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Conclusioni

che tale distacco è da considerarsi solo un cambio di guarnigione fra due corpi dello stesso esercito che vigila sulla sicurezza della comune patria serba. Re Petar, in una visita concessa a Carlo Papa, afferma esplicitamente che la frontiera serbo-montenegrina non ha più alcun significato e che l’opera comune dei due popoli “fratelli” è intenta ad intensificare le loro relazioni in tutti gli ambiti. Solamente la presenza di re Nikola – “che tanti meriti ha, sia verso il suo popolo, sia verso la causa slava” – sconsiglia, per il momento, dallo stabilire qualcosa di definitivo che possa menomare l’integrità della sua sovranità sul popolo montenegrino. La sua successione segnerebbe la scomparsa di ogni scrupolo in proposito.

Al contrario è altrettanto noto che le popolazioni conquistate dalla Serbia, che si quantificano in circa un milione e mezzo di persone, sono in parte predominante avverse al nuovo regime. Bulgari, greci, albanesi, musulmani, sono contrari al governo serbo, che si rivela – come il regime turco – “tutt’altro che paterno”. Ne sono prova le vive proteste che tutti i consoli, senza distinzione di nazionalità, hanno trasmesso alle rispettive legazioni, affinché cessino le atrocità che i serbi continuano a perpetrare nella “nuova” Serbia. La popolazione, piuttosto che esser vittima di una sbrigativa “serbizzazione”, preferisce emigrare: soprattutto le popolazioni musulmane cercano di porsi sotto la protezione straniera e accorrono numerose ai consolati d’Inghilterra dichiarandosi sudditi inglesi. Appare quindi manifesta la grande difficoltà contro la quale urta l’aspirazione del governo serbo (ovvero l’assimilazione dei nuovi territori) e la preoccupazione che inizia a trapelare giustificando la persistente mobilitazione dell’apparato bellico serbo nei territori macedoni acquisiti. La smobilitazione dell’esercito, infatti, sebbene annunciata ad agosto, ancora alla fine dell’anno non è effettuata. Le notizie in merito sono contraddittorie. Il Tribuna del 2 dicembre riporta la notizia che a causa dei continui disordini alla frontiera bulgara e albanese, il decreto per la smobilitazione non sarà presentato alla firma del re: per tale ragione tutti i riservisti sono trattenuti sotto le armi fino all’arrivo delle reclute. Una settimana dopo, invece, il Pravda annuncia, per la settimana successiva, la smobilitazione delle divisioni Morava e Drina, le due

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uniche interamente mobilitate in seguito alle incursioni nemiche in Serbia.

Un’impressione diffusa circa i nuovi territori acquisiti, è la deficienza di uomini su cui poter contare dal punto di vista militare. Qui la popolazione ascende a circa un milione e mezzo e si considera ora di formarvi cinque divisioni, anziché le due inizialmente previste. L’esercito serbo mira dunque a crescere ancora: tra le altre cause della Prima guerra mondiale, vi sarà la paura suscitata in seno allo Stato Maggiore generale austriaco del raddoppio dell’esercito serbo in seguito agli acquisti territoriali ottenuti con le Guerre balcaniche. Proprio a causa dell’organizzazione amministrativa dei nuovi territori, tra l’altro, nel corso del 1914 si svilupperà il noto contrasto interno tra le autorità civili e militari serbe.

Re Petar spera che un invito a tornare in patria rivolto agli emigranti serbi all’estero, possa avere l’effetto desiderato di dar braccia sufficienti al lavoro nei campi dei nuovi territori. Una nuova formazione è in via di costituzione, quella del corpo di truppe di frontiera, che avrà come compito principale la difesa della frontiera contro le incursioni armate e come compiti sussidiari il servizio doganale e di polizia nelle regioni di confine. Detto corpo farà parte dell’esercito nazionale.

Infine, l’ultima difficoltà, riguarda la condizione finanziaria. La Serbia nel maggio del 1913 aveva speso per la guerra più di centottanta milioni di dinari, saliti alla fine dell’anno a duecentocinquanta milioni. È in corso il prestito di altri duecentocinquanta milioni da parte della Francia, del quale la Serbia ha un impellente bisogno; la Francia tuttavia pone una serie di condizioni e di vincoli per i mercati sui quali detto denaro dovrà essere speso. Il diplomatico francese incaricato d’affari a Belgrado, ad esempio, pone con successo pressioni sul governo serbo affinché materiale bellico sia commissionato alla casa francese Schneider-Creusot anziché alla tedesca Krupp come il governo serbo avrebbe preferito, minacciando di bloccare l’erogazione del prestito di Parigi. I successi degli Stati balcanici nelle Guerre balcaniche, infatti, segnano anche questo: la vittoria della Schneider-Creusot sulla Krupp e la Škoda.

Le Guerre balcaniche non soddisferanno le aspirazioni nazionaliste degli Stati della penisola e di conseguenza i vecchi alleati dell’ottobre 1912 arriveranno alla Grande Guerra ancora una volta divisi: Grecia, Serbia, Montenegro e Romania al fianco dell’Intesa, la Bulgaria con gli Imperi centrali, nel fallimentare tentativo di riconquistare quanto perso in precedenza. Al termine del conflitto mondiale, la Serbia vedrà finalmente soddisfatte le proprie aspirazioni alla creazione di uno Stato jugoslavo dominato dal potere di Belgrado che includa anche i territori slavo-meridionali austro-ungarici.

In quegli anni gli addetti militari italiani, dalle principali capitali europee o della regione balcanica come il maggiore Papa, non solo forniscono una documentazione fondamentale per gli interessi militari e politici italiani dell’epoca, ma contribuiscono con i loro resoconti pienamente validi ancora oggi, all’interpretazione di eventi che hanno rappresentato una questione di grande importanza per tutto il continente europeo ed il preludio fondamentale alla deflagrazione della Prima guerra mondiale.

Summary

The Balkans have always been an important cultural and commercial area for the Italian foreign policy and during the Balkan Wars Italy closely followed the events in the region. From the Congress of Berlin (1878), the primary interest of the “young” Italian government was to maintain friendly relations with the European Great Powers for future alliances, such as the Triple Alliance in 1882. The main Italian goal was to fortify its position in the international space and to participate with the other European countries in the division of the spheres of influence. The Italian objectives included the old ambition of gaining supremacy over the Mediterranean area, which meant having a colony in the North African coast and a policy of expansion in the Balkan Peninsula. The Italian officers (military personnel, members of the commissions for the demarcation of borders, experts and delegates at the international conferences, staff employed by foreign armies) were particularly active in the issues of the Balkan region, offering their technical and organizational expertise in the process of political settlement that was difficult due to tensions among the emerging national states.

The Balkan Wars of 1912–13 were mostly followed by the Italian military attachés from the main European cities and the capitals of the Balkan states involved in the conflict. The reports sent from the military attachés to the Army General Staff in Rome from October 1912 to August 1913 contain daily information, news, rumors and more or less reliable predictions about the events, primarily focused on military operations and the London Peace Conference. Although based mainly on the analysis of military issues, these reports are in some cases more significant than the diplomatic documents because they give a wider interpretation of the national and territorial issues in the early twentieth century in the Balkan states. Besides being written from the perspective of the Italian political and military interest,

the reports also show the feelings, beliefs and interests of the European states where the Italian military attachés resided.

Captain Carlo Papa di Costigliole d’Asti (Florence 1869 – Alassio 1955), promoted Major in February 1912, was the Italian military attaché in Belgrade – and for a shorter period in Bucharest – from 1908 to 1913. During the crisis of the annexation of Bosnia-Herzegovina by Austria-Hungary and during the Balkan Wars, he was a privileged observer of the events in Serbia. From 1908, Papa had closer contacts and personal friendships with the officers of the Serbian General Staff and the Serbian Ministers of War; he attended meetings with the royal family Karaгorгević and he had the opportunity to participate as an observer in the Serbian Army military exercises. In Serbia, still economically underdeveloped and mainly a peasant society, Papa witnessed the growing role played by the army in the national emancipation – which had started already in the nineteenth century – covering the function that in the more industrially developed Western countries was carried out by the bourgeoisie, the middle class and the urban proletariat.

In the fall of 1912, during the First Balkan War and a few days after the Battle of Kumanovo, Papa was authorized by the Belgrade government, along with the other foreign military attachés, to join, in a recently conquered Skopje, the General Staff of the Serbian Army. The Italian military attaché had the opportunity to personally visit the battlefields where, a few days before, the Serbian troops had faced the Ottoman forces. From Skopje, on November 13 and 14, he first moved towards Kumanovo and then joined the command of the Serbian 1st Army – which he followed also to Veles and Prilep – deployed in front of the Turkish positions in Bitola (Monastir). Papa entered into Bitola the day after the fall of the town into the hands of the Serbs (November 19, 1912), from there then he went to Thessaloniki at the end of the month. Mostly he reported details of his stay with the Serbian army in an elaborated report of January 1, 1913, in which he described the Serbian-Turkish War in the autumn of 1912, based on the information provided by the Serbian Army General Staff, the data collected during the field visits, the stories of the peasants whom he interviewed, and those of the injured Serbs and Turks whom he visited in the hospitals. Furthermore, Carlo Papa had the opportunity to collect more information in the report during the other visits to Skopje, Prizren and Mitrovica, from March 14 to 26, 1913. At that moment, in Skopje there was still the High Command of the Serbian

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