Titolo originale: Passion © 2011 Tinderbox Books, LLC e Lauren Kate Pubblicato negli Stati Uniti nel 2011 da Delacorte Press, un marchio di Random House Children’s Books, una divisione di Random House, Inc., New York © 2011 RCS Libri S.p.A., Milano ISBN 978-88-17-05664-9 Prima edizione Rizzoli: giugno 2011 Prima edizione Rizzoli Vintage: gennaio 2012 Progetto grafico degli interni di Angela Carlino www.rizzoli.eu Questo libro è un’opera della fantasia. Nomi, personaggi, luoghi e avvenimenti sono il prodotto dell’immaginazione dell’Autrice o, se reali, sono utilizzati in modo fittizio. Ogni riferimento a fatti o persone viventi o scomparse è del tutto casuale.
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PROLOGO
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Risuonò
uno sparo. Il grande cancello si spalancò. Lo scalpitio degli zoccoli dei cavalli riecheggiò sulla pista come un rombo di tuono. «Partiti!» Sophia Bliss si sistemò l’ampia falda del cappello piumato di un tenue color malva, ornato da un impalpabile velo di chiffon. Aveva un diametro di settanta centime-
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tri: largo abbastanza da darle l’aria di un’appassionata di concorsi ippici, ma non così appariscente da attirare l’attenzione. Tre cappelli erano stati appositamente ordinati dalla stessa modista di Hilton Head per la competizione di quel giorno. La cuffietta giallo pastello copriva la candida testa di Lyrica Crisp che, seduta alla sinistra di Miss Sophia, addentava un sandwich al manzo salato. Il cappello di paglia verde mare con un largo nastro di satin a pois coronava la chioma corvina di Vivina Sole, seduta alla destra di Miss Sophia in un atteggiamento di falsa modestia, le mani guantate di bianco posate in grembo. «Giornata splendida per una corsa» disse Lyrica. Con i suoi centotrentasei anni era la più giovane degli Anziani di Zhsmaelim. Si asciugò una goccia di senape dall’angolo della bocca. «È la mia prima volta alle corse, sapete?» «Sssh» sibilò Sophia. Lyrica era così stupida. L’evento del giorno non erano le corse dei cavalli, ma l’incontro clandestino di menti eccelse. Poco importava se le altre menti eccelse non si erano ancora fatte vedere. Sarebbero arrivate. In quel luogo perfetto e neutrale indicato sull’invito stampato a caratteri dorati che Sophia aveva ricevuto da un ignoto mittente. Sarebbero arrivate, si sarebbero fatte riconoscere e avrebbero escogitato un piano d’attacco collettivo. Da un momento all’altro, ormai. O almeno così sperava. «Splendida giornata per uno splendido sport» fu il commento distaccato di Vivina. «Peccato che il nostro cavallo in questa gara non sia docile come quelle puledre
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laggiù. Non è vero, Sophia? Difficile scommettere su come finirà quella purosangue di Lucinda.» «Ho detto sssh» mormorò Sophia. «Tieni a freno quella tua linguaccia. Ci sono spie dappertutto.» «Sei fissata» disse Vivina, suscitando una risatina da parte di Lyrica. «Sono tutto ciò che rimane» ribatté Sophia. Un tempo erano così tanti: ben ventiquattro Anziani al massimo dello splendore degli Zhsmaelim. Un gruppo di mortali, di immortali e qualche transeterno come la stessa Sophia, una coalizione di sapere, di passione e di fede con un unico scopo comune: riportare il mondo al suo stato primordiale, quel breve, glorioso momento prima della Caduta degli Angeli. Nel bene o nel male. Era scritto a chiare lettere nel codice che avevano redatto e firmato insieme: nel Bene o nel Male. Perché poteva davvero finire in un modo o nell’altro. Ogni moneta ha due facce. Testa e croce. Luce e tenebra. Bene e... Be’, se gli altri Anziani non si erano preparati per entrambe le opzioni non era colpa di Sophia. E tuttavia era la croce che doveva portare da quando le erano arrivati, uno dopo l’altro, gli avvisi del loro ritiro: “I vostri obiettivi sono diventati troppo oscuri”, oppure “I criteriguida dell’organizzazione sono crollati” o anche “Gli Anziani si sono allontanati troppo dal codice originale”. La prima ondata di lettere era arrivata, com’era prevedibile, una settimana dopo l’incidente con quella ragazza, Pennyweather. Non potevano tollerare, sostenevano, la
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morte di una ragazzina insignificante. Era bastato un momento di distrazione con un pugnale e all’improvviso gli Anziani si erano fatti prendere dal panico, temendo l’ira della Bilancia. Codardi. Sophia non aveva paura della Bilancia. Il loro compito era di sorvegliare i Caduti, non i Giusti. Angeli inesperti come Roland Sparks e Arriane Alter. Purché non si disertasse dal Paradiso, si era liberi di compiere qualche deviazione. In situazioni di emergenza era praticamente indispensabile. Sophia si era consumata gli occhi a furia di leggere le pavide scuse degli altri Anziani. Ma se anche avesse voluto farli rientrare nei ranghi – cosa che non desiderava affatto – non c’era niente che si potesse fare. Sophia Bliss, la bibliotecaria della scuola che un tempo aveva svolto mansioni di semplice segretaria del collegio di Zhsmaelim, adesso ricopriva il grado più alto degli Anziani rimasti. Erano appena dodici, e tra questi di nove non ci si poteva fidare. Quel giorno erano soltanto in tre all’ippodromo, con i loro enormi cappelli dai colori pastello, a puntare per telefono sui cavalli. E ad aspettare. Patetico quanto fossero caduti in basso. La corsa terminò. Un altoparlante tutto scariche elettrostatiche annunciò i vincitori e le quotazioni per la corsa successiva. I riccastri e gli ubriaconi che le circondavano esultarono o si accasciarono avviliti sui sedili. Una ragazza sui diciannove anni, con i capelli biondo platino raccolti in una coda, un trench marrone e un paio
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di occhiali da sole dalle lenti spesse e scure, cominciò a risalire adagio i gradini di alluminio, diretta verso le Anziane. Sophia si irrigidì. Perché si trovava lì? Era impossibile stabilire in quale direzione stesse guardando la ragazza, e Sophia si sforzò di non fissarla. Non che avesse qualche importanza: la ragazza non poteva vederla. Era cieca. Eppure... L’Esclusa le fece un cenno con la testa. Già: quelle insulse creature erano capaci di scorgere il bagliore dell’anima di una persona. Era fievole, ma la forza vitale di Sophia doveva essere ancora visibile. La ragazza sedette nella fila vuota davanti alle Anziane, il viso rivolto alla pista, sfogliando un bollettino delle corse da cinque dollari che i suoi occhi ciechi non potevano leggere. «Ciao.» La voce dell’Esclusa era monocorde. Non si voltò. «Non so proprio perché sei qui» disse Miss Sophia. Era un’umida giornata di novembre nel Kentucky, ma a un tratto un velo di sudore le aveva imperlato la fronte. «La nostra collaborazione si è conclusa quando le vostre schiere non sono riuscite a recuperare la ragazza. Le scuse farneticanti di quello che si fa chiamare Phillip non serviranno a farci cambiare idea.» Sophia si protese verso la ragazza e arricciò il naso. «Tutti sanno che degli Esclusi non ci si può fidare...» «Non siamo qui per fare affari con voi» ribatté l’Esclusa, fissando dritto davanti a sé. «Voi non eravate altro che
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un mezzo per avvicinarci a Lucinda. Collaborare con voi non ci interessa.» «A nessuno importa più niente della vostra organizzazione, di questi tempi.» Altri passi risuonarono sugli spalti. Il ragazzo era alto e snello, con la testa rasata e un trench uguale a quello della ragazza. I suoi occhiali da sole di plastica erano del tipo che si trova sugli espositori dei grandi magazzini, vicino alle pile. Phillip scivolò sul sedile accanto a Lyrica Crisp. Come l’altra Esclusa, anche lui non si volse verso di loro quando parlò. «Non sono sorpreso di trovarti qui, Sophia.» Si calò gli occhiali sul naso, rivelando gli occhi bianchi e vuoti. «Soltanto deluso che tu non abbia sentito il bisogno d’informarmi che eri stata invitata.» Lyrica trasalì nel vedere quegli orribili occhi bianchi dietro le lenti. Persino Vivina perse il suo contegno distaccato e irrigidì la schiena. Sophia si sentiva ribollire dentro. L’Esclusa le mostrò un biglietto dorato simile a quello che aveva ricevuto Sophia, tenendolo fra l’indice e il medio. «Noi abbiamo ricevuto questo.» Solo che il loro cartoncino era scritto in Braille. Sophia allungò una mano per sincerarsi che fosse lo stesso invito, ma con un movimento fulmineo il biglietto scomparve nella tasca del trench della ragazza. «Sentite, pivelli che non siete altro. Ho marchiato le vostre stellesaette con l’emblema degli Anziani. Voi lavorate per me...»
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«Sbagliato» la interruppe Phillip. «Gli Esclusi non lavorano che per se stessi.» Sophia lo vide tendere il collo per fingere di seguire un cavallo in pista. Aveva sempre considerato inquietante il modo in cui gli Esclusi davano l’impressione di poter vedere. Quando tutti sapevano che lui li aveva accecati con un semplice schiocco di dita. «Peccato che non siate stati troppo bravi nel catturarla.» Sophia si accorse di aver alzato la voce più del dovuto, attirando lo sguardo di una coppia attempata dall’altro lato della tribuna. «Avremmo dovuto lavorare insieme per rintracciarla» sibilò, «e voi... voi avete fallito.» «In un modo o nell’altro non avrebbe fatto differenza.» «Che vuoi dire?» «Lei sarebbe comunque perduta nel tempo. È sempre stato il suo destino. E gli Anziani sarebbero ancora appesi a un filo. Che è il vostro, di destino.» Sophia avrebbe voluto avventarsi su di lui, strangolarlo fino a fargli schizzare quegli occhi bianchi dalle orbite. Aveva la sensazione che il suo pugnale volesse aprirsi un varco nella borsetta di vitellino che teneva in grembo. Se solo fosse stato una stellasaetta. Sophia fece per alzarsi quando una voce risuonò alle loro spalle. «Seduta, prego» tuonò. «Vi richiamo all’ordine.» Quella voce. Sophia capì subito a chi apparteneva. Calma e autoritaria. Imperiosa e umiliante. Fece tremare gli spalti. I mortali seduti lì intorno non si accorsero di nulla, ma una vampata di calore raggiunse la nuca di Sophia. Le
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avvolse tutto il corpo, annebbiandole i sensi. La sua non era una paura normale. Era un terrore che la annichiliva, le stringeva lo stomaco. Avrebbe osato voltarsi? Un timido sguardo le rivelò un uomo in completo nero di taglio sartoriale. I capelli scuri e corti spuntavano da sotto il cappello nero. Il viso, per quanto dolce e attraente, non era di quelli da restare impressi nella memoria: rasato con cura, il naso diritto e gli occhi nocciola che avevano un che di familiare. Miss Sophia non lo aveva mai visto. Ma sapeva perfettamente chi era, lo sapeva con ogni fibra del suo essere. «Dov’è Cam?» chiese la voce dietro di loro. «Anche lui ha ricevuto l’invito.» «Probabilmente sta giocando a fare Dio dentro gli Annunziatori. Come gli altri, del resto» sbottò Lyrica. Sophia le diede una gomitata. «Giocare a fare Dio, hai detto?» Sophia si lambiccò in cerca delle parole giuste per rimediare alla gaffe. «Molti di loro hanno seguito Lucinda indietro nel tempo» disse alla fine. «Compresi due Nephilim. Non sappiamo con sicurezza quanti siano.» «Posso permettermi di chiedere» disse la voce, a un tratto glaciale «perché nessuno di voi ha deciso di seguirla?» Sophia deglutì a fatica, incapace di respirare. Anche i gesti più naturali erano ottenebrati dal panico. «Non possiamo, be’... non abbiamo ancora le capacità per...» L’Esclusa la interruppe bruscamente. «Gli Esclusi sono in procinto di...» «Silenzio» intimò la voce. «Risparmiatemi le vostre
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scuse. Non hanno più alcuna importanza, come voi, del resto.» Il gruppo tacque a lungo. Era terribile non sapere come compiacerlo. Quando alla fine parlò, la sua voce suonò più flemmatica, ma non per questo meno letale. «La posta in gioco è troppo alta. Non posso lasciare nient’altro al caso.» Una pausa. Poi, sempre in tono pacato, aggiunse: «È arrivato il momento che prenda in mano io la situazione.» Sophia si morse il labbro per nascondere il terrore, incapace di controllare i brividi. Un suo coinvolgimento diretto? Era la prospettiva più agghiacciante. Non riusciva a immaginare di lavorare con lui per... «Gli altri ne stiano fuori» disse l’uomo. «Questo è quanto.» «Ma...» Fu un errore, però la parola sfuggì dalle labbra di Sophia prima che riuscisse a fermarla. Tutti quei decenni di lavoro. Tutti i suoi piani. I suoi piani! Quello che seguì fu un ruggito lungo, da squassare la terra. Echeggiò fra gli spalti, allargandosi come un’onda d’urto fino alla pista in una frazione di secondo. Sophia si fece piccola piccola. Il boato le riverberò sotto la pelle, dentro le ossa, fino al cuore, che parve sul punto di andare in frantumi. Lyrica e Vivina si strinsero a lei, con gli occhi chiusi. Perfino gli Esclusi tremarono. Poi, proprio mentre Sophia pensava che quel suono
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non sarebbe mai cessato e che avrebbe decretato la sua morte, il ruggito si spense in un silenzio improvviso. Per un momento. Il tempo di guardarsi intorno e vedere che gli altri spettatori non avevano udito nulla. Si sentì sussurrare all’orecchio: «Il tuo tempo in questa missione è scaduto. Non osare intralciarmi.» Dal basso salì un altro sparo. Il grande cancello si spalancò di nuovo. Solo che questa volta lo scalpitio degli zoccoli sul terreno risuonò fievole e distante come una pioggerella sottile sulle chiome degli alberi. Prima che i cavalli tagliassero la linea di partenza, la figura alle loro spalle era svanita, lasciando soltanto una serie di impronte caprine bruciacchiate sulle assi di legno della tribuna.
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Lucinda!
Le voci la raggiunsero in quella viscida tenebra. Torna indietro! Aspetta! Le ignorò, continuando ad avanzare. Gli echi del suo nome rimbalzavano sulle pareti buie dell’Annunziatore, increspandole la pelle di brividi caldi. Era la voce di Daniel
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o di Cam? Quella di Arriane o di Gabbe? Era Roland che la implorava di tornare indietro, oppure era Miles? I richiami si fecero sempre più confusi finché non riuscì più a distinguerli: i buoni dai cattivi, gli amici dai nemici. Avrebbe dovuto essere facile riconoscerli, ma ormai non c’era più niente di facile. Tutto quello che un tempo era stato o bianco o nero adesso era un’unica mescolanza di grigio. Comunque le due fazioni erano concordi su una cosa: ognuno di loro voleva farla uscire dall’Annunziatore. Per la sua sicurezza, avrebbero detto. No, grazie. Non adesso. Non dopo che avevano distrutto il giardino dei suoi genitori, trasformandolo in un altro dei loro polverosi campi di battaglia. Non riusciva a pensare ai volti dei suoi senza provare il desiderio di tornare indietro. Non che sapesse come si fa a tornare indietro all’interno di un Annunziatore. E poi era troppo tardi. Cam aveva cercato di ucciderla. O se non altro di uccidere quella che pensava fosse lei. E Miles l’aveva salvata, ma anche questo non era così semplice. Era stato capace di proiettare la sua immagine specchio solo perché teneva moltissimo a lei. E Daniel? Lui ci teneva abbastanza? Non era in grado di dirlo. Alla fine, quando l’Esclusa le si era avvicinata, Daniel e gli altri avevano guardato Luce come fosse lei quella che doveva loro qualcosa. Sei il nostro ingresso per il Paradiso, le aveva detto
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l’Esclusa. Il prezzo da pagare. Che cos’aveva voluto dire? Fino a un paio di settimane prima non sapeva nemmeno dell’esistenza degli Esclusi. Eppure loro volevano qualcosa da lei, così disperatamente da combattere Daniel per ottenerlo. Doveva avere un nesso con la maledizione, quella che costringeva Luce a reincarnarsi una vita dopo l’altra. Ma che cosa pensavano che potesse fare lei? La risposta era forse sepolta lì da qualche parte? Provò una fitta alla bocca dello stomaco mentre precipitava nelle viscere gelide e oscure dell’Annunziatore. Luce... Le voci cominciarono ad affievolirsi fino a ridursi a un sussurro. Sembrava quasi che si fossero arrese. Finché... Ripresero a farsi più forti. Più forti e più chiare. Luce... No. Serrò le palpebre per scacciarle. Lucinda... Lucy... Lucia... Luschka... Aveva freddo, era stanca e non voleva ascoltarle. Voleva solo essere lasciata in pace. Luschka! Luschka! Luschka! I suoi piedi calpestarono qualcosa con un tonfo sordo. Qualcosa di freddo, molto freddo. Era su un terreno solido. Non annaspava più alla cieca, lo sentiva, anche se non riusciva ancora a scorgere niente davanti a sé se non un muro di tenebra. Poi abbassò lo sguardo sulle Converse che portava ai piedi.
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