La foto di Stefano Piedimonte in copertina è da attribuirsi a Giliola Chistè. Le foto di Claudio Paglieri, invece, sono da attribuirsi a Gloria Ghiara.
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Pesce PiratA Forum di Scrittura Lettura Editing collettivo Perche pesce? Pesce perche lo scrittore e un po' come un pesce... parla poco, e silenzioso, si muove rasente al fondale muovendo appena coda e pinne, ma scruta tutto, vede perfino quello che succede alle sue spalle. Perche Pirata? Perche come i pirati informatici sposiamo in pieno la filosofia dell'web 2.0 Ovvero il voler rendere pubblico e accessibile il lavoro frutto del singolo o della collettivitĂ .
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N
ei bassifondi della nave, nelle stive piÚ losche e misteriose, a cui per accedere si devono percorrere cunicoli incredibili, là dove nessuno immagina ci sia forma di vita, qualcuno ha progettato qualcosa. Niente rapine o atti terroristici, niente assalti o azioni contro la legge. Tassello su tassello, menti creative leggermente deviate, uomini e donne che non riescono a stare sui binari del normale, si sono riuniti in gran segreto. Hanno parlato, discusso, si sono presi a pugni. Hanno bevuto molta birra e qualcuno, per fumare, ha aperto la finestra dimenticando di essere su una nave. Da quello, da quei posti maleodoranti, da quelle persone poco raccomandabili, è nata la
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PerchĂŠ? Per strutturare i servizi letterari che nascono nel Laboratorio di Scrittura. Per dare una partecipazione attiva a tutti i soci, i quali si possono candidare per le cariche di gestione, possono partecipare alle assemblee in cui vengono decise le attivitĂ . Nasce per dare GRATUITAMENTE a tutti i soci servizi di: Valutazione Testi, Editing Personalizzati, Segnalazione Romanzi agli Editori. Abbiamo collaborazioni con Agenzie Letterarie che ci affiancheranno, insomma, gran bella roba, un sacco di divertimento e molta energia.
Quanto costa tesserarsi? L'undicesima parte del canone Rai. La ventottesima di quello Sky. Come 2 pacchetti di sigarette (ma non fa male). PiĂš o meno come una scatola di preservativi.
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EDITORIALE Eccoci arrivati all’nono numero di Fralerighe. Come al solito, constatiamo con piacere che i fan e followers su Facebook e Twitter sono sempre in crescita. Grazie. Per quanto riguarda la parte Crime, abbiamo deciso di ampliare il numero di redattori. Al nostro invito ha risposto Marco Zanette, nuovo membro della rivista, che ha contribuito a questo numero con una recensione. Vi ricordiamo che l’offerta è ancora valida, e che per ulteriori informazioni potete scriverci all’indirizzo di posta elettronica: rivista_fralerighe@libero.it Abbiamo deciso di non riproporre l’intervista multipla, almeno per questo e il prossimo numero. Abbiamo intervistato per voi tre autori: Stefano Piedimonte, Claudio Paglieri e Samuel Giorgi, che per una volta ha smesso i panni del redattore per parlarci del suo thriller d’esordio. È un numero all’insegna della bizzarria e del divertimento. Tre autori originali, che crediamo vi piaceranno molto. A completare il tutto, come sempre, articoli, recensioni e novità editoriali. Troverete ben due speciali: uno su Loriano Macchiavelli, che continuerà nel prossimo numero, e un altro su Hitchcock. Non ci resta che augurarvi buona lettura.
Lo Staff
INTERVISTA A CLAUDIO PAGLIERI Ciao Claudio, benvenuto! Antonio Tabucchi sosteneva che la domanda della domande, inevitabile per uno scrittore, è la seguente: perché si scrive? “Perché ci si affanna a tessere sogni e raggiri” si domandava da par suo Gesualdo Bufalino “si dà corpo a fantocci e fantasmi, si fabbricano babilonie di carta, s'inventano esistenze vicarie, universi paralleli e bugiardi, mentre fuori così plausibile piove la luce della luna nell'erba, e i nostri moti naturali, le più immediate insurrezioni dei nostri sensi c'invitano al gioco affettuosamente, divinamente semplice della vita?”. E io mi arrischio a domandarlo a te: perché? Perché ne ho bisogno, mentalmente e anche fisicamente. Perché nei giorni buoni, quando sono seduto alla scrivania e capisco che il libro sta crescendo, e funziona, vivo ore di pura felicità. Perché scrivere mi permette di vivere le vite che non ho potuto o saputo vivere. E anche perché è la cosa che so fare meglio. Giornalista, scrittore, appassionato viaggiatore. “Ha sempre cercato di avere più Paesi del mondo visitati che anni di vita”, rivela il risvolto di copertina dell’edizione
Bestseller dei tuoi romanzi, “e fino ai 37 ci è riuscito, ma ora è sotto di tre”. Ecco profilarsi, dunque, un’altra domanda inevitabile: numero attuale dei Paesi visitati? Cosa rappresenta, per te, il viaggio? Sono passati un po’ di anni da allora, e l’ansia di piantare bandierine ha lasciato il posto a una considerazione semplice: meglio tornare in un posto dove sono stato bene, piuttosto che andare in un uno che mi attira poco. E’ un po’ così anche per i libri: una volta facevo a gara per leggerne il più possibile in un anno, ora preferisco concentrarmi sugli autori che amo e a volte rileggerli. Sono arrivato a quota 40 Paesi, e non rincorro più la mia età. Viaggiare mi piace ancora moltissimo, e le mie mete preferite sono le isole: per sentirmi lontano da tutto. Di te stesso dici: “Sono una Bilancia perfetta, nel senso che ho tutte le caratteristiche del segno. E sono un ligure totale, nel senso che ho tutti i pregi e difetti tipici dei liguri”. Da ligure – e, ahimè, Capricorno – totale a ligure totale: quale pensi possa essere il difetto peggiore? E il miglior pregio? Cos’è che più di tutto ti fa sentire figlio della tua terra? Il difetto peggiore di noi liguri è la diffidenza nei confronti degli altri, la mancanza di ospitalità. Esploriamo volentieri il mondo, da sempre, sulle nostre navi, ma vorremmo che nel nostro non penetrasse nessuno. Io mi sforzo di essere aperto, ma sotto sotto sono esattamente così, e fare lo scrittore in fondo è anche questo: andare alla scoperta degli altri ma poi chiudersi a riccio, senza distrazioni, senza intromissioni, per scavare il più a fondo possibile nella propria anima. Comunque non toccatemi la mia Liguria, solo noi indigeni possiamo parlarne male! Terra musona e ricca di spine, la Liguria: sembra nata per racchiudere grandi misteri. Leggendo i tuoi romanzi l’ho ritrovata pienamente e in un certo senso riscoperta… Quanto è importante che uno scrittore sia “dei suoi posti”, per citare Isaac B. Singer, che scriva di ciò che conosce davvero bene? E quanto è importante l’ambientazione per la buona riuscita di un romanzo poliziesco?
Non mi piace sentirmi definire giallista genovese, o ligure. Come non mi piace sentir dire che uno è uno scrittore omosessuale, o ebreo. Uno è scrittore e basta, se lo è davvero. Detto questo, sono d’accordo sul fatto che bisogna scrivere di ciò che si conosce, e io la Liguria un po’ la conosco. I lettori sono attenti e se scrivi qualcosa di poco verosimile se ne accorgono subito. L’ambientazione aiuta a catturare i lettori, non solo quelli della regione stessa ma soprattutto gli altri, i foresti, gli stranieri. In Germania i miei libri vanno molto bene e credo sia dovuto al fatto di poter fare un viaggio in Italia, scoprire o rivivere le nostre atmosfere. Così come noi leggiamo Larsson per immergerci nelle nevi svedesi. Facciamo un viaggio nel tuo universo letterario, e cominciamo dalla fine: il 14 maggio scorso è stato pubblicato “L’enigma di Leonardo” (Edizioni Piemme), la quarta indagine del commissario Marco Luciani. Ci racconti la genesi e la gestazione di questo romanzo? Ho letto che la sua preparazione è andata di pari passo con quella della Maratona di New York… La storia nasce da uno spunto reale: un ritratto a sanguigna, ritrovato a Genova, che secondo le perizie chimiche e il parere di alcuni esperti sarebbe opera di Leonardo da Vinci. Anzi, sarebbe addirittura un autoritratto firmato. Me ne sono occupato come giornalista e poi ho pensato che sarebbe stato bello lasciare che a indagare fosse Marco Luciani. Intorno al ritratto ruotano molte morti misteriose e molte storie, l’intreccio è complesso e anche per questo l’anno in cui l’ho scritto è stato molto faticoso: oltre a lavorare dovevo appunto costruire il giallo e prepararmi per la Maratona di New York, che a differenza del libro non sono riuscito a finire. Ma un giorno o l’altro ci riproverò. Ne “L’enigma di Leonardo” Marco Luciani, poliziotto anoressico e
ombroso dotato di quello che si può senz’altro definire un adorabile caratteraccio, è alle prese con le “gioie” della paternità e matura, in molti sensi, come personaggio… strano a dirsi, per un tipo come lui, ma si ammorbidisce persino un po’. Ci racconti com’è nato, cresciuto – pasciuto non direi! – uno dei commissari più irresistibili della letteratura poliziesca italiana? Luciani nasce un po’ per reazione verso gli investigatori gourmet che cucinano come Gordon Ramsay e stappano bottiglie costosissime, che i veri commissari non potrebbero permettersi. E per reazione verso i commissari politicamente corretti che dicono sempre la frase “giusta” e assomigliano più a degli assistenti sociali. Ho immaginato un personaggio che dice verità scomode e non accetta compromessi, e che è sorretto da un grande senso di giustizia; severo ma giusto potremmo dire, un po’ alla Tex Willer vecchia maniera. Sì, nell’ultimo libro doversi occupare di un bambino lo costringe ad ammorbidirsi un po’, ma spero non troppo! Le vicende del romanzo ruotano intorno a un disegno (una testa di profilo d’uomo che sembra raffigurare “tutti gli uomini, la nostra parte più profonda, la nostra coscienza che ci osserva dallo specchio”) che potrebbe portare la firma di Messer Leonardo: impossibile non pensare all’autore de “Il codice da Vinci” (del resto “L’enigma di Leonardo” e “Inferno” sono usciti in libreria lo stesso giorno, vorrà pur dire qualcosa) e a questa bellissima dedica: Se ti avessi dato retta, oggi sarei Dan Brown (in epigrafe a “Il vicolo delle cause perse”, Piemme, 2007). Ti va di spiegarla ai nostri lettori? E’ una dedica al mio amico Riccardo che un giorno mi regalò “Il Santo Graal” di Baigent, Leigh e Lincoln, consigliandomi di leggerlo perché era una storia bellissima. Io lo lasciai in standby per troppo tempo, mentre Dan Brown, più bravo e più sveglio di me, lo divorò. Poi, romanzandolo, lo fece diventare un bestseller mondiale. Capii di avere perso un treno importante, ma un altro treno guidato da Leonardo, come in “Non ci resta che piangere”, è passato e questa volta ci sono
saltato su. Siamo partiti dalla stazione nello stesso giorno ma Dan Brown è un frecciarossa, io un accelerato… diciamo che mi godo con calma il paesaggio. In “Domenica nera” (Edizioni Piemme, 2005), romanzo per molti versi profetico che si svolge nel mondo tutt’altro che dorato del pallone, attribuisci a Marco Luciani una considerazione che sospetto essere largamente condivisa: “L’aveva amato totalmente, quel gioco, e ora altrettanto totalmente lo odiava, e compativa la folla che vedeva sciamare sui marciapiedi con quelle assurde sciarpe troppo colorate al collo, uomini tristi con la sigaretta in bocca e i capelli tagliati male, forse dalla moglie in cucina, donne anziane che parlavano da sole ad alta voce e bambini che stringevano la mano dei padri e camminavano orgogliosi con una bandierina in mano. Carne da macello (…)”. Da giornalista sportivo pensi che la letteratura possa contribuire a denunciare le storture, il lato oscuro del mondo del calcio e contribuire, in qualche misura, a “depurarlo”? Te lo domando perché sono rimasta molto colpita da una tua dichiarazione che mi è capitato di leggere recentemente sul web: in buona sostanza affermavi che se avessi scritto un saggio, sull’argomento, “probabilmente non se lo sarebbe filato nessuno”. E un romanzo – oltre a deliziare gli appassionati di storie nere, ben inteso – cosa può fare? Non sono sicuro che un libro possa cambiare la vita di una persona, figuriamoci se può cambiare un mondo… e a dire il vero ho perso tutte le speranze di veder “depurare” il calcio. Le scommesse gli hanno tolto l’ultima parvenza di credibilità. La letteratura fa quello che può, ma anche quando “denuncia” (o semplicemente descrive) le miserie umane questo non basta per correggerle. Se però sono riuscito a far riflet-
tere qualcuno ho già raggiunto un buon risultato. Marco Luciani è un personaggio forte, originale, che buca letteralmente la pagina… in una parola: riuscitissimo. Ci saranno altre indagini? Ho letto – con ammirazione ma anche con un pizzico di sgomento – che non intendi diventare un “serial writer”. Però, vedi, ai tipi come Marco Luciani ci si affeziona… Non so se ci sarà un altro giallo con protagonista Luciani, dipende se avrò qualcosa di importante da dire, e una storia forte che faccia da supporto, e il tempo per metterla insieme… non è facile. Ogni libro che esce conquista nuovi lettori, e questo mi dà grandi stimoli, ma non voglio farne uno nuovo tanto per farlo. Ho sempre puntato sulla qualità più che sulla quantità, e continuerò su questa strada. Magari facendo anche cose completamente diverse ma che in quel momento mi interessano di più. Quello a cui punto davvero è la gloria postuma. Direttamente dal questionario di Proust: • • • • •
gli autori che prediligo: Kurt Vonnegut, John Fante, Amin Maalouf, il primo Stefano Benni, Georges Simenon, Dennis Lehane… i miei eroi nella finzione: Tex Willer i miei eroi nella vita reale: mio padre quel che detesto più di tutto: i lavori mal fatti vorrei vivere in un Paese dove… i parchi sono puliti e i treni arrivano puntuali
Fuori questionario: che rapporto hai con la lettura? Che libro tieni sul comodino, in questo momento? Adoro leggere, sia romanzi sia saggi. In genere però se sto scrivendo leggo poco, e viceversa. Ho appena finito la trilogia di The Hunger Ga-
mes e sto leggendo la trilogia di Enrico Brizzi, in cui si immagina che l’Italia fascista abbia vinto la guerra. … e tornando alle domande inevitabili: stai lavorando ad un nuovo romanzo? Possiamo provare a estorcerti una piccola anticipazione? Sto lavorando anch’io a una trilogia ambientata nel prossimo futuro. Un mix di Bibbia, Lost e Particelle elementari.
Foto di Gloria Ghiara.
Grazie infinite, Claudio. Per la disponibilità e per il tempo che hai dedicato alla nostra rivista. Un grosso in bocca al lupo per la tua vita e per la tua avventura di scrittore. Claudio Paglieri e Simona Tassara
RECENSIONE: NEL NOME DELLO ZIO – STEFANO PIEDIMONTE Lo Zio è un potente boss della camorra. Regna incontrastato sui Quartieri Spagnoli di Napoli grazie alla sua innata capacità imprenditoriale, manifestatasi per la prima volta in tenera età grazie a un uso ingegnoso, produttivo e criminale delle spine delle rose. Ha ai suoi ordini cinque capitani e stuoli di pusher. Insomma, è un capo-clan come tanti. Ma ha una passione: il Grande Fratello. Segue la trasmissione con devozione maniacale, religiosa, al punto da mandare all'aria con noncuranza meeting con ndranghetisti e altri affari importanti.
Costretto a una latitanza improvvisa, lo Zio si ritrova a dover fuggire senza potersi organizzare coi suoi per comunicare. Ma i capitani sanno che il boss, cascasse il mondo, guarderà il Grande Fratello. E proprio tramite la trasmissione televisiva proveranno a fargli sapere il nome del traditore, grazie alla collaborazione di un infiltrato. I personaggi di questo romanzo sono sì costruiti sulla base dei loro alter ego in carne e ossa, ovvero i camorristi reali, ma al contempo sono tutt'altro che appiattiti sulla riproduzione cronachistica degli stessi. Piedimonte si prende le sue libertà, facen-
do dialogare i suoi criminali con un linguaggio ora fittizio, cinematografico, ora realistico, dialettale. Quella de “Nel nome dello Zio” è una camorra deformata e ridicolizzata, a ben vedere. Siamo lontani da Gomorra, dai saggi/romanzi di denuncia: l'autore comprende e sfrutta il potenziale comico della realtà che lo circonda, per confezionare una storia leggera e appassionante, una commedia irriverente, più che satirica. Lo stile è scorrevole, ironico, leggero. Piedimonte punta all'intrattenimento e al divertimento del lettore, con risultati soddisfacenti. Da tutto ciò deriva una lettura particolare, atipica. E forse anche per questo piuttosto piacevole. Consigliato. Voto: 8 ½ Aniello Troiano
RECENSIONE: L’ENIGMA DI LEONARDO - CLAUDIO PAGLIERI Editore: Piemme Collana: Narrativa Serie: Thriller Rilegatura: brossura con alette Formato: 13x21 cm Pagine: 400 Data di pubblicazione: maggio 2013 ISBN: 9788856627640 Prezzo consigliato: € 16,50 “… sulla strada dei criminali deve camminare un uomo che non è un criminale, che non è un tarato, che non è un vigliacco. Nel poliziesco realistico quest'uomo è il detective. E' l'eroe, è tutto. Un uomo completo, un uomo comune, eppure un uomo come se ne incontrano pochi. Dev'essere, per usare un'espressione un poco abusata, un uomo d'onore.” Raymond Chandler, The Atlantic Monthly (1944). Ogni volta che mi concedo il piacere di (ri)leggere un’avventura di Marco Luciani, il burbero commissario della polizia di Genova nato dalla penna dello scrittore e giornalista Claudio Paglieri, la mente corre immancabilmente a queste parole. Non perché, chiariamolo subito, vi siano particolari punti di contatto fra il buon commissario e Philip Marlowe – il commissario Luciani, bontà sua ma soprattutto del suo “papà” letterario, non somiglia a nessun altro investigatore di carta in circolazione – bensì in ragione del fatto che, pur tenendosi alla larga dagli stereotipi più sfruttati del genere poliziesco, Luciani incarna alla perfe-
zione l’ideale di detective così come lo teorizzava Raymond Chandler (uno che in materia la sapeva lunga, avendo messo nero su bianco, per usare le parole di Oreste Del Buono, “il meno probabile realisticamente, anche se il più convincente artisticamente, dei grandi detectives”): un uomo “comune” fatto di pregi, difetti, debolezze; eppure un uomo “come se ne incontrano pochi”: centonovantasette centimetri di onesta severità, senso profondo della giustizia e puro talento investigativo. Un donchisciotte moderno e certamente, senz’alcuna retorica, un uomo d’onore. Anoressico, per giunta (il che già di per sé costituisce un merito… non pare anche a voi che la schiera dei detective gourmet che smontano alibi a prova di bomba tra un risotto alla menta e un budino d’uva fragola abbia fatto il suo tempo?), allergico al lusso e agli sprechi. Ecco qua: voglio parlare di un romanzo e finisco coll’imbastire una dichiarazione d’amore in piena regola. Marco Luciani è un personaggio che colpisce e tiene inchiodati alla pagina; che si fa voler bene nonostante il – o forse proprio grazie al – suo carattere spigoloso. Ne “L’enigma di Leonardo” è alla sua quarta indagine: dopo “la lunga notte di Ventotene, la notte in cui un uomo affidato alla sua custodia aveva trovato una morte orribile” (la vicenda, che ruota intorno al ritrovamento di una statua di Lisippo, è narrata ne “La cacciatrice di teste”, Piemme – La Linea rossa, 2010), il commissario è di nuovo alle prese con la scomparsa di un’opera d’arte d’inestimabile valore: il disegno a sanguigna di una testa di profilo d’uomo che potrebbe portare la firma di Leonardo Da Vinci. Un ritratto bellissimo e assai particolare, dal fascino misterioso: “Il quadretto raffigurava un uomo con la barba ma era come se ritraesse in realtà chi lo guardava: quell’uomo era tutti gli uomini, era la nostra parte più profonda, la nostra coscienza che ci osserva dallo specchio e di fronte alla quale siamo nudi e senza difese”. E’ preso di profilo, “e t’inganna; tu credi di poterlo guardare senza essere visto, in realtà è lui che ti legge dentro”. Quel che è certo è che chi lo tocca trova la morte, poiché la vera bellezza si lascia afferrare solo da chi ne è degno, da chi ha il cuore puro. Dagli uomini d’onore, per usare un’espressione un poco abusata.
Giallo raffinato e appassionante, “L’enigma di Leonardo” rivisita con gusto e una buona dose d’ironia gli elementi tipici del romanzo poliziesco tradizionale regalandoci innanzitutto un buon romanzo. Chi avesse già avuto la fortuna di immergersi nelle prime tre avventure – professionali, ma anche personali e perfino intime – del commissario Luciani ritroverà con piacere Donna Patrizia e la zia Rina, il tormentato ispettore Calabrò (protagonista, qui, di una deliziosa indagine parallela condotta nientemeno che dalla sua signora), il saggio e provvidenziale agente scelto Iannece che ha un proverbio (opportunamente riveduto e corretto) per ogni occasione. Non è necessario aver letto quelli che potremmo definire i primi tre capitoli della saga lucianiana, tuttavia, per godere appieno del romanzo in commento. Ogni romanzo fa storia a sé e cominciare dalla fine non guasterà affatto il piacere di una lettura à rebours. Sul fronte delle novità, “L’enigma di Leonardo” propone un Marco Luciani nelle insolite vesti di padre single del piccolo Alessandro: pochi mesi di vita e una volontà di ferro che sconvolgeranno, nel bene e nel male, la vita e le abitudini del commissario. Solo un paio di cenni in merito all’ambientazione per evitare, da ligure e genovese D.O.C., il rischio dell’eccessiva partigianeria: la vicenda si svolge infatti tra i carruggi di una Genova carica di fascino e profumi ed il quieto, elegantissimo lungomare di Camogli. Lo scenario per-
fetto anche laddove si consideri che il ritratto – ma dovremmo dire piuttosto l’autoritratto – al centro dell’inchiesta esiste davvero ed è conservato proprio nel caveau di una banca genovese (tutti i dettagli e le informazioni sul sito www.leonardoritrovato.com). Difficile stabilire se Claudio Paglieri sia “il miglior giallista italiano” (così lo ha definito il noto giornalista e scrittore Alzo Cazzullo): non amo le classifiche e i giudizi dal sapore definitivo. Quel che sento di poter affermare in assoluta tranquillità è che, con il ciclo dedicato al commissario Luciani, Paglieri si è ritagliato un posto di rilievo nel panorama letterario poliziesco e nel cuore di tanti lettori. Compreso il mio. Simona Tassara http://unostudioingiallo.blogspot.it/
Le prime indagini del commissario Luciani:
www.edizionipiemme.it www.claudiopaglieri.com
RECENSIONE: SAMUEL GIORGI – IL MANGIATESTE Grazzeno è un normalissimo paese di montagna, situato in Val d’Ossola. Qui la vita va avanti come un tempo, a stretto contatto con la natura. La gente del posto è semplice, “fatta di legno e pietra”, per usare le parole dell’autore. Insomma, uno scenario se non idilliaco, per lo meno tranquillo. Eppure in pochi mesi ci sono stati ben tredici suicidi. Sembra assurdo, eppure la Polizia non ha dubbi: sono autentici suicidi. Nessun omicidio mascherato. Del caso si occuperanno Bruno Widmann e la sua squadra di esperti in casi irrisolti; in particolare Luna Fontanasecca, giovane criminologa dall’aspetto un po’ “scolorito” e dall’intuito molto sviluppato. C’entra qualcosa la leggenda dell’Albatro? E il Mangiateste, chi è? Ma soprattutto, cosa spinge gente mentalmente sana a commettere un atto così pesante e definitivo come il suicidio? Se dovessi descrivere questo romanzo con un solo aggettivo, userei il termine: insolito. Guardando la (bellissima) copertina, leggendo la quarta, ma soprattutto l’incipit, ci si convince di essere davanti a un thriller molto cupo, inquietante. Insomma, un qualcosa di non particolarmente originale, seppur ben fatto. E invece proseguendo con la lettura ci si accorge di essersi sbagliati, poiché “Il Mangiateste” non è un normale thriller. E’ un vero e proprio pastiche letterario, una fusione tra thriller, giallo, gotico, un po’ di paranormale, un po’ di fiabesco, un’abbondante spruzzata di ironia e una bella dose di bizzarria. Come dicevo, un romanzo insolito; una storia che non siamo abituati a leggere. Ciò può piacere o meno, ma costituisce senza dubbio la nota di distinzione di questo romanzo. I personaggi non
sfuggono di certo all’originalità insita in questo titolo. Pur risultando credibili e in qualche misura “ordinari”, ovvero simili alle persone reali, sono tutti piuttosto particolari, dotati di un qualche tocco straordinario o eccentrico che ha del fantastico, del fiabesco. Samuel Giorgi ci racconta questa storia con uno stile scorrevole, descrittivo e tanto, tanto ironico. Non mi sarei aspettato tutta questa ironia, questa voglia di stemperare la cupezza del tema, in un romanzo thriller. Ma di certo non posso dire che mi sia dispiaciuta, anzi. Un po’ carente forse il ritmo, specialmente nella parte centrale. E’ un rischio che si corre facilmente, con storie di una certa lunghezza (400 pagine). Ma in questo caso, comunque, non si può parlare di una vera e propria mancanza, di una lacuna grave. Una lettura particolare, consigliata soprattutto a chi è stufo di leggere la solita storia “fatta con lo stampino”. I puristi del thriller e dell’horror, invece, potrebbero esserne delusi. Voto: 8
Aniello Troiano
RECENSIONE: L’IRONIA DELLA SCIMMIA – LORIANO MACCHIAVELLI Il problema più grande dei personaggi seriali è quello di apparire ripetitivi, di non sapersi adeguare ai tempi che cambiano, sintomo del fatto che nemmeno l’autore ci sia riuscito. Macchiavelli invece si conferma un autore versatile e attento al mondo che lo circonda. Il nuovo episodio di Sarti Antonio non delude e non ripete, semplicemente inanella un’altra avventura del questurino bolognese. Sarti Antonio è sfigato. Si ritrova come amica una certa Rasputin, ladra di auto e fidanzata del dottor Messini, elegantone in stretti rapporti con l’ispettore capo Raimondi Cesare. In poche parole il questurino le prende da tutte le parti. Si ritroverà invischiato in un’indagine che lo condurrà a L’Aquila, tra terroristi islamici, quadri raffiguranti scimmie sorridenti che risultano scomparsi e intrighi troppo grandi per lui, dove il denaro e il potere si mescolano e diventano cattivi. Ritrovarsi tra le mani un nuovo romanzo con protagonista Sarti Antonio è sempre un piacere. per me è come sentir di nuovo parlare di un amico. Il tono tenuto da Macchiavelli è però molto critico, sia nei confronti della sua Bologna che dell’Italia in generale. Non si sprecano le staffilate, le freddure e le critiche aperte. In questo il romanzo si rivela un noir davvero intenso, perché tratta un tema che (dopo il solito tran tran dei primi mesi) appare come dimenticato: la ricostruzione de L’Aquila post-terremoto. Macchiavelli la descrive come una città scheletro, piena d’impalcature e ponteggi, senza più
anima né vita, destinata a morire d’inedia e a divenire un rudere dimenticato. Il nuovo romanzo di Sarti Antonio non risente né dell’età né del tempo che passa, anche se il questurino non sa adeguarsi all’epoca dei cellulari e dei computer portatili. Le tematiche sono forti anche se, come sempre nei romanzi di Macchiavelli, vengono raccontate con una forte componente di humour che rilassa il lettore e molte volte lo fa sorridere. Unica pecca la lunghezza ma quella, si sa, è una mia fissa personale. Bentornato, questurino. Perché leggerlo: Per l’umana singolarità di Antonio Sarti, sergente Perché non leggerlo: Per la lunghezza, forse Cos’ho pensato quando l’ho finito: E’ sempre un piacere ritrovarci, caro Sarti Antonio
Omar Gatti
Recensione già pubblicata su Noir Italiano http://noiritaliano.wordpress.com
RECENSIONE: IL GIARDINO DELLE BELVE Come quarto ed ultimo appuntamento con le opere di Jeffery Deaver, vorrei parlare del suo romanzo thriller ad ambientazione storica “Il giardino delle belve”. New York, 1936. L'America e il mondo intero guardano con preoccupazione all'inarrestabile ascesa di Hitler e al pericoloso espansionismo della Germania nazista. Paul Schumann, sicario d'origine tedesca, è noto all'intelligence americana per il suo lavoro al soldo di svariate famiglie criminali, ma non è un killer come gli altri: egli infatti dice di correggere gli errori di Dio uccidendo la peggior feccia che infesta la terra. In cambio dell'immunità per ogni crimine commesso, i federali chiedono a Schumann un ultimo omicidio, forse il lavoro più importante e rischioso della sua vita: perché il bersaglio è l'uomo di fiducia del Führer, Reinhard Ernst, nonché il responsabile della corsa agli armamenti del Reich. Schumann è l'uomo perfetto per svolgere questo lavoro, sia per le sue indubbie doti che per la sua conoscenza del tedesco; perciò viene inviato in Germania sotto mentite spoglie (dirà d'essere un cronista sportivo che accompagna la squadra olimpica americana a Berlino in occasione delle Olimpiadi) ed avrà soltanto quarantotto ore per eliminare il proprio bersaglio senza farsi catturare. Allo stesso tempo, il detective Willy Khol, da non considerarsi un fanatico nazista ma soltanto un uomo di legge, dovrà seguire la scia di sangue tra le strade di Berlino, sulle tracce di Schumann e dei corpi che la sua caccia all'uomo si è lasciata alle spalle.
Mi sembra inutile continuare ad elogiare Deaver da un punto di vista stilistico, ormai credo di aver ribadito abbastanza il concetto. Il libro è molto scorrevole soprattutto grazie al numero ridotto di pagine che compongono ogni capitolo e allo stile narrativo utilizzato, lievemente diverso da quello utilizzato per le altre opere. Bastano le prime due righe a far annusare al lettore l'aria della malavita e dei delitti degli anni '30 in una cornice dalle tinte seppia. Alcuni hanno giudicato il libro piuttosto inesatto dal punto di vista storico, ma la bellezza e l'accuratezza del racconto in sé dovrebbero far passare certe minuzie in secondo piano. Soprattutto se si considera che si tratta pur sempre di un romanzo e non di un saggio storico. Questo è uno dei libri che consiglierei a tutti di avere in libreria; chi cerca una spy-story o un buon thriller vecchio stile ha trovato il libro adatto. Voto complessivo 4 su 5. Titolo: Il giardino delle belve Autore: Jeffery Deaver Editore: BUR Data di pubblicazione: 2008 Pagine: 485 Prezzo di Copertina: 10,90€ Jeffery Deaver è uno scrittore, giornalista ed avvocato americano, nato nello stato dell'Illinois nel 1950. Vincitore di numerosi premi letterari, è stato più volte finalista all'Edgar Award. Noto per la sua saga su Lincoln Rhyme, Jeffery Deaver ha dato il suo contributo nella stesura di un nuovo capitolo dell'agente 007. Christine Amberpit
RECENSIONE: DI SETA E DI SANGUE, QIU XIAOLONG A tavola con l'ispettore... Quarto giallo che ha per protagonista l'ispettore capo Chen Cao della polizia di Shangai. Questa volta, l'indagine è ambientata nel 2000 e riguarda l'omicidio di alcune giovani donne, i cui corpi vengono abbandonati in luoghi pubblici della città e rivestiti, per l'occasione, con eleganti abiti demodé di foggia mandarina (i "qipao”). Come nei gialli precedenti di Xiaolong, la storia è l'occasione per raccontare la Cina moderna, profondamente divisa tra quel che resta dell'egualitarismo moralista e forzato dal Maoismo, ormai ridotto a puro simulacro formale, e la liberazione degli "spiriti selvaggi" del capitalismo, entrambi governati dal Partito. La radice dei delitti è nel periodo oscuro e terribile della Rivoluzione Culturale, promossa da Mao negli anni '60: quando l'odio e la violenza furono il motore principale della macchina per costruire la società fatta di cloni perfetti dell'"Uomo nuovo" voluto dal Partito. Un tentativo annegato nel sangue e nell'orrore. In quegli orrori passati, Chen Cao entrerà fino in fondo, senza sconti, mantenendosi nel precario equilibrio tra il dovere di poliziotto e la fedeltà al Partito. L’ispettore capo è un “poliziotto per caso”: si è laureato quando non si poteva autodeterminare il proprio destino, che al contrario veniva scelto dal Partito, di cui è anche dirigente. E’ inoltre poeta e tradut-
tore di libri stranieri - il che gli procura una certa diffidenza da parte della nomenclatura. Tra i luoghi dell'indagine, spiccano le sedi dei comitati di quartiere, un tempo ferrei esecutori della moralità del Partito e ancora oggi importanti luoghi di raccolta di informazioni sugli affari altrui, ben prima di Facebook... In buona parte, gli eventi significativi della vicenda si svolgono a tavola. Il cibo, per Chen Cao, come per altri poliziotti a noi più vicini, è elemento fondante e centrale dell’esistenza; sia esso consumato nei piccoli chioschi dei quartieri popolari o in lussuosi ristoranti da arricchiti, dove una sola portata può costare quanto basta per nutrire un contadino cinese per un anno intero. Un gioco simpatico che vi invito a fare a questo proposito, leggendo il libro, è quello di individuare quali e quanti piatti vengono citati (e serviti) nel romanzo. Attenzione, però: tra di esse vi sono molte "pietanze crudeli", e ci vuole un discreto stomaco anche soltanto a citarle... Voto complessivo: 8. Marco Zanette
La versione originale di questa recensione è stata già pubblicata sul blog Books from the wood. http://luposelvaticolibri.blogspot.it/2012/06/di-seta-e-di-sangueqiu-xiaolong.html
INTERVISTA A STEFANO PIEDIMONTE AT: Ciao Stefano, benvenuto su Fralerighe. SP: Ciao. 1) AT: Partiamo dal principio. Era un giorno come tanti, ma all’improvviso al nostro eroe venne l’idea per scrivere un romanzo. Come gli venne, questa idea? SP: Era un’idea che gli frullava per la testa fin da ragazzino. I primi esperimenti, racconti scritti quando avevo tredici o quattordici anni, furono disastrosi. L’idea, però, non m’è mai passata. Ho fatto il giornalista per una decina di anni scrivendo di cronaca, e soprattutto di cronaca nera. E’ stata un’ottima palestra, ho imparato molte cose sulla criminalità organizzata e su certi ambienti borderline. Poi ho deciso che dovevo mettermi in gioco, ci ho provato. Ho detto “se mi va male, ho comunque una vita intera per leggere i romanzi degli altri”. Mi è andata bene. E ho comunque una vita intera per leggere romanzi. 2) AT: Sei laureato in lingue e letterature straniere e lavori come giornalista presso il Corriere del Mezzogiorno: che peso ha avuto la tua formazione nella stesura di questo romanzo? SP: Non lavoro come giornalista al Corriere del Mezzogiorno. Ho lavorato lì fino al 2012. Scrivere di cronaca nera mi ha permesso di visitare le case confiscate ai boss, di conoscere le loro facce, le loro
storie, le loro bizzarrie. Ho allestito un vero e proprio museo delle cere, poi l’ho riversato nel mio primo romanzo. 3) AT: “Nel nome dello Zio” è soprattutto un romanzo divertente. Raccontaci un aneddoto simpatico legato a questo libro. SP: Beh, provate ad andare su YouTube e a cercare “ragazzo frizzantino”. 4) AT: Se dovessi riscrivere questo romanzo, cambieresti qualcosa? E perché? SP: Cambierei molte cose, ma non perché non mi piaccia il libro che ho scritto. Sono orgoglioso di ciò che ho scritto. Solo che il tempo ti cambia. Se fai lo scrittore, ti cambia ancora più rapidamente. Il giorno dopo sei una persona diversa, e il tuo modo di scrivere è diverso. Per te, almeno. Magari chi ti legge vede sempre la stessa persona. E’ una cosa totalmente soggettiva, riguarda la percezione soggettiva di se stessi, i libri che hai letto, quelli che ti hanno più colpito, le cose che ti sono accadute. 5) AT: Lo Zio. Ce lo descriveresti fisicamente? SP: E’ un uomo sotto i cinquanta, capelli scuri, di una certa presenza. Io so com’è lo Zio, ma lo descrivo in modo che il lettore possa disegnarlo a sua volta. Mi piace che ci sia una certa interazione (cooperazione?) fra chi scrive e chi legge. Il tentativo di esplorarsi a vicenda.
6) AT: Anthony è sia un delinquentello che un ingenuo. Una combinazione che a qualcuno potrebbe sembrare incoerente. Quanto c’è di verosimile in Anthony e quanto di fittizio? SP: Sinceramente, di gente come Anthony ne ho conosciuta parecchia, e il suo tipo mi sembra tutt’altro che incoerente. Anzi. I giovanotti di quel tipo lì, spesso sono di un’idiozia e di un’ingenuità allarmanti. Non è un personaggio reale, ma allo stesso tempo in lui non c’è nulla di fittizio. Basta farsi un giro nei Quartieri Spagnoli di Napoli. 7) AT: L’atteggiamento camorristico che trovi più grottesco. SP: Quello di chi ammazza la gente e poi va in chiesa la domenica. Quelli che si fanno disegnare la Madonna sull’impugnatura della pistola. 8) AT: L’atteggiamento delle forze dell’ordine che trovi più grottesco. SP: I poliziotti corrotti (così come i carabinieri, i finanzieri e i vigili urbani), per pochi che siano, sono uno dei più grossi esempi di mediocrità nella nostra democrazia. 9) AT: L’atteggiamento di Stefano Piedimonte che trovi più grottesco. SP: Sono capace di grande bontà, ma anche di grande cattiveria. 10) AT: Ci riscriveresti uno stralcio del tuo romanzo in stile Roberto Saviano? SP: Roberto è Roberto. Non saprei imitarlo. I suoi libri mi hanno dato tanto. Quando è Roberto a scrivere, tutto diventa mani, piedi, ossa,
sangue, terra. E’ capace di dare una fisicità, un corpo e un odore a certi concetti che in mano ad altri sono impalpabili, se non insignificanti. 11) AT: Libri di denuncia. Libri per protestare. Libri per cambiare le cose. Perché i libri non possono essere semplici libri? SP: Assolutamente sì. I romanzi, per come la vedo io, devono essere romanzi e basta. La pedagogia è un’altra cosa. L’etica è un’altra cosa. La morale è un’altra cosa. 12) AT: Ci parleresti di un qualcosa a piacere legato al tuo libro di cui non abbiamo ancora trattato? SP: L’editing del testo è stato veramente minimo. E’ uscito praticamente così come l’avevo scritto. Eppure ci sono stati dei consigli, delle dritte, da parte della editor di agenzia, Serena Di Battista, e di quella di Guanda, Laura Bosio, senza le quali il romanzo non avrebbe avuto la stessa fortuna. Sono due persone in gamba, e non è un caso che siano entrambe donne. 13) AT: Mo basta con lo Zio. Parliamo del libro nuovo. Che ci dici al riguardo? SP: Si intitola “Voglio solo ammazzarti”. Comincia da dove finisce il primo, ma non mi piace vederlo come un sequel. E’ una storia a se stante, chiusa e completa, perfettamente comprensibile anche per chi non ha letto “Nel nome dello Zio”. 14) AT: I personaggi de “Nel nome dello Zio” torneranno? SP: Sì. Ci sarà lo Zio, sua moglie Gessica, e un altro paio di vecchie conoscenze.
15) AT: Ma Stefano Piedimonte che pensa della situazione letteraria italiana? SP: Permettimi di parlare bene, una volta tanto, della mia città. Napoli sta dando tantissimo alla letteratura italiana. E’ una città che sforna un talento dopo l’altro. Gli scrittori napoletani pubblicano tutti con editori del massimo prestigio, sono geniali, forti, carnali, innovativi. Sono arrabbiati. E’ come se il sangue gli ribollisse nelle vene. Qualcuno parla di una “scuola campana”. Non so se esista una scuola campana o no. Sta di fatto che Napoli, e in generale la Campania, dal punto di vista letterario è una miniera di diamanti. AT: L’intervista è finita. Salutaci in stile frizzantino. SP: Un abbraccio circolare a tutta la fascia d’ascolto. Zio vi benedica.
Stefano Piedimonte e Aniello Troiano
INTERVISTA A SAMUEL GIORGI AT: Ciao Samuel. Per una volta farai la parte dell’intervistato e non quella del redattore. Allora, come ci si sente? Spero bene. SG: Parafrasando un famoso film francese, diciamo: “Fin qui, tutto bene!”. 1) AT: Let’s go. Com’è nata l’idea per il Mangiateste? SG: L'idea è nata dall'incontro tra una mia ossessione personale e un fatto di cronaca. Mi riferisco al tema del 'suicidio'. Alla fine della mia adolescenza l'idea che qualcuno di molto vicino a me potesse togliersi la vita, diventa improvvisamente un fatto reale: due miei amici si tolgono la vita in modo estremamente drammatico e violento. Da allora il ricordo dei loro ultimi istanti abita in me, tornando regolarmente a ricordarmi come la nostra esistenza sia regolata da un fragile equilibrio tra follia e normalità. Il fatto di cronaca, invece, è uno di quegli eventi che ti investono mentre stai attraversando distratto un incrocio, un impatto che non riesci a evitare perché sei paralizzato dalla paura, e i cui segni li porterai sulla tua pelle per il resto della vita. Per me lo è stato la triste vicenda di Bridgend County. Dal 2007 al 2009 in una cittadina nel sud del Galles sono avvenuti ben settantanove suicidi, in gran parte adolescenti dai tredici ai diciassette anni. Fino a oggi nessuno è riuscito a scoprire le ragioni di tale tragedia.
2) AT: Perché hai scelto di ambientare la storia a Grazzeno, in Val d’Ossola? Perché il Piemonte e non la Lombardia, che è la tua regione? SG: L'idea era appunto di ricostruire quella vicenda in Italia, cercando una località che si avvicinasse il più possibile alla Death Town inglese (come la stampa ha ribattezzato Bridgend County). Avevo ben in testa come dovesse essere il paese, e confrontandomi con amici ho scoperto che la collocazione ideale era proprio la Val d'Ossola. Lì ho trovato le atmosfere e le tradizioni adatte a tessere la mia trama di orrore e desolazione. 3) AT: Quali letture ti hanno influenzato maggiormente? E quali hai odiato? (Ammettilo: anche tu come tutti noi a volte detesti dei libri…) SG: Ah, saperlo! È difficile dire quali fantasmi hanno la voce più alta nel dettarmi le visioni e gli incubi che decido di trasferire sulla carta. Il mio immaginario, grazie al cielo, sta evolvendo continuamente, ogni libro che leggo, ogni storia che ascolto e faccio mia, così come la vita di tutti i giorni, le biografie di coloro che incontro tutti i giorni, diventano materiale che volente o nolente tornerà in superficie in tutte le storie alle quali saprò dar vita. Faccio fatica a metterle in ordine di importanza. Per farti comunque felice, ti dirò che negli ultimi anni mi sono dedicato soprattutto ai grandi del thriller americano e ancora più recentemente sto scoprendo le voci del brivido nostrane. Per la seconda domanda, ammetto che anche io ho dei libri che ho amato meno, ma che tuttavia non mi hanno procurato particolare sofferenza: se non riesco a leggerli fino in fondo li mollo dove sono
arrivato. Nessuno ci obbliga a leggere per intero un libro che non ci piace. Nelle grosse città è pieno di bancarelle di libri usati. 4) AT: Hai iniziato a scrivere da pochi anni. Cosa ne dicono amici e parenti? SG: Grande sorpresa all'inizio, soprattutto per il genere di storie che scrivo che non trova riscontro nel tipo di persona che loro conoscono. Ma noi due, mio caro Aniello, sappiamo assai bene che il male e l'orrore adorano camuffarsi sotto l'ordinario e il quotidiano. La normalità (anche un volto solare e sorridente come il mio) spesso è il rifugio preferito per le ombre fitte e i demoni sanguinari. 5) AT: Il Mangiateste ha una certa componente horror. Ci racconti un aneddoto spaventoso legato a questo romanzo? O, se non ne hai, anche un aneddoto spaventoso e basta. Ma che sia vero. SG: Potrà sembrare strano o costruito, ma da quando è uscito il romanzo stanno accadendo fatti e coincidenze talvolta inquietanti. Alcune estremamente drammatiche. Senza entrare troppo nei dettagli, sappi che qualche giorno dopo la pubblicazione, i miei due vicini di casa sono stati trovati morti nel loro appartamento: il marito ha ucciso la moglie strangolandola sul divano e poi si è impiccato alla trave del soffitto. Non sto scherzando. Amici e lettori, poi, mi riportano testimonianze di misteriose coincidenze tra episodi narrati nel mio romanzo e fatti reali. Per farti un esempio, una ragazza originaria delle valli ossolane mi ha rivelato che dalle sue parti
c'è ancora l'usanza di ascoltare i racconti dei vecchi di montagna la sera con il camino acceso, alla luce di piccole candele. Si raccontavano storie di basilischi, contrabbandieri, piccoli nani e caproni, dove i caproni altri non sono che i defunti che decidono di prendere le anime dei vivi. Ecco, nel Mangiateste uno dei personaggi, prima di suicidarsi, è visitato proprio da due figure molto simili a un nano e un caprone. Credimi se ti dico che di queste storie ossolane, non avevo mai sentito parlare in vita mia. 6) AT: Il Mangiateste, però, è anche un romanzo piuttosto ironico. Ci racconti un aneddoto divertente legato a questo libro? SG: L'unica cosa che mi viene in mente è legata proprio al titolo. Come sai ho due figli. Mi è sempre risultato difficile raccontargli le classiche fiabe della buonanotte. È stato così che per loro ho inventato le avventure dei MangiaMangia, una simpatica collezione di mostri dotati di voci e accenti molto differenti tra di loro, ma ugualmente inquietanti. C'è, tanto per fare qualche nome, oltre al Mangiateste, anche il Mangiapancia, il Mangiaorecchie, il Mangiapiedi e via di questo passo. I bambini si divertivano un mondo, un po' meno la loro mamma, ma almeno non facevano troppi capricci per addormentarsi. 7) AT: E Luna Fontanasecca, da dove spunta? SG: Bella domanda. Forse rappresenta il mio lato femminile, tutti ne abbiamo uno. Il mio un giorno è uscito così: strambo, con la testa
sempre persa a leggere i pensieri della gente, ma poco incline a dare confidenza agli sconosciuti. 8) AT: Quanto tempo ci hai messo per scrivere la prima stesura? SG: Più o meno un anno. 9) AT: Quale aspetto della scrittura ti ha dato più filo da torcere? SG: Sicuramente è stato complicato trovare uno stile narrativo personale, il lavoro per dar vita a una forma narrativa costruita dall'intreccio di registri molto differenti tra di loro. Ma anche, se non soprattutto, dare al mio testo una fluidità di lettura alla quale sono arrivato a costo di terribili limature e rinunce. Togliere, semplificare, riscrivere. Una, due, dieci, mille volte. Un lavoro estenuante e spesso noioso. Ma preziosissimo. 10) AT: Pubblicare un romanzo con una grande casa editrice ti ha cambiato la vita in qualche modo? O ti ha reso solo un “Vip”? SG: La mia vita è stata cambiata non tanto dalla pubblicazione, quanto dalla scrittura stessa. Ha portato ritmi e manie che prima di allora non avrei mai sospettato potessero far parte del mio mondo. La pubblicazione in sé non ha portato grosse novità, tranne quella di aver incontrato nuove persone, di sapere che ce ne sono molte che mi leggono e che poi desiderano comunicarmi tramite internet quello che
hanno provato. Ogni volta è una gioia immensa. 11) AT: Hai mai pensato di scrivere un romanzo comico, una commedia? SG: In verità, mai, neppure un istante. Non credo si possa decidere di cosa scrivere. Per me, almeno, non lo è stato. Quello che hai dentro, nel profondo, se decide di uscire all'aria aperta lo fa nella forma e nello stile narrativo che la magia e il mistero dell'ispirazione decidono per te. A quel punto, tu sei solo un mezzo. O almeno mi piace pensarla così. 12) AT: Ci parleresti di un qualcosa a piacere legato al tuo libro di cui non abbiamo ancora trattato? SG: C'è una cosa di cui parlo poco, il modo in cui scrivo, nel senso dei luoghi e dei tempi che facilitano la mia scrittura. Non so se è una cosa particolare, condivisa da altri (a dirti la verità, conosco ben pochi scrittori), ma la prima stesura la riesco a realizzare solo in luoghi particolarmente affollati. I vagoni della metropolitana nelle ore di punta, i bar, i centri commerciali. Nel silenzio del mio studio faccio molta più fatica a sviluppare le idee, a lasciar fluire la storia, lì mi dedico ad altro, all'editing, alla trascrizione dei manoscritti, alle ricerche. Ah sì, dimenticavo, mi piace anche scrivere a penna e solo dopo a trasformare il tutto in pixel. Di solito cerco luoghi dove difficilmente rischio di incontrare persone conosciute. Se ne intravedo qualcuna, scendo e cambio vagone, o comunque mi allontano infastidito dal luogo in cui mi trovo. Se non ne ho la
possibilità, faccio finta di non averli visti, senza alzare gli occhi dalle pagine e stringendo ancora più forte la penna nera tra le dita paonazze. Il ritmo lo prendo dalle voci di sottofondo della folla. Talvolta pesco addirittura parole e mezze frasi e le inserisco all'interno del testo, ma succede di rado, solo se mi blocco e ho bisogno di guardare in un'altra direzione per 'svegliare' la storia. Adoro farmi ispirare dalle associazioni casuali, setacciare dal flusso di pensieri e parole che mi circondano, che siano scritte pubblicitarie, titoli di giornali, slogan stampati sulle magliette dei ragazzi o graffiti colorati sulle pareti dei palazzi. Nulla, forse, avviene per caso, oppure è proprio il caso che regola il nulla al quale tentiamo ogni giorno di dare un significato. 13) AT: Progetti per il futuro? SG: Come tutti quelli che si lasciano sedurre dal dolce tormento che è lo scrivere, il mio progetto è avere la possibilità di continuare a pubblicare le mie storie, e magari che un giorno questa diventi la mia unica, splendida, occupazione. 14) AT: I personaggi de “Il Mangiateste” torneranno? SG: Per quanto riguarda la squadra di indagine legata a Bruno Widmann e Luna Fontanasecca, direi proprio di sì. Almeno per il fatto che sto lavorando alla loro terza storia. Se ti riferisci, invece, a tutti gli altri personaggi che si incontrano nel Mangiateste, a questo purtroppo, non posso ancora dare risposta. Dovrai attendere un po'. 15) AT: Ma Samuel Giorgi che pensa della situazione letteraria italiana? SG: Tutto il bene possibile, in termini di autori, di ricchezza e varietà di voci e generi. Meno positiva forse è la situazione sul fronte dell'editoria, soprattutto nei confronti degli esordienti, per i quali la mancanza di risorse e la scarsa abitudine alla lettura dei nostri compaesani, spesso determinano carriere e fortune assai brevi. Anche quando, come nel mio caso, si ha la grazia di passare dalle grandi case.
AT: L’intervista è finita. Salutaci alla maniera del Mangiateste. SG: il Mangiateste non saluta mai le sue vittime: non avrebbe senso sprecare fiato per dei cadaveri! Un abbraccio a tutti!
Samuel Giorgi e Aniello Troiano
ARTICOLO: COPPIE GIALLE Da sempre, nelle storie, l'eroe protagonista ha bisogno di un contraltare per risultare il più coraggioso, il più forte, il più straordinario ed elevarsi al di sopra della gente comune. Anche nel giallo è così: tanto più l'assassino è astuto, senza scrupoli e abile nel celare le tracce della propria colpevolezza, tanto più l'investigatore sarà in gamba quando riuscirà a metterlo con le spalle al muro e lo consegnerà alla giustizia. È sempre la dicotomia che getta le luci radenti su un lato e l'altro della medaglia, facendole contrastare e quindi mettendole in mostra. Spesso però, nelle detective stories, c'è un altro contraltare che gioca un ruolo primario nella costruzione di una narrazione avvincente. Elementare, Sherlock Sherlock Holmes è un individuo dalla mente brillante, pronta ai collegamenti e al saper cogliere i dettagli, anche quelli più minuti che a un occhio meno smaliziato sfuggirebbero. Per contro, è indisponente, sarcastico fino all'essere caustico, annoiato dal mondo e dalle creature che lo abitano. Se Holmes fosse stato l'unico protagonista dei romanzi a lui intitolati, avrebbe avuto non poche difficoltà. La presenza al suo fianco di John Watson risulta indispensabile: il dottore è una creatura posata, educata e affabile, più lenta nel corpo e nello spirito rispetto al compagno in corsa costante. Attraverso la presenza di Watson scopriamo Holmes: John non è stupido, non è turlupinabile né inferiore a nessuno, nel tessuto sociale in cui la storia prende piede. Non più di quanto sia sciocco il lettore medio. Eppure è stupido rispetto a Holmes; è raggirabile quando Sherlock non lo è affatto, è scialbo quanto il suo compagno è eccentrico e sopra le righe. Nessuno, tuttavia, leggendo pensa che Watson sia uno sciocco, cogliendo bene lo spirito del personaggio attraverso la narrazione in prima persona. Si evince perfettamente, invece, quanto sia brillante Holmes, quanto sia intelligente, quanto sia tutto quello che un essere umano comune normalmente non è. Ecco qual è il vero ruolo del querulo Watson: far risaltare l'apocalittico compagno d'avventura. Un meccanismo elementare, ma quanto mai efficace.
Il mio signore e il mio “donno” Questa è l'espressione che Archie Goodwin si diverte a usare per riferirsi al suo eccentrico, misogino, mastodontico datore di lavoro (per quanto “donno” sia un arcaismo derivato dal latino “domine”, cioè padrone, il doppio senso che ne deriva è comunque gustosissimo). Anche per Nero Wolfe e Archie Goodwin vale quanto si è detto per Holmes e Watson: diversissimi, i due componenti della coppia si completano l'un altro. Wolfe è grasso, pignolo, amante delle orchidee e dei piaceri della tavola. Considera il lavoro un fastidio bello e buono a cui dedicarsi il minimo sindacale – e con la sua abile mente, per fortuna non gli è difficile – in modo da mantenere il tenore di vita a cui è abituato. Archie Goodwin invece deve per forza considerarlo a tempo pieno, dal momento che oltre alle normali occupazioni che competono il suo lavoro di segretario, è costretto a far fronte a ogni più piccola richiesta del dispotico detective. Tanto più quanto Wolfe è immobile e inamovibile dalla sua scrivania e dalle sue orchidee, tanto più l'atletico Archie deve correre da una parte all'altra della città per verificare indizi, prove e pedinare sospetti. Quello che risulta evidente e talmente gradevole da diventare uno dei punti forti dei racconti e dei romanzi di questo genere, è la tensione che si viene a creare tra i due compagni di lavoro. Due caratteri tanto diversi finiscono per entrare in collisione, scontrarsi su differenti punti di vista e spesso mettere in dubbio le convinzioni dell'altro. Non mancano scontri dialettici, nascono sfide verbali e volano frecciatine volte a stuzzicare ora il geniale detective, ora lo stanco aiutante. L'interazione, frizzante e fresca, risulta una delle caratteristiche più ricercate dai lettori negli episodi seriali, portandoli ad affezionarsi alla coppia e a seguirla nei battibecchi tanto quanto nelle ricostruzioni delle indagini, ritrovando il proprio affetto per i personaggi nell'affetto reciproco che essi stessi portano l'un altro.
Dalla stessa parte Spesso il lato geniale della coppia si trova in difficoltà , troppo impantanato nel livello di congetture e di teorie che hanno stratificato le indagini e non riesce piÚ a vedere la situazione obiettivamente. Se non ci riesce la mente abile, a mettere il colpevole con le spalle al muro, che speranza ha la povera spalla? Invece, quello che accade, è che proprio l'aiutante fornisce senza rendersene conto gli spunti decisivi per il rush finale. Il lavoro in coppia allora non diventa solo divertente, ma anche necessario: davanti a un antagonista troppo grosso, il delitto che si cela nel mistero, gli eroi si stringono l'un l'altro per diventare piÚ forti ancora.
Scilla Bonfiglioli
ARTICOLO: MISTERO - PERCHÉ SI LEGGE POCO?
Che in Italia si legga poco e niente è cosa risaputa. Ma se si mettono da parte i dati e le percentuali, e si sposta la lente d’ingrandimento sui motivi per cui il popolo di Dante non legge, la questione si fa molto meno chiara. In questo articolo, cercherò di risalire alle radici del problema procedendo per logica. Un’indagine: di chi è la colpa se nessuno o quasi legge? Fa anche un po’ giallo, se vogliamo. Procediamo con l’esame dell’alibi dei vari sospettati.
Numero 1: la mancanza di tempo. Quante volte avete sentito dire cose del tipo: “Vorrei tanto leggere un bel romanzo, ma non ho proprio tempo!”. Io tante, troppe per riuscire ancora a sopportare una scusa così debole. Perché se uno non vuole leggere non legga, nessuno lo obbliga, ci va a perdere solo lui; ma almeno bisogna avere l’onestà di prendere posizione, di non nascondersi dietro un ridicolo “vorrei ma non posso”. Sì, perché com’è che noi lettori il tempo lo troviamo? Siamo tutti disoccupati? Non direi. Abbiamo accesso alla stanza dello spirito e del tempo di Dragon Ball? Magari… Semplicemente, se ti piace fare qualcosa il tempo per farla lo trovi. Com’è che il tempo per cazzeggiare su Facebook o per guardare Real Time lo trovate?
Numero 2: il costo. “L’altro giorno sono andato in libreria, ho visto un bel romanzo, però che diamine, 18 euro!” Altra frase ricorrente. Ok, che alcuni libri costino un po’ troppo è vero. Specialmente per chi non lavora. Però: - ci sono le collane economiche. Non ditemi che non potete permettervi un libro da 10, 9, 8, 7, o anche 5 euro una volta al mese, o ogni due mesi, ogni tre… - comprando sugli store online ci sono sconti anche notevoli. - si possono comprare libri usati. - ci sono le biblioteche, che ci permettono di leggere gratis. Insomma, magari non vi va di spendere 18-20 euro per un romanzo. Lo capisco, capita anche a me. Però, perché non comprare un altro romanzo a 9? Perché l’autore non è famosissimo? E se volete per forza quel libro, perché non comprarlo appena lo fanno in economica? Perché a quel punto sarà passato di moda? Numero 3: lo studio. “Eh, già leggo i libri dell’università, ci manca solo che mi metto a leggere pure i romanzi…” Secondo questa teoria brillante, un manuale di fisica, di legge, di medicina, di ingegneria, di quelchevoletelogia è uguale a un romanzo. Non credo ci sia bisogno di argomentare.
C’è poi il caso degli studenti di Lettere (la mia facoltà) che si nascondono dietro l’alibi del “Eh, ma già leggo i classici per l’università…”. Leggi i classici? Bene. Ma sai, si presuppone che a te, studente di lettere, leggere piaccia tantissimo. Non mi dire che una decina di classici all’anno ti bastano… Numero 4: mi annoia. “Ci ho provato a leggere, ma mi annoia…” Frase all’apparenza logica, corretta. Uno prova a leggere, si scoccia e amen. Eppure, anche questa scusa in realtà regge poco. Leggere ti annoia. Leggere. Non leggere i Promessi Sposi, hai detto proprio leggere. Quindi hai già letto tanti romanzi diversi, hai provato con vari generi, vari stili, diversi approcci alla scrittura. Hai letto praticamente tutto, per poter dare un giudizio così… totale. Cosa vuoi che ti dica, a una persona colta come te non si può controbattere. Siamo arrivati al classico punto delle storie gialle in cui gli investigatori hanno abbastanza dati su cui riflettere. Quindi prendiamoci una pausa dagli interrogatori e analizziamo i punti in comune tra i casi su citati. - qualcuno lamenta la mancanza di tempo, ma chi ama la lettura il tempo lo trova. - qualcuno si appiglia al costo, ma ci sono le biblioteche, le collane economiche, l’usato; e poi qui si parla di non leggere proprio, di non spendere nemmeno 10, 20 euro l’anno in libri. Insomma, cifre alla portata di tutti. Chi ama la lettura, però, i soldi li trova.
- qualcuno dice che leggendo libri per l’università non ha bisogno anche dei romanzi. Chi ama la lettura, però, al testo universitario di biochimica affianca un romanzo con piacere. - qualcuno dice che leggere lo annoia. Non serve essere Sherlock Holmes per capire che il punto in comune tra i quattro alibi è la mancanza di amore per la lettura. Che non dipende né dalla mancanza di tempo, né dalla mancanza di soldi, né dallo studio. Ma quindi, da cosa dipende? Riagganciamoci alle parole dette dall’indiziato numero 3: “Eh, già leggo i libri dell’università, ci manca solo che mi metto a leggere pure i romanzi…” E ora alla domanda posta al numero 1: “Com’è che il tempo per cazzeggiare su Facebook o per guardare Real Time lo trovate?” Il movente non può che essere questo: la lettura non viene vista come qualcosa di divertente, piacevole, ma come un qualcosa legato allo studio, un’attività utile ma pallosa.
Cos’ha causato questo trauma nella mente del nostro serial killer, che ogni anno ammazza libri su libri facendoli riempire di polvere e mandandoli al macero, ma soprattutto ammazza la possibilità di divertirsi in un modo unico? Ecco qualche ipotesi: - a casa non ha avuto esempi positivi: se vedi papà appassionarsi al calcio e non leggere mai un libro, molto probabilmente ti appassionerai al calcio e non leggerai nessun libro per piacere personale. Piccolo inciso: non ce l’ho con il calcio. Potete sostituire al pallone qualsiasi altra forma di intrattenimento amata dal grande pubblico. - a scuola gli hanno proposto sempre libri pesanti e poco adatti alla sua età. “I Promessi Sposi” a quindici anni non potrà mai coinvolgerti. E studiarlo serve a poco: solo a creare delle menti piene di nozioni, spesso incapaci di esprimersi in italiano correttamente. Già da questo punto in poi il nostro si è allontanato abbastanza dai libri da sviluppare il germe del serial killer letterario, inconsapevole assassino di romanzi. Però, nel corso della sua vita, il nostro assassino ha qualche momento di pentimento. Va in libreria, o comunque si avvicina a un libro e prova a leggerlo. Si trova davanti delle storie mediocri e lontane dal mondo reale scritte con un linguaggio molto lontano dal parlato, perché lo scrittore deve far vedere che lui sa scrivere bene, se no mica diventava scrittore. E allora il nostro serial killer sapete che fa: legge un paio di pagine al massimo e si dice “avevo ragione”. E torna ad ammazzare più fiero e ostinato di prima. Ah, della serie: siamo propositivi. Lo psicologo criminale consiglia agli scrittori di sforzarsi il più possibile per avvicinarsi alla vita vera, sia nei contenuti che nello stile; dato che per quanto riguarda genitori e istruzione non possiamo fare nulla. Questo non vuol dire, sempre a detta del dottore, che non si possa scrivere roba diversa o fantastica, o che non si possa rimodellare la realtà di tutti i giorni. Conta come lo si fa, come si racconta. Magari una buona idea potrebbe essere evitare frasi come:
«Era il calco psichico di un languore immemorabile che nessuna azione avrebbe potuto riscuotere dal suo sonno comatoso», frase riportata da un romanzo vero, “Il rumore sordo della battaglia” di Antonio Scurati, citata anche nel saggio “L’importo della ferita e altre storie” di Pippo Russo. E ancora, tanto per dirne una: avete notato qual è la caratteristica in comune tra tanti autori (non già famosi per cose che non c’entrano con la scrittura) che vendono abbastanza? Provate a indovinare… Uno stile colloquiale, esatto. Scrivi come parli, insomma. Certo, questo tipo di approccio non basta per scrivere un buon libro, ma direi, anzi, lo psicologo criminale dice, che è un buon inizio.
Aniello Troiano
ARTICOLO: GLI UCCELLI Mai giudicare un libro dal film che ne è stato tratto, ammoniva J. W. Egan: un ottimo consiglio (nove volte su dieci, ammettiamolo, la visione del film ci strappa di bocca il classico "certo che il libro è un'altra cosa", e tanto peggio per chi, non resistendo al fascino delle immagini, finisce per guastarsi la lettura)... che ci prendiamo il lusso di non seguire! Perché può capitare che una trasposizione cinematografica non soltanto regga il confronto ma finanche superi in qualità ed eleganza la sua pur pregevole fonte letteraria. E' il caso di “The Birds”, capolavoro hitchcockiano ispirato all'omonimo racconto della scrittrice britannica Daphne Du Maurier. Di quest'ultimo, il film cult diretto dal Maestro del Brivido (che ha recentemente festeggiato il suo primo mezzo secolo di vita e di successi: la pellicola uscì infatti nelle sale americane il 28 marzo 1963) non conserva che l'ossatura, il motivo conduttore: l'inspiegabile, feroce rivolta di una moltitudine di uccelli delle specie più varie, e quindi della natura tutta, contro l'uomo. "Nat prestò ascolto al rumore del legno che veniva ridotto in schegge" leggiamo nella parte conclusiva del racconto "e si domandò quanti milioni di anni di memoria fossero rinchiusi in quei cervellini, dietro quei becchi appuntiti, quegli occhi penetranti, e che ora alimentavano l'istinto di distruggere l'umanità con l'abile precisione delle macchine". Ecco la suggestione, l'interrogativo che muove la narrazione e corre sotto la pelle del thriller movie più inquietante di Sir Alfred Hitchcock: perché gli uccelli attaccano l'uomo?
Domanda che è destinata a rimanere senza risposta e che costituisce, come si è accennato, l'unico vero punto di contatto fra due opere che più diverse non si potrebbe. Se da una parte, infatti, il racconto della Du Maurier, ambientato in una non meglio precisata campagna inglese frustata dai primi freddi dell'inverno, è incentrato sul personaggio di Nat Hocken, invalido di guerra e fattore a mezzo servizio impegnato a salvare se stesso e la propria famiglia da un poderoso assedio alato, l'azione del film si svolge quasi interamente nell'incantevole scenario di Bodega Bay, piccolo porto sul Pacifico a poche decine di miglia da San Francisco. Quando Melania Daniels, ricca e alquanto viziata "figlia di papà", giunge alla baia con una coppia di lovebirds (i pappagallini verdi cosiddetti "inseparabili") dentro una gabbia dorata, cominciano a verificarsi strani e inquietanti episodi: corvi e gabbiani, quasi fossero mossi da una diabolica forza sovrannaturale, si avventano sulla popolazione del luogo e sulla stessa Melania in un crescendo di morte e distruzione. Una tragedia dell'inspiegabile narrata in maniera a dir poco superba... e non poteva essere altrimenti visto e considerato che al genio visionario del Maestro si affianca il talento narrativo di Evan Hunter – vero nome di un certo Ed McBain, scusate se è poco! – , autore di una sceneggiatura che colpisce, emoziona e non si dimentica. Simona Tassara --- articolo originariamente pubblicato sul blog di Uno Studio In Giallo: http://unostudioingiallo.blogspot.it
ARTICOLO: IL DELITTO PERFETTO Una buona sceneggiatura è tutto. Se si dovesse poi disporre di un'ottima sceneggiatura – un eccellente testo teatrale, poniamo il caso, firmato da quell'autentico genio della drammaturgia che è stato Frederick Knott – si correrebbe perfino il rischio di mettere in scena la miglior commedia gialla che si sia mai vista sul grande schermo. Certo bisognerebbe cavar fuori dal cilindro una coppia d'attori del calibro di Ray Milland e Grace Kelly, e una regia sapiente, misurata, fedele al testo e al contempo velata di originalità. Pochi - ma indispensabili - ingredienti, in fin dei conti, e “Il delitto perfetto” è servito. Alfred Hitchcock realizzò la trasposizione cinematografica dell'omonimo dramma di Frederick Knott (il bel titolo originale, “Dial M for Murder”, allude al quartiere londinese di Maida Vale in cui si svolge la vicenda) nel 1953, a poco più di un anno dalla fortunata première britannica; la pellicola, girata pressoché interamente nel salotto "bene" di casa Wendice – mobili Chippendale, statuette Wedgwood e stampe di Rosa Bonheur, tanto per gradire! – nel rispetto delle regole aristoteliche di unità di luogo, tempo e azione e dell'origine teatrale dello script, ottenne subito un folgorante successo di cui non è difficile comprendere le ragioni. In primo luogo l'estrema raffinatezza e ingegnosità dell'intreccio. "Dial M for Murder" coniuga gli elementi del giallo tradizionale – delitto, castigo e un'indagine che tiene col fiato sospeso pur essendo nota sin dall'inizio l'identità del colpevole... perché vi è pur sempre una falla, una crepa da individuare: l'errore che rende qualsiasi crimine, nella realtà o sulla carta, inevitabilmente imperfetto – con le cadenze della
commedia brillante mettendo in scena un rompicapo che avvince e coinvolge lo spettatore dalle prime battute all'impagabile sorpresa finale. In secondo luogo, come si è accennato, il cast attoriale: se da un lato la futura Princesse Grace è a dir poco superba negli elegantissimi panni di Margot Wendice, vittima designata del diabolico marito ma soprattutto delle proprie debolezze, Ray Milland rasenta e a tratti prepotentemente raggiunge - la perfezione nel prestare volto, voce e movenze a un villain coi controfiocchi, tra i più untuosi e convincenti che siano mai scaturiti dalla penna di un giallista. Ultimo ma non ultimo John Williams, attore caro a Sir Alfred (esordì nel 1947 ne "Il caso Paradine" e lo ritroveremo, nel 1955, in Caccia al ladro) che qui offre una caratterizzazione magistrale dell'ispettore capo Hubbard conferendo al pur riuscitissimo deus ex machina delineato da Knott un sovrappiù di ironica, sorniona autorevolezza: nel momento stesso in cui entra in scena abbiamo la certezza che, in un modo o nell'altro, la faccenda verrà risolta e l'ordine ristabilito. Non vi è nulla di scontato, tuttavia, in quest'opera che manderà nel proverbiale brodo di giuggiole i fanatici del poliziesco all'inglese senza scontentare chi non si muove con passo sicuro sul terreno del whodunit. Pur riprendendo, come si è detto, gli elementi più tipici del giallo deduttivo, il lavoro in commento ha il pregio di rielaborarli con grazia e destrezza conservandone lo spirito e il messaggio. Quando riesplode la luce in sala, o cala il sipario, riusciamo perfino a cullarci nella - fuggevole, ahimé - convinzione che il crimine, dopotutto, non paga. Un conforto che tanta letteratura d'oggi, con una discreta dose di perfidia, ha scelto di negare ai propri lettori. Simona Tassara --- articolo originariamente pubblicato sul blog di Uno Studio In Giallo: http://unostudioingiallo.blogspot.it
ARTICOLO: TROPPI CAFFÈ PER SARTI ANTONIO, parte I
Su Sarti Antonio e sul suo creatore, Loriano Macchiavelli, abbiamo già scritto tanto che parlarne ancora ci sembra ripetitivo. Con questo approfondimento vorremmo invece raccontare il “lato oscuro” di Sarti Antonio. Il profilo di un personaggio seriale. E’ appena uscito “L’ironia della scimmia“, il venticinquesimo romanzo che ha come protagonista il sergente di Polizia che non riesce a comportarsi da questurino. Questo lo rende il personaggio seriale più longevo del noir italiano. Dal 1974 a oggi, un bel percorso. Forse non tutti lo sanno ma Macchiavelli, il 3 Aprile del 1987, ha “ucciso” Sarti Antonio. Ammazzato con un colpo di P38 in testa. Perché? L’autore (nella prefazione della raccolta di racconti “Un poliziotto, una città”) racconta di averlo ucciso perché non lo sopportava più. Quale il motivo di questo astio nei confronti di uno dei più importanti
personaggi del noir del nostro paese? La risposta è semplice: la critica era riuscito a farglielo odiare. La provocazione di Macchiavelli è proprio questa: un personaggio seriale, in Italia, non riesce ad avere vita facile. La critica, dopo averlo osannato per un paio di libri, poi non si fa problema a definirlo noioso, ripetitivo, privo di slancio. Il commissario Maigret (circa un centinaio i romanzi che lo vedono protagonista) in Italia, non sarebbe andato oltre il quarto romanzo. Ma è davvero così? La letteratura popolare si è sempre servita di protagonisti che, a volte a distanza di appena una settimana, tornavano sotto gli occhi dei lettori. Pensiamo alla letteratura dell’ottocento. Il romanzo giallo (o noir), che è ritenuta la moderna letteratura popolare, è quello che più ha utilizzato il personaggio ricorrente, in passato come oggi. Credo che il motivo sia da ricercare nelle sue origini e nelle prerogative che gli sono proprie e che lo distinguono da altri generi letterari: il mistero, il delitto, l’indagine, un luogo ben definito (meglio se reale), l’analisi sociale (in realtà cosa spinga al delitto è uno dei misteri ancora da svelare), l’introspezione … Il romanzo d’indagine è nato così, con Auguste Dupin, più volte utilizzato da Poe nei suoi racconti, e così è stato apprezzato da milioni di lettori che si sono affezionati al personaggio ricorrente.
Ricordo che quando scrivevo il primo romanzo con Sarti Antonio, sergente, mi venne istintivo pensare che, alla fine della storia, non sarebbe sparito, che lo avrei ritrovato. Vogliamo dire che mi ci ero affezionato? Forse è accaduto lo stesso ai lettori.
Omar Gatti e Loriano Macchiavelli articolo giĂ pubblicato su Noir Italiano http://noiritaliano.wordpress.com
ARTICOLO: TROPPI CAFFÈ PER SARTI ANTONIO, parte II
Se ci fate caso, il noir in Italia è pieno di personaggi seriali, che incontriamo per parecchi romanzi di fila. Il primo della lista fu il poco apprezzato (perché inviso al regime fascista) commissario De Vincenzi, creato dall’autore Augusto De Angelis. Un commissario controcorrente, che ascolta musica “ambigua e negroide” (questa la definizione del jazz durante il Ventennio). Moltissimi autori devono la propria fortuna letteraria alla creazione di un personaggio che faccia da “filrouge” tra i vari romanzi, al quale i lettori possano affezionarsi e identificarsi. Lo stesso Scerbanenco ha gettato le basi del noir in Italia utilizzando la figura di Duca Lamberti in quattro differenti romanzi, che avrebbero potuto essere sei (esistono solo le bozze di “Safari per un mostro” e de “Le sei assassine”, che si possono trovare nella raccolta “Il ritorno del Duca”).
Il personaggio ricorrente non nasce nel corso di un sol romanzo. Lo si costruisce storia dopo storia: ricordo ai lettori come il personaggio del maresciallo Benedetto Santovito (inventato assieme a Francesco Guccini) abbia trovato la sua completezza, cioè abbiamo saputo di lui, del suo passato e delle sue caratteristiche, al termine della serie di cinque libri. Noi stessi, come autori, lo andavamo scoprendo romanzo dopo romanzo. Mi piacerebbe dire che il personaggio si completa nonostante l’autore. Addirittura vive a dispetto dell’autore, com’è accaduto a me per Sarti Antonio, sergente. Sempre che sia un personaggio riuscito. E per riuscito intendo che entri nella fantasia dei lettori e ci resti anche dopo la fine del romanzo. Non accade sempre. Io sono stato fortunato: due dei miei tre personaggi continuano a vivere nella memoria di chi l’ha conosciuto. Direi addirittura che continua a vivere in una vita parallela a quella reale (ma quale è la vita reale?) che sembra esistere per i personaggi e i mondi letterari. Se io tengo presente queste cose, “avere già un personaggio pronto” non può che aiutarmi. È come se ritrovassi un amico ogni volta che mi metto alla scrittura. A pensarci bene, così a memoria, i personaggi seriali nel noir italiano sono tantissimi. L’Alligatore di Massimo Carlotto, il commissario Soneri di Valerio Varesi, Giorgia Cantini di Verasani, il Gorilla di Sandrone Dazieri, la Guerrera di Marilù Oliva, la professoressa Baudino di Margherita Oggero, solo per citarne pochissimi. Questi personaggi hanno tutti in comune una particolarità: creano affetto tra i lettori, che si appassionano non solo alle trame poliziesche trattate nei vari romanzi ma anche alle vicende personali del protagonista.
Quindi creare un personaggio seriale è sinonimo di affezione del pubblico e quindi di maggiori possibilità di vendita? Non sempre. Quanti sono i personaggi che, nelle speranze dell’autore, dovrebbero entrare nell’immaginario dei lettori e poi non accade? È successo anche a me con Poli Ugo, lo Zoppo, ma questa è un’atra storia, come direbbe l’amico Carlo. In verità (e vi prego di credermi), non ho mai pensato alle vendite. Quando ho ripreso Sarti Antonio, sergente, per il secondo romanzo, ancora non sapevo (e non m’importava) quanto avesse venduto il primo. Mio problema era: l’editore mi stamperà anche questo? Nella domanda era implicito il problema delle vendite, ma non me l’ero posto nei termini giusti.
Omar Gatti e Loriano Macchiavelli articolo già pubblicato su Noir Italiano http://noiritaliano.wordpress.com
NOVITA’ EDITORIALI Joël Dicker: La verità sul caso Harry Quebert Editore: Bompiani Collana: Letteraria Straniera Pagine: 784 ISBN: 45273285 Prezzo di copertina: 19,50 In libreria dal 29 maggio 2013 Estate 1975. Nola Kellergan, una ragazzina di 15 anni, scompare misteriosamente nella tranquilla cittadina di Aurora, New Hampshire. Le ricerche della polizia non danno alcun esito. Primavera 2008, New York. Marcus Goldman, giovane scrittore di successo, sta vivendo uno dei rischi del suo mestiere: è bloccato, non riesce a scrivere una sola riga del romanzo che da lì a poco dovrebbe consegnare al suo editore. Ma qualcosa di imprevisto accade nella sua vita: il suo amico e professore universitario Harry Quebert, uno degli scrittori più stimati d’America, viene accusato di avere ucciso la giovane Nola Kellergan. Il cadavere della ragazza viene infatti ritrovato nel giardino della villa dello scrittore, a Goose Cove, poco fuori Aurora, sulle rive dell’oceano. Convinto dell’innocenza di Harry Quebert, Marcus Goldman abbandona tutto e va nel New Hampshire per condurre la sua personale inchiesta. Marcus, dopo oltre trent’anni deve dare risposta a una domanda: chi ha ucciso Nola Kellergan? E, naturalmente, deve scrivere un romanzo di grande successo.
Emmanuel Carrère: L’Avversario Editore: Adelphi Fabula Pagine: 169 ISBN: 9788845927867 Prezzo di copertina: 17,00 euro E-book: 9,99 euro In libreria dal 29 maggio 2013 Traduzione di Eliana Vicari Fabris Il 9 gennaio 1993 Jean-Claude Romand ha ucciso la moglie, i figli e i genitori, poi ha tentato di suicidarsi, ma invano. L'inchiesta ha rivelato che non era affatto un medico come sosteneva e, cosa ancor più difficile da credere, che non era nient'altro. Da diciott'anni mentiva, e quella menzogna non nascondeva assolutamente nulla. Sul punto di essere scoperto, ha preferito sopprimere le persone di cui non sarebbe riuscito a sopportare lo sguardo. È stato condannato all'ergastolo. Sono entrato in contatto con lui e ho assistito al processo. Ho cercato di raccontare con precisione, giorno per giorno, quella vita di solitudine, di impostura e di assenza. Di immaginare che cosa passasse per la testa di quell'uomo durante le lunghe ore vuote, senza progetti e senza testimoni, che tutti presumevano trascorresse al lavoro, e che trascorreva invece nel parcheggio di un'autostrada o nei boschi del Giura. Di capire, infine, che cosa, in un'esperienza umana tanto estrema, mi abbia così profondamente turbato – e turbi, credo, ciascuno di noi». Emmanuel Carrère
Claudia Piñeiro: La crepa Editore: Feltrinelli Collana: I Narratori Pagine: 282 EAN 9788807030451 Prezzo di copertina: 14,00 euro E-book: 9,99 euro In libreria dal 29 maggio 2013 Traduzione di Pino Cacucci Nella vita da uomo qualunque dell’architetto Pablo Simó c’è una fessura inconfessabile, una crepa che gli tormenta la coscienza: Nelson Jara. Forse era solo un piccolo truffatore, una “canaglia”, ma anche Pablo Simó sa di essere una canaglia, nonostante l’apparenza di irreprensibile professionista e buon padre di famiglia. Come una crepa che si allunga e si allarga, tutte le piccole certezze quotidiane di Pablo si sgretolano: una giovane donna che sembra sapere chissà cosa su Jara scatena in lui un’attrazione dirompente, la famiglia va in frantumi, il lavoro diventa insopportabile, e passo dopo passo la tentazione di essere canaglia fino in fondo lo travolge. Ancora una volta Claudia Piñeiro ci narra i piccoli inferni di una variegata umanità, nella monumentale Buenos Aires invasa dal cemento delle speculazioni edilizie dove l’apparenza, più che mai, inganna.
Gianni Farinetti: Rebus di mezza estate Editore: Marsilio Collana: Farfalle / I GIALLI Pagine: 368 ISBN: 9788831715652 Prezzo di copertina: 18,00 euro In libreria dal 29 maggio 2013 Possibile che un pericoloso killer si aggiri indisturbato nelle impervie eppur domestiche Alte Langhe piemontesi? Parrebbe di sì, dato che fra residenze di campagna, calici di sauternes, bagnacauda e barbera, fastosi o scombinati matrimoni, avvenenti – o meno, alcune parecchio meno – signore firmate, pattuglie della polizia, castelli aviti, cascine crollate, lugubri marchesi, giovani formaggiai, astuti pataccari, vedove, cani, gatti, caprioli, cinghiali, volpi, tassi e ghiri, boschi, pizzerie, barche in costruzione nel porto dei Savona, scrittrici fasulle e giovinastri di paese, atavici odii fra vicini e patrimoni trafugati (ma altri solidissimi), un assassino misterioso semina in una manciata di ore una serie di sanguinosi omicidi. Una commedia nera, nerissima, e un inestricabile rompicapo di mezza estate (giugno, tempo stupendo, nelle più grandiose e segrete colline del nord Italia) risolto, com'è naturale, dal flemmatico maresciallo Giuseppe (Beppe) Buonanno comandante della stazione CC di Monesiglio coadiuvato da Sebastiano Guarienti, noto - molto noto agli affezionati lettori della saga farinettiana - sceneggiatore nato a Bra (Cn). Finale, dunque, nella tradizione. Forse. Un giallo pieno di verve e di suspense ambientato nelle Langhe, in uno scenario apparentemente idilliaco sotto cui covano odi, invidie e rancori.
Andrea Camilleri: Un covo di vipere Sellerio Editore Palermo La memoria n. 929 Pagine: 272 EAN 9788838930539 10ª edizione Prezzo di copertina: 14 euro E-book: 9,99 euro In libreria dal 30 maggio 2013 «Il ragioniere Cosimo Barletta, sciupafemmine compulsivo e strozzino, è stato trovato morto: ucciso con modalità che a prima vista appaiono inesplicabili, e addirittura insensate. Montalbano indaga sui segreti impenetrabili di una famiglia e sui misteri di una comunità. Sui rapporti di sangue e quelli di affinità. Entra nei recessi e nei meandri di tante vite private». Sognando, Montalbano è entrato in un sogno dipinto da Rousseau il Doganiere. Si è ritrovato, insieme alla fidanzata Livia, nel respiro di luce e nella convivenza innocente di un’edenica foresta. Gli intrusi riconoscono il luogo solo grazie a un cartello inciso a fuoco. Sono nudi. Ma portano addosso l’ipocrisia di foglie di fico posticce, fatte di plastica. L’armonia dell’eden, la sua mancanza di volgarità e violenza, è una finzione pittorica. Non appartiene a nessun luogo reale. E neppure ai sogni. Ciononostante, anche nella cieca e brutale realtà può sopravvivere la delicatezza del canto discreto e cortese di un uccello del paradiso saltato giù dai rami dipinti o sognati.
Montalbano viene svegliato dal fischiettare di un garbato vagabondo che intona Il cielo in una stanza, con «alberi infiniti», imponendosi sul fracasso di un temporale. La filologia congetturale del commissario deve applicarsi al fondo torbido e malsano di esistenze nascoste e incarognite dal malamore, dagli abusi e dalle sopraffazioni, dalla crudeltà e dalla sordidezza, dalle ritorsioni e dai ricatti, dalla gelosia e dal rancore: non meno che dall’interesse. Il ragioniere Cosimo Barletta, sciupafemmine compulsivo e strozzino, è stato trovato morto: ucciso con modalità che a prima vista appaiono inesplicabili, e addirittura insensate. Montalbano indaga sui segreti impenetrabili di una famiglia e sui misteri di una comunità. Sui rapporti di sangue e quelli di affinità. Entra nei recessi e nei meandri di tante vite private. Fa i conti con sensazioni equivoche, desolazioni, e disperate tenerezze. Incontra figuranti di sofisticata semplicità o di apatica frigidezza. Va alla ricerca di un testamento annunciato e paventato, ma che forse non c’è. Montalbano ha davanti un muro di buio, dietro il quale avverte qualcosa di terribile che lo spaventa. Si lascia risucchiare da un abisso, lungo una linea di faglia che gli dà le vertigini. Confinato nella sua solitudine, sente con trepidazione che il momento della verità si approssima. Aguzza l’ingegno. Ma il suo sguardo è tutt’altro che spietato. Compassionevole, il commissario raccoglie dalla divina foresta di Rousseau il Doganiere l’eco ancora riascoltabile di una aerea nota. E, senza prurigini, ha rispetto per il vero pudore: per la nudità, alla fine, di chi non è innocente e non è del tutto colpevole. Chiude il caso tragico, pietosamente: con dolorosa malinconia. Non dà voti di condotta. Dal dramma Hedda Gabler di Ibsen ha imparato a sondare le psicologie controverse. E dal film Il cattivo tenente di Abel Ferrara ha appreso la forza della comprensione. Camilleri lascia che la sua scrittura pulsi di tutto un inventario di inquietudini letterarie e cinematografiche, e di atavici spaventi. Scrive un romanzo di solido impianto, su colpe che raggelano quanto il terrore gorgonico in una tragedia greca. Salvatore Silvano Nigro
Stephen King: Joyland Editore: Sperling & Kupfer Collana: Pandora EAN: 978882005427 Pagine: 360 Prezzo di copertina: 19,90 euro In libreria dal 4 giugno 2013 Estate 1973, Heaven's Bay, Carolina del Nord. Devin Jones è uno studente universitario squattrinato e con il cuore a pezzi, perchè la sua ragazza lo ha tradito. Per dimenticare lei e guadagnare qualche dollaro, decide di accettare il lavoro in un luna park. Arrivato nel parco divertimenti, viene accolto da un colorito quanto bizzarro gruppo di personaggi: dalla stramba vedova Emmalina Shoplaw che gli affitta una stanza ai due coetanei Tom ed Erin, studenti in bolletta come lui e ben presto inseparabili amici; dall'ultranovantenne proprietario del parco al burbero responsabile del Castello del Brivido. Ma Dev scopre anche che il luogo nasconde un terribile segreto: nel Castello, infatti, rimasto il fantasma di una ragazza uccisa macabramente quattro anni prima. E così, mentre si guadagna il magro stipendio intrattenendo i bambini con il suo costume da mascotte, Devin dovrà anche combattere il male che minaccia Heaven's Bay. E difendere la donna della quale nel frattempo si è innamorato.
Carlo Lucarelli: Il sogno di volare Editore: Einaudi Collana: Stile libero Big Pagine: 280 Prezzo di copertina: 18,00 euro ISBN: 9788806205546 In libreria dall’11 giugno 2013 16 anni dopo Almost blue la nuova indagine dell'ispettore Grazia Negro. In una Bologna che non è piú la stessa, un assassino fa giustizia da sé di fronte all'ingiustizia che vede. A combatterlo c'è solo lei. Grazia Negro. Anche lei non è piú la stessa. E di assassini seriali non vorrebbe piú sentir parlare.
Il romanzo della rabbia di oggi. Assoluta e senza rimedio. Il romanzo dei sentimenti, delle solitudini, dell'incertezza di oggi. «E cosí forse potrei capirlo che scagliarmi con la bocca spalancata e le mani aperte, a strappare, colpire e stringere e mordere fino ad arrivare al cuore non è la soluzione, che quelli con cui me la prendo non sono le cause del male ma solo i sintomi e che qualche volta sono pure innocenti. No. Non me ne posso accorgere, non posso trattenermi e non posso cambiare. Perché mi sento sempre cosí, ansante, contratto e febbrile, sempre, tutto il giorno e tutti i giorni. Perché quello che faccio mi piace. E perché lo so che non serve e che è sbagliato. Io non cerco una soluzione. Io voglio vendetta».
Elisabetta Bucciarelli: Dritto al cuore Editore: E/O Collana: Dal mondo Sottocollana: Noir Pagine: 192 Prezzo di copertina: 17,00 euro ISBN: 9788866323440 In libreria dal 12 giugno 2013 È difficile per l’ispettrice Maria Dolores Vergani godersi le vacanze nel piccolo villaggio montano sull’Alta Via se c’è un cadavere di mezzo. Nel bosco viene ritrovato il corpo di una donna nascosta fra le rocce. Nel frattempo una mucca viene uccisa prima del più importante incontro che decreterà la più forte e bella della valle. Nella piccola comunità a duemila metri di altitudine, l’ultimo villaggio Walser, partono le indagini: sarà proprio l’ispettrice Vergani con l’aiuto degli abitanti della comunità a dover fare luce su una catena di omicidi che dissemina cadaveri dai monti valdostani ai boschi lombardi. Un romanzo duro e spietato, destinato a colpire i lettori dritti al cuore.
Massimo Rainer: Limite ignoto Mezzotints Ebook Collana: Prisma Formato ebook (epub, mobi) Pagine: 90 ISBN epub: 9788898479061 ISBN mobi: 9788898479078 Prezzo di copertina: € 2,49 In libreria dal 24 giugno 2013 Un avvocato penalista si reca a far visita in carcere a un giovane detenuto, accusato di un reato ignobile. Tutto molto normale. O forse no. Non c’è nulla di scontato, quando si intraprende una discesa agli Inferi senza lanterna. Non c’è nulla di ovvio, in un non luogo, dove la coscienza e la redenzione non hanno diritto di cittadinanza. Nessuna Giustizia, nessuna pietà. E nessuna identità, dove l’umanità è un’ipotesi. Chi è vittima? Chi è carnefice? Chi è strumento? E quanto può essere profondo l’abisso? Esordio per la nuova collana Prisma di Mezzotints Ebook, diretta da Alan D. Altieri e dedicata alla esplorazione ad ampio raggio del lato oscuro. Prisma come primo titolo presenta "Limite Ignoto" di Massimo Rainer, un romanzo thriller inedito, torbido ed estremo, un viaggio negli inferi della giustizia che svela un vero e proprio regno del male, che vive e si riproduce sotterraneamente, crimine dopo crimine. Rainer riesce a creare un microcosmo originale e inaspettato tra i tessuti del carcere, dei tribunali, delle attività delinquenziali, abitato da protagonisti che spaccano le pagine. Il sangue, la depravazione, la morte, la maschera ambigua della giustizia conducono la spiazzante narrazione verso un finale inaspettato, che lascia indubbiamente il segno. Il Limite, stavolta, è davvero ignoto.
Maurizio De Giovanni: I Bastardi di Pizzofalcone Editore: Einaudi Collana: Stile libero Big Pagine: 328 Prezzo di copertina: 18,00 euro E-book: 9,99 euro ISBN: 9788806215736 In libreria dal 25 giugno 2013 Non hanno neanche il tempo di fare conoscenza, i nuovi investigatori del commissariato di Pizzofalcone. Mandati a sostituire altri poliziotti colpevoli di un grave reato, devono subito affrontare un delicato caso di omicidio nell'alta societĂ . Le indagini vengono affidate all'uomo di punta della squadra, l'ispettore Giuseppe Lojacono, siciliano con un passato chiacchierato ma reduce dal successo nella caccia a un misterioso assassino, il Coccodrillo, che per giorni ha precipitato Napoli nel terrore. E mentre Lojacono, assistito dal bizzarro agente scelto Aragona, si sposta tra gli appartamenti sul lungomare e i circoli nautici della cittĂ , squassata da una burrasca fuori stagione, i suoi colleghi Romano e Di Nardo cercano di scoprire come mai una giovane, bellissima ragazza non esca mai di casa, e il vecchio Pisanelli insegue la propria ossessione per una serie di suicidi sospetti. *** Sono poliziotti. Devono ricostruire l'immagine di un commissariato che ha una macchia difficile da cancellare. Li hanno scelti perchĂŠ sono sicuri che falliranno.
Per tutti sono i "Bastardi di Pizzofalcone".
Luigi Palma, detto Gigi: commissario. Che vorrebbe crederci, e ci crede Giorgio Pisanelli, detto il Presidente: sostituto commissario. Che non crede a chi se ne vuole andare Giuseppe Lojacono, detto il Cinese: ispettore. Che cerca sĂŠ stesso in un altro posto Francesco Romano, detto Hulk: assistente capo. Che ha un altro sĂŠ stesso nella testa Ottavia Calabrese, detta Mammina: vicesovrintendente. Che sembra una, e invece no Alessandra Di Nardo, detta Alex: agente assistente. Che cammina su due strade Marco Aragona, vorrebbe essere detto Serpico: agente scelto. Che sembra uno, e invece sĂ
Ognuno di loro ha qualcosa da nascondere. O da farsi perdonare.
Remo Guerrini: L’estate nera Editore: Newton Compton Pagine: 432 Prezzo di copertina: 9,90 euro E-book: 4,99 euro ISBN: 9788854153493 In libreria dall’11 luglio 2013 All'inizio sembrava solo un gioco. Un’estate come tante, un paesino come tanti. Un gruppo di ragazzini insolitamente crudele. Trent’anni dopo, nessuno di loro ha dimenticato quell’estate… Massimino, Eva, Attila, Saturnina e poi Canavesio, Federico, Santino e Giusi sono ancora dei bambini durante quella torrida estate del ’62. Il giorno scherzano e scorrazzano per le strade di Altavilla, un paesino del Monferrato, e la sera dopo cena Carosello e a letto. Hanno solo dodici anni ma si sentono già grandi su quel muretto e perseguitare Beniamino il matto, per sentirlo imprecare e urlare, all’inizio è solo un gioco innocente e nessuno pensa davvero che finirà male durante quella maledetta domenica d’agosto, mentre imperversa un terribile temporale. Passano trent’anni e il macabro ritrovamento dei resti di Beniamino nel cimitero di Altavilla rimette in moto i ricordi. E quei ragazzi del 1962, che la vita ha disperso e allontanato, sono costretti a ritrovarsi nei luoghi della propria infanzia. Diventando i protagonisti di un’imprevista, improvvisa, orribile resa dei conti. «Una rivelazione italiana che va oltre le etichette». Oreste del Buono
Vince Flynn: L’assassino americano Editore: Time Crime Collana: Narrativa Pagine: 480 Prezzo di copertina: 9,68 euro ISBN: 9788866880820 In libreria dal 18 luglio 2013 Dopo decenni di spietata Guerra fredda, gli Stati Uniti si trovano in una posizione sempre più vulnerabile. Thomas Stansfield, veterano e capo della CIA, sa che l’identità del prossimo nemico è più sfuggente che mai. Per combatterlo con le sue stesse armi chiama la sua protetta, Irene Kennedy, e il suo vecchio collega, Stan Hurley, per formare un nuovo gruppo di agenti sotto copertura. Ma quale uomo è disposto a uccidere per il proprio Paese senza indossare una divisa? Irene lo troverà dopo l’attacco terroristico di Lockerbie: 270 vittime in una fredda notte di dicembre e tutti i loro familiari colpiti da una tragedia per cui non sembra esserci conforto. Uno di loro è Mitch Rapp, che ha perso la donna che amava. Ma non cerca conforto. Vuole i colpevoli. Sei mesi di intenso addestramento e Rapp è pronto: dietro lo sguardo d’acciaio dell’ultimo eroe della nazione si nasconde un giovane uomo pronto a diventare un assassino americano. Azione al cardiopalma, ritmo serrato, realismo senza sconti per un political thriller lucido e appassionante: la storia della prima missione di Mitch Rapp, quella che farà di lui l’agente incubo dei terroristi e dei corrotti che ha conquistato migliaia di lettori americani.
Omar Gatti: Requiem per la Ligera La Ponga Edizioni Pagine: 140 Prezzo di copertina: 9,90 euro E-book: 1,99 euro In libreria dal 27 luglio 2013 Milano 1952. Sul pavimento di un bar sono distesi quattro cadaveri. Un uomo, una donna e due bambini. Sono ciò che rimaneva della famiglia di Sciresa, il vecchio capo della ligera. Qualcuno ha voluto sferrare il colpo di grazia alla malavita milanese. Toccherà a Cinghei, uomo di fiducia di Sciresa, scoprire il mandante dell'esecuzione. Tra rapinatori di banche, ruffiani marsigliesi, mafiosi siciliani e frasi in dialetto meneghino, Omar Gatti trasporta sui Navigli milanesi la scrittura rapida e rabbiosa della scuola hard-boiled di Hammett e Chandler, in un romanzo avvincente ed esplosivo come una scarica di mitra. Omar Gatti è tornato e questa volta picchia duro. In una Milano violenta, la storia di un uomo che non accetta la fine di un'epoca. Cinghei combatterà con tutte le sue forze per far capire, ai nuovi malavitosi, che Milano è un territorio con delle regole. E vanno rispettate.
Linda Castillo: In un vicolo cieco Editore: Time Crime Collana: Narrativa Pagine: 480 Prezzo di copertina: 9,68 euro ISBN: 9788866880844 In libreria dal 29 agosto 2013 Gli Slabaugh sono una famiglia prospera e laboriosa della comunità Amish. Ma un orribile incidente porta alla morte i genitori e lo zio, lasciando orfani i quattro ragazzi. Il capo della polizia Kate Burkholder, nata e cresciuta Amish, sa che per loro sarà ancora più duro perdere l’innocenza e affrontare il dolore. E quando scopre che una delle vittime ha subìto una ferita alla testa prima del decesso, si immerge con determinazione in un’indagine di omicidio, forse legato ai recenti casi di persecuzione della minoranza Amish. I superiori le affiancano John Tomasetti, collega, amante e amico, e davanti a una nuova missione insieme, Kate sarà costretta a rendersi conto di quanta profondità ci sia nel loro rapporto e dove potrebbe portarli. Ma non è la sola superficie oltre la quale dovrà andare. Kate dovrà scavare anche nel suo passato di Amish per trovare la forza di spezzare il silenzio di una comunità chiusa, protettiva, ostile a ogni intervento esterno, che nasconde molte verità insidiose. Un thriller appassionante, in cui il pericolo e l’azione sono resi ancora più intensi dalle atmosfere rarefatte che circondano i protagonisti.
PROMOZIONE EMERGENTI: IL BRIGANTE E LA MONDINA – UMBERTO DE AGOSTINO Titolo: IL BRIGANTE E LA MONDINA – Lomellina 1902 Autore: Umberto De Agostino Editore: Fratelli Frilli Editori Prezzo: € 9,90 Quarta di copertina: Lomellina, maggio 1902. Pietro Gusmani, fittabile della cascina Confaloniera di Ferrera Erbognone, viene ucciso pochi secondi dopo aver accolto le mondine dell'Oltrepò Pavese. L'omicida, una donna dalla folta chioma mora, riesce a fuggire al di là del torrente Agogna facendo perdere le sue tracce. Le indagini sono condotte dal brigadiere Angelo Pesenti, che allo stesso tempo dà la caccia al brigante monferrino Francesco De Michelis, detto il Biundén. Intanto, le campagne s'infiammano. I sindacalisti della Federazione proletaria lomellina, capitanati da Piero Corti, affrontano i padroni. Le mondine, locali e forestiere, sono guidate dalla pasionaria Gina Provera. Proprio mentre la stagione della monda del riso giunge al termine, il brigadiere risolverà il caso dell'omicidio del fittabile.
Federica Soprani / Vittoria Corella: La società degli spiriti Editore: Lite Editions Prezzo: 1,99 euro Quarta di copertina: Jericho è un Medium dei bei salotti. Jonas un investigatore che non crede nel paranormale. Quando Lord Kynaston viene trovato fatto a brandelli nel suo studio chiuso dall’interno, il Medium che parla con i morti e il poliziotto più scet-tico di Scotland Yard sono costretti a lavo-rare insieme loro malgrado. Dai bordelli per ricchi annoiati fino alla casa del vizio più pericolosa del West End, una detective story vittoriana oscura e sensuale.
Federica Soprani / Vittoria Corella: La Lega dei Gentiluomini Rossi Editore: Lite Editions Prezzo: 1,99 euro Quarta di copertina: Scompaiono, uno dietro l’altro. Tutti giovani, bellissimi e con una caratteristica in comune. Se c’è una cosa che Jonas detesta sono i casi irrisolti. Se c’è una cosa che Jericho ama è aiutare Jonas a risolvere questi casi, e il viaggio da incubo parte dai quartieri bassi per salire su, fino a sfiorare la Corona D’Inghilterra. Ci sono cose che nessuno deve sapere e gente che va fatta tacere con le buone o con le cattive. http://www.victoriansolstice.it/
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