Rivista Fralerighe CRIME N.10

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FRALERIGHE DICE NO ALL’EDITORIA A PAGAMENTO




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GEMELLAGGIO CON PESCEPIRATA FORUM SCRITTORI

Pesce PiratA Forum di Scrittura Lettura Editing collettivo Perche pesce? Pesce perche lo scrittore e un po' come un pesce... parla poco, e silenzioso, si muove rasente al fondale muovendo appena coda e pinne, ma scruta tutto, vede perfino quello che succede alle sue spalle. Perche Pirata? Perche come i pirati informatici sposiamo in pieno la filosofia dell'web 2.0 Ovvero il voler rendere pubblico e accessibile il lavoro frutto del singolo o della collettivitĂ .

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N

ei bassifondi della nave, nelle stive piÚ losche e misteriose, a cui per accedere si devono percorrere cunicoli incredibili, là dove nessuno immagina ci sia forma di vita, qualcuno ha progettato qualcosa. Niente rapine o atti terroristici, niente assalti o azioni contro la legge. Tassello su tassello, menti creative leggermente deviate, uomini e donne che non riescono a stare sui binari del normale, si sono riuniti in gran segreto. Hanno parlato, discusso, si sono presi a pugni. Hanno bevuto molta birra e qualcuno, per fumare, ha aperto la finestra dimenticando di essere su una nave. Da quello, da quei posti maleodoranti, da quelle persone poco raccomandabili, è nata la

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PerchĂŠ? Per strutturare i servizi letterari che nascono nel Laboratorio di Scrittura. Per dare una partecipazione attiva a tutti i soci, i quali si possono candidare per le cariche di gestione, possono partecipare alle assemblee in cui vengono decise le attivitĂ . Nasce per dare GRATUITAMENTE a tutti i soci servizi di: Valutazione Testi, Editing Personalizzati, Segnalazione Romanzi agli Editori. Abbiamo collaborazioni con Agenzie Letterarie che ci affiancheranno, insomma, gran bella roba, un sacco di divertimento e molta energia.

Quanto costa tesserarsi? L'undicesima parte del canone Rai. La ventottesima di quello Sky. Come 2 pacchetti di sigarette (ma non fa male). PiĂš o meno come una scatola di preservativi.

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EDITORIALE Care lettrici, cari lettori, questo sarà, con tutta probabilità, l’ultimo numero in pdf di Fralerighe. A partire dal 2014, infatti, pubblicheremo direttamente i nostri pezzi sul blog, con cadenza settimanale. I pdf finora pubblicati, ovviamente, resteranno online, visualizzabili su Issuu. Credo che diversi di voi avranno notato i cambiamenti apportati al nostro blog, dal cambio di grafica e struttura al caricamento di buona parte dei pezzi già apparsi su pdf. Spero che li abbiate apprezzati. Abbiamo scelto di pubblicare direttamente su Wordpress per una serie di motivi, tra cui: - pubblicazioni molto più frequenti - maggiore possibilità di interazione (potrete commentare i nostri articoli) - maggiore flessibilità della struttura - possibilità di dare più risalto a ogni singolo articolo - migliore indicizzazione su Google Che dire, riavvolgendo il nastro di questi primi due anni, non posso che essere contento dei risultati ottenuti. Spero che con questo nuovo assetto riusciremo a fare di meglio. In questo decimo numero troverete ben quattro interviste, sei recensioni, sei articoli. Un bel po’ di materiale, insomma. Buona lettura e buone feste.

Aniello Troiano



INTERVISTA A PATRIZIA RINALDI Intervisto Patrizia Rinaldi nel tardo pomeriggio di un giorno di fine estate. Fa ancora molto caldo, a Viareggio; lei, dopo aver presentato il suo “Blanca” sulla terrazza di uno dei bagni storici del lungomare, si è fermata a firmare copie del libro ed a scambiare opinioni con il pubblico, io, a poca distanza, la sto aspettando all’ombra della veranda di uno dei caffè più rinomati della Versilia. Abbiamo appuntamento alle 19.00, e lei arriva con qualche minuto di anticipo. - Buonasera, Patrizia. Puntualità napoletana, tanto per sfatare un luogo comune e far tacere le malelingue. - Ciao, Enzo, mi permetti di chiamarti così… vero? - Certo, i nomi troppo lunghi come il mio sono meno diretti e poco indicati per la conversazione. Troisi docet. Pat, sono indisciplinato per natura e vado quasi sempre a braccio: mi fornisci qualche informazione preliminare?


- Napoletana come te, sposata, maturità classica e laurea in filosofia. Specializzata nella scrittura di testi teatrali. Scrivo da sempre, ma ho cominciato a pubblicare con continuità solo dal 2007. - Beh… beata te! Scherzi a parte: mi sono intrufolato nel tuo sito e l’ho visitato con attenzione. Prima e dopo “Blanca” hai scritto parecchie altre cose… consideri “Blanca” un’evoluzione di ciò che hai scritto prima? - Non so, la vita ci propone di continuo il cambiamento, sentimenti, situazioni che mutano, ed incontri significativi che a volte ti fanno riflettere sulla prospettiva, sul modo di vedere e vivere le cose. Di sicuro so che per Blanca ho un affetto che non si risolve, che non finisce in un libro solo. - Questo ce lo auguriamo tutti. A me il romanzo è piaciuto molto, la sensazione è che, più che sulla trama, la tua attenzione si sia concentrata sui dialoghi e sulla caratterizzazione dei personaggi. Mi sbaglio? - No, hai visto bene. Quando racconto, parto dai personaggi, lascio che si muovano autonomamente, che esprimano intenzioni, caratteri, sentimenti. La storia, chiamala trama se vuoi, diventa una conseguenza del loro modo di essere, di agire, di confrontarsi. - Pat, dalle ultime parole che Blanca rivolge alla memoria di sua sorella si intuisce che il romanzo avrà un seguito. Me lo confermi? - Blanca ha già avuto un sequel: “Tre, numero imperfetto”, pubblicato con e/o nel 2012, tradotto negli Stati Uniti e in Inghilterra, nel 2014 uscirà in Germania. - Leggendo il romanzo, ho avvertito una vena di malinconia profonda. Appartiene a te, oppure alla scrittrice che abita dentro di te? - La malinconia che hai percepito appartiene al mio essere ed alle mie storie, in fondo non faccio altro che rispettare la volontà di Blanca, il suo desiderio parlare con la sorella ricordandola, raccontandole, superando il limite della morte e standole vicino… sempre e comunque.


- Una domanda “tecnica”, se me la permetti: tu, Patrizia Rinaldi, ti consideri una giallista, oppure, come mi piace definirti, una “cantastorie di sentimenti”? - Ti ringrazio, mi piace tantissimo questa definizione. Non so se sono una giallista, scrivere gialli è difficile, credo che per farlo sia necessario un lungo periodo di apprendimento, e che nel contempo si possa conservare la libertà di accedere ad altri tipi di narrazione. - Non ti chiederò, perché sarebbe scontato, se per scrivere ti sei ispirata a qualche autore, magari del passato. Vorrei invece domandarti quali, nel novero dei giallisti “nuovi” e meno conosciuti, ti ha sorpreso ed emozionato in qualche misura. - Cito un po’ di donne… per me conosciute o meno non fa differenza: la Oggero, la Verasani, la Pineiro, e parecchie altre. - Tutte donne? - Se facessi dei nomi maschili dovrei citarti… e non voglio farlo! - Sono io che non te lo permetterei, sai che sono qui in veste di giornalista. (Ridiamo entrambi). Parliamo invece di cose serie: tu sai che per tanti anni ho fatto il dirigente d’azienda nel mondo del vino di qualità. Bene, ricordo che nel corso delle degustazioni “tecniche” (vini nostri e concorrenza) le bottiglie erano mascherate e non si conosceva il nome del produttore. Ritieni che un simile meccanismo potrebbe essere applicato anche ai premi/concorsi letterari? - Mi sembra un’ottima idea. - Sono un utopista?


- Sì. - Ne sono convinto. Faccio un salto all’indietro: Non credi che un personaggio seriale sia un rischio per l’autore? - Forse sì, ma il rischio si può scongiurare proponendo narrazioni differenti. Certo, bisogna avere l’appoggio delle case editrici, ed in questo sono fortunata. E/O nel 2015 pubblicherà un mio romanzo non di genere. - Lo stai scrivendo adesso? Terminata la prima stesura, a breve l’editing. - Te lo devo domandare: Concorsi & Premi letterari. Che valore possiamo attribuirgli? - E’ un problema. Il mio sguardo è critico, spesso condivido, a volte no. Cerco sempre di restare fuori da querelles sui premi, sul marketing ad essi collegato, sul potere o sull’assenza di potere di singole parti del mercato editoriale. Mi auguro di riuscire a mantenere uno sguardo incantato su tutto ciò per mantenere e difendere una passione autentica. - Ricevuto. Ultima domanda: al giorno d’oggi, sosterresti tuo figlio se volesse diventare giornalista o scrittore? Beh, io, come moltissimi altri, non sono stata sostenuta da nessuno. Ho dovuto lottare ed affermare il mio “nonostante tutto ci proverò”, e pertanto auguro ai mie figli di saper lottare anche contro le mie preoccupazioni. - Patrizia Rinaldi, è stato bello intervistarti. - Anche per me risponderti. Se ne va. Mi dispiace. Patrizia Rinaldi e Vincenzo Maria Brizio



LA DONNA CHE VISSE DUE VOLTE Prosegue il nostro viaggio alla scoperta delle opere letterarie che hanno ispirato i capolavori di Sir Alfred Hitchcock. E non ci occupiamo di una pellicola qualunque bensì di quello che è stato definito "il miglior film di tutti i tempi": “La donna che visse due volte” (Vertigo, 1958) guida infatti, dall'agosto dello scorso anno, la prestigiosa classifica stilata ogni due lustri dalla rivista cinematografica Sight & Sound. Che si tratti o meno miglior film di tutti i tempi – classifiche di questo genere, per quanto affascinanti (e, nel caso di Sight & Sound, indiscutibilmente autorevoli), lasciano il proverbiale tempo che trovano – , siamo di fronte a una delle massime vette del cinema hitchcockiano: un'opera che conserva intatto il proprio fascino da oltre mezzo secolo e che è quasi ingeneroso paragonare al romanzo da cui trae – molto liberamente – origine. La leggenda vuole che Pierre Boileau e Thomas Narcejac, apprezzata coppia di giallisti francesi già autori del fortunato Les Diaboliques (Celle qui n'était plus), abbiano scritto il noir sentimentale D'entre les morts (Sueurs froids) a metà degli anni Cinquanta confidando in una trasposizione sul grande schermo per mano di Sir Alfred. Quel che è certo, il romanzo affronta tutti i nodi tematici cari al Maestro del Brivido: la vertigine fisica ed emotiva, i sentieri - anch'essi vertiginosi - dell'inconscio, il peccato, il senso di colpa. Ma soprattutto il tema del doppio, che qui beffardamente, genialmente si esaspera in un continuo gioco di specchi e diviene caleidoscopico: Renée che interpreta Madeleine che a sua volta "interpreta" Pauline Lagerlac...


Hitchcock si lascia sedurre dall'ingegnosità dell'intreccio criminale e dalle atmosfere simenoniane (il romanzo è ambientato in una Parigi livida e misteriosa, agli albori del secondo conflitto mondiale) e rielabora il tutto da par suo, apportando modifiche sostanziali e in alcuni casi, occorre dirlo, provvidenziali: dalla Ville Lumière la vicenda si sposta sulle strade di una San Francisco fascinosamente anni Cinquanta (memorabile il salto di Kim Novak nelle acque gelide della baia, all'ombra del Golden Gate Bridge) e le elucubrazioni del tormentato protagonista, che costituiscono la cifra distintiva del testo originale, si sublimano in un mix perfetto di azione e tensione narrativa. Un buon romanzo e un ottimo film, si potrebbe sintetizzare. Merito di una sceneggiatura che rimaneggia con piglio deciso i passaggi più "deboli" della costruzione romanzesca e disegna un finale semplicemente perfetto, che annichilisce - nonostante lo si conosca ormai a memoria, o forse proprio per questo - con la sua bellezza. Un epilogo assai diverso da quello, pur apprezzabile e a suo modo coerente con lo spirito del romanzo, immaginato dalla premiata ditta Boileau-Narcejac. Se siete così fortunati da non aver ancora posato gli occhi su questa storia, ecco la nostra modesta proposta: procuratevi immediatamente una copia del film (Jimmy Stewart in stato di grazia val bene


un'eccezione alla regola aurea del "prima il libro") e quando sarete sazi - lo sarete, potete giurarci! - godetevi il fascino tutto particolare di un noir d'autore inspiegabilmente ignorato e sottovalutato. A lungo introvabile, in Italia è stato ripubblicato da Sellerio nel 2003 con il titolo "La donna che visse due volte" e un'interessante nota di commento a cura di Claudio G. Fava. Simona Tassara --- articolo originariamente pubblicato sul blog di Uno Studio In Giallo: http://unostudioingiallo.blogspot.it


ARTICOLO: ALL’OMBRA DEI GIGANTI Puntata numero 4 Cari amici, ben ritrovati. Questa volta per soddisfare la nostra insaziabile fame di gemme letterarie d'autore ci azzarderemo a compiere un agile furto con scasso nella dimora di un grande del noir: il recentemente scomparso Elmore Leonard. Per farlo abbiamo scelto un sua breve ma assai intrigante composizione, un racconto che dà anche il titolo a una raccolta uscita in America nel 2002. When the Women Came Out to Dance (tradotto in Italia da Einaudi nel 2006 come "Quando le donne aprono le danze" e inserito da Newton Compton nella raccolta Millenium Thriller del 2011 come "Quando le donne ballano"). La trama è assai semplice. Ginger Mahmood, moglie di un chirurgo plastico pakistano a Palm Beach in Florida, vive un'esistenza assai noiosa. È una ex-spogliarellista. Il Dottor Mahmood la conobbe e ne rimase folgorato durante uno dei suoi spettacoli. "Dopo la quarta volta che mi veniva a trovare", spiega Ginger, "gli diedi quello che si dice un lavoretto di mano da un milione di dollari e diventai la signora Mahmood". La passione del chirurgo per Ginger, però, non gli impedisce di tradirla con altre donne. Fino a quando lei decide di averne abbastanza e di porre fine al matrimonio. Il problema è che Mahmood è piuttosto pericoloso, troppo. "Sai cosa fa un ragazzo quando si stanca di sua moglie in Pakistan? La uccide dandole fuoco". Ginger è forte, ma ha bisogno di aiuto per riconquistare la propria


libertà. Assume Lourdes, una donna colombiana come assistente personale. Ginger conta sul fatto che Lourdes conosca proprio il tipo di personaggi sgradevoli che potrebbero causare una fine tragica alla vita di suo marito. Ma il suo comportamento passivo-aggressivo e la fiducia cieca in Lourdes (che fino alla fine non rivelerà la propria reale natura), ingabbierà Ginger in un legame che si rivelerà ancora più sinistro della minaccia che il dottor Mahmood rappresenta. Bene, ora veniamo alle gemme. Cosa di utile possiamo portarci a casa da questa lettura? Prima di tutto lo stile della scrittura di Leonard, che è anche il suo marchio di fabbrica. Ritmo veloce, dialoghi laconici e folgoranti, un testo ridotto all'osso, senza inutili riempitivi, senza perdersi in estenuanti descrizioni dei personaggi. Solo la giusta quantità di dettagli utili per renderli vivi e veri. «Ma dovrò fare anche delle cose per il dottor Mahmood?». La donna rossa, fumando la sigaretta, disse: «Cosa ti ha detto Viviana di lui?». «Mi ha detto solo che non parlava molto». «Viviana è una taglia quarantadue. A Woz piacciono giovani e snelle come serpenti. Quanto pesi?». La moglie parla del marito, conosce i suoi tradimenti, le sue debolezze, e gli costruisce una trappola mortale. Nel testo, poco meno di dodici pagine, oltre ai dialoghi, vi è poco altro, le azioni soprattutto, i movimenti della danza preparatoria che le due donne devono compiere prima di giocare a carte scoperte. E poi il registro. «Laggiù è normale, da dove vengono loro. Un uomo si stanca della moglie in Pakistan? La brucia viva. O qualcuno lo fa al suo posto. Non sto scherzando, dice a tutti che la sua dupatta si è bruciata con i fornelli». Lourdes disse: «Ah! È per questo che non cucina?». «Sì, anche per questo. Woz viene da Rawalpindi, una città dove


quaranta donne al mese finiscono all'ospedale con terribili ustioni. (…) Se non muore, vive nella vergogna a causa del marito, quello stronzo che ha cercato di ucciderla e che poi la caccia dalla sua cazzo di casa». È evidente che il tema è quello del conflitto tra uomo e donna, dell'imprevedibilità delle decisioni, dove però sono le donne a prendere l'iniziativa, ad affrontare la sfida (il duello) e ad averla drammaticamente vinta su mariti violenti e inadeguati. Il clima è a tratti esilarante, allucinato. Tutto si gioca sul paradosso, il non detto. Le due protagoniste sanno fin dall'inizio come andrà a finire, per quale motivo si sono incontrate, ma giocano a impersonare un ruolo differente, si studiano, provocano, quasi flirtano. La signora fa finta che siano amiche, cerca benché goffamente di trattare la sua assistente da pari. Quest'ultima aspetta che sia la padrona a gettare la maschera, a dire chiaramente cosa vuole che lei faccia per liberarla dal marito. Fin qui tutto è finzione, teatro. O almeno lo è fino a quando decidono di condurre il gioco a carte scoperte. A questo punto, anche il tono e il registro della narrazione cambiano, e la natura delle due donne emerge chiaramente in superficie. «Ci siamo sposati... dopo due anni avevo il visto ed ero stanca di essere massacrata di botte». La rossa fece: «Hai dovuto ingoiare parecchi rospi del cazzo, vero?» e questa volta fece una pausa prima di aggiungere: «Quanto costa un carico di cemento al giorno d'oggi?». Da qui in poi tra le due donne frasi sempre più brevi, domande e risposte secche e rapide come colpi di un revolver. Come si usa nelle contrattazioni commerciali. Non c'è bisogno di perdere tempo: io so fare qualcosa che ti interessa, dimmi quanto sei disposto a pagare, e io deciderò se sono disposto a farlo. Punto e basta, non serve parlare di altro.


«Capisci il motivo, no? Ho il terrore di rimanere intrappolata nel fuoco. Lui si accende un sigaro e io lo guardo terrorizzata». Cercava scuse, delle giustificazioni. «Non dobbiamo parlare di lui», disse Lourdes. «Lei paga tutti in anticipo e non ne riparleremo più. Non paga? Non ne parliamo comunque». Concludiamo sottolineando la trovata semplice ma molto efficace, da vero maestro: l'uso della frase del titolo come filo conduttore del racconto. È ispirata a un passaggio biblico. Il versetto ventuno del Libro dei Giudici. Narra di uomini che aspettano nascosti che le figlie di Silo escano durante una festa per ballare in coro, così da poterle rapire e costringerle a sposarli. La protagonista del racconto di Elmore Leonard è una ballerina, o almeno lo era. È stato così che si è conquistata il proprio uomo, una nuova vita. Solo che ha fatto male i conti col destino. Perché sarà a costretta a ballare di nuovo.

Samuel Giorgi


ARTICOLO: Costruire un Detective – Prima Parte Un thriller, per sua definizione, deve accendere passioni forti. La suspense si alza, la tensione cresce nello snodarsi dei problemi che si parano sulla strada del protagonista e dei misteri da risolvere. Che si tratti di gialli investigativi, noir o romanzi spionistici, quello che più di tutto fa palpitare il cuore del lettore, però, è il protagonista: un personaggio vivo, farà vivere la storia; uno traballante farà cadere perfino la più valida delle impalcature di indizi. Come si costruisce, allora, un buon protagonista per un thriller? Tenteremo un esperimento con i lettori di Fralerighe Crime: articolo dopo articolo, costruiremo un personaggio partendo dallo studio delle caratteristiche del genere. Vedremo se uscirà qualcosa che possa catturare le intenzioni del pubblico. E quali saranno i feedback che i personaggi riceveranno.


“Supereoi con Superproblemi” Al protagonista di una thriller story si deve il punto di vista dell'intera narrazione. Spesso il lettore si trova a condividerlo con la prima persona, ma è comunque attraverso i suoi occhi che scopriamo gli intrighi e che arriviamo alla soluzione. Deve affascinare e legare a sé. Può trattarsi di una persona comune, in cui il pubblico dei lettori possa facilmente identificarsi: non vuol dire che debba essere un individuo mediocre, ma qualcuno che – pur con elementi esotici – sia possibile incontrare per la strada o nel quale imbattersi sul lavoro. Questo aiuta il lettore a vestirne meglio i panni, a calarsi nella sua realtà. Può, al contrario, trattarsi di un uomo o una donna d'azione: agenti, poliziotti, detective. Qualunque di queste tipologie si scelga, l'eroe deve avere un punto debole che lo porti a scoprire il fianco alla vita e agli eventi. Quando il celebre Stan Lee creò il modello dei supereroi della Marvel, si diede come traccia la frase: “supereroi con superproblemi”. Non si tratta di dare forma a un supereroe, né a problemi insormontabili, tuttavia è certo che manifestando le proprie paure, inciampando e cadendo, il personaggio finirà per poter fare affidamento su una mano che presto gli verrà tesa. Quella del lettore. Cominciamo con il costruire lo scheletro del personaggio. Penso a un uomo ancora giovane, ma che abbia già potuto vivere le sue esperienze. Dai 40 ai 45 anni. Lo immagino sveglio e intelligente, piuttosto che forte e atletico. Farà quindi una professione in cui sarà impegnato intellettualmente, in una posizione che gli permetta di collegare i fatti di cui sarà testimone. Non so ancora quale, ma mi piace l'idea che abbia un aspetto inquietante (sia per fisicità che per abbigliamento o modi di fare) che metta in soggezione il lettore così come le persone con cui dovrà interagire, suo malgrado. Questo gli causerà dei problemi di relazione più o meno forti, fin dall'infanzia, che si porterà dietro per tutta la vita. Vorrei che reagisse con aggressività, dal momento che per molto tempo ha dovuto confrontarsi e subire questa sua caratteristica; vorrei che col tempo avesse cominciato a saperla gestire grazie all'ironia,


mettendo in mostra così l'intelligenza di cui ho voluto dotarlo, attraverso la prontezza di spirito e l'eloquenza.

La Giustizia Se è necessario un personaggio dai nervi scoperti, non deve comunque trattarsi di un carattere troppo debole, che si lasci sopraffare dagli eventi, dal momento che deve guidare la narrazione. Senza contare il fatto che il nodo focale del protagonista di una storia come questa, è la necessità di fare giustizia. Che sia cinico o un romantico idealista, che sia una persona pronta a tutto o un individuo che si affaccia a questo tipo di vita per la prima volta, il protagonista rappresenta la giustizia che deve trionfare sull'immoralità. Anche nei casi dei più ombrosi è così, o dei protagonisti dei noir: non è necessario che il concetto di giustizia sia quello comune, ma che il personaggio ne possieda uno proprio cui affidare la propria rivalsa.


Valuto la professione di un avvocato che si occupi di civile come di penale. Questo prevede una documentazione precisa, ma permetterà al personaggio di usare le legge per poter tentare di portare ordine dove percepisce disordine, di muoversi con agio nel mondo più quotidiano così come tra i “ferri del mestiere”. Un passato torbido Uno dei lati in ombra del protagonista deve sempre portare con sé qualcosa di irrisolto, un problema che affondi le radici nel passato (un trauma infantile, la morte di qualcuno di caro, un grave errore commesso). Le battaglie con questo mostro devono andare di pari passo con le indagini portate avanti nel presente. Il gioco è far trionfare nel “qui e ora” il nostro eroe sopra l'orrore del passato. Al nostro avvocato inquietante, darei un background ombroso per quanto riguarda la famiglia d'origine: un segreto che si porta dentro da sempre, come la propria fisicità. Forse le due cose sono collegate. Certo è il peso di questo segreto che lo ha portato a immergersi negli studi di legge e a imbattersi negli intrighi che dovrà chiarire per risolvere se stesso. Emerge una prima regola: non è il personaggio che lavora a un caso, ma il caso stesso che lavora a lui. La storia narrata deve essere al servizio del protagonista. Nei prossimi articoli procederemo oltre questa impalcatura e vedremo quanto saprà crescere il personaggio creando la propria storia. Fino alla prossima uscita, passo la palla ai lettori di Fralerighe: riuscite a costruire uno scheletro di personaggio su queste prime direttive? Vi sembra che funzioni e che si possa imbastire qualcosa di più? O riconoscete queste caratteristiche nelle storie che amate? Il dibattito è aperto alla mail scyilla@ymail.com.

Scilla Bonfiglioli


DIETRO GLI PSEUDONIMI Qualche giorno fa mi aggiravo tra gli scaffali dedicati al thriller in cerca di un nuovo libro da recensire. Scartando titoli di autori ben noti, ho pensato di soffermarmi su nomi meno conosciuti. Il mio sguardo è caduto su un libro nella sezione novità, meno di 300 pagine, dal nome interessante. Il libro si chiama Tabù, di Casey Hill; la quarta di copertina mi ha subito convinta. Quello stesso giorno sono tornata a casa con un altro libro, anche quello dalla quarta interessante, che si è invece rivelato essere molto diverso da ciò che era stato promesso (e leggendo soltanto allora la biografia dell'autrice, premiata per libri paranormal romance, mi sono resa conto di aver commesso un grandissimo errore a non farlo prima di averlo comprato). È stato proprio questo incidente a spingermi a leggere non soltanto le sinossi ma anche le biografie degli autori. Casey Hill mi ha lasciato quasi di stucco. Immediatamente dopo il mio acquisto non avrei saputo dire se Casey fosse un nome da donna o da uomo, soprattutto considerata la diffusione del nome sia tra i maschi che tra le femmine in Irlanda ed Inghilterra. Ero pronta a leggere un libro senza nemmeno conoscere il genere dell'autore. La piacevole sorpresa è stata scoprire che Casey Hill è lo pseudonimo adottato da una coppia di scrittori irlandesi, i coniugi Melissa e Kevin Hill.


Ho fatto alcune ricerche sul passato letterario dei due, si è trattata di mera curiosità. Ho trovato molte informazioni su Melissa Hill in quanto famosa scrittrice di romanzi femminili, tutti nella top 10 irlandese ed inglese, ma ben poco sul marito e co-autore. Moltissimi autori utilizzano uno pseudonimo per le ragioni più disparate, non è una novità. Basti pensare a George Orwell (pseudonimo di Eric Arthur Blair), Richard Bachman (Stephen King), P.D. James e, recente scoperta, Robert Galbraith (nome utilizzato dalla celeberrima J.K. Rowling per la pubblicazione de “il richiamo del cuculo”, ben lontano dalla saga di Harry Potter che tutti noi ben conosciamo). Ma perché utilizzare uno pseudonimo? Vorrei considerare un attimo il caso di Robert Galbraith. La Rowling ha dichiarato di aver creato un alter ego per separare quanto più possibile la propria persona dallo scrittore. A sorprendermi è stata la reazione dell'editore David Shelley, che ha detto del libro “non avrei mai immaginato che fosse stata una donna a scriverlo”. Quest'ultima sentenza inevitabilmente richiama alla mia mente personaggi come le sorelle Brontë e moltissime altre donne dell'epoca Vittoriana e successiva, costrette ad utilizzare nomi maschili per veder pubblicate le proprie opere. Ci sono state ovviamente donne come George Eliot (Mary Anne Evans) che scelsero di utilizzare uno pseudonimo più per un vezzo che per una reale necessità.


Erich Kästner, vissuto in epoca nazista, fu costretto ad utilizzare degli pseudonimi (Berthold Bürger, Melchior Kurtz and Robert Neuner) in quanto considerato dalle idee bolsceviche. Il suo è un caso estremo di come non utilizzare il proprio nome possa salvare la vita. Negli anni '60 il premio Edgar-Wallace fu assegnato all'anonimo autore di Tod in St. Pauli, che poi si coprì essere l'autrice tedesca Irene Rodrian. La cosa, ovviamente, suscitò non poco scalpore. C'è anche una triste verità dietro l'utilizzo nell'epoca moderna di uno pseudonimo ed è la quasi totale impossibilità per un autore di passare da un genere ad un altro senza rischiare d'essere preso poco sul serio. Se un autore di libri per ragazzi decide di cimentarsi nella stesura di un libro che si discosta completamente dal suddetto genere (caso Rowling a parte), siamo davvero sicuri che riuscirà a trovare l'appoggio del proprio editore? Ci sono molti detti a riguardo, come squadra che vince non si cambia, e magari è proprio questo il problema. Quando si tratta di guadagno le scommesse sono sconsigliabili, non ha alcuna importanza se questo servirà unicamente a tarpare le ali di un autore e costringerlo a dedicarsi per il resto della propria vita a concentrarsi su un unico genere. A meno che... Christine Amberpit


ARTICOLO: TROPPI CAFFÈ PER SARTI ANTONIO – 3

Quali sono le caratteristiche tipo di un personaggio seriale? E’ difficile stilare una lista che vada bene per tutti quanti. Possiamo dire che, in linea di massima, si tratta di personaggi positivi (c’è un’eccezione: Giorgio Pellegrini di Massimo Carlotto), che hanno questioni in sospeso (un amore, un problema lavorativo, una malattia) che si protrae e si sviluppa lungo l’intera seria di romanzi, in modo da creare un sentimento di attesa nei lettori. E’ impossibile, per non dire controproducente, che le “informazioni” su un personaggio vengano esaurite nel primo romanzo, altrimenti il lettore sa tutto quello che dovrebbe sapere e non ha più stimoli per continuare. L’autore deve creare nell’animo del lettore una sorta di “sono curioso di vedere come va a finire”, che lo porterà ad appassionarsi alle vicende del protagonista, al di fuori del contesto, come già spiegato in precedenza, della vicenda poliziesca trattata nel romanzo.


Per Sarti Antonio la serialità è nata dalla mia simpatia per il personaggio e non era stata programmata nel momento di preparazione del romanzo, per il già citato Poli Ugo, la serialità era stata programmata, tant’è che ho pubblicato almeno tre romanzi con lo stesso Archivista. L’ironia del destino (che è sempre pronto a beffarsi di noi) ha voluto che per Poli Ugo non ci fosse futuro. Mi dispiace perché era un personaggio nel quale credevo. Ripensandoci oggi, ritengo di non averlo proposto ai lettori nel momento favorevole a quel tipo di personaggio. “Troppo fascista” mi disse l’editor della Garzanti quando mi consigliò di lasciarlo al suo destino. Ancora oggi sono convinto che non fosse così. Era semplicemente un uomo frustrato, arrabbiato con il mondo che gli stava attorno e che gliene aveva fatte d’ogni sorta. Arrabbiato come dovremmo essere arrabbiati tutti noi. Oggi Poli Ugo, sono certo, sarebbe ben accolto dai lettori. Ma lasciamolo nel limbo che si è scelto. Esiste però anche l’altra faccia della luna (per citare gli amati Pink Floyd). I personaggi seriali stancano. Ci sono romanzi che sembrano copie di quelli precedenti, nei quali l’autore fatica a trovare nuove idee e da l’impressione di sentirsi intrappolato nella stessa maschera che ha creato. Inoltre una questione importante (lo è perché in Italia la denigrazione è una sorta di sport nazionale): un personaggio seriale, quando incontra il favore di pubblico e s’illumina delle “luci della ribalta” letteraria, diviene inviso alla critica. Sia quella giornalistica, i blog o anche gli stessi lettori. Riprendendo l’esempio di Macchiavelli,


Sarti Antonio era diventato patetico (sempre secondo la critica). Troppi caffè, la colite perenne, Raimondi Cesare che si vantava di successi immeritati, Rosas che sapeva sempre cavare dai guai il nostro questurino. Aggiungiamoci la relazione con una prostituta come la Biondina e il gioco è fatto: Sarti Antonio è noioso, ripetitivo, stanco. Pensate che un critico, recensendo il romanzo nel quale Sarti Antonio muore, ha scritto: “Il sergente colitico Antonio Sarti finalmente sparisce, muore ammazzato all’ultima pagina, e con lui speriamo spariscano anche gli altri piccoli attori che lo circondano (…) nel teatrino delle solite commedie provinciali”. Loriano Macchiavelli e Omar Gatti. Articolo già pubblicato su Noir Italiano. http://noiritaliano.wordpress.com


ARTICOLO: TROPPI CAFFÈ PER SARTI ANTONIO – 4

La cosa ridicola in tutta questa storia (ovvero la perfida critica rivolta alla morte di Sarti Antonio, vedi articolo precedente, ndr) è che la critica pungente, astiosa e cattiva riportata sopra, è venuta da un personaggio (storico e critico d’arte figurativa, oltre che grande esperto di letteratura e consulente editoriale; a lui si deve l’arrivo in Italia di alcuni famosi personaggi polizieschi stranieri) al quale volevo molto bene e che è stato il padrino (non nel significato di mafioso) di Sarti Antonio, sergente, per averlo sostenuto quando ancora era nel manoscritto. Ancora oggi non ho capito cosa lo abbia spinto a quelle cattiverie. O meglio, un’ipotesi l’avrei, ma la tengo per me. Fra l’altro, la speranza che Sarti Antonio e gli altri piccoli attori nel teatrino delle solite commedie provinciali sparissero, non si è avverata.


La verità sul tentativo di uccidere Sarti Antonio, sergente? Il desiderio di dimostrare che ero capace di sopravvivere (letterariamente) anche senza di lui; la voglia di scrivere altro; la rabbia nel sentire l’editor chiedermi continuamente “mettici Sarti Antonio”, come se non sapessi scrivere altro. Chi ha ragione dunque? Gli autori, che creano personaggi seriali che ripresentano in più romanzi, creando dunque una comunità di lettori attorno al progetto? I lettori, che si affezionano ai personaggi come se fossero reali e desiderano leggerne le vicissitudini? La critica letteraria, che giudica questa tipologia di romanzi come un prodotto di seconda fascia, creato ad arte per vendere? Non esiste una risposta univoca. Esistono solo le sensazioni che un romanzo può dare al lettore. Indipendentemente dal fatto che veda come protagonista un personaggio che nascerà e morirà in quel romanzo o che sarà protagonista di centinaia di storia. Sta di fatto che se io mi sono appassionato al noir italiano e ho deciso di aprire questo blog lo devo a Scerbanenco per avermi fatto scoprire la profondità del poliziesco ambientato in Italia e ai romanzi di Macchiavelli, alla loro freschezza e ai tanti caffè bevuti dal questurino. Guarda caso due personaggi seriali. Loriano Macchiavelli e Omar Gatti. Articolo già pubblicato su Noir Italiano. http://noiritaliano.wordpress.com



INTERVISTA A MASSIMO CARLOTTO AT: Bentornato su Fralerighe. MC: Grazie! È sempre un piacere. AT: Iniziamo con le domande. 1) Com’è nata l’idea per L’oscura immensità della morte? MC: Il dibattito su pena, vendetta e perdono era così scadente (non che oggi sia migliorato) che ho avvertito il bisogno di intervenire nell'unico modo che mi è consono e cioè con un romanzo. Ho indagato in realtà specifiche e raccolto materiale che mi per-mettesse di costruire una trama in grado di affrontare la complessità del tema. AT: 2) Ho letto in giro che ha intervistato diverse persone coinvolte in casi simili a quello narrato in questo romanzo. Com’è stata quest’esperienza? MC: Molto intensa dal punto di vista umano. Ho cercato e stabilito contatti con famiglie dove il crimine aveva portato il lutto, punito poi dallo Stato con una condanna. L'ulteriore elemento in comune era il rifiuto del perdono del colpevole attraverso un atto formale. Ho dibattuto con queste persone sul senso della vendetta e del perdono e una volta di più mi sono convinto che i sentimenti sono troppo esasperati per una riflessione pacata e che solo lo Stato può assumersi la responsabilità di tale decisione.


AT: 3) Dal suo libro emerge un quadro della giustizia italiana tutt’altro che lusinghiero. Secondo lei, quali misure andrebbero realizzate con più urgenza per migliorare l’amministrazione di questo settore? MC: In questo momento storico la politica è troppo compromessa con diverse forme di criminalità per cercare di attuare una seria riforma della giustizia. Infatti non è nemmeno in grado di attuare quella elettorale. Credo sia necessario attendere una nuova fase frutto di un ricambio del ceto politico ma purtroppo non avverrà in tempi brevi. AT: 4) Ergastolo. Fine pena: mai. Da una parte è lecito affermare che si tratti solo di una condanna a morte più ipocrita, e che quindi sarebbe bene abolire tale pena. Dall’altra, però, viene da chiedersi: e se abolissimo l’ergastolo, che fine farebbero i boss della criminalità organizzata, tanto per dirne una? Potremmo ritrovarci Totò Riina a piede libero… Lei cosa ci dice al riguardo? E’ a favore dell’abolizione dell’ergastolo? E per quanto riguarda l’eventuale libertà di boss del crimine del calibro di Riina, Provenzano, Cutolo e compagnia?


MC: Da anni mi batto per l'abolizione dell'ergastolo. In altri paesi europei è stato abolito, in alcuni è ancora presente ma con limiti temporali ben precisi. Il tempo della pena deve avere una relazione con il tempo storico in cui viene scontata. Non si possono continuare ad applicare concetti ottocenteschi o del primo '900 in una società dove la velocità della società è profondamente mutata. Il concetto di "mai" non ha poi un senso riabilitativo secondo i principi costituzionali. A tutti, mafiosi compresi, va offerta una seconda possibilità. Il che non significa una scarcerazione automatica ma un percorso di verifica di un possibile reinserimento. Ovviamente per chiunque appartenga alla criminalità organizzata la discriminante immediata è la dissociazione. Il problema vero non riguarda tanto i mafiosi ma i serial killer considerati dalla psichiatria eternamente pericolosi. Ma non tutti sono mafiosi e tantomeno assassini seriali. AT: 5) Il carcere narrato in questo romanzo è un sistema tutt’altro che capace di riabilitare i detenuti, come l’equivalente americano raccontato da Bunker. Cosa pensa dell’autore statunitense? E cosa proporrebbe per migliorare il carcere nostrano? MC: Bunker è stato un grande scrittore. La tradizione della letteratura penitenziaria statunitense è importante ma probabilmente lui è stato l'autore che ha trovato una chiave efficace per far comprendere culture e meccanismi anche al pubblico europeo. Il sistema penitenziario italiano invece è abbandonato da anni. La politica teme di perdere voti e quindi segue e fomenta la "pancia" dell'opinione pubblica piuttosto che risolvere problemi gravi e complessi. Un paese in grado di scommettere sul proprio futuro investe energie per


recuperare i criminali e reinserirli nella società per il semplice motivo che è conveniente da tutti i punti di vista. Noi siamo afflitti da altri problemi che rendono concezioni innovative pura utopia. AT: 6) La grazia è uno dei temi centrali del romanzo. Che ci dice a tal proposito? MC: La grazia è un istituto dalle molteplici utilità. In Italia è sempre meno usato, un segno dei tempi. AT: 7) E del perdono, cosa ci dice? Bunker nei suoi romanzi afferma che l’America, pur essendo cristiana per la maggiore, sia incapace di perdonare, di porgere l’altra guancia. L’Italia, il paese del Vaticano, è capace di perdonare? MC: Difficile perdonare. Per la stragrande maggioranza delle persone colpite da lutti così gravi è impossibile. Ho conosciuto una signora che dopo aver letto il romanzo ha voluto conoscere l'assassino del padre. Ne è nato un confronto umano molto complicato ma oggi quella donna segue in prima persona il reinserimento di quell'uomo che le ha strappato un affetto con la violenza. Vuole che diventi una persona realmente migliore. Ma si tratta di un caso molto, molto isolato. AT: 8) Carnefici che diventano vittime, e viceversa. La violenza è una spirale che non conosce limiti. Razionalmente, sappiamo bene che non è con la violenza che risolveremo qualcosa, eppure, in casi come quello raccontato nel romanzo, quando non la mettiamo in pratica sogniamo di farlo. Perché?


MC: Perché la vendetta è un sentimento reale. Possiamo occultarlo sotto l'ipocrisia della ragione o della religione ma riaffiora sempre. Basta guardare le immagini televisive dopo le esecuzioni negli Stati Uniti. Le persone che hanno appena osservato un uomo morire sono felici di aver pareggiato il conto. AT: 9) La nostra società appare incapace di lenire l’enorme dolore che grava sui parenti delle vittime. Perché non ci riesce? MC: Perché il comune senso di pietà è individuale e non collettivo. Per le vittime del terrorismo è stato diverso perché settori illuminati della società hanno agito nel loro insieme ponendosi il problema di un'utilità collettiva per queste persone. Ma per le vittime del crimine comune non c'è mai stata attenzione se non mediatica. AT: 10) Dal suo romanzo è stato tratto uno spettacolo teatrale, dal titolo “Oscura immensità”, diretto da Alessandro Gassman. Cosa ci dice al riguardo? Com’è andata?


MC: Benissimo, un grande successo. Uno degli spettacoli più apprezzati della stagione. Anche la prossima è al completo. AT: 11) Io credo che il suo romanzo non abbia l’ambizione di fornire risposte, ma al contrario stimoli per domande. Concorda? MC: Credo che il ruolo della letteratura sia proprio questo: suggerire domande importanti. AT: 12) Lei che risposte ha trovato per quegli interrogativi? MC: Che perdono e grazia possono essere decisi solo da una parte terza e cioè lo Stato, dopo un'attenta verifica del percorso penitenziario del condannato. AT: L’intervista è finita. La ringrazio. MC: Alla prossima! Massimo Carlotto e Aniello Troiano



INTERVISTA A MAURIZIO DE GIOVANNI

AT: Bentornato su Fralerighe. Dopo due interviste multiple, ecco finalmente una singola. MdG: Un piacere ritrovarvi, e onorato dalla… solitudine! AT: L’intervista riguarda i due romanzi aventi come protagonista l’ispettore Lojacono. Pronto? MdG: Sempre. AT: 1) Come mai ha scelto di dar vita a un investigatore siciliano per raccontare la Napoli contemporanea? MdG: Sono convinto che una realtà complessa come la mia città non possa essere compresa da un napoletano, troppo dentro le dinamiche per poterle osservare con obiettività di giudizio, né da un


settentrionale, troppo lontano dal modo di affrontare la vita; un meridionale non napoletano (come Ricciardi, che è cilentano, o lo stesso Lojacono) ha secondo me la prospettiva giusta per poter vivere la città come voglio che la viva. AT: 2) A volte si ha l’impressione di qualche richiamo al Montalbano di Camilleri. Semplice suggestione o c’è una precisa volontà di omaggiare il commissario fittizio più famoso d’Italia? MdG: No. Credo di avere una visione del romanzo nero radicalmente diversa da quella del Maestro, che ha cambiato la storia del genere e che adoro, ma non credo di avere in comune altro che la serialità delle storie e la radicata meridionalità delle stesse. AT: 3) In questi due romanzi racconta la Napoli dei giorni nostri. A livello narrativo, cosa cambia rispetto a scrivere della città degli anni ‘30? MdG: Le due città sono radicalmente diverse: negli anni ’30 Napoli era un coacervo di comunità di quartiere, in cui ci si conosceva tutti e si vivevano insieme lutti e nascite, come separazioni e unioni. La città attuale, pure infinitamente più avanzata soprattutto sotto il profilo sanitario, è un arcipelago di solitudini. Chiaramente questo cambia enormemente la posizione del narratore, che deve tenere conto della differenza di clima.


AT: 4) Qual è l’idea alla base de “Il metodo del Coccodrillo”? Che ci dice riguardo la scrittura di questo romanzo? MdG: Volevo avvicinarmi al contemporaneo, anche per testare la mia capacità di raccontare l’attualità. Mi è venuto in mente il terribile film di Monicelli, tratto da un bellissimo romanzo di Cerami, “Un borghese piccolo piccolo”, con l’immenso Alberto Sordi, e ho voluto tener presente quella determinazione e quella sete di vendetta in un “invisibile”, uno dei milioni di esseri anonimi che percorrono le nostre città. AT: 5) Il rapporto tra genitori e figli ha una grande importanza all’interno di questo romanzo. Cosa le ha lasciato, a livello emotivo, l’esplorazione del lato più oscuro di questo legame fortissimo? MdG: E’ una costante della mia narrativa. Se si scrive di sentimenti, allora i più importanti tra essi non possono mai mancare. Io soffro moltissimo ogni volta che mi trovo a raccontare di innocenti, deboli e indifesi che patiscono la violenza e la prevaricazione. AT: 6) La sua è una scrittura che concede un ampio spazio alle emozioni dei personaggi. Come lettore ho avuto modo di notare che, nell’ambito del romanzo criminale, generalmente si opta per un registro più freddo, spietato. Lei cosa ne pensa? Le piace quel tipo di narrazione ma non le viene naturale come scrittore, o invece non le piace e preferirebbe leggere romanzi scritti come i suoi? MdG: Credo che ognuno abbia le sue storie, e una voce personale per raccontare. Rispetto ogni scrittore, e le scelte narrative che ognuno compie in autonomia e in piena onestà intellettuale. Non amo molto, da lettore, un uso sensazionalistico ed estenuato della violenza. Credo che un delitto per romanzo sia più che sufficiente, e l’efferatezza conta per l’emozione che la muove più che come effetto speciale. AT: 7) Leggendo questo romanzo si ha la netta sensazione che


nessuno dei personaggi sia candido o completamente marcio. Il killer, poi, è mosso da motivazioni che risultano comprensibili ai limiti della condivisione, per quanto sia possibile condividere l’omicidio. Secondo lei perché in molti romanzi i cattivi sono sempre più spesso esseri disumani, calcolatori e “privi” di emozioni? Va di moda il killer di ghiaccio? MdG: Il manicheismo narrativo, tutto il bene e il male da una parte, è una trappola in cui i romanzieri cadono spesso, purtroppo. Personalmente credo che sia necessario avvicinarsi alla realtà, e nella realtà il bene e il male assoluti non esistono. D’altra parte io le mode non le ho mai seguite… AT: 8) Ci racconta un aneddoto particolare legato a questo romanzo? MdG: Ricordo con grande affetto i molti messaggi in cui i lettori mi ringraziano per il racconto e mi “rimproverano” per il finale. Credo che sia il miglior complimento per uno scrittore di romanzi neri. AT: 9) Passando a “I Bastardi di Pizzofalcone”: come sono nate le storie che lo compongono? E perché ha scelto di scrivere un romanzo corale?


MdG: Ho un’immensa ammirazione, ormai più che quarantennale, per i romanzi del grandissimo Ed McBain, inventore dell’87° distretto scomparso nel 2005. Ho sempre sognato di portare una squadra di protagonisti, tutti di pari dignità, in una città che come la mia prevede tante realtà coesistenti.

AT: 10) Ognuno dei Bastardi ha una sua storia personale, una sua credibilità. Ci descriverebbe ognuno di loro con due/tre aggettivi? MdG: Il commissario Palma è ottimista e sensibile; Ottavia è inquieta e combattuta; Alex Di Nardo è introspettiva e irrequieta; Lojacono è determinato e bravissimo; Romano è forte e fragilissimo; Pisanelli è ammalato e testardo; Aragona è scorretto e coerente. AT: 11) Ma quel pazzoide di Aragona da dove è venuto fuori? MdG: Aragona rappresenta una certa maniera superficiale e televisiva di intendere la realtà. Mi piace, perché sotto una scorza di becera ignoranza ha una sua sensibilità affettiva, che verrà fuori un po’ alla volta.


AT: 12) Ci sarà un seguito dei Bastardi? MdG: Ma certo. Lo sto già scrivendo, uscirà per Natale (spero!) e si chiamerà “Buio per i Bastardi di Pizzofalcone”. AT: 13) Nel giro di pochi anni ha vinto diversi premi ed è diventato uno dei giallisti italiani più apprezzati. Come ha vissuto e come vive tutt’ora questo cambiamento nella sua vita? MdG: Mi gratifica moltissimo soprattutto l’affetto che sento attorno a me ogni volta che incontro i lettori, ma mantengo la consapevolezza che, improvvisamente com’è cominciato, tutto può dissolversi in una bolla di sapone. AT: 14) C’è un aspetto della scrittura che proprio non le piace? E un aspetto legato alla fama? MdG: La scrittura mi diverte, ma contempla un’attività di ricerca che non sempre è piacevole, soprattutto per uno pignolo come il


sottoscritto. Per la fama, ci sono momenti in cui essere riconosciuto è piuttosto scomodo. Ma tutto è ampiamente sopportabile, direi. AT: 15) Progetti per il futuro? MdG: La serie dei Bastardi è stata acquistata per la TV e dovrò collaborare alla sceneggiatura di quattro puntate; in primavera uscirà il prossimo Ricciardi; nell’antologia di Sellerio per Natale c’è anche un mio racconto (prima volta che un autore di un altro editore esce in questo splendido contesto). Ti basta? AT: Grazie per la chiacchierata! MdG: Grazie a voi per l’attenzione, e un forte abbraccio a tutti.

Maurizio de Giovanni e Aniello Troiano.



RECENSIONE: MASSIMO CARLOTTO – L’OSCURA IMMENSITÀ DELLA MORTE

1989: Raffaello Beggiato e il suo complice rapinano un gioielliere. Ma la situazione si mette male; e Beggiato, strafatto di coca, uccide due ostaggi. Una donna e un bambino. La moglie e il figlio di Silvano Contin. 2004: Dopo aver scontato quindici anni di carcere, il rapinatore scopre di essere malato di cancro. Nella speranza di poter morire da uomo libero, Beggiato chiede la grazia. Ma ciò implica il consenso di Contin; che in tutti questi anni non è riuscito a rifarsi una vita, devastato dal dolore per la perdita dei suoi cari. E dal desiderio di giustizia, di vendetta. I personaggi di questo romanzo sono dei grumi di disperazione, uomini segnati dalla vita in modo indelebile. L’autore è riuscito a costruirli in maniera efficace, forte anche dell’esperienza vissuta in carcere. C’è un ché di Bunkeriano in questo libro. La stessa sfiducia soffocante in cui sguazzano i personaggi, la stessa rabbia, gli stessi rimorsi. Non c’è l’America reazionaria incapace di perdonare, ma al suo posto troviamo un’Italia popolata da persone profondamente disinteressate verso il destino delle vittime e dei detenuti, se si escludono le frasi di


circostanza e i propositi giustizialisti. Un’Italia, dunque, incapace di dare risposte certe alle vittime e ai carnefici. Lo stile è quello del miglior Carlotto: asciutto, duro, lucido. L’autore non cerca la frase da incorniciare né la metafora poetica. Si preoccupa “solo” di raccontare in modo realistico una storia cupa e disperata, capace di spingere il lettore a porsi domande importanti. Con “Arrivederci amore, ciao” l’autore ha dato vita a un personaggio perfido e provocatorio come pochi, e proprio per questo memorabile; con “Respiro Corto” ha spinto al limite il concetto di romanzo d’inchiesta, accantonando in parte le regole della narrazione e mettendo alla prova i lettori con un romanzo estremo. Con “L’oscura immensità della morte”, invece, Carlotto affronta temi tragici ed eterni come il destino, l’odio, la vendetta, la pietà, la giustizia, il perdono, la morte. Alla fine della lettura non restano risposte preconfezionate, ma solo domande. E una consapevolezza: non riusciremo mai a dare delle risposte definitive a questi interrogativi. Voto: 9

Aniello Troiano


RECENSIONE: BLANCA – PATRIZIA RINALDI Accingendomi a recensire BLANCA della napoletana Patrizia Rinaldi, ho provato a domandarmi a chi questo romanzo si rivolgesse, ed a chi avrebbe potuto piacere. Voglio subito dire che la dicitura “noir”, apposta in copertina dall’editore per evidenti e condivisibili motivazioni commerciali, si rivela piuttosto riduttiva, e (questo lo scoprirete leggendolo) mal si attaglia a questo bel libro, scritto in punta di penna e nel quale l’autrice trasferisce tutta la sua grande sensibilità. Se siete amanti dei ritmi serrati, dei continui colpi di scena, se vi piacciono le storie a tinte molto forti, se scorrendo le pagine siete avvezzi ad “affiancare” l’investigatore per cercare di identificare anzitempo il colpevole, beh, forse BLANCA non rappresenta la vostra lettura ideale. Probabilmente, un giallofilo incallito (qual è anche chi redige queste note) arriverà prima della fine alla soluzione, intuirà trame e disegni, capirà. Questo però nulla toglie ad una storia bella e affascinante, densa di sentimento e di atmosfere, delicata ed al tempo stesso impietosa, intrisa di rimpianto e di dolore. Quel dolore che la Rinaldi sa descrivere e raccontare come se fosse il suo, con una partecipazione ed una maestria che trovano pochi riscontri nell’attuale panorama degli emergenti italiani e non. Grazie, Patrizia Rinaldi, per averci regalato questo racconto struggente, che non è un giallo e nemmeno un noir, ma un bellissimo esempio di narrativa a sfondo poliziesco capace di avvincere il lettore,


di arricchirlo e di gratificarlo. Mi è dispiaciuto terminare BLANCA, e questo mi capita di rado. Quando i tuoi personaggi agiscono, il lettore può condividerne sensazioni e stati d'animo, e questo risultato per uno scrittore è molto difficile da ottenere. Pochi ci riescono come te, usi le parole, alternativamente, come carezze o come coltelli, e le frasi sono farfalle. Farfalle speciali, che volano alto e vanno sempre a posarsi sul fiore giusto. Complimenti sinceri. La trama - Un commissariato di provincia, un’atmosfera tranquilla, quasi sonnolenta. Questo il palcoscenico sul quale agiscono il commissario Martusciello e l’ispettore Liguori, personaggi diversissimi tra loro per cultura ed estrazione sociale, e che coltivano uno strano rapporto, conflittuale ma di reciproca e malcelata stima. La storia muove dal ritrovamento del cadavere di una donna, dipendente di una importante fabbrica della zona; in contemporanea, scompaiono sia il figlio di Marchòv, il titolare della fabbrica, un personaggio bieco e di sentimenti volgari che ha costruito la propria fortuna economica anche grazie ad amicizie e frequentazioni a dir poco losche, che un ragazzino, figlio della donna alla quale, nel contesto di una storia controversa e tormentata, è legato l’ispettore Liguori. Ad indagare su tutto ciò, oltre ai due già citati funzionari, viene chiamata BLANCA, poliziotta ipovedente esperta in decodificazioni, una donna forte, caparbia, capace di vivere con apparente serenità il proprio handicap, anzi, di trasformarlo in una risorsa. Non vi dirò di più. Blanca è anche un romanzo al femminile, una storia che riflette le facce e le sfumature dell’amore e della solitudine, che ne penetra le sfaccettature. Una storia da leggere piano piano, con attenzione, e che fa riflettere. Vincenzo Maria Brizio


RECENSIONE: MAURIZIO DE GIOVANNI – IL METODO DEL COCCODRILLO In una Napoli inospitale, impaurita e indifferente, finalmente libera da facili stereotipi da cartolina, si aggira indisturbata un’ombra foriera di morte: il Coccodrillo. E’ questo il nome attribuito dalla stampa a un assassino che uccide adolescenti, senza alcun nesso apparente tra le vittime, lasciando come unica traccia dei fazzoletti bagnati con le sue lacrime. A indagare su questo killer sarà chiamato, non senza indugi, l’ispettore Lojacono, siciliano “esiliato” a Napoli in seguito alle dichiarazioni di un collaboratore di giustizia. All’apparenza, questo romanzo di de Giovanni potrebbe sembrare una variante partenopea del classico thrillerone a stelle e strisce che piace tanto anche in Italia. Il serial killer col nome da animale cattivo, il poliziotto con la vita personale in seria difficoltà… Tenete a freno gli sbadigli: il risultato finale è ben diverso da quanto si potrebbe temere. Anzi, direi quasi opposto. Ciò che davvero fa la differenza, tra questo romanzo e i suoi apparenti simili, è la grande attenzione dell’autore per l’approfondimento psicologico/sentimentale. Una volta tanto, gli omicidi costituiscono un


qualcosa di veramente doloroso, e non solo un pezzo del puzzle, una parola nel cruciverba da risolvere. Pur non sottovalutando l’importanza della trama e dei “trucchetti” del mestiere, de Giovanni dà assoluta priorità alla costruzione dei personaggi, generando dei primari non stereotipati e dei secondari non abbozzati. Questo è un grandissimo punto a favore, in un contesto – il romanzo di genere – notoriamente afflitto da ripetizioni e imitazioni che degenerano facilmente nello stereotipo piatto e insulso. Anche lo stile si discosta dal solito: niente frasi affilate, niente freddezza, brutalità, cinismo. L’autore è attento alle emozioni, alle sensazioni, agli umori. Ne deriva una scrittura morbida, attenta, calda, capace di scavare nel profondo come l’occhio di un genitore. Una lettura consigliata. Voto: 9

Aniello Troiano


RECENSIONE: I BASTARDI DI PIZZOFALCONE – MAURIZIO DE GIOVANNI Alcuni poliziotti del commissariato di Pizzofalcone hanno commesso un reato molto grave: pressati dal bisogno di soldi, hanno scelto di iniziare a trafficare droga. Venuta a galla questa brutta storia, i dirigenti, dopo l’allontanamento dei colpevoli, hanno iniziato a chiedersi se fosse il caso o meno di chiudere la struttura, ormai completamente screditata agli occhi della gente del quartiere. Nel dubbio, a Pizzofalcone decidono di mandarci “in esilio” gli elementi scomodi di vari commissariati. Oltre all’ispettore Lojacono, reduce da un successo notevole ma pur sempre macchiato dalle parole di un collaboratore di giustizia, saranno scelti: Francesco Romano, detto Hulk, un assistente capo che fatica a controllare la rabbia e le mani; Alessandra Di Nardo, detta Alex, un agente assistente col grilletto facile e una passione nascosta; Marco Aragona, un agente scelto che sembra uscito da un fumetto, occhiali azzurrati, lampade abbronzanti, acconciatura alla Elvis e stile di guida da pazzo spericolato. A completare l’organico, il commissario Luigi Palma, detto Gigi, che aveva già avuto modo di apprezzare le abilità di Lojacono durante le indagini sul Coccodrillo; il sostituto commissario Giorgio Pisanelli, malato e ossessionato da una serie di suicidi sospetti; e infine la vice sovrintendente Ottavia Calabrese, l’esperta di computer con un figlio autistico. Ai sette, l’ardua impresa di ricostruire l’immagine del commissariato. E, ovviamente, tre casi da risolvere.


I personaggi, come è facile dedurre già dalla quarta di copertina, hanno un ruolo centrale in questa storia. De Giovanni si è cimentato con il romanzo corale, riuscendo bene nell’impresa. Ogni membro della squadra ha un suo spessore e un suo perché. Sono fatti di ombre e luci, di sogni e di zavorre. E alla fine del libro ci si è già affezionati. Se da questo punto di vista va tutto per il meglio, la trama gialla purtroppo risulta meno efficace di quella che regge il romanzo precedente. Non si tratta di scarso realismo o di prevedibilità. Anzi. I finali di tutte e tre i casi sono sorprendenti e entusiasmanti. Il problema riguarda la tensione. Se ne “Il metodo del Coccodrillo” la ricerca del killer aveva un’importanza sempre centrale, tenendo il ritmo abbastanza alto, ne “I Bastardi…” la risoluzione dei casi passa - o almeno sembra passare - spesso in secondo piano, rendendo alcuni passaggi un po’ lenti. Nel complesso, si tratta di un buon romanzo, che non delude e lascia intendere un probabile seguito. L’autore ha compiuto un passo difficile, dando vita a una serie dall’impianto corale partendo da un personaggio nato come investigatore solitario. Ciò gli è ben riuscito, ma come già detto, a costo di qualche calo di ritmo. Dal punto di vista del giallo, si tratta di una storia un po’ meno efficace della precedente. Se in futuro de Giovanni riuscirà a unire la tensione del Coccodrillo e il team dei Bastardi, potremmo vederne delle belle. Voto: 8/8 ½ Aniello Troiano


RECENSIONE: JO NESBO - LO SPETTRO "Gli esseri umani sono una specie deviata e guasta e non c'è guarigione, solo lenimento". Questa frase pronunciata da Harry Hole starebbe benissimo sulla sua lapide. Per nostra fortuna l’ex ispettore della polizia di Oslo, protagonista della saga scritta da Jo Nesbo, è ancora incredibilmente vivo. Harry, sopravvissuto per miracolo alla storia precedente, ha vissuto per tre anni a Hong Kong, lavorando nel recupero crediti (un ruolo che ha svolto in modo insolitamente incruento e quasi gentile). Quando Oleg, il figlio dell'unica donna amata – disastrosamente – da Harry, si trova accusato dell'omicidio di un tossico, il nostro si sente costretto a tornare. Convinto della sua innocenza, riprende a navigare a vista in una Oslo in cui molte cose sono cambiate: sono sorti quartieri noti e modernissimi, sono cambiati per l'ennesima volta i padroni dello spaccio. Sono cambiati anche i rapporti di potere, nella città, e il vecchio nemico, l'arrogante ed efficiente Mikael, sta diventando capo della polizia. Ritrovare l'orientamento è difficile. A guidare Harry ci penseranno Oleg, dalla galera, i pochi amici ancora presenti in polizia e infine Cato, un barbone filosofo. Ma Harry, in fondo, è costretto come sempre a camminare da solo, a procedere grazie al suo intuito, per evitare trappole, bugie e


deviazioni. La seconda protagonista del corposo romanzo (oltre 400 pagine) è la violina, una droga sintetica che domina non solo il mercato e le piazze di Oslo, ma anche le menti e le azioni dei personaggi. I colpi di scena sono così tanti, per fortuna del povero recensore, da togliere ogni possibilità di raccontare la trama, anche per sbaglio, in modo compiuto. Al potenziale lettore basti sapere che Harry percorre fino in fondo il cuore nero di Oslo e del nostro Occidente, rischiando di affogarci. Che il nostro ritorna a farsi di Jim Bean, e la droga liquida non sarà l'unica che lo accompagnerà lungo la strada. Che farà di tutto per creare il lieto fine, che cercherà di sognare una vita finalmente normale con Rakel, che ci crederà davvero. Fino alle ultime pagine, come noi. Alla prossima, Harry.... Marco Zanette


RECENSIONE: REQUIEM PER LA LIGERA – OMAR GATTI Milano, 1952. La città del Duomo non è ancora la ricca metropoli degli anni a venire, e anche la criminalità organizzata non è la stessa. Ben lontana dall’essere il feudo della Ndrangheta dei giorni nostri, la Milano dell’epoca è divisa tra diverse bande; ma nessuna di queste riesce a imporre la propria supremazia sulle altre. Tra le varie organizzazioni – gangster marsigliesi, mafiosi siciliani, assassini calabresi, sequestratori sardi, rapinatori veneti – la peggio messa è la Ligera, la malavita autoctona milanese, fatta di ladri, puttane e contrabbandieri. Agli occhi degli altri risulta debole, finita; al punto tale che qualcuno pensa bene di sterminare l’intera famiglia del Sciresa, boss della Ligera ormai ritiratosi dagli affari. Questi, per quanto vecchio e ormai ininfluente, non ha nessuna intenzione di passare sopra l’affronto, di perdonare. Con l’aiuto del fedele Cinghei e di un pugno di criminali, il vecchio boss cercherà la sua vendetta, dando il via a una guerra tra clan mai vista prima a Milano, fatta di mitra, bombe e gole squarciate, dove tutto è permesso e nessuno è pulito. Omar Gatti presta la giusta attenzione alla ricostruzione della mentalità dei suoi personaggi, rendendoli credibili e solidi. Il protagonistanarratore, Cinghei, ci racconta la vicenda senza la minima traccia di romanticismo. E’ un assassino a parlare, e si sente. Ci sono anche l’affetto, l’amore, la fedeltà, ma sono sentimenti vissuti coerentemente col resto. L’amicizia diventa complicità nel crimine, la fedeltà il collante del gruppo e l’amore un’esperienza bruciante e dolorosa.


Non c’è speranza, nella Milano del Cinghei. Per tutta la durata della lettura si avverte forte il declino di un’epoca e di uno stile di vita, quello del Ligero. Ciò dà un ché di crepuscolare, di cupo, al romanzo; che si fonde al ritmo serrato e alla violenza ricorrente. L’autore è ben attento a non annoiare i lettori: racconta la sua storia con uno stile asciutto, duro e intriso di dialetto meneghino. Tutto ciò che non è necessario è stato tagliato via, in questa storia veloce come un proiettile: non troverete divagazioni, descrizioni superflue e altra roba “allunga brodo”. Questo, per me, costituisce un grandissimo punto a favore. La conoscenza del genere di Omar Gatti si fa sentire non solo nelle citazioni più o meno velate, ma anche nella costruzione della trama: il romanziere mescola la violenza dell’hard boiled, la Milano noir di Scerbanenco, il ritmo del thriller e un mistero da scoprire, come nella migliore tradizione gialla. Una miscela intrigante e ben riuscita. E’ il primo romanzo che leggo sulla Ligera. L’argomento è sicuramente meno inflazionato della Mafia siciliana, della Ndrangheta, della Camorra, il ché dona alla storia un pizzico di originalità. In compenso, però, la trama non è poi così innovativa. Niente di trito e ritrito, per carità. Si tratta di un romanzo “classico”, ecco tutto. Bello, avvincente, ma non molto originale. Si tratta, quindi, di una storia che punta al coinvolgimento e all’intrattenimento del pubblico e ci riesce molto bene. Un romanzo criminale puro e “semplice”, di quelli tosti. Una piccola chicca per gli amanti del genere. Consigliato. Voto: 8 ½ Aniello Troiano



INTERVISTA A OMAR GATTI

AT: Ciao Omar. Una volta tanto sarai tu a rispondere alle domande… OG: Ciao Aniello. Già, la cosa è parecchio strana. AT: Questa intervista è particolare anche per un altro motivo: sei un nostro collaboratore, e in questo numero ci sono anche pezzi tuoi. Che dici, siamo a rischio di conflitto d’interessi? OG: Direi che il mio conflitto d’interessi sia l’ultimo dei problemi, in questo momento. AT: Com’è e come non è, ormai la frittata è fatta. Direi di cominciare. OG: Vai, sono pronto.


1) AT: A quanto pare, nonostante tutto oggi ci sono ancora persone che non sanno chi è l’illustre Omar Gatti. Scandaloso, non trovi? Scherzi a parte, presentati ai nostri lettori. OG: Come ha già detto Aniello, mi chiamo Omar Gatti, classe 1985 e sono il curatore di un blog, Noir Italiano, che si occupa del poliziesco italiano. Inoltre scribacchio romanzi. Insomma, mi tengo impegnato. 2) AT: Prima ancora di essere scrittore sei il curatore di un blog che riscuote un certo successo, Noir Italiano. Che ci dici al riguardo? Com’è nata l’idea per il blog? Quanto tempo dedichi al progetto ogni giorno? Hai qualche aneddoto da raccontarci? OG: Il blog è nato dal fatto che, volendo essere scrittore, dovevo far “conoscere il mio nome”. Ma, ho pensato, nessuno sente il bisogno di un altro sito personale di un tizio sconosciuto. Per cui ho creato un blog che parlasse degli altri (quelli che, a dirla tutta, sono i miei concorrenti). Ho iniziato senza grandi pretese e ora mi conoscono tutti. Sono davvero felice di questo progetto. 3) AT: Requiem per la Ligera non è il primo libro che pubblichi. Che ci dici dei precedenti? OG: Sono stati degli onesti esperimenti prima di trovare la giusta via da percorrere.


4) AT: Passiamo al “nostro” romanzo. Com’è nata l’idea? OG: Volevo raccontare la storia della Ligera milanese che, a parte le canzoni della Vanoni e di Nanni Svampa, non aveva mai avuto visibilità. Avevo voglia di parlare della mala milanese, di raccontare il suo modo di pensare e di vivere, decisamente romantico e poco sanguinario. 5) AT: Leggendo si ha l’impressione di una realtà storica davvero ben ricostruita; e anche i meccanismi interni della Ligera risultano credibili. Come ti sei documentato? OG: Innanzitutto ho chiesto a mio papà (classe ’46) di raccontarmi quegli anni. La fame, la semplicità e la voglia di riscatto. Poi ho letto molti libri sulla Milano del secondo dopoguerra, ho girato per i Navigli e ho letto le interviste dei banditi dell’epoca. Poi ho mescolato tutto e ho messo dentro i classici canoni della vita lombarda: la trippa, il risotto alla milanese, l’articolo davanti ai nomi (io sarei l’Omar, per esempio). 6) AT: Quanto tempo ci hai messo a scrivere questo romanzo? E quanto tempo è passato dall’inizio della prima stesura alla pubblicazione? OG: Per trovare il giusto binario ho impiegato parecchi mesi. Scrivevo un capitolo e poi lo cancellavo, insoddisfatto. Quando ho trovato il giusto quid, ho impiegato una settimana a scrivere il tutto, in un delirio creativo che ha occupato ogni minuto libero.


7) AT: Quale aspetto della scrittura ti ha dato più problemi? E quale, invece, più soddisfazioni? OG: Il problema non è tanto la scrittura, quanto il non avere idee, quello sì che ti demoralizza. La soddisfazione più bella invece è stata una mail di complimenti del grande Loriano Macchiavelli. 8) AT: Che ci dici riguardo la tua esperienza con La Ponga Edizioni?

OG: Sono contentissimo. Valerio e Marcello sono giovani, hanno talento, idee, fame. Sono onestissimi e pagano il giusto. Ah, e non m’hanno mai chiesto un euro, anche quando ci troviamo, la birra la pagano sempre loro. 9) AT: C’è qualcos’altro che vuoi dirci riguardo il tuo romanzo? OG: Non amo parlare dei romanzi. Vanno letti e basta. 10) AT: Che tipo di scrittore sei? Metodico e lineare o caotico e vulcanico? Le tue condizioni perfette per scrivere? OG: Io, in ogni aspetto della vita, sono disorganizzato, caotico, disordinato, compulsivo. Inizio mille progetti e ne finisco uno, non ho uno schema, non seguo nessuna via. Faccio le cose quando mi va di farle. Non sopporterei le scalette.


11) AT: Parlando degli altri scrittori: pro e contro dei “giallisti” italiani in generale (dove per giallisti intendiamo tutti gli scrittori di romanzi criminali)? OG: Sono troppo esterofili e poco umili. Io, prima di pubblicare, ho scritto sei romanzi che non vedranno mai la luce. Bisogna saper accettare il fatto di non essere all’altezza della pubblicazione. Un pro, invece, viene dal fatto che l’Italia è un paese problematico, per cui di roba da raccontare se ne trova sempre! 12) AT: Progetti per il futuro? OG: Percorrere il mio terzo cammino di Santiago, però in bici.

AT: L’intervista finisce qui. Se hai altro da dire, dillo ora o taci per sempre. Ciao! OG: Saluto tutti e v’invito a leggere. Un vecchio saggio diceva: “il sapere rende liberi”. Omar Gatti e Aniello Troiano



William McIlvanney: Come cerchi nell’acqua Editore: Feltrinelli Collana: FoxCrime EAN: 9788807020124 Pagine: 272 Prezzo di copertina: € 12,00 Data di pubblicazione: 4 settembre 2013 Taciturno, solitario ed eccentrico, pensatore di paradossi e poco incline al lavoro di squadra: è Jack Laidlaw, ispettore della polizia di Glasgow. Animato da un rigoroso ideale di giustizia che lo porta ad agire secondo un codice morale tutto suo, Laidlaw usa metodi di lavoro alquanto originali, spesso malvisti da superiori e colleghi. Si muove nelle squallide periferie di Glasgow, intrattiene rapporti fin troppo stretti con i gangster locali e si sente a casa là dove nessun poliziotto osa mettere piede. Quando la diciottenne Jennifer Lawson - figlia di un uomo violento con precedenti penali - viene trovata assassinata in un parco, Laidlaw è senz'altro il più adatto a intervenire. Aiutato dal suo nuovo braccio destro, il volonteroso ma acerbo Harkness, dovrà indagare tra pub fumosi e squallidi club, fare domande scomode, scavare negli angoli più bui della città, alla caccia di un uomo che sono in molti - anzi, decisamente in troppi - a cercare. Sulle sue tracce, infatti, oltre alla polizia sono sguinzagliati il padre di Jennifer, deciso a farsi giustizia da sé, bande di vigilantes del quartiere e criminali disposti a tutto pur di proteggere i loro traffici. Uomini duri, persino più pericolosi e colpevoli del vero assassino.


Stefano Piedimonte: Voglio solo ammazzarti Editore: Guanda Collana: Narratori della Fenice Pagine: 256 Prezzo di copertina: € 16,00 Data di pubblicazione: 19 settembre 2013 Nel carcere napoletano di Poggioreale, anche detto Poggi-Poggi, c’è un boss della camorra con una passione smodata per il Grande Fratello. È lo Zio, ed è finito in cella perché qualcuno l’ha venduto alla polizia. Lo Zio cerca vendetta, ma per averla fino in fondo non può delegarla a qualche bravo guaglione: deve riuscire a evadere. Ad aiutarlo provvede un genio dell’informatica, un ex fruttivendolo stabilmente inserito nel clan e noto a tutti come Stiv Ciops, che crea app utili al caso organizzando una clamorosa fuga. Di nuovo a piede libero, lo Zio parte subito per mettere in atto la sua personale missione, accompagnato dai fidati sgherri Germano Spic e Span, abilissimo nel lavare via le tracce, e Erripò, una specie di sosia del maghetto Harry Potter con qualche problema di tossicodipendenza. Alle sue calcagna, il funzionario di polizia Wu, che già gli aveva dato la caccia riuscendo ad acciuffarlo e adesso non si dà pace. Grazie anche alle soffiate di un informatore, i tre arriveranno a Milano. È lì, infatti, che si nasconde chi ha tradito lo Zio. Ma i suoi sodali? Potrà davvero fidarsi, lo Zio, di chi gli assicura incondizionata lealtà?


Roberto Riccardi: Venga pure la fine Editore: E/O Collana: Sabot/age Pagine: 224 Prezzo di copertina: € 16,50 ISBN: 978886632 Data di pubblicazione: 25 settembre 2013 A Rocco Liguori, tenente dei carabinieri impegnato a risolvere semplici casi nella sonnacchiosa Alba, nel cuore delle Langhe, arriva inatteso un ordine dal Comando Generale: dovrà recarsi a L’Aja e mettersi a disposizione del Tribunale internazionale per la ex-Jugoslavia. Non ci vorrà molto a scoprirne il perché: il colonnello Dragojevic, condannato per la strage di Srebrenica e altri delitti, è in coma per aver ingerito farmaci pericolosi. Il procuratore Silvia Loconte non crede all’ipotesi del tentato suicidio e ha chiamato a indagare proprio lui, Liguori, che sette anni prima in Bosnia aveva arrestato Dragojevic. Per il tenente è una valanga di ricordi: l’indagine costretta al segreto, il disinteresse della politica, il silenzio degli ufficiali, la bella Jacqueline, avvenente funzionaria della Croce Rossa. Ma non c’è tempo per i ricordi, il tempo stringe e i responsabili del delitto devono essere assicurati alla giustizia: mentre sullo sfondo la politica porta avanti il suo teatrino fra vecchi compromessi e nuove alleanze, Rocco Liguori rischia di nuovo la propria vita, ancora una volta in prima linea, ancora una volta da solo.


Jussi Adler-Olsen: Il messaggio nella bottiglia Editore: Marsilio Collana: Farfalle / I GIALLI ISBN: 9788831716093 Pagine: 560 Prezzo di copertina: 18,50 euro Data di pubblicazione: 18 settembre 2013 Traduzione di Maria Valeria D’Avino Dopo aver galleggiato sulle acque del mare per chissà quanto tempo, una bottiglia che racchiude un vecchio messaggio finisce sulla scrivania dell'ispettore Carl Mørck. Un grido di aiuto scritto con il sangue: due fratelli imprigionati in una rimessa per le barche chiedono di essere liberati. Chi sono i due ragazzi, e perché nessuno ne ha denunciato la scomparsa? Potrebbero essere ancora vivi? Carl Mørck e il suo assistente siriano Assad dovranno usare tutte le risorse disponibili per svelare la spaventosa verità che le onde del mare hanno trascinato alla deriva troppo a lungo. Gli altri romanzi della sezione Q di Carl Mørck: “La donna in gabbia”, “Battuta di caccia”.


Monica Bartolini: Le geometrie dell’animo omicida Titolo: Le geometrie dell’animo omicida Autore: Monica Bartolini Editore: Scrittura&Scritture Prezzo: € 13,50 Quarta di copertina: Un turno di radiomobile come tanti si trasforma presto nell’inizio di un vero rompicapo. In Contrada Madonnuzza è stato trovato il corpo senza vita di una giovane donna, bendata, mani e piedi legati. Sul luogo del ritrovamento giungono il capitano Spada e il maresciallo Piscopo ma non solo… Per cercare l’assassino e il movente di questo omicidio, si aprono, infatti, tre piste divergenti, ciascuna battuta da personaggi interessanti che hanno tutti un buon motivo per consegnare alla giustizia il colpevole. La competenza e la professionalità degli uomini dell’Arma, si incontrano e scontrano, così, con un reporter d’assalto alla ricerca del ghiotto scoop da mandare in TV in una sensazionale prima serata, e con una insolita appassionata di mappe astrali. Le tre piste di indagine si intrecciano in un giallo originale, in cui alla soluzione del caso non si arriva grazie a potenti mezzi tecnologici e a commissari-supereroi belli e dannati, ma a professionisti dallo spiccato intuito, dalle grandi qualità personali e da una buona conoscenza dell’animo umano.


Marco Malvaldi: Argento vivo Editore: Sellerio Collana: La memoria n. 938 ISBN: 9788838930799 Pagine: 288 Prezzo di copertina: € 14,00 Data di pubblicazione: 26 settembre 2013 C’è una rapina nella casa di uno scrittore molto noto; col bottino, sparisce il computer in cui è salvato il suo ultimo romanzo non ancora consegnato alla casa editrice e incautamente non conservato in altro modo. Da questo momento il file comincia a scivolare come argento vivo sul piano accidentato della sua avventura, e si insinua, imprendibile e vivificante come il metallo liquido degli alchimisti, nel tran tran quotidiano dei tanti e diversi protagonisti. Ognuno dei quali sarebbe per sorte lontanissimo dagli altri, ma si trova coinvolto occasionalmente a causa della deviazione che quel manoscritto ha impresso nella sua esistenza. Il grande scrittore e la moglie; il giovane ingegnere a tempo determinato che lotta con la vita insieme alla affannata compagna; la bella agente di polizia, che conduce l’indagine in competizione con il laido superiore; la banda dei balordi; il tecnico appena disoccupato che c’è capitato per caso; il vecchio editore e la giovane editor. Questa varietà di personaggi, con i loro pezzi di vita, l’autore muove intorno alle eventualità aperte dallo svolgersi dell’inchiesta di polizia, su cui a loro volta gli individui incidono inconsapevoli con le scelte che fanno, creando una commedia degli incroci della vita.
Al consueto umorismo fondato sull’equivoco della situazione e sull’effetto sorprendente di un dialogo surreale e ovvio insieme, Malvaldi innesta in questa commedia poliziesca un altro tipo di indagine: una investigazione ambientata in quella zona misteriosa in cui avviene l’incontro tra il caso, la libertà di agire, e il corso necessario delle cose.


Georges Simenon: Assassinio all’Etoile du Nord – e altri racconti Editore: Adelphi Collana: gli Adelphi – Le inchieste di Maigret ISBN: 9788845928345 Pagine: 176 Prezzo di copertina: € 10,00 Traduzione di Marina Di Leo «Egregio commissario,
 «la prego di scusarmi se oso disturbarla. Mi creda, sono consapevole della mia sfacciataggine, tanto più che ho sentito parlare dell'incantevole casetta sulle rive della Loira dove si è ritirato da quando è andato in pensione.
 «Ma forse mi perdonerà quando saprà che si tratta di una questione di vita o di morte. Io sono sola, qui a Parigi. Intorno a me un viavai di estranei. Cammino per strada come le altre ragazze, eppure da un momento all'altro scoppierà una tragedia: una pallottola arrivata da chissà dove, o magari una coltellata alle spalle... La folla mi vedrà cadere; il mio corpo sarà portato in una farmacia, poi all'obitorio. I giornali pubblicheranno tutt'al più un trafiletto, sempre che si degnino di parlarne».


Simone Sarasso: Il Paese che amo Editore: Marsilio Collana: farfalle / I GIALLI ISBN: 9788831716116 Prezzo di copertina: € 19,50 Pagine: 592 Data di pubblicazione: 2 ottobre 2013 Dopo “Confine di Stato” e “Settanta”, il terzo e conclusivo volume della Trilogia sporca dell’Italia. Ljuba Marekovna è soltanto una ragazza cresciuta nei bassifondi di Cracovia, ma è destinata a diventare la Regina della tv privata, una spia senza cuore al soldo del partito comunista e molto altro ancora. Tito Cobra è il primo presidente del consiglio socialista della storia e ha il suo bel da fare a tenere in riga lo Stivale. Andrea Sterling, l'Uomo Nero dei servizi segreti, rischia di smarrire il proprio posto nel mondo dopo il crollo del Muro di Berlino. Salvo Riccadonna detto Dracula, il fiore all'occhiello di Cosa Nostra, è pronto per la mattanza che farà crollare la Cupola. Domenico Incatenato, giudice inflessibile e padre amorevole, si prepara a dar fuoco alla miccia che farà deflagrare il sistema dei partiti e raderà al suolo la prima repubblica. Sul palcoscenico d'un Italia corrotta e malandata sventola un tricolore fatto a pezzi, mentre i protagonisti lottano all'ultimo sangue tra le ultime propaggini della Guerra Fredda e l'alba del mondo nuovo. Sullo sfondo, gli anni rampanti dello yuppismo e del malaffare di Stato, delle bombe di mafia e delle mazzette: un Paese sull'orlo del precipizio, con le mani imbrattate di sangue e le tasche piene di soldi sporchi. L'Italia, il Paese che amo.


Massimo Carlotto, Marco Videtta: Sara – il prezzo della verità Editore: Einaudi Collana: Stile libero Big ISBN: 9788806212728 Pagine: 192 Prezzo di copertina: € 15,00 E-Book: € 9,99 Sullo sfondo della Roma di oggi, corrotta e criminale, quattro donne diversissime tra loro decidono di ribellarsi al destino imposto da uomini malvagi e sbagliati. Per riscattare le loro vite dovranno diventare Le Vendicatrici. Sara non si ferma davanti a nulla e a nessuno per dare la caccia a chi ha distrutto la sua esistenza. Non esita ad allontanarsi dalla legalità e a trasgredire le regole. Ma presto si renderà conto che non esistono vendette pulite, vendette che non lasciano in bocca il sapore del rimorso. Ha smesso di vivere a undici anni. Ha una tomba vuota su cui piangere e una missione: scoprire chi è stato a toglierle tutto. E vendicarsi. 
 Sara è il terzo romanzo del ciclo Le Vendicatrici.


Henning Mankell: La mano Editore: Marsilio Collana: farfalle / I GIALLI ISBN: 9788831716680 Prezzo di copertina: € 12,00 Pagine: 144 Data di pubblicazione: 9 ottobre 2013 Una grande sorpresa per i suoi milioni di fan nel mondo, ancora in lutto per la conclusione della sua celebre serie poliziesca: il commissario Wallander torna in una breve e avvincente indagine inedita! Kurt Wallander potrebbe finalmente realizzare uno dei suoi vecchi sogni e trasferirsi in una casa di campagna, fuori Ystad. Un giro di ricognizione del giardino lo porta però a fare una macabra scoperta: dal terreno spunta lo scheletro di una mano umana. A chi apparteneva? Da quanto tempo quel corpo è sepolto in quel giardino? Nei poderi lì intorno, non c'è nessuno in grado di fornire una spiegazione. Con l'aiuto dei suoi colleghi e di Linda, la figlia da poco entrata in polizia, Wallander deve scavare indietro nel tempo e cercare di ricostruire la storia di una morte oscura. Una tragedia dove innocenza e colpevolezza non sono nettamente distinte. "Questa storia fu scritta diversi anni fa. Cronologicamente si colloca prima di L'uomo inquieto, l'ultimo della serie. Non esistono altre storie di cui Kurt Wallander sia il protagonista" Henning Mankell


Andrea Camilleri: La banda Sacco Editore: Sellerio Collana: La memoria n. 939 ISBN: 9788838931079 Pagine: 192 Prezzo di copertina: € 13,00 E-Book: € 8,99 Data di pubblicazione: 17 ottobre 2013 Raffadali, provincia di Agrigento, anni Venti del Novecento. I fratelli Sacco sono uomini liberi, di idee socialiste, hanno il senso dello Stato, si sono fatti da sé seguendo l’esempio del padre Luigi che li ha allevati nella cultura del lavoro e del rispetto degli altri. La vita cambia quando una mattina il capofamiglia riceve una lettera anonima, poi un’altra, poi subisce un tentativo di furto. Luigi Sacco denunzia le richieste estortive ai carabinieri, che però si trovano disorientati: nessuno in paese ha mai osato denunziare la mafia. Da quel momento i Sacco dovranno difendersi. Dalla mafia e dalle forze dell’ordine, dai paesani complici, dai traditori, dai maggiorenti del paese tra tentativi di omicidio, accuse false, testimonianze bugiarde. «Ma c’era la mafia» – «Eccome, se c’era!»: a chiusura di capitolo e, a seguire, subito dopo, ad apertura di capitolo, come in una ntruccatura, in una concatenazione tra ottave siciliane. La sensazione è quella di una voce che racconta, sgraffiando le parole nell’aria e modulandole alla maniera di un cantastorie che, sul prospetto di un cartellone dipinto, va narrativizzando, riquadro dopo riquadro, la declamazione larga e sonora della vicenda. Ed è dentro questa simulazione di un genere popolare che si aggiorna il modello giudiziario della manzoniana Storia della Colonna Infame, con il suo andar contro le inchiostrature del romanzesco e porsi dietro il dorso delle cose, mescolando racconto e ri-


flessione, dettagli e postille critiche: sempre stringendosi ai fatti, interrogando le contraddizioni dei «documenti», siano essi forniti dalle confessioni estorte con i ricatti e le violenze, dalle deposizioni dei presunti testimoni, da un memoriale, o dai risultati processuali; nella convinzione che la verità sfugge dietro l’angolo e viene affatturata dagli accusati che si fanno accusatori, dai causidici, dai metodi d’indagine talvolta barbarici, dal disporsi della giustizia da una parte e della politica dalla parte opposta.
Costante è, in questo racconto reale, il paesaggio di una Sicilia rurale: le pietraie, le fratte rocciose, i pascoli; la magia botanica dei pistacchieti con i loro fiori unisessuali, le promesse di notti arabe del sambuco che tra le foglie nasconde le cantaridi, le cantilene degli stagionali che hanno già attraversato le scene «campestri» di Pirandello. All’inizio, nel secondo Ottocento, c’è il patriarca Luigi Sacco, bracciante d’ingegno e passione. Vengono poi i discendenti, grandi lavoratori tutti, e socialisti, tra emigrazione transoceanica e chiamata alle armi nella Grande Guerra, malversazioni e canaglierie di rozzi capimafia con alle spalle pupari altolocati, che prosperano nella latitanza dello Stato e sanno come avvantaggiarsi nella tragica notte del fascismo, nonostante il pugno di ferro del prefetto Mori (e grazie ad esso, anzi) che seppe abbattersi anche sui comuni oppositori politici. I cinque fratelli Sacco conoscono la disperazione a vivere in un regime di mafia. Si danno alla latitanza. Si sentono investiti di un ruolo di supplenza nella lotta (armata) contro i persecutori mafiosi. Diventano giustizieri solitari, nel silenzio ottuso dell’omertà: cittadini eslègi di uno Stato che non ha saputo garantirli. Vengono arrestati, processati, e inventati come «banditi» e predoni d’assalto. In carcere conoscono l’antifascismo. Incontrano Umberto Terracini e incrociano Gramsci.
Il succo della storia, di questo western nostrano di onest’uomini indotti e costretti a farsi vendicatori, è di declinazione manzoniana: «I provocatori, i soverchiatori, tutti coloro che, in qualunque modo, fanno torto altrui, sono rei, non solo del male che commettono, ma del pervertimento ancora a cui portano gli animi degli offesi». Salvatore Silvano Nigro


Ben Pastor: Luna Bugiarda Editore: Sellerio Collana: La memoria n. 940 ISBN: 9788838929144 Pagine: 368 Prezzo di copertina: € 14,00 E-Book: € 9,99 Data di pubblicazione: 17 ottobre 2013 Traduzione di Maria Emilia Piccone Settembre 1943. Il maggiore della Wehrmacht Martin Bora si trova distaccato a Lago, nei pressi di Verona, dove rimane vittima di un attentato: si salva, ma subisce l’amputazione della mano. Si è appena ripreso dall’intervento quando viene incaricato di seguire le indagini su un omicidio: un importante gerarca fascista, Vittorio Lisi, è stato investito sul viale della sua villa. Si sospetta della moglie Claretta. Ma il maggiore Bora dubita che il movente del delitto sia solo un affare di famiglia, e guarda oltre. Martin von Bora, il detective-soldato della Wehrmacht che l’autrice ha ricavato liberamente dalla figura di von Stauffenberg, è di ritorno dall’inferno di Stalingrado da dove è riuscito a salvare il manipolo dei suoi soldati. Lo ritroviamo, in questo romanzo, promosso maggiore e stanziato, sul finire del 1943, in un paese presso Verona. Vi svolge operazioni contro i partigiani, mentre incombe l’occhio delle SS che lo considerano politicamente poco affidabile. Un attentato dei patrioti lo ha privato della mano sinistra, ma le ferite della guerra lo dilaniano nello spirito molto più che nel corpo.
A Lago, la località dov’è di stanza, il colonnello Habermehl gli chiede di indagare su un caso; è per un favore ai miliziani di Salò, che sperano di trovare nel tedesco un interlocutore più malleabile della polizia di Stato. Perché il morto è una spe-


cie di monumento del fascio. Vittorio Lisi, un eroe mutilato, vicino a Mussolini, ricchissimo e dal prestigio carismatico. È caduto, investito da un’automobile sul viale della sua villa. Si sospetta della moglie Claretta, una sorta di fotocopia delle dive dei telefoni bianchi. Ma non mancano altre piste: mariti gelosi, strani giri di danaro, ragazze compromesse, invidie politiche.
 Sull’omicidio indaga anche l’ispettore Guidi della polizia. Il funzionario, costretto a collaborare con Bora, non stravede per l’ufficiale della Wehrmacht. È un «afascista», stanco di retorica e violenza, e vede nell’aristocratico ufficiale niente più che un «crucco» nazista e antisemita. Ma li avvicina sottilmente l’infelicità esistenziale e all’italiano pare di intravedere di quando in quando la qualità umana sotto la rigida scorza di distacco, talvolta spietato, del tedesco.
 I due seguono sul delitto piste divergenti. E non è soltanto diverso l’obiettivo prescelto, eterogeneo è proprio lo stile d’indagine: Bora è sistematico e logico segugio di indizi, Guidi invece è più intuitivo e attento a un’ipotesi generale. Nel frattempo, intorno a loro, piovono altri cadaveri e non si capisce bene quanti spettino alla guerra e quanti a carico dell’assassino.
 Chi già conosce il barone von Bora, animo dolente su cui sembra incombere il fato, lo troverà più amaro dei romanzi precedenti. La ferocia della guerra e le vicende personali tendono allo spasimo le sue corde. Ma soprattutto macera in lui la tragedia di chi era troppo nobile sia per disubbidire al giuramento del soldato sia per ubbidire al demoniaco tiranno. E non aveva che da dilaniare se stesso. Svelare un intricato omicidio diventa, per Martin Bora, un lenitivo del male di cui si avvertiva burattino.


Kathy Reichs: Le ossa dei perduti Editore italiano: Rizzoli Collana: Narrativa straniera ISBN: 17065771 Pagine: 432 Prezzo di copertina: € 18,00 Data di pubblicazione: 9 ottobre 2013 La polizia di Charlotte trova il corpo senza vita di un’adolescente abbandonato sul ciglio di una strada di periferia. Il cadavere mostra segni di violenza ed è stato travolto da un’auto in corsa. Tutto lascia pensare che si tratti di una delle tante immigrate clandestine finite nel giro della prostituzione. Temperance Brennan però non ne è convinta. Soprattutto dopo che nella borsetta rosa acceso della vittima la polizia trova la carta d’identità di un importante uomo d’affari morto mesi prima in un incendio. Chi era la ragazza con la borsina rosa a forma di gatto e un fermaglio da bambina, rosa anche quello, tra i capelli? Da dove veniva? Tempe si accanisce per saperne di più e per restituire una tardiva giustizia a quella che sente essere la vittima di un complotto di vaste dimensioni. Ma deve accantonare il caso per andare in Afghanistan a indagare su una morte sospetta che vede implicato un militare americano: e tra le montagne e i soldati c’è anche sua figlia Katy, arruolatasi d’impulso dopo la morte del fidanzato…


Roberto Centazzo: Toccalossi cerca casa Editore: Fratelli Frilli Collana: Tascabili Noir Pagine: 150 Prezzo di copertina: € 9,90 "Il mio erede sarà chi il tesoro troverà". Questa la curiosa disposizione testamentaria lasciata ai suoi quattro nipoti dal ricco imprenditore Alberto Chilli. Lo zio, dopo una vita di successo, ha deciso di ritirarsi dagli affari e di lasciarsi morire. Ha venduto tutti i suoi beni, chiuso le aziende e dettato al notaio le sue ultime volontà. Ma quale sarà questo tesoro che i nipoti dovranno trovare? Lo zio era sano di mente o qualcuno ha influito sulla sua capacità d'intendere e di volere? C'entra qualcosa il suo contabile Aurelio Cortellesi? Potrebbe trattarsi di un semplice caso di circonvenzione d'incapace ma l'ex procuratore della Repubblica di Savona, Lorenzo Toccalossi, da poco trasferito a Genova a dirigere la procura antimafia, messo in allerta dal suo vicino di casa, il notaio che ha redatto il testamento, decide di dargli una mano. Non è più lui deputato a svolgere indagini ma vuole vederci chiaro e decide di occuparsi ufficiosamente di questa vicenda. Nel frattempo sta cercando casa, aiutato da una sempre più audace Erminia, la sua ex assistente, ormai completamente innamorata di lui. Un'indagine condotta nell'ombra, da cui emergerà una vicenda tenuta nascosta per mezzo secolo.


Roberto Carboni: Bologna destinazione notte Titolo: Bologna destinazione notte Autore: Roberto Carboni Editore: Fratelli Frilli Editori Prezzo: € 9,90 Quarta di copertina: A Borgo Panigale, sui gradini di un negozio di giocattoli, di fronte al centro commerciale, fu rinvenuto il primo piede. Così ha inizio l'odissea di Annibale Dori, originale tassista notturno appassionato di jazz. In una Bologna fredda, buia, piovosa e desolata. Terrorizzata da un maniaco che rapisce e tortura a morte le sue vittime. Fanno da cornice una affascinante misteriosa donna e un locale infilato nello stomaco di Bologna, dove suona Al il pazzo, amico fraterno di Annibale e leggendario pianista jazz. Mentre si susseguono i rinvenimenti dei corpi mutilati, la polizia è continuamente beffata dal mostro, e le tesi degli esperti si sgretolano a ogni nuovo omicidio. L'assassino agisce sempre più in fretta, compulsivamente. E tutti oramai sanno che, se qualche fortunato indizio non imprimerà una svolta alle indagini, presto qualcuno si troverà un altro piede mutilato sotto gli occhi.


Frédéric Dard: Pesca di mortificenza Editore italiano: E/O Collana: Le inchieste del commissario Sanantonio ISBN: 978886632 Pagine: 144 Prezzo di copertina: € 8,00 Data di pubblicazione: 23 ottobre 2013 Traduzione di Bruno Just Lazzari Ostrega che partita di pesca, cuoricini miei! Anche se, in verità, la giornata è cominciata male, perché quel fottutissimo di uno zio Gustave mi ha tirato giù dall’etto (come scriverebbe Berù) un’ora prima dell’alba (pssst: se non l’ho trucidato, è solo perché ho lo spirito di famiglia molto sviluppato!). Posso comunque assicurarvi che poi è finita in gloria. Proprio così: siamo finiti sulla prima pagina di tutti i canterini nazionali, lo Ziotto e il sottoscritto, grazie al pesce grosso così che abbiamo arpionato. Grosso, ma così grosso, che avrebbe sfamato un intero convento reduce dai digiuni di quaresima. Ammesso che fosse commestibile, beninteso. O anche a patto che il suddetto convento fosse frequentato da cannibali! Perché, vedete, il pesce che abbiamo ripescato è un maccabeo, che deve essere rimasto a marinare in acqua per svariati giorni, con le zampe imbrigliate in un robusto filo di ferro. E di filo di ferro in ago di canna, anche questa volta vi sciorino papale papale, e senza aumenti di prezzo, un’avventura talmente mozzafiato che, se non vi piace, be’, non so proprio cosa farci! O, meglio, posso darvi un consiglio: andate a farvi revisionare la scatoletta cranica dal vostro macellaio di fiducia. Bye bye…


Carlo Bonini, Giancarlo De Cataldo: Suburra Editore: Einaudi Collana: Stile libero Big ISBN: 9788806215279 Pagine: 488 Prezzo di copertina: € 19,50 E-Book: € 9,99 Data di pubblicazione: 17 settembre 2013 "A te te ce rode perché dici che il mondo te l’ha messo al culo. E tu ripagalo colla stessa moneta. Fottilo. Fottili tutti. Vedrai come te senti mejo, dopo. Proprio come dopo una bella scopata, damme retta, a’ Samurai." Chissà. Forse il Dandi aveva ragione. E forse nelle sue parole c’era piú verità che in tutti i libri che gli avevano acceso la mente, quando aveva deciso di abbandonare la strada maestra tracciata per lui dai genitori, la laurea, lo studio legale del padre che era stato del nonno, e prima ancora del bisnonno, e prima ancora... O forse, semplicemente, Dandi gli aveva detto ciò che lui voleva sentirsi dire. Avevano lasciato insieme il penitenziario di Regina Cœli. Il Dandi lo aveva presentato ai suoi amici. Il Samurai era entrato nella banda. Roba di un altro tempo. Il Dandi era morto. Il Libanese era morto. Tanti altri erano morti, qualcuno era diventato infame, qualcuno si faceva la galera in silenzio, sognando di ricominciare, magari con un lavoretto senza pretese. Il Samurai era ancora là. L’antico nome di battaglia denunciava ormai soltanto sogni abbandonati. Ad affibbiarglielo era stato il Dandi, ma lui aveva cercato di esserne degno. E il potere, quello, era concreto, vivo, reale. Il Samurai era il numero uno.


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