VIII. Un mondo rurale
Teatro di molta parte delle memorie che andiamo leggendo è la Toscana: nei loro scritti molte tra le donne la esaltano come una cornice straordinaria, fecondo luogo di incontro tra bellezze naturali e armonia delle opere umane; così che le testimoni del tempo vivono con grande sofferenza il contrasto che vedono crearsi tra la sua bellezza e la violenza dispiegata dalla guerra. La distruzione materiale accompagna quella dei valori e di tutti normali rapporti umani, di pari passo con la devastazione dei sentimenti e dei ricordi più sereni e lieti. Ma c’è anche un altro motivo di conflitto interiore: magnificenza delle opere umane e rigoglio della natura – decantati nei diari in termini spesso ingenuamente letterari – si compongono nella Toscana degli anni ’40 in un quadro intonato a un ordine antico. È un ordine che si manifesta in forme di rispetto e di sottomissione ai ceti possidenti, atti che a coloro stesse che li hanno narrati appariranno più tardi ingiusti, dopo l’uscita da quella guerra e dal clima complessivo di quella società. Tuttavia anche questo ordine antico, pur nella sua ingiustizia, sembra far risaltare l’aspetto dolorosamente sovvertitore della guerra. Era una sera di Maggio, in un pomeriggio tiepido e dolce, la campagna anche se non curata alla perfezione, era di nuovo esplosa facendo emergere dalla terra i soliti tappeti dal fondo verde punteggiato di un’infinità di colori, come il Maggio riesce a far nascere ed a mantenere senza farli appassire troppo in fretta. Il bel viale del ciliegi si era fatto bello per le chiome in fiore delle sue piante, le quali, toccandosi le une con le altre dai due lati, formavano quel tunnel che dai bellissimi fiori passava al verde delle foglie punteggiato poi di grappoli rossi. La natura aveva ancora una volta riaperto il proprio scrigno mostrando quanto di più bello aveva custodito nel suo grembo protettivo durante il lungo inverno.