), 454, 744 Lecce (Brigata), 236, 249, 690, 742, 745, 1053 Levanna, Monte (Battaglione Alpini), 450, 470, 471, 488, 545 Liguria (Brigata), 255, 769, 771, 772, 774 Livorno (Brigata), 215, 216, 249 Lombardia (Brigata), 448,449,451,468,469, 484,485,487,544,610,686,687,733,941 Macerata (Brigata), 458, 476, 492, 536, 537, 565,566,567,601,602,629,812,827,853 Maira, Val (Battaglione Alpini), 245 Mandrone, Monte (Battaglione Alpini), 213, 783, 786, 790, 1021 Mantova (Brigata), 517, 519, 520, 522, 523, 534, 556, 589, 619, 620, 663, 807, 942

1235 Mantova (Reggimento Cavalleria), 811, 837, 838, 859, 860, 865 Marche (Brigata), 217 Marina (Reggimento di), 635, 644, 646, 647, 679 Massa Carrara (Brigata), 216,252,447,467, 483, 683, 709, 721, 733, 1011 Messina (Brigata), 514, 518, 556, 587 Milano (Reggimento Cavalleria), 806 Modena (Brigata), 217, 251, 468, 472, 542, 544, 609, 686, 709, 721, 729, 733 Moncenisio (Battaglione Alpini), 784, 787, 1021 . Mondovì (Battaglione Alpini), 223, 1027 Monferrato (Reggimento Cavalleria), 624, 854 Montebello (Reggimento Cavalleria), 804,809, 822, 823, 824, 835, 857, 858, 1031 Morbegno (Battaglione Alpini), 617 Murge (Brigata), 155,239, 745, 747, 750, 754 Nizza (Reggimento Cavalleria), 835,837,858, 1040 Noris (Gruppo), 837, 859, 860, 861, 862 Novara (Brigata), 647,679,680,816,844,845, 854, 1147 Orco, Val d' (Battaglione Alpini), 1027 Ortles, Monte (Battaglione Alpini), 223, 1027 Padova (Brigata), 236 Padova (Reggimento Cavalleggeri), 687, 711 Padova (Gruppo Squadroni Cavalleggeri), 722 Pallanza (Brigata), 223, 228, 766, 773 Parma (Brigata), 224 Pasubio, Monte (Battaglione Alpini), 788, 791 Pavia (Brigata), 240, 782, 785, 1024 Pavione, Monte (Battaglione Alpini), 758, 767 Pelmo, Monte (Battaglione Alpini), 469,485, 544, 545, 610, 686, 687 Perugia (Brigata), 782, 785, 1024 Pesaro (Brigata), 445,446,465,466,467,472, 541, 542, 543, 544, 941, 1011 Piacenza (Brigata), 946 Piacenza (Scuola di Artiglieria), 325 Piceno (Brigata), 771, 772, 1024 Piemonte (Brigata), 518, 590, 619, 622, 663, 716, 945 Piemonte Reale (Reggimento Cavalleria), 632, 644,806,831,844,845,846,847,854,860, 861, 862 Pieve di Cadore (Battaglione Alpini), 487, 546, 547, 606, 686, 687 Pinerolo (Brigata), 223, 228, 257, 455, 746, 783, 787, 790, 1046, 1076


1236 Pirzio Biroli (Colonna), 730 Pisa (Brigata), 517, 522, 523, 524, 556, 589, 619, 620, 663, 942, 945 Pistoia (Brigata), 767, 768, 771 Porto Maurizio (Brigata), 204, 518, 590, 619, 663, 716, 726, 945 Potenza (Brigata), 642, 643, 677, 830, 843 Puglie (Brigata), Ili, 157 Ravenna (Brigata), 219, 253, 561, 593, 594, 623, 668, 840, 851 Re (Brigata), 351,456,457,491,553,582,615, 660, 713 Reggio (Brigata), 556,587,588,618,662, 715, 725, 726, 729, 730, 734, 945 Regina (Brigata), 239, 619 Roma (Brigata), 245,443,446,467,483,609, 686, 834 Rosa, Monte (Battaglione Alpini), 223, 228, 783, 786, 787, 790 Saccarello, Monte (Battaglione Alpini), 157, 468, 469, 486, 544 Saluzzo (Reggimento Cavalleria), 809, 822, 823, 824, 857 Saluzzo (Battaglione Alpini), 787, 788, 790 Sassari (Brigata), 562, 592, 593, 594, 623, 667 Savoia (Reggimento Cavalleria), 434,809,823, 835, 836, 848, 857 Savona (Brigata), 1046, 1050 Sesia (Brigata), 645, 680, 816, 845, 1053 ' S!!tte Comuni (Battaglione Alpini), .661 Siena (Brigata), 229,479,481,482,483,605, 606, 683, 721 Speciale (Corpo d'Armata), 1147 Speciale (Compagnia), 167, 168 Spluga (Bl!,ttaglione Alpini), 582, 661

Indice delle Unità e dei Reparti Stelvio (Battaglione Alpini), 554,' 617 Suello, Monte (Battaglione Alpini), 486, 544 Taranto (Brigata), 660, 724, 729, 1047 . Taro (Brigata), 155 Teramo (Brigata), 257 Tevere(Brigata), 591,622,665,717, 718,727, 946 Tirano (Battaglione Alpini), 617 Toce, Val (Battaglione Alpini), 470, 487, 488, 545, 546, 547 Tolmezzo (Battaglione Alpini), 223, 228, 784, 787, 790 Tonale (Battaglione Alpini), 213 Torino (Brigata), 782, 1024 Toscana (Brigata), 827, 852 Trapani (Brigata), 155, 351, 553, 583, 615, 617, 713, 729 Treviso (Reggimento Cavalleria), 238, 258, 746, 747, 750, 754 Udine (Brigata), 448,451,452,468,471,547, 548, 686, 687 Udine (Reggimento Cavalleria), 783 Umbria (Brigata), 219 Valtellina (Brigata), 765, 766, 772, 773, 776, 1021 Veneto (Brigata), 629, 840, 852 Vercelli (Reggimento Cavalleria), 837, 858, 1040 Verona (Battaglione Alpini), 512, 554, 617 Vestone (Battaglione Alpini), 582 Vicenza (Brigata), 767, 771, 824, 1024 Vicenza (Reggimento Cavalleria), 857 . Virzì Ten. Col. (Gruppo), 810, 825 , 826, 837, 838, 859, 860, 861

B) Unità e reparti contraddistinti con numero arabo

I• Armata, 124, 130, 132, 133, 135, 136, 140, 147,148,149,158,162,173,176,187,190, 202,222,230,241,246,254,255,256,260, 262,273,275,276,277,298,308,318,323, 325,332,386,391,395 nt., 414,425,431, 432,433,496,632,699,700,701,702,703, 738,740,755,757,758 , 760,761,762,763, 764,766,769,771,774,775,776,780,781, 785,791,869,873,874,885,886,893,936, 938,951,953,993, 1002, 1005, 1008, 1010, 1012, 1016, 1017, 1018, 1019, 1020, 1063, 1075, 1076, 1077, 1081, 1084, 1093, 1094, 1095, 1103, 1104, 1142, 1153 I• Divisione, 137, 139, 148, 155, 158,218,219, 252,368,393,595,626,714,730,799,800; 801, 821, 1026, I 075 I• Divisione Cavalleria, 157, 160, 185, 313, 323,368,393,434,562,568,596,603,614, 623,625,626,668,669,670,700,701,714, 718,725 , 795,801,802,805,806,808,821, 833, 856, 935, 936, 944, 1003, 1004, 1030, 1037, 1040, 1072, 1076, 1_082, 1090 I• Divisione d'Assalto, 139, 158, 159, 184, 360,364,366,393,422,515,516,518,519, 521,523,524,529,589,590,591,620,666, 942, 945, 1021, 1066, 1071, 1076, 1077 I• Brigata Bersaglieri, 827 I O Gruppo Bersaglieri, I 57 I O Gruppo Alpini, 617, 661 1° Gruppo d'Assalto, 519,520 I O Reggimetno Granatieri, 646,679, 680, 816, 844, 845, 854 I O Reggimento Fanteria, 553, 582, 1053 I O Reggimento Cavalleria, 799 I O Squadrone Cavalleria «Mantova», 711, 860 I O Squadrone Cavalleggeri «Padova», 728 I" Compagnia (III Reparto d'Assalto), 213 I• Compagnia (LXX Reparto d'Assalto), 239 I• Squadriglia Autoblinde, 672 2• Armata, 164, 867, 872, 938, 954 2• Divisone, 137, 139, 140, 141, 147, 155, 158, 159,214,239,249,321,361,368,393,562, 587,619,626,714,715,730,782,799,800, 810, 825, 826, 837, 859, 1026, 1075 2• Divisione Cavalleria, 157, 313, 323, 387, 395,434,614,702,798,801,802,803,804, 807, 808, 821, 844, 859, 1035, 1072, 1076 2• Divisione d'Assalto, 139, 159, 173, 360,

367,368,385,393,525,529,562,590,591, 592,620,621,622,625,626,665,666,714, 718,727,730,731,735,946, 1011, 1026 2 • Brigata Bersaglieri, 103 I 2° Gruppo Alpini, 777, 787 2° Gruppo d'Assalto, 519, 523 2° Reggimento Granatieri, 647, 816, 845 2° Reggimento Fanteria, 1053 2° Reggimento Bersaglieri, 157,537,637,675, 828, 829, 842 2° Squadrone Cavalleria «Mantova», 838 2° Squadrone Cavalleria «Udine», 788 2° Squadrone Cavalleggeri «Padova», 729 2• Compagnia Bersaglieri, 825 2• Batteria a Cavallo, 835 2• Compagnia· Genio Ferrovieri, 1104 2• Compagnia (XXIII Reparto d'Assalto), 446 2• Compagnia (III Reparto d'Assalto), 449, 468 3• Armata, 88, 99, 124, 125, 128, 133, 138, 139, 141, 142, 148, 149, 150, 164, 171, 175, 176,188,190,198,202,203,204,220,262, 277,299,306,311,312,313,317,316,323, 324,325,326,328,329,332,352,356,271, 372, 374, 377, 378, 383, 387, 395 nt., 404, 414,417,426,428,431,432,434,458,529, 534,573,581,602,614,627,630,631,632, 633,634,635,636,639,642,643,644,647, 648,673,680,68!,682,694,697,699, 702, 703,704,707,793,795,796,797,798,806, 807, 81 I, 813, 814, 816, 817, 820, 826, 827, 832,841,843,846,847,848,850,853,855, 860,861,867,87!,872,873,874,882,893, 894,895,899,936,938,947,949,955,969, 970, 971, 1003, 1005, 1008, 1010, 1011, 1012, 1018, 1032, 1034, 1035, 1036, 1037, 1038, 1040, 1041, 1042, 1054, 1055, 1057, 1058, 1059, 1060, 1062, 1075, 1076, 1082, 1083, 1088, 1093, 1094, 1095, 1097, 1100, 1142, 1147 3• Divisione, 139,321,800,822,835,836,858, 1076, 1078 3" Divisione Cavalleria, 313, 323, 387, 395, 434,614,671,702,796,798,801,802,803, 804,805,807,808,812,818,821,839,857, 858, 886, 935, 1030, 1037, 1040, 1077. 3 • Brigata Cavalleria, I 24 3• Brigata Mitraglieri Ciclisti, 826


1238 3° Gruppo Bersaglieri, 824 3° Gruppo Bersaglieri Ciclisti, 157 3° Gruppo Alpini, 777 3° Gruppo d'Assalto , 517,518, 520, 522, 523 , 557, 590 3° Reggimento Cavalleria «Milano», 799, 862 3° Reggimento Bersaglieri, 157,534, 537,637, 675 , 815, 828, 829 3° Squadrone Cavalleria «Piemonte Reale», 677 3° Squadrone Cavalleria «Aosta», 777, 836, 860, 1004 3• Batteria a Cavallo 803, 804 3 • Compagnia (IX Reparto d'Assalto), 605 3• Compagnia (LV Reparto d'Assalto), 447, 463 3• Compagnia(LXX Reparto d'Assalto), 741 4• Armata, 91, 99, 125, 133, 135, 137, 138, 139,140,142, 147,148,149,151,158,162, 170, 173, 176, 179, 190,198,202,209, 214, 215,217,222,240,243,250,251 , 252,253 , 254,258,260,262,268,287, 293,294, 296, 306,309,311,312, 313,315,316,317, 318, 319,320,322,323,325,326,332, 338, 339, 340,341,342,343,344,347,348,349, 350, 351,361,369,380, 382,383,389,392,414, 418,420,421,426,427,431,433,438,440, 452,453,454,455,456,460,461,472, 473, 474,479,480,483,489,490,491,492,494, 496, 497,498 , 500,501,502,503,505,511, 540,548,549,550,551,570,571,572,573, 581,604,605,610,611,613,614,632,649, 652,653,659,660,682,686,687,688,690, 691,692,694,700,708,709,711,712,713, 714, 719, 721, 722, 723, 724, 728, 730, 733 , 735,742,754,758,780,785, 867,873,874, 876,882,887,888,893,894,895, 936,938, 939,940,941,945,947,950,964,965 , 968, 970,976, 993, 1002, 1003, 1005, 1008, 1011 , 1012, 1013, 1021, 1026, 1028, 1029, 1055, 1076, 1088, 1093, 1094, 1095, 1096, 1107. 4• Divisione, 99, 138,139,321,386,391,606, 614,777,780,782,789,792,799,800,809, 824, 835, 836, 858, 1024, 1072, 1075. 4• Divisione Cavalleria, 157, 313, 368, 393, 434,596,614, 67·1, 702, 798,801,802, 803, 804, 805, 806, 807, 808, 821, 858, 1030, 1035, 1037, 1040, 1072, 1076, 1082. 4° Gruppo Alpini, 391 , 758, 761 , 767, 770, 775, 951. 4° Gruppo d'Assalto, 1027. 4° Reggimento Cavalleria «Genova», 799 4° Reggimento Genio, 166, 167.

Indice Unità e Reparti 4 • Compagnia (58 ° Rgt. Ftr.), 480. 4• Batteria a Cavallo , 803 , 807, 811 , 825, 838, 839, 859, 860. 4• Compagnia Genio Pontieri, 513, 51 7 4• Compagnia Genio Ferrovieri, 1104 4•. Squadriglia Autoblinde, 642, 677 4° Squadrone Cavalleria «Mantova», 860 0

5• Armata, 138, 301 , 306, 954, 1093, 1142, 1150 5• Divisione, 136,158, 211,223,227, 228, 229, 229,386,391,777,781,783 , 784,786, 787, 790, 792, 1019, 1022, 1025, 1077 5• Divisione Alpina, 214, 1020, 1076 5° Gruppo Alpini, 470, 488,582,661, 713, 724 5° Gruppo d'Assalto , 525 5° Reggimento Fanteria, 451, 452, 470, 471 , 546, 547 5° Reggimento Cavalleria «Novara», 799 5° Reggimento Bersaglieri, 589 5• Compagnia (60° Rgt. Ftr.), 608 5° Squadrone Cavalleggeri «Piacenza», 619 5° Squadrone Cavalleria «Alessandria», 772 5° Squadrone Cavalleria «Mantova», 856, 860 5• Compagnia Pontieri, 513 , 517 5• Squadriglia Autoblinde, 642, 679 6• Armata, 99, 11 1, 124, 133 , 135, 136, 140, 148, 149, 150, 151 , 162, 173, 176, 181, 187, 188, 189, 190,202,203,209, 214,216,222, 234,238,239,243,247,254,256,260, 262, 273,290,292,293,294,298,301,309,312, 313 , 315,317,318,319,323,324,325,332, 340,341,342,346,347,348,380,382,383, 387,391,414,417, 418,420,426,427, 432, ~33,438,440,454,455,460,462,473,474, 478,479,491,496,505,550, 571 , 572,613, 653,654, 655,688 , 690,691 , 692,699,700, 701,702, 709, 711,738,739,740,742,744, 745,747,750, 753,755,757,761 , 764,765, 766,775,873,874,885,888, 893,894, 895, 936, 938, 950, 953 , 1002, 1003, 1008, 1010, 1012, 1016, 1017, 1018, 1021, 1031, 1047, 1076, 1084, 1093, 1095 6· Divisione, 136,321,386, 391,416, 759, 761, 764,765, 766,773,774,775,776,951, 1011, 1019, 1021, 1022, 1025, 1076, 1077 6° Gruppo Alpini, 686 6° Gruppo (2• Divisione d'Assalto), 664 6° Reggimento Fanteria, 470, 547, 570 6° Reggimento Cavalleria, 799 6° Reggimento Artiglieria da Campagna, 1053 6• Compagnia (139° Rgt. Ftr.), 463 6• Compagnia (1 ° Rgt. Ftr.), 553

Indice Unità e Reparti

1239

6° Squadrone Cavalleggeri «Piacenza», 664, 946 6· Compagnia Genio Pontieri , 458 6• Compagnia Genio Ferrovieri, 1104 7• Armata, 102, 104, 133 , 135, 136, 140, 147, 148, 149, 161, 164, 173, 177, 187,190,202, 203,209,211 , 220,222,229,240,241,243, 245,259,260,321,322 , 323,324,325,332, 347,371,386, 391 , 431,432,433,699,701, 702, 703,705,738,761,762,764,767,774, 775, 776,777,778, 779,780,781,786,789, 792,885 , 893 , 894, 936, 938,952,953 , 954, 955 , 993 , 1002, 1005, 1008, 1018, 1019, 1028, 1032, 1075 , 1084, 1095 7• Divisione, 138, 147,257,258,392,455,474, 613,690, 691 , 700,711,739,742,746, 747, 750, 754, 758, 812, 950, 1011, 1075 7° Gruppo Alpini, 784, 786 7° Raggruppamento Artiglieria di C.A., 62 1 7° Raggruppamento Artiglieria Contraerei, 164 7° Reggimento Fanteria, 589 7° Reggimento Cavalleria, 799 7° Reggimento Bersaglieri, 435 7• Compagnia (74 ° Rgt. Ftr.), 450 7• Compagnia (120° Rgt. Ftr.), 253 7• Compagnia (20 ° Rgt. Bers .), 233 7_• Batteria a Cavallo, 824 . 7 • Compagnia Genio Ferrovieri, 1104 7• Squadriglia Autoblinde, 861 I

s•

Armata, 91, 99, 124, 125, 132, 133, 135, 137, 138, 141 , 142, 148, 149, 150, 151, 164, 172, 175, 176, 177, 188, 189, 190, 198, 202, 204, 209,220,262,268,275,276,277, 286, 288,293,299,302,306,308,311,312, 313 , 315,317,318,321,322,323,324,325,326, 327,328,329, 332,340,349,350, 352,353 , 354, 356,357, 360,367,368,369,372,373 , 377, 378,380,381,382,383,384,389,393 , 395,414,421,422,424,425,426,427,431 , 433,436, 438,460,477,507,510,512,513 , 514,526, 528,530,531,538,551,553,555 , 562,568,573,574,577,578,586,594,595 , 596,598,599,603,614,615,618,619,622, 623,624,627,631,632,652,653,658,662, 667,669,670,689,690,694, 699,700,701 , 702,706,707, 712, 713 , 714, 715, 716,718, 719, 720,723 , 725 , 726, 729,731 , 735,776, 795,799,805 , 818,871,873,874,876,883, 887,888,894, 895 , 934,935,936,939,941, 942,943,944, 945, 947,955,969,976, 1002, 1008, 1010, 1012, 1016, 1017, 1019, 1021,

1026, 1028, 1076, 1078, 1084, 1091, 1093; 1095, 1100 s• Divisione, 1078 8° Raggruppamento Alpini, 487 8° Gruppo Alpini, 783, 784, 787, 790 8° Raggruppamento Artiglieria Contraerei, 164 8° Reggimento Fanteria, 606, 676 8° Reggimento Cavalleria «Milano>>, 799, 862 8° Reggimento Bersaglieri, 157,536, 567,637, 675, 814, 815, 842, 853 , 854 8° Reggimento Lagunari, 166 8° Battaglione Bersaglieri, 1041 s• Compagnia (74° Rgt. Ftr.), 450 s• Compagnia Genio Pontieri, 640, 817 9• Armata, 107, 130, 132, 133, 135, 137, 138, 141, 147, 148, 149, 152, 157, 172, 176, 181, 183, 197, 208, 321, 322, 323, 386, 387, 394, 739, 776, 864, 885, 886, 936, 954, 1005, 1008, 1010, 1011, 1012, 1029, 1031, 1032, 1033, 1034, 1035, 1042, 1055, 1093, 1094, 1095 9• Divisione, 136,142, 322,387,394,416,864, 1031, 1035, 1041, 1076, 1077 9° Gruppo Alpini, 512, 554, 617, 661 9° Reggimento Fanteria, 239 9• Compagnia Genio Pontieri, 817 10• Armata, 140, 142,151,290,306,311,312, 313,315,317, 318,321,323 , 325,326, 328, 329,332,340, 354,360,361,367,368,369, 371,372,374,375,377,378,382, 383 , 384, 385,389,393,394,414,418,420,421,422, 423,424,425,426,427,428,431,434,438, 457,458,459,460,461,474,478, 479,492, 505,506,508,510,528, 529,530,531 , 533, 534,537,538,539,540,559,562,563,564, 567,568,569,574,577,578,580,596,597, 598,599,601,602,603,614,615,626,627, 630,631,632,635,636,637,638,647,648, 667, 669,670,671,672,681,682,694,699, 701,702,703,704,707,720,793,795,796, 797,798,800,805,807,813,819, 826,827, 832, 839,841,846, 851,871,885,893,936, 939,943,947,948,949,954,963,970,971, 1003, 1008, 1017, 1030, 1031, 1035, 1075, 1093, 1100 10• Divisione, 137, 321, 322, 368, 393, 595, 602,630,672, 812,827,840,841,852,853, 1032, 1035, 1076, 1077 10° Raggruppamento Artiglieria Pesante Campane, 758 10° Reggimento Fanteria, 239


1240 10° Reggimento Cavalleria, 799 10° Battaglione Bersaglieri, 1041 10• Squadriglia Autoblinde, 636,675,681, 797 11 • Armata, 757, 979, 1019 11 • Divisione, 138, 141, 240, 386, 391, 777, 780, 782, 785, 789, 1024, 1075 11 • Divisione Cavalleria, 670 11 ° Gruppo Alpini, 777, 780, 784, 789, 792 11 ° Reggimento Fanteria, 606 11 ° Reggimento Bersaglieri, 435 11 ° Reggimento Artiglieria, 593 11 ° Battaglione Bersaglieri, 1041 12• Armata, 140, 142,158,290,291,293,306, 311,312,313,315,317,318,319,321,323, 325,326,328,332,338,340,342,348,349, 351,354,360,361,368,380,381,382,383, 384,385,389,392,412,414,421,422,424, 425,426,427,431,438,440,456,457,460, 461,462,472,474,479,491,510,512,513, 514,530,541,549,550,551,552,554,555, 571,574,577,580,582,586,588,610,615, 617,618,625,652,653,658,659,660,689, 694,700,705,706,707,708,709,711,712, 713,723,729,739,871,939,943,946,947, 1002, 1008, 1017, 1075, 1093, 1100 12• Divisione, 136, 246, 321 , 343, 344, 348, 364,393,515,558,587,589,664,714,730, 1026, 1076, 1077 12° Gruppo Alpini, 784 12° Raggruppamento Artiglieria, 636 12° Reggimento Cavalleria, 799 12° Reggimento Bersaglieri, 853 12• Compagnia Genio Pontieri, 513 12• Squadriglia Autoblinde, 1050 13• Divisione, 111, 139, 147, 148, 1078 13° Gruppo Alpini, 470, 547 13° Reggimento Fanteria, 257, 455 13° Reggimento Bersaglieri, 157, 536, 637, 814, 815 13 ° Reggimento Artiglieria da Campagna, 560, 593, 594, 623, 835 13' Squadriglia Autoblinde, 1050 14' Divisione, 137, 140, 147, 236, 237, 249, 256,257,347,348,392,455,690,739,741, 745, 746, 950, 1075 14° Gruppo Alpini, 777, 780, 782, 784, 789, 792 14° Reggimento Fanteria, 257 14° Reggimento Bersaglieri, 230, 233 14° Reggimento Artiglieria da Campagna, 162

Indice Unità e Reparti 14' Compagnia Genio Pontieri, 706 14' Compagnia Genio Ferrovieri, 1104 15• Divisione, i37, 251, 342, 392, 445, 446, 465,467,483,484,542,544,683, 709, 723, 733, 1011, 1076, 1078 15° Gruppo Alpini, 322, 394, 1027 15° Reggimento Fanteria, 1046 16° Gruppo Alpini, 783, 784, 786, 787 16° reggimento Fanteria, 1046, 1050 16' Compagnia Genio Pontieri, 513 17• Divisione, 137, 216, 251, 342, 392, 431, 441,442,463,464,465,479,480,482,541, 605,608,682,683,691,709,721,729,734, 742, 1011, 1076, 1078 17° Gruppo Alpini, 158, 484 17° Raggruppamento Artiglieria da Campagna, 636, 759 17° Reggimento Artiglieria da Campagna, 642, 676, 677 18' Divisione, 137, 250, 342, 392, 441, 442, 443,455,462,464,479,606,723,733, 1011, 1076, 1078 18° Gruppo Alpini, 322, 394, 726, 730 18° Reggimento Artiglieria Pesante Campale, 759 18' Compagnia Genio Pontieri, 458 19° Gruppo Alpini, 783, 784, 786, 787 19° Reggimento Fanteria, 845 19° Reggimento cavalleria, 799 20• Divisione, 136, 257, 347, 391, 454, 491, 613,653,690,739,741,744, 749,750,753, 757, 765, 766, 950, 1075 20• Divisione (Corpo d'Armata Speciale), 1147 20° Gruppo Alpini, 485 20° Reggimento Bersaglieri, 230, 233 21 • Divisione, 136, 142, 229, 289, 315, 322, 340,392,431,441,453,464,479, 481,482, 541,606,682,683, 709,721,728,734,742, 750, 754, 1025, 1076, 1077 21 ° Reggimento Fanteria, 250, 465, 467, 543 21 ° Reggimento Artiglieria da Campana, 1047 22• Divisione, 136, 141, 142, 245, 289, 315, 322,340,342,392,443 , 445,446,465,483, 542,609,649,683,686,709,721,734,885, 1076, 1077 22° Reggimento Fanteria, 250, 467

Indice Unità e Reparti 23' Divisione, 138, 351, 371, 378, 394, 532, 534,552,553,554,565,567,602, 614,629, 635,636,637,638,639,647,648,673,675, 678,680, 681 ,729,806,813,814, 815,828, 829, 830, 842, 843, 844, 847, 853, 1032, 1035, 1076, 1077 23 • Divisione Bersaglieri, 157, 627 23° Reggimento Fanteria, 560, 593, 594, 668, 851 24" Divisione, 137, 138, 351, 392, 456, 553, 582, 660, 712, 713, 724, 741, 1047, 1050, 1076 24° Reggimento Fanteria, 253, 560, 593, 594, 623, 668 24° Reggimento Cavalleria, 799 25" Divisione, 138, 147, 375, 394, 587, 632, 639,640,641,642,643,676,677, 677,718, 813,814,815,829,830,842,843,844, 1024, 1035, 1076, 1077 25° Reggimento Fanteria, 219,455, 474, 691, 746, 750, 755, 1147 25° Reggimento Cavalleria, 799 25" Compagnia Genio Pontieri, 513, 514, 582 26" Divisione, 230, 386, 391, 766, 767, 770, 1076, 1077 26° Reggimento Fanteria, 455,474, 691, 750, 754, 758, 1147 26° Reggimento Cavalleria, 799 26' Compagnia Genio Pontieri, 458,514,641 27 ' Divisione, 137, 139, 147, 148,218, 347, 387,392, 395 nt., 491,654, 739, 788, 1076, 1077 27° Reggimento Cavalleggeri, 632 27° Reggimento Bersaglieri, 104 27' Compagnia Genio Pontieri, 513 28' Divisione, 137, 236, 237, 249, 256, 257, 318, 323, 347, 387, 392, 395 nt., 416, 483, 606, 732, 739 28° Reggimento Fanteria, 606 28° Reggimento Cavalleria, 799 29' Divisione, 137, 214, 238, 257, 258, 347, 392,691,746,747,750,754,758,950, 1075 29° Reggimento Fanteria, 517, 522, 524 29' Compagnia Genio Poantieri, 513 30° Reggimento Fanteria, 522, 523 30' Compagnia Equipaggio da Ponte, 369

1241 31 • Divisione, 138, 141, 323, 387, 394, 395 nt., 416,458,529,538,555,565,568,603,628, 629, 632, 796, 804, 812, 840, 852, 1031, 1035, 1077 31 ° Reggimento Fanteria, 229, 541 32' Divisione, 136, 386, 391, 758, 761, 762, 766, 767, 768, 770, 898, 951, 1024, 1025, 1077, 1076 32° Reggimento Fanteria, 541, 608 32• Compagnia Telegrafisti, 558, 946 33• Divisione, 138, 141, 147, 160, 321, 368, 393,528,538,559,560,562,592,593,594, 622,623,667,669,812,827,839,845,853, 1024, 1031, 1035, 1076, 1077 33• Divisione (Corpo d'Armata Speciale), 1147 33° Battaglione Bersaglieri, 1041 33 • Batteria da Montagna, 517 34• Divisione, 136, 386, 391, 758, 761, 762, 766, 767, 768, 770, 898, 951, 1024, 1025, 1077 34° Reggimento Fanteria, 216 35• Divisione 112, 158, 1078 35° Reggimento Fanteria, 768 35° Reggimento Artiglieria da Campagna, 636, 638, 786 36' Divisione, 1046, 1078 37' Divisione, 138, 148, 371, 373, 374, 394, 422,458,474,476,492,532,533,534,536, 537,565,566,600,601,602,629,637,638, 671 , 672,796,812, 827,840;841,853, 1031, 1035, 1076, 1077 37° Reggimento Fanteria, 253, 561,571,593, 594, 623, 668 37° Reggimento Artiglieria da Campagna, 829, 854 38' Divisione, 1076, 1078 38' Divisione d'Assalto, 1066, 1071 38° Reggimento Fanteria, 593, 594, 668 39° Reggiimento Fanteria, 468, 485 39° Reggimento Bersaglieri, 1041 39° Reggimento Esploratori, 171 40° Reggimento Fanteria, 468 40° Reggimento Artiglieria da Campagna, 636, 638, 639, 675 , 829, 842, 843


1242 41 ° Reggimento Fanteria, 217, 465, 468, 544, 609, 610 41 ° Reggimento Artiglieria da Campagna, 786 41 • Compagnia (btg. alp . «Aosta»), 546 42° Reggimento Fanteria, 251, 252, 609, 686, 709 42° Reggimento Artiglieria da Campagna, 566, 567, 840 42• Compagnia (btg. alp. «Aosta»), 546 43° Reggimento Fanteria, 481, 606 43• Compagnia (btg . alp. «Aosta»), 488 44° Reggimento Fanteria, 481, 606 44° Battaglione Bersaglieri, 1041 45• Divisione, 137, 147, 376, 394, 632, 634, 635,644,646,647,679,680,816,831,832, 844, 1035, 1076, 1077 45° Reggimento Fanteria, 587 46• Divisione, 99 46° Reggimento Fanteria, 469,487, 730, 734 47• Divisione, 139, 147, 240, 342, 392, 448, 449,450,468,470,471,489,491,547,548, 610, 687, 688, 711, 721, 733, 1075470 Reggimento Fanteria, 643,676,677, 814, 815, 829, 830, 843 4g• Divisione, 138, 147, 367, 368, 393, 525, 529,590,591,592,621,625,664,669,678, 714, 717, 718, 727, 730, 754, 800, 1026; 1031, 1076, 1077 48° Reggimento Fanteria, 639,676,677, 813 , 829, 830, 843

Indice Unità e Reparti 52° Reggimento Artiglieria da Campagna, 665 , 946 53• Divisione, 139, 147, 394, 455, 632, 638, 639,640,641,642,643,675,676,677,678, 690,814,817,829,830,832,843,844,847, 855, 1035, 1076, 1077 54• Divisione, 99, 138, 147,148,376,394,632, 634,635,644,645,646,647,678,679,680, 816,831,844,845,846,847,854,855, 1035, 1053, 1076, 1077 55• Divisione, 136, 148, 255, 386, 391, 759, 761, 769, 771, 772, 1023, 1025, 1076, 1077 56· Divisione, 137, 147, 148, 218, 219, 253, 321,368,372,393,528,529,538,539,559, 560,562,592,593,622,623,667,668,669, 796, 812, 827, 835, 839, 840, 851, 1031, 1035, 1076, 1077 56° Reggimento Fanteria, 218 57• Divisione, 99,138,315,364,365,366, 367, 393,422,515,516,517,518,522,523,556, 557,589,619,620,625,662,663,669,944, 1026, 1076, 1077 57 ° Reggimento Fanteria, 443, 480

Divisione, 138, 147, 342, 392, 448, 450, 451,456,457,468,470,471,489,491,547, 548,610,687,688,711,721,733, 1075

51 • Divisione, 137, 361, 364, 393, 512, 513, 514,553,556,586,587 , 588,592,618,625, 662,669,713,714,715,725,726,730,734, 945, 1026, 1076, 1077 52• Divisione, 137, 140, 142, 148, 158, 173, 321,351,369,392,456,511,553,554,588, 617,618,659,660,661,712,713,714,724, 729, 1002, 1010, 1028, 1078 52• Divisione Alpini, 158, 583, 586, .1076

1243

65° Reggimento Fanteria, 766

101 • Compagnia Genio, 543

66• Divisione, 137, 361, 364, 393, 515, 587, 588,589,619,714,715,716,730, 1026, 1077 66° Reggimento Fanteria, 766

107° Reggimento Fanteria, 512 112° Reggimento Fanteria, 946

67• Compagnia (bgt. alp. «Cadore»), 488, 546

113 ° Reggimento Fanteria, 522

69• Divisione, 136, 230, 386, 391, 759, 765, 766, 769, 773, 776, 1025, 1076, 1077 69° Reggimento Fanteria, 747, 750, 754, 755, 758, 950

114° Reggimento Fanteria, 522, 523, 524

70• Divisione, 137, 148, 344, 351, 392, 456, 457, 474, 491, 553, 660, 713, 1076, 1077 70° Raggruppamento Artiglieria, 636 70° Reggimento Fanteria, 691, 747, 750, 755 72• Divisione, 148 73° Reggimento Fanteria, 449, 468, 469, 486

115" Compagnia (btg. alp. «Monte Saccarello»), 487 115• Squadriglia Aerea, 573 117° Reggimento Fanteria, 236 118° Reggimento Fanteria, 236 121 ° Reggimento Fanteria, 534, 537, 565 122° Reggimento Fanteria, 565 123° Reggimento Fanteria, 765, 766, 776

74° Reggimento Fanteria, 450, 451, 468, 470, 484, 487, 489, 544, 547

124° Reggimento Fanteria, 765, 766

75• Divisione, 158, 211, 223, 227, 228, 244, 245,386,391,776,781,783,784,787,788, 790, 791, 792, 793, 1020, 1021, 1022, 1077 75• Divisione Alpini, 779, 1018, 1076

127° Reggimento Fanteria, 468, 649

79° Reggimento Fanteria, 245, 609, 610

135° Reggimento Fanteria, 513

59• Divisione, 137, 147,214,216,217,251, 252,342,392,445,446,447,465,467,472, 483, 544, 610, 649, 686, 709, 734, 1075 59° Reggimento, 443, 605, 606, 607

so• Divisione, 158, 162, 315, 322, 340, 342, 392,448,450,468,469,544,610,652,686, 687, 721, 722, 733, 1077 80° Reggimento Fanteria, 446, 542, 544

137° Reggimento Fanteria, 1047

60• Divisione, 138, 204, 364, 393, 423, 515, 518,520,521,523,556,557,558,590,619, 620,622,625,662,663,665,716,717,726, 944, 1026, 1076, 1077 60° Reggimento Fanteria, 250,605,607, 608

81 • Divisione d'Assalto, 1066, 1071

5g• Divisione, 99, 138, 139,147,367,368,393, 525,529,533,591,592,621,622,625,666, 714, 730, 1026, 1076, 1077 58° Reggimento Fanteria, 443, 480

49° Reggimento Fanteria, 606

· so•

Indice Unità e Reparti

s2• Divisione Alpina, 1076 87• Squadriglia Aerei, 894

128° Reggimento Fanteria, 465,467,483,484, 544

138° Reggimento Fanteria, 1047 139° Reggimento Fanteria, 463 140° Reggimento Fanteria, 443 140• Compagnia Telegrafisti, 946 143° Reggimento Fanteria, 1047 144° Reggimento Fanteria, 1047

90° Battaglione Genio, 829

61' Divisione, 138, 147, 148, 416, 321, 387, 394, 865, 885, 1031, 1035, 1041, 1046, 1076, 1077 61 ° Reggimento Artiglieria da Campagna, 162, 800

91 ° Reggimento Fanteria, 683

147• Compagnia (btg. alp. «Monte Pelmo»), 485

95 ° Reggimento Fanteria, 457, 548

151 ° Reggimento Fanteria, 562, 592, 667

62° Reggimento Artiglieria da Campagna, 162

96° Reggimento Fanteria, 471, 548

152° Reggimento Fanteria, 562, 592

65• Divisione, 1076

99° Reggimento Fanteria, 258, 746

153° Reggimento Fanteria, 647,675,816,845


1244

Indice Unità e Reparti

154° Reggimento Fanteria, 644,647,679, 680, 816

243• Compagnia (btg. alp. «Val Toce»), 487, 488 , 546

157° Reggimento Fanteria, 771

244° Reggimento-Fanteria, 645,646,679, 816

158° Reggimento Fanteria, 772

251 ° Reggimento Fanteria, 683, 721

164· Brigata Alpina, 788

252° Reggimento Fanteria, 216,467, 483, 484, 683, 741

189• Compagnia Zappatori, 217 253 ° Reggimento Fanteria, 716, 726 201 ° Reggimento Fanteria, 646, 647, 1053 254° Reggimento Fanteria, 716 202° Reggimento Fanteria, 645, 647, 1053 259° Reggimento Fanteria, 747 207• Compagnia (btg. alp. «Val Toce»), 488 260° Reggimento Fanteria, 747 209° Reggimento Fanteria, 560, 561, 592 263° Reggimento Fanteria, 1047 210° Reggimento Fanteria, 560, 561, 592 264° Reggimento Fanteria, 1047 215° Reggimento Fanteria, 591, 666 265 ° Reggimento Fanteria, 236, 249 216° Reggimento Fanteria, 665, 717 266° Reggimento Fanteria, 236 221 ° Reggimento Fanteria, 678 267°. Reggimento Fanteria, 804 225 ° Reggimento Fanteria, 865, 1046, 1049 269° Reggimento Fanteria, 666 226° Reggimento Fanteria, 1046 270° Reggimento Fanteria, 591, 666 231 ° Reggimento Fanteria, 643,675,676,677, 815, 829, 830, 843 232° Reggimento Fanteria, 641,643,676,677, 829, 830, 843

271 ° Reggimento Fanteria, 677 272° Reggimento Fanteria, 642, 677 278° Reggimento Fanteria, 771

235 ° Reggimento Fanteria, 769, 772 280° Reggimento Fanteria, 565, 629 239° Reggimento Fanteria, 446,465,466,483, 542, 543

281 ° Reggimento Fanteria, 534, 536, 565 281 • Compagnia (btg. alp. «Val toce»), 487

240° Reggimento Fanteria, 446,465,466,468, 542, 543

307• Compagnia (btg. alp . «Ortles»), 244

243° Reggimento Fanteria, 645, 646, 816

467· Compagnia Mitraglieri, 543

C) Unità e reparti contraddistinti con numero romano I Corpo d'Armata, 138, 140, 142, 215 , 340, 344,350, 369, 392,418, 440,448,451,456, 457,468,472, 474 , 491,511,512,541,549, 551,552,553,554,582,610,611,615,617, 652, 659, 687,709 , 711,712,713,722,724, 729, 947, 1010, 1047, 1076, 1077 I Divisione (C.A . d ' Ass.), 148, 516, 556 I Brigata {l • Div. di Cavalleria), 624, 799, 805, 834, 835, 856 I Brigata Bersaglieri, 8 I 2, 852 I Raggruppamento Alpini, 511, 583, 595, 724 I Raggruppamento d'Assalto, 521 I Gruppo Bersaglieri Ciclisti, 799 I Battaglione {4° rgt. f.), 522 I Battaglione (6° rgt. f.), 451, 452, 489 I Battaglione (21 ° rgt. f .), 447 I Battaglione (36 ° rgt. f .), 771 I Battaglione (39° rgt. f .), 449, 485 I Battaglione (40° rgt. f.), 449, 468 I Battaglione (41 ° rgt. f.), 217, 544 I Battaglione (42 ° rgt. f.), 251 I Battaglione (43 ° rgt. f.), 606 I Battaglione (44 ° rgt. f.), 481 I Battaglione (46 ° rgt. f.), 715 I Battaglione (60 ° rgt. f.),443, 463, 607 I Battaglione (65 ° rgt. f.), 765 I Battaglione (69° rgt. f.), 691, 742 I Battaglione (70° rgt. f.), 742 I Battaglione (73 ° rgt. f.), 486 I Battaglione (74 ° rgt . f.), 450,470,471 , 487, 545, 548 I Battaglione (79° rgt. f.), 609 I Battaglione (80° rgt. f.), 446 I Battaglione (91 ° rgt. f.), 443 I Battaglione (92° rgt . f.), 443 I Battaglione (95° rgt. f.), 452, 547, 548 I Battaglione (96 ° rgt. f.), 451 , 489 I Battaglione (122 ° rgt. f.), 458, 459, 534 I Battaglione (137° rgt. f .), 1047 I Battaglione (139° rgt. f.), 443 I Battaglione (140° rgt. f.), 443, 463 I Battaglione (202° rgt . f.), 646 I Battaglione (234° rgt. f.), 744 I Battaglione (236° rgt. f.), 769, 772 I Battaglione (239 ° rgt . f.), 466 I Battaglione (240° rgt. f.), 466 I Battaglione (243 ° rgt. f .), 647 I Battaglione (251 ° rgt. f.), 252 I Battaglione (28 I O rgt. f.), 458, 476

I Gruppo Squadroni Cavalleggeri «Caserta», 589, 619 I Gruppo Squadroni Lanceri «Firenze», 619 I Gruppo Squadroni «Mantova Cavalleria» , 838, 839, 860 I Gruppo Squadroni «Padova Cavalleria», 722 I Gruppo Squadroni «Piemonte Reale» Cavalleria, 642 I Gruppo (13 ° rgt. a.), 593 I Gruppo Batteria a Cavallo, 799 I Battaglione Bersaglieri Ciclisti, 157, 799, 803 I Battaglione Genio Pontieri, 166 · I Reparto d' Assalto, 159, 946

II Corpo d ' Armata, 38, 215, 290, 313, 670, 1078 II Divisione (C.A. d' Ass.), 148 II Brigata Cavalleria, 624, 668, 799, 834, 835, 1147 II Raggruppamento Alpini, 555,661 , 713, 724 II Battaglione {l O rgt. G.) , 647 II Battaglione (6 ° rgt. f.), 451 II Battaglione (21 ° rgt . f.), 466, 542, 543 II Battaglione (22° rgt . f.), 446 II Battaglione (29° rgt. f.), 517 II Battaglione (32° rgt.f.), 608 II Battaglione (36° rgt.f.), 771 II Battaglione (40° rgt.f.), 485 II Battaglione (41 ° rgt.f.), 218 II Battaglione (42° rgt.f.), 251 , 252 II Battaglione (43° rgt.f.), 481 II Battaglione (44° rgt.f.), 482 II Battaglione (46° rgt.f.), 725 , 726, 734 II Battaglione (57 ° rgt.f.), 480 II Battaglione (60° rgt .f.), 605 , 607 II Battaglione (73 ° rgt.f.), 469 II Battaglione (74° rgt.f.), 470,471,487,488, 546, 547 II Battaglione (79° rgt.f.), 443, 446, 463 II Battaglione (80° rgt.f.), 467 II Battaglione (91 ° rgt.f.), 443 II Battaglione (92° rgt.f.), 443 II Battaglione (95° rgt.f.), 471, 491 II Battaglione (96° rgt.f.), 547, 548, 570, 610 II Battaglione (114° rgt. f.), 620, 663 II Battaglione (122° rgt . f.), 458, 534, 536 II Battaglione (137 ° rgt . f.), 1047 II Battaglione (139 ° rgt. f.) , 443, 463


1246 II Battaglione (140° rgt. f.), 443 , 463 II Battaglione (154° rgt. f.), 679 II Battaglione (201 ° rgt. f.), 647 II Battaglione (202° rgt. f.), 646 II Battaglione (215° rgt. f.), 727 II Battaglione (222° rgt. f.), 641 II Battaglione (235° rgt. f.), 769, 772 II Battaglione (236° rgt. f.), 769, 772 II Battaglione (239° rgt. f.), 446, 466 II Battaglione (240° rgt. f.), 446, 465, 466, 543 11 Battaglione (243° rgt. f.), 647 II Battaglione (252° rgt. f .), 217, 252, 484 II Battaglione (259° rgt. f.), 239 II Battaglione (267° rgt. f.), 628, 840 II Battaglione (280° rgt. f.), 458, 476, 536 II Battaglione (281 ° rgt. f.), 458, 536 II Gruppo Squadroni Lanceri «Aosta», 803, 838 II Grùppo Squadroni Lanceri «Firenze», 664, 946 II Gruppo Squadroni «Foggia» Cavalleria, 629 II Gruppo Squadroni «Genova» Cavalleria, 624 II Gruppo Squadroni «Mantova» Cavalleria, 560, 837 II Gruppo Squadroni «Vicenza» Cavalleria, 822 II Gruppo Batterie a cavallo, 799 II Battaglione (8° rgt. bers.), 536 II Battaglione Bersaglieri Ciclisti, 155, 157, 865, 936, 1035, 1041 II Gruppo (l 7° rgt. a.), 676, 677 II Gruppo Autocannoni, 803 II Battaglione Genio Pontieri, 166

III Corpo d'Armata, 104, 136, 140, 209, 211, 220,222,224,227,229,244,245,386,391, 705,744,775,776,777,780,781,783,784, 785, 786, 787, 788, 790, 791, 1002, 1004, 1018, 1019, 1020, 1022, 1025, 1076, 1077 III Brigata Cavalleria, 799, 802, 803, 804, 806, 811, 839, 860, 862 III Raggruppamento Alpini, 776 III Reparto d'Assalto, 213,224,449,450,451, 471, 485, 488, 545, 546 III Battaglione (l O rgt. f.), 647 III Battaglione (5° rgt. f.), 546 III Battaglione (6° rgt. f.), 451, 452 III Battaglione (21 ° rgt. L), 447 III Battaglione (22 ° rgt. f.), 446 III Battaglione (30° rgt. f.), 620, 663 III Battaglione (31 ° rgt. f.), 482 III Battaglione (32° rgt. f.), 608

Indice Unità e Reparti III Battaglione (39° rgt. f.), 449, 468, 485, 545 III Battaglione (40° rgt. f.), 449, 485 III Battaglione (41 ° rgt. f.), 218, 544 III Battaglione (42° rgt. f.), 251 III Battaglione (43° rgt. f.), 482 III Battaglione (44° rgt. f.), 606 III Battaglione (57° rgt. f.), 464 III Battaglione (58° rgt. f.), 682 III Battaglione (59° rgt. f.), 607 III Battaglione (60° rgt. f.), 605 III Battaglione (66° rgt. f.), 765 III Battaglione (69° rgt. f.), 691, 742 III Battaglione (74° rgt. f.), 450, 471 III Battaglione (79° rgt. f.), 609 III Battaglione (95° rgt. f.), 610 III Battagli<:me (96° rgt. f.), 489 III Battaglione (99° rgt. f.), 238 III Battaglione (122° rgt. f.), 476 III Battaglione (124 ° rgt. f.), 766 III Battaglione (137° rgt. f.), 1047 III Battaglione (139° rgt. f.), 443, 463 III Battaglione (216° rgt. f.), 666 III Battaglione (234° rgt. f.), 454 III Battaglione (235° rgt. f.), 769 III Battaglione (239° rgt. f.), 466 III Battaglione (244 ° rgt. f.), 647 III Battaglione (252° rgt. f.), 217, 218, 447 III Battaglione (259° rgt. f.), 239 III Battaglione (268° rgt. f.), 628 III Battaglione (280° rgt. f .), 536 III Battaglione (281 ° rgt. f.), 476, 536 III Gruppo Squadroni «Piemonte Reale» Cavalleria, 677 III Battaglione Bersaglieri Ciclisti, 157, 480, 664, 731, 946, 1024 III Gruppo Batterie a Cavallo, 799 III Battaglione Genio Pontieri, 166

IV Corpo d'Armata, 1077 IV Brigata Cavalleria, 799,803,806,807, 811, 825, 837, 839, 859 IV Brigata Bersaglieri, 230, 766, 773 IV Raggruppamento Alpini, 209, 213, 223, 777, 783 IV Bataglione Bersaglieri Ciclisti, 157 IV Gruppo Batterie a Cavallo, 799 IV Battaglione Genio Pontieri, 166

V Corpo d'Armata, 136, 140, 161, 222, 234, 241,247,254,255,391,525,526,758,759, 761,769,771,776, 1002, 1020, 1025, 1076, 1077

Indice Unità e Reparti V Brigata Cavalleria, 799, 809 V Brigata Bersaglieri, 619 V Raggruppamento Alpini, 322,394,510,670, 714, 715, 716, 776, 1021, 1022, 1026, 1027 V Battaglione Bersaglieri Ciclisti, 157 V Reparto d'Assalto, 159, 946 V Battaglione Genio Pontieri, 166

VI Corpo d'Armata, 137, 140,209, 215, 216, 217,218,250,251,252,253,258,339,341, 342,344,392,438,440,442,443,445,446, 447,462,465,472,483,541,542,548,549, 550,570,571,609,649,652,683,686,687, 688,709,721,722,723,724,729,733,734, 1005, 1010, 1011 , 1028, 1032, 1078 VI Brigata Cavalleria, 799 VI Brigata Bersaglieri, 157,534,536,537,565, 567,600,601, 602,637,638,639,675,814, 829, 830, 842, 843 VI Battaglione Bersaglieri Ciclisti, 157 VI Reparto d'Assalto, 159,217,251,252 VI Battaglione Genio Pontieri, 166

VII Corpo d'Armata, 845 VII Brigata Cavalleria, 799,803,805,806,810, 836, 837, 859 VII Brigata Bersaglieri, 157, 534, 537, 565, , 637,638,639,675,814, 815,829,830,842, 843 VII Raggruppamento Alpini, 777, 784 VII Battaglione Bersaglieri Ciclisti, 157, 799, 806, 810, 839 VII Battaglione Guardia di Finanza, 636, 637, 639

VIII Corpo d'Armata, 91, 138, 141, 324, 354, 360,364,365,367,368,369,372,373,385, 393,422,423,425,431,513,516,521,525, 528,530,533,538,558,559,561,562,563, 567,575,578,590,592,620,621,624,625, 632,664,667,668,669,714,717,719,725, 726,730,735,803,942,943,944,946,947, 954, 970, 1002, 1026, 1027, 1028, 1076, 1077, 1091 • VIII Brigata Cavalleria, 799, 803, 806, 810, 824, 836, 837, 859 VIII Brigata Bersaglieri, 1078 VIII Raggruppamento Alpini, 158, 448, 468, 470, 489, 546, 941 VIII Battaglione Bersaglieri Ciclisti, 799, 805, 806, 809, 824, 836, S37, 858

1247 VIII Reparto d'Assalto, 159, 517 VIII Battaglione Genio, 946 VIII Battaglione Guardia di Finanza, 632, 636

IX Corpo d'Armata, 137,140,209,215,216, 222,239,240,250,258,339,341,342,347, 348,392,438,440,441,443,444,445,446, 453,454,455,462,464,472,479,480,482, 483,489,491,541,549,550,570,571,604, 608,609,611,613,652,654,682,683,687, 688,709,711,721,722,723,728,733,734, 742, 758, 1010, 1011, 1076, 1078 IX Raggruppamento Alpini, 158, 448 IX Battaglione Bersaglieri Ciclisti, 157 IX Reparto d'Assalto, 463,464, (>05, 607,637, 709 IX Battaglione Mitraglieri, 517

X Corpo d'Armata, 136, 140, 241, 247, 254, 255,386,391,432,758,759,761,764,765, 766, 772, 773, 776, 926, 951, 952, 1019, 1020, 1022, 1025, 1076, 1077 X Battaglione Bersaglieri Ciclisti, 157, 865 X Reparto d'Assalto, 159

XI Corpo d'Armata, 138, 141, 142, 289, 324, 325,354,371,372,373,377,422,459,474, 492,532,533,534,537, 540,565,567,568, 600,601,602,603,627,629,630,631,632, 635,641,642,643,671,672,688,703,730, 796,797,812,827,840,841,852,948, 1003, 1005, 1028, 1030, 1031, 1032, 1035, 1076, 1077 XI Battaglione Bersaglieri Ciclisti, 622, 727, 731, 735, 946 XI Battaglione d'Assalto, 157, 373 XI Reparto d'Assalto, 458,476,534,565,567, 600, 629, 639, 671, 678, 812, 827 XI Reparto d'Assalto, 458,476,534,565,567, 600, 629, 639, 671, 678, 812, 827. XII Corpo d'Armata, 138, 140, 141, 142, 148, 248,289,321,347,391,432,454,491,613, 653,654,690,739,741,742,744,745,746, 748,749,750,751,753,755,757,758,764, 765, 950, 1010, 1076, 1077 XII Battaglione Bersaglieri Ciclisti, 157, 730 XII Reparto d'Assalto, 159, 236, 518 XIII Corpo d'Armata, 137, 140, 142,234,235, 236,237,243,248,254,256,257,258,290,


1248 315,321,347, 348,392,432,455,613,653, 654,690,739,741,742,745 , 746,748,750, 751, 754, 755, 950, 1075. XIII Reparto d'Assalto, 159, 236, 237 XIII Gruppo artiglieria da Montagna, 466 XIII Battaglione Genio, 644

XIV Corpo d'Armata, 136, 140,142,241,245,

387,394,538,539,600,672,774,864, 1003, 1035, 1041, 1042, 1076 XIV Gruppo Artiglieria da Montagna, 787 XIV Reparto d'Assalto, 159

XV Corpo d'Armata, 452

XVI Corpo d'Armata, 1078

XVII Battaglione Bersaglieri, 842, 843

XVIII Corpo d'Armata, 137, 140, 141, 142, 148,209,215,218,219,251,252,253, 321, 339,368,393,422,423,425,427,528,529, 530,533,538,539,559,560,561,562,563 , 564,567,568, 575,590,591,592, 593,594, 596,597,599,602,622,623,625,626,630, 647,666,667,668,669,670,671,672,673, 694,701,703,795 , 796,797,826,835,839, 851, 943, 944, 946, 947, 970, 987, 1003, 1005, 1030, 1031, 1032, 1035, 1076, 1077 XVIII Battaglione Bersaglieri, 828 XVIII Reparto d'Assalto, 465,466,483, 543, 683, 686, 728

XIX Battaglione Genio, 449

Indice Unità e Reparti XXI Battaglione Bersaglieri, 247

XXII Corpo d'Armata, 138, 141, 204, 209, 324,354,356,360,361,364,367,368,393, 422,423,425,427,431,513,514, 515,518, 519,521,524,528,529,530,556,557,562, 563,579,580,587,588,589,590,597,619, 622,625,662,664,669, 714, 716 717, 725, 726,730,735,894,896,942,943,944,945, 964, 1002, 1025, 1027, 1028, 1076, 1077 XXII Reparto d'Assalto, 159, 517, 662 XXII Battaglione Bersaglieri, 624

XXIII Corpo d'Armata, 99, 138, 141, 142, 148, 172, 387, 394, 865, 1031 , 1032, 1035, 1046, 1076, 1077 XXIII Gruppo Artiglieria da Montagna, 946 XXIII Reparto d'Assalto, 446, 605, 607

XXIV Corpo d'Armata, 627, 670 XXIV Gruppo Artiglieria da Montagna, 622

XXV Corpo d'Armata, 136, 139, 140, 141, 229,386,391,761,767,776,777,778,780, 781, 782, 784, 785, 787, 789, 1024, 1075 XXV Battaglione Bersaglieri, 828 XXV Reparto d'Assalto, 159,718,731,946

Indice Unità e Reparti 376,377,394,529,538,627,632,634,636, 639,641,642,643,645,648,675,676,677, 678,680,681,703,798,813,814,815,826, 828 , 829,830,832,842,843,847,853,854, 1003, 1035, 1076, 1077 XXVIII Reparto d'Assalto, 632, 829

XXIX Corpo d'Armata, 136, 140, 161, 171, 222,230,241 , 246,386,391,758,761,764, 766,767,770, 771,772,775,776,785,898, 1019, 1020, 1075 XXIX Reparto d'Assalto , 230,246, 758, 761, 766, 767, 770, 771, 951

XX Corpo d'Armata, 137, 140,161,214,222, 234,238,243,248,249, 258,290,315,317, 340,347,348,392,432,440,454,455,491, 570,613,654,688,690,691,701,722, 739, 741,742,745,746,747,750,754,755,774, 791, 950, 1075 XX Battaglione Bersaglieri, 828 XX Reparto d'Assalto, 159 XX Battaglione Guardia di Finanza, 632, 636

XXVII Corpo d'Armata, 137,141,313,317, 318,319,349,350,354,356,361,364,365, 369,381 , 393,395,423,424,427,431,512, 513,514,517,518,529,555,556,582,586, 587,588,589,597,618,620,625,662,669, 670,693,714,715,716,725,729,730,734, 942,943,944,945, 1010, 1026, 1027, 1028, 1076, 1077 XXVII Reparto d'Assalto, 586, 587, 715, 734 XXVII Battaglione d'Assalto, 361

XXI Corpo d'Armata, 774

XXVIII Corpo d'Armata, 138,141,204, 375,

XXXIX Corpo d'Armata, 775, 782 XLIII Gruppo Artiglieria da Montagna, 726

XL VIII Gruppo Artiglieria, 162 LII Battaglione d'Assalto, 347 LV Reparto d'Assalto, 159, 233, 255, 446, 606, 607 LXII Gruppo Artiglieria da Montagna, 467

XXX Corpo d'Armata, 139, 140, 142, 215, 219,222,240,252,254,3 19,341,J42,344, 392,440,445 , 447,448,452,456,457,468, 472, 474, 483,484,489,491,511,541,544, 547,548,549,550,552,570,571,610, 611, 649,652,660,661,686,687,688,689,690, 711, 712, 722, 723, 733, 947, 1010, 1028, 1075 XXX Reparto d'Assalto, 159

XXXI Reparto d'Assalto, 158, 233,234,255, 256, 773

XXXVIII Battaglione (8° rgt. bers.), 815 XXVI Corpo d'Armata, 128, 139, 141, 376, 377,394,396,632,635,643,644,647,675, 678,680,681 , 703,733,797,798,815,816, 830, 831, 832, 844, 845, 847, 854, 1003, 1035, 1038, 1076, 1077 XXVI Reparto d'Assalto, 632,644,645,646, 647, 679, 680, 816, 844, 845

1249

LXIII Battaglione Genio, -946

LXVIII Battaglione d'Assalto, 484, 644 LXIX Battaglione Bersaglieri, 788 LXX Battaglione d'Assalto, 347 LXX Reparto d'Assalto, 159, 239, 249, 257, 690, 745, 746, 750

LXXII Reparto d'Assalto, 159, 518, 520, 522, 558, 620, 716, 717 .


INDICE GENERALE

Britannici XIV Corpo d'Armata, 136, 140, 14~, 234, 235,

237,247,289,321,354,371372, 373,374, 394,422,458,474,531,533,564,568,599, 603,627,628,630,671,672,703,796,797, 827, 852, 853, 885, 948, 1003, 1005, 1011, 1031, 1042, 1078; 1097 7• Divisione, B7, 289,346,373,394,458,474, 476,532,533,536,539,565,567,601,628, 671, 796, 812, 852, 1031, 1078 23• Divisione, 136, 289, 346, 373, 394, 532, 533,559,564,628,671,796,812,852,963, 1031, 1078 48• Divisione, 136, 173, 257,289,290, 347, 392,432,455,739,741,744,746,749,750, 753, 757, 827, 950, 1003, 1078 20• Brigata, 532, 628 22 • Brigata, 458, 532 68 • Brigata, 532 69· Brigata, 532 70• Brigata, 533, 671 91 • Brigata, 532 144• Brigata, 744 145• Brigata, 744 11 ° Battaglione West Yorkshire, 600 14° Battaglione Ciclisti, 628 12 • Batteria Mitraglieri Motorizzati, 628

Cecoslovacchi 2• Armata Territoriale, 172 Corpo d'Armata Cecoslovacco, 1024 Divisione Cecoslovacca, 885 Divisione Speciale Cecoslovacca (poi 6• Divisione), 126,136, 142, 159, 171,172,246, 321, 387, 394, 416, 1011, 1084 2• Divisione, 159 7• Divisione, 172 31 ° Reggimento fanteria, 171 32° Reggimento fanteria, 171

33° 34° 35° 39°

Reggimento Reggimento Reggimento Reggimento

fanteria, 171, 246 fanteria, 171 fanteria, 171 Esploratori, 171, 172

pag.

5

pag.

9

L'Austria - Ungheria ed il suo Esercito nel- , l'estate del 1918 ........ .......... ... ......... .... . pag.

40

La situazione politica ed economica ~taliana nell'estate del 1918: i suoi riflessi sulla conduzione strategica della guerra . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ..

pag.

62

Le decisioni e le attività del C~mando Supremo italiano nell'estate del 1918 ........ .... ...

pag.

76

Cap. V

L'Esercito Italiano nell'estate del 1918 .... ...

pag.

126

Cap. VI

L'attività operativa dal 7 luglio al 23 ottobre 1918 .. . . ... . . ... ..... ... . ... . ..... .... ..... .... ...... .

pag.

201

PRESENT AZIONE ...... ............................. ......... .

INDICE DELLE UNITÀ E DEI REPARTI ALLEATI CITATI NEL TESTO

r

PARTE I

Gli avvenimenti dell'estate 1918

Cap. I

La situazione generale del conflitto nell'estate del 1918 con particolare riferimento a quella dell'Intesa ·.... ........ ... .. .. .... ... ......... ..... .. . .

Cap. II

Francesi XI Corpo d'Armata, 234 XII Corpo d'Armata, 137,140,222,235,248,

Cap. III

297, 1011, 1078 9• Divisione, 289 23• Divisione, 137, 142, 289, 321, 350, 369, 389,511,512,514,555,582,583,617,659, 660, 712, 713, 724, 947, 964, 1078 24• Divisione, 137, 173, 257, 258, 290, 347, 348,392,432,739,741,745,950, 1002, 1078 50° Reggimento fanteria, 742 78° Reggimento fanteria, 617, 713 108° Reggimento fanteria, 235, 745 126° Reggimento fanteria, 455 138° Reggimento fanteria, 554, 583, 617 LII Reparto d'Assalto, 742 LXX Reparto d'Assalto, 742 11 • Divisione (Armata d'Oriente), 1057

Cap. IV

Polacchi

PARTE II

La battaglia di Vittorio Veneto

Cap. VII

Come si arrivò alla battaglia di Vittorio Veneto

pag.

267

Cap. VIII

La concezione della battaglia: piani, ordini e predisposizioni del Comando Supremo .....

pag.

296

L'organizzazione della battaglia: gli ordini e le predisposizioni delle Armate e delle 'Unità dipendenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

pag.

332

Cap. X

Le forze contrapposte . . . . . . . . . . . . . .. . . . . . . . . . . . . . .

pag.

391

Cap. XI

La battaglia di Vittorio Veneto : una sintesi degli avvenimenti ... . .... ....... .. . ... . ..... ... ......

pag.

418

La prima fase della battaglia: l'offensiva sul Grappa e l'occupazione delle Grave di Papadopoli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

pag.

437

Legione Polacca,-173, 1011

Cap. IX

Rumeni Legione Rumena, 173, 1011 Reggimento «Horea», 173 Reggimento «Closca», 173 3° Reggimento «Crisan», 173 Compagnia Volontari, 1084

Statunitensi 332° Reggimento fanteria, 106, 141, 142, 322, 323,387,394,529,628,812,840,852, 1053, 1054, 1078

Cap. XII

r.

I


1252

Indice Generale

Cap. XIII

Cap. XIV Cap . XV

La seconda fase della battaglia: il forzamento del Piave ed i contrattacchi avversari sul Grappa .. ...... ... .... .... .. ... ... .. ..... : .......... .

pag.

507

La terza fase della battaglia: la rottura del fronte ed il completamento del successo ........ .

pag.

581

La quarta fase della battaglia: l'inseguimento e l'estensione delle operazioni a tutto il fronte

pag.

695

Cap. XVI

I Servizi nella battaglia di Vittorio Veneto ..

pag.

868

Cap. XVII

Aviazione e Marina nella battaglia di Vittorio Veneto .. ...... ....... ........ .. .. -. .................. .

pag.

890

Cap. XVIII L'Armistizio di Vella Giusti e la conclusione del conflitto con I' Austira-Ungheria . . . . . . . . . . . . . .

pag.

901

Situazione a conclusione della battaglia: risultati e perdite; contributo delle diverse Armate

pag.

936

Alcune considerazioni sulla battaglia di Vittorio Veneto . ..... .... ..... ..... . .... ............. ... .

pag.

959

La situazione generale alla fine del 1918 e le maggiori attività operative tra la fine delle ostilità sul nostro fronte e l'apertura della Conferenza della Pace a Versailles ...........

pag.

997

Cap. XXII L'avvio alla smobilitazione ed altre notizie relative al personale .. . . .... .... .. . ... ... .. ... ......

pag.

1069

Cap. XXIII Le attività logistiche e gli interventi a favore delle aree e delle popolazioni liberate ...... .....

pag.

1090

Cap. XXIV A conclusione della Relazione alcune considerazioni e qualche ammaestramento ... . ... ...

pag.

1108

Principali Abbreviazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

pag.

1173

pag. pag. pag. pag.

1177 1201 1204 1209

Cap. XIX Cap. XX

Indice delle Unità nel testo contraddistinti - contraddistinti - contraddistinti

PARTE III Dall'armistizio di Villa Giusti ali' apertura della conferenza della pace

Cap. XXI

INDICI

Indice Indice Indice Indice

analitico .... .... .. ...... .... ...... ........... .. ... .. ... . degli schizzi e delle tabelle nel testo ........... . déi nomi di persona citati nel testo ........... . dei nomi di località citati nel testo ............ .

1253

Indice Generale

1~,

I

e dei Reparti italiani citati con nominativo ....... ... ............ . con numero arabo .................. . con numero romano ............... .

pag. pag. pag.

1234 1237 1245

Indice delle Unità e dei Reparti alleati citati nel testo ..................... ...... .. .. .. .... ................... .

pag.

1250


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