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La più venduta rivista di sci 319 15 GENNAIO 2014 INCHIESTA: ARRIVANO I RUSSI

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TURISMO: VAL DI FASSA, TOP3 APPENNINI SOCHI: COUNTDOWN OLIMPICO

INCHIESTA ARRIVANO I RUSSI INTERVISTE TINA WEIRATHER FRANZ KLAMMER TURISMO VAL DI FASSA TOP 3 APPENNINO

SOCHI COUNTDOWN OLIMPICO

ANNO 58 | N 319 15 GENNAIO 2014 | € 5

TARIFFA R.O.C.: POSTE ITALIANE SPA - MENSILE - SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE - D.L. 353/2003 (CONV. IN L. 27/02/2004 N. 46) ART. 1, COMMA 1, DCB MILANO


CINQUE CERCHI

— lucia galli —

ALLA SCOPERTA DI SOCHI, LA LOCALITÀ – BALNEARE – CHE DÀ IL NOME ALLE PRIME OLIMPIADI INVERNALI RUSSE. TRA POLEMICHE, ATTRITI GEOPOLITICI E COSTI ALLE STELLE, UNA CERTEZZA: LA QUALITÀ DELLE PISTE DI ROSA KHUTOR

La prima volta di

Zar Vladimir 34

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CINQUE CERCHI \ SOCHI 2014

DI UNO DEI VINCITORI DELLE PROSSIME OLIMPIADI invernali si conosce già il nome. E’ Vladimir Putin che a Sochi intende salire sul podio per aver portato in terra sovietica le prime olimpiadi invernali. Per lo zar del terzo millennio la sfida è grande ed è diventata quasi una questione personale. E’ lui ad aver candidato una località di mare ad ospitare le olimpiadi dei monti; è lui ad aver scelto di cambiare il volto di una delle mete balneari della vecchia Urss in un brand per ogni stagione aggiungendo il turismo invernale al suo carnet. Ma soprattutto è ancora lui, con il sostegno incondizionato di Gazprom e Interros, ad aver deciso di piegare i confini geografici e geopolitici della regione del Krasnodar e di Sochi al suo disegno di bellezza e potere. Già, prendi il Mar nero che bagna i 150 chilometri di coste di questa cittadina di quasi 200 mila abitanti: il primo pensiero corre alle ultime olimpiadi di Vancouver e alle prossime in Corea nel 2018. Ormai il trend è questo: le medaglie invernali vanno vinte a pelo d’acqua, incuranti dell’aria umida e della neve spesso gessosa. Prendi poi gli ostacoli geopolitici di questa area ancora instabile a 3 ore di fuso da Roma: i ceceni hanno reso la vigilia dei Giochi tragica36

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mente palpitante e la Georgia, il cui confine è appena dietro i monti da cui parte la discesa maschile, ha ancora un conto in sospeso con l’ex madre Russia che periodicamente ne “solletica” le frontiere in Abkhazia ed Ossezia. Il disegno di Putin va oltre le 92 medaglie olimpiche e le 64 paralimpiche da assegnare, oltre il sorriso dei 25mila volontari sparsi in 16 location, e scorre semmai sotterraneo seguendo la rete dei gasdotti e del commercio di fonti energetiche. Anche questa è Sochi e, insieme a 420 milioni di dollari già spesi, oltre all’ultimo rabbocco pre natalizio di altri 50 milioni, sarà il segno tangibile della sua partita di risiko moderno dal 7 al 23 febbraio e dal 7 al 17 marzo prossimi. In superficie però tutto scorre e Putin per Sochi ha un debole: qui si è sposato e qui ha una dacia che visita spesso. Così la sua idea si è sviluppata su tre fronti: perché dire Sochi 2014 significa dire anche Adler, la cittadina che confina con Sochi e che ospiterà il “complesso costiero” con gli sport del ghiaccio e il villaggio olimpico e Krasnaya Polyana, la “capitale” degli sport della neve. A Sochi “downtown”, curiosamente, non si svolgerà nessun evento: la cittadina ci ha messo il nome, si direbbe il marchio, e in cambio ha già ottenuto »


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un’impennata dei prezzi, una nuova generazione di grattacieli e soprattutto una bretella che ne alleggerisce il traffico sull’affollatissima Kurortny prospekt. Nota soprattutto per i suoi sanatori (fra tutti non perdete il neoclassico Metallurg) dove la Russia proletaria un tempo andava a curarsi, oggi Sochi ha cambiato pelle: sanissimi rampolli dell’oligarchia vi sollazzano o vi svernano, passeggiando nel suo arboreto o sulle spiagge di ciottoli scuri, all’ombra di palme, giardini rocciosi e leziosi tempietti che fanno somigliare questo lungo mare a una Biarritz o a una Nizza caucasica. Ogni tanto nevica fino in spiaggia e l’onda scura del mare si fa biancastra ricordando che le montagne non sono lontane: 65 chilometri o poco più lungo il letto del fiume Mzymta. Il massiccio dell’Aibga accarezza i 2238 metri, separando la Georgia dalla Russia ed offrendo sciate vista mare. Prima delle Olimpiadi, i pionieri dello sci frequentavano le stazioni un poco empiriche dell’Alpika e del Karusel cui si arrivava in un’ora e mezza di incerto viaggio fra villaggi di legno e boschi che ricordano un poco la Val D’Aosta, spuntata però delle cime più note. Oggi un treno veloce conduce in poco più di mezzora ad Esto Sadok e Krasnaya Polyana, la “valle rossa” che con i nuovi impianti di Rosa Khutor sarà l’epicentro dei 38

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giochi outdoor e della stazione sciistica dai comfort europei che le Olimpiadi lasceranno in eredità a questo fazzoletto di Caucaso russo. Un’ovovia da 4500 persone all’ora, a più fermate, e blindatissima con continui passaggi al metal detector, conduce, con un po’ di pazienza, fra panorami bellissimi, prima allo stadio del fondo, dello snow board e del freestyle e poi su, al centro stampa di montagna e alle discese dello sci alpino. Gendarmi in colbacco posano inflessibili coi turisti, rigorosamente senza sorridere, mentre a valle, lungo il fiume, è nato un villaggio di alberghi color pastello e dalle architetture che a noi italiani non possono che ricordare quelle di un grosso outlet. Per gli amanti delle mille e una notte poi, la regia dei Giochi ha pensato anche ad un albergo con funivia privata: è il Grand Hotel Polyana che però conduce sulla cresta Psekhako, sull’altro versante, lontano dalle piste olimpiche. “Quando ti dicono che la tua casa sarà abbattuta per le Olimpiadi non puoi essere felice”, spiegava una babushka (nonnina) sostenuta dal nipotino e chiusa nel suo fazzoletto nero, incontrata sul nuovo ponte a cavallo del fiume. I due volti della nuova Russia sono questi: il passato di villaggi “violentati” sì da nuove infrastrutture, ma anche proiettati, grazie ad esse, in un presente di oppor-


Informazioni pratiche COME ARRIVARE: Più economico: Malpensa- Sochi 625 euro con Aeroflot, durata oltre 15 ore, scalo a Mosca. Più veloce: Malpensa - Sochi 1400 euro circa con compagnie varie ( Turkish, Lufthansa e altre) durata 6 ore, scalo a Istanbul o Monaco. DOVE ALLOGGIARE: Sochi – Hotel Primorskaya, www. hotelprimorskaya.ru. Da 50 euro BB la doppia. Lontani dalla pazza folla ma nel centro si Sochi, strategico per vedere qualche gara e conoscere la cittadina senza farsi spennare. Disponibilità alberghiere ormai assai limitate. BIGLIETTI e GADGET: Si acquistano su www.sochi2014.com ma non sono a buon mercato. Ecco qualche esempio: Discesa maschile del 9 febbraio da 70 a 125 Euro. Pattinaggio figura circa 400 euro. Skeleton 25-45 euro. Spillette delle mascotte: da 5 euro.

tunità. Perché, se la cementificazione della valle può far storcere il naso a qualcuno, a mettere tutti d’accordo è la bellezza dei tracciati e la qualità delle nuove piste di Roza Khutor, disegnate nei minimi dettagli, ancora una volta dall’”architetto” di Coppa del Mondo, l’ex atleta elvetico Bernhard Russi. Parti scorrevoli si alternano a muri mozzafiato e il tutto è condito da una buone dose di salti. La “Sochi” montana ha conquistato tutti. E resterà un possesso perenne, in grado di attrarre anche turisti europei, quando i collegamenti aerei diventeranno un poco più logici e convenienti e quando i prezzi degli hotel, spente le luci dei giochi, si riabbasseranno (al momento di andare in stampa un volo aereo costava 600 -1400 euro e le poche camere rimaste possono costare anche 300 euro a notte). Qualche timore in più, soprattutto per l’eredità olimpica e il futuro della zona, permane invece a valle, in riva al mar Nero, per il nuovo complesso che ha sventrato la tranquilla Adler, copia più “family friendly” della ormai ricca Sochi, che dista 15 chilometri. Ad Adler, oltre all’aeroporto, sorgono il villaggio olimpico per 7 mila atleti e 70 mila persone e il complesso di palazzetti

per gli sport del ghiaccio. Il parco olimpico, collegato con Sochi e con i monti dall’alta velocità, è stupendo, come sempre accade alla vigilia di ogni olimpiade. Che ne sarà, poi, è questione di cui occuparsi fra qualche settimana. Per ora il complesso di sei palazzetti è un prodigio di architettura che ingaggia un gioco di riflessi e luci con le onde del mar nero che battono la spiaggia poco distante. Tre palazzetti resteranno in eredità ai luoghi: lo stadio centrale – Fisht dal nome di un monte non lontano - è più alto del Big Ben di Londra, ospiterà le cerimonie di apertura e chiusura e, con una capienza di 40 mila spettatori, sarà utilizzato anche per il calcio, pochi mesi dopo i Giochi. Diverrà invece un velodromo l’Olympic skating center dove, fra le piastrelle azzurre che ricordano i flutti del mare, si daranno battaglia i campioni di short track. Anche l’avveniristico Bolshoi Ice palace, dove si daranno battaglia i campioni di Hockey, sarà trasformato in una sede per concerti e mostre. Gli altri tre palazzetti invece sono “smontabili” e nelle idee di Putin saranno rimontati in luoghi più impervi della Russia come sede di allenamento per i giovani. Pensando ai prossimi Giochi. © SCI 319

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» Il sergente Attila Kordás dell’esercito ungherese, accorpato ai Marines, attraversa la zona di estrazione presso il Leavitt Peak in Sierra Nevada (California)

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IL MESTIERE DELLE ARMI I Marines degli Stati Uniti, le montagne della California e un’esercitazione nelle condizioni più difficili. Per imparare a sopravvivere DAVID PAGE | PHOTO CODY DOWNARD

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Il sergente McGrew si toglie gli sci e

lascia cadere lo zaino. Mette il fucile a tracolla e si arrampica verso il passo, fino ad una fenditura nelle rocce. Siamo in Sierra Nevada, a quasi 3400 metri di quota. Soffia un vento gelido. Le nuvole sembrano navigare sopra la sua testa e le loro ombre corrono lungo un panorama di vulcaniche cime rocciose, canaloni e macchie di tundra alpina. Tira su il passamontagna per guardare meglio nel mirino. Da qualche parte, là fuori, c’è un gruppo di nemici nordcoreani. Erano stati visti muoversi a sud della Zona demilitarizzata (DMZ), in piccole squadre. Avevano uniformi nere. Imbracciavano fucili M16, gli stessi che avevano i “buoni”. E anche loro erano sugli sci. Per sei settimane, McGrew e il Primo plotone sono rimasti al Marine Corps Mountain Warfare Training Center (MCMWTC) nei pressi di Bridgeport, California, a circa 60 miglia a nord di Mammoth Mountain, lavorando duro ad un programma di addestramento chiamato Winter Mountain Leaders Course. Le loro armi - versioni standard di M16A4 con camouflage per le operazioni invernali, avevano una garza bianca sul poggiamano e il calcio ricoperto da mezze calze di cotone - erano cariche di 56

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In senso orario da sinistra: tracciando sulla mappa la strada per la Zona demilitarizzata; perlustrazione del terreno alla base; si caricano gli equipaggiamenti sul fuoristrada; un marine si prepara per il suo compito di sentinella; strumenti di viaggio; M16 e Mres Nell’altra pagina: una sentinella sorveglia il crinale per scorgere l’eventuale arrivo di nemici

cartucce a salve. Le bocche delle armi erano riempite con adattatori per cartucce rosse (BFAs). Le forze di opposizione (OPFOR), gli ipotetici nord corani, erano in verità istruttori a tempo pieno provenienti dal MCMWTC, conosciuti come Red Hats per i berretti di lana che indossavano. Ma erano migliori e più veloci con gli sci e avevano meno peso da trasportare. Erano abituati all’altitudine. E sapevano dove i Marines sarebbero andati. “Una volta, scendendo giù dal passo, il

nemico provò a tenderci un’imboscata”, ricorda il Capitano Redmon, capo del plotone, indicando con un ramo di salice un modellino realizzato a terra presso il campo base a valle. “Ti sembra di aver fatto la cosa sbagliata, sei circondato, allo scoperto, stai per essere attaccato, stanno per spararti!”. Erano 28 all’inizio del corso. Ora, giunti agli esercizi finali, sono rimasti solo 25 (3 hanno fallito i test o si sono infortunati sciando e sono tornati a casa). Ad esercitarsi c’erano


Tira su il passamontagna per guardare meglio nel mirino. Da qualche parte, là fuori, c’è un gruppo di nemici nordcoreani

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Mentre i Red Hats sgattaiolano fuori per ingaggiare gli altri, McGrew punta l’arma verso di loro, preme il grilletto e mette fine ai giochi

tutti i dirigenti d’unità, dai caporali ai capitani. Ad eccezione di Mikheil Gogishvili, detto Misha, inviato dalla Republic of Georgia’s Special Forces Brigade, e Attila Kordàs, proveniente dall’esercito ungherese, erano tutti Marines. Provenivano da Twentynine Palms, Camp Pendleton, Camp Lejeune, Albuquerque, Pittsburgh, Hawaii, Okinawa. Ognuno di loro era già stato in guerra. La maggior parte aveva preso parte a numerose missioni in Iraq, o in Afghanistan, o in entrambi i luoghi. Tutti esperti in assalti armati e in operazioni militari. Soldati abituati a stare lontani mesi dalle loro famiglie e a mangiare schifose razioni da contenitori in plastica, a tenere la testa rasata, a mantenere un atteggiamento sempre positivo e a riempire diligentemente i fogli di lavoro. Prima di questa esperienza nessuno di loro, tranne il Sergente Austin di Salt Lake, o McGrew di Pinetop, Arizona (una piccola località sciistica ad est di Phoenix), aveva mai messo un paio di sci ai piedi. E’ stato insegnato loro come muoversi fra le montagne, come identificare e affrontare una valanga, come mantenere efficienti le armi sotto zero e come scavare trincee nella neve. Hanno raggiunto Mammoth Mountain a bordo di furgoni governativi, in dotazione 58

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avevano sci vecchi di 30 anni full camber, attacchi e scarponi da telemark. Avevano imparato a svolgere una serie di manovre di base in montagna: spina di pesce, passo laterale, manovra sul bordo, inversione in salita, inversione in discesa... Durante un’esercitazione un ragazzo del posto di sette anni li aveva raggiunti sci ai piedi e gli aveva detto: “Va tutto bene? Non sembrate molto a vostro agio”. Ora, ripensandoci, possono farsi una risata. Poi sono passati a più moderni sci telemark con attacchi G3. Si sono portati dietro 45 chili di zaino, trascinando slitte da 60 chili per miglia e miglia, nella neve profonda e al buio. Hanno scavato elaborati cunicoli per dormirci dentro, facendo attenzione a non prendersi una pallottola. La settimana precedente, durante un’esercitazione, i Red Hats avevano attaccato alle 2 del mattino con nebbia e neve. C’erano 13 gradi sotto zero. Il vento soffiava a 100 chilometri orari. “Sono arrivati dritti dentro il campo base e li hanno uccisi tutti”, spiega il Sergente Keola Kee, il comandante di questa esercitazione. “Ci sono arrivati addosso come belve - spiega il Sergente Pennington -. Avevo sette fottuti centimetri di neve su per il naso”. Nessuno è morto realmente, non quella settimana. (Poche

Un elicottero settimane prima, però, dell’esercito sette Marines di un’altra Black Hawk unità, prima di diplomarsi lascia i Marines su a Bridgeport, sono stati un altopiano uccisi accidentalmente della Humboltdt da un colpo di mortaio, e Toiyabe altri sette sono stati feriti). National La posta in gioco era alta. Forest E così, dopo l’attacco, senza curarsi del clima o di quanto fosse tardi, il plotone principale ha dovuto fare le valigie, riparare le fortificazioni distrutte e mettersi in marcia. “Erano le 2,30 quando sono partiti”, spiega Lee, “e non sono arrivati alla nuova posizione fino alle 5,30 circa, lì gli avevamo fatto trovare un fuoco per permettergli di asciugare l’equipaggiamento ed essere pronti per l’azione successiva”. In questo particolare sabato mattina, dopo un riposo di un paio di giorni, i militari si sono goduti l’ultima colazione decente al refettorio. Hanno appena sentito dalla tv che si parla molto dei test nucleari nella vera Corea del Nord. (“Te l’ ho detto”, aveva esclamato un marine davanti al vassoio della colazione “stiamo andando”). Poi, con gli sci, le pistole, gli zaini e il necessario per una notte, erano saliti a bordo dei Black Hawk - gli elicotteri famosi per le operazioni in Somalia nel 1993 - per un’altra esercitazione. La missione


è chiara: sgomberare una strada per una finta compagnia di Marines da lì fino alla Zona demilitarizzata che, in questo caso, è rappresentata da una linea immaginaria disegnata lungo la Homboldt Toiyabe National Forest, proprio oltre il Sonora pass. “I nostri istruttori ci stanno dando la caccia”, spiega McGrew, il cecchino, dopo essere sceso giù da un canalone e dopo aver scalato la parete dietro di sé con indosso gli scarponi da sci. McGrew nel 2007 era in Iraq, è stato l’anno con il più alto tasso di mortalità per le truppe statunitensi. E’ tornato nel 2010-2011. Tiene sempre il fucile puntato. “Dobbiamo trovarli per primi”. Quando alla fine l’intero plotone arriva sul passo, i ragazzi si siedono sugli zaini e, sferzati dal vento, sgranocchiano mandorle, pezzi di pane o qualsiasi altra cosa commestibile che hanno a disposizione. Fino a che qualcuno dice che bisogna muoversi. “Togliamo le pelli, è ora”. Percorrere una discesa dopo una lunga salita potrebbe essere un sollievo, o anche un piacere, se non fosse per gli zaini ingombranti che rendolo lo sci fuoripista una cosa non proprio scontata. (Una settimana prima, in un allenamento di biathlon con un’altra unità, tre marines si sono ritirati dal campo - uno con una spalla lussata, un altro con il polso fratturato e un

In senso orario da sinistra: dispersi e al freddo; il sergeant Jeff Austin, di Salt Lake City, che presto entrerà nei Red Caps: “Sciare era il mio destino”, dice; adattarsi e improvvisare: Fallace e Pops organizzano una riparazione sul campo; captain Redmon fa una riunione con il plotone per le manovre del giorno; trincee temporanee

altro ancora si è rotto il legamento crociato anteriore, il legamento mediale collaterale e il menisco del ginocchio destro - il tutto semplicemente per una breve discesa con una brusca virata). “Non male no?”, dice il Sergente McGilton, il ragazzo della radio, con addosso un caschetto da sci zebrato da strisce di nastro bianco. “E’ come essere a Broadway”, risponde il Sergente Machen, facendo riferimento alle tante cunette della facile pista di Mammoth dove avevano incontrato il bimbo di 7 anni. “E’ come essere a Broadway con i nordcoreani”, puntualizza

McGrew. Il Capitano Redmon e Lieutenant Pospisil (“Pops”) sono i primi ad arrivare in fondo e senza incidenti, ai margini di un piccolo spiazzo che sarebbe stato la zona di atterraggio per l’elicottero con i rifornimenti previsto per il giorno successivo, con alture ai lati e una valle che si apriva davanti. Pops delimita con uno scarpone il perimetro dell’accampamento in cui avrebbero trascorso la notte. Uno dopo l’altro arrivano anche gli altri. Si tolgono zaini e sci, tirano fuori le pale e cominciano a scavare trincee. Pennington e Austin guardano McGilton

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scendere barcollante, con la sua antenna radio che va su e giù sopra la testa. “Ha l’agilita di una piccola giraffa”, ridacchia Pennington. McGilton piomba giù con una frenata da hockey creando un cratere grosso come se fosse esplosa una bomba. “Com’è stata la tua discesa?”, chiede Pennington. “Sono caduto tre volte”, ammette McGilton sorridendo. “Ma perché andavo veloce”.

In senso orario, in alto da sinistra: il campo base nella notte; “sembra che ci sarà casino stanotte”,dice Austin; il veterano dei Red Caps Keola Lee, dalle Hawaii; il cecchino si nasconde in un boschetto; la sentinella fa i turni al campo base

Pennington e Austin guardano McGilton scendere barcollante, con la sua antenna radio che va su e giù sopra la testa. “Ha l’agilita di una piccola giraffa”, ridacchia Pennington

Le truppe sugli sci sono state utilizzate

efficacemente in combattimento, almeno fin dagli inizi del 1600 e, probabilmente, indietro fino al VI secolo, quando le tribù finlandesi, sulle loro slitte di legno, sconvolsero le truppe romane. Sono state combattute battaglie sugli sci in Russia, Lituania, Finlandia, Norvegia, Svezia, Italia, Libano e, più recentemente, in Kashmir. Durante la Guerra d’Inverno del 1939-40, tre reggimenti finlandesi di truppe sugli sci, in inferiorità numerica di 4 a 1, sono riuscite a spazzare via due divisioni meccanizzate sovietiche. Due inverni più tardi, i sovietici hanno usato le truppe sugli sci per difendere Mosca. Truppe di montagna d’elite della Germania, il Gerbirgsjager, hanno combattuto in Europa orientale e conquistato gran parte del Caucaso nel 1942. Notoriamente, l’esercito sugli sci degli Stati Uniti era parte della decima Mountain division - con le reclute provenienti dagli sci club universitari e del National ski patrol - e hanno dovuto affrontare una moltitudine di cime nel nord Italia nel febbraio del 1945. La decima Mountain division è stata sciolta dopo la Seconda guerra mondiale (il nome 60

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sarebbe stato rispolverato nel 1985 per una divisione di fanteria leggera di Fort Drum, New York). Poi, a Chosin Reservoir, in Corea del Nord, alla fine del 1950, in montagne molto simili a quelle della Sierra Nevada, con temperature fino a 35 sotto zero, alcune truppe delle Nazioni Unite - tra cui i Marines degli Stati Uniti - hanno subito ogni sorta di malfunzionamento delle apparecchiature, congelamento e morte per mano dei fucili cinesi. L’anno seguente, il Corpo dei Marines ha istituito il Cold Weather, battaglione Pickel Meadow, a ovest di Bridgeport, non lontano da

dove John C. Fremont, nel pieno dell’inverno della Sierra nel 1844, aveva dovuto abbandonare l’obice che aveva trasportato per 6.000 chilometri in tutto il paese, fino alla guerra americana-messicana. Ribattezzato nel 1963, il Training Center Mountain Warfare ora dispone di un propria funivia Poma, di una palestra di arrampicata, di uno sport bar e l’accesso a più di 620 chilometri quadrati di montagne. E’ riconosciuto come uno dei centri di formazione migliori al mondo per quanto riguarda alta quota, freddo, guerra e terreni complessi. Diecimila soldati


ogni anno, non solo Marines, ma anche forze congiunte statunitensi e Forze Alleate. Anche i Navy Seal utilizzano la base. Mentre il plotone di Redmon stava scollinando a nord lungo la innevata Pacific Crest Trail, un intero battaglione - il Secondo, che era stato in Afghanistan nel 2010-2011- si muoveva con mille uomini sugli sci e con le ciaspole, nel pieno della burrasca tra i finti villaggi nordcoreani. Per i Red Hats, questo è senza dubbio il miglior addestramento. Per le nuove leve, cioè i due terzi dei presenti, è la situazione più difficile che abbiano mai vissuto. “Più pesante di un Boot camp (il primo, durissimo, addestramento delle reclute)”, spiega uno di loro, che è comunque contento di essere riuscito a cavarsela e di aver vissuto nuove esperienze. “Cazzo di Bridgeport”, dice un altro. Un’altra guerra in terra asiatica, questo sarebbe stato il vero problema. Al di là dello scatto di stipendio. Bisognava essere pronti per qualsiasi cosa. Avevano preso dei brutti colpi nelle montagne del nord dell’Afghanistan. Forse la prossima volta avrebbero potuto fare di meglio - con qualche formazione preparata - quando si sarebbero trovati in una remota landa dell’universo: la Cecenia o il Tibet, l’Uzbekistan o Marte. “La cosa più importante che insegnano qui non è necessariamente come cavarsela in montagna”, spiega Machen, che ha genitori ex-hippie che erano stati tutto tranne che contenti quando si era arruolato ed era partito per l’Afghanistan. “Quando si è stanchi, affamati, si ha freddo, non c’è

nulla che tenga... se si sopravvive in queste condizioni si sopravvive ovunque”. Il sole tramonta mentre il plotone

finische di scavare il perimetro: una zona sufficientemente ampia per far dormire 25 uomini e due giornalisti, più una tenda adibita a centro di comando. “Guarda!”, dice qualcuno, indicando un coyote che gironzola sul terreno innevato. “Vorrei poter muovermi così velocemente”. Fornelli accesi. Deboli odori di chili e pollo fluttuano nell’aria. Si parla di mogli, di massaggi ai piedi e di un barbecue che si sarebbe organizzato nel weekend per il compleanno del bambino di qualcuno. C’è chi ha raccontato di quando è stato a Tijuana con suo padre quando aveva 13 anni, di come si sono ubriacati assieme e hanno trascorso la notte in giro in macchina tirando petardi fuori dal finestrino. Qualcuno pensa di aver visto dei fari là, sul crinale. Ma non è sicuro. “Forse era una stella”. “Sarà caotica stasera” , dice Austin.

In senso orario, dall’alto a sinistra: Winter Mountain Leaders Course 2013, Il primo plotone di Scout Skiers; i ragazzi cattivi arrivano dopo che il sole è tramontato; captain Redmon, capo del plotone; Moyer entra nella grotta, Sparks e Pricola sono morti

Una luna sottile a ovest. Buio. Uno per uno, per tutta la notte, montano il turno di guardia - 60 lunghi minuti là fuori al freddo, da soli, guardando e ascoltando ogni movimento -, mentre gli altri cercano di dormire. Alle prime luci dell’alba sono tutti in piedi, fermi contro il muro esterno della trincea perimetrale, con i fucili spianati nell’oscurità. Alla fine il sole si leva e arriva l’autorizzazione a rompere le righe. Le ombre che avevano guardato come se fossero dei ninja armati sugli sci, si rivelano essere causate dal vento che soffiava tra i pini contorti. Per la prima colazione versano acqua bollente in razioni di manzo liofilizzato alla Stroganoff o di pollo con riso messicano. Doc e Masters partono in esplorazione oltre il crinale. Wallace e Pops, con cavi di ferro e nastro

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Un bambino del luogo andò verso di loro: “Tutto ok?”, disse. “Non sembrate molto a vostro agio”... Ora ci potevano ridere su

adesivo, riparano gli attacchi rotti. L’elicottero sarebbe dovuto arrivare a momenti e, infatti, si sente l’eco dei rotori del Black Hawk. Ma non apparirà mai. “Ehi, l’elicottero non è arrivato”, urla McGilton con l’orecchio appiccicato al ricevitore radio. Sono al punto di estrazione sbagliato. “Fottuto esercito”, dice Pennington. “Va tutto bene”, dice Burns. “Ci rimangono solo 20 ore”. Nel tardo pomeriggio hanno già fatto parecchia strada, hanno camminato in discesa, girando attorno a una cima senza nome, poi hanno scollinato e si sono incamminati lungo un sentiero esposto. Più si avvicinano all’obiettivo più alta è la probabilità di essere colpiti. Una tempesta soffia da ovest, infastidendo non poco la truppa. Al passo successivo il vento soffia a più di 100 chilometri orari. Sciano fino al primo boschetto di pini e si fermano lì, in attesa di Doc e Masters che stanno scendendo giù dal crinale. Sono seduti sui loro zaini con gli sci e le pistole pronte. Tutto intorno a loro ci sono formazioni scure di roccia vulcanica, illuminate da licheni verdi e arancio e tempestate di grotte naturali e colonne di lava. Non è difficile immaginare quel posto infestato dal diavolo, da cecchini talebani o da pirati cinesi sugli sci. “Cinque minuti e ci muoviamo”, dice Machen dopo che Redmon e il team adibito a mettere 62

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in sicurezza il percorso sono spariti giù oltre la balza sottostante. “Due minuti”, dice qualcuno, sperando di muoversi da lì, al riparo dal vento gelido e dall’inquietante sensazione che da un momento all’altro qualche Comanche avrebbe iniziato a tirare decine di frecce contro i Marines. “Cinque minuti, testa di cazzo”, dice Machen con il suo sorriso sdentato. La borsa di McGilton, completa di

apparecchiature radio, pesa più di 40 chili. Ara letteralmente la neve e si affanna a non rompere una crosta troppo fragile per il suo peso. Pop-pop-pop! Rimbomba il suono di un M16. “Contatto!”, grida McGilton. E’ un uomo morto. Un paio di esplosioni sopra le loro teste. Sono i simulatori di artiglieria. Boom! Boom! Moyer scivola al riparo dietro una roccia. Si toglie zaino e sci. “Dove sono?”, grida sbirciando da dietro l’angolo. Poi vede la caverna. “Li vedo!”. Apre il fuoco e si muove attraversando il pendio sparando. Il tempo di arrivare e i Red Hats - il Sergente Sparks e il Sergente Pricola, che erano stati distesi lì, in quella galleria, in attesa per ore - sono già morti. Mentre il plotone iniziava ad uscire, McGrew si era spostato ai margini della boscaglia. Aveva sentito i primi colpi.

Aveva individuato il lato Sopra: l’autore torna posteriore della grotta al campo base ed era corso lungo la a LZ Seabag dopo aver cresta rocciosa. Wallace intrattenuto gli invece si era mosso uomini con una fiancheggiando il crinale: esercitazione: “Non è stato colpito. Mentre i Red difficile Hats sgattaiolano fuori immaginare questo posto per ingaggiare gli altri infestato di che avevano cercato di cecchini talebani nascondersi tra gli alberi, o pirati cinesi sugli sci, o McGrew punta l’arma indigeni con verso di loro, preme il fucili d’assalto calibro 50” grilletto e mette fine ai giochi. “Hanno fatto un buon lavoro”, dice il sergente Pricola. Per fortuna, non hanno dovuto fare delle barelle per McGilton e Wallace. Per fortuna, avevano ancora le mani integre per scavare l’ultimo campo base e fortificare la posizione in vista dell’ultima notte tra le montagne. Entro mercoledì avrebbero ottenuto la qualifica di Leaders Marine Corps Mountain, avrebbero goduto di una giornata di sci libero a Mammoth e di qualche giro di birre al pub del paese prima di tornare alle loro unità, alle loro mogli, ai loro figli, al prossimo episodio di “Trono di Spade” e a qualsiasi altro conflitto futuro.


Ezio Romano

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FORSE È ANCORA ECCESSIVO PARLARE di una vera e propria invasione dell’Italia da parte dei russi, ma in realtà poco ci manca, e i dati che attestano il fenomeno sono in costante crescita. Nel 2013, infatti, i visti rilasciati a cittadini russi verso il nostro Paese da parte del Consolato italiano a Mosca, sono aumentati del 20 per cento rispetto al 2012. Tradotto in cifre ciò ha significato un passaggio dai 600 mila visti rilasciati nel 2012 ai 750 mila del 2013. A questi si devono poi aggiungere quelli che arrivano dal consolato di San Pietroburgo, in quanto quello di Mosca opera per le richieste della capitale e del resto del Paese, mentre San Pietroburgo ha un’organizzazione consolare propria. A spiegarcelo è il Console generale italiano a Mosca, Piergabriele Papadia de Bottini. “Già i 600 mila visti rilasciati nel 2012 erano stati un record – ha commentato Papadia –. Quest’anno abbiamo ulteriormente infranto una barriera storica. Il 90 per cento di questi sono visti turistici, ma anche quelli per affari (che tra i due Paesi prosperano) sono estremamente importanti”. Cosa lega il popolo della vodka e del caviale a quello della pasta e del mandolino? Sempre a detta del Console, sono diverse le eccellenze italiane che attraggono i russi verso il nostro Paese e che ne hanno decretato un successo crescente negli anni. 66

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“Amano le bellezze turistiche, il paesaggio (sia mare che montagna), la gastronomia e soprattutto lo stile di vita. È proprio questo, forse, il fattore che accomuna di più la Russia all’Italia. Inoltre, chi viene da noi di solito ci ritorna, e spesso instaura rapporti personali e amicizie molto strette, che rappresentano la base di questi numeri. La forza dell’Italia è poi quella di avere un’offerta turistica valida tutto l’anno, con la parte invernale legata alla montagna, quella estiva al mare e il resto dell’anno alle città d’arte”. I dati diffusi dal Console Papadia trovano conferma, con le differenziazioni e le particolarità del caso, anche ai quattro angoli delle Alpi italiane. In Valle d’Aosta, per esempio, i dati dell’Assessorato al turismo registrano – nella stagione invernale 2011/2012 – un totale di 11.200 arrivi e di 76.739 presenze di turisti provenienti dalla Russia, mentre quelli della stagione 2012-2013 salgono a 13.854 arrivi e 93.003 presenze, con un aumento del 24 per cento per quanto riguarda gli arrivi e del 21 per cento in riferimento alle presenze. Delle 93 mila presenze registrate nell’ultimo inverno, inoltre, 68.021 mila sono state registrate in alberghi, 19.944 mila in residence, 2.443 in affittacamere e 2.032 in case vacanze. Un dato risulta eclatante: dalla stagione 2005/2006 a quella passa-


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ta, l’aumento delle presenze russe negli alberghi della Vallée è aumentata del 203 per cento. E se dal macrocosmo si passa al microcosmo, la musica non cambia. A Cervinia, infatti, una delle località in cui la presenza russa si fa sentire sempre di più (nell’estate del 2010 vi aveva soggiornato anche il Primo ministro – al tempo Presidente della Federazione russa – Dmitrij Medvedev), gli arrivi nel 2011/2012 erano stati 4.614 e le presenze 33.219. Nel 2012/2013, invece, gli arrivi sono aumentati del 14 per cento (5.265 totali) e le presenze del 12 (37.198). “Il nostro mercato – ha commentato il Presidente del consorzio degli operatori turistici di Cervinia, Enrico Vuillermoz – è rappresentato per l’80 per cento da clientela estera. E la seconda nazionalità per numero di arrivi, dopo quella inglese, è proprio la russa. Inoltre, se fino a qualche anno fa soggiornavano soprattutto in hotel a 4 o a 5 stelle, la tendenza degli ultimi anni indica che la domanda si è differenziata, aprendosi anche agli appartamenti, ai residence e alle strutture a due stelle”. Ciò che è in parte variato negli ultimi anni è anche il periodo nel quale i russi soggiornano a Valtournenche: “Il clou – continua Vuillermoz – è a fine dicembre/inizio gennaio, in concomitanza del Natale ortodosso (che si celebra il 7 gennaio), ma nelle ultime stagioni abbiamo avuto anche richieste a novembre, a fine stagione e qualcosa anche in estate”. A livello promozionale, invece, il lavoro di Cervinia va di pari passo con quello dell’Assessorato regionale. “Le iniziative – spiega Raimondo Rosa, della Direzione programmazione strategica e sviluppo dell’offerta e promozione turistica – sono molteplici e diverse: dalla partecipazione alle fiere, come la Mitt o lo Skisalon di Mosca, all’organizzazione di eventi tematici in Russia o in Valle d’Aosta, come le feste della neve o gli eventi organizzati nei parchi neve in Russia in collaborazione con i tour operator e con l’Associazione maestri di sci della Valle d’Aosta. Un’altra è la Summer skifest, che si tiene a maggio nel comprensorio di

Cervina per promuovere sia le attività legate alla neve sia quelle della montagna estiva. Attività più tradizionali riguardano la pubblicazione di articoli su giornali a grande diffusione, come il giornale di bordo di Aeroflot, riviste patinate come InStyle Man o giornali di viaggi come National Geografic Traveller e riviste tematiche russe legate alle Alpi o alle attività outdoor. Negli ultimi anni, naturalmente, si presta molta attenzione alla comunicazione via web e ai social network locali”. A Bormio, invece, dove sono gli albergatori a occuparsi direttamente della promozione tramite i propri tour operator, il 2011 è stato l’anno in cui i russi hanno ufficialmente superato sia gli inglesi che i tedeschi (che fino all’anno prima erano al primo e al secondo posto nella graduatoria delle affluenze), e questo per quanto riguarda gli arrivi e le presenze. Ma non è tutto. Con i 3.691 arrivi e le 27.002 presenze del 2011 (spalmate su tutto l’anno solare e riferite al solo dato alberghiero), i russi si sono installati al quinto posto assoluto come tipologia turistica che frequenta la stazione, dietro ai lombardi (42.436 arrivi), agli emiliani (5.541), ai laziali (3.811) e ai piemontesi (3.723). Un dato che si è confermato anche nel 2012: con i russi ancora in testa alle classifiche di affluenza e in costante crescita sia rispetto al mercato straniero (4.944 arrivi e 32.001 presenze contro le 4.038 e 19.760 del Regno Unito, e le 3.750 e le 19.760 della Germania), sia in quello globale, nel quale sono saliti al terzo posto dopo Lombardia ed Emilia-Romagna, superando sia l’affluenza piemontese (3.229 arrivi e 9.689 presenze) che quella laziale (precipitata a 2.730 arrivi e 14.579 presenze). Gli stessi dati non si riscontrano, invece, in altre due stazioni della zona, ovvero Livigno e Valfurva. In queste realtà, infatti, il turismo russo pare essere ancora sottotono rispetto ad altri posti: a Livigno, per esempio, nel 2011 gli arrivi si attestavano soltanto a 2.237 unità per 15.280 presenze (settimo mercato straniero) per salire solo a 2.790 arrivi e 19.850 presenze (rimanendo in settima posizione sul totale). A ValfurSCI 319

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va gli arrivi russi del 2011 erano stati appena 265 (370 nel 2012) per appena 2.394 presenze. Ma se si sommano tra di loro i dati delle tre località nel 2012 (sempre riferiti all’intero anno solare), i russi si posizionano in quarta posizione come numero di arrivi (6.880 contro i 12.237 dei tedeschi, i 12.142 dei cechi e i 7.445 degli svizzeri e di quelli del Lichtenstein), ma come presenze salgono al secondo posto (37.185), dietro alle 46.271 della Germania (Repubblica Ceca a 22.693 e Svizzera e Liechtenstein a 24.223). E anche in questa porzione di Lombardia il mercato russo è evoluto negli ultimi anni: fino a 5 o 6 anni fa la richiesta era maggiormente legata agli alberghi a 4 e 5 stelle, nelle ultime stagioni si sono affacciati turisti anche nelle strutture di gamma meno elevata e negli appartamenti. Veniamo alla Perla delle Dolomiti, a Cortina. Nell’ultimo lustro gli arrivi e le presenze di clientela russa si attestano con il segno più, e dai 1.644 arrivi e le 10.364 presenze dell’inverno 2008/2009 sono passati ai 2.640 arrivi e le 16.119 presenze dell’ultima stagione invernale. Ma il successo di Cortina rimane velato da un alone di mistero. “Se rivelassi la nostra impostazione sulla promozione e commercializzazione – spiega il Direttore di Cortina turismo, Stefano Illing – i nostri concorrenti ci copierebbero. I russi (terzo mercato dopo Germania e Stati Uniti) rappresentano per noi un mercato in forte aumento nonostante la crescita dell’euro rispetto al rublo. Chiedono soprattutto 4 e 5 stelle, ma dall’anno scorso sono aumentati i soggiorni nei 3 stelle e anche la seconda »

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Bagni Nuovi Bormio

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generazione di turisti ha sottolineato un cambiamento culturale, con ospiti più internazionali e cosmopoliti. Un altro mercato dell’Est su cui stiamo puntando, è quello ucraino, simile per certi aspetti a quello russo e dallo standard elevato”. In Val Gardena l’aumento è ancora più significativo: con un incremento – se comparato al 2008/2009 – del 76,66 per cento degli arrivi (da 6.601 a 11.661) e del 73 per cento delle presenze (da 53.969 a 93.283). E, rispetto al 2011/2012, l’impennata è stata del 18 per cento sia negli arrivi che nelle presenze. Dai dati forniti da Val Gardena marketing si nota che i russi tendono a soggiornare per più giorni nella località (assieme ai sudafricani) rispetto alle altre nazionalità, con una durata media della vacanza di 8 giorni. “I russi – ha spiegato Gunther Pitscheider, Direttore di Val Gardena marketing – sono tra le nostre clientele principali, assieme agli italiani, ai tedeschi e agli olandesi. La nostra promozione viene fatta in sinergia con il Dolomiti superski (anche a livello di fondi) e consiste in workshop con tour operator e operatori stampa in Russia, ma anche con visite degli alberghi e delle piste dei nostri comprensori. Il fatto che siano una tipologia di clientela le cui presenze sono molto elevate rispetto alle altre nazionalità, è spiegato con due motivi: il primo è geografico

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perché qualcuno viene da noi direttamente in macchina, mentre il secondo è un fattore di abitudine ai soggiorni più lunghi della media”. Ma oltre all’incremento dei flussi turistici, da qualche anno a questa parte diversi russi hanno messo mano al portafoglio e iniziato a comprare diverse proprietà immobiliari in Italia. Paolo Bellini, Presidente dell’Ira (Italian Russian Association, network che mette in contatto venditori italiani e compratori russi), traccia una micro evoluzione del fenomeno negli ultimi tempi. “Sei anni fa hanno iniziato a comprare in Italia gli oligarchi e i grandi investitori con potere d’acquisto al di sopra dei 10 milioni di euro. Ultimamente, invece, si sono affacciate sul mercato altre due fasce di reddito, rappresentate dalla piccola borghesia in crescita che vuole acquistare nel nostro Paese: quelli disposti a spendere dai 500 mila euro al milione di euro, e quelli che invece richiedono immobili che vanno dai 100 ai 500 mila euro”. Ma attenzione: non è che se vendete a un russo le cifre dovranno per forza di cose essere eclatanti. “Vogliono fare affari in Italia – prosegue Bellini –. Sono molto attenti, analizzano ogni dettaglio (dalla redditività all’analisi economica dettagliata dell’investimento) e sanno benissimo se un prezzo è fuori mercato rispetto


Val Gardena

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al Paese dove stanno acquistando. La nostra associazione (nata nel 2007 e che in questo lasso di tempo ha portato a termine 46 transazioni tra Italia e Russia, con una media sul prezzo degli immobili venduti di 3,9 milioni di euro) fornisce al consolato una guida all’acquisto degli immobili italiani trasparente e onesta”. Anche nella stazione piemontese di Sestrière, l’afflusso russo si attesta in crescita e il manager del consorzio turistico, Carlo Fogliata, aggiunge “che questo mercato rappresenta una fetta importante sul totale delle presenze e per ciò si tende ad avere un occhio di riguardo verso questi clienti, senza però urtare gli altri operatori con cui collaboriamo”. Ma il caso di Sestrière ha una particolarità in più e sembra quasi essere il trait d’union tra la prima e la seconda tipologia di russi, ovvero quelli che vengono in Italia soltanto in vacanza e quelli che ci vengono per investire e fare affari

acquisendo parte del patrimonio immobiliare. Tra le eccellenze in vendita a Sestrière, indirizzate e promosse sul mercato russo, c’è anche l’intero complesso del villaggio olimpico: ovvero 351 appartamenti spalmati su 7 palazzine e serviti da tutta una serie di servizi, quali bar, ristoranti, supermercati, piscine, spa, sale congressi. Un vero e proprio villaggio indipendente a 50 metri dagli impianti. La società che al momento gestisce il “bestione”, la Villaggio Olimpico Srl (il complesso è adibito per il 20 per cento a time sharing, ovvero a locazione per alcuni periodi limitati, e per il restante ad alberghiero) vende tutto in blocco. Il prezzo? Ventotto milioni di euro. Andrea Benini, l’immobiliarista che ha avuto il mandato per la vendita del complesso, spiega che “per un’operazione di queste dimensioni c’è bisogno di un grosso investitore”. E per questo, ovviamente, si è guardato a est. Dove? In direzione di Mosca, naturalmente. © SCI 319

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TECNICA \ SCIA CON NOI

LE AREE DI MIGLIORAMENTO

La giusta

direzione del busto (nella seconda parte della curva)

SEGUI I NOSTRI CONSIGLI E CAPIRAI COME CHE È MOLTO PIÙ FACILE COLLEGARE TRA LORO UNA CURVA E QUELLA SUCCESSIVA SE IL BUSTO MANTIENE LA GIUSTA DIREZIONE. IMPARERAI A PADRONEGGIARE LO SCI CON EFFICACIA E A DIVERTIRTI DISEGNANDO TUTTE LE TRAIETTORIE CHE VORRAI — giacomo bisconti — ph enrico schiavi dimostrazioni: giacomo bisconti

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in collaborazione con

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PER OTTENERE UNA SCIATA BRILLANTE e soddisfacente bisogna imparare a collegare in fluidità ogni curva con quella successiva, senza mai interrompere l’azione motoria. Lo sci è infatti uno sport dove tanti movimenti sono collegati, uno all’altro, senza interruzione, un po’ come pedalare in bicicletta: se la gamba si ferma smetti di muoverti. Per facilitare quindi il cambio degli spigoli e passare da una direzione all’altra, devi avere la direzione corretta della parte alta del corpo. Infatti il busto, nella seconda parte di curva, deve rallentare la velocità di rotazione rispetto ai piedi; per semplicità si può dire che lo sterno deve rimanere rivolto verso la punta dello sci esterno. Anche la testa ha un’importanza fondamentale, infatti la punta dello sci va nella direzione del nostro sguardo appena libero il “vecchio” spigolo. Se mantieni, inoltre,

una buona simmetria e una posizione corretta della parte alta del corpo, riuscirai a fare girare meglio e prima, indirizzandolo dove desideri. Segui alcuni dei nostri esercizi per migliorare la seconda parte di curva e vedrai come sarà più facile e meno stancante danzare da una curva all’altra. Ricordati allora di rimanere a fine curva con le spalle rivolte a valle mentre con la testa dirigi lo sguardo dove vorresti che la prossima curva venisse effettuata: la sensazione sarà quella di canalizzare le energie per affrontare una curva dietro all’altra in un crescendo di sensazioni sempre più intense, con massimo controllo e precisione di curva. Prova a giocare con gli esercizi che ti proponiamo e ti sentirai subito più veloce e armonico. Potrai sbizzarrirti nel disegnare curve fantastiche.

I NOSTRI FORNITORI 3

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1 Le dimostrazioni di questo mese sono a cura di Giacomo Bisconti, 40 anni di Abbadia San Salvatore (Si), responsabile tecnico di SCI, istruttore nazionale, allenatore federale di terzo livello, presidente del Collegio Toscano maestri di sci 84

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{1} GOLDWIN ARASHI Giacca termica da uomo realizzata in 4way polyester twill con trattamento G-Tec plus realizzato da Goldwin per offrire un maggior comfort a tutti gli sciatori. Tale trattamento dona maggiore impermeabilità e traspirabilità al tessuto elasticizzato. Dettagli tecnici: Cuciture completamente termosaldate, zip impermeabili, tagli laser. Cappuccio amovibile, speciale sistema di ventilazione facciale, tasca portamaschera, tasca portacellulare, tasca porta-skipass, sistema di ventilazione della giacca. Comfort: ultra leggero, ergonomico, massimo comfort. Taglie dalla 46 alla 56, colori: arancio, green tea, rosso, nero, blue fog. Prezzo al pubblico consigliato: 398 euro. {2} LEKI WC RACING SL TBS La combinazione tra un modello da racing e un bastoncino da sci ultrarigido in alluminio, rende il Wc Racing Sl Tbs un prodotto eccellente, da utilizzare in qualsiasi situazione. Leggero e resistente, munito di elementi di alta qualità, come uno Slalom grip con l’apposito Trigger S vario strap e la forma del fusto Airfoil. Peso: 584 grammi. {3} LEKI WORLDCUP

RACING TITANIUM S Il guanto da gara Worldcup racing titanium S è realizzato con i migliori materiali. La parte esterna in robusta pelle di capra resistente regge anche i carichi più pesanti. Una speciale fodera in pile sul dorso fornisce la massima comodità anche nell’ambito delle competizioni, senza diminuire la prestazione. SistemaTrigger S system integrato. {4} BRIKO MASCHERA EOS Novità della collezione AI 13/14. Sicura e alla moda: la nuova maschera Yoshi assicura il colore e il divertimento necessario ai bambini che si avvicinano al mondo dello sci. Lenti THRAMA®. Il frame è in poliuretano iniettato e la spugna è a densità variabile per garantire un ottimo comfort. Possiede lente piatta in policarbonato. E’ adatta alla categoria “Kids” e possiede ed è conforme alle Norme Europee CE. Tecnologie: THRAMA® Brown SL cat.2, THRAMA® Red DL cat.1, THRAMA® Red SL cat 1. La maschera Eos ha una particolarità: Tutte le lenti THRAMA ® hanno subito un trattamento “mirroring” (lente specchiata con deposizione di particelle metalliche sulla superficie della lente che consentono un abbattimento della luminosità)

e “antifog” (trattamento superficiale delle lenti che ne impedisce l’appannamento). Disponibile in numerosi versioni grafiche: Light Blue, Yellow, Black, White, Red, Pink. {5} BRIKO CASCO FLUID X Tra le novità della collezione BRIKO Snow Helmets Autunno-Inverno 13/14. Un casco elegante, deciso e sicuro di sé. Il Fluid-X coniuga un design pulito e lineare con degli inserti grafici in carbonio e la tecnologia dell’ In-Moulding garantisce una leggerezza senza eguali. Semplicità e fermezza trovano in Fluid-x la loro forma. Rientra nella categoria “Freeride/ all users” e garantisce il livello di sicurezza richiesto dalla normativa EN1077. Tecnologie: calotta in “InMoulding Technology”, fori di ventilazione per un’aerazione ottimale del casco, padding interni completamenti removibili, lavabili e antibatterici, sacca protettiva. Misure: 54-56-58-60-62. {6} ERREA’ SPORT, LINEA ACTIVE TENSE Completo maglia con manica lunga e panta a ¾ dell’esclusiva linea Active tense Erreà, la gamma di prodotti ad applicazione universale (sportiva,

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TECNICA \ SCIA CON NOI

ntato Il busto dovrà rimanere più orie zione dire ta gius la verso valle così darà oli. spig i degl agli sci dopo il cambio sci Il peso, inoltre, si distribuirà sullo e e esterno con maggiore precision concretezza. sarà Ricorda che gli sci andranno dove di Pren o. bust il e rdo sgua lo orientato tua della iera cern la to come riferimen sci giacca a vento e orientala verso lo la eder rend di esterno, immaginando o. bass visibile da chi ti guarda dal

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Se il busto segue la rotazione degli sci, magari lasciando cadere anche la spalla interna, le curve si collegheranno con difficoltĂ e lo svincolo sarĂ maggiormente sa difficoltoso, con il risultato di scar precisione e curve mal gestite. In questo caso la cerniera della tua giacca a vento non si orienta verso : valle ma segue la direzione opposta te! sale verso mon

SE HAI QUESTO DIFETTO... ECCO ALCUNI CONSIGLI IMPORTANTI PER MIGLIORARE SCI 319

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TECNICA \ SCIA CON NOI

DIVERTITI ALTERNANDO ESERCIZI PER LA DIREZIONE DEL BUSTO FRA UNA SCIATA E L’ALTRA: NOTERAI SUBITO IL CAMBIAMENTO!! ESERCIZIO 1 Per capire come gestire la parte alta del corpo e favorire l’appoggio sullo sci esterno, prova con le mani lungo i fianchi a sollevare il braccio e la spalla verso monte nella seconda parte di curva, alternativamente in tutte le curve.

ESERCIZIO 2 Con un bastoncino posizionato dietro la schiena, come in foto, cerca, abbassando la spalla a valle nella seconda parte di curva, di ottenere la posizione dei bastoni più alti verso monte.

ESERCIZIO 3 Con le mani sui fianchi, durante la seconda parte di curva, abbassa la spalla a valle.

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ESERCIZIO 4 Esegui delle curve chiuse cercando di avvicinare la spalla a valle alla manopola del bastoncino durante l’appoggio dello stesso.

ESERCIZIO 5 Esegui curve chiuse sollevando lo sci interno e cercando di rivolgere il busto verso un punto fisso, immaginario, verso valle.

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TURISMO \ VAL DI FASSA

Non solo

Sellaronda — enrico maria corno —

SETTE COMPRENSORI CHE VANNO BEN OLTRE IL CLASSICO GIRO DEI QUATTRO PASSI. ALLA SCOPERTA DELLA VAL DI FASSA PIÙ AUTENTICA

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Ralf Brunel/Apt Fassa


TURISMO \ VAL DI FASSA Val Giumela. Sotto, vista sulla valle San Nicolò Nell’altra pagina, dall’alto: panorama dalla stazione di partenza della telecabina del Buffaure. Sotto, Ciampedie e il Bar ski stadium

COL RODELLA, PASSO SELLA E PASSO PORDOI. E sarebbe già abbastanza per qualificare la Val di Fassa come una mecca dello sci, almeno sulle Dolomiti. Ma non è finita. Ci sono infatti anche le piste sulla Marmolada, metà in territorio trentino e metà in Veneto. E i 40 chilometri di Carezza, il Passo Lusia collegato con Bellamonte in Val di Fiemme, il Passo San Pellegrino collegato con Falcade… E infine c’è lo Ski tour panorama, proprio al centro della valle tra Vigo e Alba di Canazei, esteso su entrambi i versanti orografici, che riunisce la ski area del Ciampedie, quella del Buffaure e quella del Ciampac: 19 impianti, 40 chilometri di piste (www.skitourpanorama.com) e, potenzialmente, almeno tre diverse tipologie di sciatori: famiglie, slow 92

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skiers e snow addicted. Il comprensorio del Ciampedie, pur essendo diventato celebre in giro per il mondo per aver ospitato gli allenamenti di Alberto Tomba, è in realtà una destinazione per famiglie, disegnata attorno ai bambini, con un’infinità di servizi (dai baby snow park ai maestri dedicati) raccolti sull’omonimo altipiano a 2000 metri di altezza, dove si concentrano anche i rifugi – tutti ben noti per il livello della cucina tipica – e dove arriva la funivia che risale dal centro di Vigo di Fassa. Da qui parte una manciata di piste, tutte facili e nel bosco e tutte molto suggestive. Chi ha voglia e tempo per fermarsi ad ammirare il panorama, gode di una vista unica: all’arrivo della seggiovia di Prà Martin, a 2100 metri, si scia infatti proprio


condizioni di neve abbondante. Così come la pista di rientro verso Pera di Fassa, alla base delle seggiovie che sono la porta di accesso “secondaria” alle piste. Tutta la ski area, quindi, è perfetta per chi ama andare “lento” e soprattutto per chi vuole imparare oppure riprendere a sciare dopo tanto tempo: neve perfettamente mantenuta, pendenze ideali, “parcheggio” per eventuali figli e una valle accogliente ad attenderlo al rientro alla sera. Al Ciampedie si può sciare tutto il giorno o anche solo qualche ora: che si scenda a Vigo o a Pera, infatti, è atti-

tutta la Val di Fassa fino ad Alba di Canazei, dove un comodo skibus (in attesa della futura funivia che “trasvolerà” la valle) ricongiunge gli sciatori con la telecabina che sale al Belvedere del Pordoi. Questo è il bello del Dolomiti Superski. Il “semplice attraversamento della Val di Fassa”, dal Buffaure al Ciampac (cioè da sud a nord e ritorno), anche senza finire nel Sellaronda, è un’esperienza da provare, in grado di “colpire” pure l’appassionato più esigente. Prima di tutto, sono i panorami a fare la differenza. Quando si esce dalla telecabina del Buffaure si guarda in basso a destra e si vedono Cima 11 e Cima 12, Pozza, Vigo e il versante meridionale del Catinaccio sullo sfondo. Davanti, si allungano i Monzoni e la Val San Nicolò, d’inverno ancora più selvaggia che in estate. Basta abbassarsi poche decine di metri e, nei pressi del Rifugio Buffaure (da provare la pasta locale fatta a mano con ricotta »

Ralf Brunel

sotto le tre Torri del Vajolet, tanto vicine che sembra di poterle toccare e che a fatica stanno nell’obiettivo della macchina fotografica: è il Catinaccio Rosengarten, tra le icone delle Dolomiti più riconosciute in tutto il mondo. La pista più impegnativa è proprio la “Tomba”, dove l’Albertone si allenava in speciale (chi vi scrive ha visto la motoslitta quasi ribaltarsi per la pendenza e il peso “dell’ospite” seduto sulla coda), mentre la più lunga è la Thoeni (ai tempi allenatore personale del campione), che riporta giù a Vigo, aperta solo in

vo un servizio di skibus che collega con Meida, sopra il centro di Pozza di Fassa, a un paio di chilometri di distanza. Qui c’è la pista Aloch che arriva fino in paese e che ospita gare di Coppa Europa (di recente anche le discipline tecniche delle Universiadi) e gli allenamenti di gigante e speciale delle nazionali azzurre. La pista - lunga un chilometro - è classificata come nera, ma ha pure un paio di varianti più soft e termina nello Ski stadium permanente. Un tracciato simbolo dello sci agonistico fassano, che è aperto anche la sera (dalle 19.30 alle 22, il mercoledì e il venerdì). Sull’altro lato della strada parte invece la telecabina del Buffaure, che sale sull’omonima cima, da dove comincia il divertimento: pur essendo ad una quindicina di chilometri in linea d’aria dal Sellaronda, i fanatici partono proprio da qui per allungare ulteriormente il giro, attraversando letteralmente da sud a nord

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TURISMO \ VAL DI FASSA davanti agli occhi, come se si alzasse un sipario. Anche i cuori più insensibili avranno un attimo di smarrimento... Essendo in cresta poi (siamo intorno ai 2400 metri), si guarda giù dai due versanti, quello verso la Val San Nicolò e quello verso l’anfiteatro naturale del Ciampac, un catino che ospita una manciata di rifugi (il Ciampac, il Tobià del Giagher e la Baita Valeruz tra gli altri), qualche impianto (tra cui

la stazione a monte della funivia che risale da Alba) e ovviamente l’attacco della nera del Ciampac – omologata Fis - che scende a valle, esposta a nord, infilandosi nel bosco. Ci sono tratti stretti, soprattutto sui tornanti, dove le pendenze raggiungono verticali impressionanti. Al ritorno, la pista che dal Buffaure scende in paese, a Pozza, è invece quanto di più tranquillo si possa

immaginare: una lunghissima blu di 6,5 chilometri si snoda lenta, larga e spettacolare lungo i fianchi della montagna fino a raggiungere la Malga Crocefisso e da lì, seguendo la traccia di quella che d’estate è una strada asfaltata, indietro fino alla partenza. Un tracciato da “gustare” prendendosi i giusti tempi e fermandosi a guardare il panorama su queste splendide montagne. © Ralf Brunel/Fassa APT

affumicata e salsiccia: una delizia), c’è la prima delle seggiovie che tagliano la Val Giumela. L’ultima, che arriva fino all’estremo opposto, sbuca alla Sella Brunech: qui bisogna togliersi i guanti e preparare macchine fotografiche, telecamere e smartphone perché, dall’ultimo pilone all’arrivo in cresta, le cime del Gran Vernel e della Marmolada si presentano lentamente

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Dove dormire Ciampedie: www.alpe nhotelcorona.com a Vigo – tel. 046276 4211 Buffaure: www.hotelm ajare.com a Pozza – tel.046276 4760 Ciampac: www.hotelau roracanazei.it ad Alba – tel. 046260 1261 1

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Dove mangiare (sulle piste) Ciampedie: www.rifu giociampedie.com tel. 0462764432 Buffaure: www.rifugio baitacuz.com – tel. 04 62760364 Ciampac: www.rifugio tobiadelgiagher.com tel. 0462602385 Eventi da non perde re La Buffaure magic nig ht, spettacolo notturno sulla neve il prossimo 11 febbraio alle 21.15 Ciampac sotto le ste lle, cene in baita e pa sseggiate notturne in quota il prossimo 8 febbraio

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