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Se vi dicessi che esiste un club segreto, i cui membri sono selezionati esclusivamente tra le persone più potenti della società – i banchieri, i super-ricchi, i magnati dei media, gli amministratori delegati, gli avvocati, i vertici della polizia, i militari decorati, i politici, i funzionari di governo e persino alti prelati della Chiesa cattolica – mi credereste? Non sto parlando dei Massoni, del Club Bilderberg, del Bohemien né di tutte quelle altre denominazioni rifritte dietro le quali si nascondono gli interessi commerciali di ingenue combriccole da teoria della cospirazione. No. All’apparenza, questo club è molto più innocente. All’apparenza. Ma non nei fatti. Il club di cui parlo si riunisce con cadenza irregolare, in luoghi occulti. A volte remoti, a volte nascosti in piena vista. Ma mai due volte nello stesso posto. Di solito nemmeno nello stesso fuso orario. A quelle riunioni, i presenti... be’, non meniamo il can per l’aia, chiamiamoli con il loro nome: sono i Padroni 9
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dell’Universo. Il Braccio Esecutivo del Sistema Solare Conosciuto. Insomma, queste persone, i Dirigenti, usano i loro raduni privati come essenziale momento di riposo dalle fatiche e dallo stress di fottersi il mondo e di escogitare sistemi sempre più sadici e perversi per torturare, schiavizzare e impoverirne gli abitanti. E come impiegano questo tempo libero, quando vogliono rilassarsi? Mi sembra ovvio. Fottendo. Non mi sembrate convinti. Proviamo con un esempio. Avete mai incontrato un meccanico che non abbia un debole per i motori? Un fotografo professionista che non scatti mai una foto fuori dai riflettori del set? Un pasticciere che schifi i dolci? Diciamo le cose come stanno. Questi Dirigenti sono fottitori professionisti. Ti fottono, per aggiudicarsi un vantaggio. Ti fottono, per arrivare in vetta. Si fottono i tuoi soldi, la tua libertà e il tuo tempo. E continueranno a fotterti finché sarai morto e sepolto, due metri sottoterra. E anche oltre. Dunque, cosa fanno quando non fottono da professionisti? Be’, ovviamente... C’è un’altra cosa che dovete sapere. I potenti sono come le celebrità: preferiscono stare tra di loro. Sempre. Per giustificarsi, ripeteranno fino alla nausea che nessuno può capirli, salvo i loro simili. La verità è che non vogliono abbassarsi a frequentare i ranghi inferiori, le masse incolte e ple10
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bee che godono della rovina dei ricchi e dei potenti quando incappano nell’unico ostacolo capace puntualmente di arrestare la loro ascesa: il sesso. Dunque, queste persone, i Dirigenti, i fottitori professionisti, hanno trovato il modo di levarsi ogni sfizio, soddisfacendo le fantasie erotiche più sfrenate e decadenti, senza suscitare scandalo. Come scoreggiare senza la puzza, diciamo. L’espediente è farlo a porte chiuse. Tra di loro. In segreto. Secondo Henry Kissinger, il potere è l’afrodisiaco supremo. Parlava con cognizione di causa, essendosi aggirato per anni lungo i corridoi del potere. Questo club ne è la prova provata. Potremmo definirlo il Fortune 500 della copula. La Lega immorale della trombata. Il Big Sex Bang. Il Gotha del Sesso. Loro lo chiamano Juliette Society. Avanti, provate a cercarla su Google. Non troverete uno straccio di informazione. Assolutamente niente. Il suo segreto è impenetrabile. Ma tanto per non lasciarvi completamente all’oscuro, eccovi qualche antefatto e un briciolo di storia. Il nome si ispira a una delle due sorelle – l’altra si chiamava Justine – concepite (per così dire) dal Marchese de Sade, aristocratico, libertino, scrittore e rivoluzionario del Settecento le cui avventure sessuali inorridirono a tal punto l’ancien régime da farlo rinchiudere alla Bastiglia con l’accusa di oscenità. Con il senno di poi, fu 11
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una pessima mossa, dato che, chiuso tra quattro mura, senza altro da fare che masturbarsi giorno e notte, il Marchese fu ispirato a produrre oscenità ancora peggiori. Tant’è. Durante la prigionia, avrebbe scritto la maggiore opera erotica della letteratura mondiale: Le 120 giornate di Sodoma, l’unico libro al mondo che superi la Bibbia in perversione sessuale e violenza. E quasi anche in lunghezza. Manco a dirlo, fu proprio il Marchese a incitare, da dietro le sbarre della sua cella, la folla radunata sulla strada, affinché prendesse d’assalto la Bastiglia, dando così involontariamente inizio alla Rivoluzione francese. Ma torniamo a Juliette. È la meno nota delle due sorelle. Non perché sia la più ritrosa. Al contrario. Justine è un personaggio piuttosto noioso e bacchettone, un’egocentrica patologica che interpreta il ruolo della vittima fino allo sfinimento. Una di quelle celebrità che se la menano all’infinito sulla loro dipendenza dalla droga e dal sesso, confessandola con falsa contrizione a tutti i talk show, e promuovendo instancabilmente la propria pubblica virtù con crisi d’astinenza durante i reality. E Juliette? Lei è un’irriducibile, impenitente nella sua sete di sesso e omicidio, incallita nello sperimentare la prossima, inedita delizia carnale. Juliette fotte e uccide, uccide e fotte, e talvolta entrambe le cose allo stesso tempo. E la fa sempre franca, senza mai pagare lo scotto delle sue trasgressioni e dei suoi delitti. Forse cominciate a capire. Forse ora indovinate perché questa società segreta, la Juliette Society, non è proprio innocente come appare. 12
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E se vi dicessi che io sono riuscita a penetrare, passatemi il termine, la sua cerchia interna, mi credereste? Non che socialmente fossi all’altezza. Io sono una studentessa a tempo pieno, al terzo anno di college. Studio cinema. Niente di speciale. Una ragazza qualunque, con le stesse aspirazioni e desideri di qualunque altra. Amore. Sicurezza. Felicità. E divertimento. Adoro divertirmi. Mi piace vestirmi bene ed essere bella, ma non ho gusti costosi in fatto di abbigliamento. La mia macchina è una Honda due porte di seconda mano, il regalo dei miei genitori per il mio diciottesimo compleanno, la stessa auto sulla quale ho caricato tutti i miei averi per traslocare da casa al college, e a tutt’oggi con il sedile posteriore ingombro di paccottiglia. Insieme alla famiglia, mi sono lasciata alle spalle gli amici di vecchia data; con alcuni di loro ho perso definitivamente i contatti, mentre altri faranno sempre parte della mia vita, ma nel frattempo mi sono costruita una nuova cerchia di conoscenze, persone che mi hanno aperto gli occhi e allargato gli orizzonti. Dunque adesso la smetterò di atteggiarmi a saccente e mi rivelerò per la persona ordinaria e modesta che sono. Vi dico la verità: se mai mi sono avvicinata alle stanze del potere, è accaduto soltanto nella mia testa. Ho una fantasia erotica ricorrente. No, non sogno di scoparmi Donald Trump a bordo del suo jet privato mentre sorvoliamo Saint-Tropez a un’altezza di trentacinquemila piedi. Non riesco a immaginare niente di più disgustoso. La mia fantasia è molto più terra-terra, più banale e intima. 13
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Un paio di volte la settimana, quando passo a prendere il mio ragazzo dopo il lavoro, se capita che lui sia in ritardo, e l’ultimo a chiudere bottega, io immagino di fare porcherie nell’ufficio del suo capo. In realtà non è mai successo, ma una ragazza ha diritto di sognare, giusto? Il suo capo è un senatore. O, per l’esattezza, un avvocato di successo e aspirante senatore. Jack, il mio ragazzo, fa parte della sua squadra per la campagna elettorale. E per di più si sta laureando in economia. L’una e l’altra cosa tendono a ridurre al minimo la nostra vita in comune perché, alla fine di una giornata di lavoro, Jack è talmente sfinito che in genere si addormenta sul divano appena tolte le scarpe. L’indomani si alza presto per andare a lezione, il più delle volte senza nemmeno il tempo per una una sveltina. Eppure, come si dice, il mattino ha l’oro in bocca. Così io immagino di interpretare il ruolo della fidanzatina perfetta. Mentalmente, ho organizzato la scena in ogni dettaglio, compreso un costume adatto all’occasione: calze e giarrettiere, tacchi a spillo, e il mio trench preferito, beige chiaro e a doppio petto, identico a quello di Anna Karina in Una storia americana di Godard. Sotto, solo la lingerie: magari reggiseno e mutandine nere trasparenti, con guêpière e reggicalze in tinta. Oppure in topless, con un paio di autoreggenti bianche e quei deliziosi slippini a pois rosa che lo fanno impazzire. O in tacchi, senza calze né biancheria, solo una sottoveste di seta lucida, color crema, o un babydoll di chiffon. Ma sempre con un rossetto scarlatto. Il migliore amico di ogni donna. L’ufficio della campagna elettorale è al pianoterra di un palazzo del centro. Ci sono vetrine su ogni lato, e le luci 14
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restano accese tutta la notte, affinché chiunque passi di là possa vedere lo schieramento di identici poster in rosso, bianco e nero incollati all’interno dei vetri, con la foto in primo piano del capo di Jack sotto a una scritta a caratteri cubitali: «vota robert deville». Quindi gli unici posti a offrire un minimo di privacy sono il ripostiglio, il bagno e l’ufficio che Bob – a lui piace farsi chiamare così: «Bob» – utilizza quando è in sede, il che non accade spesso. La stanza si trova proprio sul fondo, accanto all’uscita sul parcheggio, per permettergli di filarsela inosservato dal retro, invece che passare in parata dall’ingresso principale, sotto gli occhi di tutti. Senz’altro qualcuno tra i suoi collaboratori coltiva la fissa di scopare nel bagno o nel ripostiglio, in orario di lavoro, senza venire beccato. Io no, e di certo non in presenza del personale. E comunque di solito lascio la macchina nel parcheggio, Jack mi fa entrare dal retro e... insomma, ho l’ufficio proprio sotto il naso. Forse è il caso di ribadirlo, perché non voglio darvi impressioni sbagliate: in realtà non l’abbiamo mai fatto. Mai nemmeno accennato a farlo. E non so nemmeno se l’idea lo attizzi. Ma nella mia fantasia, appena arrivati in quell’ufficio, con la porta chiusa e le luci spente, baci ed effusioni volano fuori dalla finestra: sono io ad assumere il controllo. Lo sbatto all’indietro sulla poltrona di Bob, un lussuoso aggeggio girevole in pelle imbottita, e lo facciamo proprio lì, nella “stanza dei bottoni”. Gli ordino di restare seduto, senza toccarsi, senza muoversi di un millimetro, e mi esibisco in un piccolo spogliarello, per mostrargli le mie grazie. 15
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Slaccio la cintura del trench, e me lo faccio scivolare sulle spalle, appena un assaggio di pelle nuda. Poi, di colpo, apro un lato del trench, tenendo l’altro stretto sul corpo, rivelando un lampo di ciò che si nasconde sotto. Mi giro di spalle, lascio cadere il trench, chino il busto e appoggio le mani sulla punta dei piedi, a dimostrazione del premio che lo aspetta, se fa il bravo e obbedisce. Il suo uccello è già duro prima ancora che gli sfili i calzoni. E quando lo faccio, vedo la sua erezione premere contro il cotone dei boxer. È il momento di un incontro più ravvicinato. Lui però non ha ancora il permesso di toccarmi. Sempre di spalle, mi metto a cavalcioni delle sue gambe, mi reggo sui braccioli della poltrona e comincio a muovere e strofinare il sedere sul suo inguine, prima delicatamente poi con più forza. Mi abbasso, gli stringo l’uccello tra le natiche, e lo sento flettersi e vibrare e gonfiarsi lungo la curva del mio... Ma sto divagando. Ciò che intendevo dire era che non avevo alcun diritto di trovarmi là, alla Juliette Society, in mezzo a gente di quel calibro. E per entrarci non avevo esattamente risposto a un annuncio su Craigslist, o superato un colloquio di lavoro. Diciamo che possedevo un talento, un’inclinazione, una fame. E qualcuno mi ha notata. Potremmo discutere all’infinito sulle sue origini – natura o cultura? –, ma resta il fatto che il mio talento non è innato. Almeno non che io sappia. No, sono stata io a coltivarlo. Ciononostante, mi accompagna da molto tempo, 16
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codificato nel profondo del mio sistema operativo, come il pulsante segreto di un agente dormiente, attivato solo di recente. Detto questo, da dove comincio a spiegare cosa accadde quella notte? Quella del mio primo incontro con la Juliette Society.
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