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L a conservazione e lo studio
L e tavo l e d i dat t i c h e Ausländische Kulturpflanzen in farbigen Wandtafeln è il titolo di una serie di tabelloni didattici stampati da Vieweg e Sohn a Gera verso la fine dell’Ottocento. Di grande impatto visivo, con immagini a colori su fondo nero, descrivono oltre alla pianta nell’insieme le sue singole parti: fiori, petali, stami, frutti, semi e sezioni di alcuni organi. Le specie rappresentate, originarie dei diversi continenti, sono prevalentemente legate all’alimentazione. Si possono ammirare ad esempio la Theobroma cacao L. (cacao), Musa sapientum L. (banano), Mangifera indica L. (mango), Ipomoea batatas Musa sapientum L. (banano) e Capsicum annuum L. (peperoncino)
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Il 31 Luglio in sede deliberativa il Senato veneziano si riunisce e approva l’istituzione di un Orto dei Semplici ad uso dell’Università di Padova, con questa dicitura.
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2014 Il 31 Luglio in sede deliberativa il Senato veneziano si riunisce e approva l’istituzione di un Orto dei Semplici ad uso dell’Università di Padova.
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Il 31 Luglio in sede deliberativa il Senato veneziano si © 2017 Rizzoli International Publications. All Rights Reserved. riunisce e approva l’istitu-
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Il 31 Luglio in sede deliberativa il Senato veneziano si riunisce e approva l’istituzione di un Orto dei Semplici ad uso dell’Università di Padova, con questa dicitura.
L’ORTO NELLA STORIA 1687-1719 Il 31 Luglio in sede deliberativa il Senato veneziano si riunisce e approva l’istituzione di un Orto dei Semplici ad uso dell’Università di Padova, con questa dicitura.
1760 Il 31 Luglio in sede deliberativa il Senato veneziano si riunisce e approva l’istituzione di un Orto dei Semplici ad uso dell’Università di Padova, con questa dicitura.
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1879-1915
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L’ortica, ottimo rimineralizzante, utilizzata anche nella moderna lotta biologica contro gli afidi, per evitare l’utilizzo dei pesticidi, e in passato – fino ai tempi di Napoleone ¬– anche come pianta tessile, da cui si ricavava una fibra molto più resistente sia del cotone che della canapa. E il cumino (Carum carvi), molto utilizzato nella cucina mitteleuropea ma anche per un buonissimo liquore – una pianta che si può trovare in Italia lungo tutto l’arco alpino. Sempre nel settore dei medicinali scopriamo il luppolo che cambia nome, come è ovvio, di nazione in nazione, ma anche solo di provincia in provincia: a Padova è chiamato ad esempio «bruscandolo». Più avanti troviamo il corniolo bianco (Cornus alba) e il corniolo classico (Cornus mas) con cui si prepara una grappa squisita. Il legno del corniolo è molto duro: proprio per questo motivo si narra del suo utilizzo per fabbricare il cavallo di Troia, nemmeno scalfito dalla lancia di Laocoonte. Osservando attentamente, si scorge anche l’aglio or-
Endionem as prae. Faceatur aspid modis doluptiisint eos mosandaeObit quam faccullit
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sino, variante selvatica di quello consumato comunemente, l’alliaria, un’erba che deve il suo nome al leggero sapore di aglio, e il salice, che ci riguarda da vicino per via dell’acido salicilico, isolato la prima volta dalla sua corteccia nel 1837. Hoffman ne ricavò l’acido acetilsalicilico, inventando l’Aspirina («A» sta per acetilico, «spir» sta per Spiraea ulmaria, il fiore da cui si ricava l’acido salicilico, e il suffisso «-ina» è tipico e veniva usato all’epoca per riferirsi ai farmaci). Ogni nome conserva la traccia di una storia. Il cardo mariano (Silybum marianum) deve il suo nome alla foglia macchiata di bianco, che rappresenta secondo la tradizione le gocce del latte di Maria, la madre di Gesù. Il rosmarino è una pianta mediterranea, con un’etimologia piuttosto lirica che rimanda a un’idea di «rosa marina» per il suo fiore azzurro. © 2017 Rizzoli International Publications. All Rights Reserved.
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D e ntro il Giar dino d e ll a Bio diver s ità Alla fine del XV secolo, sull’esempio di quello padovano, gli orti botanici cominciarono a diffondersi in tutta Europa: a Pisa, Firenze, Bologna, poi a Lipsia, Jena, Heidelberg in Germania, a Leida e ad Amsterdam in Olanda, a Montpellier e solo successivamente a Parigi in Francia e a Copenaghen in Danimarca. A partire dal XVI secolo, ne inaugurarono a Oxford in Inghilterra (i celebri Royal Botanic Gardens di Kew furono fondati solo nel 1759), a Coimbra in Portogallo e a Uppsala in Svezia.
Cota tinctoria (L.) J.Gay (=Anthemis tinctoria L.), collezione W.Pfaff
La sfida dichiarata di Padova, come abbiamo già visto, fu quella di affiancare alla teoria l’osservazione diretta e la pratica, e unire ricerca e didattica, così come scienza e cultura. E la sfida che invece attende qualsiasi orto botanico oggi? Innanzitutto, è una sfida che si gioca su molti più piani. Da un lato, è richiesta una trasmissione esatta della propria storia. E anche se a un livello diverso, la ricerca rimane un elemento centrale di questa istituzione. La didattica, pure, costituisce un approccio irrinunciabile, dato il pubblico che in larga parte accede a questi spazi: perlopiù studenti della fascia di istruzione primaria e secondaria di primo grado. Ma un orto, oggi, è anche – deve esserlo – un sito museale, capace di attrarre visitatori di ogni nazionalità e tipo, di ogni livello intellettuale. E non per la necessità di fare numero in sede di bilanci a fine anno: il bisogno di utenza risponde a delle ragioni di ordine storico e civile. È responsabilità di ogni orto antico rinnovarsi, per diffondere una cultura dell’ambiente naturale e sviluppare il più possibile tra la popolazione una sensibilità per la questione
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Dà il suo primo segnale all’ingresso, zampillando da una vecchia fontanella. È un dialogo senza inizio e senza fine. Scorre sotto i passi di chi entra dal ponte delle Priare, nel canale Alicorno, dove le correnti partite dal Tronco Maestro del Bacchiglione, attraversata la canaletta del Prato della Valle, proseguono attraverso l’Orto botanico e si uniscono, dopo Pontecorvo, con il Canale santa Chiara per dar luogo al Canale san Massimo. Scorre nell’Orto da secoli. Nutre le sue radici, rinnova senza sosta germogli, tronchi, rami, foglie. Conserva e rilancia la sua vita. Nella terra. Sotto la terra. Nelle vasche in pietra. Animando le fontane o sostenendo le ninfee. Bagnando le piante dall’alto, quando è tempo di pioggia, o se il freddo ha chiamato a consiglio la neve. Dietro il verde decorato dalle tinte incalcolabili di questo giardino, brilla la luce trasparente dell’acqua, nutrimento e gioia, preghiera spontanea di ciò che vive.
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“L’acqua è cuore e motore della vita in ogni sua espressione. Vale anche per l’Orto di Padova: l’acqua è il suo segreto di bellezza”. © 2017 Rizzoli International Publications. All Rights Reserved.
I L P R I M O E L E M E N T O : L’A C Q U A
L e p i a n te e l’acq ua: alcu ni c a s i d ell a s er r a tro picale
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FOTO EICHHORNIA] (banano) e Capsicum annuum L. (peperoncino)Ti odis et ut ad experrore maiora dere qui dolorecatus dolorest, odias que nat
[FOTO ninfea] (banano) e Capsicum annuum L. (peperoncino)Ti odis et ut ad experrore maiora dere qui dolorecatus dolorest, odias que nat
Le Tillandsie della serra tropicale sono piante con radici ridotte o addirittura assenti, tanto da meritare il nome di atmospheric plants. Le loro lunghe foglie sono rivestite di particolari squame dal colore grigio-verdi che le rendono vellutate e formano una vera e propria interfaccia con l’ambiente circostante. La loro particolare forma assolve il compito di assorbire sia l’acqua piovana che l’umidità atmosferica. È una forma che ricorda quella di un chiodo, la cui testa convoglia l’acqua, che si incanala lungo l’asse per raggiungere i tessuti interni della pianta. Nella vasca della serra tropicale si incontrano diverse specie di grande interesse, galleggianti o anche completamente immerse nell’acqua. Grazie agli aerenchimi, tessuti tipici di queste specie, l’ossigeno e in genere i gas vengono catturati da piccoli canali e da lì «soffiati» verso le parti più profonde della pianta. Nel caso dei piccioli delle foglie dell’Eichhornia crassipes, detta Giacinto d’acqua, una specie di origine sudamericana, gli aerenchimi sono piuttosto evidenti, visibilmente gonfi, al punto da apparire come organi carnosi, quando in realtà sono soltanto gonfi di aria, aria
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I L G I A R D I N O D E L L A B I O D I V E R S I TÀ
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Solo in seguito a questo grave episodio, le ipotesi di intervento avanzate lungo i decenni cominciarono a tradursi in interventi concreti, grazie anche al sostegno del Ministero dei Beni culturali. Prima, fu l’installazione di un impianto di irrigazione automatizzato, dotato di sensori per il monitoraggio della falda idrica. Ed è del 1997 l’inserimento dell’Orto come sito culturale nella Lista Unesco del Patrimonio Mondiale, cui fu associata la raccomandazione alle autorità deputate di osservare la massima vigilanza affinché l’Orto fosse protetto, lungo i suoi confini, dallo sviluppo edilizio. Contestualmente, l’Orto di Padova veniva inserito nella Lista dei cento siti a rischio di estinzione 1998-1999, redatta dal World Monument Watch del World Monument Fund. E dopo vari tentativi, falliti, di acquisire l’area adiacente – quella interessata alla costruzione del complesso residenziale – per destinarla a progetti di conservazione e di espansione del sito botanico, finalmente l’Università poté procedere all’acquisto dell’area denominata «Tre Pini», grazie a importanti finanziamenti disposti dal governo sulla base di due Proposte di Legge firmate da un gruppo di parlamentari padovani.
Ic temqui doluptatis denihil mo qui que nos in cus et laccus untur? Exernamendi omniminihiti que que sitectent ma cum, inulpa
Dove si trovavano e quali erano le principali criticità dell’Orto? Quali attività scientifico-didattiche potevano essere sviluppate nel nuovo spazio? La risposta fu suggerita dalla visione delle serre ottocentesche che, pur rappresentando un’eredità storica preziosa, testimone di scelte allora all’avanguardia, come quelle dei materiali da costruzione e dell’impiantistica
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