QUATTRO SOLDI DI PELLE

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QUATTRO SOLDI DI PELLE

edizioni VITO BIANCO

LUIGI ROMERSA

PROPRJEfA' LETTERARIA RISERVATA

Ogni esemplare di quest'opera che 11011 rechi il timbro a secco della Società lralùma degli . Autori ed Editori deve ritenersi contraffatto ' © COPYRIGHT 1974 BY edizioni VITO BIANCO PRINTED IN lTALY

AL LETTORE

Queste , sono di uomtm coraggiosi. Sto rie vere anche se il loro con t enu to rasenta la favola e tal-oolta , sen tendol e raccontare, si sten t a a cred ere che i protagonisti sia no uomini come noi. E' l'impressione, d'altronde, ·che ho riportato io stesso e loro, i protagonisti, mentre discorret;ano co11 me, det;ono essersi accorti del mio stupore. Li guardavo P li ascoltm;o come si gua rdan o e si ascoltano uomini che spesso sono àrriv ati ai confin.i della t:i t a e per un miracolo , io dico che fu cer t o, sol ta nto, un miracolo. sono tornati indietro una, due uol t e per ricominciare daccapo. Undici medaglie d'oro al valor militare raccontano le loro. incredihili avuenture di guerra. Undici , fra cen t onovanta, tanti sono i viui che si fr egiano della più alta ri Ct)mpensa al valore. Ho sce lt o di p roposito i viven ti , per due ragi oni: perché dal col!o qu-io diretto. la storia deriva più immediata e drammatica; secondo, perché ho ritenuto utile e per chi leg gP-, mostrar e oggi i t:isi di coloro che

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ve nti, trenta o cinquant'anni fa, più che persone fisiche, erano simboli . N orni e basta.

«Perché undici soltanto e non tutti?» mi S'i potrà doman dare . La rispo s ta è semplice. Undici e non tutft' per ragione di spazio .

La scelta degli episodi, fra M edaglie d'Oro della grande gue rra e delle guerr e success i ve, non significa g raduatoria nel valore. Ci tengo a precisarlo prima ancora che qualcuno possa attribuirmi tal e intenzione .

N ell a grande pagin a della guerrai nomi d e i decorati, viven ti o deceduti, sO 'TIO scritti tutti con i medesimi caratteri e dalla st essa mano. si tratti del n occhiero Dom e11.i co M ili elire , prima Medaglia d'Oro d ella storia italiana, oppur e dell'ultimo fa -nt e, alpino, carrista , marinaio o aviatore, d ecora to nelle batta gli e anco ra recenti di Libia, Etiopia , Russia o M ediienan eo .

Per la ragione c he ho detto , nominandone undici , con l' aggiun ta di un dodicesimo tutt o particolare, ho la certezza d i averl i ricordati n ell'insieme; tutti i 2235 decorati dal 1833 a oggi .

Come sono questi« uomini co raggiosi»? Sono uorrìini che, come tutti, hanno amato la oita , con la differ enza, però, che nei momenti in cui si rompono le maglie del cu ore e pare che d entro , tutto v ada in frantumi e viene la paura, mal edetta, bestiale paura della morte che pre11d e prima alla , t es ta , poi alle braccia e infine all e gam be, a loro , ai nostri « Uomini cor aggiosi». la morte, comunque si. si a prese nt at a, non ha m ai fatto paura ...

L. R.

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L'UOMO CHE MORI' DUE VOLTE

«E questo'?» - domandò un ufficiale medico guardando l'uomo che i portaferiti av e vano appena disteso in terra; l'ultimo di quella tragica mattinata. « Morto! » .

Un altro medico napoletano gli diede un ' occhiata e spalancando le braccia disse: «Maria Santissima! Chistu piccirillo, vedete come l'hanno cunciatol Mettetelo 'n coppa ' a cammera mortuarial... ».

Uno domandò: «Da cosa è stato colpito'? ... ». «Non so - disse un portaferiti - Forse da tutto .. . ». ·

Voleva intendere dalle cannonate che di continuo ruzzolavano dal monte, fino a valle .

« Sbottonategli la giubba - disse il medico - e guardate se in tasca ha qualche carta!».

L a· giubba, era tutta inzuppata di sangue . La barella era scura del sangue del «morto». di altri morti e d'altri ferit i. Vicino, un ferito diceva: «Mamma mia» e

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Capi_tolo
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pregava. Un altro, con le gambe coperte d a un telo. gemeva: «Gesù, fammi morire ... ». Tentb di dire ·ancora qualcosa, ma non gli riuscì. Chiuse Ja bocca p er sempre . Gesù, l'aveva ace. 111 tentato.

Lui, il «morto». se ntiv a tutto, ma non poteY n muovers i , né par>lare . Era di pietra. Sentiva anche il cannone ch e sp arava lont ano . Le mosche gli davano fastìdio. Non resis teva alle mosche che gli si posavano sulla bocca squarciata. Avre bbe voluto dire, a uno dei por taferiti che gli stavano accanto con in mano uno scacciamosche, di fargli vento sulla bocca. Pro vò, ma gli semhrò di non avere più la lingua. Il dotto re gli si piegò sopra. L 'uomo ne sentì l'alito . P e sante, sapeva di vino.

Siccome il «morto» aveva gli occhi spalancati. il ten e nte medico fece l'atto di chiuderglieli. Provò due volte. Non riuscì e lasciò stare.

Disse a1 portaferiti: « C arli, piegagli il braccio prima che diventi r igido .. . ». Carli tentò di piegare il bra ccio. . « Signor tenente - disse- è già rigido. sognerebbe romp erlo ... ». « Làscia stare. - disse il dot tore - Quando lo metteranno nella cassa, s'anangeranno ... ». Il «morto» avrebbe vol uto dire: «Portatemi in una stanza , non mettetemi nell a cassa ... ». Nessuno s'occupò p iù di lui. Il « mcrto », già desti na to alla sepoltura, era un dragone del «Genova Cavalleria>>. Si chiamava Elia Rossi Passavanti. Nativo di Temi, a diciassette anni e mezzo, appena scoppiata la guerra, era par tito volontario. In cavalleria , per-

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ché suo nomlO e suo padre erano stati cavalieri; uno, per l'appunto, dragone; l'altro, ussaro.

Al fronte, Elia Rossi Passavanti lo conoscevano dappertutto . Dicevano che era un ragazzo fatto per la guerra, coraggioso e modesto; dicevano, anche, che la modestia era il suo peccato.

Per quello che dirò adesso e per il resto che racconterò più avanti, è facile capire come il dragone di Terni facesse la guerra; come un gioco rischioso.

Elia Rossi Passavanti, <<morì» una prima volta sul Debeli, nel settore di quota 144, dove erano in linea dragoni e bersaglieri dell'Undicesimo Reggimento.

Era una zona che pareva un cimitero abbandonato, calva e sassosa. Niente faceva da riparo. Quando l'artiglieria nemica sparava, tremava tutta la montagna . Ogni colpo faceva bersaglio. Elia era soldato ma ciò non astante gli avevano affidato il comando di una ventina di dragoni.

Gli austriaci davano fastidio. Sparavano come in preda a una crisi isterica. Con tutto; cannoni, mi tragliatrici, fucili .

«Un giorno - mi raccontò Elia Rossi Passavanti - decisi di portare i miei uomini davanti a.J.la linea, sul rovescio della quota. Un passo di duecento ·metri in territorio nemico. Che intenzione avevo? ... ».

Scoppiò a ridere e si passò la mano sul viso ricuci to di ferite.

« Semplice. Snidare il nemico in casa sua. Davanti a noi c'erano alcune buche scavate dalle granate. Po t evano servirmi di nascondiglio per agire di sorpresa. Ero stato ferito in mia

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precedente azione di pattuglia. Una pallottola di fucile mi aveva forato l'elmetto e bucato la testa. Sotto l'elmo , perciò, avevo un tampone d 'ova tta. Volevano che andassi all'ospedale. ., Fossi matto ... " dissi e mi feci sol tanto m edicare. n medico m'aveva alla giubba il cartellino che era il viatico per la retrovia , ma io lo strappai e tornai in lin ea . Sapevo che c'è un Dio per i buoni soldati. e feci a meno dell'ospedale. Il 16 settembre 1916. verso le quattro e mezzo del pomeriggio, diedi ordine ai dragoni di uscire dalle buche. Era già un po' scuro, per via di certe nuvol e randagie che ci sfioravano quasi la testa. Il conto che avevamo fatto, . di sorprendere cioè gli austriaci , non tornò. Ce li trovammo faccia a faccia, infatti , con le stesse intenzioni. Mi capitò davanti un "cadetto". che, mi dissero poi , era arrivato in linea proprio quel giorno. Un po' spaesato, perciò, e indeciso, Aveva in man o un fucile senza baionetta . Vidi subito che gli tremavano le mani. Dissi a me stesso: " Qui sono fregato. Non c'è niente di peggio di chi non sa sparare ... " . Ci guardammo negli occhi. Me li ricordo ancora, gli occhi del " cadetto " austriaco. Bianchi, sbarrati. Cotti di paura. Anche io avevo in pugno il moschetto, ma senza più cart u cce. Come arma valida, avevo soltanto un pugnale, ricavato da una baion etta trovata sul campo. Siccome in guerra i meno svelti vanno sempre al Creatore, decisi di attaccare col pugna'le. Lui , però, mi precedette e sparò . Mi colpì d entro la bocca con un proiettile esplosivo. Prima senti i un gran dolore poi, un gran caldo.

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s\ltai add osso al " cad et to " e mentre stavo per cqlpirlo col pugnale, mi uscì dalla gola un fiotto di! sangue che l ' investì nel vis o. Che n e so io co,·a pensò? F orse che s putavo fuoco. Comunbuttò il fucil e , cadde in ginocch io e grid ò in italiano: " Dio m io, mam ma mi a ... ''. Rim asi con la lam a in a.ria . L a mia giubba, s ul davanti, era una spugna di ·sangue che, a con tatt o dell a stoffa, div en ta va nero come inchiostro. F ec i prigioniero il " cad e tto '' e me lo portai nell a trincea . Appena al riparo, s'accoccolò in terra e continuò a gu a rdarmi senza dir e una parol a . P er fortuna, d ue giorni prima, durante un ' azione, av evo racc ol to in te rra ·un p acc hett o di medicazion e che mi ten evo in tasca di ris e rva. Fu la mia salvezza . Mi tamponai la ferit a e con un pezzo di cam ici a mi fe ci una b enda p er t enermi su l a mascella che pendeva co me uno straccio ... ».

I s tintiv a ment e gli g uard a i la bocca. D a l mento, fin quasi all'o recc hi o, gli risaliva uno s trappo profondo , cucito largo . L a ferHa g li teneva le labbra tese, la voce gli usciva sibilan t e.

« E dop o?» - - domand a i.

« Dopo cosa?» - disse P ass av a nti.

F ece un a pausa.

« Dopo - riprese - r imasi neH a trinc ea, naturalmente. Ci p assai la nott e» .

«Fece H conto dell e prob abilità di morir e, in qu ello stato?».

<< Non fe ci il con to di nessuna probabilità ».

P er effetto d e lla lu ce, nella stanza, le ferite ·c he P assavanti aveva sul viso erano come rugh e taglienti.

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«All'alba del giorno dopo - disse- ven./e in ispezione il tenente. Si chia m ava T icch ioni. Adesso è generale anche lui. 1i diSSe: ., T orna indietro Elia e vai dal dottore 1.. ". Non potevo parlare . La lingua era staccata e la tr a tt enevo in bocca con i denti. Pri ma di andare al posto di medicazione, anda i al comando. Il colonnello Belle tti era in linea. - in 1111 altro settore. Scrissi le novità su un foglio e lt:: diedi all'aiutante maggiore. Lu ngo il sentiero , dal comando all'ospedaletto, stramazzai in terr.t. Non avevo più forza. Avevo perdu to molto sangue e per via della feril a non avevo né manné bevuto. I ntanto s' era a piovere. Le autoambulanze erano a valle, in fondo al Yi o ttolo. Mi rac colse un portaferi ti. La fortuna vo ll e che fosse di T erni. Mi conosceva . Il povere tto filò all'ospedale di San Giorgio di Nog<lro, ma era convinto di portare un morto. Forse, ero mor to d avvero . Non sentivo più nu ll a, · né il caldo, né il freddo, né le voci che c'erano a 1lorno . Lungo il tr agitto, a causa degli scossoni della macc hina , ripresi conoscenza ma mi accors i sub i to che no n potevo fare un gesto. Ero duro come un sasso . P arlare, niente; vedere. nea nche. Però, sentivo tutto. E ppu r e, avevo gli occhi aperti. M a erano occhi d i morto, sen z a luce... » . Disteso insie m e con a ltri, Eli a Rossi P ass avan ti aspettava che lo portassero nella camer a mort uaria ch e era un buco pitturato a calce, pu zz olente di acido feni co. Era g hiacci o dalla tes ta ai piedi. Soltanto il cervell o g li fun zionava

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1ormalmente. Si ricordò che una volta ave\·a \entito parlare di catalessi e lui, per l'appunto, qoveva essere in quello stato. Non aveva paura d'ella morte , aveva terror e che lo seppellisse ro v ivo. In guerra, del resto, s i va per le spicce. Tastano il polso e, come niente, si finisce con addosso un metro di terra e, accanto, una bottiglia con dentro un biglietto che fa da certificato di mort e . Tal dei tali , figlio di, morto a, giorno questo, mese quest' altr o. Lo spogliarono per seppellirlo. Lo trasportarono n el cortile. Il sole era forte. Uno lo prese per le ascelle , un altro per le gambe. La camera mortuaria era piena. Siccome uno dei portaferiti era di Terni, come -lui, gli trovarono un posto. Gentilezze fra compaesani. Le mosche non gli davano pace . Ingrassavano nel puzzo e ne.J sangue dei morti. Vicino, aveva un tizio con un occ hio sfracellato e sul naso , muco raggrumato misto a sangu e . Con l'occhio che sembrava incolume guardava in terra. Il corpo, imbottito di piombo, si di sfaceva com e pane inzuppato. La testa di Elia macinò un pensiero. «Madre mia, possibile che ·tu mi abbia messo a l mondo per far mi sotterrare vivo? Eppur e ho fatto tutto ciò che tu mi hai lasciato scritto. Amare la Patria e le cose del mondo ... ». «Avanti la prolunga» - gridò una voce. La prolunga era il carro fun e bre. Era pie•• na di oasse. L e scarkarono davanti alla camera mortuaria. Casse rozze, con dentro una spolverata di calce . I portatori com inciarono a sollevare i cadaveri e li misero n elle bare spalancate.

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Passavanti sentì una voce sommessa. il pre / te bisbigliava Ie preghiere dei defunti. Og1 t tanto li spruzzava con l'acqua benedetta. I pmtatori misuravano a occhio le casse e i morii . Dicevano: « Ouesto è più lungo , quella b ifra va bene .. . ». E poi: «Quest'altro è corto. ci vuole una bara più piccola . .. ». Quando arrivarono a lui, uno dei portatori disse: «Accidenti, il braccio non vuole entrare. Che ne facciamo Gli questo br accio'?». Inta nto era venuto quasi buio. Il pensiero di Passavanti tornò alla madre, morta senza che lui l'a vesse conosciuta . Sentì un calore strano scendergli lungo la spalla, per tutto il braccio. Il soldato che faceva da chierico aveva acceso la torcia . In quel momento, era più difficil e vivere che morire. Elia tentò di allungare il braccio, ci riuscì. Annaspò nel vuoto, toccò la caviglia del prete, la strinse forte. Il pre te lanciò un mlo e scappò. Non avrebbe urlato tanto se avesse visto il demonio. Corse alla mensa seguito dal soldato che teneva in mano l'aspersorio e il secchio dell'acqua santa. ..

«C'è un morto che si muove - gridò il cappellano lasciandosi cadere sopra una sediaM'ha afferrato una gamba. E' il diavolo .. . ».

Il povero don Stefano era bianco come un cencio . Balb ettava e si faceva il segno della croce.

«E' vero - disse il chierico - Ho visto anch'io. Nella buca c'è uno che ancora non è morto!... ».

S'alzarono tutti e andarono nel cortile. Ognuno teneva in mano una torcia.

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...

« Qual è?» - domand ò il colonnello medico.

«Questo - disse il pre t e - No, quest 'altro ... Non ricordo ... ».

Elia , che e r a tornato rigido , sentiva i passi dei medici fra le bare. Tastarono il polso di uno. « Questo è ghiaccio, niente ».

Si chinarono su un altro. « Que·sto è giù marcio. Via ... ». Guardarono anche lui ma non s'accorse ro che era vivo.

«E' questo -grid ò il prete- Sono sicuro. portatelo all 'ospedale ... ».

Era uno in una cassa alla sua destra. Stecc hito, ch e pareva marmo. Int e rv enne il so ldato chierico. « E' questo qui, in vece ... ».

Era lui. Lo guardarono. Aveva la testa gonfia , la bocca squarciata e tum efa tt a. Non aveva l'aspetto del vivo.

Il soldato insistette. Il colonnello s'ingino cchiò e gli mi se l' orecchio sul c uor e . «Batte - disse -· In camera operatoria. Lo lavoro subito ... ».

Gli lavorarono addosso per una notte e un giorno. Fra grandi e piccole, lo liberarono di 492 schegge. Pren dendo la carne un po ' qui e un po ' là, lo r abberc iarono alla meglio e, p e r ch é riprendesse sembianze uman e, g li applicarono una mascella di stagno. In un secondo temp o, gli ricucirono l a lingua che e r a s taccata all'altezza del pal a to . Con l'aiuto di un morso d 'a rgento, il «dragone» ripr ese a balbettare poi , pjan piano , ri acq uistò la pa ro la e si trov ò in

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piedi. Dopo tre mesi d'ospedale, conciato in quella maniera, Elia . av:eva- diritto non a una ma a due licenze . Naturalmente rinunciò non appena seppe che il suo R eggimento era ancora in linea sul Ca rso . Per l'azione, gli avevano dato una medaglia d'argento e l'avevano promosso caporale per merito di guerra. La medaglia, gliela aveva portat a all ' ospedale il Duca d'Aosta e mentre gliela attaccava sulla giubba gli disse: « Voglio darti, tu che, sei il più bel sold a to dell'Arma ta, quanto ho di più caro presso di me>>. Gli diede i gemelli e un orologio d'oro, dono di suo padre.

Elia Rossi Passavanti tornò al reparto com e un redivivo. La sua storia aveva fatto il giro del fronte. Per quanto l' avessero ricucito bene, la mascella era rigida e dura come un ferro arrugginito . .tvfangi ava galletta pestata , intrisa nell'acqua; ciò nonostante face\ ·a la vita degli altri soldati. Usciva in pattuglia, marciva nella trincea e faceva di tutto per non dispiacere al suo ufficiale il quale, al tennine di ogni azione, e ra sempre imbronciato perché, secondo lui, i morti erano troppo pochi.

La, guerra era di posizione. Giorno e notte il cielo era rigato di granate. I bagliori delle granate somigliavano a lampi di caldo.

I «dragoni» di Passavan ti andarono a riposo ad Aviano.

«Un giorno mi raccontò Elia - mentre · stavamo abbeverando i cavalli sulla piazza, p assa-rono i fanti del " 142" che andavano in linea . Ne nacque un battibecco a distanza . " I mboscati!" gridavano i fanti. " Che imboscati'?"

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ribattevamo noi. "Veniamo di là! Andate voi Id . , a sca arv1... .

Un giovane sottotenente s'accos tò alla fontana. Disse : " Se siete i dragoni tanto famosi, verrete a Trieste con noi, non è vero?"

Risposi: "Signor Tenente, stia tranquillo. Sa·rà fatto ... ".

L a mia testa diventò un mulino. I p ens ieri scoppiavano uno dietro l'altro. Prima, pensai di ordinare allo Squ adrone di montare a cavallo e seguire i fanti , poi, decisi per il plotone , poi alla fine pensai che sarebbe sta to meglio fossi andato solo. Sellai la mia Gigia e mi buttai al galoppo. Camminai per due giorni e , dopo due giorni di cammino, arrivai al fium e Loca vat z, nei pressi di Mq·nfakone. Trovai i fanti. Ero tutto bardato per andare a Trieste, soltanto che sul fiume c'erano gli sbarramenti austriaci e il punto in cui mi trovavo era l'ultima trincea italiana . D all ' altr a sponda, il nemico controllava la s trada e quando vide il mio cavallo arrivare a briglia sciolta, forse p erché lo spettacolo era insolito, smise di sparare. Il maggiore Cappucci che comandava i fanti , quando mi vide mi domandò: "Tu, cosa vuoi da quest e parti?". " Ho mantenuto la promessa - risposi I suoi avevano detto che dov evamo andare insieme a Trieste e io sono venuto ... Eccomi qua. O d . t ')" '- uan o SI par e. .. . . Cappucci scoppiò in una risata che si sentì sicuramente dall'altra parte del fiume. "Metti il cavallo al cantiere , con i muli -

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disse - e r esta qui. Vedrai come si va a Tri es te!.. . ")>

Sul Locavatz e sull' H e nnada , la guerra era fe roce. Sul mon t e, le cannonate facevano un minuzioso l avo ro di tarlo. Anc h e gli ae r e i. erano a tti v i, lanciavano bombe e sparavano a mitr ag li a.

« Durante un'azi one di pa ttugli a - ri p r ese Elia - rimasi ferito alle gam be. Il m ag g iore Cappucci finì all'ospedale. Il suo sostituto non volle sa p erne di tenermi con sé. Siccome ero di un 'altra specialità , ci voleva il permesso del generale di brigata e il generale, non as tante le mie su ppliche, mi rispedì al reggimento. Mi disse che Cappucci prim a di andare all' ospedale aveva l asciato una le tt e ra ch e mi riguarda va e ch e l'avr e bb e spe dita al comand an te d el '' Gen ova Cava ll er ia " . Pieno di buchL ripr es i la mia Gigia e mi rimisi in cammino per Fara di Gorizia.

Era l'agosto del ' 17 . Non c'e rano sintomi d ella tragedia che sarebbe scopp iata dopo nean che due mes i. Marciavo per s tr ade d i campagna, mi fermavo nei casolari e di notte do rmiv o con l a cavalla lega ta a un braccio per paura che m e la portassero via. Quando a rriv a i al R eggimento, mi appiopparono tr e nta g iorni di "rigo re., ma con la punizione, per via de ll a famo sa le ttera d i Cappucci, ebbi anche i gradi di sergente per merito d i guerra. Mi ve nn e affidato il comando del primo plotone del I Squ ad ron e . S'avv icinava l 'a utunno. L a gente che tornava indi etr o dal fronte di ceva che a ndava in lice nza . Il fa tto s tr ano era ch e tlrtti dic ev ano che anela -

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vano in licen:z:a. '' La guerra - pensai io - chi la farà mai" se tutti, d'un co lpo, torna no a casa e vanno in licenca?... " . La cosa mi sembrò assurda, tanto più che il giorno 24 ottobre arrivò l'ordin e di mett e rei in movimento , in dire zione di Udine. Il "Genova" mosse al completo, con lo stendardo in testa . A mano a mano che andavam o avanti, si vedeva il disastro. Soldati ubriachi, con addosso camicie da donna , carretti e autocarri zeppi di fuggiaschi , uomini avvòl ti nella m an te lline, senza più il fucile , co n in m ano fiaschi di vino. I fucili erano tutti in strada. Qu alcuno. vedendo il nostro Reggimento che marciava compatto, p reso da rimorso , raccolse da terra ]o schioppo e, così com 'era, magari scalzo e in camicia, ci venne dietro. Camminammo per cinque gio mi. Ci attestammo a San Ma rdenchi a, a qualche chilot1letro d a Pozzuolo d e l Friuli. L ' ordine e ra di morire sul posto, p er assicurare il ripi egamento della III Annata che andava a raggiungere le posizioni del Piave . Gli austriaci erano già a Udine. Erano imbaldanziti ma avanzavano cauti, in attesa della 117 divisione tedesca, di cui era annunciato l'arrivo ... » . « E di C apore tto, che ricordi ha? ». Dom andai ad Elia Pa ssavan ti. Si mise una mano sugli occhi. «A guardare quella gente-- disse - c'era da pen sare che il Paese non si sarebbe più ripreso. Davanti al nemico che av anzav a, smobilitavano tutto , anche le chiese. Sparecchiavano gli altari, come tavoli di ·cucina; tiravan o giù Je candele e le pitture e i preti guardavano

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sgomenti verso le croci; sembrava che domandassero al buon Dio cosa intendeva fare della povera Italia ridotta in pezzi. Creammo la linea come una barricata, con letti, materassi, sedie, eccetera. Due dragoni stavano sul campanile e tiravano al bersaglio. Altrettanto facevano quelli che si trovavano al di là della casa di Calligaris. Gli austriaci ci cercavano con la mitragliatrice. Il mio capora'le, Tegon, era stato ferito mentre tornava dal comando di reggimento, dov'era andato a riferire. Aveva portato l'ordine del generale di non indietreggiare di un metro". "Quando sono venuto via - mi dissesuonava già il buttasella ... " . ' ' Allora vengono " gridai . " 'Genova' e 'Novara' - dis·se T egonsaranno qui fra poco ". . Gli guardai il collo che co lava sangue. " Ti hanno beccato" dissi. E lui: " Una ferita che non si vede e non si sente, non esis te ... ". " Prendi tu il comando " gli ·dissi. "E tu? ... ". " Io va do a vedere quello che succede a Ud . " me ... . "A Udine? Sei matto; H prenderanno " . Slegai il cavallo che tenevo d entro una cucina e mi misi al trotto in direzione di Udine ...». Fece una pausa. « Povera cavalla Vienna - disse- Aveva il fu oco in corpo. E gli occhi ... puri e dolci come una gazzella». Pioveva sottile, quel giorno, una pioggia so. migliante a nebbia. I comandi avevano perduto la testa. Passavanti non sapeva che i pochi dm-

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goni che c'erano a Pozzuolo dovevano coprire la ritirata della III Armata. « La strada era vuota - riprese - Non c'erano n é italiani né austriaci. Pareva che la guerra fosse finita. A un tratto, la cavalla alzò la testa e nitrì. In lontananza si vedevano le case bianche d ella città. Una specie di miraggio. Passai davanti a un casolare ridotto a nulla, con una scala inutile che portava a un pavimento squarciato. Le finestre erano chiuse. chissà perché. In tma conca, vidi ammassati uomini, cannoni, autocarri, muli e cavalli. Erano i sintomi di un attacco. Sentii vicino alcuni gridi. "Attenta - dis si a Vienna - Qui qualcuno vuole la n os tra pelle" . Feci per voltare, ma parti un a raffica di mitraglia. Vienna s'alzò sulle zampe posteriari e diede uno strappo disperato. "Via, via ... " urlai e mi buttai verso la campagna. Per la prima vol ta, il cavallo non rispondeva alla briglia; rompeva il passo, spesso inciamp ava. Gli p iantai gli speroni nel ventre, non l'avevo mai fatto. l colpi mi inseguivano. Arrivai a Pozzuolo, dov'erano gi unti , intanto, i regg imenti di cavalleria; gli austriaci. come uomini e mezzi, erano uno spavento. Quando fui davanti al genera le Emo Capodil ista e al co lonnello Belletti, Vienna cominciò a tremare. Nitrì forte e stramazzò sul selciato. Le caddi sopra. Aveva il petto squarciato ed era svuotata di sangue. P er por t armi indietro, aveva bruciato l'ultimo filo di forza. L a seppellimmo con Tegon, in mezzo al fuoco della battaglia». I combattimenti· durarono furiosi fino alla mattina del 30 ottobre 1917.

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Il cielo scaricava pioggia e la pioggia dive ntava subito fango.

« Alle tre del pomeriggio del giorno 30disse Elia Ro ssi Passava nti - ve nne l'ordin e di rimontare in sella. All'improvviso, arrivò una raffica di m itragli a in direzione del co lonnello. Il nemico aveva circondato il paese. Mi butt ai davanti al comandante per coprirlo e un a pallo ttola mi co lpì in fronte . Le schegge entrarono neg li occhi. Vidi buio. Mi sentii morto . Cieco, era peggio che morto . Grid ai , nessuno rispose. Mi passai le mani sugli occhi e sen tii il ca ldo appiccicoso d el sangue . Il me dico mi ripulì l a ferita all a meglio. Non aveva tempo da perdere. Disse : "Tu resta qui, io vado co l mio regg ime nto" . Ero se nza cavallo. ''M orto per morto - dissi a me stesso - meglio morire d avvero". Cercai la pistola nella fondina. E ra vuota. T as ta i in terra , non la trova i. Mi sembrò c he tutti se ne fossero a nd a ti. I nvece, c'era ancora qualcun o, i superstiti del "Genova ", ormai decim a to. Sentii rumore di zoccoli . Non sapevo se erano italian i oppure aus triaci. men t e, la voce del colonnello Be lletti. " Oh è, P assavanti, pulisciti gli occhi- disse- P rendi il cavallo in coda, si ca ric a! ... ". Avrei voluto dire che ero cieco, ma mi tra tt enn i. Ero un p eso inutile, for se mi avrebbero abbandonato. Allungai le mani e afferrai una b es tia che mi passò davanti. T as ta i la sella e le staffe, vuote. Guidan do il piede con la man o, riu scii a montare. Uno mi venne vicino e di sse: " Sei ferito g rave... ". Era il caporale Tegon. " Niente, Tegon ,

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- dissi - sono svenuto . Adesso sto meglio. Cos'è successo'?" .

"l'vlace ll o - disse Tegon. - Una carica d ie tro l 'al tra. Gli ufficiali sono morti tutti... ". E fece i nomi. Nom inò il capitano Lajolo, Bianc hini , R ospigliosi, il maggiore Ghitton i, il capitano Lombardi. '' E il co lonnello? ,. domandai . ., Lui c'è, c'r anc h e lo stenda rdo e un po d i Dragoni. Tutto il ' 'Ge n ova" , lo vedi, no '? ... ". " Li vedo '' - dissi , ma in realtà vedevo notte. Mi sembrava di ave re la testa piena d'api. Un ronzio da impazzire. Tastai dietro la paletta della sella e seguendo l'incisione delle lettere con il dito , lessi il nome del ca\'allo: Quo. A un tratto n on sentii più le n1itr ag liatrici nemi che. Pensa i c h e g li a ustriaci avessero sospeso il ti ro in segno di rispetto per il valor e del " Geno va " . Matto. T enn i la bocca chiusa. Non volevo che ca pissero che e ro orbo . Il cavallo camm1na,•a s icuro . I Dragoni, rotto il ce rchio, si dirigevano verso S. Mari a d i Sclaunic co e poi verso il T ag li ame n lo. Mi lasciavo portare d alla b es ti a . Spinto forse da un presagio , Quo si staccò da tutti , abbandonò l a strada ma es tra e infilò i sent ie ri di campagna . .Camminammo per qu attro giorni e quattro notti. Pioveva senza un momen to di sos ta e .Ja pioggi a mi dav a i brividi. A un tratto, c hiam a i sottovoce " T egon , T ego n ... ". Mi rispose il hilrit o del cavall o . T egon non c'e r a . L a mia testa funzionava a tr a tti, cer te vo lte s'addormen ta va, ce rt e altre era sveg lia. A un tr a tt o, sentii che gli di Qu o calp es tavano il selciato . Udii urla d i bimbi, col-

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pi di frusta, d onne che si chiamavano e bestemmie a non finire. Tutte le voci venivano nella mia direzion e . Temetti che mi domandassero cosa succed eva e, accortisi che non ci vedevo, mi rubass e ro il cavallo. Uno alzò una fru s ta e col pì Quo che si mise a correre come un diavolo . Yfi reggevo in sella per volo nt à, non p er forza. Il sangue mi aveva incollato il colletto della giacca intorno al collo. Arrivai a Treviso. Il cavallo si dir es se all a caserma di cavalle ri a e andò diritt o nella stalla dov e e ra stato da puledro. Si drizzò , lanciò lm nitri to e io caddi . P ensai che Quo fosse s ta to fe rit o, invece gli sco ppiò il cuore ... ». Esanime, Elia Rossi Passava nti venne condotto all'osp ed a le . L a prim a d iagnos i fu crudel e . Il medico voleva asportargli entrambi g li occ hi. Eli a si oppo se. "Piuttosto morir e"disse.

"Allora ci vuo le la calam it a - disse il dottore - e non posso addormentarti ... " .

" F a te con la calamita e n on mi addorm ent , d. la e - 1s se .

A una a una , con la calamita, gli fur ono es tratte tutt e le schegge e dopo ven tun o g iorn i di bende com inciò a vedere con l'occhio d es tro . Dalla C avalleria, P assavanti a ndò negli Arditi , sul Grappa. Combatté a1l a disperata, fu ferito ancora diverse vo l te , venne promosso sottotenente p er m e rito di guerra e infine, in barella , seguì i suo i uomini che o rma i incalz avano gli austriaci in fuga.

Per le az ion i fr a il settembre del 1916 e l 'o ttobre del 1918, gli venne conferita la Med ag li a

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Il co nte di Torino e du e \ lfficiali entrano nella c ittà di N ervesa, cosparsa di cadave ri au striaci
E li a Ross i Pa ssavan ti d ue vo lte Mcdag liH d'O ro

al valer militare con una motivazione .,.he è un inno a ll 'ardimento. Gli ospedali se lo contendevano ma, sebbene maciullato di ferite, Elia scappava sempre. Scappò anche per accorrere a Fium e con d'Annun zio che Jo .aveva mand a to a chiamare da.U:amico Ke1ler, un pilot a coraggioso e ·stravagante, con una testa di capelli che sembrava la ch ioma di un albe ro. Il Poeta l 'accolse a braccia aperte e quando ]o vide gli diss e: «Sapevo, sapevo frate Elia che saresti venuto. Tu non potevi mancare... » . . Finita la guerra, l 'uomo che morì due volte, tornò agli studi. Prese tre lauree, diventò d eputato , poi. professore d'Università. Quando scopp iò il secondo co nfHtto mondiale, il Magnifico Rettore d e ll ' Ateneo roman o e il preside della sua facoltà, Alberto De Stefani, gìi proposero di commemo r are il col:lega BarbielJini Amidei, cadut o sul co lle di S. Eli a, in Albani a . «L'onore è gran de - disse Passavantima devo rifiut are. U n uomo simile si può onorare sol tanto con l'azione. Ma ndatemi a sostituirlo dov' è cadu to ... ». Sebbene mutilato, partì, Siccome, nel fr attempo, s'era resa vaca nte la carica eli capo dell'assistenza, gli ordina rono d'assumerla . «Quella d' A·lbania - diss e Passavanti- fu l a cam p agna di guerra più grande che un popolo possa aver combattuto. Alle spalle de l Carso c'erano paesi e città. In Albania, di etro le linee, c'erano sol tan to solitudine e fango». Arri vò al fro nte e s'app oggiò al comando del 3 Corpo d ' Armata. A piedi , con lo zaino in

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spalla , saliva fino agli avamposti per vivere insieme con i soldati.

«Il giorno di ' Pa5qua del 1941 - raccontò Elia - salivo verso Kalivaci. L 'al'tiglier ia non dava tregua. Loro erano in vetta , noi a mezza costa. aggrappati ai mass i. I soldati non reggevano più. Pian piano, lasciavano le posizioni e scendevano verso le retrovie. Salii all'ultima trincea. Era vuota. Ra ccattai un fucile e mi misi a fare la sentinella. Uscì il sole ... ». Ùi lontano si vedeva l' ombra di qu€'st'uomo che camminava avanti e indietro sotto le granate nemiche. Alcuni soldati che scendevano a valle si fermarono e guardarono in su. Uno disse: "C'è un gigante nella trincea .. . ". Un altro aggiunse: " E' un miracolo. Tirano e nell a trin cea non casca un colpo ... '. Un graduato s'avvicinò ·a Elia e gli diss e : "Signor colonnello, adesso tocca a me. Monto io la guardia! .... , . Si chiamava Giovanni Colombo . Gli occhi gli luccicavano di lacrime. A po co a poco, tornarono tutti. Durante la notte, poi, Iddi o ci mise la mano. «H tempo - raccontò Passavanti - si mise al bello. Ai soldati ehe mi dicèvano che non avevano mangia•to , rispondevo che presto avremmo mangiato caldo. Ci fu una frana. SpaIato il fango, trovammo la porta blindata di un ricovero pieno di viveri d a scoppiare. Fu festa. C on la campana di una chiesa diroccata, suonammo H segnale d e ll'assalto. La vetta venne conquistata. Ormai era apert a la strada per Drcia e per Erseke » . Corcia venne conquistata con una sanguino-

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sa lotta corpo a corpo e fu Elia Rossi Passavan ti che alzò la bandiem sulla fortezza. A Erseke, successe lo stesso, soltanto che nell'ultimo atto d ell a guerra, Elia tornò cavali ere e a cavallo, infatti , su una strada cosparsa qi mine che esplodevano dietro le zampe della sua bestia, ferito c0me ai tempi di Po zz uolo del Friuli, entrò n e lla città ed espugnata la rocca a colpi di pugnale e di bombe a mano , piantò il tricolore sulla torre.

Fu la seconda Medaglia d'Oro . Gliela di ed ero i soldati prima che gli venisse data in maniera ufficiale.

I soldati sapevano che motivo della ricompensa, secondo l'atto istitutivo, era «essere primo 'sul ciglio della breccia oppure sul ramparo, quando si prende una piazza per mezzo della scalata».

Si tolsero , pertanto, le medagliette che avevano al collo, le depos ero in un rudimentale crogiuolo e un orafo sconosciuto fuse la medaglia p er l' uomo «morto due volte», che in realtà , p erò, non poteva morire perché aveva sempre qualcosa d'importante da trascinarsi dietro nella vita.

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VISSE SETTE GIOR NI DA EROE SENZA SAPERLO

«Dove gli sparai? - disse Ercole - Che importa dove gli sparai?».

« Importa » - dissi.

« Gli sparai nella pancia, allora. Mirai alla pancia perché nella testa avevo paura di sbagliarlo . .. ».

<<' E se l ' avesse sbagliato'?».

«Eh! Se l'avessi sbagliato non sarei qui a raccontare e magari 1a Medaglia d ' Oro l'avrei avuta a},Ja memodal... ».

Fece una pausa .

«Che medaglia d ' oro alla memoria - disse-- Forse, non l'avrei avuta per niente. Anzi, di certo, non me l 'av rebbero data perché, i1 l giorno dopo, il bollettino austriaco disse che tutto l'equipaggio del "Caproni", caduto in territorio alba nese, che poi era il mio " Caproni ", era morto bruciato. Soltanto io, invece , ero vivo. Tre avia tori di meno, non ci faceva caso n es-

Capitolo II
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suno. Tre matti di meno, dicevano. Gli avi·atori stavano sullo stomaco a tutti... ». «Perché?» - domandai. «Perché i generaH dicevano che gli aeroplani erano una guarnizione della guerra e non serviv·ario a niente. Bisognava, anzi, bruciarli tutti p erché i matti non avessero la tentazione di fare gli aviatori. Dicevano che i matti potevano fare gli arditi, se volevano, e sarebbero stati più utili». Guardavo questo strano uomo coraggioso che appartiene alla categoria degli eroi che non fanno ·rumore; e da come parla va, dei fatti suoi e dei fatti di a ltri, mi rendevo conto quanto fosse difficile guardare dentro a un uomo di coraggio. Specialmente a un tipo come lui al quale , spesso, sembrò che morire non dicesse nulla e che invece, quando raccontava deH'albanese ammazzato con tina p allottola di revolver nella pancia, cambiava espress ione e pareva che avesse paura della morte dell'altro. L'aveva ammazzato per salvarsi, succede tante vo lte in guerra; eppure, non ostante siano passati cinquant'anni, o qualco sa di più, a ricordarlo gli veniva ancora freddo.

J.l personaggio, Ercole Ercole, fino a qualche anno fa, giacché scomparve un anno circa dopo quest'incontro, era una delle tre Medaglie d'Oro viventi della grande guerra, insieme con Silvio Scaroni e Giuseppe Castruccio. I soli superstiti dell 'Aviazione. Lui e Scaroni, piloti di aeroplano; Castruccio, dirigibilista . Quel Castruccio, genovese, che per salvare il suo dirigibile, colpito dall'antiaerea austriaca, fece il

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volo di ritorno , in mezzo a spari che vano il cielo, aggrappato a una trave, dentro l' involucro, come zavorra.

La vicenda di Ercole è la storia di un combattimento aereo sfortunato, non per questo meno eroico , e di una fuga che sa di romanzo.

Si tratta di una delle tante storie di guerra che danno sulla f antasia; così irreale, a sentirla, che io che l'ascoltavo, raccontata in prima persona, ogni tanto , con una scusa qualsiasi, interrompevo Ercole e gli facevo domande che con lf1 storia non c'entravano affatto, soltanto per convincermi che era lì davvero.

Lui capiva e rideva. Strizzava gli occhi sottH i e maliziosi e, divagando, parlava dei suoi compagni aviatori di allora. Di Baracca, di Piecio, di Scaroni, di Ruffo, dello stramp-alato Kel. ler, di D'Annunzio. ·

Anzi, fatto ' il nome di D 'Annunzio, s'alzò e sparì nell'altra stanza . Sentii che rovistava in un cassetto. Tornò con in mano alcun e carte.

« Leggi » - disse.

Erano lettere del Poeta . Cominciavano tutte con «Caro Ercolino »e in una, D'Annunzio diceva che il «suo El'colino », durante la guerra , « dell'ala aveva f a tto una clava >>. Domand ai p e rché era div en t a to aviatore. «Per desiderio d'avventura - disse - - Er avamo nel 1912. I piloti di quell'epoca, più che matti, erano considerati dei condannati a morte. Nella testa delt1a gente, aeroplano voleva dire mor.te sicura. Si volava dieci , venti minuti. quando andava bene, e i giornali ne parlavano come di un fatto straordinario. Ero tenente di

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fanteria, ragazzo briJ.lante, cacciatOTe di donne ... Quanto mi sono piaciute le donne! Ma quanti guail Stavo a Teram o, provincia profonda ; vita squallida, noiosa . Un giorno dissi: ' ' Lascio la fanteria e faccio l' av!iatore! " . Feci domanda per il battaglione aviatori che stava a Torino. Quando partii da Teramo , al mio colonnello non sembrava vero e, per la verità, neanche a me. Lui si togli eva dai piedi un tipo" da naso " , irrequie to, un po' scavezzacoHo; io, me n e andavo da qu ella città che pareva un convento, piena di pettegolezzi e di furiose maneggiatrici di rosari che, dalle finestre socchiuse delle loro case, vegliavano giorno e notte su tutti, facendo a pezzi la reputazione altrui e distribuendola a brandelli per le strade. Per farla breve, diventai piJlota di "Bleriot ", tipo traversata della Manica ... ».

Fece un gesto di stizza.

«A che serve, questa storia? Diranno: Ercole vuol farsi pubblicità, mentre io , della pubblicità, me ne infischio. Capito?».

Era inquieto. Settantotto anni; girava come una trottola. Una goccia d ' argento vivo . Poche occhi curiosi, un po' sornioni, niente capelli bianchi. allegro soltanto quando parlava di donne , d'avventure ·riuscite e d'avventure mancate . Le avventure mancatè gli erano rimaste suHo stomaco , come bocconi indigesti.

« AHora - dissi -· andiamo avanti con la storia?». 32

« Credi proprio che sia necessa rio?». «Credo» - dissi.

Si abbandonò sulla seggiola. «Un giorno - disse- al battaglione avi a-tori domandarono se c'era qualcuno che parlava inglese. Io, l'inglese, lo parlavo bene e mi feci avanti. Mi spedirono in Inghilterra, ad Amesbury, dove c'era la scuola "Bristol". Ad Amesbury si viveva meglio che a Teramo e ad Aviano. Le ragazze erano matte per gli aviatori; la più matta di tutte era la figlia di un pastore protestante . Bella, da far girare la testa . Rossa di capelli, occhi chiari, pelie di latte, con un po' di lentiggini. Io vado matto per le lentiggini e per le figlie dei preti protestanti ... Presi il brevetto e tornai ad Aviano, poi mi mandarono alla Malpensa e dopo, a Piacenza con una squadriglia di "Bristol" . Intanto , si comi nciava a resp irare aria di guerra . L'aeronautica era un fatto personale dei piloti. Si discuteva sulle possibilità belliche dell'aeroplano, ma quelli che ci credevano erano pochi. Uno dei pochi era il povero Douet. Profeta senza seguaci. I generali facevano l'amore con la fant eria; parevano mariti fedeli ma traditi. L'ordine di mobilitazione arrivò ai primi di maggio del 1915. Trasferimento da Piacenza ad Aviano. Proprio in quei giorni, ci avevano dato una busta gialla, piena di timbri, con ·la scritta Segreto. Bisognava aprirla in zona d'operazioni. P er la curiosità, ci morivo su quel·la busta. All'annuncio della dichiarazione di guerra, l'aprii. Fu una delusion e. Conteneva un foglio con i segnali distintivi per gli a pparecchi. Cominciammo• a volare ... ». Fece una pausa. Disse: «Versa un po' di cognac» .

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Riempii il suo bicchiere. L'alzò, disse: «prosi t» e bevve d'un fiato. «Toccò a me il primo volo di gùerra - riprese - Mi mandarono a bombardare il parco buoi, vicino a Doberdò. Ecco, a cosa serviva.la aviazione. Caricai sei bombe e decollai. A tremila metri, l'artiglieria austriaca mi rincorre va. Sganciai le bombe, aspettai che finisse il fumo, ripassai sull'obiettivo e vidi che i buoi non si erano neanche mossi. Colpa dellebombe . Le provammo al campo; avevano una rosa di scoppio di cinquanta centimetri. Per colpire un bue, bisognava in pieno. Giorno e not. te facevamo 'ricognizioni ma le notizie che portavamo ai comandi, rimanevano sui tavoli o passavano agli atti. Gli ufficiali di Stato Maggiore ci scrivevano sopra: "Frottole di aviato" . Finalmente uscirono i" Caproni" da bombardamento, con tre motori. Macchine enormi, · di ·cui si diceva un gran bene e un gran male. Dicevano che erano blindati e invece non era vero. Comunque, la voce arrivò anche in campo nemico e i cacciatori austriaci la presero per vera. Ci credettero al punto che, per qualche tempò, la caccia nemica non osò attaccare i " Caproni ". Poi, la favola finì e non si faceva volo che gli austriaci non ci venissero addosso con dieci o venti "A viatik" o "Albatros " per volta. Domandai di passare nei bombardieri, ma quando arrivai alla scuola, alla Malpensa, mi dissero che ero troppo piccolo e mingherlino per pilotare macchine di quella mole. Le prime volte, in_volo, per darmi magari una mano, mi misero vicino, ·come secondo, un ufficiale

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degli alpini con due spalle così e due braccia come clave. Tornai ad Aviano. Come copilota, in squadriglia, avevo il marchese Liberati. Che tipo, Liberati! Una figura da vetrata di chiesa. Signorile, serafico , hmamorato marcio di una donna che nessuno conobbe mai. Ne parlava tanto ·che, a lla fine, mi convinsi che la donna esisteva soltanto nella sua testa. La prima azione consistente, fu su Lubiana. Dicevano che c'era il Quartier Generale austriaco e il Principe ereditario ... ».

Bevve un altro bicchiere di cognac. S'alzò e aprì la finestra. C'era un sole che sembrava nuovo di zecca. « Guarda - diss e - che bellezza, quelle piante africane. Hanno le foglie come il cuore delle donne. Un canestro ... ».

« Torni amo alla storia» - dissi. . «Un momento. Il tempo di bere un altro sorso, alla faccia dei dottori che dicono che il cognac ammazza i,l fegato. Io, il fegato, ce l'ho sano come il ferro ... ». Riprese il racconto.« Per Lubi ana, partimmo in quattro " Capron i " . Uno era pilotato da Salomone. I n quel volo, Salomone si prese la Medaglia d'Oro. Sorvolammo il Carso e con la strada tracciata dall 'an tiaer ea nemica, a1TI.vammo sulla città. Era giorno fatto. I cannoni non sparavano più. Scaricammo le bombe e per qualche tempo restammo a guardare il fumo degli in cendi che saliva a colonne attorcigliate. Sulla via del ritorno, colpito da una cannonata, il mio motore centrale diede un sussulto e si fermò. Siccome l'aereo perdeva quota e sul Carso r artiglieria era fitta, decisi di fare la rotta di

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Trieste. Credettero che fosse una sfida, invece non potevo volare più alto. S'alzò un « Aviatik ", d si mise aJle costole ma riuscimm o a perdevlo. Una provvidenziale corrente d 'aria ci portò fino a Pordenone, con un volo da foglia morta .

Dopo due anni di Eronte italiano , mi destinarono in A·lbania, a Valona, come comandante di squadriglia. Formammo il reparto a Taranto , dove conobbi il Duca d egli Abruzzi, Luigi di Savoia . Un principe da miniatura. Mettemmo la base a Molini Tahi:raga, poco distante da Valona .

La zona era infestata di malaria. Le zanzare erano grosse come pipistrelli. Mangiavamo chinino al posto pane. Il chinino ubriaca, insonnolisce. A Molini Tahiraga c'era un greco, di nome Pakulò, con \}DO spaccio di viveri. Pakulò diventò mio amico e, in segno d'amicizia, gli regala i il cappello a cilindro che avevo portato da Taranto. Un .giorno, il povero Pakulò , che era più largo ch e lungq, morì e i familiari, secondo l'abitudine del posto, gli fecero H funerale a cavallo della muìa, con in testa H cilidro, che per lui, in vita, era stato la cosa più cara.

La sera dell'Il ottobre 1916, il Comando Supremo delle nostre truppe in Albania ci mandò l'ordine di bombardare le posizioni nemiche di Durazzo. Un volo di circa 150 chilometri su un terreno che faceva spavento a guardarlo. Des erto ... » . Fece una pausa.

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«Non ha nostalgia di quegli anni?» - gli dom an dai. «Non ho nostalgia di niente- disse Ercole - I ricordi li lascio fuori di casa, in sieme con gli anni. Soltanto le d onne fanno nosta lgia ... » . Ri prese: « Gi à, le donne ... ». I " Caproni " di Er co le, sette, partirono la mattina d e l 12 ottobre. Ogni velivolo aveva un equ ipaggio di quattro uomini. Ercole, q uell a vo lta, ne lasciò a terr a uno. Il mitragliere di prua. Come secondo, aveva H brigadi ere dei cb ra zzieri Alberto Mo cellin e, co me motorista e mitragliere di poppa, il capitano Corbelli. Decollarono col buio . Ercole, come capo squadrigli a, in testa; gli altri, seguivano ala con tro ala . Il cielo era pieno di stelle . «Arrivammo su Durazzo - dis se Ercoleche comin ciava a far giorno. La città era a ttorniata di trincee e baracche. Ogni " Caproni " scaricò, i suoi cinquecento chili dì Giacomini " e si mi se in rotta per il ritorno ». «Giacomini'? Cosa significa?» - dom an dai. « Bombe - disse - Una bomba si va " Giacomino ". Le posizioni erano invertite. Io p assai in coda, che era il posto più pericoloso . Si fi.lava ch e e ra un piacere. A bo rdo, per il fr astuono dei motori, non si riu sciva a parlare. Ci intendevamo a segni. Ogrli volta che fa cevo un segno, il bravo MoceNin, che fin d a ragazzo s'era nutrito di disciplina, le gambe, irrigidiva il busto e, in quella maniera , gli sembrava di essere sull'a tt enti. Era alto due metri , con una f accia d a ,cavallo, i capelH biondi e gli occhi da angelo. All'improvviso, s i sentì

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una raffica di mitragliatrice. Un maledetto "Avi·atik" s'era fa tto larg o fra le nubi e ci aveva attaccato. Tutti gli strumenti del cruscotto andarono in frantumi . Sulla spalla sentii come un cazzotto, ma non ci feci caso. Mi voltai; Corbel.U era disteso fra ; serbatoi, in una pozza di sangue. Lui , . che e,- a in coda, aveva vi sto l 'ae reo nemico ma non aveva fatto in tempo a tirare. La raffica- dell ' " Avia tik " l'aveva fulminato. " Prendi tu i com a ndi gridai a Mocellin -· io vado avanti a sparare ... " . seconda raffica prese Mocellin alla testa. Si piegò sul volantino con le braccia ciondoloni. L'aereo si mi.: se in vite. Anche il motore di sinistra era stato centrato . Starnutì e si fermò. Una terza sventagliata, forò un serbatoio. L'" Aviatik" se ne andò soddisfatto. Annaspai per tornare al mio posto. Il " Caproni ,. cadeva come un sasso. Afferrai ìl volantino, lo tirai .con quanta più forza avevo. La terra mi veniva incontro a tutta velocità, sempre più grande. Come Dio volle, riuscii a mettere le briglie all'aeroplano e a fargli raddrizzare il muso. Vibrava dappertutto. Ero all'incirca a 50 chilometri dalle nostre lin e e. Niente da fare, bisognava atterrare . Cercavo il posto. Dalla passerella, scendeva un rivolo di sangue e benzina. Ero su una pianura brulla, cotta dal sole . Planai su uno spiazzo polveroso . L'atterraggio andò bene. Mi chinai sui due morti . Corbelli aveva il petto squarciato; Mocellin, il cervello fuori del casco. Non so cosa pensai in quel momento. A scacciare il buio che avevo in testa , contribuì la voce di un ossesso che gri-

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dava e mi puntava contro il fucile. Era un tipo lercio, con la barba e una giacchetta da soldato, ma non era un soldato regolare perché aveva le b:rache da contadino e i piedi avvolti nelle cioce. ETa un paesano armato dagli austriaci, corne ce n'erano tanti nella campagna. Racc olsi la pistola nel fondo della carlinga e gli sparai nella p ancia. Non mirai alla testa per paura di sbagliarlo. Allo sparo, seguì un gran silenzio. Scesi daU 'aeroplano e gli appiccai H fuoco. Div entò subito un rogo. Bruciarono anche i poveri Mocellin e Corbelli ». Ercole si passò una mano sugli occhi e tirò nn lungo respiro.

« Bruciavano - disse -e mi pareva di sen tirne gli urli. Li vedevo contorcersi in mezzo a ll e fiamme. Sono cose che, vlste una volta. riempiono gli occhi per sempre. Andiamo avanti. Sedetti in terra e cercai di rimettere ordine nelle mie idee. M'accorsi che sedevo nel sangue e il sangue mi colava dalla manica sinistra. Era il colpo che m'era semb r ato un pugno . Scoprii il braccio, e r a stracciato sotto la spalla. Con un !aedo delle scarpe, legai la fer ita per bloccare l'emorragia. D'attorno , non si vedeva nessun o. L'albanese bruciava insiem e con l'aeroplano. A uu tratto, sentii il ronzio d\ un motore. Veniva dall'alto. Difatti , un ricognitore austriaco atterrò poco lontano. Mi ero nascosto dietro un cespugli o. I due piloti seesero , s'avvicinarono al falò, salutarono e ripartirono. La folata d'aria dell'aereo che ripartiva, poco mancò che non sradicasse il cespuglio. Ecco perché il balletti-

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no austriaco disse che tutto l ' equipaggio del "Caproni" era morto.

Prospettive ne avevo poche, due soltanto: arrendermi, ed era facile farlo , oppure fuggire, ma di primo acchito mi sembrò impossibile. Avevo cinquanta chilometri di strada, non balbettavo una parola d'albanese, ero senza bussola, senza soldi e per di più ferito. In volo, andavo sempre senza un centesimo; prima di partire mi cambiavo solamente la biancheria. Arrendermi, allora? Lo scartai. Decisi per la soluzione disperata, scappare. Feci un piano: camminare di notte, orientandomi sulle stelle, e dormire di giorno. A tutti i costi dovevo trovare la Vojussa, il fiume che divideva il fronte. Rimasi acquattato di etro il cespuglio fino a sera. Appena buio , mi misi in cammino. Era autunno ma l'a ria era ancora tiepida . Il ciel o brulicav a di stelle. C'era tanto silenz io che mi scoppiava la testa. Non una luce nella campagna. La ferit a, maledetta, mi faceva un male d'inferno. Avrei voluto dell'acqua. La gola mi bruciava. Non c'era la lun a.'Meglio così, perché spesso la lun a tradisce. Attraversai una strada, scavalcai delle siepi, passai accanto a d e i casolari addormentati. Mi inseguiva il latra to d ei cani. I cani furono il mio incub-o durante tutta la fuga. A volte m'assalirono e m i difesi a sassate. Il t erzo giorno, all'alba , vidi arr iv a re, da lontano, una pattuglia di cavalleria. Feci appena in tempo a rifugiarmi in un fosso. Mi attaccai aJ.le radici di un albero e sentii gli zoccoli d ei cavalli sopra la testa. Appena passata la

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pattuglia, l'alberò franò e rimasi seppellito dal ter·riccio. Sulla giubba m'ero messo un maglione; intanto m'era cresciuta la barba, sicché anch'io parevo un albanese cencioso. La sete, provocata dalla febbre, mi divorava. Non esisteva un filo d ' acqua. La 'Campagna e ra secca, piena di tigna. Aspettavo l' alba per succhiare la rugiada delle fogHe. Il male è che l'assetato , durante il sonno, sogna sempre acqua e questo aumenta la sua disperazione. Finalmente, trovai uno stagno; marcio, pieno di sanguisughe . Bevvi da scoppiare. Intanto , la ferita s' era putre fatta. La guardai, era infestata di piccoli vermi bianchi. Dissi " Quando si muore si finisce così... ". Soffiai sui vermi per scacciarli, ma si riproducevano subito. Mi si erano mescolati i giorni e le notti. Vedevo sempre buio. Ormai senza forze, caddi e perdetti i sensi ... ». «Per quanto tempo?» - domandai.

«Non ricordo. - ·-rispose Ercole- So soltanto che mi svegliai perché sentii che qualcuno mi frugava addosso. Vidi sopra di me due facce che mettevano s pa vento. Una, era una faccia di rana, triangolare; l'altra , con gli zigomi larghi, da cui partiva una barba arruffata che arr ivava al collo. Gli occhi erano neri e lustri. Direi avidi. I due parlavano fra loro; le bocche s'aprivano e si chiudevano come trappole. Avevani) i d enti tanto lerci che anche l e parole gli uscivano sporche. Le dita d el vecchio palpavano la medag:lia che avevo al collo. Era un' immagine di S. Elia che mi aveva regalato mia madre. Mi presero , uno per le spalle e l'altro per i piedi , e mi portarono in una capanna.

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Lw1go la strada, ogni tanto si fermavano p er tirare il fiato. La capanna era di paglia, un tugurio. C'era tma panca e due sedie. Si sentiva il lezzo rancido delle tane. Mi diedero una scodella di latte. Dal buio, uscì una vecchia. Guardò la giacca insanguinata e, a cenni, mi disse che voleva vedere la ferita. Rammento che il suo viso era una matassa di rughe. Si sfilò d al petto una scaglia di sapone e mi lavò la piaga. I due uomini parlavano sempre fra loro. Entrò una ragazza giovane. Incontra i i suoi occhi caldi e vivi. Sorrise. Mi Sembrò di rinascere. Pensai che forse lei poteva aiutarmi, ma non avevo soldi e non sapevo parlare. Mostrai al vecchio la etichetta che avevo sul risvolto d e lle mutande. Era uno stemma di Savoia, di fornitori .della Real Casa. Lui annuì con la testa e, strofinando il pollice contro l'indice, fece segno che voleva denaro. La ragazza, intanto, era uscita. Tornò con uno spino e cominciò a frugare nella ferita ; estrasse fr ammenti di vetro, schegge di legno e un brandello di cuoio e di stoffa del1a mia giu bba. Il vecchio, co ntinu ava a fare il segno dei soldi. >• Soldi, soldi - dissi - Ma tu portami alle linee italiane. Vojussa, Vojussa ... " . "Vojussa" - ripet eva lui. Per nasco:ndermi, mi condussero in un boschetto vicino. Quella notte piovve. L'indomani mi svegliai intirizzito ma p e r fortuna era tornato il sol e . Uscii dal rifugio e mi trovai facci a a faccia con due soldati austriaci che mungevano una ca pra. Era finita. Io guardai loro e loro guardarono me. Con gli stessi occhi sor-

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presi, ma capitò che mentre io pensai di fuggire, loro se la diedero a gambe. Forse avev ano creduto che fossi il padrone de lla capra. Nella capanna, tto va i tutta la famiglia riunita. Il vecchio, la vecchia, il ragazzo e la ragazza. Feci capire che avevo inten zione di andarmene. Dissi che sarei partito il mattino dopo. Qurante la sera, ci fu il commiato. Seduti attorno alla panca, ci guardavamo in silenzio. A un tratto, la vecchia s'alzò e tols e dal fuoco un capretto arros tito. Nessuno fiatava. Infilò le mani nel ventre della b es tia e ne tir ò fuori le interiora. che posò sulla panca. Si muoveva come se celebrasse un rito. Pre se gli oss i e li mise controluce, davanti al fuoco . Li guardava e mas ticava parole incomprensibili. Alla fin e, fece un cenno di assenso con la test a . Il destino era favorevole. Anche il veéchio annui. Si tolse dal capo il suo zucchetto sudicio e me lo diede. La ragazza non mi staccò mai gli occhi di dosso. Mi sfilai la cate ne lla che avevo al collo e gliela diedi. La mis e nel palmo della mano, la baciò·e sca ppò via. Sulla porta , mi diede un'altra occhi a ta. Disse qualcosa, ma non capii nulla. Dissi " Bella ''. Il giorno dopo, verso il tramonto, insieme con il vecchio, ci mettemmo in cammino in direzione d el torrente che passava poco lont ano d alla capanna . C'era un ponte, ma era sorvegl iato da sentinBlle austriac h e. Girammo al largo e passammo sull 'a ltra sponda con un a zattera fatta di tronchi e rami secchi. Appena a riva, presi il vecchio per un braccio e lo tirai;

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con un calcio, allo ntanai la za ttera. ·No p volevo rest ar e solo. Ero un cencio, bruciavo di febbre e l a ferita mi tor turava. La ·ca mp agna era nuda e b agnat a . Per via d elle piogge del gi orno prima c'era fa ngo d a ppertutto. Camminammo tutta la notte. Il vecchio ogni tanto diceva qualcosa ma io non capivo ... ». « E mangiare'? » - domandai.

« Io - rispose Er cole -- mangiavo qu al che mela selvatica e gemme d' arbusti. Lui, il vecchio, s'era por t a to un pane, ma lo teneva p er sé. Fra prima e dopo, camminavo da più di un a se tt imana. Avevo perso più sa n gue che carne . Facevo a respirare . Non avevo più sca rpe. Camminavo sull' erba dura ch e m i tagliav a i piedi. E ro amma ttit o di stanchezza ... ». Fece una p au sa. Guardò alcune fotogra fie che aveva davanti e ne prese u na. « Ero così - disse- Soltanto ossa. Irriconosc ibil e ... ».

Mi mostrò la foto . Pareva un altro uom o . Aveva gli occhi sc ucchi a iati , la barba e i ca p elli com e erba secca. L e guan ce erano du e buchi. Ripr es e il racconto. «Finalmente arrivammo in vista della Vojussa, dalla parte della foce. Il mio braccio ferito puzzava d i m ort o . Era un a carogna di braccio. P er tutta la notte r es tamm o acquattati in un a buca, in riva al fium e . Fissavo l'acqua e vedevo che la corren te rodeva d i continuo la riva , sotto i miei occhi. L'aria sembrava una spugn a piena d 'acqua. Dicevo tra me " a d e sso qualcuno strizza la spugna e comincia a piovere". Ogni tan to si sentivano i rumori della guerra. I can no ni tiravano come se cercassero · a ta stoni l'obi e ttiv o da co lpi re .

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Quando s'alzò il vento , si mì5eyo a spa rare anle mitragliatTici. I soldati , di solito, hanno paur-a . .del vento e pe r farsi sparano. Aspettai l'alba. Dopo fatto èenno al vecchio di restare sulla sponda, mi butta i nel1'acqua. Era gelida. Il freddo mi rianimò. Sul principio mi lasciai trasportare dalla corrente poi, col braccio sano, a ttaccai a nuotare. Su una secca mi riposai.

Dalla riva italiana partirono a-lcuni colpi di fucile. M' av e vano preso per un austriaco. Mi tuffai sott'acqua. Allor ché fui vicino alla sponda mi misi a u rlare . "Italia ItaHa!... ".

S'accostò una barca e mi tirarono a bordo. Un soldato disse: "E' morto per metà . Se nti come puzza ... ". Indicai la riva opposta. "C'è un uomo, andate a prenderlo" - dissi.

Mi portarono al posto di medicazione. La ferita era stata provocata da una pallottola esplosiva. Il dottore ci scavò dentro per due ore e ne tirò fuori di tutto , compresa una gran quantità di vermi.

Tornai alla squadriglia dove nessuno mi riconobbe. Fermo sul predellino deH'·autoambulanza, prima di scendere, mi guardai attorno. Uno disse: "Chi è quel fantasma?''.

Un altro: "Un morto in piedi...".

Un ufficiale disse: " Che sia Ercole?... ". "Macché' Ercole - ribatté un altro - Ercole, ormai, ha tirato le gambe, arrostito come un pollo . .. ". Scesi e gridai : " Sono Ercole, ragazzil... ".

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Stentarono a credere, poi mi fecero fest a . Arrivò anch e il vecc hio alban ese. Fu nostro ospite e lo pagammo con una manciata di monete d'oro, dopo di che due soldati de1 genio lo riportarono sulla sponda di casa sua.

Per due giorni , sebbene avessi una gran fame, n o n riuscii a inghiottire un boccone. Avevo lo stomaco stretto come un pugno.

P er convalescenza, mi mandarono in Italia app ena arrivai, m'acciuffarono e, come sospetto di col era, mi tenn ero in quarantena stre tta.

D a Gro t taglie mi misi in treno per Piacenza dove avevo la famiglia . Era un treno ' lumaca, ma mi piaceva lo stesso perché mi dava la sazio ne che fosse la vita. Scendevo in tutte le stazioni. In una , comperai i gio rnali , fra cui la .. Domenica del Corriere ". In prima pagina c'era Wl& ! b ella tavola a colo ri con un uomo che sparava nella pancia a un albanese. Ero io . Sotto il di segno , c'er a scritto che il Re mi aveva co nc e sso la M edaglia d'Oro al valore . I giorn ali lo sapevano , io no ... ». « E adesso? » - domand a i. Ercole 'l:l11dò alla finestr a. Il tempo era cambiato improvv i sa mente. S'era messo a piogg ia. Nell a stanza era qu a si buio. «Adesso - disse Ercole - passati più di cinquant'anni , so pravvivo alla gloria . Mestiere difficile... ».

Dissi: «Come uno che dopo cinquant' anni non è più tornato in coscienza ... ». « Così d avvero ... » - disse.

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SU l!N « GRILLO » DI LEGNO TERRORIZZO ' GL I AUSTRIACI

Dove finiva la strada asfaltata, finiva la città.

Erano le ultime case di Roma. Al di là, cominciava la campagna. Era piovuto di fresco, la terra era gonfia come lievito.

Le case, tutte uguali, erano divise in lotti. Muri sc rostati, scale aperte e, lungo le 3Cale, odore di muffa.

Giuseppe Corrias, Medaglia d ' Oro al valor militare della Marina da guerra , abitava in una di quelle case, nel lotto numero sette, all'ultimo pi'ano. Non è che il lotto sette fosse diverso dal sei oppure dal dieci; le case parevano fatte con lo stampo; la muffa e l e scrostature provocate dall'umidità, per non rompere la monotonia del caseggiato, erano ripartite in misura uguale.

All'epoca in cui prese la Medaglia d'Oro , ·Corrias era marinaio, anzi fuochista, e l'azione fu compiuta contro il porto di Pola durante la

Capitolo III
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prim a gu erra mondiale. Fu l 'azione che passò sotto il nom e di «colpo del Grillo».

Oggi, nell 'a mbiente della Marina, chi dice " Grillo", dke mezzi d 'assalto, e il " Grillo", per l'appunto, fu il precursore di quegli ordigni che si chiamarono prima " migna t te " poi " maiali". P er dirla in breve, affondamc:·nto della "Viribus Unit is ", con Paolucci e Rossetti, e in seguito , nell'ultima guerra, affo ndam en to dell e corazzate inglesi "Queen Elizabeth" e "Valiant ", con De la P enne, Schergat e Marceglia .

Degli assalta tori del " Grillo ", che erano in quattro, due soltanto sono viventi, Giuseppe Corrias e Francesco Angelino. Allora erano marinai , adesso sono capitani del CEM.M, naturalmente nella riserva.

Per la Marina, della guerra 1915-1918, sono le sole Med aglie d'Oro ancora al mondo. Gli unici che possono raccontare le loro avventure. Per gli altri, parlano i libri. Corrias aspettava alla finestra. Fece cenno di salire. Le scale erano bagnate di pioggia. Al di là della porta, mi trovai davanti un uomo basso, tar·chiato , con l a faccia tutta mandibole, la p elle olivastra e i capelli come spilli. Gli occhi erano neri e vivaci. L'accento sardo, duro e spiccato. Sedemmo a un tavolo. Seduto, Corrias sembrò invecchiato di colpo. Le gote, gli cadevano qua si sul collo. Mi guardai attorno. Alle pare ti , al cune cornici di legno ; nelle cornici, due brevetti di medaglie e una vecchia fotografia del "Grill o . ,

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Ercole Ercole il fanhlSma

Corrias l'uomo del « Grillo»

dopo l'azione, quando lo ripescarono gli austriaci e, come cimelio, l'esposero a Vienna. Sul canterano c'era un ritratto di Corrias vestito da marinaio, all'epoca delle missioni speciali. Guardai lui e guardai la fotografia.

«Cinquant'anni fa - disse - Altri tempi. Rischia vo la .pelle ma stavo meglio. Non avevo pensieri. Niente figlioli da sistemare, e n essuno li vuole; niente conti con la lir a, niente baruffe con la miseria. Una cantata, un bicchiere di vino e via ... S'andava. Se si tornava, bene; si era pronti per un.'al tra volta. Se non si torn ava, amen. Uno di meno. La Marina andava avanti lo stesso ... ».

Anche allora, Corri as era un uomo tracagnotto che dov eva pesare poco meno di cento chili, ma ogni ch ilo era un muscolo. Guardai la fotografia del " Grillo ".

« Ridotto male... » - diss i.

« Prima una cannonata - disse Corriaspoi, scoppiò sott'acqua ... ». Fece una p ausa. Si tormentò le mani.

« Quei maledetti siluri che non partirono - disse - Gli diedi una martella ta che avrebbe spaccato un mur-o ma loro rimasero lì, a ttaccati al ganci o e, dav an ti , c'era una na ve da far gola. La "Viribus Unitis ", la più bella di tutta la flotta austriaca ... ».

La voce di Corrias era un po' arrochita. Forse, gliela aveva ridotta così l'aria umida del mare. Si può dire che respirò l;lria di mare da quando nacque. 'Suo padre faceva il mugnaio, sùa madre ·CUoceva il pane in casa e lo rivende va, ma lui preferiva andare a pescare nel golfo, da-

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vanti a Cagliari. Fece il mozzo su battelli di poc he tonn ella te ch e navigavano fra la Sa rdegna e il Con t.inente, ca ri chi di sal e ·e di rottami d i ferro ; s' imbarcò sopra un a goletta ch e, in seg ui to a u:q fortunal e, fece naufragio n ei pressi di Cas tiad as, dove c'era il bagno penale, e nel 1912, chiamato a lle armi, venn e spedito in Mari na, come allievo fu ochista.

« Gli alli ev i fuochisti - .di sse - fac evano quaranta giorni d'istru zio ne a terra, nella base della Maddal ena ; p oi, p er digerire la di sciplina di bordo, ch e era rigorosa e tagliente, come si di ce, tagli ente, va b e ne'? venivano destinati ai piroscafi d a trasporto che facevano il ca b otaggio fra i por ti militari ... » . Interruppe il racconto . «La mia grammatica non è t an to a posto - disse - ma fa . lo stesso . I o parlo con le parole mie, n ella rhia l . l . . . ? mgua, e1 m1 capisce, nevv ero .... ».

· La sua lingua, · come diceva lui, era il sarJo. L'ave va co ns erva ta intatta durante gli anni, che erano tanti, ,tr ascors i fu or i e lontano dall ' isola.

« Dopo i piroscafi da trasporto - ripr esep assa i sulle navi da guerra. L a prima, fu l'incrocia tore " Libia ", una bella barca che a un certo momento venne mobilit a t a per l a camp agna in Estre mo Oriente. Dovevamo and are in Cina , ma come capita nella vita militare, dato

· l'ordine, arrivò subito il contr'o rdine. Sbarcammo, infatti, e ci mandarono sul " Dandolo'\ un altro incrociatore con due fumaioli e con cannoni di ogni ca libro. Ero sempre fuochista ... ».

« Lo b eve un caffè ?» - mi domandò.

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In quel momento entrò uno dei figli. Giovanni, H più giovane.

« Di' a tua madre che prepari due caffè, senza farmi sfigura re ... ».

Il ragazzo uscì.

«Non c'è . modo di trovargli un lavorodisse Corrias - Tutti promettono, tutti dicono che è giusto darmi una mano, ma fino adesso sono rimasto con un pugno di mosche. I o domando , ma loro dirann o " Ch e vuole quello scocciatore? Che crede, perché è Medaglia d'Oro ... Che ha fatto?.:. " ».

Si passò una mano sulla faccia e si sprem e tte la bocca che aveva a falcetto , con gli angoli voltati in giù.

«Niente ho fatto. Fra l'altro, la Medaglia d ' Oro non l'ho più, l'ho perduta in Libia, con tutto il resto ... ».

S'alzò, tirò fuori dal canterano le tazz e del caffè. Quelle belle, dell e grandi occasioni, blt1 con un cerchietto dorato. T o rnamm o alla stori a. «Con il " Dandolo " - diss e - nel 1914 part ec ipai alle ope razioni per l 'occupazione dell'isola di Saseno, davanti a Valona , in Albania. A quell'epoca, c'erano disordini dappertutto e pP-r tenere l'ordine erano stati mandati soldati ingl esi, tedeschi e italiani. Dopo lo sbarco a Durazzo e a Va1lona, al " Dandolo" di ede il ca mbio il " Sai n t Bon " e noi ce n e andammo a Rod i e poi in Libia. L 'aria S?peva già di gu e rra. Dappertutto c'era odo re di bruci ato. Scoppiato il pasticcio in Serbia , cominciò il lavoro in Adriatico, dove gli austriaci avevano

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seminato mine come patate . Dagli incrociatori passai alle torpediniere che si distinguevano con una sigla di due lettere. Ce n'erano dodici con la sigla " OS "; dodici con la sigla " PN " e altrettante con il nominativo "AS " . Filavano che era un piacere, avevano due tubi lanciasiluri, un cannone da usare contro i sommergibili, due mitragliatrici e un cannoncino antiaereo . In più, avevano sei bombe di profondità.

La guerra scoppiò anche per noi e le squadriglie torpediniere vennero mandate come base, prima a Chioggia· , poi a Venezia, alle Zattere. Cosa facevamo ... ?». Tornò il ragazzo e sedette al tavolo. accanto al padre. «Tu sta zitto -disse Corrias - e !asciami parlare in pace ... ». «Non ho detto niente» - .disse il ragazzo. «Lo so .il tuo sistema. A sentirlo, pare che ]a guerra l'abbia fatta lui. .. ». Guardò il «Adesso ho perso il fi'lo ... ». «Cosa facevate con la squadriglia torpediniere'?» - domandai.

noi mettevamo mine davanti alla costa ' austriaca. Facevamo a chi ne metteva di più . Si usciva di notte, quando non c'era la luna, e le seminavamo lungo il litorale. Una volta. nel saltare in acqua, una mina scoppiò e spaccò la poppa della torpediniera. A bordo, c'era N azario Sauro. Veniva sempre con noi. Lui che era di quelle parti, conosceva bene le coste e ci guidava . Che brav'uomo! Un tipo alla con un'aria un po' triste. Aveva il destino in f accia. Che brutto destino, povero Sauro.

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Una notte che s'andò fuori con un MAS. per una missione d en tro un porto austriaco della Dalm az ia, credo che fosse Umago, volle venir e a tutti i costi. Per Sauro, ogni volta che usciva, ci sarebbe vol ut a una medaglia. Se lo prendevano era la forca e lui lo sapeva. Quella notte, siccome c'era la nebbi a, perdemmo tempo a cercare l'imboccatura d el porto. Spw1 tò l'alba ; siccome dovevamo passare sotto un faro , fummo costretti a rinunciare. Ricordo che durante la n avigazione, Nazario Sauro mi chiamò a poppa e mi offrì metà della su a cena che teneva dentro una vali getta. Aveva un bel pollo arrosto. Era allegro. Mi disse: " Mangia, Corrias. Meglio che mangiamo noì che loro ... " . E io: "Se d acchiappano, comandante, alt ro che mangiare pollo ... La facciamo noi la fine d ei polli...". Sauro diventò serio e mi diede una manata sulla spalla. ''La faccio io quella fine , non tu ... " - disse. Lo guardai e mi sembrò già morto. Capita così; qu an do uno la morte la sente addosso è come se la morte fosse già arrivata. Vive, ma sono tutte giornate in più .. . ». Nell'Alto Adriatico, ne i giorni dal 15 al 17 se ttembre 1917, Giu seppe Corrias fece aJcune missioni ch e gli procurarono la medaglia di bronzo al valore. Andò in terri torio nemico, deposi t ò un informat ore e tornò a riprenderlo. Feee; f't'f.s.sappoco, quello che, in Aeronautica, fece il tenente Eugenio Casagrande che andava al di là d el Piave con un minuscolo idr ovolante, scaricava gli informatori e, dopo alcune notti, ripeteva il volo e li p ortava via. «Nel settembre d el ' 17 - ra cco nt ò Cor-

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rias- ero imbarcato su una torpediniera. ·Un giorno, il comandante ci rhmì .jn coperta e disse: " Domani ci sarà una missione pericolosa. C'è qualcuno che si offre volontario'?"' . Mi feci avanti io. P artimmo con un MAS. . A bordo c'era, come guida, al posto di Sauro, un altro ufficiale delle terre irredente. Si ch!amava Palesi . Era un ·macigno ; forte come un leone, mangiava co:me un turco . Come passeggero, invece, c'era un altro ufficiale, uno strano tipo, con una giacchetta malandata, un berrettuccio di lana e una barba finta. Dovevamo portare costui sulla riva nemica, in una località dove aveva la famiglia. Tutti lo ·chiamavano Toni e basta. Come corredo, Toni .aveva gabbia con quattro piccioni, un fagotto di mangiare avvelenato e una con un pomo di piombo. Sul MAS, avevamo caricato un battellino di legno con gli scahni di gomma che serviva per raggiungere la costa. Entrammo nel porto di Umago e dopo il MAS si fu addossa to a uno scoglio, · misi in acqua H battellino e ci salii sopra con T oni. C'era buio come in un pozzo. Il mare era calmo . Si se:qtirono voci. " Fammi sentire che lingua parlano" - disse Toni. Restammo in ascolto . Ci passò accanto, senza vederci, un piccolo motoscafo. Sul molo si sentiva rumore di carrucole. Un soldato cantava. Era una bella no tt e tranquiUa. Nessun frastuon o di cannonate e neanche quelle maledette raganelle delle mitragliatrici. Approdammo fra i cespugli . Si vedeva la st rada e, poco più in là, la ferrovia . Una barca gironzolava al largo. Restammo fra i cespugli più di un'ora. Toni disse "Bisogna che esca quando

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passa il treno . C 'è da attraversare un p assaggio .a livello, guardato d a una .sentinella ... " . " Treni? Qu an ti ne passan o?" - domand ai. E Toni: "Uncr ogni ora ... " . " Veni va su il giorno. N on se ne fece ni ente. A testimonianza dello sbarco, portammo sassi e frasche. Rip etemmo l'azione dopo due giorni. Prima di separarci, T oni mi diede appuntamento p er mezzan otte del giorno dopo. Na scond emmo un carico d'esplosivo· fr a i ces pugli. Vidi T o ni allontanarsi. Salì lungo la scarpa ta dell 'argine con la gabb ia dei p iccioni, messa in spalla come uno zaino. Sen tii il treno che arrivava e me ne andai. Forse ce l'aveva fatta. L ' ind omani nott e, fu i puntuale all'appÙn tamen to . Toni doveva fa rs i riconoscere con dei segnali luminosi... Pri ma uno lungo , poi tre brevi. Quand o arrivai ai cesp ugli, calò un po' di nebbia. Era meglio. Vid i il primo segnale . M'avvicinai. Al secondo ·lampo scesi a terra. Accan to a T oni, però, c'era uno in divisa austriaca. Fu un brutto momento. Uno di quei momenti in cui salta fuori il cuore .

Il primo pensiero fu che Toni mi av esse tradito. Avevo una b aionetta. Dissi: "Uno lo ammazzo, poi farò i conti con l 'alno ... "».

L ' interruppi: « l p avrebbe ammazzato? ... » .

«Come no? - diss e - In quei momenti si va per Je·spicce. Si giocano i no s tri quattro soldi di pelle... ».

« Cosa successe? ».

« Successe che mentre io tiravo fu o ri la tt"'.1 jone tta , T o ni diss e: " Fermo, è m io fr a tello ... ». E "? h" . « po1 . ... » - c 1eS1.

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« Andammo a prendere le bombe. Le mettemmo in un o zaino e il frat ello di Toni se ne andò attraverso la ferrovia. Noi ,,)rnarnmo a l battello. Per via, Toni mi raccontò che. dopo attraversato il passaggio a livello. si era nascos to nella s talla di casa sua in mezzo al fi eno e che, all 'a lba, l'aveva trova to suo padre. Il fr atello , ferito a Tolmino con l'esercito austriaco , e ra a casa in convalescenza, ma siccome er a italiano, lavo r ava per noi. Con l'esplosivo d oveva far saltare la strada f errata ... ».

«Papà - diss e il raga zzo- parla del '' Grillo " . Quello è il f a tto important e ... ».

Il padre gli diede sulla voce. «Sono tutti importanti - disse - oppure nessuno è. importante. Chi capisce la gu err a. pensa così...». S'affacciò .la moglie. « P epp ino - diss e ·racconta a nche d e i figlioli che non trovan o l avo r o ... ».

«Zitta tu - ribatté Corrias -non sono cose di donn e ... ». Staccò il ritratto del " Grillo " e lo mise sul tavolo . Lo guardò a lungo.

« Orm ai - riprese - si faceva parte d e lla squadriglia che poi, come si dice adess o. diventò la squadriglia dei mezzi d 'ass alto. C'erano Ri zzo, · Paolucci, P ellegrini , Ciano, Ross e tti , Angelino , io, Milani e altri. Comandante, e ra Costanzo Ciano . Uomo di gran fegato, Ciano. sempre pronto a pagare di persona. Il chiodo fisso, nella t es ta di tutti i marinai, era il porto di Pala. C'era no grandi fortificazioni e qu as i tutta la flotta a ustriaca. Un a vo lta, un sommerfrancese ch e tentò di e.ptrare, rimase im-

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pigliato f·ra gli sbarramenti e lo finirono a cannonate. Per scavalcare le ostruzioni, ci voleva u n mezzo speciale . Un barchino ·leggero, che sapesse superare le travi e i cavi d'acciaio. Una specie di carro armato acquatico, inso mma . Difatti , il "Grillo", fu un carro armato acquatico. Era tutto di legno, lungo quattr-o o cinque metri, aveva un equipaggio di quattro persone ed era armato con siluri. Sui fi anchi. aveva i cingoli. Il motore era elettrico, azionato da 80 accumulatori presi in prestito dalle ferrovie. La autonomia era di sette ore. Andava piano, quattro o cinque miglia all'ora ma quello che contava era che in acqua non faceva un filo di rumore. Il timone, naturalmente, era mobile, si alzava e s'abbassava a seconda dello spessore degli sbarramenti».

«Che erano quanti?» - gli chiesi. «All'ingresso della baia erano quattro, formati di grosse travi irte di chiodi e di funi d'ac·· ciaio, distes e in tutti sensi. Per di più, il porto di Pola, appena faceva buio , pareva un lun a park. C'erano tanti riflettori che ci si vedev a a giorno .

Le prime prove del " Grillo " le fac emmo alla Giudecca, dove il G en io aveva fabbricato un tra tto di sbarramenti sul genere di quelli di Po la . Alle prove venne anche il Re. 1-·fettemm o in acqua quattro barchini, il nostro, uno battezzato "Pulce", un altro " Cavalletta" e il qu arto "Locusta" . Il Re guardava c , come faceva lui , parlava da solo, masticando le parole nel men to.

I n attesta della fine della luna, gli equipaggi

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vennero .mandati in licenza; io preferii restare in cantiere per mettere a punto l'imbarcazione. A giudizio dei comandi, l'impresa era molto ri. schiosa; alla fine fu .deciso che l'avrebbe compiuta un solo barchino e fu scelto il "Grillo". Prima della nostm azione ne furono tentate tre , due nelle notti del sette e del nove maggio 1918 e una terza, il 12 maggio; nessuna ebbe esito. L'ultima, fallì a causa del mare grosso che ruppe il congegno di lancio dei siluri. Il colpo buono, anche se non fortunato, avvenne nella notte .fra ·ill3 e il 14 maggio . Si doveva entrare nella rad a, lanciare i due siluri e dopo, per evitare che cadesse in mano al nemico, distruggere il barchino».

Otto giorni prima, con un MAS e due torpediniere, i!l comandante deH'impresa, Mario Pellegrini, venne portato fin nej pressi di P ola per studiare la situazione e , in special modo , la sorveglianza del nemico. Le lucì che a intervalli s'accendevano lungo i contorni della baia, frugavano il mare in tutte le pieghe. L'acqua bril·lava come succede prima che sia giorno . «Alla vigilia della partenza - disse Corrias - venne a trovarci Gabriele D 'Annunzio . Lui era di casa al comando dei :MAS . Ci salutò e fece l'atto di consegnare a Pellegrini un libro . "Lo darai all'ammiraglio austriaco se cadrete prigionieri" . Era una filippica contro l'Austria che metteva in dubbio i suoi voli. Lo Ammiraglio Thaon di Revel volle vederlo. Ne lesse alcune frasi e lo riconsegnò al poeta. Disse: " Se arrivano -con questo libro in mano , li ammazzano tutti...".

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rtimmo di nascosto da Malamocco , alle cing e m ezzo del pomeriggio . Il " Grillo ", coperto con un ten done, era a rimorchio del M AS comandato da Ciano. .stavamo acquatt ati d e ntro )' fond o del "galleggiante", sotto l a tenda . Il gruppo dei mezzi ch e ci scortavano e ra da due MAS , il 95 e il 96, e da due torp edi,n ie re , la 9 e la 10 PN. Noi ind ossavamo una speciale tuta di gomma, gonfiabile s ulla schiena , scarpe di te la, guanti anche di ·gomma e in tes ta avevamo un passamontagna di l ana. Sugli occh i, due grosse lenti. Come ann i ind ivi du ali, portavamo un revolver e un pugnale. In fondo al " Grillo", c'era anch e una gabbietta con t re piccioni; alle zampe erano gi à a ttaccati i messa gg i " Siamo feriti ", oppure " az ione procede ", oppure ,., ci sono morti a b ordo " . Sul principio, il mare ci di ede fasti d io poi , si calmò. Il cie lo, invece, ch e alla parten za era chiaro, s'era coper to di nubi. .. L a costa er a uno sbarramento di nebbia. Ci portarono a rimorchio fino a sette miglia da l porto di Pola, dopo ci sganciammo dal MAS. Ciano ci guardò ·e dis se: " A posto , ragazz i? " .

" A posto " - rispondemmo noi. " In bocca al lupo " - disse Ciano.

Io avevo al collo una fiascl). e tt a di cognac. Ne bevvi un sorso e dissi rivolto a l comandante : " Ecco, in bocca al lupo. Saluti a chi torna , se q ualcuno ritorna ... " . Bevvi un altro sorso.

" Tu non ti ubriacare " - di sse Ciano. '' !-.·1eglio ubri aco che mala to" - gli risposi.

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E Milani: " Andiamo a tro ' are Fran sct:' Giuseppe.. . ".

A:ngelino fece un col 1Jraccio . l :1CO me tri dalla di ga di P ola, ci stac •:amm1l l\f!.1S n. 95 , che aveva continuato a scortar , e p 1.1:1ta mmo verso l 'isola di Sari ( ,irolam . . T u t 11 e quattro stavamo sdraiati in c• •perta per re alla luce dei rifl etto ri. di Capo Compare e di Pw1 1< · Cristo. Si spc gnevano quelli e se ne accend1 vano altri. D is .-, i al comandante: « Buttiamoci ' erso terra, se .dlarghiamo siamo fritti». Acc e•S t ammo. Un lascio di iuce ci passò su11 a tes l::t . All'imbocc•ì, trovammo quattro fanali a lu <i incrociate. l.: t paura era di finire sull e mine A un tratto, .'ì'? ntimmo un a bestemmia. Ridwemmo ·i moto1 1. Erava rna a un passo dall e prime ostruz ioni Vedemmo d ue cavi d ' acc iaio che p :1 rtivano da terr a e finivano sul i ondo . Ang elh11 1 disse: "M ine".

P er fortun a non enmo m ine. I r i fl ettori si e rano spenti. le nuvole, 'edemmo l'estremità d e l mp lo di Punta Cris to. I n stavo al timone, Milani e Angdino ai siluri. 1 l comandante al cent ro del barc hin o. Vicino allo sb arramento, c'era 11n galleggia nte . " E questo? " -domand ò 1-.lilani.

"Forse è il guardapor to"- il comandante P ellegrini. In quel mom ento. arrivò una fucilat a . Colpì il tim one. P o i un g rido in itali ano.

''Chi va là? P arola d ' ordine " . E ancora : '' Chi sie te? " . " Austriaci! " - grid a i.

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moto cingoli e alle tre e qualcosa scavalcammo il p imo ostacolo. Come una esplosione, s'accese un iflettore che ci investì in pieno. Attaccaro no a \ parare dappertutto. Con gli scl?ioppi, le mitragÙatrici, i cannoni. I colpi, ancora non andavano a' segno ma facevano paura. Si vedevano le vampe degli spari e, subito dopo, s'alzav:mo zampiloli d'acqua intorno a'l "Grillo''. Da una nave, s'accese un g rosso proie ttor e che ci rischiarò la prua . Il passaggio d ell a prima ostruz ione durò du e minuti circa. Eravamo in azione da due ore» .

« A bordo - domandai - cosa succedeva?».

« Eh, signore mio, cosa voleva che succedesse? E-ravamo lì, col fiato fermo in gola, come un tappo. Chi dice che la guerra non fa paura? Ah, così; perch é chi dice che non fa paura, in guerra non c'è mai stato. Ma ]a paura si vince, questo sì. .. ».

« Che si pensa, p apà in quei momenti?»domandò il ragazzo che fino allora aveva ascoltato in silenzio il racconto del padre.

«A ni ente, si pensa - rispose Corrias - Si . p e nsa ad andare avanti e basta .. . ». . Fece una pausa, chiuse gli occhi . M en tre lo guaTdavo li riaprì.

« Rapidamente scavalcammo la terza e la quarta ostruzione . Fr.a l'una e l'altra vi erano su per giù due metri. All'improvviso vedemmo un fanale rosso. " Guardate là" - disse il comandante . Doveva essere un'imbarcazione mandata in rinforzo al guardaporto per evitare che

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en tra ss imo. Bisognava. lanciare a tutti /cos1i da d ove erav amo. Come b ersaglio, ave . la nave co n il riflettore acceso. Un co lpo di cannone scoppiò vicin o al Gr-illo. Angeliho, che stava dis tes o acc anto ai siluri, venne1ferito al braccio; le schegge danneggiarono il congegno di sgancio. A un tiro ·di fucile c'era la Viribus Unitis. Pareva un catafal co . Vicina, c'era anche l a Santo Ste fano. Lanciare voleva dir e fare centro. Sparavano sempre come diavoli. L'a cqu a bolliva come un a pignatta di fagioli . Tentammo di buttarci contro la quin t a os truzione, ma la barc a con il fanale rosso era sempre più vicin a . Ci avrebb e pres i qu ando il Grillo era impennato sullo sb arramen to. Pellegrini capì che n on c'er a più niente da fare. Mi dis se: "Va sotto e accendi gli inneschi d elle bombe, apri anch e la valvola per all aga re il barchino" . A poppa, c'erano l·e caric he per distruggere il Grillo. Ris alii in coperta . Il comandante - si chinò per accen dere la miccia. L' acqua veniva dentro ad ag io. Gli dom andai: " Com an dant e, lanciamo lo stesso'? Come va , va ... " . .

" " - disse il .comandan te e puntò in direzion e della ·nave nemica. P er via d ell'acqua che omiai avev a invaso la stiv a, il motore si fenn ò . And ammo avanti ancora p er fo rza d ' inerzia. Te ntai di far partire i silùri. Non si staccavano . Gli di edi prim a una pedata. p oi una martell a ta. Nien te. D a ter-ra no n sp ar avano più. Certamente credevano che il barc hin o fos se stato co lpito . Quando, però, sentirono di nuo vo i motori per qu alche secondo ,

l
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li ...

ci coprirono di Sembrava Pentecoste. Un'altra cannonata d prese in coperta, a dritta , ma il barchino ormai affondava. Ci trovammo in mare. Si sentì un boato dal fondo. Il Grillo era esploso. · · Angelino aveva un braccio quasi staccato, galleggiava in una pozza di sangue. Mi sembrò morto. Gli buttai d e ll'acqua in faccia. Disse " Mamma, mamma ''. Gli legai il braccio sano con la cinghia della tuta e me lo caricai sulle spaHe. S'avvicinò una barca. Gli austTiaci erano più spaventati di noi. I marinai parlavano italiano. Gridai: " Prendete questo, è ferito, non è ... ". Lo condussero a riva . Noi tre, il comandante; Milani e io fummo portati sulla Virihu,g Unitis; mi misero u n cerotto sulla testa e mi diedero una tuta di tela. Ci volevano bendare. Dissi: " Che lo fate a fare'? Tanto le navi le abbiamo già viste! " .

In mezzo a un picchetto armato d fecero salire in ·coperta d<we c'era il Comandante. Er a una bella nave, mi J11orsicavo le dita. Domandai: " C'è qualcuuo che parla italiano?".

E Pellegrini: "S ta zitto ... ". Si fece avanti un ufficia'le. Disse: " Io parlo italiano. Hai qualcosa da dire?". Dissi: " Fate dire una Messa e ringraziate Dio. Per un pelo non siete saltati in aria! ... ' r Finimmo m,Jle prigioni di Pola, in celle separate, come delinquenti. Ci interrogavano ogni due ore. l Jna volta mi domandarono: " Cosa siete· venuti a fare? ". " Per affonda re . le navi " - risposi.

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" Dove sei na t o? ".

'' A Cagliari, in Sardegna " . ., L a Sardegna non es ist e . .. » . L'avrei strozzato. Gli dissi: "Se non esiste la Sardegna, non es iste n eanche l'Austria, b as tard o.. . ''.

Qu ando non seppero più cosa chiedermi, mi dissero che mi conoscevano, che ero uno che lavorava. a Fiume. Voleva dire la forca. " Fiume - ribattei - non l'h o v ista neanche in cartolina ... " . "Allora spiegami com'era il canotto".

I o mi tir avo n e lle spalle. L' amm iraglio che mi interrogava, un vecchi accio con la lana bianca, lungo le guance, batté il pugno sul tav olo e disse: " Se n on parli, ti faccio far e la fi ne di Sauro ... ".

D a Pola, in treno, ci trasferirono in Au stri a , a Lebrin, poi a Mauthausen. Ric ordo solo la fame, da torcere le budella. Feci sei mesi di prigionia ».

«E la medagli a d 'oro?» - domand a i.

« Lo seppi al campo di con centr amento. C' e ra scritto su un giom ale che aveva u n nostro sold a to f atto prigionie ro al Pi ave. Nel 1919 rientrai in It alia e nell'estate lasciai la Marin a . Ero sottocapo, promosso per meriti di guerr a ... ».

«E dop o?».

« D o po continuai a n av igare , sempre come fu oc h is ta , su una nave c he fa ceva la rotta del Sud America poi, nel 1923, siocome un amico mi parlò tant o dell 'Africa, mi arruolai nelle F orze Anna te e ven ni mandato in Libi a. P er

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qu attro anrii feci ancora il milit are, mi presi un 'altra medaglia di bronzo durante le opera z ioni di polizia coloniale e alla fine tornai a fare il civile. Rientrai dalla colonia nel 1943, quando gli ci cacciarono via» . « Brutto affare» - disse il ragazzo. « Brutto affare - ribatté Corrias - T ornai nud o, a mani vuo te. Anche la Medaglia d'Oro è rim as ta laggiù ... ».

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L'ASSALTO ALLA BAIONETTA DEL CAPPELLANO CARLETTI

Gli guardavo le mani. Bianch e e de lica te, scoss e da un leggero tremito. :M'allungò una lettera . «Legga» - disse. La lettera di ceva: « Sono un reduce d el glorioso 207 Fanteria, Brigata "Taro". Classe 1896, matricola 13330, feri to gravemen te durante ·l' assalto nemico, all 'al ba del 30 maggio l 916, a Passo Buole. Mi chiam o Libra C eleste. Abito a Milan o, in viale Fulvio Testi 84 ».

Dissi: «Sempre precisi questi vecc hi solda ti ... ».

E lui: « L egga, la prego ... ». Domandaj: «Si ricorda del soldato Celeste Libra?» ..

Sorrise. La facc ia era bianca come le mani. Un po' L a luce che entrava dalla finestra gli illuminava i capelli candidi. «Se lo ricordo, il buon Celeste Libra? -disse -· Li ricordo tutti anche se talvolta non

Capitolo IV
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ne rammento i nomi. A una certa età la memoria si fa avara. Ma le facce, le facce dei r agazzi di. Costa Violina e di Passo Buole, come si fa a dimenticarle? ».

La lettera diceva: «La mia vita civile è leg ata al fatto d'armi di P asso Buole, ai miei compagni che non sono più e in particolare modo al dottor Annibale Carl e tti che, con un cucchiaio di cognac e quattro sigarette, mi ridiede la forza di riprendere il combattimento e di affrontare H nemico quand o venn e all'assalto, all'alba del 30 maggio 1916. Caro · dottor Carl e tti, mercoledì 30 maggio è la nostra festa e cioè il quarantas e iesimo anni ve rsario e, sapendolo an cora fra i vivi, la prego di un abbraccio fraterno pieno di ricordi gloriosi, mentre attendo un suo appuntamento in qualsiasi posto di Firenze. Sarà per me uno dei giorni più belli della mia via». La lettera conteneva un post scriptum. «Mi vo rrà scusare se sono un po' sconclusionato , è causa le mie ferite alla testa. Quando p e nso a quei fatti e in specia] modo a lei, non posso più tratten e re il pianto e mi viene un forte mal di capo». «Venne, p oi, il soldato Libra ? Firenze?» - - domandai. « Si fece accompagnare da un nipote. Lo riconobbi sulla porta. Gli tremavano le gambe. Mi buttò l e braccia al collo e scoppiò in singhiozzi. Uscimmo insieme. Andammo a sederci a un tavolo del caffè Gambrinus. A un tratto, Libra s'allontan ò. Di fronte , c'era un negozio di liquori. Tornò con una bottiglia di cognac.

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.\ f e la diede. Disse: " Sono passa ti quasi cinquant'anni, dottore; i bicchierini sono diventa ti ci nq uaii ta " . Qu ello che il soldato Celeste Libra chiamava dottore Anniba·le Carletti , all'epoca deHa battaglia di Passo Buoie era don Cadetti, tenente cappellano del "207 Fanteria", brigata ''Taro", unico vivente fra i tr e cappellani militàri decorati di Medaglia d'Oro durante la grande guerra. Don Giovanni Mazzoni, infatti , è morto nell'ultinJO conflitto, mentre Don Pac ifico Arcang eli , la medaglia se l'è presa alla memoria.

D on Annihale Carletti non esis te più. D a cinquant'anni, circa, non è più sacerdote. Ha moglie e figli. Del cappellano d'un tempo è rimasta soltanto una storia e domando al lettore di giudicare se questa storia non rasenti a volte la favola. Si tratta , infatti , di una vicenda di eroismi qu as i inverosimi1i , di tormenti spirituali repressi , di tragedie accettate e non ava llate, conclusasi, a fin e guerra, con un gesto di rib ellione che portò il prete d'allora fuori della Chiesa. Lui dice: « Scelsi la via d e l Samaritano ». Trovai Annibale Carletti a Firenze. Sepolto sotto il silenzio di cinquan t'anni di solitudine. Io stesso, quando gli telefonai, credevo di rivolgermi a un sacerdote e, durante la telefonata, Io chiamai sempre "don Cadetti". Lui non disse nulla. Mi died e l'appw1tamento come lo diede al solda to Libra il quale, forse. arrivò a Firem:e senza sapere nulla, come me. di quanto era accaduto al vecchio capp"ella11o.

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Sapeva che era al mondo e per questo gli aveva sc ritto.

L a ca sa era vecchia e silen ziosa , in un quartiere pieno di verde e di spazio. Un a vasta scala di marmo, al di là d 'un can cello di fen o battuto, conduceva alla p or ta . Il silenzio era fres co e sonoro, come in chiesa. Carl e tti , mi a spe tt ava in cima alla scal a. Diritto, non ostante i suoi se ttant asette anni di cui, i tre dell a guerra, qu as i cer tam ente, furono i meno am ari anche se tutti i giorni il " cappellan o" di Passo Buol e moriva d e ntro per i s uoi soldati. Notò la mia meraviglia , ma as p ettò ad affrontare l' argomento. Anch ' io cominciai a chiamarlo " dottor Carlet ti " , ma le mie parole e ran ç> impac ciate .

Sedemmo. Lui d a un lato d el tavolo, io dall 'altro. Gli guardavo il viso e le mani e pens av o "mani .consacrate". Ma subito scacciavo il pensiero e di cevo : " Adesso non sono più mani consacrate, ma sono delicate e bianche com e se la co nsa crazion e f osse un guanto " . Mi p ar eva, infatti , che Car le tti av e sse le mani calzate in ·gu anti bian chi e sottili.

Disse: « Ci vuole più co raggio n ell a vit a civile che sui campi di battaglia ... Viver e senza più una vita. civile, come m e ... ».

Le rughe del viso e rano fonde; aveva altre rugh e alla radice del naso. Continu ò a parlare . Diss e: « Sono sta to sempre u n ribell e dello s pirito . Non so pensare di et ro comando; d 'alt ronde , con le leggi non si .fann o n é i Santi ; né i martiri, n é gli eroi. Non riconosco a nes70.

suno l' autorità di essere la mia coscienza e di pensa re e d ecidere _per rne » -

L e sue p arole erano l a ris posta aJl e mie occhiate aJle mani. L e nascose so tto il t avolo .

«Il Dio di molti cattolici - disse - è un Dio do meni caìe . A mi o giudizio , per servire Dio, è indiffe rente essere su un a strad a o in una ch iesa. P er me, tutt o è tempio, tutt o è a lt are . In guerra, il soldato avev à per tempio il cie lo e p er altare il Van gelo. So io che cosa sia stata la forza d el Vangelo per i sol d a ti...».

« Ma lei div entò sacerdote» - dissi.

« Queste id ee matur arono dopo, la gu e rra fece il resto ».

«C h e rest o?» .

«C reò la rottura e l a rottura , portò la mOTte ci vile» .

Fece un a pausa. Ripose la le tt era d el so ld a to Libra d entro una car tella nella qual e ce n'er ano molte altre. Ci ap poggiò sop ra l e palme d elle mani con Wl ges to che sapeva di liturgi a.

«Sono n a to in un p aese vicino a Cremona, nell a bassa - disse -. La mia prima scuola fn l'a rg ine d e l fiume. L a vita che scoprii, da ragazzo, fu la vi ta del ven to, d ei pioppi , d ei fi ori , del grano. Le nuvo le, accompagna vano i miei pensier i. Quando ven ne l'epoca del co llegio , siccome cos tav a meno, and ai in seminari o. Di ven ta i pre te. L a lotta cominc iò s ubito. Scop p iata la guerra, partii da Cre mona, soldato semplice. F eci tappa a Piacenza poi, mi caricaro no su u n treno e mi spedirono a Udin e . In tr en o c'era un campionario di 11manità nu-

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da; chi pregava, chi bestemmiava , chi si con solava con un fi as co di vino , chi si divertiv a a dire sconcezz.e.

A Udine, ci accam pammo nei dintorni della città. Io ero stato aggrega to al Corpo di Sanità . Un giorno, venn e un ufficiale medico e d om an dò chi voleva partire per iJ campo dei colerosi di Pot Sabotino. Mi offrii vo lontario. insieme con un altro so ld ato. All'arrivo, vidi il più trem endo spettacolo di d olore e di morte. Il campo era fatto di tende, le te nd e e rano in un a va lle, protetta dal mo nte contro i b om b a rdamenti. Sa lei cos'è il co lera? ». Non aspe ttò la mia risposta e co ntinuò: « I o lo so, l' ho visto. Giova ni so ld a ti ridotti com e sc h ele tri che brancicavano nel vom ito e nell o sterco. Molti morivano, altri ven ivan o salvati. Con i morti, s'andava p er le sp icce. Li seppelli vamo in una fo ssa co mun e e li coprivamo di calce. Er ano troppi per so tterra rli un o alla voi ta. Ogni ta n to, dal Sa botino piovev a una granata randagia. D ove sco ppiava, da va una mano al colera.

Da Pot Sabotino mi mandarono a O slavia e po i sul Podgora dov e i sold ati and avano aJI'assalto di tr incee impossibili e restavano crocefis si sui reticolati. Anche in trinc e a c'era il coler a e io andavo all a ri cerc a d ei colero si. Li portavo a Manzano, in un ospedaletto da campo, recinto di filo spin a to. Per me, assiste re i colerosi era una pregh iera continua perché la preghiera, secondo me, è opera di bontà e sforzo di risollevarr e il dolo re verso la

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Re ticolati a Pa sso Buo le

Il « Vois in » d ell o « 00 7 » d ella prima mond ia le

speranza. Questo pensavo allora e adesso. Sbaglio?».

«Perché chiesi - Qualcuno diceva che sbagli ava?». «Allora non dicevano niente, lo dissero dopo». Ti rò un sospiro.

Domandai: «Diedero una spiegazione'?». «Nessuna spiegazione - rispose - Fu l't 1ltirnatum bell'e buono .. . » .

Dissi: « Non si può trovare una spiegazion e a tutto ... ». Sembrò contrariato. « l:na spiegazione disse - c'è sempre ... ». Non risposi.

« Ne ll a primavera de l '16 - riprese Carle tti - lasciai Manzano e andai al "207 " reggimento fanteria, come ten e nt e cappellano. I soldati, in prevalenza lombardi , erano tutti ragazzi di vent ' anni, freschi di vita militare, digiuni di trincea . Il "207 ", teneva la linea sulla s in is tra dell'Ad ige . Il fronte saliva dal fiume, toccava Castel Dante, quota 418 e Corna Calda. D opo, c'era la Vallarsa e in Vallarsa e ra attestato il " 208 ". Gli austriaci stavanp di faccia e occupavano in parte il Pasubio,' il Corno e lo Spill. Noi, del "207 ", avevamo dato il cambio a l "1 14 Fanteria". E r avamo sali ti in linea duran te la notte. Il tra ffi co era sempre di notte. Muli, uomini e camion. Si camminava in fila , in s ilenzio , lungo i sentieri tarlati dalle granate. I ncrociavamo i soldati che scend evano. Barbe lunghe, mantelle la-

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cere, blocc hi di fango, a l p os to d elle scarpe . Qualcuno aveva du e fucili , il suo e qu ello di un morto. Il n em ic o stava arroccat o sul monte Biaen a e c i sparava addosso con i ca nn on i. Con i grossi calibri tirava s u Rover e to e a Rove r e to, dove arrivavano le cannona te, s i vedeva no gl i intestini d e lle case ... ». A q uell' e p oca, era nell'aria l a famosa "spedizione punitiva" co n la quale gli austriaci si proponevano di sfondare il fronte italiano in due punti per r ag giunger e Ve rona , a ttrave rs o la Val Lagarina , oppure V icenza, scava lc ando l' Altopiano di Asiago . Pres e a ll e sp all e , la T e rza e la Seconda Annata sarebbero sta t e e liminat e dalla lo tta. In a l tre parole, C a pore tto con un anno d i an ti cip o . I comandi conoscevano all'incirca anche la dat a d e ll 'o ffe nsiv a; i pr igi on ieri aveva n o parl a to . ma Cadorn a ci c re d ev a p oco p e r v ia di un a convinzione c he , senza dubbio, aveva la sua logica. Se l'offens iva a ndava b e ne. la guerra pot eva an ch e fin ir e quell'estate e co ntro ogni regola, gli a us tria ci l' avrebbero v inta. «Appena a l fronte - di sse C a rlelli - ce rca i subito il contatto con i so ldati . Vo levo c he la mi a anima diventasse la loro e la loro p au ra, la mi a . Non è vero c.h e in gue rr a non si ha paura. Se ne ha ta nta, invece. Dicevo ai solda ti : ' ' Pr es to comincia. Bi sogn a farsi coraggio " . E lo ro: " Ci sa r à anche lei, no '? " . E io: ., G uardate sempre avant i. D ove ci sarà il pericol o, ci sarò io ... '' . Ormai e rav a mo ag li sgoccioli. T utti erano s icuri che d a un momento all'altro g li aus tri ac i avrebbero attaccato. Il

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co lonn e llo D a nio ni mi di sse : " D on Annib a le, bisogna ch e le i p a rli ai r agazz i. Li far ò r a dunare a gruppi , in un p ost o defilato". Di ss i parole che impegnarono l a mi a cosc ienza. Pressappoco, di ssi così: " L a g ue rra , ragazzi , è una brutta cosa e non h a pi e tn pe r ness uno . Quando c 'è, n on f. più tem p o di dis cu t erl a , bi sogna acc e tt arl a come un a tt o di fede] tà a ll a Patria e come volontà di osa r e l'impossibil e per v incerla. E ' stato detto ch e la fede è la follia della Croce; il tri colore d'Italia può dive ntare la fo lli a d e l soldato ch e tr ova il coragg io di morir v i so pra .. . " . Mi asco lta vano sen za fi a tare. Ogni f ac ci a era un dr a mma . Dissi an co r a : " Come Cris to e bbe il coraggio di morire sulla Croce p erché l' umanit à avess e un a nuova nascita n ella lu ce della verità e dell ' amore , così noi d o vremo aver e il co raggio d i p a tire e combatte r e p e r amore d ell' It alia, n ell a s peranza c he d o mani la gu err a s ia dichiarat a fuori legge e ch e dal nostro sac rifi cio nasca un mondo nuov o, di bontà e di pace . N essuno deve mancar e al dovere. N e ssuno alzi b a nd iera bia nca. Sarebbe un ' infamia. Qui , tutt o ci può essere p e rdonato , trann e la libertà di esse re viglia cc hi. La paura n o n c i può aiut ar e, l a fuga non ci può sal var e ... Ci comporteremo in modo che nessuno abbi a mai a vergognarsi di noi. .. " . Calava il sole . Il front e era ancora calmo. l co lpi di cannone rimbombavano sulle colline. La notte, passò agi tata. Verso l'al b a dal 15 maggio, cominciò l' attacco con una furib onda preparazione d ' artiglieria. Ni ente faceva più d a ripa r o . L a terra

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tremava e cuoceva sotto i piedi. Pe r effetto del tiro, la lin ea si scompagi11ò. C 'era nervosismo e paura . Appiattiti sul terreno, i soldati aspettavano la fine dell ' inferno . Qualcuno disse: ''Meglio morire subito che fra un'oral ". Ci furono i primi .feriti e i primi morti. Dilaniati d all e granate. Il tiro dei cannoni era così rapido che se1nbrava un grid o . Correvo da un punto all'altro della linea. Bisognava tenere a tutti i cos ti , per dar mod o ai rinforzi di arrivare ... ». «C'erano i rinforzi'?». - d oma ndai. «Speravo che ci fossero , ma irr realtà non c'era niente. Il " 114 reggimento" era lon tano, verso Bren toni co, dalle parti dell 'Al tissimo. Era a riposg.. Il tiro dell 'ar tiglieria durò un paio d' ore. Dopo, cominciò l'assalto. Gli austriaci venivano su dalla spalla del monte, a plotoni affiancati.

A Castel Dante, in una picco la seLla , c'era un sergente con una mitragli a trice. Sparava sen za un m omento di tregua. Ero con lui, qu ando una granata es plose vicino. Fummo coperti di terra . Il sergente venne ferito. Lo portai indietro. Pass a i accanto a tm soldato. Mi domandò: " Moriremo?... ".

In quell 'Istan te. a quota 418, vidi uno spettacolo orrendo; un sottotenente alzò b and ie ra bianca e si consegnò prigioniero con il suo plo tone . Un capitano, era •nascosto in una buca. Aveva la faccia bianca di spaven to. I sold a ti pian piano si ritiravano. Non avevano più munizioni , gli uffici ali erano morti oppure feriti. L e granate avevano scrostato la

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collina. Tentai di non credere a ciò che vedevo. Alzai le bracci a per ferm are i soldati. Grid ai: " Bi sogna tornare indietro ... I o vado avanti! ... " . Si fermarono . Mi seguirono. La lotta si ria ccese spie tata. Ri co nquistammo le posizioni perdute. Dal suo nascondigli o, il capitano urlava: " Bravo, bravo Cadetti! ... " . Anch'io avevo un fucile in s palla, ma non spara i un colpo. un soldato al comando di reggimento per prendere ordini. Tornò ·e mi diss e che il coma ndo , con la bandiera, era partito per Costa Violin a . Non anivavano rinfor zi. Gli uomini erano divorati dalla sete. Il nemi co ci aveva circondati. Cosa fare ? Arrenderci ? Volevo ordini. Chi dava o rdini, ormai'? D ovevo deci dere da solo . Cedere, sare bbe stato un disastr o. Gli austriaci li ave vamo ormai di facci a . Un ufficiale mi gridò in italiano: · " Arre nditi, non c'è più salvezza!...". "Non m'arrendo!" - urlai. Ricacciammo il nemico e riprendemmo · la vecchia trinc ea . App ena buio ci mettemm o in cam mino anche noi per Cost·a Violi na. Io restai sulla ·linea, fra i morti e i feriti. I cannon i non sparavano più. S'alzò il vento. In fondo alla valle, le case di Lu zzana erano un rogo. Si sen tiv a no soltanto gemiti. I feriti dell'uno e dell ' altro campo, in lingue divers e, invocavano la mamma. E' la sola parola che dice chi si sente vicino a morire. Gli austriaci non si muovevano. Asp e ttavano che ci facessimo vivi per farci morti. Dio mio , quanti morti c'erano Ì!I1 terra! Con i pugni chiusi , gli occhi sbarrati, le corde del collo tese ... » .

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Fece una lunga pausa . Si coprì il viso con le palme delle mani. Entrò la moglie. Gli andò accanto e gli carezz ò i capelli. ·

«Continui - ·· dissi -- Sto ascoltando ... ».

«All'alba del giorno 16 maggio, raggiunsi i soldati che scendevano verso Costa Violina. Il n emico ci era alle calcagna. Dissi ai ragazzi: " Possiamo farci colpire alle spalle?". Arri vò un portaordini mandato dal maggiore Spallicci che aveva preso il comando del Reggimento. Aveva il fi ato corto, parlava a strappi. Disse: "Il maggiore dice che soltanto lei, signor tenente, può portare i soldati all'assalto alla baionetta!... ". Se ne andò . Guardai gli uomini che mi stavano attorno. Facce lacere, sfinite. Mi buttai avanti, !=!OSÌ com'ero, senza niente in mano . Mi seguirono un'altra volta . L'assalto alla baionetta, non si dimentica più nella vi ta. Un'orgia di sangue e certi urli che non li fanno neppure l e bestie!». «E lei?» - domandai.

« Io ero in mezzo a loro , sporco di sangue come loro, con la testa che mi andava a fuoco».

D 1 quell'assalto rimasero in pochi. I superti :ti, co] prete-sold ato in testa, raggiunsero Costa Violina dopo aver ritardato l'avanzata nemica. A Costa Violina, intanto, era arrivato, in rinforzo, il "114 F anteria".

« TTovai il mio comandante - riprese Carletti - dentro una grotta in cui c'erano akuni pezzi d'artiglieria. Ai pezzi c'era un giovane ufficiale, Damiano Chiesa. Aveva il d estino scritto in faccia. Non so come, mi condussero

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al comando di Brigata . Ero pazzo di dolore. Davanti al generale mi misi a gridare con tutto il fiato che m'era rimasto: " Sono io il r esponsabile! Io, del iberatamente, senza ordini di nessuno , per una ragione al disopra di me, li ho trascinati alla morte! Sono io il loro assassino ... ". Fu una crisi che mi lasciò pieno di ferite.

Il Reggim ento andò ad Avio, v icino ad Ala, per iicostituirsi. Avevamo perduto all ' incirca duemila uomini. I complementi erano già sul posto. Dieci giorni dopo, eravamo di nuovo in linea, a Passo Buole ».

Mi fissò negli occhi. Domandò: <<Ha mai visto Passo Buo]e? ».

Risposi di no con un cenno della testa .

« E' una selletta nuda - disse - fra due alte cime; · cima Loner e cima Mezzana . Si combatteva in palcoscenico . Gran parte d ella sella era difesa dal mio Reggim en to . L'artiglieria austriaca tirava )ungo, aHe nostre spalle , per bloccare i rifornimen ti. Di notte, il sentiero che por tava a.l passo era pieno d'ombre e di voci confuse. Ogni tanto s'accendevano i riflettori e scorrevano sulle trincee. Il 29 maggio, sul fare del giorno, ci furono i primi assalti nemici. Noi non avevamo t·rincee solide. C'erano buche, piccoli ricoveri fatti di sassi e fossi scavati in fretta. Gli austriaci risalivano dalla valle attraverso il bosco. Passo Buole era la porta della Val L agarina e dire Va l Lagarina, era come dire Verona . Con la conquista d i Ve rona , saltavano all'aria le Armate del -

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l'Isonzo e del Carso. L'ordine t:;ra il solito: "Non cedere un passo . Morire sul posto" .

La giornata del -30 maggio fu la fine del mondo. I soldati si battevano alla disperata. In piedi, in ginocchio , carponi, con i fucili, con i sassi, con le baionette e ·i pugnali. Gli austriaci impiegavano per la prima · volta proiettili speciali, uno sposalizio micidiale fra la granata e lo shrapnel. Gli attacchi erano sempre più furibondi. A un tratto, a Cima Mezzana, il nemico riuscì a spaccare in due il mio reggimento. Bisognava ricucire i tronconi. Con che cosa? Ancora una volta .mi assunsi una responsabilità che non era la mia. Ma cosa avevo detto ai soldati, prima dell'attacco? Convinsi un capitano del Genio a gettare la sua compagnia nella battaglia. Li portai all'assalto. Andò bene. La minaccia, però, non era cessata. Gli austriaci premevano d all'altro lato, su cima Loner. Il comandante del 62° Reggimento chiedeva rinforzi. Glieli condussi io lun. go la cresta del monte ... ». . « Non fu ferito?» - chiesi. «Mai, eppure tiravano come ossessi .. . » . Rimase un attimo soprapensiero. «Che sia un bene o un male? » - diss e . Fuori s'e ra fatto buio. Una piccola lampada lasciava cadere sul tavolo una pozza di luce gialla. Visti vani i loro attacchi, gli austriaci cominciarono a ripiegare e i difensori di Passo Buole li inseguirono verso la vaUe, con in testa il cappellano. Faceva da strada il torrente Leno . Le poche case erano sgombre o devastate.

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«Mi fermai per orientarmi » - disse Carletti - Al di là del torrente vidi un ufficiale degli Alpini. "Dov'è il nemico?" - gli domandai. Mi indicò un punto, in fondo, dove si vedeva un pimnacchio di fumo.

" Là - disse - ci sono le trincee.. . " . "Allora?''.

" Fermatevi. Siete pochi... ". "Conosci la zona?" - domandai.

" E' casa mia ... " - rispose.

" Come ti chiami? " .

" Cesare Battisti... " .

Tornai verso Passo Buole. Dal Passo, che nelle relazioni dei comandi venne definito " Le Termopili d'Italia", andammo in linea sul monte Zugna. C'erano trincee solide, grotte, camminamenti, ripari di roccia. La guerra riprese un ritmo nonna•le; pattuglie, artiglieria, uscite notturne, feriti, morti sui reticolati. Intanto era venuto l'inverno . Nevicava silenziosamente sulle trincee ... ».

D al fondo della stanza venne la voce della signora Carletti. Sedeva su un divano, al buio . Disse: « Racconta la storia dei soldati condannati a morte ... ».

Lui alzò la testa. « Credi sia proprio necessario?» - domandò.

« » - dissi io.

«Bene. Una notte ebbi una visita improvvisa . Piombò nd mio ricovero il capitano Olivetti. Aveva la faccia stravolta. "Che cosa c'è?" - domandai.

" C'è - disse - che è arrivato l'ordine di fucilare quattro soldati che hanno abbandona-

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lo la linea e stati fermati dai carabini eri di Al a".

" Veng o - dissi -m a per difenderli '' .

" Sei m a tto '? - ribatt é OHvetti -E ' un o rdine d el C oma ndo Sup eri ore . Vogliono dar e un esempio".

" Ti ripeto ch e vengo p er difenderli " .

" Bè - d isse Olivetti - se è così, t'accompagno ... " .

I quattro. so)dati erano s ta ti fermati m entre andavan o in lice nza arbitr ariamente. Credevano di averne diritto , p iù d i quelli dei contandi che ci andavano sempre e non avevano mai sentito un sparo .

Scendemmo dal fronte e camm inammo tutta la nott e . Arrivati a Marr an i, Olivetti av ve rtì il colonnell o Banci, comand an t e dell ' artigli e ri a d i Malga Zu gna, che ero venuto per dif end ere i disertori. Banci faceva parte del tribu nale m ilitare. Mi prese per un b r accio e diss e: " C ade tti , non faccia sciocc h ezze. P o tr ebbe costarle caro. E' un ordine del Comando Supremo".

Lo guard a i negli occbi. " Io li difend e rò lo stesso". Di ven tò pallido.

Il tribun ale era riunit o in paese, a ridosso di un muro. Il paese era v u o to . C'era una piazza fango sa, un a c hiesa un po' offesa dalle cannonate e un campanile che stava su p er miracolo.

I qu attro diser to ri erano in r iga, da van ti al tribunal e . P areva n o ombre . C erca i il loro sguard o, n on so se mi v id ero . Di fianco, erano

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già te scavate le fosse. Il plotone z ion.e.- ra prooto:- Perché tésempio fosse sal u · tare, av vano convocato a Manani reparti d i tutte le \\uppe de ll a zona . Domandai la pa .. . ro l a . I giudici del tribunale si consultarono.

" Parli '' - disse il presidente.

Le prim e parole mi uscirono a htica . " Se questi so ldati avessero avuto la volontà di disertare - dissi - avrebbero potuto farlo a Passo Buole, quando erano rimasti senza munizioni e senza ufficiali. Se il tribunale vuole strappare alla Patria quattro ragazzi che sono sempre pronti a dare tutto se stessi, allora , prima di sparare contro di loro, dove t e sparare contro di m e ... ". Andai accanto ai soldati e li coprii con le braccia in croce.

Non ci fu condanna. S'avvicinava l'e p oca di Caporetto. Avevo lasciato i fa n ti e d ero andato con gli ardi t i . Be ll a truppa, gente spavalda, a ll egra, spesso arrogante. All a vigilia del disastro , ci mandarono in linea alla difesa de l Nat isone. Il fronte era già rotto a San ta ·Lucia e a Santa Maria , nei pressi eli Tolmino. Che cosa volevano da noi'? Vo levano che gli Arditi bloccassero la paura che c'era ormai dappertutto. \f en tre eravamo in marcia, vic ino a Cividale, arrivò il contr'ordine : raggiungere Mont e COJ·ada nella zona del "27 Corpo d'Arma ta ", comanda to da Badoglio. Il pasticcio stava là . C'era diso r dine dappertutto. Fan t erie, camion, cavalli, cannoni, tutto in una sola lunga, disordinata colonna . I soldati gridavano " La guerra è fi n it a 1 " . Al t ri gli facevano

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eco " Tutti a casal " . Altri ancora: " E ryva la pace . Abbasso gli ufficiali " . Domandai a un soldato: ., Di eh/ reparto sei? " . Buttò il fucile e diss e: " B;Jgata d ella pace .. . ' ' . Incontrai un ufficiale che avevo conosciuto nel Trentine. Disse: " Bi sogna co rrere a difen dere Udin e . Andate all'osteria di Cusane e da Cusane corre te a Udine... " . " E il g e nerale? " dom an dai. " Dorme !. .. " . " E i cannoni, perch é non sparano ? ". Si tirò nelle spaJle. C ammin avamo a piedi, facendoci larg o fra la gente che si ritirava. L e prime pattuglie austriache furono affr onta te col pugna le . Una lott a tanto selvagg ia quanto inutil e. Poi, anch e noi cominciamm o a ritirarci. Tent am mo di fermar e chi fuggiva. I civili insultavano i so ld a ti. Gli gr id ava no: "V ig li acchi! ... " ma i soldati non reagivano. Altrave rsammo il Pi av e a nu o to . Ci fu il crollo, ma ci fu anchè la riscossa. Monte Tomba fu il primo combattimento d e lla ripresa . Lasciai g li Arditi e a nd ai fr a i dis e rt or i. N e avevano fatto una briga ta. Toccò a me, rifarli nell 'an imo e restituirli a lla gu err a ... ". Non dis se a ltro.

« E la M eda glia d'Or o?» - domand ai. Mi aUungò un'altra lettera . Era dell ' ex Pres id en te della Corte Costituzionale, Cappi. Diceva : " I lu nghi m esi pRssa ti con lei a Cim a Mezzana e a Malga Zugn a so n o sempre presen ti nel mio spirito. Non as t a nte i disagi e i pericoli fu la stagione più bella d ella mia v ita.

)
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-la notte serena e ghiaccia che scesi ad Ala 'Ner assistere alla consegna, a lei, della Medaglii\d'O:ro . .Il : generale Ricci se : "'Ti ··ricambio il bacio che tu hai posto sulla fronte dei nostri eroi morenti ... ". «E dopo?» - domandai. «Tornai dalla guerra. Scrissi all'autorità ecclesiastica che cosa avevo visto, cosa bisognava cambiare. Fra me e il Vescovo di Cremona ci fu uno scambio di lette re che fu uno scambio di idee. Dopo l'ultima lettera e dopo un ultimo incontro, il Vescovo diss e : "O ripudiate le vostre idee o fuori d ella Chiesa .. . " ».

« Ci fu risposta '? » - chiesi. « Ci fu risposta. Dissi: " Non posso dichiara r e di c re der e in ciò che non credo!... " ».

Il colloquio finì come uno strappo. La croce che allora l 'uomo di Passo Buole aveva sul petto, ora la portava sulle spall e, in sil e nzio, da cinquanta lunghissimi anni... Cadetti è morto il 18 febbraio dell'anno scorso . L'annuncio, datato da Fil;enze, diceva: '' E' serenamente spirato Annibale Cadetti, Medaglia d'Oro al Valor Militare 1915-18. Le esequ ie avranno luogo sabato alle ore 16 .30 presso i:l cimitero degli Allori , in via Sen ese ... ». Nessun accenno di Chiesa . Era la conclusione di un'agonia, protrattasi pe r oltre dieci lustri e finita in silenzio , con nobil e dignità.

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SEG ALA VA CO N LE LE NZ U O LA L E OFFE N SIVE D E L N EMICO

Fu cinq ua nt 'anni fa . M a a se ntirl e racco ntar e oggi , le s torie di C a millo D e Carlo , una sp ecie di " 007" di quei tempi lon tani , se mbra ie ri . Sarà c he rit occa te , ad a tta te e condite di fa n tasia s i so no le tt e in ta nti ro m a n zi di spi o naggio, m a nessun a storia. a n c he seri tt a in punta di p e nn a, fu m a i tanto s incera e ta nto a vv in ce nte co me qu e ll a c h e mi r accontò D e C a rl o. prim a \tled agli a d ' Oro a l valore, h a i cosiddetti ., Missionari del Pi av e ' ' . C ' incontrammo in un alb e rgo di N a poli. Di cia mo fu o ri sede , d a to c h e Camill o De C a rl o , non as tante a bbia un a casa so ntuosa e storica a Vittorio Ve neto, abit a nel Sud. In a lb e rgo, abituato all a vita spicciola e fretto losà .

All'epoca della stori a, nel m aggio d el 19 18, De Carlo era giovan e e massiccio com e un gio catore di calcio. Spalle largh e, collo co rto, m a ni solide, piedi qu a drati. Ora, v ici110 a i se t-

Capitolo V
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tant'anni. è più corpulento e un po' smagliato, rp.a ha conservato intatto il tipo di quegli uomini che una volta si chiamavano di mondo. Nato a Venezia, veniva da una famiglia dell 'alta borghesia veneta, di origine cadorina. Per farla breve, lo allevarono in sella a cavalli di razza e, come tutti i giovan i della sua estrazione, studiò di malavoglia.

«Almeno - dissi - le sarà piaciuto fare il soldato ... ». Storse la bocca.

« Feci l 'ufficiale di cavalleria - disseperché mi sembrava elegante; ma l'unica cosa che feci con gusto fu la guerra. Allora, s'intend e; e l'avventura fu bella, bella davvero ... ». Aggiunse: «Mia mad re, che era intel.Jigente, quando le dissi che avevo deciso di fare il militare scosse la testa. "Non sei fatto per con tare le code dei cavalli " - disse. - " Prima va a Parigi, conosci la vita, poi decidi... ". Andai a Parigi, finii di segria. tor e nel piacevole mondo dell 'alt a moda. Belle donne , stupende amicizie, qu ello che ci voleva, insomma, per essere felici ... ». Si baciò la punt a delle dita. Era tutto. «La gu erra - dissi - buttò all'aria ogni cosa?».

« Sì e no - rispose De Carlo - Arrivò al momel)to giusto ... ». «Perché?».

«Senza la guerra - disse - il mio romanzo sarebbe rimasto una storia che av,rèbbe potuto essere, mentre, con la guerra, la mia storia è di ve nt a ta un romanzo che si è realiz-

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za to. Sentivo che avrei fa tto qualcosa di buono».

S'allungò sulla poltrona. L' occupava tutta. «Mi richiamarono ai primi del '14 - disse -e mi destinarono a Bracciano, in Ca·valleria. Ero sottotenente. Spesso mi mettevo in borghese e co rre vo a Roma p er mescolarmi alle dimostrazio ni per l'intervento. Allo scoppio della guerra ero a L'Aquila dove, con vecchi e bolsi cavalli di requisizione, si stava formando la "colonna munizioni" per le briga te '' Acqui " e " Pinerolo ".

Da L ' Aquila andammo a Terni e da Terni a Palmanova. Le fanterie s' attestarono sul Carso, noi restammo sulla destra dell'Isonzo e di là facevamo la spola fra le retrovie e il fronte. Andavo spesso in linea. Per una strada buia, piena d 'ombre e di parole confuse. Mi piaceva l 'odore di bruciato d el fronte. Cosa ricordo di quel periodo ? ». Chiuse gli occhi e riordinò i pensieri. Ne approfittai per studiarlo. Fece tut to come un personaggio di lan Fleming, eppure non aveva ·niente d ell a spia audace, spericolata. A giudicarlo , anzi , dall'aspetto, pareva un ricco signore di campagna, avvezzo, data la corporatura e il rubizzo della pelle, alla buona tavol a e ai vini di gusto pregiato.

« Ricord o - disse - che nei primi giorni ci spingemmo fino a Beglino, fra Pieris e Ronchi, e che su Ronchi cadevano le grana,te di cannone come pioggia; sbriciolavano case. La " colonna munizioni " non era servizio per i .miei gusti. Mi piaceva muovermi, ba t-

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te nni , magari a vere paura. Ecco, mi ci voleva un 'arma dov e provare la ;pa ur a. D ecisi di andare in Aviazione. Mi sembrò la scelta migliore. Feci domanda al Comando della III Ar. mata e mi spedirono a Roma, a Centocelle, pe r il corso d 'osserva t o re d ' aero pl ano. Dopo qualche mes e, mi des tinarono a ll a XXV Squ adriglia " Voisin " . Ha prese nt e i " Voisin " »? Risposi che li rammentavo vagamente, ma che in ogni modo sapevo ch e era no ma cohirne d a pionieri.

« Davanti - dis-se D e Carlo - erano aeropl ani , dietro avevano il corpo di farfall a. L a mia, era u na squadriglia di eletti, con in tes ta Ignazio L anza di Trabia. Un personaggi o d 'altri tempi. Al cam po veniv a spesso D ' Annunzio . Vol ava e faceva bombardamenti con noi.. . ».

Dopo una p ausa, aggiun se: « Arrivò C apo rett o . Av evo lasciato la XXV squadriglia ed e ro passato al comando aeronaut ica della III Armata. C'erano nomi di spicco , come PomiHo, Moizo, Sandro Sardi. D a noi, l 'aria era a n cora sana. Ness uno sospettava il crollo. Eppure, a Santa Maria la Long a, vicino a Pozz uol o, c 'erano s ta te terribili decimazioni ; soldati che s'erano Tibelìati perch é non gli da vano il cambio. Come sapemmo, noi, di Caporet to? Un giorno partì in volo un osservatore, to rnò ferito. Ebbe appena il tempo di dire : " Vengono , vengo no , sono tan ti... " . Dopo morì. Com inciò la ritirata. Con l ' Es e rcito si ritiravano i paes i . I contadini s' u n ivano alle colonne, arrivando dalle strade dei campi. A

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piedi , coi ba'rocci, in bicicletta, po rtandosi dietro quello che avevano potuto salvare d ella casa.

Ripiegammo a nch e noi p er la strada che d a Udin e portava a P ordenone. D opo una sos ta a l campo della Comin a, p assammo il Pi ave e c i ferm ammo a Mogliano Veneto, dove il Duca d'Aost a aveva messo il suo comando. Fu in quei giorni che mi chiamarono all ' ufficio Informazioni. Il telegra mma e ra a fir ma del capo, il colonnello Smaniotto, degli Alpini. .. Sm aniotto mi aveva conosciuto b ambino ; s ua moglie, tTiestin a, era am ica d ella mia povera mamma. Appen a nel suo ufficio mi gu ardò e disse:

" Lei parl a tedesc o, vero? " . " Lo parlavo da ragazzo -ris posi Adesso faccio di tutt o per ·dimen ti carlo ... " .

E lui : " Male, bi sogn a conoscere la ling ua del ne mi co " . E dopo una paus a : " Sa che il generale Von Below s'è in sed iato nell a sua ca sa a Vittorio? ".

" Ospi ti e vin citori " ·- di ssi. " E' dis pos to a d aiutarm i'? " . " Sono qui " - di ssi'. Smani o tto s'alzò, girò attorno al tav olo e venn e a sedersi sullo spigolo dell a sc ri vania. " Fatta .Ja pace in Ru ssia - disse - i tedesch i portano sul no stro front e quant o hanno di m eglio. Vogliono d ar e una spaH a ta decisiva. Forse, verso la prossima primaver a. Le noti zie c he a bbi amo sono insufficienti, spesso ina ttend ibili ... ". Compitò le parole. " E' necessa rio - disse - che qualcuno vada di là, ol-

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tre il Piave, per vedere e rifer ire. Si tratta di restarci dieci, venti giorni, un mese ... ".

· Per un momento, vissi di nuovo ]a ritirata e sentii le voci dei solda ti. Dicevano: " Il nemico ha passato l'Isonzo a P lava. Il IV Corpo . s'è a rres o . Arrivano. Sono tanti. Prendono Cividale. "E il Duca?". Si ritira anche lui ... " . Accettai. Studiai il piano e tomai da Smaniotto per discuterlo. Dissi che mi accorrevano un buon aeroplano e un eccellente pilota. '' Voglio un Voi sin e Gelmetti che sa il fatto suo - dissi. Atterrerò nei pressi di Aviano. ·Poco lontano c'è il bosco , mi servirà di nascondiglio. Le segnalazioni? Le farò con len zuola distese vicino a un corso d'acqua , per non dare sospetti. I messaggi importanti li . manderò coi piccioni. Attenzione al lancio. Sulle ceste mettete una fo tografia per ind icare come si spedisce u'n co lomb igr amma e sotto una scritta " Buoni cittadini dei t erritori invasi , se volete affrettare l'ora della vostra liberazione, rispondete alle seguenti domande... " . Domande, naturalment e, di caratt ere militare . Il nemico, così , non sospetterà che i piccioni sono stati lan ciati per noi. Mi occorre anche un compagno d'avventura ... ". Smaniotto approvò. Di sse: " Il compagno può sceglierlo fra i ·bersaglieri dell'VIII , in lin ea alle Grave di Papa dopoli. Sono quasi tutti veneti, della zona di Vittorio ... ". Andai in linea alle Grave. I bersaglieri erano comanda ti da un meraviglioso so ldato, il colonn ello Pirzio Biroli. Scelsi il mio uomo fra gli arditi. Si ch iam ava Giovanni Bottec-

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chia , fratello d e l fam oso corridore ciclista» . <<Perché proprio lui?» - domandati. « Bottecchi a aveva p aren ti n el bosco delle Fratte, alle fald e del monte Cansig lio. Mi piacqu e subito. Era serio e forte . Avev a poco più di vent'anni. Lo misi al coiTente dei pi ano. Ascoltò senza sman ie e, quasi con di stacco, diss e : " Va b ene. Vengo ... " . · Ne lla stessa circostanz a, per incarico di Sm an io tto , scel si altri due " missionari" , i fratelli Giuseppe e Giuli o De Carli, che po i andaron o al di là del Pia ve con Eugenio C asag•rande , il pilota che fec e undici, dico undici, straordinarie miss ioni in territorio nemico. Du e nell o s tesso giorno, in piena luce. Roba da non credere . Un ·cuore così. Ci prepa ramm o in gran segre to. Per le riunioni, avevamo scelto una ca panna fu ori man o, con il te tto di canne, che battezzammo l'is ba. All'u ffi cio I n formazi oni ci chiamavano " allievi cadaveri " . Allegro, no? Ci d avano per morti, prima ancora di andare. Mi feci crescere la b a rb a, sembravo più vecchio di dieci an ni. Neanc he mi a madre mi avrebbe riconosciuto.

P er tutto il mese d 'a prile non si vide la luna. Do vemmo rimandare il vo lo a m agg io. Pioveva per dritto e p er traverso. Il cielo, pareva di schiuma. Dovevamo discendere oltre le lmee con l a luna, ma la luna era ridott a, ormai, a una falcetta sottile e sbiadita. L 'ultimo giorno utile era il 31 maggi o 1918. Verso l 'imbrunire del 30, tornò il sereno. " D omani disse Gelmetti - si potrà partire... " .

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" Che giorno è? " - domandai.

" Venerdì " - disse.

" Non parto - dissi - Porta sfortuna ... " . Gelmetti e bbe uno scatto di coltlera. " Tu pa rti ra i lo stesso - disse -a costo di legarti all'a eroplano ... ".

I1 D uca d'Aosta ci chiamò al comando. Era pallido. Disse: " Sono fiero che due soldati dell a mia Armata tornino nei posti dov e siamo rimasti in spirit o. Portate il mio saluto a qu elli che aspettano".

Uscimmo dal comando che era notte. Andai a bussare alla canonica di Mogliano. Ve nne ad aprire il prete tinsonnolito. Ero convinto di non torn are e volevo mettermi a posto con Dio . Dissi: " Sono in pericolo, voglio confessarm i... ". Lo feci al buio, in piedi , al di là della porta. Andammo al campo. Simoni mi prese in disparte e disse: " Com e fai a essere così tr an quill o?".

" Lo sarei meno - dissi - se fosse un altro a partire ... " . Salim mo su ll 'aereo . Gelmetti davanti , Bottecc hi a e io, dietro. Era vamo in divisa. I panni borghesi li avevamo in un fagotto. Niente armi. Partim mo. Una voce gridò: " Viva l ' Itali a !... " . Appena in quota, trovammo foschia. A duemila metri , la nebbia si diradò .. . ». «S i sentiva t-r anquillo?» - domandai. D e Carlo si tirò nelle spalle. « Tranquillo '? La paura la sen tivo nell o s tomaco e f acevo fa tica a digerirla. Gli austriaci bombardavano

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Treviso. Vedevamo le vampe delle bombe e le luci dei r-iflettori. Sorvolammo il Piave. Giù , si vedevano i campi, le case di Sacile, la brughiera . Sulle Praterie Forcate, dove dovevam o scendere , s'accese all'improvviso una luce, poi alcuni razzi. Erano i segnali per gli aeroplani austriaci che to rnavano da Treviso. " Cambia rotta - gridai a Gelmetti - Verso Aviano ... ".

Un bimotore nemico ci sfilò davanti in planata . "Scendiamo là" - dissi al pilota e gli indicai una spianata a fianco del campo . Toccammo terra. Saltammo dal velivolo, voltammo l 'aero plano e Gelmetti se ne andò subito. Gli aerei nemici continuavano ad atterrare. Era una notte limpida e calda. Ci mettemmo a correre verso la montagna. La luc e era scompa·rsa. All'inizio d e l bosco, ci fermammo ... ». «Eravate ancora in uniforme ?» - dissi. «Ci cambiammo nel bosco e seppellimmo le divise. Bottecc hia si guarda va a ttorno come un animale che cerchi la tan a. Era venuto giorno . Giovanni, si distese in mezzo a un cespuglio e s'addom1entò. Io, tenevo d 'occhio la strada. Il caldo aumentava e comi ncia va a pesare. Bruoia\·amo di sete. Al tramonto. Bottecchia propos e di andarcene. Disse che conosceva i posti perché un tempo ci veniva per una ragazza. Col buio, ci mettemmo in cammino. Lui. era rientrato nei suoi panni; io. invece, mi sen ti vo a •disag io .

" Allunghi il p asso - dic eva Giovanni -· Così camminano i signori, non i con tad h

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Pieghi le gambe, metta la giacca in spalla e la faccia dondolare... " . Il sentiero saliva. Respiravo in fretta, come un cane. Ci fermammo davanti a una catapecchia. Bussammo adagio. Non rispose nessuno. Giovanni, lanciò un sasso contro la finestra. Si sentirono dei passi e una " s . p 1 '? v ! " s ll voce. e1 tu, ao o. engo.... . u a porta comparve un vecchio. " Non sei Paolo? - disse -- Chi sei? ".

Il vecchio era magro, vestito di cenci. Dent-ro , ci accorgemmo che era cieco. Sedemmo sull'orlo del focolare. Domandò: " Ti manda Paolo?".

"Non lo conosco , Paolo" - disse Giovanni .

"Da dove vieni?".

"Dal - campo di Gemona , scappato l'altra notte".

"Ma siete in due... ". ''Un a1tro prigioniero ... ". E io: " Tornerà anche P aolo. Acqua, moriamo di sete ... ".

" Paolo non torna - disse il cieco - Qui si muore di fame. Adesso che potrebbe stare in pace, non viene. Sono partiti tutti per il fronte, anche i vecchi. Dicono che vanno a Venezia. Hanno tante macchine e tanti cavalli... " .

" Cominceranno presto? " .

"Presto . Ma andate via?".

Uscimmo. Sentimmo la voce del vecchio che chiamava Paolo. Avevo già qua1lche notizia. Dormimmo fino a giorno fra i cespugli. Ci svegliò una colonna di soldati ungh eresi.

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Passati i soldati, a ttraversammo di corsa la strada, appena in tempo per sfugg ire a due gendarmi che· venivano da un viottolo. Tornammo verso la montagna. Bussammo a qualche casa, ma ci chiusero l'uscio in faccia. Non voleva no pasticci con gli austriaci . Avevamo fatto l'abitudine alla luce verdina del bosco. Arrivati in un sito che Giovanni chiamava il roccolo, perché da ragazzo ci ven iva a caccia di tordi, col vischio, vedemmo l a casa. d egli zii di Bottecch ia. Gio vanni entrò solo, io m ' accostai alla· porta. Dentro c'erano alcuni uom1m e una donna. La donna disse a Giovanni: " Non dovevi ven ire. H a i pensato a tua madre?".

" Sono venuto per lei... ". "Se qualcuno se ne accorge - disse la donna - ci chiudono in casa e ci bruciano vivi ".

" Il bosco è grande, non lo sap r à nessun o , Tanto, nel bosco ce ne sono altri, l'hai detto tu ... ". Entrai anch'io. Domandai a uno che sembrava il più vecohio: "Sei di Santo Stefano, tu ? E' tanto che siete venuti via dal Piave? ". " Cinqu e mesi - rispose - Una nott e, è a rri va to un ufficiale e ci ha fatti sloggiare .. . ". Ce l'aveva con i so ldati che si e rano ritirati e non li avevano difesi.

"Tu - dissi - puoi fare qualcosa perché i nostri ritornin o.-.. " .

" Io? " - disse e si piantò un dito in mezzo allo stom aco. " Noi siamo poveri di avoli e basta ... " .

97 s.

"Che c'entra ]a miseria'? ". Lo tirai in disparte . "Avete sentito anche voi che i tedeschi tentano un co lp o? Vi chiedo .poca - roba. Un po' d i _n,otizie. -ll.e ·ca:ttol-ine e le buste lasciate nelle case . Portatel e e possiamo avvertire gli italiani, così li ricacciano nel Pi ave ... ". A\•evo addosso gli occhi di tutti. "Come sa queste cose? - domandò il vecchio. - Lei può parlare con i nostri? " . Dissi che li conoscevo tutti e mi conosceva anche il Duca d'Aosta. Sputai il segreto. Dissi c he ero arrivato in aeroplano. Uno mi domand ò se era vero che al di là del Pi ave c'era il colera. Lo dicevano gli austriaci. Un altro disse: " Dio voglia che li fermino. Ma si preparano brutte cose. Dalle mie parti, a Sernaglia, a Vidor e a Segusin, ci sono più cannoni che spighe di grano. Li hanno messi anche nei cimi teri. Al mio paese è rimasta soltanto una donna che fa la serva alla mensa degli ufficiali. Di ce che gli ufficiali non dom1 ono pm e aspettano da un mom en to all'altro di andare a Venezia ... " .

Il vecchio si chiamava Desiderio Folador; mi presentò i due figli, Ri no e Calliano. Dissi: ., Intesi, allora. Domattina andate e portatemi lettere e giornali".

D ai timbri delle lettere, decifrando il ·numero della posta militare, si poteva sapere le divisioni che c'erario nella zona . «Lavorò b ene , Desid erio?» - domandai. « Benissimo, ma io avevo bi sogno di al tre notizie. Gli domandai se conosceva qu alcuno

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nei comandi. Mord icchiò la pipa . " Forse lui... "· di sse.

" Chi lui? " . "Brunoro. Lui è istruito. Lavora a Vitto rio, a l comando tappa ... ». "Andate e ditegli che vi mando io . .. " . A forza d i dorm ire nel b osco. -!:!i ;era va mo caricati di pidocchi. prime notizie. Venne il ricognito.re .e .con i lenzuo li annunci ai che l'offensiv:l era immin e nt e ne lla zon a d el Montello. ,. · Avver ti to da Desiderio, venne a tr ovarmi La bano Bruno ro. Sa peva tutto p erché era am ico di un cert o Baxa, capitano degli Uss eri, nat ivo di T rieste, il qual e era in confidenza con l' Arcidu ca Giuseppe.

" Dall' Astice al mar e - disse Brunoroci sono cinqu anta divisioni. Il 15 giugno, settem ila cannoni comincer anno a sparare ... ". "E al cen tro?. .. " .

" C'è l'Arciduca, co n sei d ivi sio ni. Baxa l' h a visto oggi e h a d e tto ch e era sicuro di vincere. H anno g ià preparato tu tt o. Hanno un putiferio di roba. Cannoni a non finire ... •:. Riun ì le dit a a mazzetta per indicare che e rano tanti.

" E se Baxa l 'a vesse detto apposta ?" .

" Non credo - disse Bru no ro - Bax a è rimasto italiano . Con gU austriac i finge . Non so se è al corre nt e che sei qui ma fors e lo sos petta e p e r ques to mi di ce cose che prim a non diceva. P er ché tu l e sa ppi a. Mi ha anch e mos trato una ca rt a con scri tt o albrech t, avanza ta . C 'erano i no mi di tutte le div isioni... "» .

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Pioveva a rov esci. Il bosco era diventato scuro. Di giorno, D e Carlo lavora va di scure perch é gli ven issero i calli alle mani. Bo tt ecchia no. Aveva conservato l a mentalit à dell ' ardito. Avrebbe strozza to tutti quelli che incontrava e che, secondo lui, ]o guard avano losco.

Il giorno 8 giugno, il fu oco d'artigli e ri a, sul Piave, diventò intenso . Il fr onte era segnato da un a linea di vampe. · « Una notte. disse D e Carlo -v idi ar·rivare un tipo scu ro e allampan a to. Un pre te. Di sotto la tona ca, tolse un a ces tina di colombi. Scrissi un messaggio con le noti z ie di Brunoro e di Baxà e lanciai i piccioni. F ecero un cerchio, poi si misero in rott a per il Piave ...» . . «Arrivarono puntualmente le notizie?»domandai.

De Carlo annuì col capo. « Seppi dopo - dis se - che quando gli austriaci tent aro no un atta cco disperato nel Basso Piave e H Duca . d'Aosta chiese rinforzi, il Comando supremo non li mandò e così poté mantenere integro lo schieramento. L a battaglia fu vinta». F ece una pausa . Si schennì con un cenno della mano. «Non per le mie informazionidisse - ma perch é i soldati si batterono in manier a superba. Non erano più quelli di Caporetto, sem bravano gente d 'altra razza. Io non ero nessuno, fac evo parte del coro ». 11 18 g iugno 1918 , dopo tre giorni di battaglia, gli aus triaci non avevano realizzato alcun successo consistente. Eppur e avevan o gettato nel1a lotta i] meglio d e lle loro 100

Il 24, cominciarono a npmgar e . L'Esercito crollato. Duecento cinquanta mila uomini erano fuori combattimento. Riprese il racconto. « Gli austriaci, che vedevano scoperta ogni loro mossa, avevano fiutato Il parroco di Cas tel Roganzuolo , era stato arrestato. A Vittorio Vene to comp a'fve un m anifesto. Parlava di " piccioni calat.i dal nemico dentro cestelli" e invitava i cittadin i a porhtrli al comando. Pena, la mo!f te per fucilazion e sul posto. La mia missione era finita. Mandai un messaggio d ' avvertimento. " Il lupo è stanco di camminare ". Significava - che tre notti ·dopo, Gelmetti doveva venire a prenderei al solito posto. A conferma del messaggio, un .ricognitore doveva fare .una fumata con tre scoppi, nel cielo di VHtocio. La fumata n()n ci ·fu . Alle tre di notte me ne andai lo stesso alle Praterie Forcate. Bottecchia non venne, era sicmo che Gelmetti non sarebbe . arrivato perché non s' era visto il preavviso. Difatti, non compal"Ve nessuno. Tornai al nascondiglio. Cominciammo a fare progetti di fuga. L'unica strada era il Piave ,che avremmo potuto attraversaTe a nuoto. Arrivarci non era difficile. Potevamo unirei alle donne che si recavano nei campi a spigolare il grano. . Ci mettemmo in cammino. Mi fermai al cimitero dov'era seppellita mia madre ed entrai anche nella mia casa col pretesto di poctare un fascio di legna. Un uffidale austriaco dormiva sdraiato su un divano.

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Al Piave, le trincee erano quasi vuo te. Tentammo il guado con -la luna. La corrente era forte. Nuotavo male e a fatica; mi ributtò indietro. Ripestammo i nostri pa-ssi. Di passaggio a Tarzo, in pieno pomeriggio, -cercammo in una casa, ma ci trovammo davanti un maresciallo dei gendannì, con un interprete. Sospettò subHo di Bottecohia che era più giovane. L'interprete disse in tedes.co: "Forse sono quelli che cerchiamo''. Attaccò a interrogare Giovanni. Le sue risposte furono in certe. " Dove lavori?". " A Vittorio ". " Perché sei qui? ". " Faccio il falegname ... ". " Mostra le mani!... " .

Le aveva lisce e bian-che. Lo portarono in una casa accanto. Io fui rilasciato. Mi salvai perché ero sporco e sembravo anziano . Giovanni gridava, lo bastonavano. Mi Picordai che avevo lasciato nella stanza un bastone vuoto, con dentro dei documenti. Ton1ai a riprenderlo e scappai. Trovai asilo da una donna che fu la mia salvezza . Si chiamava Maria De Luca». «Di Bottecchia che era successo?».domandai. «Non sapevo più nulla. Aveva parlato? Maria De Luca s'offrì di aiutarmi e , sebbene avesse una figHa moribond a, si mise in strada per andare dal prete di Tarzo. Seppe che Giovanni era stato torturato, ma non aveva aperto bocca. Quando tornò, la piccola era morta.

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Andai un'altra volta ad Aviano verso la fine di luglio, nella speranza che venisse Gelmetti. Feci i segnali con i fiammiferi ma lui non vide e non scese. La casa di Maria De Luca era un rifugio di prigionieri e disertori. Il mio chiodo era la fuga. D a diverse notti avevo il presentimento di un sogno fatto a Pozzuolo del Friuli. Un aeroplano colpito, io che scappavo lungo la riva del mare per raggiungere la casa di m ia madre e invece della casa, una barca ... ». Fece una pausa. «La barca - diss emi salvò. M'ammalai di spagnola. Diventai un 'ombra. Mi .tagliai la barba, sicché non ero più l'ufficiale gross o al quale gli austriaci davano la caccia. D esidefiO Fol ador, mi aveva trovato la barca a Caorle. Una notte, arrivò in casa di Maria un tipo che, qu ando fu dentro, riempì la stanza. Pareva tm albero, ma era titubante. Domand ò: " E' questa la strada del Piave? ... ". . " Come ti chiami ? ". " Italo Maggi - disse - Mi h anno preso in giugn o. Sono dei Laghi...". "Mes tiere? '' . ' ' Ba11caiolo!. .. " .

Lo mandava la Provvidenza. Combinammo di scappare insieme. Maria De Lu ca ci diede anche suo figlio Angelin, di 12 anni. Il maestro elementare di Fregona, De Conti , d fo.vnì il suo pas s;:tporto. Ce ne andammo di notte. C'era un temporale che pareva la fine del mondo. Un'ora dopo la nostra pa-rtenza , la casa di Maria venne circondata. Qualcuno

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aveva fatto la spia. Alla passerella sulla Livenza ci fu un controllo . Andò bene. A San Stino, ci accolse il prete, Don Antonio Morgantin; fu lui che con un biroccio ci p o rtò a Caorle , a casa del sindaco. Non esistevano tracce di guerra. La notte del 13 agos to 1918 , raggiung emmo il padule dov e c'era la barca. Al di là dell'argine, c'era un a batteria antiaerea. Si sentivano le voci dei soldati. Appena in acqua , Itala attaccò a vogare come un di sperato. All\a lba, per sfugg ire agli aerei, c i buttammo a' riva. C'era un carro di fieno. Saltò fuori un marinaio. Gridò: "Al t! F ermi o sparo ... ".

" Italiani - urlammo - Italiani!... " .

Il racconto di D e Carlo, di un uomo armato soltanto d i coraggio , era finito.

« Cosa successe di Brunoro, Bottecchia , ·Baxa, Maria De Luca e degli altri? ... » - domandai.

« Tutti scoperti - disse D e Carlo - Li presero e li portarono a Graz. Furono processati e co ndannati a morte».

« Impi cca ti ?».

«Sfuggirono al capestro perché vennero compresi nel gruppo degli ostaggi rkhiesti dall'Italia per i preliminari d'arm istizio».

«E la Medaglia?».

«L'ebbi tre giorni dopo. Il Re m'invitò a cena nella sua villa .. Volle sapere la mia avventura. Alla fin e dis.se: "Lei racconta queste cose come se si foss e trattato di bere un bicchiere d 'acqua. Qu ello che ha fatto è straordinari o ... ".

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L'Aiutante gli diede un astuccio. C 'era la Medaglia d'Oro che mi attaccò sul petto».

« E adesso ? » - domandai.

«Inseguo la mia vita d'avventure , con meno ·entusiasmi, però ... ».

«Gli anni, forse? ... ».

« Non gli anni - disse - Credevo che la guerra migliorasse gli uomini. Non è vero. Finisce la guerra e c 'è sempre il dopo. Il dopo, . d" . ' peggio 1 pnma ... . ».

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TRENTA VITTORIE

IN UN BAULE

Nella classifica degli " assi " della caccia, fra lui e Baracca, ci sono otto aerei di differenza. Baracca ·ne ha abbattuti trentaquattro; Scamni, ventisei. Ufficiosamente, però, le vittorie di Silvio Scaroni, sono trenta. Lo conferma un bollettino del Comando Supremo, a finna Diaz, in data 13 luglio 1918. Questa storia della " classifica " ufficiale, uscita a fine guerra, è un misto di diffid enza e pedanteria. Per essere omologata, infatti, ogni vittoria doveva avere la garanzia di una testimonianza diretta ma spesso capitava che i velivoli cadevano al di là delle linee nemiche e non erano certo gli austriaci che si facevano premura di comunicare ai comandi itaHani che un aereo era stato abbattuto, n elle circ.ostanze raccontate dai nostri cacciatori. Molte vittorie, perciò, andarono in fumo . Con Silvio Scaroni, adesso generale della

r \ Capitolo VI
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riserva 1:1eronautica, sedeva mo so tto il della sua casa di camp agna a Carzago, nei pressi di Desenzano .

Si discorreva delle sue avv.en ture di guerra, dei suoi num erosi combattimenti e dei suoi amici d 'allora. Nel ·dis corso, torn avano spesso i nomi di Baracca, Ru ffo, Piccio, Ranza , Baracch ini , Michetti. Kell er, un tipo sco ntroso e stravagante che, quando non vol ava, viveva appollaiato s ugli alberi, Marziale , Cerutti , eccete;-a.

Studiavo Scaroni. Sicuro di sé, niente mod esto . Gli dom anda i se anche a llora, quando combatteva, era così spavaldo e lui , con molta fr anc hezza, rispose di sì. Di sse, anzi, che aveva un ' intesa co l d es tino e se non fo sse stato così, durante l' ultimo scontro, ci avrebbe rim esso sic uramente la p elle.

« Non crede?» - domandò.

« Credo » - risposi.

E lui : «Venga a vedere ... ». S'alzò, a ttra versò il portico e infilò l a scala che portav a al primo piano della casa. Era u na loggi a, sulla quale s'affacciavano le camere da letto . Mi condus se in una soffitta. Le trav i d el tetto erano piene di n idi d ' uccelli. Sedette accanto a un ba ule.

«Qui den tro - diss e - c'è tutta la mia vita e la mia storia ... ».

« Fra uccelli, polvere e topi » - di ssi.

«E muffa» - aggiunse lui ridend o . D al b a ule, infa tti, venne su un forte odo re di muffa .

· Nella cassa c'era un mercato di ricordi. Guanti sporchi d 'olio di macchina; una mitra-

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Silvio Scaroni il «cacciatore» for tunato

gliatrice smontata da un velivolo austriaco. abbattuto il 5 dicembre 1917; giornali di citF qua'fit'ànni fa , . sbava:ti e ingialliti; lettere., indirizzate a parenti; fotogr a fie di gente scom. parsa o che vive chissà dove , lo stesso · perciò che se fosse morta; carte topografjch e spiegazzate, una con segnati in rosso i punti dove caddero i trenta aeroplani ab battuti e un'altra, con l'indicazione a lapis , delle batterie nemiche, quando Scaroni faceva il pilota per l'artiglieria; una cèntina di aereo « Caudron », di legno, che si sbrjciolava come crosta di pane, tranciata a metà , con scritta la data dell'inci- · dent e : Castagnevizza 5 maggio 1917; un distintivo di pilota austriaco; un giubbotto di pelle, sforacchiato; pezzi di tela con croci nere , ritagliate dalle· ali dei velivoli austriaci; spalline e cordel1ine di unifonni fuori uso e un lamierino color verde -oliva, con tre buchi nei quali passava un pollice.

« Ecco il patto coi destino - disse Scaroni - Tre colpi esplosivi. E n trano da una parte, scoppiano nella schiena, sopra le reni , ed escono di qui. Un foro che sembra un garofano. Riempio l'aeroplano di sangue, perdo la conoscenza, ·casco in vite per quattromila metri, a ottocento metri da terre. riacquisto le forze, riesco a planare, mi portano aH'ospedale. mi salvo. Basta?».

Domandai: «Guarda spesso il contenuto di questo baule?».

Scrollò la testa. «Non amo i morti» disse .

o Cl. o u \
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Torn ammo nel portico. Un cane irrequi e to g ir ava per il cor tilé. Si chi amava Jet. Anche il ·nome · del -' cane era un taglio con , il passato. Scaroni alzò g li occhi e fece un calcolo del tempo. « Onquantanove anni fa - dis seAvevo quindici anni . Nessun a voglia di. studiare . Eravamo o tto frat elli. I n casa, ce la passavamo m agra. A qu ell 'epoca, Brescia era il luna park d ello sport. Corse in auto, in mo to, in bicicl etta. Quando saltarono fuori i p ri mi aero plani, i bresc iani diventaro no matti. Anche oggi, se le i ci pens a , s'accorge che h anno benz ina al posto del sangu e. Chi mi died e la malattia del vo lo fu un fatto st r aor dinario che acca dde a Brescia; il primo circu it o aereo internazion ale. Cinquantanove anni fa; e ppu re, ricordo tutt o come adesso. La v is ita del Re, g li ae roplani sotto g li al beri, nei pra ti di Montichia ri , C alderara che mi ri volse la parola , stavo appiccicato ai pil oti come una mosca, D ' Annunzio che arr ivava al campo con u n codazzo di b ellissime donne, Curtiss ch e volava spava ld o, Cagno, L eonino da Zara , il fuoricl asse Bleriot.

P er entrare in Aviazione, feci tutti i mestieri, dal meccanico al garzone di farma cia. A vent'an n i mi chiamarono sol d ato . Mi m and a rono a Moden a, nell'arti glie ri :1 campale . A me non inte ressavano n é i cavalli n é ·i cann on i. Fin almente, un b el giorno. nel 1914 , arri vò al Reggimen to la richiesta per vo lontar i in aviazione. Di mille che e r avamo, facemmo domanda in due, io e un certo Grandin e tti .

llO

Lasciammo Modena e and ammo a San Giusto, vicino a Pisa, dove , secondo l'ordine di movimento, · c'-era T un- campo ·seuola; Il -campo , però, esisteva soltanto sull a carta; lo preparammo noi allievi , con picconi e badili ... »

«E gli aerei?» - domandai.

«Non c'e rano. Arrivarono dopo un mese. Un paio di Bleriot. da 25 cavalli, che non volavano . Servivano per le lezioni di rullaggio sul campo . Erano ·macchinette magre e fragili, con le ruote di bicicletta. Una buca, le metteva in ginocchio. Cominciammo a volare quando arrivarono i ., 50 cavalli" che, a confront o degli altri, parevano mostri. Eravamo una ventina d'allievi, fra cui Ruffo e Stoppani. Ruffo, uffici ale di complemento, era venuto dall'A frica e aveva con sé un servo negro. Er a un gmn signore. Aveva la mania di scrivere lettere. Ne scri veva a lm eno dieci al giorno e, dato il suo r ango, tutte indirizzate a dame d ell'alta società.

A. noi, quel personaggio aristocratico ed elegante, fac eva un certo effetto e stuzzicava anc he l'invidi a, perché era pieno di soldi. Scoppiò la guerra. La squadrigHa, comand ata dal capitano Costa nzi, con Ruffo, Michetti , Stoppani , Grandinetti e altri si trasferì a Gonars, vicino a P almanova, in provincia di "" Udi·ne. Erav amo avia tori per l ' Artiglieria. Il nostro lavor o cons isteva nel so rvolare le posizion i nemiche per localizzare le batterie e dirigere , dall'alto, il tiro d ei cannoni. Senza radio, natura lm en te; con razzi co lorati.. .».

lll

11 cane Jet era sparito. Scaroni lo chiamò. Arrivò. a ·-precipizio dalla -soffitta con in bocca i guanti da aviatore del padrone .

« Fin da allora, c'era Michetti'? » - domandai.

« M.ichetti ci fu da principio alla f.ine. Non si può dire Scaroni se non si dice Giorgio Michetti ».

«Il suo primo volo di guef' ra? ».

« Niente di speciale -- rispose ScaroniAvvenne 1'8 ottobre HH5 . Il giorno dopo, andai sul Carso, verso Nabresina. Pa ssato l'Isonzo, all'altezza di Sag·rado, mi tro va i davanti i:l San Michele. Sotto, il Carso scorticato a sangue. La contraerea non dava pace, ma non successe nulla . Il 7 novembre, invece, su -Doberdò, una cannonata colpJ il motore e un'ala. Fu il primo incidente di guerra . Me la cava:i per un ·pelo. Per noi aviatori, erano tempi difficili. Non ci davfl retta nessuno. Ci consideravano inutili e spacconi. La storia cambiò quando l'Aviazione cominciò a dare spettacolo. Molti capirono la guerra aerea -soltanto quando successe Caporetto. Per farla breve, durante venti mesi, dall'ottobre del '15 a metà del '17, feci il pilota per l'Artiglieria. Ero una " pipa di gesso " per i cannoni austriaci. Mi presi granate e shrapnels, scappai quando fui attaccato e venni abbattu to tre volte. Per venti mesi che feci da bersaglio, mi dieder6 una medaglia d'argento e una di bronzo ... ». «Scappò, quando fu atta·ccato? ».

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«Che altro c'era da fare ? Loro avevano gli aeroplani armati di mitragUatrice; noi, come difes a, avevamo una grossa pistola ... ». Nel gennaio del 1917, Silvio Scaroni venne promosso ufficiale. Cinque mesi dopo, fu trasferito alla scuola caccia della Malpensa. Quando ci fu Caporetto, gli allievi cacciatori, addestrati alla meno peggio, si trovavano a Pon te San Pietro, vicino a Bergamo. In fretta , li spedirono al fronte. Punto di raccolta Udine , ma a Udine, purtroppo, arrivarono prima gli austriaci. Si ritrovarono tutti a Pordenone, malconci, avviliti, senz'ordini e senza aeroplani. I comandi, avevano perduto la testa. Le notizie che circolavano erano quelle portate da'i soldati che ripiegavano. Notizie di disastri.

« A Pordenone - riprese Scarollli - c'era anche Baracca . Lo guardavamo tutti con curiosità e meraviglia. Aveva la fama di essere invulnerabile... Dicevo che eravamo a Pordenone. Fu 1;.1 che ·incontrai Michetti. Sul principio, non lo ·riconobbi. Aveva la barb a lunga, la faccia che pareva mai lava ta dal giorno della nascita, l'uniforme lacera e infangata. Era arrivato ·à piedi da Campoformido. Mi corse incontro e mi disse che c'era in formazione una nuova squadriglia.

'' Vuoi venire con me?" - dis·se. " Non cerco di meglio " - risposi. '

Mi portò dal comandante, il maggiore Calori. H giorno dopo ero a Casoni, al nuovo reparto. A Casoni, c'erano tre squadriglie; due

...
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italiane, la 76 \ che poi era la mia, l a 78a e una inglese. Il l o novem b re 1917, ebbi il b attesimo come cacciatore. P art i· i con l'intenzione di fare come Bara cca, att acca re, cioè, e in due raffiche abbattere il nemico, ma tornai co n le pive nel sacco. Mi accorsi subito che ero un an alfabeta dell'aria. P roprio così. Mi capitò, infatti, come uno che apre un libro e s'accorge di no n saper leggere. Il giorno dopo, successe ,Jo s tesso. Ero conv into di ave·re il ma locchio. Tre cacciatori austriaci mi presero in mezzo . e m'impallinarono ·com e tm piccione. L a lezione, però, fu salutare. L'indomani partimmo in tre. Dopo il Tagli a mento , io puntai su Codroipo. Stavo per ri entrare a mani vuote, quand o, in lontanan za, nota i due puntini neri che in gran divano a vis ta d'occhio. M ent re studiavo come sbrogliarmela, mi fur ono ad dosso. Attaccai il più vicino; nella foga di sparare, s tavo per s p eron arlo. L 'evitai entrando nella sua scia . Ment re mi raddrizzavo, mi passò d avan ti in picchi a t a. Sparai di nu ovo, Scomparve . L'altro se n 'er a an dato. Di scesi a cinqu ecento metri e vidi un falò sùl greto del fiume. Era la prima vittoria , s ten tavo a crederci. Siccom e non potevo portare le prove, ne parlai sol tan to con Michetti. E rava mo alla mensa. Gior gio m'ascoltò, poi indicò la p a rete dei trofei.

" La storia è bella - dis se - ma ci vuole un a croce a l muro. Sbrigati, Silvio, altrimenti a rr i . ; :ll rit ardo ... " ». Michet ti voleva dire, per l ' appunto, che, sen za prove, non c'erano vittorie e che i pilo ti

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di gr-ido, ormai, avevano fatto man bassa di aeroplani nemici. Baracca, infatti, dal 7 aprile del 1916, al giorno del debutto di Sca.ron1, come cacciatore, aveva abbattuto Ùna trentina di velivoli; Piccio, Ruffo, Ranza e Olivari, che lo seguivano nella " ·classifica " degli assi, avevano anch'essi un cospicuo bottino di vittorie.

I trofei erano nella baracca della mensa, appesi come ex voto; brandelli d'ala, eliche, mitragliatrici e croci nere, su fondo giallo, ritagliate dagli appa;recchi abbattuti.

« Finalmente - disse Scaroni - arrivò anche la mia giomata. 15 novembre 1917. La vittima fu un " Albatros " da ricognizion e . L'attaccai fra il Brennero e il Piave, a quattromila metri di quota. Veniva n ella mia direzione, cinquecento metr i più basso. Lo l ascia i passare, picchiai e , arrivato a tiro, gli scaricai addosso la mitragliatrice. Colpito l'osserva tore che manegg.iava l'arrna, il resto fu un gioco da ragazzi. Il pilota t entò di andarsene ma a.Jla seconda raffica, l'aereo inclinò il muso e finì in un prato, a tre chilometri dalle nostre linee.

Non vedevo l'ora di tornare per raccontare l'avventura e appendere alla sospira ta parete H mio primo cimelio. Finalmente mi ero libera to del malocchio .che mi perseguitava d a pri'll'cipio. La seconda e la terza vittoria, furono una dopo l'altra, il 18 e il 19 novembre. In uno dei due scontri, venni ferito aUa fronte ; me la cavai con molto sangue e una piccola cucitura. Ormai mi ero fatto le ossa. Ancora

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due colpi fortunati e sarei diventato "asso" . Si aveva diritto, infatti, alla qualifica di·" assi ", dopo cinqùe vittorie. Il quarto combattimento avvenne il 5 dicembre. Fu tragico. Il ricordo di quell'avventura non mi ha l asciato mai. D' accordo che era la guerra, ma l'aspetto di certi morti si stampa in mez zo agli occhi e si. vede ogn i notte... ».

« Anche adesso? » - ·chiesi.

« Anche adesso » - rispose e fece tm gesto con la mano per mettere da parte il pensiero che lo perseguitava da ol tre 50 anni.

«Era una giornata grig ia - c'era vento e pioggia. L'aria sembrava una grande spugna piena d ' acqua. Facevo la spola fra il Grappa e il Montello. Sul Piave vidi un velivolo nf?mico che si dirigeva verso le nost re linee. Mi vide anche lui e in vertì subito la rotta. Feci altrettanto, nella spe ranza che abboccasse, perché il mio proposito era di attirarlo in "casa" e d argli poi la mazzata. Cascò nel tranello. Riprese il cammino e puntò. su Asolo. Passai il fiume, girai a lungo sul territorio nemico e picchiai in man iera da tagliargli la strada . Gli arriv ai sopra senza che se ne accorgesse. S'inclinò per girare, ma prima che avesse terminato la virata gli sparai un a raffica. Scivolò d'ala, si rovesciò e .a t es ta all'i,ngiù cadde fra gli alberi, nei pressi di Onigo. Lo seguii nella cad ut a. Mentre precipitava, l'osservatore si staccò dall ' aereo e volò nel vuo to. Arrivato al campo , saltai su una ma'cchina e -con Calori e Michetti andai a Onigo. Ero contento per la vittoria m a angu-

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stiato a ll' idea che avre i vis to qualcosa di orribile. Intorno al velivolo abba ttut o, c'e rano molti soldati ch e curiosavano. Vicino, c'era un acc ampam e nto . Vn capitano h ancese mi portò nella .sua b aracca e mi consegnò le carte trovate addo sso al morto. Il corpo del pilota era d avant i all'uscio , coperto da un lenzuolo. Di so tt o il lenzuolo, gli uscivano le scarpe. Dietro la t es ta, gli avevano messo una croce, strapp a ta dall'ala r.lell'aerop lan o. L 'ufficiale sollevò u n lem bo del lenzuolo. Il caduto e ra un g iovane biondo; aveva i capelli come erb a secca e la faccia lunga, pallida e liscia. L a raffica, l'a,·eva segato in due, all'altezza del torace. I due tron coni eral)o t enu ti insieme d a una specie di m as ti ce nero e d e nso che era sangue ... Qu el mor to, che battezza i il " capitano ne ro ", p er v ia de-lla su a uniforme, diventò il mio incubo. Ogni volta che un· aeropla n o lo rivedevo, tant o pallido che era tr aspa rente ... ».

Fece un a pausa. S'alzò e si mise a camminare sotto il p or tico. Il cane gli stava a fian co, attaccato, qu as i, alla gamb a.

« Il capitano nero ... - disse Scaroni · - I n fin dei con ti la guerra è così.. . Ne ho colpa io, forse? ... ».

«Nessuna colpa» - dissi.

«Sicuro che la guerra è un brutto affa re, ma quando c'è si attacca e quando s'a tt acca si a mmazz a o si res.ta ammazzati. .. Non c'è sca mp o. Comunque si voglia conside rar e, è cos ì... Mi fann o ridere quelli che oggi parl ano

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di guerra uman itaria ... Sono co me certe d onne, dispostissim e a d accoglier ti , ma guai se le chiami puttane ... ».

Tornò a sedere. Il suo viso e i suoi occhi erano distratti.

« Cinqu e g iorni dopo - riprese - real izzai la quint a v itto ria . Austri ac i e tedes chi avevano ripreso l'iniziativa sugli Altipiani. Avevano messo in g iro la voc e che a Natale sarebbero stati a Bassano. Il fron t e, da un capo all'a ltro , era in fiamme. In cielo, avevano fa ll o l a comparsa anche i fam os i " diavoli rossi " dell ' asso tedesco Von Ri chthofen. C' era la voro p er tutti. Il 19 dicembre, vin s i il sesto combattimento. Si avvicinava la b a ttaglia a er ea di Treviso; fu H mio "do di p e tto". Tre aere i abbattuti nella stessa giornata.

La sera di Na tale ci fu fes ta nella baracc a della mens a . L'indomani, giorno di Santo St efano, un p o' cot ti per la ba ldoria nat alizia, gironzolava mo ne l campo per sgranchirei le gambe . Verso le nove, il sold a to che sta va di vedetta su un palo, impugnò il megafono e g ridò "Apparecchi in v ist a! ... " . Gli fece eco una risata. lfn minut o dopo la stessa voce gridò: "Sono dieci, vengono da Mon te b e lluna! ... " . S b . d · " N ., " u 1to opo. o, sono venti ..... " Cento " - gridò sghignazzando un pilota. " Bevi me no , ragazzo! " - urlò un altro. E lui: "Sono sul Mo nt ello. Quota 2500. Du e gruppi , quaranta aerop lan i ... Vengono ve rso di noi ... " .

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Tanti apparecchi nemici non s'erano mai v isti. P er qu es to, nessuno gli dava retta. I o, invece, ch e conoscevo bene il ragazzo, l o pTesi i·n pa ro la . Saltai su ll 'aeroplano e par ti i. A du ece nto metri di quo ta mi passarono sotto tre aerei nemici. Sganciarono bombe sugli hangars e mitragliarono gli apparecchi a terra. Qualcuno dei nostri riuscì a partire, a ltri rim asero inchiodati sul cam po. F a tt o un mezzo g iro, mi trovai a contatto dei tre velivoli c he avevano sganciato sui capannoni. Attaccai il più vicino . Alla prima raffica ve nn e colpito il mitr agliere, alla seconda l'apparecchio s' incendiò. E uno! Poco più in alto, ce n 'e ra un altro. Libe ro delle bombe , filava verso casa . Mi arrampicai fino a sup erarlo in a l te zza, poi m i buttai in p icchiata e lo raggiunsi. Mi passò acc a nt o l' H enriot di Michetti. Attaccammo insiem e, un o da destr a , l'altro da sinis tr a . Il mitragliere era feno menale. Rispond eva al fuoco con calma e precisione. Era lì , potevo afferrarlo con la mano, po i scompariv a e lo rivedevo da ll a p a r te opposta. Aveva i nas t ri delle cartucce avvolti intorno al p e tt o, come un guerrigliero messicane . F inito un nastro, ne infil ava un altro. Senza orgasmo. Pareva che noi sparassimo burro . Michetti tentò il colpo buono e spadellò; su bito dopo tent ai io , s tesso r isu lt ato. I n ta nto. l'aereo a ustriaco era seeso a cinquant a metri. Mi arrivò una raffi ca . Chiusi gli ocper fortun a non fece centro. P er un attimo, il mitragliere smise di spa rare. Mentre cambiava il nastro, gli picchi ai addosso . Col-

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pii l'aereo nel motore. Si rovesciò e finì in un campo arato. Con Michetti. lo tenevamo d'occhio dall 'alto . Vedemmo uno dell'equipaggio uscire di sotto la fusol.iera. Subito dopo, il velivolo esplose. La fiammata investì il mitragliere. Correva e si rotolava a terra in mezzo alle vampe. Lo soccorsero i nostri soldati. Appena rientrati al campo, arrivarono due carabinieri col prigioniero. Er a un maggiore tedesco, dalla grinta insolente. Alle domand e dell'interprete, rispondeva con arroganza . Insisteva che voleva essere interrogato da quelli che lo avevano abbattuto. Era convint o che fossero stati gli inglesi.

" Spiacente - disse l'interprete - ma chi l'ha abbattuto è il tenente qui di fronte; un italiano ".

Mi guardò di ·sotto in su. " Italienisch '? Impossibile! " - disse. Per la rabbia gli tremavano le labbra. Scoppiai a ridere. Dissi: " D esola to, maggiore, ma è così... ". Per la delusione si sgonfiò. Verso mezzogiorno ci fu una seconda ondata di b ombardieri. Scottati dall'attacco del mattino, li affrontammo sul Piave. Si sbandarono e cercarono di andarsene. Abbattei il terzo aeroplano della giornata. In tutto, il nemico perdet te undici aerei; otto, durant e la prima incursione, e tre nella seconda. Noi ce la cavammo con dieci morti e qualche apparecchio danneggiato... ».

Le vittorie di Scaroni aumentavano di giorno in giorno: Diventarono ven ti, poi venti cin-

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que. Ne] giro di _ pochi mesi s'era introdotto di prepotenza ne] gruppb degli assi. L o conoscevano come il cacciatore che in cielo attaccava briga con tutti. Avev a fam a di uomo fo rtunato e lui , a sua vo lta, cred eva nella fortun a . Più i combattimenti erano rischiosi, più ci si buttava a capofitto. A volte, contro cinque e perfino di eci avversa ri. Forse i1 suo impe to sconcertava il nemi co e lui ne ap profittava pe r d a r gli la stoccata mortale.

Arriv ò l 'estate del 1918. In giugno, g li a ustriaci te ntarono l'u.Jtima offen s iva. Fu l'ep opea dell a caccia.

« L 'a nnuncio dell 'a ttacco - raccontò Scaroni - ce lo diede l 'a rtigli e ria , nel cuore della notte. Le montagn e tremavano e prendeva n o fuoco. L a mattina d el 15 , appen a g iorno , p artimmo p er il .Montell o . L'ordin e e ra di attaccare le trincee. Su Nerves a , mentre mi accingevo a inte rvenire in aiuto di Michetti , che e ra all e prese con un aereo nem ico e gli si era inc eppa ta l'arma , e bbi un guas to al moto re e per miracol o riuscii ad a tt erra re. Scesi in un prato v icin o al fiume. Non c'era segno di vita. in certi punti gli austriaci a vevano scavalca to il Piave, temevo di essere finito in zo na n emic a . Passò un soldato. Er a nostro. Co rr eva china lo, tra scinan dosi di e tro una casse tt a di munizion i. C e r ca i di rip ara r e il guasto. Arrivò un colpo di canno ne, poi un altro . Guardai in alto. Vicino a l ponte d e ll a Priula c'era un d-rak en che dirigeva il hro. Sal t ai in un fosso. Una terza granata colpì in pieno l' aereo.

121 6.

La sera del 18 giugno, ci fu la notizia della morte di .Baracca . Anche lui era u n uorno fortunato. QueHa sera, morimmo tutti con Baracca! ... ».

Fece una paus a. '«Dopo trentadue mesi - riprese - la fortuna volle fare i conti anche con me. Dei due occhi , ne chiuse uno e mi costò quattro mesi d'ospedale. Cinque giorni prima, avevo abbattuto tre aerei nemici, altri due li buttai giù prima di essere colpito .

Il 12 luglio ero di scorta a un ricogni lo re insieme con Miche tti e T kcon i . L'accordo e ra che se avessimo incontrato aeroplani austriaci, loro sarebbero rimasti a guardia del ricognitore , me ntre io sarei andato ad affrontare gli avversari. Sul Tomba , sp arava la contraerea. Andai a vedere. Non trovai niente . M entre stavo per tornare, in direzione del monte Tomatico, vidi una decina di apparecchi che fac evano la giostr a. P en sai che fossero inglesi. Gli ing les i l'avevano quell'abitudine. Andavano sui cam pi n em ici e sfidavano gli austriaci con ogni sorta di cap riole. Un aereo s' impennò. Notai il distintivo. Inglese. Un altro lo seguì subito dopo ma s ulle ali aveva le croci nere in carnpo gial lo. Mi p assarono i dubbi. Erano due inglesi contro cinque aust riaci. Sul momento pensai di buttarmi nella mischia , ma cambiai subito idea. Ero più alto, in posizione di vantaggio. Mi tuffai e presi in pieno il caccia che e ra in coda all'inglese. Precipitò come una pietra. Era la ventinovesima vittoria . Mi arrivarono

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addosso tutti. Il cielo, bolliva di spari. Una raffica mi sfiorò la testa, un'altra le spalle. Du e ve1ivoli. mi ta:rrivaTon o a tiro. Li spa@IW.j.. entrambi. Il ·du'èllo. si ·er;a ·serrato. J passavano e ripassavano nel collimatore. Un inglese mi venne in aiuto ma tutti e due ci t rovammo attaccati da tre app a recchi austri aci . Strappai e guadagnai un centinaio di metri di quota. Gli arrivai in coda. Spa-rai, ma il caccia sulla sinistra mi scappò in candel a. Attaccai l 'altro. Col pilota ci guardammo negli occhi. Il tiro dell ' inglese lo cqstrinse a picchiare. L o presi alle spalle, la raffic a Io co lpì in pieno .

Continuò la corsa con una coda di fuoco. E trenta! All ' improvviso mi trovai solo. Il cielo, di colpo, si e ra svuo tat o . Erano spariti anch e gli inglesi, poteva bastare. Sulla via del ritorno incrociai un " insett o giallo e nero " che, mille metri più in alto di me, se ne andava tranquill o per i fatti suoi . L ' attacco? Lo lascio andar e? Adesso dico che potevo accontentarm i , ma a ll ora no. D ' altrond e, si può rimproverare a un cacciatore un po' d 'esuberanza ? E l 'età, non conta proprio ni ent e? Avevo ven ti cinque anni. Con trenta vittorie, mi sentivo imbattibile. Dissi: " In due e due quattro lo butto giù e filo a casal.. . " . Lo raggiun si. Non calcolai che poteva essercene un altro. Stavo p er cen t.rarlo, quando sen tii una raffica alle spalle . Vidi le pallotto le tra ccianti passare attraverso le ali. Una second a scarica mi inchiodò sul seggiolino. Mi si annebb iarono gli occhi. Cominciai a sprofond a-

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re. Era come se fossi inghiottito dall'acqua. Mi sembrava di e.Ssere tagliato in due ... ».

«Come il capitano nero?» .domandai. «Lo stesso. Se non fossi stato legato al seggiolino, sarei precipitato fi.wri. La cloche era ·:n, ma non potevo raggiungerla. Sarebbe basta-· to un piccolo tocco e il velivolo si sarebbe rimesso in assetto. Sedevo sul mjo sangue. Il motore girava sempre. Di tanto in tanto, recchio si drizzava poi inclinava di nuovo il muso. La terra era diventata una trottola. A volte mi sentivo pesante, a volte leggero. Svuota to di tutto. Dmante un sobbalzo dell ' aereo , urtai la fronte e ripresi i sensi. Ritrovai un po' di forza. Sotto, vedevo il Piave. C'era un monte da superalfe. Scavalcato il monte, c'erano le nostre linee. Toccai la leva. L'aeroplano rispose. Attaccai la planata, superai la montagna, potevo atterrare. D ove? Cercavo un prato. Non vedevo prati. C'era una striscia bianca, un torrente che scendeva dal Grappa. Sentii finalmente la terra. Fatti pochi metri, l'aereo cappottò. Fui sbattuto fuori... ». «E dopo'? ... ». « Ricordi vaghi. La barella, due donne che gridavano, il medico che domandava se sentivo proprio niente e io dicevo che non sentivo nulla. Mi infilava ndla carne un ago così e io non sentivo un accidènte. Sentivo soltanto il rumore delle schegge che cadevano nella bacinella. P areva rumore di vetri. Mi dissero dopo che la pallottola esplosiva era entrata nel

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fianco sinistro e uscita dal destro. S'era scheggi ata dentr o, contro la spina dorsale.

L'indomani, qualcuno venne ' a legg erm i il b olle ttin o de l comando Supremo firmato da D iaz. Quello che parlava delle trenta vittorie ... ».

Fu l'ultima storia di Silvio Scaroni, il cacciatore che av eva fatto 1m patto con la Fortuna. L a raccontò d'un fi ato, forse per liberarsene. Poi, come le a1tre , a nche questa storia, che vorre i definire del sangue freddo, finì nel baule in soffitta. Fra polvere, muffa e nidi di uccelli. ..

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IL LEONE DI DENGHEZIE' E' DIVENTATO PADRE AGOSTINO

Dell' ambesà d'un tempo, cioè del leone, come lo chiamavano i suoi ascari per il valore in battaglià, aveva conservato soltanto la criniera; una cuffia di capelli bianchi, diso:rdinati, e una barba tagliata senza cura.

Non av eva più artigli. Era invecchiato come inv ecchiano i leoni che si mettono in dispàrte; non urlano più e la foresta non li teme.

Però, era ancora alto e forte, un tipo fastoso. Aveva le pupille grigie, con un sospetto d'azzurro, il naso a lama e la faccia che sembrava di una sostanza più dura della carne, maga·ri pietra.

Nella casa c'era disordine di tana. Poca luce, ·eppure fuol"i .ce n'era tanta. C'erano carte, stracci, vecchi libri buttati alla rinfusa, polvere, immagini sacre, un letto sfatto e tonache sfilacciate, appese a un chiodo. Trovarlo, fu come scovare un leone. Era

Capitolo VII
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rintanato sotto un poggio, nel punto dove Firenze scende verso la valle.

La casa era fra gli alberi; la strada, tortuosa come un sentiero. Fin dove si poteva arrivare con l'occhio, si vedev ano alb eri e colline verdi.

Lo cercai da un cancello all'altro. DomaildavO: «C' è Umberto Visetti? ». . Mi rispondevano con alzate di spalle. Finalmente uno disse: «Il frate? Que llo un po' orso e selvatico?».

Io non cercavo un frate perché, come Medaglia d ' Oro, Visetti figurava capitano del IV Battaglione coloniale Toselli. Con lui, successe il ·contrario eli quello che accadde con Cadetti.. Umberto Visetti, infatti., il leone d >aJlora, dopo av er affrontato la vita alla brava, ripudiato dai cimiteri, tre volte lo diedero per morto in combattimento e altrettante ·volte risuscitò più malandato eli prima, ca:ri·co di medaglie, ricucito eli f erite , se non sbaglio ne ha avute diciannove, un po' dappertutto, si fece frate agosti:niano.

Adesso si chiama semplicemente Padre Agostino eli Cristo Re. vidi dalla tromba delle scale. Mi fece cennò eli salire. Era senza tonaca. Aveva un paio di brache nere, tenute su con le bretelle, e un maglione eli lana, pieno di rammendi. Fece posto su un tavolo ingombro di carte e sedemmo di faccia. Aveva H respiro come un sibilo.

«Fumo?» - ·domandai. «Polmoni spaccati» - disse.

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Aprì la ma g lia. Mostrò il petto. Aveva una cicatrice dalla spalla al ventre .

« Mo rlo anche allora?».

« P ronto p er ess ere seppelli to - risp osem a successe il miracolo. Almeno dissero che fu un miracolo. Un Crocefi sso sulla bocca e aprii gli occhi». .

« Ambesà » - chi amò. Venne avanti un gatto lungo un bracc io, con la testa com e u n cocomero . Saltò sul tav olo e s' ac covacci ò fra le braccia del padrone.

«Una vo lt a - disse - avevo il leone vero - Ad esso d ' un gatto . Mo rto Vi set ti , quello c he d a soldato chiamavano dise rt or e dei cimi teri, resta il fra te e, p er un frate , è meglio il gatto che il leone ».

Fece una ri sa ta che gli mi se in scompigl io la barba.

Disse: «Io sono antimilitarista nato. Non h o mai usato n é porta to armi. H o o rrore d ella guerra ... ». «Orrore d e lla gu e rra?» -. d omandai. « Orrore · - ribatt é spalancando gli occhi

Per mia personale ambizione, per incuria o per vigliacch eria, non bo mai sac rific a to w1 uomo, n é bian co né di colore . In più, ho sempre imp edi to che venisse f atto d el male agli in e rmi » .

Lo guardavo sbalordito. Le sue parole erano un r ebus. E le med aglie? Ne aveva da vend e re . E l e ferite? Era un San Sebastiano. Tutto un o strappo e una cucitura. Glielo dissi. Scosse la te s ta .

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«Semplice - rispose - Per fare questo, non potevo restare a casa, dovevo trovarmi sul posto. Ecco perché andai in guerra e sempre volontario. N el ]915, in Africa Orientale, ne l 1940 ... ».

« Anche nel ' 15? » - domandai.

«Puzzavo ancora di latte, ma andai lo stesso . A 18 anni ero ufficiale. Fui decor ato e ferito prima che la mia ·classe veniss e richiamata. Mi presi qu a tt ro medaglie, du e di bronzo e due d'argento. P er due volte mi prop osero p er la Medaglia d'Oro .. . ».

« I n guerra come in missione ... » - dissi. « Cq me in missione » - ri peté. In casa .Jo volevano soldato e p rete. Suo padre, ufficiale di cavall er ia, lo vide in stivali e speroni fin dalla n ascita; sua ma dre , inv ece, tutta chiesa e litanie, lo sognava sacerdote. A conti f a tti , fur ono accontentati entrambi.

«La spuntò mia madre, - disse Visettianche se su l principio la delusi. L a spuntò per tutti e tre i figli. P rima diventò prete il secondo, poi il terzo, poi io, che ero il p r im ogenito . I o, a cinquant'a n n i stwn a ti , l'aborto , come diceva San P aolo . Il terzo , Giu seppe, morì come un santo; missionario e martire. Viveva in Od en t e. S'in tendeva di medic ina e un a volta Io chiam arono al capezzale d i un bimbo morente. L o battezzò di so p p ia tt o. Da dietro una stuo ia, una donna lo vide e lo d enunciò . Fu costre tto a htggire. Er a a tre g iomi di strada dalla missi one. Gli spararono, arrivò ra nt olante e morì.

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Da r agazzo mi misero in seminario perc h é, 1 d etta di tutti , avevo già la vocazione. Il solo non lo sapeva, ero io. Feci a pugni, infatti, sca ppai. Mia mad r e, s'era mess a in testa che foss i matto e mi fece .rinchiud ere in casa di cura, con i m a tti v eri . Sco ppiò la guerra e, co n l'ai uto di un o zio militare, po tei u sc ire dal manicomio; m e ne an d ai a comba tt ere. Prima come bersagliere ciclista, po i com e ardito.

Quando ero bersagliere, a Sanremo, avevo come caporal maggiore un ciclista coi fiocchi , C ostante Girardengo. Andai in linea nel ' 16, all e trin cee del VodiL Hai ma i sentito parlare delle trincee d e l Vodil? . Si s ta va nel fan go fino a mezza gamba e i cecc hini a ustriaci tirav a n o dall 'alt o . Ci si arri vava p er un viotto lo viscido, in mezzo a ll e ro cce . Il coman do di com pagnia era una tana scava ta in un ma sso, chiu sa da un te lo da te nd a. Ci stavano d en tro a lume di candela. I n quei g io rni , pioveva a secc hi. Arrivai preced uto d a una t ele fo nat a. Il com anda nt e s i mer av igliò c he fo ss i pulito e non av essi il fiato grosso. Glielo spiegò l 'atten d ente. D isse c h e, a n zich é l a scorcia toia , in salita, ero arrivato p e r la strada normale, sco perta e battuta dal fuoco nemico.

" Un ma tto " - dis se l'attendente.

" Uno - r ibatt é il capita no. La sera stessa mi mi se alla prova . Mi spedì di pattug lia. "Non ho uffi ciali - d isse - bisog na ch e vad a l ei con qu attro o cinqu e uomini " .

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"Sono qui p er far e la guerra" - dissie andai ... ». ·

Passarono due, tre ore e della pattuglia Visetti, il nuovo arrivato, nessuna notizia. Sparavano lungo tutta la linea. Un sergente disse che non sarebbe rientrato nessuno e che i bellimbusti, tipo Visetti, si facevano infilzare dalle mitragliatrici come pollastri. n capitano; che era Carlo Salsa, mandò una seconda pattuglia all a ricerca della prima. Rientrarono tutti all'alba. Visetti era andato a spasso lungo i reticolati austriaci fin quasi alr is onzo. Prima notte di guèrra, encomio solenne .

«Nel maggio del ] 917, ebbi le prime ferite gravi. Fu durante l'azione fra i ruderi del convento di Monte Santo. In quella circostanza cadde prigioniro il triestino Slataper, che poi ebbe la Medaglia d'Oro ».

«E }ei? » - domandai.

«Per miracolo non fui catturato anch 'io . Ero a pezzi. Avevo la faccia impiastricciata del cervello di un pov eretto che m'era caduto addosso con la testa spappolata. Rotolai giù fino ai nostri avamposti ch e mi presero per nemico e mi spararono addosso .. Ero all'ospedale, quando arrivarono le prime notizie di Caporetto. D omandai di partire. Dissero che ero pazzo. L 'avevo sentito dire tante volte che ormai non ci facevo più caso. Comunque, per impedire che facessi una mattata, mi ritiraro no la divisa ma io scappai con l'uniforme di un ufficiale degli alpin i al quale, il giorno pri-

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ma, avevano tagliato un a gamba. Andai al fronte con un gruppo di giovani soldati senesi senza esperienza di guerra. Combattemmo a Capo Sile, dentro l' acqua fino alla pancia, perchP la pian ur.a era stata allagala ... ». «E la ferita'?» - domandai. « Diventò marcia - rispose Visetti - Un p antano. Mi mandarono a Mestr e, a ll 'ospedale, m a quando seppi che il mio repa rto partiva per il Grappa, sca pp a i di nuovo e ci mise la mano il destino perché, durante la notte, l'osped ale fu bombardato e andò in briciole. Il G r appa e ra cope rt o di neve, le trin cee erano s ta te scavate nel gh iaccio. Il freddo mi bru ciava la carne. Altro ricovero a Bassano, poi la battaglia del Solstizio, con gli Arditi. Sul Montello ci lanciammo all 'asfia lt o a squill i di tromba. Il comandante voleva sempre la tromb a, prima dell'attacco. Di ceva: " Il n e mico deve sapere che sono g li Arditi che vanno ·.. all 'assa lt o ... ' '. Furono comba tti menti sanguinosi. Nella mia com pagnia morirono il capitano, il tenen te e l' aiutante di battaglia. Mi salvai buttando mi a volo in un campo d i grano. Loro sparava no in mezzo al g r ano e le pallottole miet evano le spighe. Non n1i presero. Convinti di avermi ucciso. andarono avanti a gruppi di tr e . P.resi u n gruppo a lle spal.l e e riuscii a l ib era re il tenent e Bottai che era sta lo fatto prigioniero. Poi. con due arditi, un certo Bonanno di Napoli e Ferrazza di R oma, piombai add osso a l genera le a ustria co Bolzan von Kr onstandt e, dopo un co r po a corpo furib ond o, lo catturai fedto.

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Eravamo partiti in 1600 uomini , tornammo in veniisei; gli austriaci, però, furono ricacciati daF Piave. Ebbi - la proposta per la Medaglia d'Oro ma finì in niente.

In quei giorni si combatteva dapp ertutto; a Pieve di Soligo, a Solighetto, a Follin a. Mentre andavamo verso Follina, ci avver tirono che un reggimento di ussari ci minacciava sul fianc o. Feci appena in tempo a schierare le mitraglia triei che loro ini zia rono la carka. Li bloccammo e gli portamm o via i cavalli. G li ard iti diventarono cavalieri. Poi ci fu l a conquist·a di. Belluno, il 29 ottobre, e dopo finì la guerra.

Con la mia famiglia, avevo rotto i ponti. Mi consideravano un reprobo. Vivevo randagio. da un albe rgo all 'a ltro. Fra l'altro, avevo il marchio di ., disertore" perché stavo a Fiume con D 'Ann unzio. Per via di Fiu me, finirono insabbiate le due proposte di Medaglia d'Oro, quella per i fatti di Monte Santo e l 'altra per l'azione del Montello , con g.Ji Arditi». Ambes à s'e ra messo a passeggiare sul tavolo e miagolava. Ogni tanto s'accostava al ·padrone e nascondeva la testa sotto la sua barba. «E dopo'?» - domadai.

« D opo mi degradarono per codardia ». «Codardia?».

« Sissignore! Perché rifiut,ai di batte rmi in duello con un capitano effettivo che mi doveva dei soldi ». «Non s.i batté per paura?». Diede una manata sul t avolo. Ambesà schizzò via come un proiettile.

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«Io paura? - disse pu n tandos i il dito in mezzo al petto. _ _

Ero campione di spada, ma ero an.che religioso. In me era già maturato qualcosa. Ero g ià pron to a prendere il posto di mio fratello missionario, massacrato dagli infedeli».

La voce gli usciv a a raffich e . « Me ne andai dall'Italia. P11ima fui capo degli uffici stampa a lle Ambasciate di Bruxelles e <:li Parigi, poi diventai I spettore generale dell' I stituto nazionale delle Assicurazioni per la Francia e le colonie.

Scoppiò la guerra in Africa Orientale. Seppi della morte di Padre Reginaldo Gitùiani, che era stato mio ·cappellano degli Arditi a Fium e . Mi arruola i e partii come soldato . Venni assegna to alla divisione " P el ori tana ". Quando mi prese ntai al comando, mi guardarono male. Non credevano alle mie medaglie. Fra l'altro, s'era sparsa la voce che ero un ufficiale d ei Carabinieri travestito a facevo la spia. Mi tenevano alla larga».

«E la storia d ell e arm i? E la guerra come missione?».

« Non avevo arm i , non ne avevo bisogno . A me, bastò sempre l ' esempio. I nvec e dell' arma, av evo un p iccolo Crocefisso, con una reliquia preziosa, che mi era stato dato da Pio XI.

Partecipai ai primi scontri nella zona di N eghelli . Fu lì che conob bi gli ascar i e .i duba t. Ne rimasi entus iasta . Era tru ppa splendida , fed e le e coraggiosa . P er due o tr e azioni fortu -

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nate, mi presi un paio di medaglie e, insieme, 1ni vennero ridati i gradi. Av evo gi<1 maturato l' anzian ità per di ventare capitano.

An d ai ad Ad d is Abeba e .m i .presentai al mio _,nuovo comanda nte che e ra il colonnello Men eg hini. Un tipo Tozzo, d i poche parole. Guardò le medag lie e domandò se ero ufficiale e ffettivo.

" Ne mm eno per sogno! '' - ri sposi. La rispos ta, naturalmente, gli diede fastidio. Andò in bestia . "A me - disse -p ia cciono gli ufficiali che vengono dalla casem1a. Voi volete fare gli origina li. Io detesto le prime donne! ... ' '.

Di ssi che desiderav o essere assegnato a un r eparto di co lor e, in linea . Con l 'appoggi o d el Mar esc iallo Graziani, mi mandarono alla Brigata Coloni a le che si trovava a D ebra Bre han. La gue rr a e ra finita ma c'er a no sco ntri dappe rt utto . P artii co n m ezzi di fo rtu na . Quando a rriv a i, il ca mp o era v uoto. Le trupp e erano in ca mp agna contro le band e del capo ribell e Abebè Ar ega i. Rincor si la brigata dal Mens a l Marab ili è, a ttr ave rso un paesaggio suggestivo e mu te vole. In certe zon e, parev a u n altro pianeta. C'e ra no tutte le s tr avaganze d e ll a natura. Tutte le follie d ella T erra. Montagn e com e castelli, con torri e speroni di rocci a, alti terraz z i r ognosi, canalo ni pro fondi e valli rico p er te di pietre, come grandine. N e i prati c'e r ano cadave ri che ma rc ivano al sole. Il c ielo e ra n e ro di corvi e d 'avvolto i. Mi presen t ai a l generale Ma l e tti. T o rn ava

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allora da uno scontro . Era in uniforme ir,appuntabìle, aveva perfino i guanti. Fu sempre così, anehe in Libia, molti anni dopo, quando n1orì e ine lo vidi spirare accanto. Mi assegnò alla più bella compagnia del suo migliore battaglione, il solo decorato di Medaglia d'Oro. Il battaglione si chiamava "Toselli ", la ·Compagnia era la terza . Il reparto, l'avevano battezzato Ambesà, leone. Come subalterno ebbi nn certo tenente Armando Bragaglia che gli abissini chiamavano '' Che te fo ", l'uomo che ti coglie di sorpresa. Di Bragaglia, avevano paura come di un leone inferocito.

Eravamo dei nomadi. Un giorno qui, un giorno là, sempre a menare le mani. Una volta, mentre eravamo in cammino, vidi verso l'orizzon t e l·unghe colonne di fumo. Sulla spalla del monte c'erano alcune donne che facevano segni con le braccia ·e gridavano. Domand ai all'ascari che mi stava vicino se facevano fantasia. " No, goitana - disse - non stare fantasia. Pi angono ... ". Alla svolta del,la pjsta ci imbattemmo in un gruppo di bambine che portavano sulle spalle altri bimbi. Erano zuppi di sangue. Il medico li guardò e disse che erano s ta ti evirati. Il villaggio era i1n fiamme. I vecchi ci dissero che erano passati gli sciftà di Mohadrnet Sulyan, capo dei Galla Atzebù, il quale, per un vecchio odio ancestrale, aveva fatto strage dei ragazzi. Ordinai ai miei ascari d'attaccare. Lo fe:cero col furore della vendetta . Morea, il capi-

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tano, arrivò di corsa e disse: " Sei impaz zito? Sul t an è nostro allea to . Che dirà il generale? ". " Col generale - risposi - me la vedrò io . .. ".

" Bada che hai appena riavuto..le spalline!".

" Se le spalline · costano questo prez zogridai - non so che far-mene ".

Me le tolsi e le gettai in terra. Piansi . Mi portarono da ·:t-.:Ialetti. Gli dissi il mi o disgusto. M'ascohò senza Il giorno dopo lanciò un ordine che fu un avvertimento per Mohadmet Sultan. Lo minaccia va di a1mientamento se a ves se continuato a commettere ·crimini del genere».

Fece una pausa. Accese un lume. Il disordine riempì la camera d 'ombre.

«Ai primi di ottobre del 1937 - disseci fu il combattimento di Dengheziè... ». «Quello della Medaglia d ' Oro?» - domandai. Annuì con la testa. Si buttò indietro sulla sedia e attaccò a respirare forte. Il p e tto gli risuonava di stra n i rumori.

« 9 ottobre 1937. Combattemmo daWalba al tramonto. Abebè Aregai voleva annientard a tutti i costi. E pensare che l'ebbi nelle mani e non sapevo ·chi fosse. L'acciuffai con .la moglie e il bambino. La moglie era una francese, sposata all'epoca in •cui lui frequentava la scuola di guerra a Saint Cyr. Li trovai nascosti in un campo di maris. Lui, di notte, scappò e l'indomani la donna mi disse con orgoglio che era Abebè Aregai. Mi fu riconoscente per.ché

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gli feci restituire la mogli e e il bambino. Anzi, mi Jece sapere che voleva so ttom ettersi. Si presentò al Duca d'Aosta ed ebbe l'onore delle armi , ma poco dopo tornò alla macch ia».

« Che tipo era'?» - domandai.

«Simpatico, snello, vesti to aWeuropea, col monocolo all'occhio . Aveva un gran d e ascendente, ma ancora adesso non so spiegarne l a ragione.

Il giorno d ello scontro, come al solito, la mia Com pagnia faceva da avangu ard ia alla brigata . Eravamo corsi sulle Ambe dello Scioa perché Ma.Ietti era stato informato ,che Abebè Aregai si trovava con la sua banda nella zona dei quattro fiumi , vicino a D enghezi è. Aveva all'incirca 7000 uomini. Viaggiammo tutta la notte. All' alba arrivammo alle radici della montagna sulla qual e era arroccato il capo abissino. Att accaron o subito a sparare. Li avevamo di fac cia. Male tti ordinò di non dare tregua al n em ico. D ovevano arrivare nella zona quattro colonne ma in effetti eravamo .arriva ti soltanto noi e pochi altri. Insiem e con Abebè Aregai, come consiglieri, c'erano alcuni uffici ali europei. All'ordine del generale, il mio comandante rispose ohe avrebbe mandato me a snid are il rib elle. Avevo in tutto 133 uomini. P ar timmo all'attacco. Varcammo il Mofer sotto una piogg ia di pallottole. Cominciarono a morire i primi ascari. P oi ne morirono altri. L'azione• era disperata ». «A cosa pensò in quel momento?»chiesi.

..
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«Pensai a tante cose e ni en te. ·Pensai a dopo, all'al di là . In principio ero agitato, poi mi straordinariamente calmo. Ri cordo come adesso il battesimo del mio fedele sciumbasci Teéhiè Goitom, colpito a morte. Sebbene ferito, quando seppe che an ch ' io ero stato colpito, Techiè attraversò du e volte il campo di battaglia. La prima volta me lo vid i a fianco, coperto di sangue; la seconda volta rantolava, senza pi ù conoscenza. Mi inginocchiai e pregai. Il mi o attendente, Tualmedin Teclè, m'allungò la borraccia. Gli sciftà di Abebè Aregai tiravano come diavoli. Battez zai H moribondo. Stavo per dir e amen, quando una pallottola mi colpì il braccio e me lo spaccò in du e . La mano destra mi p en dev a dal polso, appesa a un fil amento di n ervo . Ero ferito aila tes ta, avevo uno squarcio nel crani o e un altro colpo mi a veva preso alla spalla sinistra ed era uscito dalla parte opposta, bucando un polmone. Riuscii a occupar e i] vil]aggjo che c'era a mezza costa. Mi erano rimasti una ventina di ascari, tutti f er iti. Guardai indietro per vedere se ve nivano i rinforzi. Brano lontani mentre la nostra Hn e era vicina. Gridai agli asca ri: "Su ... Bisogn a a nda re su a tutti i costi!. .. ". In quell ' istante . mentre facevo l'ultimo balzo ed ero qua si sul crinale, una raffica di mitragliatrice mi colpì in pieno petto, dal collo al fianco. Mi trov ai con ]o stomaco a perto. Mi sembrava che mi strap passero il ventre. Mi mancò i:l respiro. Ten tai di gridare. Anzkhé parole, mi uscì sangue.

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Gli ascari che erano arriva ti su con me. uno dopo l'altro morirono tutti. Stramazzai a terra . Mi sembrò di essere risucchiato in un vortice nero. Il vor ti'Ce s'ingrandiva e io diven-· tavo piccolo, come un granello di sabbia. Udii vagamente gli urli degli abiss.ini che facevan o la fantasia di guerra . Era la fantasia d ell' Amdel le.one, che a modo loro, e ra l'onore delle armi. Non senti i più nulla. Ero morto. Con l'arrivo dei rinforzi, i ribelli di Abeb è Aregai fuggirono. Appena buio, arrivò sull'Amba il ten en te Bragaglia. Gli avevano detto che ero stato ucciso.

Il porta ordini, mandato giù a chiedere r inforzi, aveva detto: " Goitana morillo con sciubasci T echiè e tutta ascaria, Lassù stare morto! ": Bragaglia recuperò la mia " salma " . Mi portò giù a braccia per la scarpata.

Al villaggio, a mezza costa, c'era il pronto soccorso. Il dottore mi guardò. " E ' mortodisse - Il polso non si sente . Il cuore è fermo". Nella speranza che si tr a ttasse di mort e apparente, Marinelli, il dottore, mi fece du e iniezioni di adrenal in a nel cuore. Non mi mossi. A questo punto , successe il miracolo. T ouldemedin Teclè prese il Crocefisso che avevo a ppeso alla cordellina e me lo appoggiò sulla bocca. R ipeteva il gesto che facevo io con i miei soldati mor.i:bondi. Riaprii gli occhi, vidi le stelle, mandai un lamento. Il polmone spaccato mi impediva di respirar e . Mi portarono a valle in barella. Gli scioani sparacchiavano dalle alture.

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All'ospedale da campo di Sala Dingai mi misero sul tavolo operatorio. Il medico era napoletano . Appena mi vide .disse: "Misericordia! Sei nu Cristo schiodato! ". Mi prese il braccio destro. "Andato! " - disse. Toccò. il sinistro . " Questo, forse, potremo salvarlol... ". · " Taglia - dissi - Fai presto, ci sono altri feriti...".

Continuava a tastarmi il petto. Le ossa cricchiavano. Scuoteva la testa. Diceva fra sé: " Gesù, come ha fatto a non morire? ". P oi rivolto a me: " Accendi un cero a San Gennaro. In tanti anni di professione, ne ho passato anche dieci in America a ricucire gangsters, non ho mai visto un tip o 'd tt ' , n O O COSI Mi lavorarono ·addosso , sveglio, per una mezza giornata. M'era venuto anche il diabete trauma tico . Se m'addormentavano , ci restavo ... ».

Tre mesi dopo , Viselti ebbe la Medaglia d ' Oro. Per oltre due anni si trascinò da un ospedale all'altro e, rattoppato da.Jla testa ai piedi, dopo una breve parentesi in Etiopia, allo scoppio dell'ultima guerra tinì in Libia. Ancora col genera}e Maletti. Ritrovò 'l'ardore d egli ann i passati. Co mbatté e venne ferito di nuovo, a fianco del suo generale colpito a morte .

Anche gli inglesi lo trattarono da «ambesà », da leone, e gli concessero l'onore delle armi. In Italia, arrivò la notizia che Umberto Visetti era morto. P er la verità arrivarono due

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notizie che era morto un «leone» ; una dall'Etiopia, l'altra dalla Libia . L'esatta, era quella arrivata dall'Etiopia. Ma si trattava di un leone vero. Era il leggendario leone « Ra s » che Visetti aveva trovato nella boscaglia e si portava al guinz aglio, come un ·cane fedele. Alla partenza da Addis Abeba l'aveva affidato ai colleghi del battaglione Toselli. Ras , morì all ' assalto , crivellato di colpi, durante l'ultima disp erata re si·stenza contro i cani annati britannici. Mentre Ras cadeva, il suo padrone 11isuscitav a un'altra volta .. .

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Padre Agostino di Crist o Re il «leone» rcsusc i tato
l
Angelo Bastiani il «Diavolo zoppo» del Scmil:n

PAGAVA I SUOI« BANDITI » CON CINQUE LIRE AL GibR N O

L 'a mico P aolo Caccia D om inioni, soldato e' scrittore, gli h a dedicato un libro così: «Ad Angelo Bastiani , l ' uomo che da solo è bastato ad onorare tutto l'Esercito» . . E ' una sto ri a, questa d ell a Me daglia d ' Oro Angelo Bastiani, che sta a cavallo fra il west e rn e la gu err a pura e che, sotto certi aspetti , pe r circostanze, personaggi e sis tem i, richiama anc he il ricordo delle bande di ventura . Località, l'Africa Orienta le . Epoca , l' ultim a guerra, con un preambolo di com battimenti tanto avventurosi d a se mbrar e inveros imili , che si svolsero fra il '37 e il '40 qu an do l'Etiopia , non astante la co nquist a e la proclamazione dell ' I mpero , in certe zone d e ll ' inte rno , com e il Mens e il Se mi en, era una p entola in continuo bollore.

In Abissinia , sebbene siano passati t an ti anni. conoscono ancora Bast iani con i nom i d'un tempo . " Diavo lo zoppo", " Bianco di

\ Capitolo Vlll
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Tarnascia ". " Ras sciftà Bastiani ''. " Leone del Semien'' . Tutti- tito li nobiltà, d a to che, anche oggi, l 'A bissinia è un P aese dove il cora'ggio personal'e e l'ardimento in g u erra servono a definire un uomo.

Chi lo ebbe contro, ricorda Bastian i come un n émico che non d ava treg ua; chi militò , invece, nella sua "Banda" , fo rmat a di indigeni Amara e Uollo, dice che comandan ti fo rtunati e coraggiosi come il " Diavolo zo ppo " si possono paragonare alle comete. Appaiono , s p a ris cono e in cielo resta 1m buco . Il buco .che re sta in cielo, diventa s ubito leg genda . Oggi , il " Diavolo " non è p iù zop po. L o fu un temp o, pe r via dell e feri t e, ma non ostante le gruc ce, continuò a scorrazzare d a un capo all'altro dell 'Abissini a, a dare la scalata alle Ambe, a combattere in boscaglia e :1 fare colpi di mano sotto H n aso degli inglesi, tanto che anch 'essi aveva ùo l'im pressio ne che Bastiani non fosse un uomo, ma un foUetto. P er la verit à, l'aria del f o lle tto l'aveva e l' ha conserva ta . La man iera di mu overs i a scatti , il tono precipitoso della voce . Non parla . spara r a ffi ch e d i parole . E' magro, ha la pelle quasi attaccata alle ossa e, so tto l a p e11 e, gl i si ve d ono i nervi. T u tti , tanto che si posso no contar e uno p er uno. · C 'incon trammo n ell a sua c asa, in una stanza che aveva l' aria d e l sacrario e d el m us eo, ma che non era n é l ' u no né l'altro; i muri sapevano di vernice, i cimeli e rano pochi, in co nfronto a qu e llo ch e m'as p e tt avo di vedere .

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L'unico pezzo .importante era lui, Bastiani. Valeva l'Africa e l'Esercito. Me l'aspettavo più vecéhio e più consumato; lui s'accorse dell a mia im pressione. Disse ch e l'Africa prende, ma non consuma. Disse anche che chi ha il "veleno" dell'Africa nel sangue, resiste agli anni e alla vecchiaia. Diventa sughero.

Mi guardai attorno. Fotografie di ge nerali scomparsi, lettere it utogr afe di coma ndanti passati ormai nel paradiso degli eroi , lance, scudi, un rudimentale strumen to con la cassa di pell e di p ecora e una di quelle pitture a tinte violente. con le quali gli Etiopi. in un m iscugli o di fantasia e devozione, celebrano le storie della Madonna, di San Gior gio e d e lla Regina di Saba.

Di lui, c'era una fotografia soltanto. Seduto su un masso, insieme con due indigeni. In atteggiamen to da "brav o". Stivaloni di cuoio , un fazzoletto verde annodato intorno al collo, la barbetta a pappafico, l'occhio furbo, con un'ombra di ins olen za: In a·ltre parole, un tipo abituato a fare la gueua per conto suo. Mi parlò della sua infanzia; quando, da ragazzo, legge ndo del Duca degli Abruzzi e di Graziani , cominciò ad ammalarsi d 'Africa e a sognare avventure sugli articoli di giomale a firma d i Adone Nosari, Arnaldo Cipolla , Mari o Appelius, eccetera.

« D a principio - disse - mi misi in testa di fare il giornalista . Lo feci p er qualche tempo a L a Spezia, ma e ra giornalismo di provinc ia, senza prospettive di viaggi, senza va-

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ligia e macchina per Pi'antai il giornale e domandai d 'a m10larmi .nelle tmppe coloniali. Sbarcai a · nel 1933.

· La:pTJ.ma :impr.essiop e .d.eiJ :A{rica fu un orizzon t e di fuoco " e··tante palme. Avevo diciannove anni, l'età adatta per affrontare con entusiasmo qualsiasi avventura. M i attirava l ' interno , il deserto. O a si, sole, carovane, silenzio, notti all'addiaccio, fuochi ·di bivacco, pidocchi, scorpioni, fantasie , imboscate, piogge, fucilate.

Un giorno, alla vigilia del co nflitto e tiopico, i ba ttag.lioni indigeni l asci a rono la Libia e fecero ritorno in Eritrea. Riuscii a seguirli. Prima a Massaua , po i all'Asmara, dopo a Mai Edaga, un vi ll aggi o vicino ad Adi l'gri, dove c'erano gli ascari dell a divisione dj colore, comandat a dal gen e ral e D i Pietro. Che grado avevo? Nes sun grado. Soldato volontario. Il grado più b asso d e lla gerarchia militar e. Di me. c hiunque poteva fare tappeto. A me, bas tav a stare in Africa, il resto non co nta va niente . Si moriva di f.r eddo? Andava bene lo stesso. Si p at iva la fame? Mi saziavo d ' aria. Si bruciava di se te ? Bevevo rugiada».

F ece una pausa . « E ' st a to in Africa ?»mi d o mandò.

«Ci sono stato - risposi - Un po' dappertutto ... ».

«Allora mi capisce se nza t ante spiegazioni. A me fa rabbia chi dice che il mal d'Africa È' un a fola. I o sono ammalato dappertutto e non g uarisco mai. Eppure, anni ne sono passa ti tanti. Che malattia c'è che dura tanto ?... ». « Tornerebbe in A.frica? ».

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«Subito. Come sto. A Dessiè, a Gondar, nel ·Semien, perfino nel Mens, che è peggio della Luna. Fanno tante sto:rie per la Luna. Bastiani c'è sta to ,sei ').me.si, ..·stilla Luna, a fare la _guerra, a .sparare, amori·re di sete e di fame, ,di caldo e di freddo . Ah, .l'Africa!. .. ». · Girò attorno gli occhi poi tirò .un lungo sospiro: «Alla fine della guerra d'Abissi nia - disse - ero caporale. Dopo , venni promosso sergente. Mi trovavo a Dessiè. Che bella, Dessiè! Alta,. in una conca di montagne, c ircondata d a tutti i lati di colline . Ormai avevo imparato a conoscere . gli indigeni. Le sfumature del loro carattere, i loro difetti, i loro pregi e sapevo .leggere nei loro occhi stupiti e sinceri. Mi piacevano . Ero a capo dell 'ufficio politico di D essiè; avevo all e mie dipend enza una banda di cinquanta uomini con i quali facevo il lavoro di polizia . La guerra ufficial e e ra finita, ma in molte zone c'erano ancora p as ticci provocati da ribelli che , dai loro rifugi di montagna, calavano di tanto in tanto v illaggi dE'll'interno e facevano razzie. Rubavano il b estiame, incendiavano .le capanne e ammazzavano la g e nte».

« D urò molto'?» - domandai .

« Durò sempre . In certi posti, la guerriglia non finì mai, come ne-l Semien, p er l'appunto, _e nel Mens. Anche attorno a Dessiè, s-i viveva poco sicuri . La gent e diffidava; ogni tanto spariva qualcuno . E ravamo agli inizi del ' 37 . Un giorno, un tale Ba1lambaras, che fac eva il confiden te del governo, venne ad avvertirci ch e

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a quattro giorni di marcia c ' era tm gruppo di ribelli . ch e si prep aravano ad attaccare l' ab italo . Ci fu rappor to Ghebì. AHa t esta dei ribelli c'era il degiac Mangasc ià, cugino del Negus, il quale aveva preso il largo con i contadini dell e sue terre.

ll Residente decise di mandare un ufficia l e a parlamentare con Mangascià. L'ufficiale era il tenente degli alpini Marinangeli, un tipo di f egato, sti mato dagli indi geni. L'ord1ne fu che accompagnassi Mari nan geli » .

«Perché proprio lei ?».

«Non so - rispose Bast iani - F o rse per via dei fatti del fitaurari Chebbedè Im er o per quelli di Lig Johannes Iasu . Certamente non pe r il mio grado ».

« Che f att i?» .

« Lig I asu era capitano a Dessiè, con un seguito di trenta armati. Aveva diciannove anni. Era un ragazzo esile, d'as p etto signorile, quasi bianco di pelle. Si presentò al Ghebì, most rò i polsi e le caviglie. Aveva i solchi di funi e catene . Raccontò ·che per lunghi ann i er a stato prigioniero in un conven to ed ·era fuggito quando gli italiani avevano occupato Addis Abeba. Suo padre era il famoso L ig I asu , imperatore d'Etiopia, spodestato da Ailè Selassiè. Lig, perciò, era il legittimo erede al trono e tiopico . Di·sse che voleva re ndere omaggio all' It alia e so ttomettersi. Le a utorità italiane, però, furono semp re in dubbio con lui; n essuno fu m ai skuro al cento per cento della sua identità . I o, in ogni modo, me lo feci amico e l'ami cizia durò fino alla fi ne. L a storia di 150

Chebbedè I mer è un 'altra . Chebbed è era figli o di Ras Iler Alì, capo dell'Auss a, del Uollo e del Mens. Prima si sottomise, poi scappò. Gli scrissi, t ornò e sp arì una seconda volta. Va' a capirli , gli abiss ini. Sono pi ù complicati delle donne . Un f atto è certo, credono ne ll'amicizia e la rispettano, come ri spe ttano il co raggio ». « La Banda - dom an dai - quan d o nac? qu e . » .

« Ci siamo. L'idea di crea re una " band a ", l'avevo in te sta da sempre. Ne avev o p arlato ai coman di, ma ogni volta mi aveva no risp os to con alza te di spall e e so rrisi a mezza bocca. Come si ri sponde ai ma tti. Sta di fatto che la missione presso Mang ascià andò male. Mangas cià respins e il nostro messaggio di pace .

Un giorno, mentre ero al merca to , a D essi è, fui raggiunto da un asca ri , con l' o rdine di presen t armi su bito àl Gh ebì. Trovai il commis sario di governo, Scibelli, con il ca pi:tano P rato e il ten en te Casu. Scibelli disse: " T e la senti , Bas tiani , di arruolare una banda e comandarl a?" . " Cosa ?" - domand a i. Avre i scommesso che mi prendevano in giro . " Una banda - riba tt é Scibelli - Di co sul serio. L a situazione di Dessiè non è chiara; fra l 'altro, vorrei cominciare il disarmo d ella popo lazione e avere in mano un po' di forza . Il g en erale è d 'accordo .. . " . No n so cosa balbettai; anche Scib elH non capì. Disse: " Arruol•a fino a 160 uomini e fai prest0. C:nta bianca, buon lavoro ... ". Uscii d a] Gh ebì e ancora non ero sicuro di

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aver capito bene. Adesso, però, che potevo creare la banda, mi venivano le preoccupazioni e i dubbi. C'erano ribelli · dappertutto. Gli abissini, d'altronde, sono ribelli per natura. I vecchi capL poi, non vedevano di buon occhio ciò che di nuovo succedeva nelle loro terre. Sparivano gli schiavi e dovevano rispondere all'autorità del governo mentr e, prima, il governo erano loro. Non bisogn a dimenticare che era il 1937; la trasformazi one avvenne dopo. In quell 'epoca, i grandi focolai di rivolta e rano il Goggiam, regione boscosa e irrequieta per tradizione, il Mens e il Semien, infestati di bande di scioani e di residui della guardia imperiale. Mens e Semien erano le centraJi del terrore. Cosa vole.vano da Bas tiani? Che mettesse ordine e tranquillità in quelle zone. Era come dire, conquis tare la Luna a dorso di mulo. Cominciai gli arruolamenti. Feci sapere che il ., capo Bastiani" arruolava uomini per il governo. I primi che vennero, erano tipi spinti soltanto dal desiderio di far·e razzia . Gli si leggeva negli occhi. Oochi da l adri. Condizioni: cinque lire al giorno, un piatto di fave , un fucile e un sacc hetto di munizioni. D icevo a ciascuno: " Se non renderai, te ne andrai. Se invece renderai, ti terrò e, se lo meriterai, ti darò un grado. D 'accordo?". E loro: "Escì Ghie ta è" che voleva dire" Va bene, signore " . I fucili erano vecchi Saint-Etienne , con la palla di piom bo. Facevano rumore, fum o e basta. Segno distintivo, un turbante verde. Così, nacque la Banda Bastian i... ».

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Abbassò il tono della voce. Ripeté :· «La Banda Bastiani. Mi li ricordo tutti , i vivi e i morti. Che tipo, il povero Hassen; e H amed, al quale tagliai una gamba maciullata, con una sega da falegname! E Gheresillassiè, il gran cacciatore di leoni. Morì da eroe e nessuno gli diede la Medaglia d'Oro ... ».

« Non toccava a lei dargliela?».

« Magari! - disse - Per le Bande non c'erano medaglie!». Scacciò i ricord i. Tornò alla storia.

« La prima uscit a - disse Bastiani - fu un fiasco. Mo1ti spari, molti urli , gran fumo , ma gli sciftà se la diedero a gambe. Non ne presero uno. Li insultai , dissi che erano femmine, non soldati. Non avevano più una cartuccia; per fortuna i ribelli non ci attaccarono, a ltrimenti ci avrebbero impallinati come passe ri.

· Cominciarono i comba ttimenti suJ serio. Chebbedè I mer, che s'era dato alla macchia, tornò e si mise a disposizione della Band a con cinquanta uomini. Chi ci dava del fiJo da torce re, era sempre il degiac Mangascià. Er a una specie di f antasma. Lo segnalavano dappertutto, ma più lo rincorrevamo più spariva e, sulla sua strada, lasciava morti e feriti.. . ». «Avevate anche le donne al seguito?»domandai.

« Naturalmente - ·risp ose Bastiani - Cinquanta. Le donne erano le salmerie, la Croce Rossa, il servizio inform az ioni; tutto, insomma».

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«Gli u om ini , non si a mmutinarono mai'? Mi pare si dic a abiet, vero? N o n fecer o ma i abi et? » .

« Abiet. Successe u na vo lt a. Erano stanchi di camminare, non c 'e ran o stati combattim en ti e perciò ni ente razzie. Il mang iare era scarso. Per di più , era l 'epoca delle g randi piogge. Avevano rag ione, ma d a rgli ragione, sign ificava la fin e . L i affron t ai con cattive ri a . Dissi che n on vol evo " sciarmu tt e " con me e che si portassero pur via il fucil e, tanto non sapevano adoperarlo . Voltai la schiena e m i avv ia i senza gua r darli. Fu un momento te•rribil e . Mi seguìrono a uno a uno. Que l giorno si comb a tt é e fur ono meravigliosi.

Ce n e andammo nella zona del dove c ' era no rib el1i d i sp icco . Ab ebè Aregai, Aur a ri s, Ficrema riam e D am t eu . A me, interessava D amteu M escescià che aveva un fr a t ell o a Dessiè, am ico sincero d egli i t aliani. D amteu era una b elva . L o chiamavano, difatti, la " iena d el M ens " . I suo i sciftà e ra no i più crudeli e sanguinari d ella zona. Bisogna va aver visto il 1\.fens, per cap ire cos'era il br iga ntaggio e ti opico. Un d eser to di lava a tremila metri d'altezza; n on un albero , non un filo d ' erb a, non una gocci a d 'acqua . Niente d i niente . Sul M ens, anc he il cielo era sporco.

Quando arr ivammo in ve tta, i b anditi se l 'erano d a ta a gam b e. D am te u si fece v ivo, finalm e nt e, all 'alba del 5 febbraio 1938 . n giorno prima, aveva in ce ndi a t o villaggi e r ubato dapp er tutt o a man bassa. L a " Banda"

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prese posizione fra le rovine di un vi:llaggio . Il villaggio si chiamava Meshoà Uollal è . Dapprima , gli uomini di Damteu si fecero sentire con urli e m inacce, poi, s'acquattarono nel terreno e seguì un lungo periodo di silenzio. Da quelle parti, H silenzio faceva più paur>a de lle schioppettate.

Dissi al ·radiotelegrafista di avvertire D essiè che ero attaccato e di domandare al ·campo di Combelcià l'intervento di un aer·eo. Comhelcià rispose ·che non aveva aerei. Dissi allora ai miei uomini di misurare le .cartucce. Loro, erano trenta volte più di noi . A un tratto, sul ciglione, apparve un uomo a cavallo. Aveva l ' uniforme cachi e la futa gettata di traverso sulle spal·le . Un ascari ·Che mi stava vicino disse: " Quello è Dam teu " . ·

Dietro Damteu c'era un mare di teste, d'occhi e di mani. Attaccarono a sparare. Avevano anche le mitragliatrici. Al primo a t tacco, ne seguì un secondo. Si combatteva ormai da quattro ore. C'erano morti dappertutto. Era uscito il sole e per via del caldo l'aria puzzava di marcio. Un puzzo insopportabile, di numerosi odori che s.i fondevano in una specie di nebbia che sostituiva l'aria.

Die tro i soldati di Oamteu, c'erano i " bal Bitar " , quelli cioè armati di clava che facevano la parte di sciacalli. Davano il colpo di graaia ai feriti , spaccandogli il cranio. Uno dei miei mi gridò: "Guarda là , c'è anche il degiac Auraris ". Quel giorrno, c'era la crema dei ribelli abissini. Auraris era in sella a un mulo; legati, gli trotte rellavano vidno due

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capretti, uno bianco e uno nero , le mascottes. Era veochio Auraris, con la barba grigia, contorto come un vi tigno. La " Banda " passò al contrattacco . In mezzo ai ribelli c'e rano due tipi ercu lei che venivano avanti roteando le scimitarre. I miei sparavano, ma i due giganti parevano invulnerabili. Un ascari gridò: " Medinit! Medinit! ... ". Sono stregati! L 'idea della presenza di guerrieri stregati metteva terrore nella tes ta degli indigeni. Finalmente, uno dei due venne colpito, l'altro fuggì. Fu H segno della rotta. Verso sera, riunii i superstiti. Novantotto erano morti; ·settantasette, feriti gravi. Loro , c'erano rimasti in quattrocento. Il quarto giorno, uscii per seppellire i morti. Gli sciftà di lontano' e suonavano i tamburi. Non attaccarono più. Con gli aerei, mi gettarono un po' di medicinali e di viveri. Da Dessiè arrivarono in rinforzo ottocento Galla. Ebbi il comando d ell'intera Banda e una medaglia d'argento. Da quel giorno, diventa i " Ra s Bastiani " .

· I combattimenti erano pane di tutti i giorni. C'erano disordini nell'Ambassel? Andava la Banda Bastiani. La strada di Add is Abeba e ra interrotta? D oveva provvedere il "Dia volo Zoppo,».

Bastiani aveva insegna to ai suoi uomini a combattere anche di notte e fu una sm p resn, per i rib elli, perché in Abissinia, ·di notte, gli accampamenti erano più barricati contro il buio che contro il nemico. Anche le cime del D erantà, che erwo il

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regno del bandito Teddessè, vennero espugnate con un assa lto che rimase leggendario.

La voce che la "Banda Bas tiani " era sul D er an tà, arriv ò fino a Dessi è e si sparse· nei dintorni per cento e più chilometri, portat a sul filo invisibile del misterioso telefono della boscaglia.

Dal novembre d el 1938 al maggio del 1939, le tapp e del cammino della " Banda" furono Nefas Mucha, Db re Zebit, Debra Tabor, eccetera. Tutte località annega te nel silenzio di paesaggi biblici. Siti, direi, dimenticati perfino dagli uccelli, dove la polvere e il caldo erano così tenaci che si faceva fatica a respirare.

«Non fur ono tutte ro se - riprese Bastiani- Qualche genera le mi aveva battezzato pazzo, qualch e a ltro voleva a tutti i costi che sciogliessi la Banda e tornas s i a fa re il sergen le, magari in ufficio. R esistetti con tutte le mie forze. Mi aiutò il colonn ello Bruno Chiarini , sicch é comin ciò il secondo cicl o d'operazioni. La guerra. Dalle frontier e d e l Sudan rifarn ivano i ribelli di armi e den aro . Attaccammo Boggal è che si era proclama to "signore . di Livò " . C on noi, c'era la banda del tenente Alessandro Bu sso . Loro, avevano i turbanti rossi, noi verdi. Busso era il " corsaro ross o ", io il " corsaro verde" . Fu tmo scontro trem endo. Busso rimas e fe rito mortalm en te alla gola ; con lui cadd ero molti altri, compreso il fedele 1\.ielè Ibrahim il qual e, prima di spirare, m i raccomandò il figi io e disse con un filo di voce " Benedetta , benedetta Italia! " >> .

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Bas ti ani si passò un a mano s ugli occhi. Abbassò la testa.

«Piange?» - gli domandai. «Forse» - disse. S' alzò, and ò all:a fin es tra . «Venni fe rito la seco nda volta aNa gamba riprese- Rincorrevo I ggigù, fugg i to con un eentinaio di fucili.

L a sera , mentre ero in barella, l'amico Gbebretadik mi mostrò la trombetta di guerra di Iggigù e d isse che l'avr eb b e suona ta ogni giomo , così sa rei guarito. N e ll a zona, si sparse la voce che i l " Diavo lo bianco " era diven tnto zoppo inseguendo Ig gigù, ma gli aveva tolto la tromb a e s uonando la tromba era guarito. Ero lo n tano dall ' I tali a da otto anni. Camminavo con le stampelle, m 'offriroTio un a li cenz a. Rifiut a i. Avevo un piano in tes ta. Ne parlai con il Du ca d'Aosta. Volevo fing e re una ribelli one, buttarmi alla macchi a con i miei uomini e fare una spec ie di guerra di corsa , nell' interno, molestando gli ingles i dapp ertu tt o . Prom esse, belle parole, ma niente di fatto. ins ta ll a i nel Semien, nel fortino di Tarnascià. In quel settore, la f aceva da padrone il degiac Negasc No r chenÈ', il qual e aveva il suo quarti er generale in c ima all'Amba Cineferà, in un villaggio attorno a un m onastero . Ci arrampic a mmo di notte come scimmi e . D opo quattro o re di lotta selv agg ia, la vetta fu nostra. E sisteva una vecch ia canzo ne abissina che diceva, a ricordo di an tic hi combattimenti, che ·1' Amba Cineferà era imprend ibile. Negasc, scotta to d a ll a scon fitt a, m ise una taglia favo -

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losa sulla mia testa. D iecimila talleri di Maria Teresa. Qualcosa come un milione e mezzo di lire.. A una fortuna.

La guerra in Etiopia era ormai un affare disperato. Si lottava ·con spasimo a Cheren. Negas c, spalleggiato dagli inglesi, div en tava sempre pià aggressivo e lanci ava proclami ingiuriosi contro l'Italia. "Gli sono alla fine. Pesci ubriachi. Non lasciatevi scappare , Bastiani, il bianco di Tarnascià ".

In risposta a Negasc, mi misi a sconazzare nel Semien per dimostrargli che non ero n é pesce, né ubriaco.

Da Gondar arrivò l'ordine di ripiega re. Il 2 a prile 1941 , dopo aver protetto lo sgombero della Residenza d el presidio di Socotà, m'in- · stallai ne:l fortino di Zerimà. Solo, in una zona infe-_stata di ribelli e di sciftà. Si .vedevano attorno al forte, com e avvoltoi; sempre prese nti dove c'era puzzo di morte.

L'indomani mattina m'attaccarono. Il telefono con D eb ivar era interrotto. Il bravo guardafHi Ripepi, un ragazzo calabrese, asciutto, di poche parole ma di gran coraggio, riuscì a riattivarlo. Venne ferito a una gamba.

Da Debivar, i· l colonnello Gonella mi doma'll'dò se volevo rinforzi, uomini e autoh:lindo. "Non occorrono - risposi - aggraverebbero la situazione ... ".

" Che cosa intendi f.are'? ". "N·on so" - risposi .

''Tenterai di uscire?".

" Forse.,.''.

Il telefono si guastò di nuovo. Venne ].a

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notte. Gli abiss ini e i sudanesi facevano fantasia intorno al forte e invitavano i miei uomi11j ad abbandonarmi. Non avevamo più acqua viveri. Il fium e e una···sorgen te, erano controllati d a'l nemico. A tutti i costi bisognava rompere il cerchio. Il terzo giorno radunai i capi . Erano ombre; stanchi, laceri, feriti. D en tro, però, erano intatti. Sedemmo nel co rtil e. Parlai sottovoce. Dissi: "Tutto dipende da noi e gente come noi non può far e l a fine d e l topo. Vol e te morir e come topi? ".

Rispo sero di no . . "Si può morire - dissi - ma come leoni. Voi sape te che quelli là non fanno prigioni e ri. Perciò adesso, a differ enza d elle al tre volte, non potremo avere pietà né de i feriti n é d e i morti. Se mu o io io, andat e ava nti. Salva tev i ., " VOJ, .. . .

C aricammo il soldato Ri p e pi su un mulo e lo mandamm o via.

Aspettammo ralba. Il piano prevedeva un mov.imento diversivo a nord , contro un villaggio, e l'a tt acco in forze a sud, s ul fiume Z eri mà . Punto di r aeeo lt a, il fium e.

C ominciò la carneficina. Al terzo assalto spezzammo l'assedio. Ci b a ttemmo p er tutt a la giornata e anche quando raggiungemmo i monti , ci tr ovam mo gli sciftà alle costole, come ta fani. Pi LJ di una volta dovemmo aprirci la strada all 'arma bianca.

Ragg iu ngemmo Debi var per miracolo , in pochi , zuppi di sangue, vestiti di cenci. Il gi<;>rno d opo, a D ehivar , successe l ' incredibile. Alc uni abissini , preceduti da stracci bianchi , por-

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tarono al villaggio i nostri feriti. Dissero che il capo, degiac Mocri à, aveva dato ordine di non te nere conto della tradizione e di restituir e i feriti. Si erano battuti come leoni e ·m'eri favano salva la vita».

Dopo i fatti di Zerimù, Angelo Bastiani v enn e promosso Sotto T en ente sul campo.

La proposta partì dal genera le Nasi e venne convalidata dal Du ca d'Aos ta , che si trovava già s ull'Amba Alagi.

L 'ultima resistenza fu a Uolkefit, do ve era s tato c reato un solido caposa ld o con nazi onali e indigen i, al comando del co lon nello Gonella. A Uolkefit, c'era anche la Ba nda Bastiani. «Nel caposaldo - r acco ntò Bastiani - facemmo la chiesa e il cimitero. Ci mettemmo a posto con l ' Aldilà perch é vi e di scampo ce n 'e rano poche . Dall 'alto di Uolkefit, controllavamo la strada fra Conci a r e l' Asmara. A Cond a,r c'era Nas i.

Re lega to sulla c ima del monte, mi sembrava di esse re già in prigioni a . Ero a mu ove rmi. La vita d e ll a Ba nda era il movim ento, l'attac:;co , la sorpresa. Ogni sorta d ' astuz ie, insomma , portate a termine in un sito dagli orizzonti vasti e aperti , in un paesaggio fatto sopra ttutto d' aria. In Afric a, infatti, si ha ' la s ensa?.ione di vivere n eH'aria, a càntatto di nubi m ae stose, senza peso, in mezzo a colline c h e cambiano di colore m olt e volte durante il gi orno, libe ri come animali selvatici, sempre in ca mmino , per un appuntam ento alla fine del mondo.

L a notte del 26 aprile 194 1, organizzai un

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colpo di mano su D ebivar, dov 'e rano piazza te le artiglieri e inglesi ch e ci sparavano daHa valle. Vol evamo far saltare i cannoni. Scen d emmo in duecento, divisi in d ue fil e. De b ivar era pro tetta dai reticolati. Li tagliammo con le pinze ed entrammo nell'accampamento. D ormiva no. D isgrazia tamen te , una senti nella d iede l 'allarme. P artì un colpo di f ucile c he se ne tr ascinò dietro almeno mille. Attaccarono a sparare anche le mitragliatrici. Manca ta la ·sorpresa, i'l ·Co lpo andò in fumo. Rientrai a Uolkefit ch e a'lbeggia va, con 57 fer iti, pi eno di schegge di bombe a man o. D al lO maggio, il colonneLlo inglese Ringrose cominciò a inviarci intimazioni di r esa . Ne mandò undici. Gonell a, rispose fino all'ultimo con le armi.

Verso la fine , il comando decise di compie r e un 'azione di forza . La reazione del nemico fu terri bile. C'er ano palestinesi, indiani, scozzesi e a bissini. Con la Banda, riu sci i ad aprinni un varco a b ombe a mano e pene trai in nello schieramen to avve rs ario. Inaspetta to , arri va i al·le spalle delle forze di Ras Aileu Burù , tipo bellicoso che pr ima ·s'era so ttomesso all'Itali a poi , per trenta mila taller i, aveva tr adi to .

Il Ras era a tto rniato d all a sua guardia c he lo difendeva co n furore. Stava disteso a t err a, ferito alle gambe. Riuscii ad acciuffarlo. Qu ando mi vide, gli less i il terro r e negli occhi.

" So di aver tradito - diss e - ma mi affido a lla clemenza di Roma ... " .

I miei uomini vole vano ammazzarlo, feci fatica a evi t are che l'uccidessero .

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Anche il colonnello Ringrose si salvò pe.r miraco lo, rifugiandos i di'='trO un ·Cespuglio.

Il comba ttimento si risol se in un carnaio . Catt urammo un cannone e molte arm i leggere.

La Banda celebrò la cattura del Ras ·con un a f an tas ia indemoni a ta. Per qualch e tempo , il nem ico allentò la morsa.

Soltan to l 'artigli e ria inglese martellava le posizioni di Uol ke fit. Eravamo o rmai a cor to di viveri. Com1n ciammo a mangiare i muli, poi i corvi che sapevan o di morto, poi l'erba. Le granate cadevano anche sull'ospedal e . Poi a tta ccarono gli aer e i. Bombe e volantini per indur ci a lla rE:>.s a . Ci avver tivano che il Negus e ra torna to ad Addis Ab eba e guerra non aveva più senso.

No i, non la p ensavamo così. B 13 luglio, infa tti , invece di arren derc i, attaccammo ancor a. In gles i e indian i presero legnate da orb i » . « E g li uomini d e lla Banda'?» - domandai. «Magnifici - rispose Bastia!Ili -Non uno disertò. Le nostre posizioni erano fu ori dello schierame nto general e. Un caposaldo avanza to , prote tto da un po' di fi.lo spina to e cocci di ve tr o. Sostituivano le mine. Ringrose tornò a lla carica con un messagg io a Gonella.

Gon ella rispose : " Per quanto mi riguarda , vi di co che le mie e io faremo j,l nostro dovere come vo i fa te il vostro". Einì lo zucch e ro e finì an ch e il sale. Molti uomini svenivano per la fame. Facevamo colp i

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di , mano per · catturare qualcosa da mettere in pancia. Nel cimitero c'e rano già trecento croci. I feriti, fra bianchi e neri, er an o settecento. . .

· Il 24 settembre arrivò un telegramma di Nasi. "Uolkefit cade per il ventre". Gonda,r, a cento chilometri, ·resisteva ancora .

.Dmnandai a Gonella di lascia11mi libero. Volevo raggiungere Gon dar per combattere ancora e da Gondar pensav o poi di buttanni nella boscaglia».

« Alla · maniera ·giapponese» - dissi.

« Come i giapponesi, proprio - ribattè Bastiani - Meglio così ·che la resa. La Banda continuato la ,guerriglia da sola. Cond a r rifiutò, e ra agli sgoccioli. .

Il 24 settembre ·consumammo 1'ul tim.0 sacco di farina, poi Gonella radunò tutti e all)dammo all'assalto.

Loro ripiegarono, noi ritornammo a Uolkefit che era già buio.

Il 27, ·cinque mesi dopo che il Negus era rientrato ad Addis Abeba, ammainammo la bandiera. Centosettantacinque giomi di resistenza-. Battuti dalla fame.

Il 29 settembre vidi per l'ultima volta quelli ddla Banda. Ibralrim Alì, Blenhu I>refù , Cassa Imer, Asfa:n Go:benà, Averrà Ailù ». Seguì un ·lungo silenzio. Bastiani s'alzò e andò a rovistare in un cassetto. Ne tolse una . tromba. Tutto quello che gli ·restava della Banda. La trombetta di guerra di Iggigù. La portò alla bocca e soffiò. Ne usd un squHlo ·Che sembrò un grido. La stanza intera tremò ...

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IL PARACADUTISTA DALLA TESTA D ' ARGENTO

Fra lui , suo padre e suo nonno , potrebbero mettere insieme un medagliere da fare invidia a un battaglione di soldati.

Suo nonno combattè con Garibaldi; suo padre, prima in Libia , nell'undici, poi sul Carso e sul Piave, nel quindici e nel diciotto ; lui , Leandro Franchi, fece l'ultima guerra come " ragazzo dell a Folgore ". Quelli della " Folgore ", li chiamava no " ragazz i " anche se avevano quaranta o cinquant'anni, come Costantino Ruspoli , per esempio, che era tenen le colonnello e non s'era mai sent ito che un colonnello lo chiamassero ragazzo. Specie in guerra, che è faccenda di uomini, non di ragazzi.

Avevano facce fresche e aro i le. Erano giovani nella maniera di muoversi , di combattere, di morire. Combattevano ·e morivano con stile e lo stile, per l'appunto, in del ge-

Capitolo 'IX
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n ere, tr adiva una giovinezza che non aveva ni ente a che vedere con gli a nni.

P e r i " ragazzi " della " Folgore '', gli anni p a ssavanq p er conto loro, senza lasciare segni. I " ragazzi " gridavano " Folgore! " e pareva che la parola " Folgore " fosse un elisir di giovinezza.

D i Lea ndro Franchi, paracadutista, Medaglia d ' Oro di El Alamein, avevo sentito parl a re anche in Africa, circa trent'anni fa.

Me ne parlarono durant e il ripi eg amento dal'l'Egitto, quando, in colonna, a ndavamo verso Tripoli e sapevamo che a Tripoli non saremmo rimasti. Dissero che aveva fatto cose incredibili, pazzie, an zi. Era morto, ·re-s uscita to e dopo resusci ta to, con addosso tante feri te che sareb b ero basta•te per ammazzare un elefante, aveva continuato a sparare contro gli inglesi ·che gli d avano la ca ccia e non riuscivano a d acciuffarlo .

Me lo figura vo un gigante . Che altro potevo figurarmi , dopo que llo che avevo sentito? Clave al posto delle braccia, mart e lli inv ece che mani. Gli occhi? Niente occh i, boc<!he di fuci le. Insomma, uno ch e sparava ·Con gli occhi. Eccolo lì, invece, L eandro Franchi. Piccolo di statura, fors e hl più piccolo paracadutista della "Folgore ", solido quel tanto che bas tava per fare il pugilatore professionista, sg uardo lim p id o, un po' sperduto e mani norm ali.

La cucitura della ferita, in testa, era una ombra rosa, sotto i ca pelli . Lo guardavo e cercavo di stud iare bene il suo viso. Aveva la

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fron te zup pa di su dore. Sudava sempre. Ogni tanto strizzava gli occhi , interrompeva il discorso e si serviva di lunghe pause per riannodare i ricordi.

«La testa - dicev a - A volte mi brucia come fuoco! » Poi, con la palma , si dava una scoppola.

«Tutto arg ento, di qu i fin qui ... Quanto scotta! » Si piegava sulla sedia, metteva le braccia penzoloni fra le gambe e si tormentav a le mani. n sudore gli brill ava sulla faccia.

«Che ·c'è ?» - domandavo.

«Niente. Passa. Ogni tanto ho delle fitte qui. Non mi capi ta spesso di parlare d'allora. Qu ando ne parlo, vedo tutto e non mi semhra vero che sia successo - dice - Ho orrore del sangue, eppure... Era la guerr a . 1n guerra s'ammazza e si resta ammazzat i. No?».

« E' così >> - dissi.

« C 'e ro e mi sono ·comporta to come meglio potevo. L'ho imparato da mio padre. A mio padr e, .J'aveva insegnato mio nonno. In casa , pensavamo tutti così» .

F ece una pausa. D isse: « P olitica? Che c 'entra la politica con la guerra? Oggi dkono so ldato di questo , solda to di quello. Nessuno dice soldato italiano. Io lo dico. in vece. Ero un sold a to italiano e non faccio colpa a nessuno né per questa, né per le altre ferite». Si la testa e le gambe. Il racconto s'avviò l e ntamente. Per stuzzicare la memori a, a volt e appannata, Franchi consultava vecch i ritagli di giornale e un quaderno dove sua so rell a aveva annotato, a la-

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pis, date, fa tti e nomi. Un diario alla buona, diventato cimelio di famiglia.

Franchi disse che studiò poco . P er una faccenda di ragazze, 1lo cacciarono da scuola e allora suo padre gli mise in mano la vanga e lo mandò nei campi.

Lui, nei campi, ci stava di malavoglia. Gli piaceva la boxe; diventò pug il atore, prima dilettante, poi professionista e ·come professionista avrebbe fatto carriera se non ci si fosse messa di mezzo la guerr a.

«Nel marzo del 1940 mi chiamarono soldato. Andai a Tr a pani , in fanteria, nella divis ion e " Aosta " . La stessa divisione di mio padre, nella guerra Quindici-Diciotto.

Un giorno, dopo scoppio della nostra guerra, arrivò al reggimento una circolare con la quale domandavano volontari per fare i paracadutisti. Era quello che ci voleva p e r me. Facemmo domanda in cento. Andammo a Napoli, per la v isita, poi tornammo a Trani, in attesa della chiamata che non arrivava mai . Passarono cinque mesi. Finalmente, dopo tanto aspettare, ci mandarono a Tarrquinia.

Altra vita, altro ambiente. Disciplina dura , ma nessun distacco fra soldati e ufficiali. S' imparava a essere scanzonati e un po' ribaldi. Qu ando andavano in lib era usci ta i pamcadutisti , le ragazze da marito dovevan o restare in casa e mett e re , il catenaccio all'uscio . .. ».

«Lo facevano?» - domandai.

« Neanche per sogno. Ci mangiavano con gli occhi!... Nasceva la " Folgore" . Qu ante se

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Lea n Jro Fnmchi i l « >> da ll a d'a rgentO

ne dicevano sulla " Folgore "! Ma per quanto si dicesse. bene, non si diceva mai b ene abbastanza.

Del resto ci furono i fatti. Dicevano che ci avrebbero buttati su Alessandria, in Egitto, su Londra, oppure a Malta. D ovunque ci avessero buttati, importante era che ci buttassero.

Dopo l'istruzione, andai a Firenze per un corso di sabotatore. Lmparai a maneggiare la dinamite e a far saltare ponti , aeroporti e ferrovie. In principio, la dinami te scottava le mani poi , con la pratica, diventò roba qualsi ,asi ». « Ci si poteva lasciare la peMe... » - dissi. « Noi, comunque, dinamite o no, la pelle ce l 'av remmo lasciata lo stesso. Lo sapevamo. Chi ci aveva obbligato a fare i paracadutisti?

Nel maggio del 1942, arrivò l'ordine di trasferimento. Punto di raccolta, Grottaglie. Ci esercitavamo contro i carri e im paravamo l' ingles·e ». Era l'epoca in cui lo Stato Maggiore italiano aveva completa to il piano per l'attacco a Malta. Orm ai non c'era dubbio che sarebbe toccato alla " Folgore " scendere ·suUa rocca, mentre le navi attaccavano l ' Is ola dal mare. L'attacco andò in ·fumo per via della fulminea avanzata di Rommel in Egitto .

« In luglio, partimmo da Grottaglie. Era il giorno 17, venerdì, e il movimento cominciò alle diciassette. E poi si dice la superstizione. Ci si può anch e non credere, ma a vo lte ... Dove · s'andava? Nessuno sapeva niente. Noi soldati, ci togliemmo le mostrine; gli ufficiali si tolsero

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i gradi. Eravamo in pieno assetto di guerra. Al pòs to del moschetto ci avevano dato il mitra. lò partii con lo scaglione che andò in treno; gli altri partirono dopo, in aereo. Il convoglio non finiva più. Viaggiammo per sette giorn i attraverso i Balcani, fino ad Atene. Da Atene ci portarono a T atoi, dove piantammo il campo e arrivarono gli altri.

D alla Grecia ce ne andammo di notte . D estinazione sempre ignota. Sorvolammo Creta, finalmente vedemmo le coste dell'Africa. Il mi o vicino disse: " Stavo! ta ci siamo. Si va ad Alessandria".

Un altro: " Aspettano noi per il ballo finale ... ".

Scendemmo a Fuka . Altri andarono a T obruk altri a D erna.

A Fuka, l'aria bolliva. C'era tanta polvere che l 'aria era rossa.

" E quelli'? " -- domandai ad un aviere indicando una fila d'autocarri incolonnati sulla strada.

"Per vo i ·· ·· - rispose l'avie r e e con la mano indicò vagamente avanti.

Ci tolsero i paracadute. Addio lanci. Addio Egitto. Tratt avano la " Folgore" come una qualsiasi divisione di fanteria.

Uno disse: "Ragazzi, salutate il cielo. Si muor e in buca!".

Salimmo sui camion. Ci portarono verso la lin ea . Non si sentiva nessuno dei rumori che si sentono in guerra. Facemmo la s trada asfal tata fino al mi,nareto di Sidi Abd el Rahman poi, imboccam-

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mo la Pis ta- d ell'Acqu a che arrivava fino alla D epressione di Qattara, attrav erso il Passo del Cammello. Avevamo p erso un po' della nostra bald anza. C 'erano musi lunghi. Un ufficiale se n e accor se e cercò di buttarla in scherzo. '' Rag azzi - di sse - con i paracadu te o senza, la ' Folgore', ad Alessandria, ci arriva lo stesso!".

Gridò : " F olgore! ". Rispondemmo: " Folgore ", a una voce. Bastava il grido e riprendevamo la carica. Era pomeriggio. Com in ciava a fare sera. Il cielo p are va un in cendio. Un tramonto del genere non d oveva essere disturbato dalla guerra, invece la gu er ra la sentimmo ap p ena lasciati i cam ion. Ci arrivò addosso una scarica di "88" che fece tr ema re l'ari a. Ci furono due morti. Due ragazzi milan esi, Fu nelli e F ontana . Due tipi così. .. » - sch ioccò le dita - · «Uno era s tat o in Sp ag na e do lJO aveva fa tt o l'avanzata in Libia .. . ».

Siccome, nel rac con to , si p a rlerà ancora di Pista dell'Ac.qua, dirò che insieme alla P ista Rossa, qu e ll a d ell'Acqu a era una d e lle du e strade, in mezzo al deserto, che collegavano El Alamein alla D epress ione di Qaltara. L a Pista Ro ssa attraversava il Passo del Carro, la Pista dell'Acqua, il Passo del Cammello. Di pi s te, n a turalmente, ce n'erano molt e altre. ma queste du e erano 'le più note e le pi ù battute. E anch e le più agevoli, per via del g ran traffic o di ca mion ch e riforni va no le truppe avanzate.

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« Cominciammo a sistemaTe il campodisse Franchi - che era già buio. Come vicini, avevamo i bersaglimi e i fanti della " Brescia ., : rintim a't i -dentro- buche, - come 5orci. Imparammo ·subi.f.o.1a ·vita del Di lì , dopo un paio di giorni , ci spedirono al Passo del Camme1lo, che era all'estrema cles tra del front e. · In settembre, poche settimane dopo il no'stro arrivo, ci fu una puntata offensiva. Con un paio di battaglioni penetrammo nello schieramento nemico form ato, in quel settore, da trupp e neozelandesi. Facemmo diversi prigionieri e creammo d egli avamposti che tenemmo sempre, fin o a quando , un mese dopo, si sca: tenò l'inferno e il deserto div en tò la tomba della " Folgore " . Quelle erano giornate ancora buone. C' erano anco ra molte speranze e fpa noi, anche se er avamo nelle buche, si pa!J1l ava d' Alessandria e d el Cairo. Tanto, i paracadute avrebb ero fatto pres to a ridarceli . Una volta, durante una p ausa dei combattimenti, vedemmo venire avantL da un posto nemico, una macchinetta con so pra una ·bandiera bianca. Ne scese un generale piccino e nervoso. Voleva il colonnello italiano. Disse: "Sie te circondati da tutte le parti. Ho dieCi batterie pro n te a sparare. Vi dò un quarto d'ora per arrendervi... ". Guardò l'orologio da polso e rip etè: "Quindici minuti\...". Il colonneUo lo guardò d aH'a lto in basso e a sua volt a gli mostrò l'orologio. Disse: "Siete davanti a truppe d 'assalto italiane che

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considerano la vostra offerta un insulto. Vi dò cinque minuti per tc·mare da dove siete venuto .. . ".

Il combattimento riprese nella nottata, i neoz elandesi si rHirarono e p venne fatto prigiqniero.

"'Fino a ottobre, no n facemmo che p a ttuglie. Prima che arrivassim o noi , gli inglesi lavoravano alla garibaldina. Scannavano sentinelle, disinnescavano mine , portavano via qualche posto avanzato e . se pot evano, facevano saltare autocarri.

Con l'arrivo in linea della " Folgore " , la musica cambiò . Non per darci deUe arie, ma il colpo di mano era il no st ro mestiere». Si asciugò sudOfe.

« Lei - · domandai - andava spesso in pattuglia?» .

«Sempre - rispose - Una sera sì e una altra sì. Per ammazzare il tempo! ».

«E il 2.3 ottobre?» - domandai.

Mise una mano sugli occhi. «L'infernodisse - Sa immaginarlo l ' in ferno, come dicono i preti ? Be', fu così. Una notte terribile. Aveva preso fuoco anche il cielo.

U na nostra compagnia, la Dicianno vesima , era attestata avanti, al di .Jà del campo minato, proprio alla fine del varco, sotto un costone.

Io; c.on quattro compagni, stavo alle spalle della Dicianno vesima per tenere i con tatti radio con il comando di battaglione e di raggruppamento. Eravamo il sergente maggiore Pistillo, io che facevo da segnalatore, Cap -

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pelletti di P adova, radio telegrafista , morto, anc h e lui Medaglia d'Oro, Bartolotta e un certo Capra. Eravamo in una buca. Alle otto e mez zo di sera, attaccò a sparare l'artiglieria. I cannoni tiravano così svelto che invece dei tonfi si sentiva un grido. Le granate cadevano sul campo minato e scoppiavano anche le mine.

Ci dissero di rientrare dal caposaldo, un centinaio di metri più indietro. Fra l'altro, noi avevamo anche il compito di chiudere il varco, cosa che fa.cemmo prima di muoverei. A mezzanott e, cominciò ad avanzare l a fanteria nemica, con la protezione dei carri armati . Fra r azz i e spari, ci si vedeva a giorno. Con . la Diciannovesima compagnia non c'erano più collegamenti. Il tenente A-lessi domandò: "C'è qualcuno che vuole andare ad aggiustare i fHi? ".

Ci offrimmo PistiUo, Crisci, Lustrissimi, Cappelletti , Migliavacca, io e due altri . Uscimmo , ma non fu possibile fare nulla. I fili erano stati spezzati dalle bombe. Tornammo con dei feriti. All'alba del 24 ottobre, ci fu un momento di tregua. L 'artiglieria taceva . C'era dappertutto un gran sHen zi o. Aspettavamo d a u n momento all'a lt ro che arriv•asse l'ordine di contrattaccare. Se qualcuno ci avesse detto, allora, che invece non ci saremmo mossi di lì, l'avremmo preso per matto. Gli aerei non smettevano d i bombardare. Erano fitti come mosche. Tutti americani. Gli inglesi avevano sopraffatto la Dic ia nnovesima

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compagnia. Un pugno di "ragazzi", con tro un a divisione.

Verso mezzogiorno, ricominciò la solfa delle cannonate. Alle quattro, vedemmo muoversi i carri tedeschi, grossi carri della divisione che noi chiamavamo " su per Berlino " . . D tenente Alessi, mio comandante, domandò se c'erano dei volontari per togliere di nuovo le mine e riaprire il passagg io. Ci offrimmo ancora noi. Era il contrattacco. Pistillo, prima di u·scire, strizzò l 'occhio e disse che stavolta, finalmente, s'andava avanti. " Passati i carri - disse - ci buttiamo dietro anche noi e facciamo il bagno ad Alessandria". Avevamo croste di polvere ed eravamo pieni di pidocchi. Sporchi , insomma, da tir.arci via lo sporco come se fosse un a buccia. Togliemmo le mine sotto il tiro inglese. Lavorammo un po' sdraiati, un po' curvi. Uno disinnescava le " padell e' ': l'altro le metteva da parte. I " panzer " aspettavano alle nostre spalle. Rientrammo nel caposaldo. I carri, però , anziché avanzare, torn arono indietro. " Ragazzi - urlò Alessi - bisogna chiud ere il varco. Chi VIa?" . Andammo noi un'a ltra vol,ta. Avevamo H magone in gola. Non ca pivamo cosa stava succedendo. Il giorno prima ero stato fedto e le ferite mi bruciavano. Nel frattempo, s'era fatto buio. Durante la notte gli inglesi ripresero l'avanzata. Venivano avanti e gridavano: " Kamarad! Kamarad! ", sperando che li prendessimo per tedeschi. IJi facemmo arrivare fino a -cinquanta metri dal caposaldo e li ac-

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cogliemmo a fucilate e bombe a mano. Le munizioni finirono presto. Non avevamo :r.ifomimenti. Gli inglesi d avevano sup era ti. Urlavano: " Surrender, arrendetevi. Hands up. In alto le mani! Non avete più scampo!... ". Finite le bombe, ci mettemmo a tirare sassi.· Uno gridò: " Folgore! " Fu l·a tromba della carica. Quando si gridava " Folgore! " , risuscitavano anche i morti. Attaccammo all'arma bianca ... Noi eravamo una trentina; loro, almeno, trecento. Ci furono addosso». Fece una pausa. « Dio mio - disse quanti erano! Quante armi avevano. Ci voleva poco a combattere così... ». « Eppure » - dissi. Non mi lasciò finire. « Eppure, ci lasciarono mo11ti e carri armati. Mi presero. M{ gettarono a terra poi mi portarono sotto H costone dove tre giorni prima c'era la Diciannovesima compagnia. Trovai •altri Un centinaio. C' era un colonnello di fanteria con la faccia coperta di sangue. Era cieco. Poco più in là, c'era un capitano, mutilato al basso ventre. Aveva tentato di scappare e s' era buscato ,una baionettata d aUa quale usciva sangue come da un rubinetto. Era mezzo svenuto. Nes•suno poteva toccarlo. La sentinella non voleva. Col mitra, ci obbligava a •stare sdraiati. Il "campo'' era specie di corridoio sotto il costone. C'erano quattro sentinelle. Mi strappai un pezzo dei pantaloni ·e tentai di fasciaTe la ferita del capitano. L a sentin ella urlò. Mi fece ·c,apire che se non stavo disteso in terra mi avrebbe fatto altrettanto.

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Arrivarono altri prigionieri. Si combatteva ancora lì vicino. Le nostre artiglierie ti,ravano e le granate ci cadevano addosso. Era fuoco nostro. Avremmo voluto che fo·s,se il doppio. Non pensavo che a scappare». «Per andare dove'?» - domandai.

« Dove c'erano i " ragazzi " della F olgore . C'erano ancora, si battevano alla disperata. Sentivamo gli urli. Gli inglesi gridavano di a rrendersi e loro rispondevano " Folgore! " Anch'io avrei voluto gridare " Fo:lgorel ". Passò parte deLla notte. Verso 1le ·due e mezzo del mattino del 25 ottobre; tentai il colpo. Anohe la luna finse di non vedere. Si nascose dietro le nubi. Strisciai e aiTivai vicino alla sentinella. L ' aggredii con un pugno allo stomaco; con l'altra mano, le tappai la bocca. La gettai a terra. Sfilai il che avevo alla cintola e la colpii al petto. Non disse neanche " ahi! ". Qualcuno dei mi vide, non fi.atò. A pochi passi, c'era 1'altra sentinella. La testa mi andava a fuoco. Se non scappavo, impazzivo». Guardai Franchi. Aveva la faccia ,coittratta. Gli tremavano le mani e sudava. Ogni tanto aveva degli strappi nella voce. Non era più il " ragazzo " di prima. La guerra, la storia, lo avevano di colpo invecchiato. « Sicché - dissi - fece a!Jtrettanto con la seconda sentinella... ». Annuì con la testa. Forse fu un'impressione, ma la cicatrice deUa ferita gli era diventata più rossa.

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«L' afferrai alle spalle - disse - le impedii di gridare e la colpii alla nuca. Non morì subito . Fece un lamento. Inter vennero Bove, Lustrissimi e un altro di cui non ricordo il nome. Ne restavano altre due. Una venne verso di me. Il delo, intanto, cominciava a sbiancarsi. Bisognava fare presto. Mi misi supino, come se do:rmissi. Avevo nascosto il pugnale sotto la schiena. La sentinella si fermò a un paio di metri. Forse, s'era messa in sospetto. Saltai .stl e le fui addosso. Con una mano afferrai il fucile, con l' al·tra tirai all'impazzata, all'orecchio . Cadde. La quarta sentinel!la cercò d 'avventarsi contro di me ·col fucile a baionetta inastata. Feci rico'i-so alla mia tecnica di pugile e la scansai sbilanciandomi su un piede. Sparò qualche colpo. L'abbmcciai e le tolsi l'arma , gli altri fecero il resto. Eravamo lib eri. Si a lz arono tutti in piedi. Era già l'alba». «Nessuno dei quattro gridò?» . - domandai. «Nessuno» - rispose Franchi. C'è ti -chi incassa la lama ·in silenzio e chi grida. "Scappate, scappate" - dicevo . Si misero m fila, curvi, e s'avviarono verso il varco del campo minato. Chi era sano, aiutava i feriti, ma sano, veramente, non c'era nessw1o. Tolsi la cinghi a all'ultima sentinella uccisa, la legai al piede del capitano ferito che mi caricai sulle spalle e dissi a l colonnello deco di seguirmi , tenendo in mano l'altro capo della correggia. Ci portammo dietro anche i morti. C'erano due fratelli. Uno vivo, l'altro caduto. Il vivo

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'si canco m spalla il morto e lo seppellì scavando la fossa con una baionetta , di fianco al vecchio campo minato. Camminavo a fa ti- . ca. Mi facevano male 'le ferite e H capitano pesava. Il colonnello, che mi seguiva un passo indiet ro, diceva: " Forza ragazzo! Che Iddio ti protegga! Avan ti , avanti! ".

Di quando in quando , saltavano le mine e qualcuno finiva in aria, ridotto a pezzi. Ci eravamo sbandati. Alcuni, s'erano avviati verso il varco e vennero ammazzati perché al varco si combatteva ancora . . La " Folgore " resisteva . Mi trovai isolato. Giunsi davanti a un nostro caposaldo, ma non mi riconobbero . Spararono una raffica. Una pallottola mi colpì di S'triscio al petto, un'a,ltra mi bucò la coscia sinistra. Seppi dopo che chi aveva sparato era uno d e i miei più cari amici. Norsi D' Alessandri. Me lo disse con le lacrime agli occhi. Caddi e il capitano mi cascò addosso. Il colonnello e io ci mettemmo a gridare aiuto. Ci raccolsero . Sulla sinistra, intanto , una squadra di paracadutisti, comandata dal tenente D 'Amico, contrattaccò un gruppo di inglesi e li mise in fuga. Ci portarono più indietro. Il nemico, era alle nostre spalle . Resistev amo perché non poteva succedere che la " Folgore " si arrendesse. L e buche erano piene di morti e di feriti. Chi poteva appena muoversi, raccoglieva le armi dei morti, nostri e loro, e riprende va a combattere. Con un assalto di mezzi corazzati e fanterie vennero riconquistate akune posizioni perdute il giorno avanti.

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A un tratto, un gruppo di inglesi in fuga vicino aHa nostra buca. Li assalimmo con baionette c: fucili. Si sentivano urli da ogni parte. " Savoia! ", " Folgore! ", " Italia! ". erano tanti e d schiaociarono. Sulla mia testa vidi luccicare una lama. Niente altro. Gli occhi mi diventarono bui. Perdetti i sent1menti. Quando· ripresi conoscenza, non credevo di essere stato pugnalato. Ero convinto .che mi avessero colpito con il caldo del fucile. Accanto, c'era un bersagliere, bocconi. Cercai di dirgli qua1kosa, non rispose. Più in là c'era Un sergente maggiore della " Folgore" ferito al·le spalie, poi un ufficiale di fanter ia con un braodo staccato che si lamentava. C'erano .alcuni morti. Dieci metri più in là, vidi due ·soldati inglesi dentro una buca. Mi voltavano le spalle. Uno stava chinato, l'altro era in piedi e guardava avanti ·con un bi•nocolo. :\Uungai la mano destra per afferrare la rivoltella del bersagliere. l,a mano non si muoveva. Pròvai con la sinistra. Strisciai un poco e cercai d'alzarmi. Tutta la parte destra era Il sergente mi disse: "Sei ferito al·la testa". Vedevo grigio e confuso. Finalmente presi la pistola. Sparai .in direzione dei. due inglesi. Al primo colpo, queHo del binocolo si voltò. Continuai a · spalfare. L'altro si ·alzò. Spararono anche il sergente maggiore e l'ufficiale senza un braccio. Li uccidemmo tutti e due. Intanto cercavo di parlare con 11 bersagliere ... ». « Per dirgli cosa? » - chiesi.

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...

«Non so ... Forse so cosa volevo dire. Volevo dire che loro erano tanti , che avevano molti carri e ,Ji avevo visti quando mi avevano preso prigioniero .. . ».

« Lo disse'?».

«Tentai, ma il bersagl.iere si voltò . Aveva la pancia aperta. Disse: " Mamma, mamma mia ... ". Dopo non parlò più. Provai ad alzar.mi. Ero di piombo . Intanto avevo p erduto la vista quasi del tutto.

Con la mano sinistra, ch e si muoveva ancora, riuscii ad affenare- un filo telefonico e, un po' strisciando e un po' rotolando, arrivai a un caposaldo t enuto dai nostri. Mi raccols e il paracadutista Marmai. Prese un camion a due tedeschi e mi ponò all'ospedal e a Marsa Matruh ».

« E la ferita'?».

«Avevo un pugnale conficcato nella testa ... ».

Scostò i capel-li e moslrò io1 rammendo d ella ferita . Un rattoppo largo quan t o una mano. Sotto l a pelle, c'era argento.

A Marsa Matruh, siccome non poteTOno estrargli il pugnale, gliene segarono un pezzo. L'altro pezzo rimase dentro.

Jil medico disse che non c'era speranza e la cosa migliore era fargli una puntura p er accorciargli l'agonia. Si oppos·e nn ·capitano paracadutista, di nome VianeJlo. Credeva nel miracolo . Ebbe ragione.

«Cosa seppe di allora'?» - domandai.

«Seppi che durante il viaggio fino a Marsa Matruh - disse Franchi - gridavo che vo-

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levo parlare con il comandante per dirgli quello ch e avevo visto nelle retrovie nemiche. Avevo visto un mare di carri anna ti.

A un tratto se ne andarono del tutto la vis ta e la parola. Mi svegliai a Napoli. Cieco, paralizzato e muto.

Quando ricominciai a balbettare qualcosa, dicevo soltanto tre parole: matto, ottantotto, acqua ... ».

« Che volevano dire ... ».

« Matto, perché me lo diceva sempre il tenente quando mi offrivo per andare in pattuglia . Ottantotto, perché ricordavo il famoso cannone. Acqua, per la gran sete patita ... ». Fece una pausa. Disse: « Dio mio, com'è brntta la se te . Brutta. Peggio di tutte le ferite . Molto. molto peggi o!. .. ».

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FRA DIECI MINUTI SA L TE RETE IN ARIA

All'epoca della guerra era uno dei " siluri umani " . L ' affondatore di Alessandria. Luigi Durand de la Penne.

Mi sedeva di fronte. Gambe allungate su una sedia, sigaretta in mano, o·cchi in alto a seguire l' anello di fumo della sigaretta.

« Bellissimo - disse - Porta fortuna! ... ».

«Superstizioso?» - domandai.

«Quel tanto che basta per crederci . Avevo un noimo napoletano ... ».

Non aveva un linguaggio pittoresco. Poche parole, nessuna indulgenza per iJ racconto , niente emozione. Piuttosto, noia di parlare di sé e dei fatti d ' allora. Dei mezzi d'assalto, dei siluri umani, d e lla vita segreta, un po ' misteriosa, del gruppo di assaltatori di Bocca di Serchio e della notte d'Alessandria che ·costò agli inglesi due corazzate, una gros,sa petroliera e un cacdatorpediniere.

Capitolo X
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Quattro navi in un colpo, affondate con le mani, da sei uomi ni di co raggio .

Domahdò: «Ma - è -proprio necessario parlarne'? ».

« Andi amo avan ti » - dissi. Seguitò il racconto come se facesse una re lazione al comando Marina. Senza una battuta di dial ogo, senza una frase che dicesse la tensione e lo spasimo di quei momenti. Pareva che racconta sse una storia d 'altri e che lui l 'avesse saput a per caso. Domand ai: «Lei c'era ad Alessandr ia, non è vero? .. . ».

Si sen tì toccato .

«E com e se c'ero !... ». Dissi: « Allora mi raccon li quello c he successe ad Alessandria nella no tt e fra il 18 e il 19 dicem bre del 194 ] ... ».

Ca pì che fino allora aveva parlato p er niente. Cambiò regis tro .

« Cominciai a navigare a quattord ic i anni - diss e - come mozzo sui mercantili. Mi piaceva l 'avve ntura .

Credo che il primo pkoscafo sul quale mi imbarcai, si ch iamass e "Gange " . Mi portò in Cina. P oi entrai all'Accademia Navale p er diven t are uffi ciale di complemento. Mio padre mi aveva trasmesso la p assione del mare . P er lui , c'era sol o la Marina . Pri ma na v igò e qu ando passò a ter ra, per riman e re n e ll'ambien te, si mise all a testa del " Ll ovd Saba udo " e ne fece una compagn ia di grand e p restigio .

A me interessava la Marina leggera. I MAS, p er esempio, e difatti, qu ando uscii dall ' Ac -

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cademia, ven ni assegnato al co man do di una sezione di MAS , nell'Egeo ... ».

« E i 'mez zi d 'assalto?».

«A llora non ne sapevo nie nte. Anche se, a quell'epoc a, era il 1935, T ese i e Toschi avevano gi à realizzato il loro p1;mo apparecc hi o ... ».

«E l a stor ia del maiale?».

«Nacque per caso, dur an te un allen amento. Un giorno, Tesei andò fu ori per esercitarsi a scavalcare un 'os truzione, creata al largo, su l genere di quelle di Aless andri a e Gibilterra. Siccome, .p er superar e l'ostacolo. bisognava scalare l a re te, disse al secondo di legare il maiale ... ».

«Perché lo chiamò mai a le?».

« Non so. Fu la prima cosa che gli venne in mente. Avrebbe potuto dir e, ch e so io, lega il cane, opp ure, il somaro. Era lo stesso. In ogni mod o. da quel momento, l'apparecchio diventò " il maiale" e il nome, che non aveva niente a che vedere con i11 mezzo H neanche d ' asp e tto , somigli ava a un mai al e, c i fu di aiuto perc h é, parland o in prese nza di es tranei, ness un o poteva capirci.

Una volta , anzi, in un a tr atto ria di Viaregg io dove andavamo di quando in quando per prenderei uno svago, sentendoci parlare di maiali ci scambiarono per mediatori di bestiame . Il segre to dei nostro l avoro fu custodito fino alla fin e» .

« Com 'e ra, a quell 'epoca, Bocca di Serc hi o'?. ».

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« Uno squallore. Non c'era niente, all'infuori di una fitta pineta, una vasta riserva di caccia e un fiume, i· l Serchio, che a poca distanza dalila t enuta, si mescol ava col mare. La spiaggia era silenziosa e vuota. Un posto ideale per lavorare in pace, fuori tiro da occhi indiscreti. Fu T esei che, per il raduno e l'allenamento dei "siluri umani", indicò Bocca di Serchio. C'era vicino La Spezia, importante base logistica della Marina e il fiume , colmo d'acqu a per tutto l'anno, permetteva l a navigazione delle bettoline che servivano di nascondiglio per i mezzi d'assalto. In più, eravamo sotto la protezione dei carabinieri che sorvegliavano la tenuta reale di San Rossore e allontanavano chiunque si fosse mostrato troppo curioso. Noi lavorav amo soprattutto di notte, quando non c'era la luna, per abituarci a navigare col buio, sopra e sotto il mare. Indossavamo costumi di gomma che ci davano l'aspetto di ab itanti d'aJtri pianeti. Si trattava di tute aderenti, munite di maschere e occ hiali, con una sporgenza, fra il naso e la bocc a, che sembrava una proboscide mu til ata. Vivevamo neHa casa del guardiano. In principio, non c'era nean ch e la luce. Come stanza di riunione, avevamo una camera al p ianterreno, con un grande camino. Il mobilio era costituito da un tavolo, una panca ·e qualche sedia. Non ·c'erano attaccapanni, soltanto chiodi pian lati nel muro. Le camere da letto erano al piano superiore. In una, dormivano Tesei , Stefanini e

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Falcomata, il dottore. Nell ' al tra , Toschi, Birindelli e Franzini; nella terza, io e Centurione. I più giov ani e meno elevati in grado . Io, infatti, ero sottotenente di vascello; Centurione, guard iam arina. Fummo i primi otto dei m&zi d ' assalto ... ».

«La prima covata di siluri umani»dissi.

« Così. L'anima del gruppo, era Tesei. Un ··uomo eccezionale. Come Tesei ce n'è uno ogni .cento anni. Sono uomini rari, che precorrono i tempi. Non scherzo. Ideò i mezzi d'assai to e progettò anche una spedizione polare col sommergibile. La stessa che, vent'anni dopo, fece il sottomarino ·americano Nautilus ».

«Il Nau tHus - dis·si - perforò i ghiacci... » .

«Ebbene? Anche Tesei aveva ideato una trivella per i ghiacci. La provò aUa Spezia: Andò benissimo, soltan to che da noi non se ne fece nulla. D el resto non fu la prima volta ... Ci mancò niente che anch e i mezzi d 'assaJto venissero messi in dispart·e e Tesei fosse preso per matto. Era nato eroe, Tesei, e non lo sapeva. Faceva tutto con naturalezza e disinvo ltura . I gnorava il significato della parola rimpianto ... ».

«E voi, quando parti va te, avevate rim• pianti?».

« Chissà. Si andav a e sapevamo che n on saremmo torna ti. Se fini va b ene, ci prendevano prigion ieri, ma era più proba bile che ci lasciassimo la pelle . Eppure amavamo la vita. P er Tesei, invece, era differente ... ».

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«Voi, ins om ma, spe ravate di tomare anche se le speranze erano appese al fil o di un m iracolo. E ' così?... ».

«Na tura lmen te - disse D urand de la P enne - D 'altronde, sperare è un'abitudine umana. Si spera fin o alla morte. A T esei, invece, non faceva dispiacere morire. Di re i, anzi, che voleva morire. Mah! Lo dimostrò a Malta. Saltò in a ria con tutt a · la carica per aprire un varco ai b archini esplosivi che dovevano a ttaccare h base nemica.

Quando si perdono amici come Tesei, ci si accorge di esse re soli. S'apre un buco nella vita e il bu co resta, fi no alla Hn e ... ».

Rimase un attimo in silenzio. Accese una sigare tta, tirò una lung a boccata di fumo. « In guerra - dis.se - succede come a scuol a. C'è chi sa molto e chi sa poco. T esei sapeva molto; quel poco ch e so io, l'ho imparato da ]ui. Alm eno a gi ocare l a v ita, che poi, a p ensarci bene, non è un gioco tanto difficile». Lo guardai. Cap] la mia meraviglia. Tornammo a parlare di Bocca di Serchio. « Sulla riva d estra del fiume - diss.e De la P e nne - c'e rano du e bettoline nascoste fra i cespugli di canne. Nelle bettoline, nascondevamo i maiali. De nostr e armi segre te. In p rincipio ce n'erano du e, poi ne p ortarono a ltri du e . Na tur almen te, erano mezzi da allenamento, poco rifiniti e pieni di magagne. I veri apparecchi, quelli d e lle ulti me azioni, subirono m te m odifich e e alla fine si poteva dire che erano quasi perfetti. Andavano co n

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un motore elettrico e, tra · apparato motore e carica esplosiva, misuravano all'incirca sette metri. La testa, lunga un metro e ottanta , conteneva trecento chilogrammi di alto espio - · sivo . Si svitava ·e, con un cavo, ven iva attacca ta alla chiglia della nave destinata al sacrificio.

L 'equipaggio era formato di due uomini. Stavamo a cavalcioni d el maiale come in sella a una moto.

A Bacca di Serchio facevamo tutte le prove c he avremmo dovuto ripetere dentro i porti nemici. Ci allenavamo a .camminare sul fondo del fiume e del mare, a trasportare il maiale, a armeggiarlo alle retci, durante i passaggi delle ostruzioni , e a sollevare le magH e d'acciaio c he, spesso, erano molto lunghe e rkhiedevano, per sollevarle, sforzi b es tiali. In principio si face va tutto con le m ani, dopo ci diedero le cesoie e un alzareti automatico, che funzionava ad aria compressa ».

«Era difficile manovrare l'apparecchio?».

«Piuttosto. I primi non andavano ben e . Di solito si in clinavano di poppa e per raddrizzarli ci voleva la mano di Dio ... ». «A che profondità andavano?».

« Al massimo venticinq ue metri. Al di là, si schiacciavano. Successe a Gibilterra, la volta che fu · fatto prigioniero Birindelli. Mancò per un soffio l a sua corazzata! La Barham. C ' era già sotto, la vedeva, la palpava con le mani e il maiale non voleva sapeme dj camminare... Scoppiò la guerra. Con la guerra

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cominciarono le nostre avventure. Fortuna t e o no , furon o sempre grandi avventure.

A quell'epoca, comandante d e i m ez zi d'assal to, era Mario Giorgini. Nella seconda quindicina d'agosto del 1940 lo chiamarono a Roma, a Supermarina. Tornò a Bpcca di Serchio e, appena arrivato, ci riunì e disse:

" Ragazzi, ci siamo. Si va ad Alessand ·a ,, n ....

" E gli apparecchi? " - domandammo noi. '' Questi di Bocca di Serch io. Ho detto che non vanno bene ma non c'è stato niente da fare. Vogliono il 'colpo grosso ' . Se Dio ci ass is te, ·lo faremo " . P ar timmo da Bocca di Serchio a notte alta. C i imbarcammo su lla torpediniera Calipso. Cinque equipaggi e quattro maia·li. Io, con Lazzaroni , formav o l'equipaggio di ris erva. Un sommergibile, l ' Irid e, al comando del tenente di vasce llo Brune tti, doveva riunirsi a noi nel Golfo di Bomba, ad Ain el Gazala. Come bagaglio, avevamo una piccola valigetta con dentro il p egg io del nostro corredo . Tanto , sapevamo che non saremmo tornati.

D opo due giorni di navigazione arrivammo a Tripoli. D a Tripoli ci spostammo a Bomba. C'erano, ad aspettarci , l' I ride e l'incrociatore ausilia-rio M ontegargano, un p iroscafo panciuto e vis toso che batteva la bandiera dell 'ammiraglio Brivonesi. Il M ontegargano funzionava da base logis tic a. Bnmetti non era tranquillo. D urante la

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navigazione era stato avvistato da un r·icognitore nemico; il posto del convegno , poi, gli sembrava il meno adatto. In fondo, non aveva torto. Il golfo di Bomba era sempre des e rto e qu ell'improvviso assembramento di na vi avrebbe me sso in sospetto anche Lm bambino. Gli inglesi avevano occhi dappertutto .

La sera dell'arrivo, fummo avvistati da un aereo britannico. Brunetti disse che la frittata era fatta. Nella notte fra il 21 e il 22 agosto , montammo i m aiali sul somm ergibil e ».

«Allo scope rto')» - dom andai.

«All ' esterno d ello scafo. Ancora non erano stati fabbricati i cassoni di protezione .. . ».

« E p er le grandi profondità - dom andai - come faceva il sottomarino?».

«Non poteva scendere oltre i venticinque metri. Il sommergibile, non il sottomarino», corresse.

«Non è la stessa cosa?» - domandai

«No . Il sottoma11ino è ·nato con caratteristiche per operare specialmente in immersione mentre il sommergibile ha , per lo più, qualità di nave di superfide. Lo -chiamano, anzi, torpediniera che può anda.re anche sott'acqua.

Verso le dieoi del mattino del 22, l'Iride s' avviò al largo per una prova di distacco degli apparecchi. Di noi, a bordo del sommergibile, c ' era soltanto Birindelli . Gli altri erano a rapporto da Brivonesi, sul Montegargano. I o ·lasciai l'Iride all'ultimo istante, quando era già in movimento . Anche il comandante in

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seconda del sommergibile, Angeloni, era poco ottimista sulla riuscita dell 'azione. D avanti ad Alessandria, infatti, .}'acqua era molto chiara e dall'alto si poteva vedere fino a cinquanta metri di prokndità..

" E' una pazzia " - ripeteva e io gli rispondevo che avremmo v isto sul posto.

Mentre parlavamo con Brivonesi, sul ponte del M ontegargano, vedemmo sbucare, da una nube, tre aems·iluranti che puntarono contro l ' Irid e . Uno, l'attaccò col siluro e lo prese al centro; gli altri due, s'avventarono contro di noi. Il secondo siluro colpì in pieno il Montegargano, il terzo, destinato al Calipso, si piantò sul fondo e non raggiunse il bersaglio.

Il colpo con tro l'Iride , provocò una gran nube gialla. Quando 'la nube .si dimdò, ill sommergibile era scomparso. A·l suo posto, c'era una chiazza di nafta.

Chi si trovava in torretta se la cavò e fra i superstiti ci furono, infatti, Brunetti e Birindelli.

L'Iride , spacca to .in due , g iaceva a quindici metri di profondità. A nuoto, stabilimmo subito il contatto con i superstit i. Non avevamo maschere. L e nostre erano rimaste insieme con i maiali . I o, durante le num erose im mersioni, oi rimisi un orecchio. A volte mi fischia come per una fuga d'aria.

Le maschere ci arrivarono dopo, portate da Tobruk. Quando Toschi risalì , disse che aveva visto molti morti. Sedette sul bordo ·del battello e si coprì l a facci a con le palme delle

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Lu ig i D u ra nd de ht Pen ne l' a ffo numo re d i Al essa nd r ia

mani. " Dio mio, che spettacolo - · disse - I capelli di quel marinaio! L a ·corrente li tirava come se volesse strapparli ".

A bordo dell'Iride c'erano otto superstiti, riuniti a poppa, nella camera di lancio. Noi parlavamo attraverso , Je lamiere e loro ci sentivano. Dicevano che erano prigionieri perché il portello era rimasto bloccato ... Prima pompammo aria nello scafo. Poi, per mancanza di maschere, decidemmo di allagare la cella dove c'erano i prigionieri in maniera di creare una sacca d'aria, attraverso la quale av,rebbero potuto uscire. Gli comunicammo il piano ma loro risposero che senza maschera non si sarebbero mossi. Dissero, anzi. che preferivano morire all'asciutto.

Per farla breve, aHa fine si decisero, tutti meno uno. Il primo che venne aUa superficie fu il sottocapo motorista Conte. Lanciò un urlo e svenne. Il se ttimo, fu il marinaio Costa. L'ottavo, l'elettricista Scariglia. si ostinava a rimanere dentro, ·con l'acqu a alla gola. Uno dei salvati, il sottocapo SantiUo, spiegò che Scariglia non sapeva nuotare ed era paraHzzato dalla paura. Mi offrii di scendere neU'interno del sommergibile e di ripor t arlo a galla. I compagni mi dissero che era un'impresa disperata . I o, l a pensavo diversamente . "S e gli altri sono usciti - dissi - io potrò entrare. E' vero che ·c'è il novanta per cento di rischio; ma per quel dieci per cento, vale la pena di provare ". Mi spogliai, indossai l'au torespiratore e in acqua. Trovata l'imboccatura del por-

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tello, mi callai nel camino della torretta . Scornparve la poca luce verdastra che c'era sul fondo.

Mentre mi muovevo nella camera di manovra, mi sentivo toccare da ogni parte. Erano i morti che mi seguivano , sospinti dalla corren te . Arrivai alla cella . Chiamai il marinaio.

"Sono qui" - rispose con un Hlo di voce. "Sono venuto a prenderti. T.i g)Uiderò io . .. ".

E lui: " Non so. Non posso nuotare sott'acqua, comandante .. . " . " Ti dò la mia maschera " . "E lei?". "Non ci pensare .. . " . Cercai di mettergli la mia maschera. Se la strappò. Alla fine lo presi, lo portati verso la porta stagna e gli diedi una spinta. "Va con Dio · , - gli dissi e scomparve .

Fu un lav oro di 24 ore. Ci rimisi otto chili di pesp, ma andò bene». « E dopo'?» .

«Tornammo a Bocca di Serchio. Intanto erano' stati allestiti due sommergibili, i1 l Condar e lo Scirè, per due miss io ni simultanee . Una ad Alessandria , ancora , l'aitra a Gibilterra.

P er i ma iali c'erano orrnai i casson·i di . protezione e questo ritrova to permetteva al sommergibile di manovrare con maggiore disinvoltura.

Due erano sistemati · a popjpa, uno a prua . (;li equ ipaggi per le azioni vennero est•ratt-i

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a sorte . A me toccò Gibilterra . Di là, d a t a la vicinanza d e1I a costa spagno la, era più f ac il e tornare. D a Al essandria, non si usciva. O s i finiva sul fondo o in un campo di prigionia.

Il gruppo che dov eva attaccare Alessandria parti il 21 se ttembre con il " Gondar "; n oi, lasciammo l' Italia il giorno 24 con lo Scirè, comandato da Valerio Borghese, un sommergibiHsta principe, in tutti i se nsi. Organ izzator e ecce zionale, n av iga tore calmo e con trollato, uomo d'azione con una carica di coraggio ch e bastava d a sola a silur are una nave nem ica.

Né a d Alessan dria n é a Gibiherra ci fu az i.one. Prim a de ll'attacco, ci ven ne comunica to che i por ti erano vuoti. Noi tornammo ; il Gondar, a tt acca to con bombe di p r ofondità , r es istette fin o a ll ' ultimo; dopo di che, ferito a morte, fu cos tretto a socco mb e re. Lo com andava an cora Brunetti. Non ebbe fortuna , m a e ra un m arin a io di grand e va lore .

A Boc ca di Se rchio, e r avamo rimasti T esei, Birind elli e io. C enturion e era stato tr asferito a i MA S. No nostant e le p erdite e gli ins uccessi , cont inuammo l ' all enam ento . Con caparbietà, co n vinti ch e sarebbe venuta la nos tra giornata ... » .

« QueHa d i Alessandri al » - dissi.

«Ci fu un ahro tentativ o a Gibilterra d ove Birindelli vide s fumare la pre da. la corazzata B arham , per un guasto al ma iale; anch ' io e T ese i d ovemmo r in unciar e per avar ie all 'a pp a recchio , p o i ci fu la partenza per l 'a tt acco ch e avevam o sogna to un nott e dietro l'altra» .

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Il gruppo dei vecchi " siluri umani " s'era ridotto a T esei e De la Penne . Tesei , poco do po morì a Malta. Scomparv e in una fiammata che fu l 'a ureola d el suo eroismo.

L'azione di Alessandria venne decisa per la notte fra il 18 e il 19 novembre 1941. Gli appare-cchi, ormai, fun z iona vano alla perfezion e . Al posto di Moccagatta, che ne l .comando dei mezzi d 'assalt o aveva sos tituito Oiorg in i, era anda to Ernesto Forza. Il sommergib il e scelto per il gra n colpo, fu ancora lo S cir è . Supermarina non ignorava le difficoltà d el1la impresa e a sua volta non le ignorava il coma nd an te F orza.

« Quando Forza ci chiamò - disse Durand de la Penn e -e ci annunciò che avremmo dovuto a tt accate la flott a britann ica nel porto più difeso di tutt o il Mediterraneo , ci in formò che l a facc e nda era qu asi disp e rata e aggiunse che toccav a a noi d ecidere. " Avete 24 ore di te mpo - disse - P ensa teci e pond era te b ene ogni cosa ... ' ' . " Ponderare cosa? - risposi - Non ho bisogno nean c he di un minuto pe r pen sa rci. Andi am o! ".

Lo Scir è p artì da L a Spe21ia la sera d el 3 dic em bre, diretto a P or tolago , nell'isol a di Lero . No i lo raggiun gemmo in aereo, il giorno 12. Gli inglesi non dovevano. essere d e l tutto allo scuro d e i nostri preparativi. Sorvegliavano ogni mossa sospetta. A L Bro, infattoi, venne u cciso , in maniera misterios a, il capo ufficio o perazioni dei M ezzi d'Ass alto, che era

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andato in Grecia dieci giorni prima di noi per preparare l 'azione.

Gli equ ipaggi prescelti furono tre. Marceglia, con il palombaro Spartaco Shergat; Martellotta, con il secondo capo palombaro Mario Marin o e io, co n i'l capo palombaro Emilio Bian chi. Un ercole dalle braccia come magli, con un cuore che straripava generosità e ar- . dim e nto .

Ce ne andammo da Portol ago nella ,!lOtte d el 14. In principio, Borghese navigò cori cautel a perché le acque erano minate . Le ultime sedici ore l e fece stris ciando sul fondo.

A causa del mare agitato, l ' azione fu rimandata di un giorno e io fui contento per·ché il giorno perduto era 11 17. Giornata infausta.

Alle 18,30 del 18 dicembre, Borghese fece sprizzare fuori il periscopio . Mi chiamò a ved ere. Si vedeva il faro di Ras el Tin . E ravamo a du e miglia da Alessandria. D avan ti al porto. Ci trovammo su un fond ale di 15 metri. Ricevemmo conferma che la flotta inglese era in porto. P erò, non si sapeva con sicurezza se c'era anche una porta erei. In ogni modo, ci erano due navi da battaglia e una grossa petroliera.

Alle 20, secondo una veechia consuetudine, Borghese ci spinse in acqua con una pedata. E ra il viatico per il successo. Lo Scirè, che era affiorato per buttarci fuori, tornò ad adagi ars i sul fondo.

L'o perazione di estrazione dei maiali dai cassoni fu l aboriosa. In ogni modo, ci tro-

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vammo riuniti tutti e tre. Marceglia e io dovevamo attaccare le corazzate, a Martellotta toccava la portaerei; in mancanza della portaerei, ']a petroliera.

Il mare era un olio. Non c'era un filo di vento. Guardai in alto. Non avevo mai visto tante stelle. Fitte, enormi , di uno splendore straordinario. Ci mettemmo in movimento. Io al centro, Marceglia a sinistra, Martellotta sul1a destra. Il mio apparecchio camminava più piano degli altri, sicché i due com pagni erano costretti a usare la seconda e la terza marcia. La quarta era troppo veloce. Mi avrebbero perduto».

« Veloc e in che senso? » - domand ai.

« In senso relativo, s'intende - rispose De la Penne - In quarta, si faceva no due migli a all'o ra. ·

D opo un'ora di navigazione ci apparve una scogliera e successivamente il palazzo reale di R as el Tin. Siccome eravamo in anticipo sull'orario, aprimmo il contenitore dei cibi e fac emmo colazione. A stomaco pieno, si lavora meglio. S'accese ]a luce del faro e d illuminò in pieno. Scend emmo sott'acqua e rimanemmo fermi.

Alle 23, eravamo accanto al molo esterno. In lontananza , nell'interno del porto, si vedeva una ·gran luce. C'era un piroscafo ·sotto carico. Navigavamo in emersione. Tolti i ·cappellozzi delle spole tt e e verificato il funzionamento di dist acco dell a testa esplosiva, ci dirigemmo verso l'imboccatura della rada. Pareva di navigare nella gola di un pozzo . All'improvviso,

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urtammo contro un cavo d'acciaio. Eravamo sulle ostmzioni. Cinque minuti dopo, scoppiò la prima bomba di profondità. Gli inglesi, per evitare sorprese, seminavano bombe ,come fiori. I " secondi " indossarono i respirator· i e cominciammo a filare con la poppa imm ersa . Solo i comandanti dei maiali, stavano fuo·ri con la testa.

Su un molo, sentimmo delle voci. Un uomo camminava con in mano una lanterna a petrolio. Un grosso motoscafo incrociava ,davanti a lla rada e sparava bombe che -facevano bollire· l 'acqua. Inaspettatamente, s'accesero le luci ·che delimitavano il canale navigabi'le in mezzo a.J1e ostruzioni. Significava che quakhe nave sarebbe entrata oppure uscita. Nello stesso ternpo anche il motoscafo si sarebbe aUontanato. Difatti, successe così. Ma prima di andarsene, il motoscafo mollò un'al tra bomba che scoppiò vicina. "Ti ha fatto male'?" - domandai a Bian.chi.

" Niente - rispose - andiamo avanti ... ". Non vedevo più MaroegHa. Poco dopo , perdetti il contatto anche con Martellotta. Ognuno seguiva H proprio destino. Di poppa, apparvero de1le macchie scure. Si awidnavano velocemente. Erano tre grossi cacciatorpediniere. Entrai in porto sulla scia del secondo , sballottato daHe onde. Sentivo il fìreddo nelle ossa perché il mio costume faceva acqua.

Sfruttando una zona d'ombra, passai a mezzo metro dal piroscafo che caricava. Un

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centinaio di metri più lontano c'erano due incrociatori , ormeggia ti d i poppa. Più distante. c'era la corazzata francese Lorraine. Finalmente vidi la massa scura d el mio bersaglio. Una montagna di buio . Puntai in quell a direzione. T rovai un os t acolo imprevisto. Un 'ostruzione contro i siluri di aerei. Ten tammo di sollevare la rrete sul fondo. Era pesantissima. Decidemmo di scava'lcarl a in superficie . Il freddo mi paralizzava la testa e le mani. Facevo molta fatica a manovrare i comandi dell ' apparecchio. L 'elica cimase impigliata in un cavo. Finalmente riu scii a p assare d al l'altra parte. Erano le due e diciam1ove minuti. Ero a trenta metri dalla corazza ta. Mi immersi e toccai Ja carena . Le man i mi errano diventate di marmo . Volevo fermare il motore e non riuscivo. L'apparecchio cominciò a scendere verso il fondo. Mi trovai in vischia to nel fango. Per via dell'acqu a che avevo nel vestito mi sentivo pesante. P er r isalire dovetti r- iempire il ·sacco del respiratore. Vossigeno che usciva faceva molto rumore . Vidi ch e e ro al tra verso dell e torri di prua . Scesi di nuovo e tent at i di mettere in mo to il maiale che intanto si era fe rm a to. Non riuscivo. Chi ama i Bianchi. Non c'era più . Esaucito l'oss igeno del respiratore, era svenuto. Se avessero visto galleggiare, l 'im presa sarebb12 faHita. D ecisi di riemergere per cercarlo. Un riflettore il·lum in ava la zona. Di Bian ch i, nes suna tracci a . A bordo d ella nave, calma assoluta. Tomai sotto. Bisogn ava portare l'appar-ecchio nel punto giusto d ell'esplosione. Un cavo tratte-

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neva l'elica. Niente da fare. Dovevo trascinare il maiale. L' acqua era intorbidita dal fango. Gli occhiali erano appannati. Provai a pulirli. Avevo la bocca piena d ' acqua sa1lata. La sete mi bruciava la gola. Sentivo il rumme di una pompa, nella corazzata. Finalmen te a rrivai al punto giusto. Misi in moto le spoIette e, appesantito il maiale, senza più forza. tornai a galla. Vidi Bi anchi aggrappato a una boa. Sentii una voce. Mi illuminarono con un faro. Mi accostai a Bianchi . " Tutto fatto ... " - dissi. Da bordo i marinai inglesi gridavano. Dicevano: " Itali a! · Mussolini. .. " e f acevano sberleffi. Erano convinti di aver ci scoperti in tempo. Cominciai ad arrampicanni lu ngo la catena d ell'ancora. Partì una , raffica di mitragliatore. Mi tuffai e and a i di nuovo acc a nto alla boa. Spararono ancora. Arrivò un motoscafo e ci prese a bordo. Ci portarono sulla nave. Ridevano e continuavano a prenderei in girO<< Dissi sottovoce a Bianch i: "Fra po co se ne accorgeranno ... " . Eran o le tre e mezzo. Allo scoppio mancavano tre ore. Dalla corazzata, con una barca a motore. ci condussero a terra , a Ras el Tin. Ci portarono in una stanza, alla base del faro. C'era un brutto tavolo e una lampada che pendeva d al soffitto con un lungo filo. Al tavolo , sedeva un ufficiale. Disse subi to: " Vi avverto che quando mi sveglio a quest'ora sono molto nervoso ... ".

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Mentre parlava faceva ruotare il revolver intorno al dito, come un cow boy. Ci eravamo tolti i costumi di gomma ed eravamo in tuta di lavoro, con gradi e stellette. Disse ancora : " So chi siete e cosa avete fatto. Ditemi dove avete messo la carica ... ". Non fiatammo. Andò in bestia. "Ve lo farò dire io! " urlò, poi diede ord in e di riportarci sulla nave.

A bordo, molti marinai dormivano ancora. Il comandante ci impose di parlare. Fatica sprecata. Si capiva che si sforzava di essere calm o . Voleva rimanere nella tradizione dell a flemma inglese. Sotto scorta , ci condussero in un deposito. Bianchi si buttò in terra e s'addormentò. D omandai l 'ora ai marinai di gua rdia. Man cavano dieci minuti all'esplosione. Dissi che volevo parlare co l comanda n te. Mi portarono invt>ce daH'ufficiale che mi aveva già interroga to a Ras el Tin.

"Voglio il comandante - dissi - A l ei non ho nulla da dire ... " .

Dai berretti dei marin ai avevo visto che la corazzata era la Valian.t. Arrivò Sir Charles Yf o rgan , il comandante. Era un bellissimo uomo. Aveva i] viso duro e lo sguardo g elido. Era preoccupato. Dissi: "Non c'è più null a da fare. Fra dieci minuti la nave salterà. Glielo dico se vuole salvare l 'equipaggio ... "».

Ross e tti , l'affondatore della Viribus Un.itis. ven titre anni prima, aveva fatto lo stesso. Aveva avverti to il comanda n te Janko Vukovic

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che era arrivato il momento di metters.i in alvo.

« Sir Charles Morgan - riprese Durand de la Penne - mi guardò fisso negli occh i. D omandò : " Dov'è l a carica? ". " Non lo dico " - risposi. " Glielo farò dire, magari con la forza " . "E' inutile" - ribattei.

Mi fece riportare nella stiva. Chiusero la porta. Tentai di parlare con Bianchi. Non c'era ... ».

Domandai: « Cosa provò in quel momento?».

« Cosa vuole provare? - dis se De la P enne - Rabbia. Desiderio di mostrare che avevo ·un certo spirito. Qualche ricordo e un po' di rimpianto per ciò che lasci avo.

L e ho detto che amavo la vita e l'amo tuttora. Finalmente avvenne lo scoppio. tremendo . Si spensero le luci. Un gran fumo entrava daHa por ta div el ta. Non avevo ferite, soltanto un ginocchio indolenzito, per via di un anello di ferro, caduto dal soffitto. T entai di scappare da un oblò. Era troppo stretto. Salii in coperta. C'era una gran confusione. Come i topi che lasciano la soffitta quando la casa brucia.

Di faccia, dal ponte della Qu een Elizabeth, marinai e ufficiali guardavano lo spettacolo. All ' improvviso si sentì un altro boato. La Qu een Elizabeth s'alzò dall 'acqua e ricadde, ins accandosi sul fondo. Seppi dopo che anche il terzo maiale aveva fatto centro. Una p et roli e ra e un caccia che in quel mom en to si

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nivano di nafta. Fu il gran gio rno del pover Tesei, non il nostro ... Poi andammo in p· gionia ».

Domandai: «E' vero ·che in un punto del decalogo dei " si!luri umani >) si legge: " Se prigioniero, sii sempre fiero di essere italiano... Cerca sempre, ·se possibile, di fuggire "? ».

« Vero - disse Durand de la PenneDifatti, io di scappare, una, due, tre , quattro volte. Sempre. Quando era possibile e con più ·gusto, quando sembrava impossibile ... ». '

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Giu;.:pp.: Cimic chi ;lSMI dci si lunuori

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L'UOMO DAL SILURO D'ORO

Continuavo a chiamarlo Cim, come in guerra. A volte, durante il discorso, mi .capitò di chiamarlo anche « Tegolino », come gli di·cevano allora, a causa della sua magrezzaper l'appunto era lungo e affusolato come un fagiolo - oppure " H ome Fleet ", che era H nome che gli avevano dato al bombardamento perché ·lui, l'Home Fleet, la sognava perfino di notte.

Direi, anzi, che fra l'asso degli aerosiluratori Cimi cchi e la flotta inglese del Mediterraneo ci fu un fatto personale fin dai primi giorpi di guerra.

Cim, combatteva da solo con tro l'Home Fleet e l'Home Fleet, in massa, combatteva .con tro Cimicchi. Loro, marinai e navi , con le mitragliatrici, la caccia di scorta e i cannoni ; lui, con l'aeroplano e il siluro.

In al tre parole, loro face vano gola a Cimi cchi e Cim faceva gola all'Home Fleet. Lo

l Capitolo XI
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d'altronde. il suo stato di servizio: trentatr/ s ilmamenti con ventinove siluri lanciati; nove combattiménti con i cacciatori di protezione ; und ici bombardamenti su ll a flotta nemica; undici citazioni sul bollettino di guerra e, come conclusione, l 20 mila ton nella te di naviglio inglese, colpite o affondate. Con un calcolo appross imati vo, centoventimila tonnellate di naviglio corrispondono a quattro navi da battaglia, oppure a quattordici incrociatori, a venti petroli ere di rispettabili dimensioni o a ve n tic in q ue caccia torpedini ere. Una cospicua porzione di fl o tt a anche per gli inglesi che navi, allora , ne avevano in abbondanza. E tutte navi di rispetto .

Non mi riusciva di chiamarlo Colonnell o. Erano passati molti anni, più di venti, aveva la d'Oro cucita sul petto, al disopr a di altri nastrini azzurri, più rughe in faccia di quando s lava in Sardegn a e a Rodi, eppure, a sentirlo p arlare, era quello di allora . Giovane tenente, con un grano di dinamite nel cuore, a tt accabrighe, in cielo, come nessuno .

Con tre parole e molti gesti (il modo di gesticolare dei piloti è sempre il meglio del racconto), diceva come s'era buttato addosso a una nav e nemica e aveva messo a segno il suo micidial e siluro.

Finita un'azione, daccapo. Ogni volta, era un fatto div erso, un'emozione nuova. La presenza di navi inglesi che si difendevano con un fuoco d'inferno, anziché suggerirgli prudenza, com'era naturale e umano che succedesse, gli faceva l'effetto di drog a.

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Gli domand ai il perché . Si tirò nelle spalle. « Leggi » - disse. Era un rapporto personale. Diceva fra l'altro: " Co mbattente istintivo " .

«Proprio così - disse Cim - e non soltanto in guerra. Vedo du e che litigano'? E' pi ù forte di me: cmro a vedere e mi ci butto in me z zo . E' bene? E ' male? Non so. Il fatto è che, con qu es to stato d 'an im o, soffri di più, perch{• la lotta la senti d entro. Ti prende qui , a lla bocca d ello s tomaco; un a soffe renza atroce. In guerra , non soffrivo mica per i dis ag i. Non m ' importava nient e mangiare poco e do rmire male. M ' importava, qua ndo parti vo, di trovare le navi e colpirle, altr im en ti torn avo indietro co l magone e ci rimuginavo sopra tutta la notte . Consideravo la giorna ta, sciup a t a . Un giorn o zero ... ».

« Giornat e - domandai - ne hai sciupate parecchi e?».

« Il meno possibile e , qu ando s uccesse, non sempre fu colpa mia. Qu alche volta, naturalm ente, fu colpa loro , degli ingles i, qual che a l tra volta , inv ece ... ». Sapevo a cosa alludeva.

« Come l a vol ta della Valiant? » - doman dai.

« Come l a vol ta della V aliant - rispos eIl mio secondo era un ragazzo alla prima mis·sione. Non gli faccio colpa di aver avuto paura. Erano brutti, lo sai, gli attacchi all e cora zzate. Il cuore arriv ava qui, batteva in gola e quand o il cuo r e batte in gola le mani div entano dur e, ingovernabili. Quella volta,

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un altro dell'equipaggio, per lo choc, pc • ie la · parola. Eravamo 'tanto {c he pot( tHO abbatterci a revolverate ». ·

«E tu , ·cim , hai mai avuto paura?».

«Forse sì. Anzi, sicuramente sì; però la volontà di riuscire superava 11a paura e allora era come se avessi caraggio ».

« H ai mai pensato di morire?».

«Sempre, m a consideravo che in quel momento non erà una grande rinuncia ... » .

« Fu più forte la rinuncia della Valiant? » - domandai p er scherzo .

« Eh, sì...». Lui, però non scherzava; av eva arriccia to la fronte e guardava lontano.

«A che cosa p ensi?» - dissi.

« A qu el giorno - rispose, e strinse i pugni. - Mi scappò p er un capello. Un bottone · schiacciato male, capisci? Un dito bloccato dalla paura!...».

« L'h ai lasciata a Durand de la P ennedissi - Tanto, è andata a fondo lo stesso, consolati ... ».

« Er a mia. L'avevo sognata tutte le notti , la Valiant, e ogni volta m'ero svegliato di soprassalto , convinto d 'averla colpita. Ti capita poi a tiro , le spari addosso un siluro che le avrebbe aperto la pancia e invece ... Quando mi dissero che il siluro non era partito, se m'avessero d a t o una ,coltelbta avrei sofferto di meno».

Fece una lunga paus a. Forse, durante il silenzio ·cercò di convincersi che non valeva la pena di rammaricarsi ancora, ma si capiva ch e il risentimento era più forte di lui. Il

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boccone gli era rimasto in gola. Cambiai discorso.

«.Sei religioso?·» - ·gli domandai . «Naturalmente- rispose- In volo, spesso, parlavo con Dio, specialmente negli ultimi momenti di guerra, quando eravamo rimasti in pochi ed eravamo sempre noi a giocare d ' azzardo con la nostra pelle. Giravo alla ricerca del nemico e dicevo: " Perché, buon Dio, siamo rim as ti così pochi e loro, inv ece, crescono sempre? ".

Mi sembrava di essere diventato un cane randagio. Prendevo le sassate di tutti. Dicevo: " Dammi forza, Signore Iddio , fammi trovare qualche nave nemica". Se la trovavo ero felice, poi, partivo all'attacco e mi si hloccava il fiato. Erano minuti lunghi quanto una vita. Dovevi farti l argo a gomitat e in mezzo agli spari, buttarti a pelo d'acqua , sganciare e subito dopo "cabrare", per schivare gli della nave attaccata. Vedevo in faccia gli uomini sul ponte, loro vedevano me».

« In ·a'ltre paro-le - dissi - sei morto trenta tre volte. Ogni volta che hai si·lurato ».

«E' così - disse - eppure andavo avanti lo stesso ».

Mi parlò della sua giovinezza. D isse che, per via del suo carattere troppo esuberante, lo avevano cacciato dal collegio.

«Avevo bisogno d'aria , di spazio - disse - F eci l'Accademia della Farnesina e diventai insegnante di educazione fisica. P er un anno, insegn ai all'Aquila; poi, siccome c'era la guerra in Etiopia ed era uscito un bando per

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diventare pil ot i , lasciai la e andai a volare. Er a il maggio d el 1935. Allora, era no tenuti in gr an co nto gli idrovo la nti e io, avevo terrore d ell 'acqua . Ce l' ho anche adesso e l' ebbi per tutta la guerra. Spe rav o che mi destin assero ai terr es tri e invece, successe il contrario di quello ch e speravo. Il primo volo con ]' istrutto re fu un incu bo. All 'a rrivo mi sembrava che l'a pparecchi o s' infilasse in mare . In tre mesi , presi il breve tt o militare. Fec i tanto presto che, prima del servizio di prima nomina, mi mandarono a casa e ci rimasi p er cinque m esi. Intant o, ricom inciai a insegnare. Era l'epo<:a delle sanzioni. Si parlava di guerra con l'Inghilterra . Seppi che al Ministero dell'A e ronautica stav ano preparando un reparto battezzato "Stormo del sacrifici o" . Mi piaceva l a idea di butt ar mi sulle navi nem iche. Feci domanda. Ri sposero che ne avrebbero te nu to conto, caso mai ce ne foss e s ta to bisogno. Mi c hiamarono p er l'Etiopia, a guerra finita. Ci erano le operazioni di poli zia coloniale e noi avia tori port ava mo farina e ar mi ai fortir1i assediati. Di ta nto in tanto tiravamo qu al che spezzone, m a era una gu erra da niente. Tornai in Ita1lia e diventa i ufficiale effe ttivo. Mi assegnarono al marittimo. Av e vo sem pre a che fare con ·l'a cqua e io la vedevo il demonio. Allo scoppio della guerr a, ero 'in Sardegna . A Decimomannu. S'era forma ta la brigat a « Marte » al co mando di C agna , il più giovane generale d ' Italia. Per noi , Cagna era un

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persooaggio di leggenda. A parte la fama che gli derivava dall'aver partecipato alle crociere atlantiche e a1la ricerca dei naufraghi polari della Tenda Rossa, era un pilota perfetto e un comandante pieno di coraggio. No n voleva " ga'l.ibaldini "; in guerra, infatti, non servivano a nulla. L'epoca di Garibaldi, diceva , era finita da un pezzo e adesso, con la probabilità deH'in terven to americano, accorrevano uomini che conoscessero a puntino la tecnica del vo lo e del combattimento in aria.

Feci la prima azione su Biserta. Bombardammo navi e son1mergibili nel porto. Di giorno in giorno, mettendo a profitto gli insegnamenti di Cagna, il bombardamento diventava più preciso ed efficace. Lo riconobbe lo stesso ammiraglio inglese Cunningham il quale ebbe diverse navi colpite e, più di una volta, fu a riportare la flotta, malconcia. alle basi di partenza. A Roma, però, volevano eli più. S'erano illusi che con le bombe da cinquecento chili, in quattro e quattr'otto, avremmo messo fuori uso la forza navale britannica».

« Fu aUora - domandai - che cominciò la storia l'Home Fleet? ». Rise. « Cominciò allora - disse - Era una specie' di ossessione. Avevo l'Home Fle et qui, come ùn chiodo, in mezzo alla testa. Piantato dentro il cervello. Le mie idee, in proposito, erano semplici. O affondi le navi, dicevo, o non rC'è niente da fare. L'lnghi!l terra , è la flotta. E se ci pensi bene, non avevo torto ... ».

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Seguii il suo sguardo. Era puntato su un tavolino, di faccia a.Ua scrivan ia. C'e ra un mo- . dellino di aeros i·lurante in picchiata e, sotto · l'aereo, due corazza te, 1la Valiant e la Queen Elizabeth.

« Cagna - riprese Cimicc hi - fu chiamato a Roma. Appena a Cen tocelle, andò difilato a Palazzo Venezia.

Il giorno dopo, durante H viaggio di ritorno , mi disse che aveva parla lo con Mussolini e che, prima o poi, ci sarebbero state · delle novità.

" E' probabile- disse - che venga creata un ' arma d'offesa più efficace contro le navi. S'è discusso di siluro aereo " .

In effetti, un'arma nuova ci voleva, perch é da quattromila metri, da dove di solito sganciavamo le bombe, le corazzate si vedevano con le dimensioni di sigarette.

Continuammo i bombardamenti. Il l o agosto del 1940 , dopo uno dei soliti voli di ricognizione, Cagna tornò aHa base e disse: " Ragazzi, ci siamo. C'è tutta la flotta inglese verso le Baleari". Partimmo in quaranta».

«Erano sufficienti quaranta aeroplani?»domandai.

«No. Almeno per affondare. Facevamo danni, ma per sfruttare i nostri danni ci sarebbe voluto subito l'inten,ento delle navi. Cagna, come a1 l solito, partì in tes ta. Fu una sara band a infernale. Il cielo era nero di spari, il mare bolliva. Cagna, venn e colpito e si inabissò. 212

Qu el giorno, gli inglesi avevano messo in mare il meglio che av evano ; -la " Hood ", la "Nelson ", la "Renown ", la "Ark Ro yal" e la " Eagle " . Passò qualche tempo . Finalmente , lo Stato Maggiore d om and ò piloti per creare speciali repa rti di aerosiluratori. Feci su bito domanda .

Mi mandarono a Napoli dove, a Capo dichino, e ra stata organizzata una scuola per la , nuova specialità.

Il primo nucleo era sta to formato a Gorizia , e siccome si trattava di quattro aeroplani, lo avevano battezzato "Squadriglia dei Qua ttro Gatti".

A Napoli ; si formò il secondo A quell'epoca, si parlava degli aerosiluratori come di aviatori suicidi, e i marinai, che in fatto di siluri sapevano tutto, perché il siluro era un'a,rma d ella Marina, insistevano a dir e che con i nostri aerei sarebbe sta to impossibile avvicinarsi alle navi p er eseguire il tiro . Di tale scetticismo non fac eva mistero nes suno ; noL in vece, anche se le prime az ioni non avevano avuto successo, credevamo nell' aeroplano e nel siluro e sostenevamo che mai nessun matrimonio era stato più perfetto».

« Successe anche per voi - dis si - quello che accadde per gli assaltatori del mare. Le p rime volte andò ma]e e gli alt i comandi volevano " archiviare " i maiali ... » .

« Lo stesso - disse Cimicchi - I nostri comandi non sapevano aspettare. Volevano il successo su due piedi. E clamoroso, anche ... » .

«Un giorno, arrivò a Napoli Carlo Ema-

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nu ele Bu scaglia, consideralo ormai un vçterano della specialità. Formò una seconda squadriglia, anch 'essa di quattro gatti. L a 281". Partimmo per Grottaglie, dopo di che ci trasferimmo a Rodi, al campo di Gadurrà. Nella s trategi a navale, Rod i era un a trincea avanzata. Il 2 aprile 1941 eb bi il battesimo d el fu oco come aerosiluratore. All 'azione pa rt eciparono anche i bombardieri. Un co nvoglio n emi co era in rott a da Alessandria vers o Atene. Er a una bella gio rnat a, con un c ielo limpido e lucen te e un sole che pareva nuovo di zecca. Per sfruttare la sorpresa, vo lavamo ra sen te all'acqua. All'improvviso, apparvero i mercantili inglesi. Viaggiavano sicuri, co n ]a scorta a lat o . I b ombardi eri com in c iaron o a sganciare n ello stesso istan te in cui noi iniziammo l 'a ttac co, sicché ci capitò di volare fra una grand inata di bombe che piovevano dall'alto e le granate dell e navi da guerra che fa cevano il tiro contr·ae reo . I o sganciai per ultimo . P assa i fra due cacciatorpediniere e mi trovai davanti a una lun ga fil a di navi . Ero talmente ba sso che, subito d opo sganciato il siluro, dovetti " tir are " per non finire contro gli alberi d el piroscafo. I n quello stesso istan te , due "caccia " ri volsero le lor o armi contro di me. Vedevo i tr accian ti aggrovigliarsi al disopra e davanti al mio ae ropl a no. P er sfuggire, volavo a zig zag. Nella manovra, mi cadde in acqua il b erretto. A ca usa del b erre tt o, la stessa sera, radi o C airo annunciò che uno d egli a e rosiluranti, il mi o, era s tato abbattuto ... >).

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« E il siluro - domand a i - andò a segno'? ».

«Fu un tiro perfetto. Il piroscafo, colpito in pieno, si spaccò in due e affondò in un m on1 e nto ».

«L'azion e, ti diede fiduci a nel mezzo'?» .

« L a fiduci a l'avevo già. per di più , gli inglesi che erano preparati contro il b ombardamento, pareva no quasi nudi d ava nti al s iluro. Durante ·l'attacco mi se mbrava di fare una carica di cavalleria e dif a tti, sfiorando le sp ume del mare , mi parev a di galoppare in cima alle onde.

Dopo qualche giorno, il 20 ap rile , ven n e avv istato un altro convoglio, sem pre diretto in Grecia . Per Fa ttacco, furono inviati tre bombardieri del Gruppo di Cannav ie llo e tre aeros iluranti . I b omb ardieri torn aro no malconci , gli aerosiluranti vennero abbattuti dalla caccia nemica .

Mi ordinarono di partire su bito . in coppia con un greg ar io. Mi portai di e tro il tenente Fiumani».

« Se invece che i n due , fos te partiti in quind . '? I CI ».

No n mi l asciò finire la domanda . «Se ogni vo lta fossimo p artiti in ven ti , op pure in trenta -- disse - ·la guerra sarebbe andata in maniera divers a. Bastava che gli aerosil uranti , in massa, ci foss ero stati nei primi gio rni del conflitto . Allora , l' H om e Fle et ... ».

Lasciò la fr ase in sospeso. Be' - di sse - andiamo avant i con la storia. Puntammo verso Atene.

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Lungo la rotta, scorsi in mare un battelJino di naufraghi di un nostro velivolo abbattuto. Ci girai sopra e . ne segnalai la posizione a l centro di soccorso . Dopo due ore di posta, vedemmo il convoglio che stava imboccando il mare interno della Grecia. Siccome e ra quasi in vista del porto , s'era allentato. In. coda , viaggiava una bella p etroliera , panciuta, carica da scoppiare. Si trattava della "British Science ", di oltre 7 .000 tonnellate. Dato che avevo il sole in faccia , sfilai verso oriente e mi misi in posizione di attélcco, ·con la luce aHe spalle . Ero sui 700 metri di quota. La petroliera, per il carico, navigava · a fatica. Mi ·lanciai in picchiata e lasciai andare H siluro a meno di mille metri. La ·Colpii in pieno, a metà. . Dopo. ci fu :la conquista di Cre ta. Mentre ero in vo lo. mi venne comunicato che una squadra na,;ale nemica, formata di tre incrociatori e sei cacciatorpediniere, filava a tutto vapore per impedire lo sbarco sull ' Is ola . P rima degli aerosiluranti, andarono all 'attacco i bombardieri di Muti; noi, entrammo in azione verso l'imbrunire.

Quando avvistammo le navi inglesi, era in corso un bombardamento di Stukas. C' era più fuoco in quel tratto di mare, scommetto, che all'inferno.

U n cacciatorpediniere, il " Kashmir " , colpito in pieno, schizzò sull'acqua come un fuscello. Puntai un incrociatore. Sganciai dai soliti e vidi la nave sbandare e riempirsi di fumo. Si trattava dell'incrociatore pe-

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Si lur i a bo rd o, si par te per
l'azione

Aerosilura tori a rappono in una base del l\feditcrraneo

sante "Ajax ", lo stesso, se non sbaglio, che davanti alle coste del Bras ile aveva provocato l' affondamento della nave fantasma tedesc a, " Graf von Spee " ».

«E gli attacchi alle corazzate?» - domandai.

Scrollò la testa . «Tutte le volte che ne parlo - disse - mi sembra di pensare a qua lcosa che era mio e mi è stato sottratto, direi, con la frode. La prima vol t a, fu il 13 ottobre 1941 , nelle acque di Al essandri a . C 'erano la Que en Eliz ab eth e la Ba hram . Le due navi da battaglia avevano a ttorno, com e scorta, qu a ttro incrociatori e dieci cacciatorpediniere. Partimmo all'assalto in tre; Graz iani , Faggioni e io . Graziani tirò alla Bahram, F aggioni a un incrociatore , io alla Queen Elizab e th. Disgrazia tamente il co lpo non andò a segno . Quella notte non dormii.

Alla fin e del l' anno, ven ne il momento d ella rivincita . Un nostro convoglio n avigava verso l'Africa . P er intercettarlo, gli inglesi mandarono fuori la Squadra con la Va liant, quattro incrociatori pesanti del tipo London e sette caccia. L' ordine, era di a ttacc ar e la corazzata. Per la verità, l'avrei fatto anche senz a ordine . Per ·me, significava la resa dei con ti con l'Home Fl eet .

A Rodi era no rimasti pochi piloti esperti, i migliori se li era portati in Africa l'am ico Euscaglia. Io avevo ceduto il mio bravo secondo , Cas ali, al te nente Cipellet ti ch e aveva poca esperienza di attacchi col siluro. Com e se-

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condo, perciò, mi presi un ragazzo del reparto Muti, che s'era offerto volontario. "Hai pratica di siluri? " - gli domandai. Fu sincero. "Non ne so nuHa" - disse. li cielo pareva impastato di cenere. Ogni tan to pioveva. Dopo due ore di ricerche, avvistammo la Squadra nemic a . Naviga va in . fila con la Valiant al centro. Strinsi i ·comandi. Tutta l'ansia m ' era finita in gola e la gola mi bruciava come fuoco. Il mi batteva dappertutto.

Alto, sulla flotta inglese, c'era un aereo. Pensai che si trattasse della caccia di scorta . Mi accostai e vidi, invece, che era un aeroplano italiano mandato per farci da radiofaro, date le cattive condizioni del tempo. La sua presenza, si risolse in danno. Le navi inglesi erano già sul chi vive, e difatti la fo rm azione manovrò subito in maniera d i presentard la prua. In circostanze del genere, ci voleva soltanto pazienza, ma io ne avevo poca. La posta, però, era grossa e non volevo perderla. Smorzai l'entusiasmo e feci l'atto eli andarmene. Per mezz'ora, perdemmo il conta tt o. Quando tornammo, la Squadra era disposta a rosa, con la corazzata al centro. Ci accolsero con una gragnola di colpi. La V aliant se ne stava al sicuro, die tro un muro eli fuoco. Niente da fare . Usciti dal tiro di sbarramento, prendemmo il largo un'ahra volta, in attesa di una terza occasione propizia.

Ci presentammo di nuovo dopo venti minuti. La "rosa" s'era aperta. La mia "Valiant" aveva un fianco scoperto . Non ti so di·re

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cosa pro vai. Con tutto il fiato che avevo , gridai al secondo di togliere l a s icura. Non controllai se la · tols e, del rest o non ne avevo il tempo. M'ac co rsi soltanto che e ra bianco ·Com e un cencio. :Mi lanciai in picchiata. Pareva che si fossero spalanca te le porte dell'inferno. I colpi dell e n av i scoppiavano dappertutto . I piumacchi di fumo delle granate fac eva no lo e ffetto di nuvole di vapore, soltanto che in mezzo si vedeva una vampa gialla . L'a e reo sa ltava e scricc hiolava d a poppa a prua. Arrivato alla distan za giusta url ai: "Sgancial... ''. Mi accartocciai sui comandi e fila i via. Mi trovai dentro una nube di fum o c h e m 'avvelenò. " Colpita! " - gridò il lll Otorista. La nav e, infatti, fumav a . Corsi in torre tta per vedere meglio. T o rnai a i com nndi solleva to . Di ssi: ' ' Sembra ch e bruci davvero!... " . Mi ero lib e rat o di un p eso . Di edi l'a ngo lo di buss ola pe r il ritomo. Il secondo mi g uardò e diss e, balbettando, c h e la bussola non funzionava.

Ordin ai a ll o ra al radiot e legrafista di m e tte rsi in contatto con Rodi . G e sticolando, indicò la bocca. P e r effetto dello choc, aveva p e rduto la p a ro la. Venne d a me l'armiere. D a lla faccia capii che aveva una bmtta noti z ia. " Signor tene nte , i siluri... " - disse. " Cos a i siluri"? .. . " . " Sono anco ra lì sotto ... ". C'erano davvero , ben s tre tti , inutili. Il seconciò, paralizzato dall 'em ozio n e, non era riuscito a far scattare la sicura ... ».

219 lO.

«E il fumo della "\/ali an t? » - domandai. «La solita cortina» - rispose Cim. L 'attacco sfortunato,. ma -lo · stesso te mer a.. rio .ti! emico. costò -alcune -vi ttime. Un o degli aer ei di Buscaglia, che era intervenuto da sud, non fece ritorno, e F o rzin e tti , colpito in pieno da una cannonata, si infilò in mare. La 281" Squ adriglia tornò in Italia. · Cim raccontò l' ultima az ion e . La «beffa» di Gibilterra. ' «Nell'a pril e del 1943. lo Stato Maggi ore dell ' Aeronautica preparò in gran segreto un colpo che, se fosse riuscito, avrebbe riportato su il morale del Paese e dei soldati. Si trattava di lanciare gli ae rosiluranti contro la base più difesa d el nemico: la rocc a di Gibilterra. F orse era una pazzia, ma la gueHa è tutta una p azz ia.

· Furono scelti dieci equipaggi: Unia, Casini, .Mell ei. Marini , Magagno li, Di Bella. Graziani, Faggioni , Am o rusu e io. Per l'impresa, f ran o state preparate dieci macchine speciali. Sem pre '' S.79 ", ma più veloci e con maggiore au tonornia . Al·l' incirca , tre ore in p iL'L Fra i congegni di navigazione c'e ra una grande novità, un correttore di rotta che oggi, trasformato , f. divent a to il " pilot a automatico". Anche il siluro, e ra diverso. Duemila m e tri , d e i quattromila di corsa. anz iché farli in linea re tta , li faceva a chiocciola, s icc h é pote va la vorare con effic acia d entro i porti dove c'erano molte navi. Fra andata e ritorno , d ovevamo pe rcorrere 3 .200 chilometri. Come base di partenza , fu scelto il ca mp o

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di Istres, in Francia. In allenamento, Graziani eb be un incidente, sicché per l'azione restammo in nove.

Studiai a ·lungo la ·rotta, specialmente l'ultimo tratt o, ce rcando di ·fi ccaTmi bene in testa il tracciato d ella costa spagnola e della rad a nemica .

· La partenza. era subordinata all'arrivo di un messaggio di un nostro informatore che si trovava ad Alges . iras.

Il messaggio arrivò la mattina del 19 g iugno 1943. Diceva che in porto c'e-rapo o tto grandi pirosca fi carichi di truppe, ancorati a nord della r ada civile. Fra l'altr o, proveniente da Algeri, e r a arriva to a Gibilterra R e Gi o rgio VI il qual e doveva partire l'indomani per Londra con un "idro". att eso neHa nott ata. L ' infonn azione ferminav a così: " Att f'nzione. Attenzi o ne. Rif1ettori numerosi e p o tentissimi. I ssimi, ripeto! ". · Partimm o a mezzanotte della stessa gi ornata. Il cielo e ra pieno di stell e . Per il collegamento. av e vamo deciso ch e di tanto in tanto sarebb e stato sparato un razzo, verde, ross o o bianco a seco nda del colore di ciascuna p a ttuglia. Vidi due razzi soltanto, dopo di che mi trovai solo. Barcellona mi ap parve com e un form icaio di luci. Guardai in basso come si guarda un miracolo. D a tre an ni vivevo al buio. D all'alto, fino allo r a, avevo v isto solamente città bui e . Scavalcai un grosso banco di nubi. In lontananza, scorsi Va lencia . Era il mi o secondo punto di riferimento. Il terzo , e ra Cadice . Tardai a veder1o.

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Mi prese la paura di aver sbagliato rotta. Per un a ttimo pens ai di torn are indietro. Cacciai la paura. Dovevo faTcela a qualunqu e costo.

D opo Cadice , puntai sull' Oceano. I n vicinanza di Capo Trafalgar, cominciai la disc esa . Mi buttai a pelo d 'acqua, sotto h costa, per sfuggire ai radar. Fra l'altro , se gli inglesi mi avessero visto così basso, avrebbero potuto pensare che fossi dei loro. L a rada era illuminata a giorno. I riflettori ricamavano il cielo . Arrivò il momento dell'att acco. All'improvviso, una fotoelettrica mi investì in pieno. Mi trovai cieco. Cabrai e tornai verso i monti di Algesiras. Li scavalcai, poi mi gettai in picchiata rasentando i tetti della città. Erano le 5,10 del mattino. Era ancora buio. Mi trovai al centro del porto, a sessanta metri di quota. Nessuno sparava. Niente caccia nemica. Di ressi verso il punto dove erano ancorati i piroscafi con la truppa. A causa dei riflettori non vedevo nulla. Di colpo, la luce di un faro cambiò direzione e illuminò due Provai quello che avevo già provato ']Uand o attaccai la Valiant. Mi sembrò di avf"\re il sdito ta ppo in gola . Da bordo mi avevar') vi <;tc ma credett ero che fossi inglese. Tolsi ìa sicura e sganciai. L 'aereo fece un salto. M'impennai e mi si la prua a nord. Avevo timore di non riuscir e a superare le montagne. M'aiutò il fascio luminoso d 'u n rifìlettore. Sorgeva l'alba che ero sulla via del ritorno. Qu ando scesi su l campo di Istres avevo soltanto 40 litri di benzina . Sette dei nove

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aerei che avevano fatto l'attacco, erano già atterrati ma tutti avevano il siluro agganciato sotto la pancia. Soltanto Faggioni e io eTavamo riusciti a compiere la missione; gli altri, per una serie di incidenti, erano stati costretti a rinunciaTe. .. ».

Fece una pausa . «Fu ,l'ultimo barlum e di vita della lunga agonia ».

« E dopo? » - domandai.

«Dopo continuammo a morire tutti i giorni un po ' . La caccia non ci dava più tregua, neanche di notte.

Finì la guerra e io credevo; ormai, che fosse venuta l'ora di dire addio al volo. Non potevo più vedere gli ae·rei , gli aeroporti, motori ... ».

«Però - dissi - hai cambiato idea ... ».

«Allora - ribattf- - lo pensavo davvero. Ero deciso. Dissi basta col volo, con gli aeroplani e i motori. PeT protesta, infatti, comperai un cavallo ... ».

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IL StTO SACRIFICIO

SALVO' VENTIDUE VITE UMANE

Chiudo di proposHo questa r accolta di fatti straordinari, con ·la storia di un « uomo co-· raggioso » scompaTso. Il vicebrigadiere d ei Carabinieri, Salvo D ' Acquis to. Nella sua vicenda non c'è rumore di b a ttaglie, fragore di spar i, atmosfera eccitant e di ·combattimenti. Soltanto silenzio. Il silenzio sospeso e p esante che di solito preannuncia le tragedie. P er questa ragione, il sacrificio di Salvo D'Acquisto, meditato e consapevole, mi sembra fuori del tempo e delle abitudini umane. E' una dedizione pari a quella del martire che cerca la morte p er testimoniare l a propria fede. L 'agonia di D 'Acquisto dura un'eternità e si conclude ron un dialogo muto fra l'eTOe e i suoi carnefici , sorpresi di tanta forza d'animo e di t an to spirito d'abnegazione. Sorpresa. fuori pos to , aggiungo io, giacché Salvo D ' Acquisto , altro non fece che tradurre in pratica ciò che l'A rm a, d a quando sorse, prese come

Capitolo XII
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costume di vita, in guerra e in pace. D 'accordo che l'eroe giunse al limite deHa forza umana, ma è anche vero che ci arrivò per qu ella cad ca morale che gli derivava dal fatto di essere Carabiniere.

o o "

E' difficile guardare nel fondo di un uomo di coraggio. Più difficile ancora, secondo me. f. parlarne e raccontarne le gesta, f1uando l'uomo è scomparso e naturalment e non sì può fargli domande.

Domandare p er esempio, come ho fatto con gli altri, «Hai avuto coraggio fino in fondo? Fino all'ultimo. voglio dire?». Oppure: « Cosa si prova davanti alla morte quando si è a mani vuote. senza fucil e, sen za revolver e i soldati che ti sparano addosso ci me ttono più zelo perché sanno che non conono rischi?».

Qu esta che racconto , a chiusura di alcune storie dell'eroismo italiano, è la vicend a di un uomo di coraggio che si guadagnò la Medaglia d ' Oro al Valor militare quando la gu ena era div.entat a più odiosa e non era più la gu e rra che si fa dappertutto ; si spara, cioè, da un a parte e dal·l'altra, faccia a faccia, e a volte ci si guarda anche negli occhi. Senza odio, senza disprezzo.

Eran o giorni, quelli del settembre 1943, in cui non si diceva «domani si va avanti oppure si torna indietro» che sono circostanze abituali e danno tono alla guerra.

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Lo sfacelo morale e materiale che seg uì a ll 'armis ti zio , fa da sfondo al dram m a.

L ' uomo coraggios o di cui parlo, si chiamav a Salvo D 'A cquisto . Era v ice brig adiere nell ' Arma d e i Ca r abini e ri. Sol d a to due volte, perciò, avvezzo al sacrificio e al silenzio, secondo una tradizione rimasta int a tta , nonostante gli eventi e la c rudel6 della gu er ra civ il e .

In quei giorni di settembre, passavano solda ti tedeschi dappertutto. Alcuni risalivan o da Roma verso il Nord , altri si fermavano nei p aesi e, col diritto che dù la g u e rr a, occupavan o le case. Specialmente in· campagna dove, villaggi riposti , per via della presenza di tanti so lda ti , di colpo erano diventati caserme.

Sal vo D 'Acquisto era in servizio a T o rrimpi e tr a, una b o rgata tranq uilla , piena di s il enzio e di verd é; l' occhi o, a T orrimpietra, vedeva solt anto ca mpagna e ma r e . La cam p agna e ra ancora viva. Durante il giorno, siccome il sole e ra a nco r a ca ldo , si sen tivano le cical e; cantavano a p e rdifiato e pareva che segasse ro gli a lb eri.

D i nott e, la gent e del paese sentiva voci sconosciute sotto le fine s tr e e le voci notturn e, in quei gi orni d i vend e tt a spicciola, non dic evano n ie nte d i b u ono.

I carabinieri avevan o il loro comando in cima alla torre, attorn o alla quale stava ragg ru ppa to il villag gio. Poco dis tante, c'e ra un al tro paese, P alido r o, con una ch iesa, u na piazza las tricata di pie t ra di l avagna e una fon tana

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con du e vasc he sovrap poste. Ai lati d ell a fon tana , c'erano alcuni pini.

A P ali d oro s'a rriva va p er una di qu e lle strad e di cui si vede l ' inizio e p oi, all ' improvv iso, si perdono fra gli alberi.

Anche a Palidoro c'era un'antica torre di fa ccia alla spiaggia, massiccia e mozza, che in tempi remoti serviva come posto di ved e tt a, pe r annunci are l'arriv o di navi corsare.

Il d es tin o d i Salvo D ' Acqui sto maturò fra le due torri. Il tr ag itto dall ' una all'altr a, f u la sua Vi a Crucis .

N ella torre di Palidoro, c'era un posto di gu a rdi e d i fin an za come se ne trovan o ancora adesso dov e la spiaggia è deser ta e il mare di facile approdo.

Do po l 'armistizio, i fin anzieri se n ' erano anda ti. Al loro posto, s'era installa to un re pa rto ted esco al comando di un sottufficiale dai cap elli ross i, pien o di cicatrici , con un a mano monca di du e dit a . Un tipo che faceva pau,ra a guardarlo.

L a sera del 22 settembre, mat urò la tragedia. Alcuni soldati tede schi. rovistand o in un a cassa abbandonata in un ripostiglio , furon o investiti d allo scoppio di un a Pno rimase ucc iso, due furono ferit i gravemente.

L ' idea d ell'attent ato o d el sabo t aggio si fece subit o stra da e mi se in moto la macchina della r appresaglia . Un a legg e sen za pietà, a pplicata con fredd a decision e di uccid e re.

Qu ella no tte, fra P a lidoro e T orrimpietra, ci fu movim e nto . Rum or i d 'a u t o e di moto e

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voc che, a sentirle nel silenzio della campagna mett evano il gelo nelle ossa. Poi, passi pesa,nti e dopo i passi sul selciato dell a piazza, di nuovo un silenzio ch e era richiamo di disgrazi a . Nelle case non c'erano luci, m a nessuno d ormi va . Dietro le porte sprangate e le finestre chius e, la gente tratteneva il respiro.

L ' indomani m a ttina p er tempo, la notizi a del f atto di Palidoro arrivò a T orrirnpietra. Girò da una bo cca aU'altra. «C'è s tato un mor to e due feriti - di cevano - I ted esch i sono s tati svegli tutta la nott e ». « Quando i ted eschi stanno svegli di notte - disse uno - preparano qualcosa di brutto... ».

Un ' altra voce: «Ho se ntito che moltiplicano i loro morti p er di e ci, anche per venti. Uno di ,lo ro, dieci o ven ti di noi. .. ». Ci fu chi cercò d i respingere l'idea d el massacro . La bomba e ra es pl osa per caso. Er a dentro un a cassa, in una casem1a. I soldati ch e se ne van no, e poi a quel modo, lasciano sempre bom b e e fucili. Cos a p ossono las ci a re i soldati che se ne vanno, se non bombe e fucili?

A Torrimpie tra , quel matt ino d el 23 sette mbr e, all ' infuori di qu es te voc i, non c'era nulla di mutat o . Era anc ora presto e si se ntivano i soliti odori che si sentono dov e c'è l a c am pagna e il m are. Odo re di pane appen a sfornato, di p esce e di vino.

Ern es to Zu ccon, i1 fornaio. cu oceva il pan e e il profumo d el pane usciva dalla sua b ottega.

fragrante e gradevole. Ogni tanto, dopo J'inforna ta, Zuccon s'affacciava sulla porta a rqspirare una boccata d'aria fresca. Il calore ' del forno gli arrossava la faccia. Sulla piazza c'era un furgone. Du e venditori erano arrivati poco prima per acquistare frutta e verdura .

D alla strada di Pali doro si sentì il n1more di una moto ·lanciat a a tutta velocità. Si fermò sotto la torre. Ne scesero due soldati ted eschi. Si guardarono attorno, dopo di che imboccarono la sca la ·che conduceva in vetta al torrio ne, dove c'era la caserma e qualche carabiniere. D omandarono d el comandant e. H maresciallo era assen te. In sua vece, si presentò il vice brigadiere Salvo D'Acquisto. Un giovanotto biondo , dagli occhi chiari, con lo sguardo infantile, un po' sperduto.

I due tedeschi attaccarono a parlare, serr ato, arrogante. Dicevano, con un linguaggio in cui si mescolavano parole incomprensi bili , pronunciate con furore , che uno di loro era mor;to e volevano il colpevole dell'at tentato.

Gli urli si senti vano in paese. Qualcuno che passò sotto la torre alzò gli occh i e, nel vano della finestra, vide un soldato tedes co che brandiva la pistola.

Due donne attraversarono la piazza e corsero a rifugi arsi in casa. Le porte si chiuse ro, una dopo l'altra.

Zuccon , il fornai o, non sapeva se spegnere il forno e scappare, oppure res tare 1J ad assistere alla scena. Vide D ' Acquis to uscire dalla torre col viso macchiato di sang u e e i du e te-

(
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de chi , alle spalle, che lo spingevano verso la motocarrozzetta.

L o fecero salire e partirono di gran carri e ra verso Palidoro.

Anch e altri, sbirciando fra le p o rte socchiuse, v idero i s olda ti te deschi ch e portava no v ia il brigadiere D'A cquist o . C i furon o i prim i co mmenti allarmati.

Enrico Briosch i. came ri ere e custode dell a villa dei cont i Carandini. e un ce rto Mi chel e Vu e ri c h , c h e chi amavan o M astro Mi chele. avevano a scoltato la discu ss ione ch e s'e ra svo lt a all ' ultim o pi a no della torr e , al di sopra delle loro tes te. Di ssero, infatti, che i t edeschi prete ndevan o di sapere il no m e d e l colpevol e dell'attentato di Palidoro e D ' Acquisto aveva fatto l' imposs ibil e p e r spiegarg li che nessuno e ra colpevole e lo scopp io era avvenuto p er caso .

« Quelli - però - di sse Briosc hi - non sentivano ragion e . Pestavano i pugni sul tavolo, minacciavano d i bruciare il paese ».

La calma del brigadiere li mandav a in b esti a. Quando s'accorsero c he non c'era ni e nt e da fare , s i avven tarono contro D ' Acquisto e cominciarono a picchiarlo co l calcio della pistola. San g uinava d alla tes ta .

Gli dissero. ch e avr e bb e ro portato via lui e lui ; con vo ce fe rma. rispos e: « Fate come volete. sono pron to!».

Du e ore più tardi , un au tocarro tedesco si fermò sulla piazza . Ne dis cem alcuni militari :1 rmati fino a i d e nti. Teneva no le ca rabin e mi -

2.') ]

lragliatrici impugnate e guardavano in

con occhi piedi di rabbia.

Qualcuno , sorpreso per strada, s'addossò al muro imptetrito. Si sentirono alcuni ordini a voce spiegata. I soldati si mossero a ventaglio e, con le canne dei fucili, cominciarono a spingere la gente sul camion. Presero Zuccon, il fornaio, che. si portò dietro l' odore del pane fresco. Presero Brioschi, Michele Vuerich , i· due vend it ori ambulanti che raccoglievano frutta e non sapevano nulla , acciuffarono Vincenzo Meta , un murato re che e ra già stato Tastrellato a Bologna e, per miracolo, era riuscito a fuggire, gli Attili, padre e figlio , Umb e rt o Trevisiol , Benvenuto Gaiato, i due fratelli Rossin, Piton, D e Marchi, Angelo Amadio, che a quell'epoca aveva sì e no diciott'anni, e altri sette; i primi che trovaro.no, giovan i o vecchi che fossero. Ne caricarono ventidue ; gli bastavano per vendicare il morto del giorno prim a. D e i ventidue, tolto naturalmente Amadio , uno solo era scapolo , Gedeone Rossin , ma in compenso, suo fratello Fortunato, di figli ne ave , ,a du e . L'au tocarro imboccò la strada di Pa.Jidoro , seguito da una novo la di polvere . Le finestre s'aprirono. Si udirono gridi e voci che s'incrociavano .

«Chi c'è? » - domandò una donna . «Chi c'è?» - domandò un 'altra . «Dove li hanno por-tati'?>).

«A Palidoro. Li ammazzano tutti .. . ». Fatti i di ec i chilometri di strada da Tor-

L
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rimpietra, il camion si fermò sulla piazza di Palidoro.

C 'era movimento di soldati.- Sulla piazza, so rvegliat o da due uomini co l fucile , c'era il brigadiere Salvo D ' Acquisto. Il sa ngu e d e lla feri ta gli e ra diventato nero s ull a fron te . A Palidoro , l'av eva no interrogato e picchiato ancora. Sempre per la stessa ragione. Non volev a no ·convincersi ·Che la bomba d el giorno ava nti fosse scoppiata per un disgraziato incidente .

Siccome il carabiniere non po teva indicare un colpevole, a vev a no deciso la rappr esag lia in massa. Ventidue civili, più l'o stinato brigad iere.

Chi assistette al dr amma che si andava svolgendo nel l a campagna romana, in quel mattino d el 23 se tt em bre, di ce ch e l'immagine d egli o staggi. disp e rati e in l ac rim e, g li ri empi e ancora gli occhi.

Soltanto D 'Acquisto, in disparte , guardava i compagni e i sold a ti tedeschi senza fiata re . Era pallid o e asso rt o. L e sue guardie gli lanciavano occhiate cupe e adir a te.

Ai bordi d e lla piazza, qu alche donna s'e ra fatto in fre Ha il segno della Croce e aveva attacca lo a pregare.

Gli altri, erano mo rti quando gli av evano detto che li avrebbero amm azzati. U fil o di vita che gli era rimasto , lo spendevano a piangere e invocare . Chi amavano tutti i santi. Dicevan o «Madonna mia salvami! ... » «Sant ' Antonio mio, proteggimi... ».

Qu as i tutti ch iamavano la madre. Uno gr i-

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clò: «Sono innocente, non vogl io morirel... ». Gli diedero sulla voce con un urlo. Un altro , oercò di muoversi ma quelli sono momenti in cui le gambe diventano di pietra e il freddo della paura sale su .adagio, dai piedi. Erano tutti .uGmini · che avevano pensato soltanto ·aHa maniera di venir fuori dalla guerra , e la guerr a , invece. li aveva acciuffati di nuovo. Ma quella 'n on era guerra, e r a rappresaglia e davanti alla rappresaglia, senza difesa. ci s i sente squallidi e soli. Si ha anche il diritto di avere paura. L'ufficiale parlottò con l 'interprete e qu esti ordinò ai ven tidue condannat i di metters i in r iga. D'Acquisto fu condotto nel gruppo . «Avanti!» - gridò l'interprete. Indicò l a dir ezione della torre, ve rso il mare . Camminavano a fatica su ll 'e rba e anche se avevano le scarpe, pareva che l'erba gli tagliasse i piedi. Erano come ubriachi. Lungo il tragitto, Salvo D 'Acquisto cercò di ridar e fiducia ai cori1pagni. « Forse lo faranno per metterei paura - diceva - state calmi . Il buon Dio non ci lascerà ... » .

A ogni passo, la fiducia veniva n1eno sempre di più. Ognuno sentiva che camminava già in compagnia del·la morte . Arrivarono davanti al mare. Le case erano lontan e dalla riva; sulla riva c'era qualche barca in secco. Attilio Atti1i s'era salvato per via dei capelli bianchi; l'avevano messo in dispa-rte e gli avevano detto di andarsene a casa .

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Ai piedi della Torre ci fu un altro interrogatorio.

«O il colpevole dell'attentato - disse lo ufficiale tedesco attraverso l ' interprete - oppure. fra poco, la morte per tutti. .. » .

.:-\veva fatto una pausa e poi aggiunto: «Prima, naturalment e, vi scaverete la fossa ... ».

Vennero chiamati per nome uno alla volta. Uno per uno dissero che erano innocenti.

« All o ra - fu la risposta - sarete fucilati !».

Angelo Amadio, che fu accanto a D 'Acquisto fino all'ultimo. raccontò che subito dopo arrivò un camion con un reparto armato. Si tratt ava, evidentemente, del plotone d'esecuzione .

« I soldati - clisse -·- ci gettarono fra i piedi vanghe e badili. L'ufficiale fece alcuni passi e con un bastone tracciò in te rra una linea . "Scavate qui " - disse.

Si trattava di una buca hmga una ventina di metri. La torre, alle spalle, sembrava un cippo di cimitero. D 'A cquisto scavava con noi, senza dire parola. Ogni tanto chiudev a gli occhi. Si capiva che raccoglieva le forze. Era pallido. Aveva ]a faccia liscia e lucid a. Guardavo lui e dopo guardavo gli altri. Lui era ancora vivo, gli altri ," compreso me, erano già tutti morti. Il .lavoro durò alcune ore. La fossa era profonda, arrivava alla cintola. Mi rivolsi a D'Acq11isto e gli dissi: " Ora ci ammazzano". Mi tr emava ]a voce. Tentò di sorridere. " N on ti ammazzano, ve d rai ... " - disse e piegò la te sta» .

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«A un tratt o - disse Angelo Amadioci fecero uscire dalla buca e ci ordinarono di allinearci sul bordo.

I sorldati, con le anni imbracciate, ci si misero di fronte.

Per un -attimo noi guardammo loro e loro gua rdaro no noi. Anche i loro occh i sembravano fucili.

All'improvviso, D 'Acquisto mosse alcuni passi e si avvicinò all'interprete. Gli disse qualcosa che noi non sentimmo. Uno vicino a me, d isse: " E' finita! Adesso ci massacrano di fucilate!". Scoppiò a piangere.

D'Acquisto si voltò e scroll ò ·la test a. "State tranquilli - disse - Per voi, tutto andrà bene ... " . Dopo aggiunse: "Tanto, una volta si nasce e una volta si muore ... ".

L' interprete corse dall'ufficiale. Parlaroflo fitto fra loro. Durò alcuni m1nuti che furono un'eternità. Finito di parlare, l 'in terpr e te diede un'occhiata all'ufficiale per aspetta re conferma e l'ufficiale, in segno di assenso, annuì con il capo. Dissi con m e stesso : " Dio mio , cosa sta succedendo?".

D ' Acquisto era fermo davanti a noi. Non batteva cigHo. Aspettava anche lui come noi ma a differenza di noi, lui, per sé, non aspettava il m iracolo. L'asp ettava, invece, per noi. Io, non ostan te tutto, avevo un barlume di ·speranza. Del resto si spera sempre, anche quando è inutil e sperare. Pe11ché speravo? L'in terpret e che 'aveva parlato col brigadiere, poi era corso dall'ufficiale; l'ufficiale che gli aveva fatt o

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' ·

segno che andava b ene e D 'Acquisto che aveva d etto che nessuno di noi sarebbe morto. P erché lo av eva detto? Forse sapeva i:l nome de l colpevole e, per salvarci, l'aveva svela to?

Fo rse ... Mentr e sta vo pensando qu es te cose, una in co ntr as to con l'altra, l 'interprete ci chiamò di nuovo per nome . Non chi amò invece D 'Acquisto. Forse non chiamò neanche me . Il mio nome, aJmeno , non lo sentii. Gridò: " Rausl Via l ". "Andat e a casa . Subito, altrimenti l'uffi ciale ci ripensa ". Prima ci fu sbigo ttim en to poi tutti si misero a correre. Avevano fretta di sparire».

·D'Angelo passò a ltri brutti m omenti . Cred evano ch e foss e c arab iniere ma riuscì a chiar ire la sua posizione, forse p er via di una tessera in .cuj e ra scritto che l }avorava all a ferrovi a . Zuccon era rimasto nella fossa e n 'Acq u isto gli all un gò ,una mano per a iutarlo a salire.

« Andiamo, an di amo... » - disse in fr etta Zuccon .

« Io resto qu i» - disse D 'Acquisto. « Lui resta qui» - ribattè l'interprete . Zuccon si mise a correre attra verso i campi. D ' Ang elo, invece, s'al lo ntan ò adagio. Aveva p aura c he gli sparassero alle spalle. Si senn un comando e subito un a raffica . La raffica smorzò un'altra voce che grid ò : « Vi va l'Itali a! ».

D 'Angelo cre dette che avessero tirato a lui. Si voltò appena in tempo per vedere il briga diere Salvo D ' Acquisto che si piega VIa su i ginocchi. SuHa cam icia bianc a, all'altezza del

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cuore, aveva una larga chiazza di sangue. Cadde con le braccia incrociate sul petto e le scarpe fangose, strette insieme.

Gli altri non vid e ro l' esecuzione. Sentirono la scarica, si voltarono un attimo e ripresero a correre. Passò qu alche istante, si udirono altri colpi. Forse uno o due colpi di grazia. Agli spari; seguì un gran silenzio .

La salma del brigadiere venne gettata nella foss a e ri coperta con poche badilate di terra. I soldati se ne andarono, era g ià buio . Il cielo s'era riempito di s telle.

La sera stessa, uno dei solda ti tedeschi che aveva assis tito aUa fuci'lazione, raccontò a una donna del posto, Wanda Baglioni, la tragedia avvenuta sulla spiaggia di Palidoro.

« n vostro brigadiere - disse - è morto come un eroe. Non ha ·avuto un momento di paura. Chi aveva paura di lui, era il nostro ufficiale.

D ' Acquisto ha detto a.Jl'interprete che il colpevole era lui e ha domandato di essere ucciso al posto degli altri, già dis trutti dallo spavento e d alle lacrime ... ». Passarono diciannove giorni, durante i quali il corpo di Salvo D 'Acquisto rimase custodito d al vento e dal mare.

Una ragazza, di nome Clara P esamosca, sfollata ·a Castel C amporeale, domandò di parJatre con il çolonneUo ted esco che c'era nella zona.

« Vorrei andare suJ.la spiaggia - dissesotto la Torre di Palidoro. C 'è il cadavere di

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un ragazzo che conoscevo. Non vorrei che restasse senza sepoltura».

Ottenne il permesso. Andò insieme co n \ Vanda e Guido Baglioni, con Caterina Nasoni. con il parroco D on Luigi Brancaccio e An gelo Amadio, il ragazzo di neanche venti anni che era stato uno dei ventidue cs taggi. salvati dal brigadiere D 'Acquisto. Scav arono poca terra. Subito trovarono la salma del carabiniere. Era malandata. Sol t anto il viso e ra intatto, conservava ancora un' espressione pura e distesa. L e ferite, sul pe tto , si era no allargate. Era tutto feri te , dalle spalle al ventre .

L 'avvolsero in un lenz uol o e lo deposero nella cassa che aveva p or tato Gu ido Baglioni.

A p iedi , attraversarono i campi. Il breve rn ortorio passò sotto la torre e s'avviò verso il cim itero.

Q ues t' ultima vicenda, tomo a r ip etere, seco nd o me si stacca da ogni al tra. E' un esempi o singol a re di corag gi o um ano matura to co n estrema fr e ddezza e cosciente det erminazi one .

Sa lvo D ' Acquist o giunse co nsapevole al limite della vita. lo varcò e andò oltre. Sapeva il p rezz 0 e il sign ifica to del proprio sacrifi cio. Morì in silenzio, senza svelare ad a lcuno il segreto deHa sua grande offerta . L o svelarono gli altri . Di ventò eroe, perciò, in punta d i p iedi. senza rumore .. .

INE

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F

INDICE

A l letfore . pag. 5

C.L\PlTOLO l - L'uomo che mor'ì due volte • 7

CAPITOLO II - Visse sette giorni da eroe senza saperlo . · 29

CAPITOLO III - Su un « Grillo • di legn o terrorizzò gli au s triaci . » 4 7

CAPITOLO IV - L 'assalto a'lla baionetta del cappellano Ca rletti » 67

CAPITOLO V - Segnalava con le lenzuola le off ens iv e del nemico • 87

CAPITOLO VI- Trenta vittorie in un baule • 107

CAPITOLO VJI - I l leone di Dengheziè è diventato padre Agosti no . • 12 7

CAPITOLO VIII - Pagav a i suoi « banditi • con cinque lire al giorno . • 145

CAPITOLO IX - Il paracadutista dalla testa d 'a rgento » l 65

CAPITOLO X - Fra dieci minuti sa lterete in aria .

CAPITOLO XI - L ' uomo dal si luro d'oro .

183 205 225

CAPITOLO xn - Il suo sacrificio salvò ventidue vite um ane 241

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