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nei confronti delle Istituzioni, sintetizzabili in un pensiero lapidario quanto profondamente amaro sulla strage di Milano del 1969: “Piazza Fontana: nessuno è Stato”.

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1.2. “Bombe, sangue e anarchia”. Immaginari di violenza anarchica alle soglie del 12 dicembre.

“Errori, leggende, candore e violenza, hanno pesato sull'anarchismo producendo una idea popolare paurosa, associata a vecchie e drammatiche illustrazioni”.56

La paternità della strage di Piazza Fontana è immediatamente attribuita agli anarchici. Sembra rilevante ricostruire brevemente la narrazione su carta dell’ideologia e della storia libertaria offerta all’opinione pubblica italiana, per cercare di comprendere in che modo sia stato possibile accettare, e forse risultasse persino poco discutibile, l’idea che gli spietati e ciechi “bombaroli” del 12 dicembre avessero agito sotto il segno, e nel nome, dell’Anarchia. Cogliamo le radici di questo immaginario nell’Europa di fine Ottocento, quando il movimento libertario non fa mistero della possibilità di utilizzare a fini politici la rivoluzione e gli attentati per abbattere l’ordine statuale che considera espressione di tirannide e di ingiustizia. Oltre ad episodi nei quali la scelta delle vittime risponde alla logica del tirannicidio, l’Europa subisce atti di violenza anarchica generalizzata, come quello che nel 1892 causa la morte del proprietario di un caffè parigino assieme a quattro poliziotti e l’anno seguente, questa volta in un teatro spagnolo, di venti vittime innocenti.

In entrambi i casi si è trattato di attentati dinamitardi.

L’immagine pubblica degli anarchici si connota quindi, significativamente, di negatività, e non a caso le comunità italiane emigrate nel mondo tra fine Ottocento e inizio Novecento, si trovano a fare i conti con lo stereotipo dell’italiano “terrorista, sovversivo, anarchico”,57 suffragato dalla paternità tutta nostrana degli attentati compiuti in quel frangente storico in Europa: nel 1894 ai danni del presidente francese Sadi Carnot, nel 1898 contro il primo ministro spagnolo Canovas del

55 È il titolo del volume di Fortunato Zinni, sopravvissuto alla strage di Milano, edito nel 2007 da Maingraf Editore, Bresso. 56 Per la prima volta molti giovani al congresso mondiale anarchico, “La Stampa”, 31 agosto 1968, p.13. 57 Cfr. M. Sanvitale, Quando essere italiani era una colpa: razzismo, oltraggi e violenza contro i nostri immigrati nel mondo, in “Il corpo offeso. Tra piaghe e pieghe”, Figure dell’immaginario. Rivista internazionale online, I numero gennaio 2014.

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Castillo e ai danni dell’amata imperatrice Elisabetta d’Austria, nel 1900 contro il re d’Italia Umberto I.

Allo scoppio del primo conflitto mondiale, il movimento libertario italiano è comunque, nella sua quasi totalità, avverso alla violenza e alla guerra e nel primo dopoguerra è attivo nelle lotte e nelle occupazioni delle fabbriche, specialmente nelle fasi cruciali del biennio rosso (1919-1920), raccogliendo tra l’altro le simpatie e la collaborazione di molti militanti socialisti e comunisti. Qualcosa cambia nettamente dal marzo 1921, a seguito dell’attentato dinamitardo al teatro Diana di Milano che provoca la morte di 21 persone e il ferimento di altre 100. Il processo si svolge fra il 9 maggio e il 1 giugno del 1922, costatando l’effettiva responsabilità di tre anarchici - Giuseppe Mariani, Ettore Aguggini, Giuseppe Boldrini - e innescando un forte dibattito pubblico e un confronto interno agli stessi gruppi dell’anarchia italiana, nonché gravi rappresaglie e violenze ai danni di anarchici, socialisti e del neo-nato partito comunista, esercitate dai gruppi fascisti che cavalcano l’ondata di sdegno popolare per la strage

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Nelle intenzioni dei colpevoli non rientrava l’eccidio di innocenti che effettivamente si verifica: gli anarchici volevano colpire il questore Giovanni Gasti che pensavano alloggiasse nel vicino Hotel Diana e che consideravano uno dei responsabili della lunga e immotivata detenzione di tre compagni (Errico Malatesta, Armando Borghi e Corrado Quaglino). Nello sdegno collettivo della Nazione, Malatesta stesso esprimerà con forza la sua riprovazione per l’attentato, ma pronuncerà parole di comprensione per i dinamitardi responsabili della strage scrivendo sulle pagine di “Umanità Nova” – il giornale anarchico fondato nel 1920 da Enrico Malatesta - che il loro «fu un atto di follia commesso sotto la suggestione di una follia collettiva; per un impulso cieco ma nobilmente altruistico».59 Anche l’intellettuale anarchico Luigi Fabbri si esprimerà sulla strage del Diana, questa volta con parole di più dura e ferma condanna per il gesto, sottolineando di difendere sempre i vinti e i deboli «per superiori ragioni di umanità e di giustizia come vittime irresponsabili e non come vindici di un’idea»60, ma di non celebrarli affatto.

58 Mussolini, dalle pagine del suo stesso giornale, lancia una forte campagna mediatica contro i suoi antagonisti, strumentalizzando l’orrore dell’eccidio del Diana. Cfr. ad esempio gli articoli Le belve umane si rivelano, I comunisti si dichiarano solidali con gli assassini del Diana, “Il Popolo d’Italia”, 27 marzo 1921, p.1. 59 E. Malatesta, Per i bombardieri dell’anima, “Umanità Nova”, 18 dicembre 1921. Il giornale nasce nel 1920 a Milano. Franco Schirone - autore del libro Cronache anarchiche. Il giornale “Umanità Nova” nell’Italia del Novecento (1920-1945), ed. Zero in Condotta, 2010 - stima che in quell’anno se ne vendessero circa 60mila copie in Italia. La redazione si sposta a Roma nel maggio del 1921 (dopo i fatti del Teatro Diana di Milano). Nel dopoguerra le pubblicazioni riprenderanno in forma settimanale. 60 L. Fabbri, Sull’attentato al Diana. Vittime od eroi?, “Umanità Nova”, 24 dicembre 1921.

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L’attentato al Diana ha effetti devastanti sull’immagine degli anarchici, contribuendo a rafforzare il legame con l’immaginario di violenza e terrore già diffuso in seno all’opinione pubblica ed è alla base anche di una frattura con le forze di sinistra che avevano sino a quel momento dialogato col movimento libertario e che invece, all’indomani della strage al teatro, si allontaneranno. Scriverà a tal proposito Armando Borghi: «In Italia nessuno osava più dire che ci aveva conosciuti. Chi avesse speso una parola per noi era in pericolo. La caccia all’anarchico obbligò a darsi alla macchia i nostri più noti».61 Durante il fascismo gli anarchici sono duramente contrastati dal regime e molti di loro sono costretti all’esilio, al confino di polizia e sottoposti al controllo della corrispondenza secondo le disposizioni della Polizia Politica.62 Durante tutti gli anni Venti, infatti, costituiscono per il regime un “problema di pubblica sicurezza” e quando il 12 aprile del ‘28 Milano è di nuovo scena di un attentato dinamitardo (questa volta alla IX Fiera inaugurata poco dopo lo scoppio da Re Vittorio Emanuele III), la colpa ricade facilmente sul movimento anarchico. L’ordigno a orologeria deflagra nei pressi dell’ingresso principale in piazzale Giulio Cesare, causando la morte di venti persone tra cui dei bambini.

Nei giorni di Piazza Fontana l’attentato del ‘28 non verrà però significativamente riproposto all’opinione pubblica, sebbene anche in quell’occasione gli anarchici siano stati perseguiti con particolare enfasi dalle Autorità. Mussolini in persona si attiva affinché le indagini si orientino verso gli ambienti anarchici e comunisti, con un telegramma riportato dal “Corriere della Sera” e da “La Stampa”, nel quale i toni non contemplano incertezze sugli esecutori della strage: «Portate per me dei fiori sulle salme degli innocenti colpiti a morte dalle bestie della criminalità dell’antifascismo impotente e barbaro».

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Sotto l’egida della milizia, polizia e carabinieri si attivano quindi contro tutti i settori più radicali dell’ala antifascista: comunisti, anarchici e repubblicani. Romolo Tranquilli, del tutto estraneo alla strage ma fratello di quel Secondino Tranquilli del partito comunista e noto ai più come Ignazio Silone, è vittima di durissimi e violenti interrogatori volti ad estorcerne una confessione. I primi due indiziati per la strage sono invece proprio due anarchici: Gino Nibbi e Libero Molinari. Entrambi saranno assolti in istruttoria.

Di fatto, la strage alla Fiera resterà anch’essa impunita. Fra piste anarchiche, “rosse”, “nere” e internazionali, i suoi esecutori non saranno mai accertati e la strage, oltre a non ricevere Giustizia,

61 A. Borghi, Mezzo secolo d’anarchia, Edizioni Anarchismo, Catania, 1989, p.109, citato in F. Giulietti, Gli anarchici italiani dalla grande guerra al fascismo, FrancoAngeli, 2015, p. 160. 62 Cfr. a riguardo G. Sacchetti, Carte di Gabinetto. Gli anarchici italiani nelle fonti di polizia (1921-1991), La Fiaccola, Ragusa, 2015, pp. 32-35. 63Un'esplosione di delinquenza che solleva un grido di più intensa fede nazionale, “La Stampa”, 13 aprile 1928, p.1. 9

verrà quasi del tutto rimossa dalla memoria del Paese, tanto da far scrivere a Lelio Basso, sul “Corriere della Sera” del 12 aprile 1978, che «A distanza di cinquant’anni nulla si sa degli autori dell’attentato [..] ed è strano che nessuno, né uno storico né un parente delle vittime, abbia cercato di far luce su una strage, non meno grave nei suoi effetti di quelle tristemente famose del Diana o di piazza Fontana»64 . La strage del ‘21 riemerge nel racconto giornalistico del 1928 e viene ricordata più volte nei pezzi di cronaca e di commento, assolvendo al ruolo di precedente storico così come accadrà nel 1969 per Piazza Fontana.

Leggiamo, infatti, che «Bisogna risalire alla notte lontana del delitto del Diana per ritrovare un lutto cosi profondo e tanto schianto di animi e di cuori»65. La stampa nazionale pone l’enfasi sull’azione esemplare della polizia e dei soccorsi; nella quasi totalità dei casi la comunicazione insiste sul dolore e sullo strazio delle vittime e dei loro cari, sulla dignità degli italiani riuniti nella Patria e nel nome della Monarchia, presentata come guida esemplare e madre premurosa e caritatevole del suo Popolo. Gli antifascisti sono tratteggiati come brutali e incivili e tra i sospettati figurano i “sottoposti alla vigilanza speciale”, gli “ammoniti” e coloro che sono stati “dimessi dal manicomio”. Ovviamente vi sono “gli anarcoidi” e i comunisti. Per Romolo Tranquilli, che abbiamo già incontrato, la «tessera comunista» e la «fuga improvvisa», divengono «elementi di accusa». 66

La stampa di opposizione, ormai clandestina nel 1928, propone una diversa interpretazione dell’attentato alla Fiera denunciandone la marca fascista e a tre anni dalla strage, “L’Unità”, nell’edizione clandestina del marzo 1931, scrive che: «L'attentato fu preparato dai fascisti, per avere il pretesto alla repressione anticomunista».67 Repressi durante gli anni Trenta e la tragica parentesi della Seconda Guerra Mondiale per la loro posizione marcatamente antifascista, dall’estate del 1943 gli anarchici del Bel Paese si organizzano per la lotta armata di Liberazione dando il loro contributo alla Resistenza al fianco delle altre più note componenti politiche e sociali. Se in seguito il movimento libertario non eserciterà più quell’influenza che gli è appartenuta dalla fine dell’Ottocento sino al consolidamento del regime fascista, raccoglierà comunque le sfide lanciate dalla ricostruzione, dagli assetti politici internazionali, dal boom economico. Dal secondo dopoguerra riprendono, infatti, le attività dei gruppi anarchici sul territorio e le pubblicazioni delle

64 L. Basso, Quella strage ancora avvolta nel buio, “Corriere della Sera”, 12 aprile 1978.

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L’orrenda strage, “La Stampa”, 13 aprile 1928, p.1. 66 Giuseppe Bevilacqua, I morti sono 17: quanti furono quelli del "Diana”, “La Stampa”, 14 aprile 1928, p.1. 67 Liberate gli accusati per la bomba di Milano, “L’Unità”, edizione clandestina, n.19, marzo 1931. 10

testate libertarie, fra tutte “Umanità Nova”.

68 Di contro, è innegabile che il movimento anarchico si trovi a fare i conti con i grandi partiti e l’assetto che i padri della Costituente stanno dando alla politica italiana. Un assetto che non può vederli protagonisti e che li pone di fronte a scontri interni ed esterni, scissioni, ma anche nuove modulazioni organizzative a livello italiano e internazionale. Negli anni Sessanta con le agitazioni operaie e nel Sessantotto con la contestazione giovanile, gli anarchici tornano a battersi con forza per le nuove rivendicazioni sociali e del lavoro. Insistendo vivacemente sull’autonomia sindacale e politica del movimento dei lavoratori, gli anarchici sono in prima fila nelle più importanti lotte di fabbrica del biennio ’68-’69 e nei giorni dell’autunno caldo sono ritenuti responsabili, o comunque coinvolti in qualche misura, nella maggior parte degli scontri di piazza nonché degli attentati esplosivi verificatesi nel periodo. Tra questi ultimi, è particolarmente viva nel Paese la ferita provocata dalla bomba esplosa alla Fiera Campionaria il 25 aprile 1969 a Milano, in quella Milano che può vantare, come verrà sottolineato all’indomani della strage alla Banca dell’Agricoltura, il «triste primato degli attentati»69 dal marzo 1921 al dicembre 1969. Il 25 aprile, anniversario della Liberazione d’Italia, nel capoluogo lombardo esplodono infatti due ordigni: uno alla Fiera e l’altro all’Ufficio cambi della Banca Nazionale delle Comunicazioni, nella stazione di Porta Garibaldi, ferendo una ventina di persone. Anche qui, come in molte altre occasioni, i sospetti ricadono sugli anarchici, nonostante il valore simbolico della data e le aggressioni fasciste alle sedi del Pci o ai circoli della sinistra che in tutto il mese di aprile avevano agitato Milano. Il quotidiano “Il Giorno”, seppur con qualche doveroso dubbio, titola Sono bombe anarchiche70 ; “L’Unità” denuncia invece le Gravissime provocazioni a Milano accreditando la responsabilità dell’attentato ai fascisti, che dalle pagine del quotidiano missino rispondono che la colpa è solo dei comunisti laddove il «Pci scatena l’offensiva contro lo Stato e l’ordine ricorrendo al vile e criminale terrorismo»71 .

La cronaca milanese del “Corriere della Sera” alimenta una sorte di “psicosi della bomba”costruendo la sua narrazione su quelli che lo storico Mirco Dondi ha definito «una serie di luoghi comuni che si ritroveranno nei giorni successivi a Piazza Fontana»72 e che abbiamo già incontrato in questa breve ricostruzione: il richiamo alla rapidità delle indagini, l’enfasi sul lavoro

68 Sul tema si veda P. Iuso, Gli anarchici nell’età repubblicana. Dalla Resistenza agli anni della Contestazione 19431968, BFS edizioni, Pisa, 2014. 69 C. Casalegno, Prenderli ad ogni costo, “La Stampa”, 13 dicembre 1969, p.1. 70 Sono bombe anarchiche, “Il Giorno”, 27 aprile 1969. 71Sciopero dello Stato e terrorismo rosso. Il governo «vigila» disarmando la polizia, “Il Secolo d’Italia”, 27 aprile 1969, p.1. 72 M. Dondi, L’eco del boato, op. cit., p. 112.

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