III. Il nemico
«Domenica, 12 settembre 1943 ore 12. Ho veduto per la prima volta i Tedeschi, non come ne avevo veduti tanti fino ad ora, ma nella loro esecrabile parte di invasori e padroni, capisco che si possano odiare, o traditi o no, che questo non ce lo dice nessuno perché la verità chissà dov’è, sono nemici, che hanno preso possesso della nostra bella città», annota Maria Alemanno da Firenze. E il giorno successivo: Giornate sempre piene di sgomento e di angoscia. Per radio torna a farsi udire l’inno dei fascisti, si affacciano un po’ titubanti per riprendere potere all’ombra della protezione tedesca. Comandi tedeschi, ordini tedeschi, tutto tedesco. Cominciamo a guardarli con un po’ di timore. Passano e ripassano autocolonne intere, un frastuono assordante, continuo per la città. Io sono nervosa; tutto mi dà noia.
Al fastidio iniziale si sostituiscono presto timore, paura, terrore: «A mezzogiorno le strade sono deserte, tutti sono terrorizzati dai tedeschi. Nessuno deve uscire, tutti in casa, la paura è grande e cominciano a passare anche da via Marconi le prime macchine di guerra, quei soldati ti guardano in faccia come se loro fossero i padroni della nostra terra». L’invasione tedesca sorprende gran parte degli italiani: sembra che pochi si aspettassero da parte dei potenti alleati una reazione tanto pronta, favorita peraltro dalla latitanza dei comandi militari e delle autorità politiche italiane. Sorpresa, da una parte, ma anche sentimenti di ripulsa e di paura, che testimoniano nei più un’avversione che va oltre le contingenze. Non manca certo chi sposa la causa dell’alleato d’un tempo, e anche di costoro leggeremo memorie e testimonianze. Ma nella maggioranza si avverte il riemergere prepotente di un sottofondo di ostilità