IT Z 10,00 - AUT E 15,00 - BE E 15,00 - D E 19,00 - PTE CONT. E 14,00 - E E 14,00 - UK £ 10,00 - USA $ 20,00
COVER STORY Barni family VIAGGI DEL TUCANO Perù FASHION Ferragamo al Louvre FOOD COUTURE Cioccolato VIAGGI Isole Vergini Camargue
ANNO VI - N° 35 - Estate 2012 E 10,00
CONTENTS 6
Parola di Presidente
I GRANDI VIAGGI DEL TUCANO Viaggio in Perù. Sotto il cielo degli Inca Di Roberta Filippi
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TEORIE DEL VIAGGIO
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GRANDI VIAGGI
RIFLESSIONI SUL VIAGGIO, SULL’ETICA E SULLA CRISI DEL MOVIMENTO TURISTICO ITALIANO Intervista a Willy Fassio, proprietario de Il Tucano Viaggi Ricerca, uno dei Tour Operator di elite del nostro Paese Di Lamberto Cantoni
ISOLE VERGINI U.S. Le perle del turismo caraibico Di Lamberto Cantoni Foto di Luca Bracali REPUBBLICA DOMINICANA: Quando i Caraibi ti fanno sognare Di Lamberto Selleri SUGGESTIONI DI VIAGGIO Avignone e la Provenza dei “prestige hotels”: un connubio da intenditori Di Giancarlo Roversi AIGUES-MORTES Il sale della vita Di Lamberto Cantoni
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FOOD COUTURE
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COVER STORY
Viaggio nel cioccolato italiano d’autore Di Gilberto Mora
BARNI FAMILY Creatori di rose Di Lamberto Cantoni Foto di Luca Bracali
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SFILATA EVENTO
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CAPITALI DELLA MODA
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DESIGN
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ARCHITETTURA
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ARTE
Ferragamo Resort Di Lamberto Cantoni
MOSCA. Nuova capitale della moda. Di Kalmykova Ekaterina
FOo e linea INTERIOR3. La domotica sposa il design Di Arch. Giacomo Dolfi
La Grande Motte Di Lamberto Cantoni
Michelangelo Antonioni, 100 anni d’arte Di Gilberto Mora OLIMPIA BIASI Vulcani, inferi e muse
192 Rassegnarsi al peccato con la Semplice insalata di Stefano Baiocco Di Blue G.
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La nostra struggle of life quotidiana La struttura dei dati definitivi riguardo l’economia degli ultimi mesi non è ancora disponibile. Tuttavia da ciò che si è letto sulle vendite natalizie, possiamo dire che in generale il mercato in Italia non sembra funzionare bene. Fanno eccezione pochi privilegiati settori. A ciò si aggiunge la pressione fiscale più alta che il nostro Paese abbia mai avuto. Direi che non abbiamo nessun motivo per guardare al futuro con fiducia. Le aziende soffrono, la comunicazione pubblicitaria ristagna o prende l’autostrada delle TV, il consumatore si nasconde. Insomma dopo le crisi del 2001 e del 2007/2009 ci ritroviamo in una recessione che sembra non finire mai, responsabile di avere buttato fuori dal mercato migliaia di aziende. In un contesto così drammatico, ce la faranno le aziende veramente complete. Brave cioè a coprire tutti gli aspetti dell’efficienza aziendale: la creatività, il marketing, la finanza, la distribuzione, la vendita, la cura del cliente. Aggiungerei una ulteriore qualità che a mio avviso dovrebbero evidenziare le aziende che ci faranno uscire dall’inferno della crisi: nuovi modi per contattare i clienti, che significa soprattutto, nuove strade per la comunicazione pubblicitaria. Io penso che il vecchio modo di pianificare le risorse disponibili sia stato estinto dalla duplice tenaglia crisi – web. Il consumatore oggi non subisce più passivamente le pubblicità devastanti del passato. Fugge sistematicamente dai programmi, dai media che propongono ancora la vecchia ricetta “maggiori quantità della stessa soluzione”. Anche in questo campo emergeranno le aziende creative, capaci di rovesciare le regole del gioco e di inventarsi la comunicazione là dove nessuno si aspetta di trovarla. Io con I.Quality penso di andare nella direzione giusta. Più che informazioni a me piace proporre al lettore delle narrazioni. Nelle narrazioni ho sempre trovato umanità, genialità e bellezza. E’ chiaro che si tratta di narrazioni minime a forte dominante visiva, ma pur sempre capaci di farci cogliere l’emozione di un prodotto, di un personaggio, di una azienda. Ma anche con le idee giuste se non si rispettano le altre variabili del mercato editoriale la strada per il successo oggi si è fatta molto stretta. Per chi lavora con la carta stampata nel 2012 sarà sempre più difficile reperire le risorse per finanziare la crescita del proprio prodotto. E mi sembra di capire che i lettori comincino ad avere il fiato molto corto. Fur di metafora, tra tasse e aumenti indiscriminati del costo di tutti i beni primari (benzina, acqua, luce, gas), la voglia di prendersi un prodotto editoriale bello e costoso forse si trova rinviata a data da destinarsi. C’è da chiedersi che razza di vita sia quella incatenata alla soddisfazione dei beni primari. La risposta chiedetela ai Professori al Governo che hanno spinto il Paese nelle paludi della recessione. Per quanto mi riguarda ho fiducia che comunque vada una attenzione per la bellezza e la creatività, seppur accerchiate dal realismo dei numeri, rimarrà come telos di molte persone. Sarà grazie alla loro voglia di continuare a sognare che usciremo dalla crisi.
ECOSISTEMI A Kiev, presso la national Art Academy dell’Ucraina, nel mese di giugno è stata dedicata una importante mostra all’arte fotografica di Luca Bracali. Di Roberta Filippi
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Roberta Filippi, Francesca Flavia Fontana, Anna Serini
Giovanni Pacciotti PRESIDENTE DI I.QUALITY I.QUALITY • 5
I GRANDI VIAGGI DEL TUCANO
Viaggio in Perù Sotto il cielo degli Inca Di Roberta Filippi
“I nostri indios hanno lottato, ma non dimenticarono mai che una sola cosa sono l’indio e la madre Tata Inti e Pachamama” Adab Figueroa
Pietra Intihuatana, Machu Picchu. In lingua quechua “il posto dove si cattura il Sole”. Osservatorio astronomico ricavato in un solo blocco di pietra perfettamente levigata. Qui i sacerdoti osservavano il percorso del sole per definire il calendario legato ai lavori agricoli. Autore immagine: Mario Verin
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Scogliere lungo la baia di Paracas Autore immagine: Ludovico De Maistre
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sovrapposero gradualmente il culto del Sole a quello delle divinità preesistenti presso le singole etnie. La stessa ‘fluidità’ si ebbe nei periodi successivi alla conquista spagnola – che impose con la croce e con la spada la religione cristiana: in cambio della pace gli Inca semplicemente hanno vestito nuovi costumi, hanno indossato una maschera adattandosi alla nuova vita: per sopravvivere hanno scelto il compromesso, senza rinunciare alla propria identità, alle credenze, alla magia. Un viaggio nel Perù di oggi è un magnifica esperienza, non è solo un percorso attraverso i luoghi ma anche una vera e propria immersione nel passato. Se vorrete seguirci in questa avventura potrete partire con coi in un viaggio straordinario che tocca alcune delle molte meraviglie del Paese. Dalla capitale Lima attraverso la Panamericana che si snoda sinuosa lungo le coste del Pacifico, andremo a Nasca e Paracas, luoghi di enigmatici geoglifi. E proprio a Nasca proveremo le prime forti emozioni del viaggio: a bordo di un minuscolo aereo che rapidamente raggiunge la quota ideale, la terra si confonde con il cielo e dal finestrino ci appaiono finalmente le tracce enigmatiche di un condor, un colibrì, una scimmia, e poi triangoli, spirali, trapezi, incredibili geometrie ottenute dallo spostamento dal suolo delle piccole rocce in superficie per lasciare affiorare il terreno più chiaro: proiezioni di costellazioni celesti o camminamenti rituali? Non saremo
Saline di Maras Vasche disposte a nido d’ape sul versante della montagna. Autore immagine: Carla Milone
Lama a 4000 metri di altitudine Autore immagine: Stefano Torrione
“Non c’è soltanto un Perù ma tre, paralleli tra loro: il deserto costiero, l’alta montagna e la giungla; tre contrastanti zone geografiche che gli Inca fusero in un impero. Raramente clima e geografia hanno avuto importanza così vitale nella formazione di una civiltà. Lungo i tremila e più chilometri di questa spiaggia sfociano oltre quaranta vallate, ma tra l’una e l’altra non c’è che il vuoto mortale del deserto. Essendo gli alberi piuttosto rari, le popolazioni costiere fecero i loro idoli, ma poiché fango e sabbia erano il fondamento della loro civiltà, costruirono case di fango essicato al sole e le loro città più favolose altro non erano che fango plasmato. Il sole costituiva una minaccia costante, implacabile, e gli uomini scelsero perciò come divinità principale la luna, da cui dipendevano i movimenti del mare. Ma gli Inca non provenivano da questo ambiente; fecero la loro prima comparsa su un elevato altopiano privo di alberi, una regione di erbe alte, infuocata a mezzogiorno e gelida la notte : la terra dei Keshwa (quechua), il ‘popolo della valle calda’ che diede il nome alla loro lingua. La zona temperata andina sorge nelle terre erbose a un’altitudine di oltre 3000 metri…” Così ci racconta von Hagen le pagine degli Antichi imperi del Sole, un testo cardine per chi vuole imparare a conoscere il mondo nel quale si svilupparono le civiltà andine, tra le quali gli Inca. I Quechua, gente silenziosa e laboriosa, vivono la fatica di sempre con filosofia, amano le tradizioni, sanno che non saranno traditi dalla Pachamama – la Madre Terra, e dal dio Inti - il Sole. Gli Inca erano riusciti in breve tempo a prevalere su tutte le popolazioni confinanti, concedendo liberà e prerogative e, dal punto di vista religioso,
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Viaggio in fuoristrada lungo il Canyon di Tinajani, in prossimità del colle La Raya. Autore immagine: Willy Fassio
Lima coloniale Immagine da: Archivio Il Tucano
forse noi a svelare l’enigma di Nasca, uno dei più intriganti della storia, e proseguiamo lentamente, secondo una progressione graduale studiata per abituare il fisico a quote sempre più elevate, sino alla prossima tappa del viaggio: Arequipa, una delle più belle città coloniali spagnole, ricca di edifici religiosi con portali, chiostri e pulpiti lignei di rara bellezza ed un’architettura ricamata nel sillar, un’arenaria dalla tonalità chiara e delicata che le ha conferito il soprannome di “Ciudad blanca”, e quindi la spettacolare Valle del Colca dove il fiume impetuoso ha scavato una gola gigantesca che con i suoi oltre 3000 metri di altezza, il doppio del Grand Canyon del Colorado, è una delle più profonde della Terra. I 3800 metri di altitudine del Lago Titicaca tuttora considerato sacro dalle popolazioni locali, non si sentiranno, abituati ormai all’altitudine. E poi Cusco, l’antica capitale incaica posta a 3350 metri di altezza e la sua splendida conca racchiusa da poderose fortificazioni: pietre ciclopiche, costruzioni fatte per sfidare il tempo, le insidie dei terremoti, la follia dei conquistatori. Si avvicina a grandi passi il punto-chiave di tutto il viaggio: l’arrivo a Machu Picchu, icona delle civiltà andine, traguardo sognato da ogni viaggiatore. La magnificenza e l’irraggiungibilità hanno preservato dalle aggressioni degli uomini e del tempo questo sito posto a 2400 metri di altitudine, racchiuso e protetto da una corona di montagne: tutto fa pensare che fosse un luogo sommamente sacro, e proprio questa connotazione aiutò a mantenerne segreta l’esistenza.
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Tessitrici di etnia Quechua sull’altopiano nei pressi del villaggio di Chinchero Autore immagine: Alessandro Fassio
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IL NOSTRO CATALOGO “TUTTO PERÙ” Viaggi in Perù, tour combinati in Perù e Bolivia, estensioni alle Isole Los Roques, Margarita, Galapagaos, isola di Pasqua e cascate di Iguazù: con Il Tucano Viaggi Ricerca la programmazione più ricca e completa di viaggi nel Paese degli Inca nel catalogo TUTTO PERU’. Uffici di proprietà in Perù e l’esperienza di 30 anni di viaggi d’autore.
Machu Picchu - Scorci di rovine Autore immagine: Francesco Milanesio
PERU’ BUDGET, il miglior rapporto qualità/prezzo PERU’ D’AUTORE, dai classici ai gran tour, l’eccellenza del viaggio in ogni suo aspetto PERU’ FUORISTRADA, i grandi overland, viaggi di scoperta senza tralasciare le mete imperdibili IL GRANDE MOSAICO, estensioni e proposte abbinabili al tour prescelto Tutti i dettagli relativi ai programmi, alle quote ed ai servizi e l’elenco delle nostre agenzie partner sono sul sito www.tucanoviaggi.com. PER INFO E PRENOTAZIONI VIAGGI Il Tucano Viaggi Ricerca Piazza Solferino 14/G - 10121 Torino - Tel. 011 561 70 61 info@tucanoviaggi.com - www.tucanoviaggi.com
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Machu Picchu - L’imponente guglia granitica dello Huayna Picchu sovrasta il complesso delle rovine. Autore immagine: Ludovico De Maistre
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Il Candelabro di Paracas, visibile solamente dal mare, un geroglifo enorme la cui origine rimane ancor oggi avvolta nel mistero. Autore immagine: Alessandro Fassio
IL DAY BY DAY DEL VIAGGIO 1° ITALIA - LIMA 2° LIMA: IL CENTRO STORICO, LA CASA ALIAGA, IL MUSEO LARCO HERRERA 3° LIMA - PARACAS - ESCURSIONE NELLA RISERVA NATURALE 4° PARACAS - NASCA E IL MISTERO DELLE SUE LINEE 5° NASCA - AREQUIPA 6° AREQUIPA - VALLE DEL COLCA 7° VALLE DEL COLCA 8° VALLE DEL COLCA - LA NECROPOLI DI SILLUSTANI - PUNO 9° PUNO - ESCURSIONE SUL LAGO TITICACA: ISOLE UROS E TAQUILE 10° PUNO - IL CANYON DI TINAJANI COLLE LA RAYA - CUSCO 11° CUSCO: VSITA DELLA CITTÀ ED ESCURSIONE ALLE 4 ROVINE 12° CUSCO - CHINCHERO, MARAS E MORAY - OLLANTAYTAMBO MACHU PICCHU PUEBLO 13° MACHU PICCHU PUEBLO LA CITTADELLA DI MACHU PICCHU - VALLE SACRA 14° ESCURSIONE NELLA VALLE SACRA DEGLI INCAS - CUSCO 15° CUSCO - LIMA - ITALIA 16° ITALIA
LO SPECIALISTA DEL PERU’ Piazza Solferino 14/G 10121 Torino Tel. +39 011 5617061 info@tucanoviaggi.com www.tucanoviaggi.com
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Willy Fassio, Dolomiti, l’alpinismo negli anni ‘60. Archivio storico Il Tucano
TEORIE DEL VIAGGIO
Riflessioni sul viaggio, sull’etica e sulla crisi del movimento turistico italiano
Intervista a Willy Fassio, proprietario de Il Tucano Viaggi Ricerca, uno dei Tour Operator di elite del nostro Paese Di Lamberto Cantoni
Torino, estate 2012 Devo dire che a guardarlo oggi, dall’interno del suo spazio lavorativo, non stento a credere che Willy Fassio sia il “viaggiatore”/ imprenditore che negli anni sessanta praticamente inventò un modo di viaggiare che è diventato uno stile: una cultura etica del viaggio che ha ispirato la sua attività sin dalle origini e che ha accompagnato lo sviluppo del settore negli anni in cui l’economia del Paese lo consentiva. Nel fresco, della sua bellissima sede torinese, una geniale fusione tra un concept store, una galleria d’arte una e una Wunkerkammer, senza attendere una mia domanda specifica, mi parla con rara competenza dei significati profondi del viaggiare… “La mia passione per una dimensione esistenziale che potremmo definire “attraversare i luoghi dell’Altro” viene da lontano. Da giovane ero impulsivo, radicale nelle mie decisioni, alternativo al sistema e ribelle nei comportamenti ordinari. Ho cominciato a lavorare molto presto, a 12 anni circa, e la mia adolescenza fu accompagnata alla profonda sensazione di vivere in un mondo terribilmente ingiusto. A quell’età potevo solo arrabbiarmi. E lo feci senza riserve. Nel 68’ mi trovai sulle barricate ad urlare la mia indignazione contro un mondo borghese che detestavo. Ma mi resi conto che gran parte del mio rancore non aveva niente a che fare con i vangeli della contestazione. Proveniva dal di dentro, veniva da una parte di me stesso che come una lente deformante alterava le proporzioni del reale, trasformando le mie emozioni in eruzioni di rabbia a volte sproporzionata. I.QUALITY • 20
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Mi trovai di fronte ad un bivio: annullarmi, cancellare i miei dubbi, e aderire ai discorsi che amplificavano l’orrore di un sistema sociale da distruggere, oppure, capire chi ero, cosa volevo veramente… In questo preciso momento incontrai il Viaggio, nel significato che ho ricordato sopra: attraversamento dei luoghi dell’Altro. La prima distinzione che vorrei chiarire è tra il viaggio- vacanza e il viaggio-trasformazione. Il primo di solito ci rende peggiori o quando va bene ci lascia esattamente uguali a come siamo nella vita ordinaria; il secondo è sempre una esperienza interiore, ovvero la trasformazione del mondo esterno, il pezzo di natura che esploriamo, in qualcosa che si fissa dentro di noi, nella forma di un fascio di idee regolatrici che donano alla nostra vita una dimensione etica irraggiungibile dalla semplice didattica. La mia ambizione, soprattutto all’inizio della mia carriera come imprenditore, era restituire a quante più persone fosse possibile questa mia piccola scoperta…” L.C. : quale fu il viaggio che ti trasformò? “In principio fu l’ avventura speleologica. Ero giovane, squattrinato, non potevo scegliere il viaggio ordinario. Oggi mi rendo conto che fu una fortuna restare ai bordi di un certo mieloso romanticismo esotico. Nelle grotte, in profondità cominciai a frammentare le fragili certezze dietro le quali nascondevo le domande e i dubbi che in giovane età ci fanno crescere. Dopo la speleologia ci fu l’alpinismo; subito dopo ho scoperto il volo e il paracadutismo. Gettandomi da altezze importanti ho imparato ad accompagnare le forze della natura con la precisione e la reverenza necessarie per sentirsi una cosa sola con il mondo che ci accoglie. Più o meno in quegl’anni nasceva la mia passione per la fotografia, intesa come testimonianza del reale che in certi momenti ci punge, costringendoci al gesto di documentarne l’effettivo passaggio in ciò che percepiamo come l’ordine del tempo. Insomma, mentre i miei coetanei facevano studi standard io divoravo libri sui grandi esploratori, invidiandone la possibilità di scoprire territori sconosciti dando ad essi i nomi necessari per farli conoscere. I miei coetanei imparavano a diventare geometri, medici, ragionieri; io mi appassionavo alla vita della natura trascorrendo molto tempo all’interno delle grotte per inanellare i pipistrelli al fine di studiarne le migrazioni. Loro giocavano a tennis, io scoprivo l’avventura, il rispetto del rischio… Con il senno di poi, si può dire che stavo preparandomi ad essere il viaggiatore del luogo dell’Altro…” Willy Fassio durante un trekking nella Valle di Salkantay in Perù Archivio storico Il Tucano
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L.C.: Aldilà dell’espressione analitica, molto bella e indovinata, ci sarà stato una geografia del luogo dell’Altro a partire dalla quale tutto ti è apparso più chiaro nei tuoi effetti? “ Sì certo. L’Amazzonia, ciò che Levi Strauss in un libro fece epoca definì “I tristi tropici”. Lungo il Rio Orinoco, nell’effettuare ricerche sulla tribù degli Yanomami, avvenne la catalizzazione di tutte le linee di fuga dall’esistenza ordinaria che ho tratteggiato. Mi trovai di fronte a uomini tutt’altro che primitivi nel senso stupido del termine, che per la prima volta incontravano l’uomo bianco. Imparai la loro lingua e ciò mi permise di capire il loro modo di vita anche negli aspetti che per noi occidentali sconfinano nell’orrore: per esempio l’abitudine in riti di endocannibalismo di mangiare le ossa dei propri cari quando morivano, bruciate, polverizzate e mischiate con la polpa delle banane durante una cerimonia chiamata“rehao” al fine di acquisire le virtù dei defunti. Quando ritornavo da quei viaggi trasformatori, organizzavo altri viaggi per gruppi ristretti di persone lungo gli affluenti dell’Alto Orinoco, nell’Amazzonia venezuelana luogo di stanziamento di vari gruppi etnici. Ma non solo. Anche le isole Galapagos, il Perù, la Bolivia, la Colombia, la Patagonia divennero mie mete abituali. In seguito i miei interessi e i miei
orizzonti si allargarono e mi portarono in Africa alla scoperta dei meravigliosi ambienti del Sahara, delle popolazioni del Sahel e dell’Africa Nera. Erano viaggi molto diversi da quelli organizzati da normali Agenzie Turistiche. Presupponevano una organizzazione complessa e meticolosa; molta cultura; grandi motivazioni. Senza rendermene conto diventai il punto di riferimento per un movimento di idee che avrebbe cambiato il concetto del turismo di elite nel nostro Paese. Divenne quasi la conseguenza di un moto spontaneo la creazione della mia azienda di viaggi. Eravamo all’inizio degli anni ’70. Mi trovai insieme ad altri pochi a proporre itinerari al di fuori delle rotte tradizionali del turismo, viaggi creati a misura del viaggiatore intelligente, esigente ed etico…”. L.C.: Stiamo parlando di viaggi preferibilmente nel continente sudamericano? “Non solo. Per anni ho seguito le tracce dei grandi viaggiatori del passato che mi avevano affascinato durante l’adolescenza. Da Von Humbold a Darwin, da Luigi Amedeo Duca d’Aosta a Guido Boggiani, da Savorgnan di Brazza a Caillié, la mia passione era ripercorrere le vie percorse dall’occidente alla scoperta di se stesso, dei propri limiti voglio dire. Deserti, steppe, nicchie ecologiche estreme in cui comunità di persone vivevano ancora in mondi chiusi, autoregolati, nei confronti dei quali l’Occidente in modo prepotente, lo sappiamo bene, ne avrebbe alterato l’equilibrio. La mia idea era portare la forza equilibratrice della conoscenza, della condivisione, della partecipazione, insita in ciò che consideravo il turismo intelligente. Forse ero e sono un sognatore, ma mi piace pensare che questi valori sono il succo del marchio che ho creato, aldilà di ogni compromesso legato fatalmente all’economia di mercato”. L.C.: Quando hai avuto la percezione che la tua azienda riuscisse a mantenere questo doppio taglio, valori e mercato, fondamentali per comprendere l’operatività del “Tucano”? “Con il Camel Trophy. Per molti anni ho avuto l’incarico di organizzare le selezioni dei piloti italiani che avrebbero partecipato all’evento. Fu un periodo straordinariamente vivace organizzare la permanenza per molti giorni di oltre 100 persone tra piloti, giornalisti e staff in luoghi primitivi e di grande fascino nelle foreste pluviali della Costa d’Avorio, del Cameroun, della Guyana Venezuelana. Quell’esperienza mi confermò che era possibile unire gli interessi di mercato di una grande multinazionale con la filosofia di viaggio mia personale e della mia azienda. Negli ultimi anni ho dovuto modificare almeno in parte le nostre proposte di viaggio che negli anni Settanta erano privilegio di una elite economica e culturale, oggi queste sono diventate accessibili ad un pubblico più vasto. Questo ha determinato la creazione di cataloghi comprendenti anche itinerari più classici ed a costi più contenuti. Noi comunque continuiamo a fare ricerca. In altre parole studiamo e selezioniamo luoghi e percorsi non ancora “consumati” da un turismo mordi e fuggi. Abbiamo proposte anche per viaggiatori con capacità di spesa minore. Non si tratta di una mera scelta commerciale. Non credo che taluni viaggi “importanti” possano essere solo appannaggio dei clienti più facoltosi. Così all’interno dei cataloghi trovano spazio itinerari affascinanti, studiati con attenzione e accessibili ad un pubblico più vasto purché questo si riconosca nei valori delle nostre proposte.
Willy Fassio, navigazione sul Rio Carrao, Guyana venezuelana Autore immagine: Anna Dardanelli
L.C.: Comunque sia è difficile pensare che l’allargamento della fascia di utenti non abbia avuto feedback negativi sul concetto stesso di viaggio come l’hai brillantemente definito all’inizio… “Devo ammettere che un generale degrado del viaggio come esperienza I.QUALITY • 23
interiore e come conoscenza di altri mondi e modi di vita fa parte di ciò che oggi definiamo post modernità o globalizzazione. E’ chiaro che il gioco del turismo si regge su aspettative difficilmente coniugabili con la realtà dei paesi visitati: le persone vorrebbero l’autenticità delle esperienze attivate da un viaggio senza rinunciare a tutti i servizi migliorativi dello stile di vita al quale sono abituati. Le espressioni “paesi in via di sviluppo” o “paesi del Terzo mondo” sono una realtà che corrisponde a situazioni sociali, di arretratezza, di povertà. E’ ovvio che in tali Paesi i servizi turistici non sempre sono all’altezza delle nostre aspettative e il viaggiatore spesso ha difficoltà a comprendere queste complesse realtà. L’efficacia di una proposta turistica seria, oggi, passa attraverso una mediazione tra queste due tensioni. Infatti noi cerchiamo sempre di rendere chiara nella mente dei nostri clienti la differenza tra andare in vacanza e il viaggio. La prima ha a che fare con il loisir, con un certo otium, se vogliamo; il secondo parte dalla testa, da un desiderio di fare tabula rasa delle proprie abitudini anche solo per pochi giorni, dal bisogno di guardare il mondo con uno sguardo diverso. La vacanza in un villaggio turistico per esempio apparentemente ci fa dormire meglio, ma alla fine ci toglie energia. Il viaggio ci sveglia, ci trasforma, ci consuma ma al tempo stesso ci rinnova nello spirito. Noi proponiamo viaggi, non vacanze. Noi suggeriamo un’etica del viaggiare che esclude giudizi banali o superficiali. Chi consulta un nostro libro/catalogo si rende subito conto di cosa significhi il viaggio di ricerca…”
Willy Fassio sul Rio Orinoco, Estado Amazonas, Venezuela Autore immagine: Anna Dardanelli; Willy Fassio tra gli Yanomami, Spedizione Alto Rio Ocamo, Amazzonia venezuelana Archivio storico Il Tucano
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L.C.: Cosa puoi dirmi della situazione turistica di oggi? “E’ semplice. Per quanto riguarda i viaggi di eccellenza, costosi e lussuosi, non c’è crisi. Chi aveva soldi continua ad averne tanti, forse più di prima. Non rinuncerebbe mai ad un grande viaggio. I prodotti turistici a prezzo medio o basso invece sono in caduta libera. C’è chi pur di viaggiare paga a rate, comunque, in generale, la tendenza è negativa su tutti i settori anche se con i dovuti distinguo. La crisi economica che ha colpito gran parte dell’Europa e non solo rende il futuro dei viaggi alquanto incerto anche se la voglia di conoscere e di viaggiare è una molla prepotente sin dagli albori dell’uomo e quindi pur nelle difficoltà del momento certamente il “viaggio” non terminerà. Nel turismo grosse realtà leader del mercato sono state costrette a chiudere la propria attività. Un mondo dove si viaggia di meno è un mondo che si riempie di pregiudizi, è un mondo che allontana i popoli. E’ un mondo destinato a implodere per via dell’aumento esponenziale delle aree in conflitto. Per esempio, io non posso più proporre oggi viaggi in Libia, in Mali, in Mauritania, in Yemen, in Siria e altri paesi ancora … la lista è veramente impressionante. Le soluzioni? Ricreare nuovi equilibri internazionali che possano rimettere in sicurezza le rotte turistiche nei Paesi che più avrebbero bisogno delle risorse che l’attività di viaggiare sviluppa”. L.C.: Cosa suggerisci a chi opera nel settore? “Non mi permetto di fare il guru o il profeta. Posso dire semplicemente ciò che intendo fare con il Tucano Viaggi Ricerca. Continuare a perseguire la qualità del nostro lavoro di ricerca, consolidare rapporti con le migliori agenzie di viaggio e attuare operazioni di fidelizzazione dei clienti. I nostri viaggi hanno un taglio sartoriale e sono continuamente rinnovati attraverso un’attenta analisi e verifica della realtà dei singoli paesi nei quali si svolgono. In questo modo offriamo ai nostri viaggiatori la garanzia di proposte che sono espressioni tangibili della passione che da sempre ha contraddistinto il mio lavoro sin da quel primo giorno in cui in un tramonto infuocato sull’Alto Orinoco ho udito il canto di un tucano”.
GRANDI VIAGGI
Isole Vergini U.S.
Le perle del turismo caraibico
Di Lamberto Cantoni Foto di Luca Bracali
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In viaggio verso USVI Mi sollevo quanto basta per osservare da dietro alla spalle di Luca Bracali l’azzurro bianco paesaggio incorniciato dal finestrino del 757 American Aerline che ci sta trasportando alle Virgin Island. L’amico fotografo sembra un rapace che ha fiutato la preda. Con rapidi movimenti cattura la bellezza che posso solo intravedere. Per non disturbarlo torno a sedermi. Con la naturalezza di chi ha scattato centinaia di migliaia di foto in ogni parte del mondo da ogni punto di vista, Luca Bracali si muove con leggerezza e rapidità. Poi mi mostra alcuni effetti delle sue riprese aeree. La giornata è favorevole e nel piccolo visore della sua Nikon da viaggio, appaiono bellissime immagini della pletora di isolotti caraibici che punteggiano il tragitto che ci porta da Miami a S.Thomas. Lo spettacolo delle nuvole inframmezzate all’azzurro del cielo e al blu del caldo mare è incantevole.
Fort Christiansted centro storico di St. Thomas
St.Thomas e Charlotte Amalie Vista dall’alto S.Thomas rivela in modo evidente la sua vocazione ad essere una delle capitali del turismo dei carabi. E’ l’isola più frequentata dalle grandi navi di crociera e il suo nervoso profilo collinare è costellato di strutture residenziali. Qui troviamo prestigiosi resort impreziositi dall’ecosistema che li circonda e prestigiose Ville di indicibile bellezza. Per esempio, credo che le unità residenziali che compongono The Preserve at Botany Bay non temano alcun confronto con qualsiasi parte del mondo scegliate per misurarne la lussuosità, la bellezza e la perfetta compatibilità con la vasta natura che le circonda. Charlotte Amalie, la capitale delle USVI, pur essendo un porto molto frequentato è deliziosamente glamour. La parte vecchia della città, dai colori pastello, tetti rossi e viuzze strette animate durante il giorno da un turbine di turisti innamorati dello shopping, è semplicemente incantevole. Qualcuno la paragona a Miami. Ma è una sciocchezza. Charlotte Amalie ha una sua identità specifica tale da rendere questi confronti completamente ridicoli. S.Thomas nei libri di storia viene raccontata come l’isola preferita dai pirati che tra il 1600 e il 1700 la facevano da padroni lungo le rotte caraibiche. A Fort Christian, nell’età dell’oro dei bucanieri si raccoglieva pressoché tutta la popolazione dell’isola, i Governatori negoziavano con i capi pirati lucrando sulle loro razzie e sul loro stile di vita. Alcuni pirati costruirono in punti strategici delle torri dalle quali controllavano il passaggio di navi mercantili da depredare. Se siete appassionati di storia potete visitare Fort Skytsborg oggi chiamato Blackbeard Castle, costruito dal pirata inglese Edward Teach famoso per aver ucciso 14 mogli e per essere stato d’ispirazione a Stevenson quando scrisse “L’isola del tesoro”. Dopo il business della pirateria divenne via via sempre più importante il commercio degli schiavi del quale St.Thomas divenne una delle capitali incontrastate. La fine della schiavitù ridimensionò l’importanza dell’isola e della sua capitale generando una lunga stagnazione economica. La rinascita dell’isola risale agli anni cinquanta del novecento, quando grazie ad indovinati investimenti St. Thomas divenne una delle capitali turistiche dei carabi e Charlotte Amalie si trasformò in una località accogliente, divertente e famosa per offrire uno stile di vacanza caraibica di alto livello. St. John Due miglia ad est di St. Thomas, visitiamo un’isola lunga circa 14 km e larga 4 caratterizzata da numerosi rilievi e foreste subtropicali. Se a Charlotte Amalie avevamo respirato le atmosfere del turismo elegante
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per non dire lussuoso, a St. John emerge come tratto dominante la vocazione ecologica del prodotto turistico che i responsabili istituzionali delle isole hanno predisposto, difendendo un’oasi naturalistica grande come tutta l’isola. Il Virgin Islands National Park è il paradiso per chi ama l’autentico aspetto naturalistico dei carabi. Un’altro simbolo della vocazione green dell’isola è il villaggio di “Maho Bay Camp”, completamente immerso nella natura, composto da piccole unità residenziali totalmente bio. Cruz Bay, è un pittoresco romantico villaggio, nel quale assaporare un lunch immersi in una atmosfera d’altri tempi. Non mancano certo i resort lussuosi come il Westin Resort, ma decisamente St. John è perfetta per chi cerca momenti di completa immersione in un ambiente naturalistico, senza contaminazioni eccessive di entertainment. Mi piace ricordare che Trunk Bay Beach è stata definita dal National Geographic Magazine una delle dieci più belle spiagge del mondo. Di fronte ad esse si distende un ecosistema acquatico di incredibile vivacità. Indimenticabili le tartarughe giganti che con insospettabile leggerezza accompagnano le nostre immersioni. Aggiungo che, l’isola, pur apparendo un’oasi naturalistica incontaminata, in realtà esibisce anche le rovine della piantagione di Annaberg, una leggendaria fattoria settecentesca, famosa per la ribellione degli schiavi che segnò il declino prima e la scomparsa poi dell’agricoltura dei coloni danesi da St.John. St.Croix Per come sono fatto, S. Croix rappresenta l’approdo ideale per un viaggio nei carabi. Sono affascinato dalla sua storia, dalla cultura e dalla bellezza di una nicchia ecologica che sembra avere coniugato gli aspetti più piacevoli della natura con gli innesti del lavoro umano armoniosi e nello stesso reverenti nei confronti del paesaggio. Probabilmente Christiansted e Fredericksted sono gli insediamenti umani più vicini allo spirito europeo che ama leggere insieme alla natura i segni della bellezza e della storia dell’umanità. Lo so che è difficile mettere d’accordo tutti su cosa è bello e su cosa lo è di meno. Tuttavia per queste due splendide cittadine, per la parte dell’isola preservata da insediamenti intensivi e persino per ciò che resta delle leggendarie piantagioni di canna da zucchero, mi prendo la responsabilità di forzare il lettore agnostico e incredulo. Persino Luca Bracali, intransigente fotografo di momenti e luoghi memorabili, attratto in modo morboso dalle bellezze naturali e incline a rimuovere segni e strutture che trasudano di troppa civiltà, a un certo punto, senza dire una parola e isolandosi dal nostro piccolo gruppo, ha cominciato a danzare intorno ai colorati edifici della città, trovando con essi una intesa immediata. Guardate le foto che ho scelto per il mio articolo. Non vi accorgete che in realtà il fotografo non sta affatto rubando una immagine dalla pelle delle cose. Bensì si sta letteralmente perdendo in esse? Non sentite il rumore di un dialogo? Io mi illudo di sentirlo. Mi piace pensare che quando ci troviamo di fronte alla vera bellezza è lei che ci parla e ci possiede. Che storia favolosa ci raccontano gli edifici perfettamente disposti, finemente colorati, tetti rossi, caseggiati color crema, simili come stile ma ciascuno con la propria identità? Christiansted fu fondata nel 1734. Il forte che difendeva il vecchio porto fu eretto a partire dal 1738. L’attuale configurazione risale al 1830. Pur rappresentando la forza e il potere di chi di volta in volta reclamava per sé il controllo dell’isola, non ha niente di possente e di terribile (prigioni a parte). Guardandolo
Botany Bay interno di una delle ville
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Botany Bay
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Banco di pesci tropicali iguana
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è evidente che gli europei si alternarono al Governo dell’isola spesso attraverso una formula diversa dalla guerra. Frederiksted non ha il fascino romantico della città rivale. La sua architettura delle origini fu distrutta da un grande incendio nel 1848. La ricostruzione propose come stile dominate i tratti dell’estetica Vittoriana. Secondo gli archeologi i primi amerindi arrivati probabilmente dall’attuale Messico cominciarono a colonizzare le isole caraibiche circa 4000 anni prima di Cristo. Alle Virgin Island arrivarono tra il 2000 e il 1500 P.C. Nel 1493, nel corso della sua seconda spedizione, Cristoforo Colombo posò il primo piede europeo sull’isola che battezzò Santa Cruz e diede il nome di Vergini all’arcipelago che la circondava. L’etichetta Vergini, giustapposta alla cinquantina di isolotti che le sue navi avevano documentato, agli occhi dell’ammiraglio significava omaggiare forse la leggenda della sua santa preferita. S. Orsola era la figlia del Re di Bretagna che per evitare una guerra accettò di sposare un principe pagano ponendo come condizione la possibilità di navigare per tre anni accompagnata da 11 000 bellissime vergini. S.Orsola non tornò mai da questo viaggio e le sue coetanee si immolarono come martiri in difesa della propria verginità. Sembra che questa leggenda sia poco conosciuta dalle ragazze post moderne, dal momento che oggi le Virgin Island sono la meta privilegiata delle coppie in luna di miele. Il navigatore genovese, protetto dalla regina di Spagna, non era certo in viaggio di piacere. Comandava una squadra navale di 17 galeoni e un corpo d’armata di 1500 soldati spagnoli, considerati dagli storici tra i più coraggiosi e sanguinari soldati del loro tempo. Si dice che lo scopritore dell’america rimanesse fortemente impressionato dalla bellezza dell’isola. Ma è certo che gli uomini mandati in ricognizione furono ben bastonati dalle tribù di indigeni che l’abitavano, le quali per nulla spaventate dalle torcida spagnole e ben decise a difendere le ragioni della loro cultura, lo costrinsero ad andarsene. Così per quasi un secolo l’isola non conobbe l’occupazione europea che nel frattempo prendeva piede nelle altre isole. Per farla breve, tra il 1580 e il 1670 il piccolo arcipelago fu occupato a fasi alterne da spagnoli, francesi, olandesi, danesi e persino dai Cavalieri di Malta (i sopravvissuti al massacro dell’ordine dei Templari). Tra tutti questi europei dobbiamo focalizzare l’attenzione sui coloni Danesi. Nel 1672 si insediarono a St. Thomas e già nel 1685 l’isola si trasforma nel più fiorente mercato di carne umana del pianeta. Con la tratta degli schiavi i danesi accumularono le ricchezze con le quali finanziavano la loro espansione. Nel 1687 acquisteranno l’isola di S. John e nel 1734 nello stesso modo incruento, compreranno dai francesi S. Croix. Le ragioni di questa espansione non sono difficili da comprendere. Nel 1733 gli schiavi delle piantagioni create in St. John si ribellarono e attaccarono Fort Frederiksvern. Probabilmente ci fu un bagno di sangue che limitò per sempre le coltivazioni di canna da zucchero nell’isola. E grazie a questo trauma che St. John oggi è l’oasi naturalistica che ho potuto ammirare. I danesi dunque si diedero da fare e ricostruirono le piantagioni in un’altra isola, St.Croix; più grande, più adatta all’agricoltura. Nel giro di pochi anni furono fondate le due città delle quali ho già fatto l’elogio. Il terreno fertile dell’isola e l’aumento degli schiavi produsse l’accumulo di nuove ricchezze ma ripropose il problema delle ribellioni. Ma il clima politico in Europa, attraversata dall’ondata libertaria scatenata dalla rivoluzione francese, era cambiato. Nel 1792 la Danimarca annunciò
la fine della tratta degli schiavi. I proprietari delle piantagioni dei carabi fecero le orecchie di mercante nei riguardi dei segnali che provenivano dall’Europa. Fino al giorno in cui, nel 1848, guidati dal leggendario Moses “Buddhae” Glottieb, improvvisatosi generale, alla guida di 6000 schiavi armati, convinse il Governatore dell’isola ad abolire la schiavitù, restituendo alla popolazione di colore la libertà con circa 17 anni di anticipo rispetto la dichiarazione di A. Lincoln. In seguito, le tre isole, furono comprate dagli Stati Uniti, probabilmente per impedire che qualche potenza europea, insediandovisi, potesse in qualche modo minacciare il canale di Panama, considerato strategico per lo sviluppo commerciale dell’area del Pacifico. A partire dal 1927 a tutti gli abitanti dell’isola fu garantita la cittadinanza americana. Cosa ci suggerisce la fin troppo sintetica storia che vi ho raccontato? Il fascino delle Isole Vergini U.S. è legato in modo indistricabile alla contaminazione di culture che abbiamo visto sovrapporsi nel corso del tempo. Solo per fare un esempio, le magnifiche residenze in stile danish di St.Croix, in realtà sono il risultato della sovrapposizione di elementi tratti dalla architettura spagnola, francese con tratti neoclassici tipici della cultura inglese del primo ottocento. Ovviamente non si può dimenticare che la gente dell’isola in maggioranza è di ascendenza africana. Questo elemento cruzan pervade ogni angolo dell’isola, dalla lingua al rum più famoso, dal cibo ai grandi eventi festosi (il carnevale soprattutto). Un grande futuro Un viaggio vacanza alle Isole Vergini è una esperienza di grande fascino e prestigio. La maggioranza dei turisti sono americani, ma non mancano certo gli europei. Pochi gli italiani. Non solo per il difficile momento economico che sta attraversando il nostro Paese, ma anche per il fatto che sino ad ora non è mai stato costruito un programma serio di incentivazione a scoprire la bellezza di queste isole. Dal punto di vista del business anche le Isole Vergini stanno risentendo delle difficoltà che tutto il movimento turistico sta attraversando. Ma assai meno degli altri suoi concorrenti caraibici. La bellezza delle spiagge e l’attenzione per l’ecologia, cito di passaggio lo straordinario Buck Island National Reef Monument, fanno pensare che l’immediato futuro delle USVI possa essere particolarmente felice, dal momento che pochi luoghi al mondo possono offrire a chi ama la vita sportiva e la natura, un prodotto di così alto livello. La qualità dei resort è in molto casi di livello assoluto. Posso citare lo spettacolare Buccaneer Hotel, a St.Croix, fantastico in tutto, location, cibo, servizi, professionalità del personale, nel quale la vacanza si trasforma in una esperienza estetica ed estesica indimenticabile. I ristoranti sono mediamente di ottimo livello. In alcuni casi, grazie alla particolarità del luogo e alla professionalità dell’imprenditore, risultano impagabili per le sensazioni che offrono. Tra quelli che ho avuto il piacere di frequentare mi piace ricordare il magnifico Galleon (St. Croix), affacciato sulla Green Cay Marina e il Café Christine’s a Christiansted. Dal punto di vista del turista italiano, l’unica debolezza delle USVI è la difficoltà del viaggio. Ma credetemi, arrivati sul luogo, di fronte a tanta bellezza, tutte le fatiche e le difficoltà di una traversata atlantica in più tappe si dissolvono in un attimo, facendoci entrare in una dimensione sensoriale nella quale il tempo, la stanchezza, la fretta entrano in dissolvenza incrociata con un altro fascio di sensazioni che non dimenticherete facilmente.
Vegetazione tipica dlle’isola testuggine marina a St. Jhon
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Christiansted
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St. Croix
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Luca Bracali
Lamberto Cantoni
Il viaggio che ho tentato di raccontarvi non sarebbe stato possibile senza la collaborazione di Olga Mazzoni di Thema Nuovi Mondi Srl, responsabile della promozione turistica in Italia delle USVI. Un rigraziamento particolare a Alani Henneman Todman (Resp. Uff. Turismo di St. Thomas) per avermi fatto scoprire la vera St. Thomas . A Yolanda Bryan (resp. Turismo St.Croix) devo il privilegio di aver visitato St. Croix in modo esemplare. Frandelle Gerard mi ha donato le informazioni culturali che hanno trasformato la bellezza di luoghi incantevoli in qualcosa di più profondo e raffinato.Un grazie di cuore.
St. Thomas
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Per informazioni: www.isolevergini usa.it www.visitusvi.com I.QUALITY • 43
Repubblica Dominicana: Quando i Caraibi ti fanno sognare Di Lamberto Selleri
Punta Cana Dreams
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Quando il Creatore mise mano all’isola caraibica , oggi Repubblica Dominicana, fu molto generoso: clima ideale tutto l’anno, spiagge all’infinito, mare trasparente, frutta a volontà, pesci in abbondanza, la montagna più alta dei Caraibi, Pico Durante (3175 m.), il lago Enriquillo, il più grande delle Antille e ambra di rara bellezza.500 anni fa Cristoforo Colombo mise piede per primo in questo lembo di paradiso terrestre e ne restò tanto entusiasta che ordinò che le sue spoglie dovessero, come poi accadde, ritornarvi per sempre. Tutti coloro che vi approdano per la prima volta, quando ripartono e vedono dall’aereo l’isola allontanarsi, vengono colpiti dalla nostalgia, sensazione che non diminuisce col tempo, anzi ,aumenta e ritornarvi è fatale. Un terzo della costa, pari a km. 550, è ricoperto da finissima sabbia bianca che si butta in mare alla ricerca della barriera corallina. I resort, le ville che fanno capolino a pochi passi dalla battigia, sono lì per offrire una vacanza esclusiva votata al lusso, all’insegna della gioia di vivere, del riposo, del benessere e della massima riservatezza. Questa isola, che dista 75 km. da Cuba e 102 km. dal Costarica, è considerata una delle mete più esclusive ed affascinanti dei Caraibi. La lingua musicale della repubblica Dominicana si chiama Merenghe, Baciata e Salsa: è impossibile non farsi coinvolgere, è una musica che come una flebo lentamente penetra nelle vene e non si può fare a meno della sua compagnia, è un ritmo veramente inebriante e coinvolgente che si accompagna dolcemente all’aroma del rum e al profumo dei sigari, inseparabili tutori delle serate dominicane. Nella parte Sud-Est del isola, a Cap Cana, a Punta Cana
una piazza dall’ architettura non molto dissimile da quella mediterranea. Qui vi sono la sede del Marina Yacht Club, la darsena da cui partono i turisti appassionati di pesca d’altura e negozietti sfiziosi. Anche la pesca fluviale al luccio è uno sport molto gettonato, si effettua nel Rio Chavon, le cui ampie ed antiche anse, avvolte in una vegetazione incontaminata, sono un autentico palcoscenico naturale: vi furono girate alcune scene per il film”Apocalypse Now”, interpretato da Marlon Brando. Tutti i giorni vengono organizzate avvincenti immersioni subacquee con autorespiratore, i sub più esperti possono raggiungere relitti e grotte marine anche a notevole profondità. Per il tiro al piattello, trap o skeet ,sono stati messi a disposizione a Casa De Campo 140 ettari che ospitano 150 postazioni: si mormora che questa struttura sia una delle migliori del continente americano. E’ prevista anche la possibilità di effettuare battute di caccia al fagiano . Nei 13 campi da tennis si può giocare ininterrottamente 24 ore al giorno .Minitas Beach è la splendida spiaggia privata che ammalia chi soggiorna a Casa De Campo. Il mare è circondato da una bassa barriera corallina e, adiacente alla spiaggia c’è un ristorante il “Thea Beach Club” emanazione del “Le Cirque di New York”. Alfio, il responsabile, è un ottimo interprete dei sapori nostrani e dominicani .A Minitas Beach i turisti possono usufruire di attrezzature per gli sport acquatici:snorkeling ,hobie cats,tavole da surf,windsurf, sunfish e barche a pale. Sei ristoranti,il centro fitness, l’ottima Spa e la pista per jogging sono la quadratura del cerchio di questo prestigioso complesso turistico dove le raffinate abitazioni sono nascoste nell’ esuberante
Tre immagini del Casa de Campo a Cap Cana
e a La Romana, l’accoglienza è certamente delle più prestigiose, capace di soddisfare anche i più esigenti. Nella località La Romana architettura e natura si sono fuse dando vita ad una opera d’arte esclusiva ed unica nel suo genere: si chiama” Casa De Campo”, 11.00 ettari votati esclusivamente al turismo. E’ regno dell’ordine e della riservatezza per il piacere di trascorrere una vacanza appagante dove nulla è lasciato al caso e l’ ospitalità è la padrona di casa . 2000 ville “firmate”, di varie tipologie e dimensioni, le più esclusive dell isola, arredate da mille e una notte, appena si intravvedono essendo circondate da impenetrabili giardini tropicali. Molte hanno la piscina privata, si possono locare anche per un giorno oppure comperare. Inoltre ,vi è anche un residence con 185 abitazioni di lusso, (categoria elite o suite) dotate di tutti i confort e assistenza 15 ore al giorno. Gli alloggi fanno da cornice a 3 campi da golf per un totale di 63 buche e alla scuola di golf. Recentemente”Casa De Campo” è stata insignita del World Travel Awards 2012 come “Resort de Golf Lider en el Mund”. Non solo golf però. Spostandosi velocemente con i carritos elettrici, in dotazione ad ogni turista, è facile raggiungere il centro equestre che conta percorsi per passeggiate, piste in cui cimentarsi con gli ostacoli o praticare il Polo. Sempre con i carritos si raggiunge la marina che vanta
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vegetazione amorevolmente curata da mano esperta. www.Casadecampo,com.do . Noi italiani restiamo stupefatti nel vedere un lembo della nostra patria a 8000 km da casa. Arroccato su una scogliera rivolta verso il l fiume Chavon, si erge in tutta la sua maestà Altos de Chavon, un piccolo borgo di stampo toscano, edificato secondo l’ architettura del ‘500, costruito con pietre perfettamente invecchiate ad arte e anche le strade sono ciottolate . E’ stato altresì riprodotto un magnifico anfiteatro con 5000 posti. Al calar del sole, quando le ombre si impadroniscono del borgo antico e gli studenti della scuola d’arte si appostano per immortalarlo sulle loro tele, è il momento più propizio per innamorarsi di Altos de Chavon . Da Casa De Campo sono previste escursioni in barca verso due piccole isole, Sona e Catalina. http://www.casadecampo. com.do/ A Punta Cana ci sono di due resort esclusivi, definiti “boutique” per l’ eleganza e le ridotte dimensioni : il Zoetry Hotel e il Tortuga Bay. Il Zoetry Wellness & Spa Resort, a Punta Cana in località Uvero Alto, è un piacevole complesso turistico che conta 53 suite, eleganti, spaziose, costruite in stile caraibico, disseminate in un parco tropicale finemente
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Il Grand Resort a Cap Cana
curato. Varcato l’ ingresso, come per incanto si entra in un’altra dimensione ovvero la macchina del tempo ci fa fare un salto a ritroso: mentre all’epoca di Colombo le foglie stagionate della palma di cana coprivano le capanne, oggi i tetti di foglie di cana coprono stupende abitazioni finemente arredate con finestre sul mare o su un prezioso giardino curato alla perfezione, o aperte su un’ incantevole piscina. Non mancano certo “ le capanne sopraelevate a palafitta, unite da passerelle di legno, che avvertono gli ospiti che sono entrati in un luogo magico dove regnano pace, silenzio e tranquillità. Questo prestigioso resort ha appena 6 anni e rappresenta un perfetto matrimonio fra tradizione ed esclusività. E’ un’ oasi di pace eccellente , il cui valore aggiunto è dato dalla Yarari Spa , che offre un ambiente raffinato e accogliente,e dove vengono proposti molteplici trattamenti per incrementare il proprio benessere, migliorare la circolazione,donare alla pelle il massimo splendore o aiutarla a familiarizzare con i potenti raggi del sole caraibico . “Phytom” sono i prodotti locali naturali abase di frutta e di fiori che accompagnano i trattamenti . Nella SPA ,la sauna, il bagno turco e la piscina coperta fanno compagnia alla Jacuzzi. Un cultore dello zen può collaborare con gli ospiti ed aiutarli a liberarsi dallo stress e aumentare il benessere psichico e fisico attraverso esercizi che
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fanno colloquiare la mente con il corpo . I ristoranti sono tre con servizio”à la carte”(anche la colazione), due sono orientati sui piatti tipici dominicani con influenze andaluse mentre il terzo ,più casual, rivolto verso spiaggia ed è ottimo per il pranzo del tocco . La lunga spiaggia avvolta da palme caraibiche è riservata agli ospiti dell’albergo, che spesso si arrardano in lunghe passeggiate o optano per la pratica degli sport acquatici. http://www.zoetryresorts.com/ Tortuga Bay, Punta Cana Il Tortuga Bay è la Svizzera dei Caraibi, per quanto concerne la riservatezza, il lusso, l’eleganza,la pulizia e l’ inappuntabile servizio. Questo resort ecologico e romantico è la stella polare di Punta Cana : brilla di luce propria e, cosa più importante , offre la possibilità di vivere le emozioni che siamo venuti a cercare ai Caraibi. A conferma del lusso e della sua prorompente bellezza ed ospitalità , il Tortuga Bay è stato insignito del prestigioso “Five Star Diamond Award”. Solo lo 0,33% delle 31 mila proprietà controllate ha ricevuto questo importante riconoscimento . Indicato con AAA . questo resort dalla forte personalità propone agli ospiti un’atmosfera sobria , elegante, che richiama lo stile dominicano. Il Tortuga Bay dispone di 30 villette
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con un bellissimo patio e terrazzo. Le dimensioni variano in rapporto al numero delle stanze che possono anche essere cinque . Nulla è stato lasciato al caso: la combinazione dei colori dell’ arredamento, le finiture e le passamanerie regalano un elegante insieme cromatico, studiato per creare un suadente contrasto con l’azzurro che proviene dal mare. Il servizio è eccellente:ogni appartamento dispone di un carritos elettrico , e ogni villa ha un suo manager con l’incarico di offrire un servizio personalizzato in qualsiasi momento della giornata . Il Tortuga Bay dispone di tre piscine, di cui una con un’area riservata ai più piccoli. Il resort offre la possibilità di praticare di sport di vario genere da quelli acquatici alla tradizionale palestra senza tralasciare quelli all’aria aperta come l’equitazione. Sono disponibili sei campi da tennis e c’è la possibilità di praticare il golf al “ La Cana Golf Club”,considerato tra i più belli dei Caraibi. Inoltre, si può entrare nel magico mondo della Six Senses Spa, attigua al club house del campo da Golf . Per descrivere Six Senses Spa sono sufficienti i fatti:questa catena rivolta al benessere è riconosciuta come la migliore al mondo. La Six Senses Spa offre una vasta gamma di trattamenti olistici, di benessere, di ringiovanimento e di
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Punta Cana Dreams
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bellezza . Il personale è specializzato in manipolazioni che hanno lo scopo di stimolare i sensi attraverso trattamenti giornalieri o settimanali. I massaggi praticati includono i metodi Thai, Vietnnamita e Shiatsu. Per i massaggi vengono utilizzati prodotti, preparati con materie prime locali. In questo autentico santuario del benessere, l’unico rumore che si avverte è quello delle onde. http://www.puntacana.com/golf-spa/six-senses-spa. “Tortuga Bay” è la punta di diamante della prima comunità turistica ecosostenibile sorta 40 anni fa la “PUNTA CANA Resort& Club “, che occupa 5800 ettari, di cui 10 km. di spiaggia. Hanno partecipato alla realizzazione di questa iniziativa Julio Iglesias e lo stilista Oscar De La Renta. Attualmente la “Società Grupo Punta Cana è proprietaria del Punta Cana International Airport, del Punta Cana Resort&Club (www.puntacana.com ) Essa consta di 170 alloggi rivolti verso l’oceano e suddivisi tra camere deluxe e suite deluxe , e casitas spiaggia tutte arredate con gusto in stile coloniale e dominicano , estremamente raffinati, alcuni dei quali con piscina privata. Vi sono altresì il Coral Golf Club, 8 ristoranti, alcuni dei quali di fronte al mare, che propongono la nouvelle cuisine, la cucina moderna con influenze mediterranee, e la cucina gourmet , della Six Senses Spa. Questo resort possiede inoltre un parco ecologico , che altro non è se non una riserva naturale di 1500 acri con flora e fauna tropicali, comprensiva di una laguna dove i turisti possono fare il bagno avvolti in una scenografia che non ha nulla da invidiare ai film di Tarzan. E’ inoltre proprietaria della” Punta Cana International School “dove studiano attualmente 476 allievi provenienti da 45 paesi diversi. Gli ospiti del Tortuga Bay e del Resort Punta Cana possono dedicarsi nel tempo libero, oltre che al golf, ad una vasta gamma di attività tra cui le immersioni subacquee (barriera corallina e le navi affondate si trovano solo in mare aperto), snorkeling, vela, pesca, windsurf, kitesurf, kayak , surf e pagaia, immersioni e charter di pesca, tennis , equitazione, centro fitness, miniclub, zoo, lagune d’acqua dolce. Dreams Punta Cana Resort & Spa Questo resort è la panacea per famiglie, coppie, single o amici e per le centinaia di coppie che vengono qui a sposarsi ogni anno. L’ingresso del resort è maestoso come un cattedrale a cielo aperto senza la facciata, questo al primo piano.Nel sottostante emiciclo che pullula di negozi vi è anche il teatro per le rappresentazioni serali . Qui ha inizio la giungla per raggiungere i 620 alloggi tra camere e suit di lusso, dotate di tutti i confort e che possono ospitare fino a 900 persone. Nella fitta vegetazione tropicale, perfettamente curata, dall ‘uomo scorre un fiume dalle ampie anse , che altro non è sen on l’ immensa piscina di complessivi 500 metri quadrati la quale insinuandosi tra gli alloggi nascosti nel verde della vegetazione,e seguendo un percorso lungo e tortuoso, raggiunge la spiaggia e cede il passo al mare turchese .La piscina è l’anima del resort dove è possibile immergersi a tutte le ore del giorno e della notte. Dieci bar fanno da cornice a sei ristoranti che propongono giornalmente una cucina raffinata ispirata a quelle dominicana , messicana ,italiana, francese, panasiatica e caraibica. Non solo mare e piscina e ottima cucina, per il tempo libero è possibile praticare sport acquatici, golf, tiro con l’arco aerobica aquagym Yoga scacchi giganti e lezioni di ballo, escursioni in I.QUALITY • 52
In queste pagine il Zoetry Hotel a Punta Cana
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Punta Cana, il Fishing Lodge Cap Cana
mare aperto per intrattenersi nella casa degli squali buoni (quì i predatori non esistono.) I più piccoli possono partecipare alle attività del Club for Kids., Per le sue attenzioni rivolte alle famiglie, questo resort è stato nominato dal sito specializzato “TripAdvisor per i Traveler’s Choice Awards” Best Family Friendly Resort e Best Pool in the Caribbean. Tutte le sere spettacoli di animazione dal vivo nello splendido teatro e discoteca sino a notte fonda. Per chi vuole tentare la fortuna il casinò è un diversivo allettante . La Spa è il luogo di meditazione e benessere dove gli specialisti utilizzando anche i massaggi ottengono ottimi risultati quando si desidera rigenerare il corpo , l’anima e riacquistare tonicità fisica www.dreamsresorts.com. Punta Cana, il Fishing Lodge Cap Cana, Lo stile architettonico che caratterizza questo resort è chiaramente coloniale ciò che lo rende estremamente vivibile. Gli ospiti hanno la netta sensazione di soggiornare in un “ pueblo “, o piccolo paese di mare con le case trasformate in resort che si affacciano sulla piazza principale e da qui i vialetti si diramano verso il porto . Nel Fishing Lodge quattro stupende piscine che guardano il mare hanno preso il posto della piazza del paese . Ma non solo, questo lussuoso resort dispone di una cappella in stile dominicano per
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i promessi sposi desiderosi di celebrare al Fishing Lodge il giorno più bello della loro vita. Bar, ristoranti ,tanti negozi (105) e una bella marina privata guardata a vista dalle palme completano la proposta turistica. L’ampiezza, gli arredi lussuosi ed il comfort degli alloggi , sono la carta vincente di questo “pueblo” . Le 298 unità disseminate tra il verde sono frutto di un innovativo design esterno e arredo interno, il cui artefice principale è l’ architetto italiano Gabriella Veggi che da 20 anni opera nella Repubblica Dominicana. Vi sono monolocali , appartamenti c on due o tre stanze, ognuno con una splendida vista e dotati di tutti i confort. Molti molti appartamenti sono forniti di angolo cottura e sono anche in vendita. Gli ospiti hanno un ampio ventaglio di possibilità per la cena, potendo scegliere tra sei ristoranti: il Bistrot, il Pescador, l’Italiano, lo Spagnolo, lo Steak House e il Buddha Bar. I clienti del Fishing Lodge Cap Cana possono accedere a uno dei migliori campi di golf dei Caraibi e del Messico, così come dichiarato dalla rivista Golfweek, il Punta Espada. Il porto che confina con il resort ha le carte in regola per diventare uno dei più completi e moderni dei Caraibi. Sarà in grado di ospitare yacht di oltre 55 metri e avrà una capacità di oltre 1000 posti . Qui è possibile praticare lo sport della pesca d’altura. La stagione migliore va da maggio ad agosto. http://www.
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grandresortsatcapcana.com/domincan-republic-resort.php Il Secrets Sanctuary Cap Cana, a Punta Cana è gestito dalla catena Salamander Resort la stessa del Fishing Lodge Cap Cana. Nel 2012 la TripAdvisor Travellers ‘Choice , su milioni di recensioni e opinioni preziose trasmesse dai viaggiatori di tutto il mondo, lo ha classificato tra i 25 resort di lusso migliori dei Caraibi. Esserne ospiti è un privilegio e la proposta è quella del tutto incluso. Questo resort molto intimo e non adatto ai minori è ideale per trascorrere le vacanze dopo il fatidico sì o per riposarsi dopo un viaggio romantico . Ci sono 176 suite e ville arredate in differenti stili caraibici ,e alcune hanno anche piscina privata. Nella struttura è compresa anche una meravigliosa Spa, una vera oasi dove massaggi, trattamenti e cura del corpo infondono benessere in un’atmosfera particolarmente coinvolgente e rilassante . Questa Spa infatti è stata riconosciuta tra le più spettacolari dei Caraibi dal noto sito TripAdvisor www.tripadvisor.it. 5 piscine,5 bar e 5 ristoranti : Lue Marlin, Casa Bella, Wok, The Steakhouse e Capriccio sono a disposizione dei clienti e, alla sera si può assistere all’ intrattenimento o convincere la fortuna a darci una mano al casinò. Per gli instancabili il resort propone un centro di fitness, la possibilità di praticare diverse attività per i più piccoli, sport acquatici, golf, nel leggendario campo di Punta Espada, e ancora tennis o football. http://www. grandresortsatcapcana.com/punta-cana-luxury-resort.php
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Suggestioni di viaggio Avignone e la Provenza dei “prestige hotels”: un connubio da intenditori Di Giancarlo Roversi
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Per definire la Provenza si possono saccheggiare tutte le parole e tutti gli aggettivi encomiastici del vocabolario tante sono le attrattive e le sottili vibrazioni che tiene in serbo. Affacciata sul Mediterraneo e ventilata dalle sue brezze, la regina del sud della Francia è certamente una delle regioni più affascinanti d’Europa. Questo spiega perchè gli antichi romani, che in fatto di buon gusto del bello e di bon vivre la sapevano davvero lunga, ne fecero una delle loro colonie più amate e vi eressero belle città, arene, acquedotti superbi, come il grandioso Pont du Gard, e altri monumenti di cui restano ancora splendide testimonianze quali il teatro e l’anfiteatro di Arles, la Maison Carrée di Nimes, l’Arco monumentale d’Orange. Del resto proprio dai figli dell’antica Roma questo lembo privilegiato di terra francese ha preso il suo nome che porta ancora orgogliosamente. Oltre al suo ricco patrimonio artistico e storico a dare alla Provenza una marcia in più sono il paesaggio ridente e variegato, con le sue ondulazioni che creano colpi d’occhio incantevoli, ma anche i colori gioiosi propri del clima mediterraneo, i profumi della natura, delle sue erbe aromatiche, dei suoi fiori. Senza dimenticare la sua luce, la tenerezza dei suoi cieli, fonte di ispirazione per tanti celebri artisti, tra cui Cezanne, Van Gogh, Chagall, che l’anno scelta come dimora e come fonte di ispirazione per tante preziose
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opere d’arte. E proprio la sua luce, brillante e riposante, assieme al gusto del vivere, alla sua cultura e alla sua storia hanno contribuito a creare attraverso i secoli il mito della Provenza. In più i fremiti civili e la calda ospitalità e della sua gente, il suo retaggio culturale, la suggestione delle sue antiche città, Avignone in testa, e dei centri minori spesso situati su alti costoni rocciosi. E inoltre i sapidi e irresistibili sapori dei suoi prodotti tipici, dei suoi vini gustosi, della sua cucina, che abbina la vivace tradizione mediterranea con la raffinatezza dello stile francese. Ma a questo identikit bisogna aggiungere l’alto livello qualitativo e di comfort del settore dell’ospitalità, in primis l’offerta alberghiera che ha uno dei suoi punti di forza nella catena dei “Prestige hotels”. A caratterizzare il paesaggio sono i vigneti e gli oliveti forse introdotti dai greci su un territorio abitato fin dalla preistoria come testimoniano “les bories”, abitazioni a forma conica, vagamente simili ai trulli pugliesi, costruite con muratura in pietre a secco, risalenti a circa 4500 anni a.C. Uno fra gli insediamenti più significativi si trova a Gordes ed è in parte inserito nell’area de “Les Bories & Spa” (www.hotellesbories.com), una preziosa perla dei Prestige hotels, immerso in un parco di otto ettari con piantagioni di erbe aromatiche. I.QUALITY • 64
Arredate con grande buon gusto le camere ricavate in antichi edifici con magnifiche visuali panoramiche. L’hotel nella Spa propone rilassanti ed energizzanti trattamenti di benessere e una piscina riscaldata con vista su Gordes, uno dei villaggi più suggestivi della Provenza. D’obbligo una visita all’antica abbazia di Senanque. Gemma incontrastata della Provenza è la città di Avignone, che da sola vale un viaggio per il suo centro storico avvincente, la sua vivacità culturale, il piacere dello shopping. Ma soprattutto per la sua storia che la vide fin dal 1309 elevata al rango di sede pontificia per volontà di papa Clemente che la trasferì da Roma. Anche i suoi successori, sei pontefici e vari antipapi, si installarono entro le mura ben munite della città e nell’ancor più ben guarnito Palazzo dei Papi, che contribuirono ad ampliare e ad arricchire di nuove sale e nuove opere d’arte, facendone uno dei monumenti più superbi della Francia. Un’altra attrattiva è il ponte Saint-Bénezet o ponte rotto sul fiume Rodano, che ha ispirato la celebre canzone Sur le pont d’Avignon. Secondo la leggenda, fu edificato da un giovane pastore di nome Bénezet per ordine divino. Completato nel
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1185 e più volte ricostruito a causa dei danni recati dalle inondazioni, presenta oggi solo quattro arcate e una cappella votiva. Per godere il fascino della città con tutta calma si può pernottare all’Auberge de Cassagne & Spa (www. aubergedecassagne.com), anch’esso appartenente ai “Prestige hotels”, piacevolmente accogliente e dotato di ogni comfort, tra cui una ben atgtrezzata Spa per massaggi rilassanti e un impeccabile ristorante gastronomico affidato alla regia di Philippe Boucher, “Maitre cuisinier de France”, che propone piatti molto gustosi e di straordinaria raffinatezza, fra cui tanti deliziosi stuzzichini (amuse bouche). Lasciando la città dei Papi non bisogna tralasciare una visita a St. Remy de Provence, una deliziosa cittadina cara a Van Gogh e patria del celebre Nostradamus, di cui si celebreranno nel 2013 i 510 anni dalla nascita. Per chi vuole sostare c’è un ottimo “Prestige hotels”, La Vallon de Valrugues & Spa (www.vallondevalrugues. com), munito di piscine riscaldate. E’ raccomandato per il suo ristorante gastronomico (una stella Michelin) con una ineccepibile carta dei vini, e per il bistrot “gourmand” con prodotti tipici della Provenza. Una terra che, oltre a vini suadenti e giustamente famosi come il Chateauneuf-du-Pape, e a un delicato olio d’oliva, si distingue per le sue specialità a base di pesce del Mediterraneo, per il tartufo, i pomodori, il saporito melone di Cavaillon, le fragole di Carpentras, le ciliege e l’uva da tavola, i formaggi di capra e altri ancora. Info: Atout France Italie www.rendezvousenfrance.com Comite departimental du Tourisme du Vaucluse www.vaucluse.fr
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Aigues-Mortes Il sale della vita
Di Lamberto Cantoni
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Camargue La Camargue è un vasto territorio situato intorno al delta del Rodano, che alterna superfici lagunari, stagni salmastri, dune, paludi d’acqua dolce, canneti, steppe salate , prati. Un vero e proprio paradiso naturale per fenicotteri rosa, aironi, anatre, piccoli trampolieri nidificanti. Le attività umane più rappresentative sono l’allevamento dei tori, la risicoltora, la pesca e la raccolta del sale. Naturalmente non possiamo dimenticare il turismo: per esempio, il parco naturale regionale della Camargue compreso tra Aigues-Mortes, Saint-Gilles, Arles e le località marine Port-Saint-Louis-du-Rhone, Les Saint-Maries-de- la-Mer, Le Grau-du-Roi è meta di un turismo attento alle bellezze naturali, sensibile alla grande cultura delle piccole città che ho ricordato e avido delle bellissime spiagge che incorniciano il territorio della Camargue che si riflette nel Mediterraneo. Aigues-Mortes E’ difficile in Francia, dal punto di vista turistico, esagerare con le preferenze date ad una località piuttosto che l’altra. Chi conosce la Francia sa che ogni suo territorio è talmente ricco di storia , cultura e bellezza da reclamare per sé i marcatori somatici del turismo che fanno di una località una specie di ricordo potenziale pronto ad imprimersi nella memoria emotiva del “viaggiatore”. Tuttavia non potendo ricordare tutto, a volte si fa di ogni erba un fascio, e si dice semplicemente: “Sono stato in Francia. Bellissimo viaggio-vacanza etc. etc…Senza nessun’altra specificazione geografica”. Non è certamente così per la Camargue. Bellezze naturali a parte, c’è una città medioevale che si impone nei registri della memoria a lungo termine con una evidenza sconosciuta ad altre località. Aigues-Mortes, la città che conobbe il suo sviluppo a partire dal 1246, è un piccolo gioiello di architettura storica e la sua posizione a fianco di una delle paludi più suggestive della Camargue è di una bellezza da togliere il respiro. Dal punto di vista storico Aigues-Mortes diviene importante quando Louis IX per prepararsi ad andare a riprendersi Gerusalemme nel nome del Papa Innocenzo III, decise che il suo Regno doveva avere un porto sul Mediterraneo. Il monarca acquisì dall’Abbazia di Psalmody la città e accordò ai suoi abitanti numerosi vantaggi economici e politici. Detta come vuol detta, quelle terre nel XIII° Sec. erano infestate da malattie e non era facile convincere la gente a viverci. Ma grazie alla costruzione di strade e del porto in soli due anni la città fu popolate di 12000 abitanti e divenne il centro importantissimo per il commercio con il Levante. Essendo una città-porto strategica per il Regno di Francia a partire dal 1268 fu eretta una fortificazione muraria che oggi stupisce per la sua armoniosa bellezza, dalla quale emerge la possente torre di Costanza. Quest’ultimo è un massiccio edificio circolare, che doveva rappresentare un simbolo della potenza di Louis IX e al tempo stesso una roccaforte per difendersi da eventuali attacchi. Si può immaginare che la cinta muraria abbia preso spunto da questa struttura che per quei tempi doveva apparire come quant’altre mai potente e inespugnabile. Più aventi nei secoli, la torre di Costanza divenne tristemente famosa come carcere utilizzato per imprigionare i protestanti, sconfitti e perseguitati a partire dalla revoca dell’editto di Nantes, nel 1685. Passeggiare per Aigues-Mortes, provenendo da una delle nostre affollate città post moderne è una esperienza molto gradevole. Il centro simbolico della città è la piazza con la statua in bronzo creata da Pradier (1849) dedicata a San Luigi. Durante il giorno è stracolma di turisti disseminati tra i tanti ristoranti e bar che si affacciano su di essa. Seduti in uno di essi, sorseggiando I.QUALITY • 70
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un sorprendente Vin des Sables, non è famoso come altri vivi francesi ma vi assicuro che in queste circostanze non teme confronti, si può ammirare la chiesa di Notre dame des Sablons, un edificio di culto miracolosamente intatto e assolutamente originale. In origine, all’incirca nel 1183, pare che fosse una chiesa in legno, in seguito riedificata nello stile gotico ogivale. Ristrutturata fu aperta al culto nel 1248, e tutto sembra rimasto come allora fatto salve le sconcertanti vetrate realizzate nel 1991 dal pittore Claude Viallat. Uscendo dalla Port de la Marine ci si trova di fronte al porto di Aigues-Mortes che quando fu costruito era collegato al porto marittimo grazie al canale chiamato “Grau de la Croisette”. Sostanzialmente le navi di allora trovavano nel porto interno un riparo da tempeste e da nemici. Quando Marsiglia divenne parte del regno di Francia, in breve tempo, l’importanza del porto di Aigues-Mortes si dissolse. I canali che collegavano il mare al porto interno andarono in rovina e soltanto nel 1725 con il canale del Grau du Roi, che dà il nome oggi ad una fiorente località marina, la città divenne ancora un porto fluviale collegato al mare.
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Ben più che il porto, oggi, il vero spettacolo degli immediati dintorni di Aigues-Mortes è l’immensa salina che fronteggia la città. C’è da dire che la cultura del sale in Camargue risale all’antichità. Nel 1200 veniva considerata una delle proprietà più redditizie dell’Abbazia di Psalmody. Oggi le saline di Aigues-Mortes sono le più grandi d’Europa: 9800 ettari di terre selvagge sulle quali l’acqua del mare, circola e ristagna per mesi, fino a che concentrandosi, produce la cosiddetta cristallizzazione che avviene in apposite grandi saline. Il sale raccolto è di grandissima qualità ed è uno degli ingredienti fondamentali che rendono particolare per chi non lo conosce, la cucina del luogo. Visitare lo stupefacente impianto delle Saline du Midi, compreso il piccolo museo è una vera esperienza. Osservare dalle saline, in molti punti di un sorprendente colore rosaceo, le bianche mura di Aigues- Mortes, mentre un fenicottero rosa attraversa il campo visivo è veramente uno di quei momenti in cui si felici di provare il sentimento che frettolosamente chiamiamo bellezza.
Un rigraziamento particolare all’Office de Tourisme di Aigues-Mortes, www.ville-aigues-mortes.fr
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FOOD COUTURE
Viaggio nel cioccolato italiano d’autore Di Gilberto Mora
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Il cioccolato attraversa il tempo e lo spazio, accostando in un istante civiltà precolombiane ed ere moderne in un racconto di storie di viaggi e piaceri esotici, di piantagioni in foreste pluviali, di navi che solcano oceani, di avventurieri arditi e di raffinati esteti, di scienziati curiosi e di maestri cioccolatieri che, in ogni epoca, sono stati toccati e coinvolti nella storia di questo prezioso alimento. Affrontare il mondo del cacao e del cioccolato è come entrare in un frullatore di emozioni. Le considerazioni e le affermazioni che studiosi e esperti propongono sono in qualche modo sempre spinte all’eccesso. Già il botanico Linneo nel ‘700 battezzerà la pianta “Theobroma”, letteralmente “cibo degli dei”. La divinità atzeca Quetzalcoatl si rivelò al mondo precolombiano recando al suo fianco l’albero con oblunghe cabosse colorate, dai cui semi si ricavava la choco-atl, ossia acqua amara. Il celebrato potere afrodisiaco del cioccolato ne conferma la natura “estrema”. L’imperatore Montezuma ne sorbiva fino a cinquanta tazze al giorno mentre Giacomo Casanova nelle “Memoires” ci racconta di fermarsi a un paio di dozzine. Su questo infuso rituale considerato balsamo d’immortalità tutti hanno voluto dire la loro. Del resto i suoi effetti benefici sono stati evidenziati dalla moderna scienza dell’alimentazione come testimonia ormai la letteratura scientifica internazionale Secondo alcuni biochimici “il brodo indiano”, altro stravagante modo con cui la bevanda al cioccolato era chiamata subito dopo l’arrivo in Europa, conterrebbe le stesse sostanze chimiche che produce il nostro cervello durante l’innamoramento. Più semplicemente, come ben sottolinea lo scrittore Paul Richardson nel suo libro “Indulgence” il cioccolato è uno dei massimi piaceri della vita. E la tavoletta di cioccolato, unica sostanza che si scioglie a temperatura corporea, da solida e dura si trasforma immediatamente in fluida e suadente, avvolgente e cedevole come l’abbandono erotico. Dal cioccolato ai cioccolati Ma nel cioccolato, c’è di più della sua dimensione percepita e dell’essere sulla bocca di tutti. Il cioccolato come prodotto finale è il risultato di innumerevoli componenti: qualità e controllo delle materie prime, capacità di alta lavorazione artigianale, realizzazione di prodotti partendo da semilavorati senza aggiungere capacità inventiva, lavorazione industriale. A queste grandi categorie si possono aggiungere numerose varianti che ci fanno dire che il fenomeno del cioccolato è sicuramente di moda ma, nello stesso tempo, diversificato e stratificato. Nel mercato si trovano ormai prodotti che non sono nemmeno lontani parenti tra loro e la comune denominazione di cioccolato lo è solamente dal punto di vista semantico perchè da quello degustativo ci troviamo di fronte a prodotti non comparabili. La grande qualità si trova ovviamente solo nei prodotti che partono da materie prime nobili e realizzati con una grande perizia artigianale. Stesso risultato qualitativo riusciamo ad ottenerlo da artigiani evoluti o industrie di piccole dimensioni che riescono a curare con grande attenzione le proprie creazioni. La ricerca del cioccolato di qualità significa voler privilegiare un prodotto che realmente vale la pena di essere assaggiato. Con le proprie qualità provenienti dalla genetica di una pianta di cacao fine e aromatico, con la rotondità ed il grande equilibrio tra amarezza e dolcezza che caratterizza i prodotti di eccellenza, con la finezza sia delle componenti aromatiche che della “texture”, con la lunga persistenza che solo il grande cacao può garantire. Questo è il cioccolato che Compagnia vuole promuovere e fare conoscere sempre di più. I.QUALITY • 82
Breve viaggio nel cioccolato italiano Il Cioccolato Italiano appare prepotentemente solo in questi anni sulla scena mondiale del settore in un mercato ed in un immaginario internazionale fortemente caratterizzato dalle produzioni svizzere e belghe. Oggi, con la recente svolta culturale”gourmet” alla quale è seguito un repentino adeguamento della produzione, si può ritenere che il nostro cioccolato abbia fatto un importante balzo in avanti sia in qualità che per varietà nell’offerta e che l’Italia si riveli, anche in questo campo, quella incredibile isola del tesoro gastronomico che il mondo ha scoperto da qualche anno. Si può pensare quindi ad una immagine nazionale ed omogenea della produzione italiana con la stessa specificità regionale che caratterizza gli altri nostri straordinari prodotti alimentari. Dalla grande tradizione cioccolatiera piemontese e della città di Torino rappresentata da Peyrano si è ricavato uno spazio significativo l’”enfant prodige” Guido Gobino, noto per il Tourinot, piccolo gianduiotto estruso di 5 grammi e mantiene un ruolo importante l’ innumerevole produzione di qualità di Venchi. A None, vicino a Torino, ha la sede operativa la Domori forse la più importante azienda italiana di cioccolato di qualità. Giordano per i gianduiotti fatti a mano, Guido Castagna, Silvio Bessone, Avidano e Giraudi portano altri tasselli importanti al panorama piemontese. Romanengo tiene alta la tradizione del cioccolato in Liguria. Buosi e T’à Sentimento Italiano dei giovani Alemagna rappresentano al meglio la Lombardia golosa. In Emilia-Romagna alla tradizione consolidata dell’azienda Majani negli ultimi anni si sono affiancati giovani promesse come i fratelli Gardini di Forlì e Rizzati di Ferrara a cui si uniscono grandi pasticceri come Tagliazucchi, Gino Fabbri e Rinaldini . Dalla Toscana è partita la rinascita del cioccolato italiano:il viaggio può avere delle tappe significative da Andrea Bianchini a Firenze, da Roberto Catinari a Agliana, da Luca Mannori a Prato,da La Molina a Quarrata. Ma le vette d’eccellenza della Tuscany Valley del Cioccolato le incontriamo da Andrea Slitti a Monsummano Terme, da Amedei a Pontedera e da De Bondt a Pisa, grandi cioccolatieri ognuno con una caratteristica personale ed unica. Le Marche sono presenti con Marangoni e BruCo. In Sicilia la storica Contea di Modica presenta il suo cioccolato: pasta di cacao lavorata a freddo e aromatizzata con vaniglia o cannella. L’Antica Dolceria Bonajauto e Donna Elvira tra i più rappresentativi, Sabadi tra gli emergenti. Maglio Arte Dolciaria a Maglie (LE), le proposte di Piluc e la sperimentazione gourmet di Pasquale Marigliano a Napoli completano un panorama, seppur parziale, dell’eccellenza italiana.
La Compagnia del Cioccolato, una storia appassionante Fondata nel 1995 è presto diventata un punto di riferimento nella difesa del cioccolato di qualità. La Compagnia del Cioccolato è, nei fatti, l’associazione dei consumatori di cioccolato, che ne tutela il consumo, verificando la qualità dei cioccolati, così da informare e orientare i propri soci. L’intenzione della Compagnia è quella quindi di creare sempre di più strumenti che facilitino la piena coscienza di chi ama ed è attratto dal cioccolato: in particolare i corsi per Chocolate Taster, le cene e le serate di degustazione ed abbinamento, le proposte di cioccolati “Selected by Compagnia del Cioccolato”, il Premio Tavoletta d’Oro che seleziona i migliori cioccolati italiani. Per informazioni e iscrizioni tel. 338 3897693 - www.cioccolato.it I.QUALITY • 83
Maglio Arte Dolciaria Maglio è un’azienda che vanta 135 anni di storia: oggi è un esempio di come si può coniugare una produzione di cioccolati, dolci, frutte, gelatine, confetture e gelati legati alla tradizione con una corretta ed efficace capacità imprenditoriale. Il dolciario del Sud Italia con Maglio esce dalle vecchie botteghe artigiane, senza per questo rinnegarle, ed entra a pieno titolo in una attività industriale evoluta. In un Salento pieno di bellezze architettoniche e paesaggistiche Maglio Arte Dolciaria è diventato un punto di riferimento qualitativo ma anche un’icona di un meridione che vuole crescere e confrontarsi col mondo. Per quanto riguarda i prodotti da segnalare un latte Papuasia di grande spessore, una serie di origini equilibrate e facili da comprendere, una straordinaria produzione di frutta ricoperta che ti da sempre la sensazione di assaggiare un frutto appena colto dall’albero,come il Mandarino nano che gli ha valso quest’anno il Premio Tavoletta d’Oro e una quantità smisurata di delizie golosissime: boule, bonbons, croccantini, cioccolatini, cuoricini, uova e ovetti, fave di cacao ricoperte e un’indimenticabile cotognata che ricorda le merende dell’infanzia. www.cioccolatomaglio.it
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Venchi S.p.A. Nata a Torino nel 1878, quando Silvano Venchi aprì il suo laboratorio di pasticceria, Venchi racconta da sempre una storia dove il sapore dell’autenticità è protagonista assoluto. E nello stabilimento di Castelletto Stura la tecnologia si sposa perfettamente con la capacità artigianale e la sapienza delle maestranze. I prodotti non sono mai estremi, dalle differenti tipologie di blend alle morbide gianduje.In Venchi si evidenzia il primato di una qualità “da lusso accessibile” che si può confrontare con differenti mercati, che mantiene un ottimo rapporto qualità/prezzo e che rappresenta nel mondo il buon cioccolato italiano. Ad un’analisi più approfondita delle caratteristiche dei singoli cioccolati troviamo molto accattivante la linea delle miscele Cuor di Cacao, le microsfere bassinate del Chocaviar e le straordinarie Nougatine. Elementi di spicco in un panorama di prodotti che fanno della piacevolezza la cifra stilistica. Molto interessante per i consumatori e diretta conseguenza della capacità imprenditoriale dell’azienda l’apertura di negozi che uniscono il cioccolato alla gelateria. Ovviamente a marchio Venchi. www.venchi.com
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DOLCERIA DONNA ELVIRA Elvira e Giovanni rappresentano, per Modica, una generazione di cioccolatieri che sanno guardare al futuro, senza dimenticare il passato. Da quando la Compagnia del Cioccolato li ha incontrati, ha sempre apprezzato il loro approccio consapevole al mondo del cioccolato e la loro costante ansia di imparare. Non certo le tecniche di produzione che ben conoscono sia per il cioccolato che per i dolci ma soprattutto per il lavoro complessivo del cioccolatiere artigianale che deve sapere coniugare in se tutte le conoscenze necessarie alla vita di un’impresa. Abbiamo trovato di grande interesse la loro ricerca sulle materie prime con l’introduzione di masse di cacao sudamericane che sono andate a sostituire semilavorati di scarsa qualità che normalmente venivano utilizzati nei cioccolati modicani. Finalmente un modicano fatto a regola d’arte con un cacao di cui viene dichiarata la provenienza. Molto interessanti nella loro produzione il cioccolato con latte ovino perfetto per una cioccolata in tazza, il cioccolato alle nocciole dei Nebrodi, il lavoro con i pepi e i sali,una grande ed intensa cioccolata Maya che ha vinto un Premio Tavoletta d’Oro. www.donnaelvira.it
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Domori La missione di Domori, azienda fondata da Gianluca Franzoni, è incentrata sulla cultura del cacao che significa rispetto e rilancio del cacao nobile in tutta la sua potenza espressiva. Per questo Domori ogni giorno si dedica a riconsegnare il giusto ruolo che spetta al cacao aromatico nel mercato internazionale, perché il cioccolato extra composto di sola pasta di cacao e zucchero è un piacere da assaporare lentamente e ad occhi chiusi. La principale piantagione di cacao di Domori è l’Hacienda San Josè, il primo e più importante centro al mondo per il recupero della biodiversità del cacao criollo e per la sua coltivazione. L’Hacienda San José sorge nella penisola di Paria, la parte orientale del Venezuela, la prima terraferma del continente americano solcata da Cristoforo Colombo il 1° agosto del 1498 nel suo terzo viaggio. Gianluca Franzoni, attuale Presidente di Domori, rappresenta veramente per il cioccolato italiano ed internazionale un ricercatore instancabile. Oggi la Domori fa parte del gruppo Illy. www.domori.com
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GARDINI Tutto comincia con un panificio aperto nel 1962 a Terra del Sole e con la “Pasticceria Le Perle” aperta nel 1976 al Lido di Spina. Nella pasticceria è poi subentrata la seconda generazione e nel 1987 si inaugura “L’Artigiano” una cioccolateria artigianale a Forlì Dallo scorso anno l’azienda ha assunto la denominazione di Gardini. Cambia dunque l’approccio della comunicazione per un’azienda attenta anche a questi dettagli ma non la sostanza e la qualità dei prodotti. Il concetto di artigianalità ben si lega infatti ai due fratelli Gardini. Per la scelta delle materie prime con una predilezione per i prodotti del territorio e per un volere mettersi personalmente sempre in gioco attraverso nuove proposte. Un azienda artigiana evoluta che sa andare alla conquista di nuovi mercati anche internazionali. Il grande successo arriva dall’originalità dei cioccolati al sale dolce di Cervia che, in questi prodotti che spaziano dal latte alla gianduja,, da puro esaltatore di sapori diventa elemento aromatico. Per aver diffuso la cultura materiale del loro territorio e per un ragguardevole aromatizzato al caffè e cardamomo i Gardini hanno vinto quest’anno due premi Tavoletta d’Oro. www.gardinicioccolato.it
Guido Gobino Un cioccolatiere d’eccellenza che lega la grande tradizione con l’innovazione e racconta la contemporaneità del cioccolato sia come prodotto che come cultura. Guido Gobino ha costruito in questi anni un staff molto competente nella produzione, nella costante innovazione tecnologica, nel packaging al passo con gli stilemi della contemporaneità e nel marketing. Il rinnovato laboratorio con le più moderne attrezzature e una società specifica che segue tutta la filiera della nocciola ci assicurano una costante ricerca dell’eccellenza. Da rimarcare lo splendido approccio al mondo del Gianduia con tutta la linea dei Tourinot, un’attenzione particolare ai blend sia di latte che fondenti e alcune chicche come i cremini al sale, il ginger ricoperto con cioccolato bianco e menta, la serie delle piccole praline da degustazione. Ci piace molto questo cioccolatiere che unisce alla qualità indiscussa dei prodotti lo spirito imprenditoriale di chi sa confrontarsi con i mercati internazionali e allestire bellissimi negozi che danno il segno di uno stile originale. www.guidogobino.it I.QUALITY • 92
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Rizzati Franco Rizzati è un instancabile ricercatore che, pur ascoltando la lezione dei grandi esperti del cioccolato, ha scelto la sua strada andando controcorrente. Il suo primo successo fu la creazione di un cioccolatino con la birra Baladin. Scelse inoltre, con grandissimo coraggio, di lavorare la massa di cacao escludendo l’operazione del concaggio, producendo un cioccolato non così raffinato al palato ma allo stesso tempo mantenendo caratteristiche organolettiche più ricche di aromi primari. La grande forza dell’Azienda, oltre la tradizionale Torta Tenerina, è la creazione originale di frutta candita ricoperta di cioccolato, a cui si sono aggiunti nel tempo praline, dragèes e ripieni seguendo ancora una volta l’istinto di Franco che ha ora un valido supporto operativo per poter consolidare una storia di successo, in cui si ritrovano passione, creatività, innovazione e ricerca. Il tutto accompagnato da una rigorosa ricerca delle migliori materie prime. Alcuni anni or sono la Compagnia del Cioccolato ha premiato Rizzati come Cioccolatiere emergente. Oggi fa parte dei Grandi. www.rizzati.it
SLITTI Andrea Slitti è uno dei pochi cioccolatieri italiani che si confronti a 360° con il mondo del cioccolato. Non c’è infatti prodotto che provenga dal cacao che non troviamo presente nella sua vasta produzione. Dalle tavolette alle praline, dalle dragées alle torte, dalle creme ai cucchiaini, dalle uova alle grandi creazioni artistiche. Un cioccolatiere di valenza europea, pluripremiato, che svolge, con alto senso critico, anche il suo compito di giudice nei concorsi mondiali più prestigiosi. Un vero maestro cioccolatiere che unisce ad un’indiscussa notorietà internazionale, una vera e sincera vocazione per il cioccolato “buono”. Andrea è unico e affronta sempre in una maniera personale le sue nuove sfide. Con una ricerca alta delle materie prime e con il raggiungimento di un impatto gustativo equilibrato e ricco di sfumature. Potremmo dire che Slitti è il primo degustatore dei suoi prodotti e ha la capacità di mettersi dalla parte dei suoi consumatori. Non li sfida ma li arricchisce sempre con una nuova proposta golosa. A ciò si unisce un ottimo rapporto qualità prezzo. Chapeau! www.slitti.it
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DE BONDT La storia del cioccolato De Bondt non può essere altro che la storia di due persone che si incontrano e costruiscono “una storia” di passioni e alchimie gustative. La storia appunto di Cecilia Iacobelli e Paul De Bondt Sono considerati a buon diritto i migliori cioccolatieri a produrre aromatizzati e speziati eppure la loro prima Tavoletta d’oro l’hanno vinta nel 2002 con la miscela fondente al 70%. Con De Bondt, intendendo ovviamente la coppia Cecilia Paul, abbiamo subito capito di trovarci di fronte a sopraffini maestri cioccolatieri capaci di presentare prodotti sempre nuovi e originali. Una grande abilità nel mischiare gusti e aromi e nel selezionare, quasi “scovare”, materie prime di qualità. Perché si è grandi cioccolatieri anche nel costruire cioccolati e non solo nel poter governare tutta la filiera produttiva! Da ricordare le straordinarie e innovatiei praline al vino passito di Pantelleria Ben Ryè , vino che Cecilia e Paul hanno omaggiato addirittura con una coppia di cioccolatini. Quasi una metafora azzeccata per rappresentare questa coppia di cioccolatieri sempre in movimento verso le vette del gusto. www.debondt.it
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SABADI Sabadi ha selezionato per i suoi cioccolati modicani un grande cacao dell’Ecuador, il National fino de aroma Superior Summer Selected, e lo propone in sei abbinamenti di forte personalità. Le materie prime utilizzate provengono da presidi Slow Food e da produttori del commercio Equo e Solidale, nel rispetto delle piccole comunità indigene, dell’ambiente e della biodiversità. Quest’anno Sabadi ha ricevuto una menzione speciale del Premio Tavoletta d’Oro per la sua linea di napolitains. www.sabadi.it
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COVER STORY
Barni Family
Creatori di rose
Di Lamberto Cantoni Foto di Luca Bracali
Rosa, tu perfetta tra le cose/… Nulla ti eguaglia/ Rilke, Les Roses
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Prologo Rose Barni tra gli addetti ai lavori è un marchio molto conosciuto per l’eccellenza e la bellezza delle varietà di rose esibite nelle fiere di settore più importanti. Solo per fare un esempio tratto dalla conversazione che seguirà, nell’ultima edizione di Euroflora l’azienda pistoiese ha raccolto 12 medaglie d’oro, 6 d’argento e 5 di bronzo. In breve, è stata l’azienda più pluri-premiata e certo non per caso. Questo è il pensiero che mi viene mentre mi aggiro nello show room dell’azienda e guardo le decine di attestati d’eccellenza che ne tappezzano le pareti. Ho la percezione di trovarmi in una delle tipiche aziende dalle quali ha preso il volo il mito del made in Italy: dimensione ragionevole, totale coinvolgimento della famiglia da più di tre generazioni, grande propensione all’innovazione e un gusto per la creatività e la bellezza (delle rose) che non ha bisogno di connotazioni culturali sofisticate per imporsi. Non so se il fondatore della dinastia dei Barni vivaisti sapesse che la rosa era già un simbolo di bellezza all’epoca di Sargon I da Ur capitale dell’impero Sumero il quale in alcune tavolette lasciò scritto che durante il suo ritorno nella capitale dopo una campagna guerresca aveva visto alberi di vite e di rose. Anche nella Bibbia la rosa è un simbolo di bellezza assoluta e incontaminata. Secondo Erodono invece i primi giardini di rose, coltivati nell’Emazia (regione al nord della Grecia attuale), risalirebbero all’VIII sec.A.C. Una testimonianza della profonda considerazione riservata alla coltura delle rose ce la rende Confucio (551-479 A.C.) descrivendole come i fiori più amati dall’imperatore della Cina. Più o meno nello stesso periodo risalgono i primi affreschi egiziani che rappresentano la fortuna di questo fiore presso i faraoni. Tra gli aneddoti che affrescano la vita di personaggi mitici come Cleopatra si narra della sua passione per i petali di rosa, per i suo profumo, per la bellezza del fiore. In epoca romana la rosa divenne il fiore simbolo dell’amore. Marziale ci ha lasciato in innumerevoli passaggi delle sue satire le tracce del forte legame tra rosa e passione. La presenza simbolica della rosa nel brodo di cultura dal quale siamo scaturiti è veramente impressionante. Non si contano i poeti e letterati in età moderna che hanno trovato in questo fiore l’ispirazione per parlare di noi stessi, delle nostre fragili passioni e del persistere ostinato, in un mondo pieno di sozzure, di qualcosa che ci commuove perché essenzialmente bello. Creare rose non è un lavoro come tutti gli altri. Creare rose è trasmettere emozioni, portatrici di valenze simboliche, leggere finchè volete, ma impossibili da separare dalla parte di noi stessi che chiamiamo umanità. L’eccellenza nella creazione di Rose Come ho già sottolineato, la famiglia Barni corrisponde esattamente allo stereotipo dell’impreditoria che ha creato il mito del Made in Italy. Gran lavoratori, contaminati dalla follia della creatività, senza però mai perdere il contatto con la dimensione del fare: le loro rose sono bellissime perché sono ben concepite e ben fatte. La sede dell’azienda è quanto di più familiare si possa immaginare. Una palazzina oblunga, senza fronzoli, la immagino progettata da un geometra attivo negli anni sessanta cultore del modernismo, sulla quale troneggia l’insegna Rose Barni di proporzioni Hollywoodiane, giusto per far capire senza tanti fronzoli a chi si trova nei dintorni I.QUALITY • 102
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dove bisogna svoltare per immergersi nel regno delle rose. Infatti l’edificio è letteralmente incuneato in un piccolo bosco di rosai di tutti i tipi. Durante le fioriture deve essere davvero emozionante arrivare dai Barni. L’interno della sede è esattamente una continuazione del di fuori. Tutto è funzionale, semplice, senza pretese, ordinato il giusto, ma ogni oggetto sembra lì da sempre. In una saletta multiuso mi attende la famiglia in ordine sparso, come se la mia presenza non potesse fermare il normale decorso delle attività. Si presenta per primo Pietro Barni, l’amministratore delegato dell’azienda, scortato dal figlio Vittorio, responsabile del marketing. Più avanti nel corso della conversazione entreranno in scena come una commedia pirandelliana, Beatrice, la scienziata di famiglia detta anche l’ibridatrice, figlia di Enrico, fratello di Pietro, responsabile della produzione ovvero l’agronomo di famiglia. Perché parlo di una conversazione con la famiglia Barni e non di intervista che pur avevo programmato? Non so spiegarvelo con esattezza, ma fin dall’inizio i protagonisti hanno preso il comando delle operazioni, travolgendomi con una sorta di appassionante romanzo familiare impossibile da inscatolare nel gioco domanda/ risposta. Ecco perché preferisco parlare di conversazione e nel tentativo di restituire al lettore le emozioni dell’incontro eviterò di giustapporre le domande che non ho fatto, lasciando che esse siano implicite nel libero discorso che i vari protagonisti hanno messo in scena. La conversazione Signor Barni (mi rivolgo a Pietro, mentre sfoglio il loro house organ), complimenti, gran bella azienda… Pietro Barni: “Tutto merito di mio nonno Vittorio Tommaso Barni che più di cento anni fa cominciò a fare il vivaista, producendo piante di vite…” Ah! Piante da vite… e le rose quando arrivano? Pietro Barni: “ Per capire come arrivano i primi vivai di rose in Italia, dobbiamo ritornare al fascismo e alla sue conseguenze. A partire dagli anni trenta tutto ciò che è straniero viene sottoposto a censura. L’autarchia impone di produrre rose in Italia evitando di farle passare per la Francia, la nazione che grazie a personaggi leggendari come la rodologa Joséphine de Beauharnais avevano imposto la rose made in France in tutta l’Europa. Nel nostro paese i primi vivai di rose si diffondono nel torinese ad opera della mitica azienda “Fratelli Giacomasso”, oggi scomparsa. Mio padre in quegli anni, in barba ai burocrati di regime, era amico di un grande rodologo francese e si divertiva a sperimentare nuove varietà di rose…” Quindi l’attività centrata sulle rose cominciò come un lavoro di ricerca di nuove varietà… Pietro Barni: “ Sì certo… Ma mi faccia finire di raccontare la nostra piccola storia. Eravamo arrivati al punto in cui la cultura della rosa in qualche modo arrivò nella mia azienda. Verso la fine della seconda guerra mondiale il fronte del conflitto si stabilì anche a Pistoia. Gli alleati occuparono con i carri armati i terreni di mio nonno per bombardare i tedeschi asserragliati nelle contrafforti appenniniche che circondano la valle del pistoiese. Per farla breve le truppe alleate rimasero stabili per settimane e di conseguenza rasero al suolo i vivai. Poi finalmente il fronte si spostò più a nord, ma ci rendemmo conto I.QUALITY • 104
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che i danni risultavano irreversibili. Tutto era perduto. Dovevamo ricominciare. Per nostra fortuna gli alleati erano guidati da gente seria e onesta. Alcuni ufficiali avevano documentato con esattezza i danni che ci erano stati inflitti e dopo poco tempo ci arrivarono i rimborsi in dollari. A questo punto rimaneva vero il fatto che i vecchi vivai erano distrutti; tuttavia avevamo le risorse per ricostruirli. Ma cosa mettere a coltura? In quel preciso momento a mio padre Vittorio venne l’intuizione giusta: e se provassimo a mettere in pratica l’esperienza fatta nella sperimentazione di nuove varietà di rosa? Era l’idea giusta e unita ad un’altra idea vincente, la specializzazione, in breve tempo le Rose Barni divennero un punto di riferimento per chi ama le rose create per l’ecosistema mediterraneo…” Vittorio Barni: “ …E’ vero. La specializzazione ci ha dato un vantaggio competitivo nei confronti di tutti gli altri vivai generalisti conferendoci lo statuto di creatori di rose. Abbiamo preso molto sul serio la pratica di migliorare le varietà conquistandoci sul campo la fama di essere i migliori sperimentatori di nuove tipologie di rose. Nell’ultimo Euroflora, la manifestazione più importante del settore, abbiamo vinto 12 medaglie d’oro e 6 medaglie d’argento. Nessun altro vivaio può esibire numeri di questa portata…” Pietro Barni: “In tutta onestà, alle mie parole precedenti, devo aggiungere qualcosa di sostanziale. Ritorniamo per un attimo ai fatidici mesi, dopo la distruzione dei vivai, in cui ci interrogavamo sul che fare. In quel momento il fatto che la rosa ci avrebbe permesso di essere sul mercato in soli due anni di lavoro, risultò l’argomento decisivo. Per altre coltivazioni sarebbe occorso molto più tempo. All’inizio dunque fu una scelta obbligata dal bisogno di produrre e guadagnare nel tempo più breve possibile”. Mi perdoni se insisto su un tema per me inaspettato: la creazione di nuove varietà é dunque fondamentale anche in questo settore? Vittorio Barni: “E’ importantissima. Tenga presente che proporre una nuova varietà non significa un mutamento fine a se stesso; significa migliorare i caratteri della precedente, migliorando sensibilmente i colori, la resistenza al clima avverso, l’adattamento a determinati micro eco sistemi… Vede, il nostro posizionamento sul mercato è molto alto. I nostri clienti pretendono il meglio che si possa ottenere da una rosa. Non è certo per caso se nel nostro catalogo abbiamo varietà di rose chiamate Valentino, Rosita Missoni, Wanda Ferragamo, Anna Fendi, Roberto Capucci…” Quanto costa farsi dedicare una nuova varietà? Pietro Barni: “ Potrei risponderle che non ha prezzo. Noi creiamo nuove varietà legate in qualche modo a persone solo se il personaggio lo merita. Insomma non è da tutti avere una varietà del fiore più amato al mondo battezzata col proprio nome…” Vittorio Barni: “ Lei deve capire che non è un lavoro che si possa improvvisare. Per creare una nuova varietà occorrono anni di meticolosa applicazione. I caratteri simbolici che stabiliscono la plausibilità tra rosa e personaggio devono essere semplici ed efficaci. Altrimenti il lavoro non avrebbe senso. Facciamo un esempio. Qualche anno fa ci fu richiesto dallo staff di Valentino di creare una varietà col nome del prestigioso stilista. Valentino è famoso in tutto I.QUALITY • 106
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il mondo per avere creato il rosso valentino, un colore che suscita vibranti emozioni. Ebbene dopo estenuanti ibridazioni siamo riusciti a ricreare la stessa tonalità su una rosa. Per noi l’attribuzione di un nome prestigioso ad una nuova varietà non è una banale operazione di marketing. Fa parte di un disegno molto più complesso e sofisticato che ci impone il massimo controllo del processo. Solo chi ama veramente la cultura delle rose può ambire ad un simile privilegio. Solo chi è portatore di valori veri e di una notorietà assoluta può reggere la responsabilità di una nuova varietà senza esserne sovrastato”. Ma è proprio così complicato creare nuove varietà? Beatrice Barni: “L’incrocio di varietà portatrici di un certo carattere non è qualcosa che possa fare l’amatore della domenica. Prima di tutto occorre una grande capacità di osservazione, per individuare nei potenziali genitori quei caratteri dominanti che porteranno a un miglioramento genetico. La tecnica dell’ibridazione è un metodo riproduttivo naturale, facciamo quello che in natura viene affidato agli insetti e al vento, adottando però un certo rigore scientifico. Ad esempio, per evitare un’autofecondazione del fiore, si procede alla demasculazione”. ..Demasculazione ha un suono che mi inquieta… Beatrice Barni: “ praticamente consiste nel tagliare via dal fiore l’organo maschile…” Oppsss! lo sapevo che c’era qualcosa di terribile… Beatrice Barni: “ Non c’è nulla di drammatico. La rosa è ermafrodita, ovvero sullo stesso fiore troviamo sia l’organo femminile che quello maschile. Se tagliamo gli stami contenenti i granuli pollinici e fecondiamo i pistilli con i pollini di un’altra varietà, otterremo dei semi che rappresentano a tutti gli effetti nuovi ibridi. Questi vengono poi raccolti e seminati in serra, dove subiscono un attento processo di selezione per almeno tre anni. Successivamente, quegli individui ritenuti potenzialmente validi, vengono portati all’esterno nei campi di prova, per testarne le potenzialità estetiche e fisiologiche: per almeno 4-5 anni vengono riprodotti in maniera incrementale, per essere poi messi in commercio. Tutto questo processo richiede dai 7 ai 10 anni di attenta osservazione e selezione. Come vede è difficile immaginare che un lavoro non privo di difficoltà tecniche e che richiede grande esperienza possa essere improvvisato da chiunque. Di fatto noi siamo gli unici ibridatori qualitativi del nostro Paese”. …Quali sono i tratti pertinenti che fanno di una rosa una bella rosa? Beatrice Barni:” Il colore senz’altro e poi il profumo, la forma dei petali, lo stelo lungo ed elegante…” Enrico Barni: “ Aggiungerei la resistenza alle malattie. E’ importante per il consumatore che le nostre rose non abbiano bisogno di particolari cure. Aggiungerei ancora la rifiorenza, cioè la capacità della rosa di fiorire più volte nel corso della stagione..” Pietro Barni: “ Attraverso ibridazioni ovvero con un metodo completamente naturale noi miglioriamo queste caratteristiche portandole alla perfezione. La nostra reputazione si basa sul riconoscimento che le nostre varietà sono le migliori”. I.QUALITY • 108
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Vittorio Barni: “ Noi proponiamo ai clienti il catalogo di varietà più completo che si possa trovare in circolazione. E’ vero ci manca un bel giallo squillante ma ci stiamo lavorando. L’unico colore che ancora nessuno è riuscito a stabilizzare è il blu. La rosa blu potrebbe funzionare sul mercato ma è ottenibile solo con l’ingegneria genetica e noi non siamo disponibili a queste pratiche. Tutto ciò che di bello produce Barni proviene solo e semplicemente dalla natura”. Producete tutto a Pistoia? Pietro Barni: “Noi abbiamo essenzialmente una clientela nazionale, ma negli ultimi anni ci stiamo espandendo nel mondo. Produciamo tutto internamente sui nostri terreni a Pistoia e a Grosseto” Enrico Barni: “ Complessivamente abbiamo 79 ettari dei quali 20 sono boscosi. Per ora i nostri terreni sono sufficienti a soddisfare la domanda del mercato. Il vero problema è l’apporto di acqua. Per avere rose belle occorre una certa quantità di acqua. Purtroppo negli ultimi anni abbiamo avuto 1/3 di piovosità in meno. L’enorme bacino che abbiamo costruito per stoccare acqua piovana rischia di non essere più sufficiente d’estate. La scarsità colpisce anche i nostri vicini, impedendoci di chiedere loro acqua anche per essi scarsa… Non ci resta che trovare nuovi pozzi”. Beh! Un’occasione per collaborare con scienziati e con l’Università… Pietro Barni:” Abbiamo già tentato. Ci hanno fatto scavare in punti determinati per loro assolutamente certi. Abbiamo scavato e scavato ma l’acqua trovata era veramente poca.” Ma che altra soluzione ci può essere? Pietro Barni: “ Il rabdomante, il mago dell’acqua…” Sta forse parlando di quei ridicoli personaggi che girano con un bastone in mano che hanno la pretesa di farci credere che in qualche modo sentono l’acqua? Pietro Barni: “ Capisco le sue perplessità. Ma di fronte a scienziati che le fanno buttare via soldi senza trovare nulla di sostanziale e il rabdomante che con il suo salice in mano, ascoltandone le vibrazioni, ti indica un vero giacimento di acqua, lei cosa sceglierebbe? La natura è complessa; la scienza ne ha scoperto molti segreti ma non tutto è stato scritto. Ci sono ancora misteri che sono affrontabili con pratiche certamente pre-scientifiche ma che funzionano da secoli”. Come sta configurandosi il mercato delle rose, nel tempo della crisi? Pietro Barni: ”La nostra scelta di specializzarci nelle rose e nella qualità del prodotto è stata lungimirante. La crisi che stiamo attraversando certamente ci colpisce, ma stiamo reagendo con il lavoro ed investimenti opportuni. Il pubblico di qualità superiore che noi serviamo concepisce il giardino come un complemento indispensabile alla propria casa e al proprio stile di vita: è dunque interessato ad avere rose sempre più belle e innovative. Questa sua propensione dà alla nostra azienda l’entusiasmo e le risorse per continuare a migliorarci e a far meglio il nostro mestiere. La rosa è un simbolo estetico molto potente e il mondo ha bisogno della sua bellezza. Io e la mia famiglia crediamo in questo messaggio e facciamo di tutto per materializzarlo nella vita di chi ci dà fiducia”. I.QUALITY • 110
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Barni family in uno dei loro campi di rose
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SFILATA EVENTO
Ferragamo Resort
Di Lamberto Cantoni
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Anna Dello Russo
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L’altro aspetto rilevante è la natura transazionale dell’oggetto di Angela Caputi. Un oggetto, cioè pensato e creato per entrare in contatto con le altre donne, per sognare insieme, per chiacchierare, per divertirsi, forse per difendersi insieme. Si pensa sempre che il bijuox o il gioiello in genere serva alle donne per sedurre, per sovrastare con il linguaggio del corpo lo sguardo malato dell’uomo. Non mi pare che sia questo il messaggio che forma dopo forma, con parole diverse Angela Caputi ha imbricato nei suoi bijuox. Piuttosto io vi vedo un gioco sofisticato tra donne, che nell’oggetto mettono un po’ di se stesse, finendo per trasformarlo nell’oggetto transazionale che celebra il loro contatto. Dunque, oltre ad essere belli, i bijuox di Angela Caputi hanno la proprietà di predisporsi ad una discorsività che la maggioranza dei gioielli grandi e piccoli non hanno. Essendo creati per rendere possibile un contatto si basano su di un sano realismo ideativo che funziona come un limite, contro gli eccessi cercati dalla visionarietà di molti designer attuali. Il realismo di cui parlo compenetrandosi con il buon gusto ha permesso nel tempo ad Angela Caputi di affermarsi in tutto il mondo con prodotti percepiti per l’alto valore in termini di contemporaneità. Non a caso le sue creazioni hanno conquistato attenzioni e riconoscimenti in tutto il mondo… Dall’Alta Moda ai Musei. A tal riguardo si può citare la speciale esposizione dedicata dal Matropolitan Museum alla collezione Iris Barrel Apfel, intitolata “Rara Avis”, nella quale un posto di privilegio lo hanno avuto proprio le creazioni di Angela Caputi. Molto spesso quando si osservano i bijuox di Angela Caputi si scopre che presentano la strana proprietà di manifestare un sostanziale equilibrio tra effetto moda e dimensione artistica. In altre parole: le sue creazioni lasciano immaginare una fantasia poetica che cerca in qualcosa di classico il suo punto di stabilità, rimanendo però coerente con l’andamento mosso dell’immaginazione. Ecco perché i suoi oggetti sembrano costantemente in evoluzione (moda) ma anche atemporali (arte). Un altro aspetto che caratterizza le creazioni di Angela è la cura dei dettagli. Dalle linee geometriche ma morbide, ai colori fantastici dalle mille sfumature, sino alla selezione dei materiali “semplici”; resine plastiche rese preziose dalla lavorazione tutta fatta a mano, dagli accostamenti accurati e dal design originale ed estroso… Ebbene tutte le dimensioni con le quali possiamo decostruire il bijoux di Angela Caputi sono sottoposte ad una regolazione accurata, per certi aspetti misteriosa. E’ il perfetto controllo di questa misura la dote fondamentale della designer da cui discende la fusione armoniosa di materiali, colori, estetiche altrimenti in tensione. La bellezza come armonia tra dimensioni in contrasto tra loro, ecco una definizione che potrebbe calzare per raccogliere in poche parole gli effetti simbolici dei Bijoux di Angela Caputi. Una bellezza dunque che si lega alla tradizione dell’artigianato artistico (controllo magistrale degli elementi costitutivi) e al bisogno delle donne attuali di vivere il loro tempo con oggetti intelligenti che le sappiano divertire e far sentire in armonia con sé stesse.
L’altro aspetto rilevante è la natura transazionale dell’oggetto di Angela Caputi. Un oggetto, cioè pensato e creato per entrare in contatto con le altre donne, per sognare insieme, per chiacchierare, per divertirsi, forse per difendersi insieme. Si pensa sempre che il bijuox o il gioiello in genere serva alle donne per sedurre, per sovrastare con il linguaggio del corpo lo sguardo malato dell’uomo. Non mi pare che sia questo il messaggio che forma dopo forma, con parole diverse Angela Caputi ha imbricato nei suoi bijuox. Piuttosto io vi vedo un gioco sofisticato tra donne, che nell’oggetto mettono un po’ di se stesse, finendo per trasformarlo nell’oggetto transazionale che celebra il loro contatto. Dunque, oltre ad essere belli, i bijuox di Angela Caputi hanno la proprietà di predisporsi ad una discorsività che la maggioranza dei gioielli grandi e piccoli non hanno. Essendo creati per rendere possibile un contatto si basano su di un sano realismo ideativo che funziona come un limite, contro gli eccessi cercati dalla visionarietà di molti designer attuali. Il realismo di cui parlo compenetrandosi con il buon gusto ha permesso nel tempo ad Angela Caputi di affermarsi in tutto il mondo con prodotti percepiti per l’alto valore in termini di contemporaneità. Non a caso le sue creazioni hanno conquistato attenzioni e riconoscimenti in tutto il mondo… Dall’Alta Moda ai Musei. A tal riguardo si può citare la speciale esposizione dedicata dal Matropolitan Museum alla collezione Iris Barrel Apfel, intitolata “Rara Avis”, nella quale un posto di privilegio lo hanno avuto proprio le creazioni di Angela Caputi. Molto spesso quando si osservano i bijuox di Angela Caputi si scopre che presentano la strana proprietà di manifestare un sostanziale equilibrio tra effetto moda e dimensione artistica. In altre parole: le sue creazioni lasciano immaginare una fantasia poetica che cerca in qualcosa di classico il suo punto di stabilità, rimanendo però coerente con l’andamento mosso dell’immaginazione. Ecco perché i suoi oggetti sembrano costantemente in evoluzione (moda) ma anche atemporali (arte). Un altro aspetto che caratterizza le creazioni di Angela è la cura dei dettagli. Dalle linee geometriche ma morbide, ai colori fantastici dalle mille sfumature, sino alla selezione dei materiali “semplici”; resine plastiche rese preziose dalla lavorazione tutta fatta a mano, dagli accostamenti accurati e dal design originale ed estroso… Ebbene tutte le dimensioni con le quali possiamo decostruire il bijoux di Angela Caputi sono sottoposte ad una regolazione accurata, per certi aspetti misteriosa. E’ il perfetto controllo di questa misura la dote fondamentale della designer da cui discende la fusione armoniosa di materiali, colori, estetiche altrimenti in tensione. La bellezza come armonia tra dimensioni in contrasto tra loro, ecco una definizione che potrebbe calzare per raccogliere in poche parole gli effetti simbolici dei Bijoux di Angela Caputi. Una bellezza dunque che si lega alla tradizione dell’artigianato artistico (controllo magistrale degli elementi costitutivi) e al bisogno delle donne attuali di vivere il loro tempo con oggetti intelligenti che le sappiano divertire e far sentire in armonia con sé stesse.
Isabella Ferrari
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L’altro aspetto rilevante è la natura transazionale dell’oggetto di Angela Caputi. Un oggetto, cioè pensato e creato per entrare in contatto con le altre donne, per sognare insieme, per chiacchierare, per divertirsi, forse per difendersi insieme. Si pensa sempre che il bijuox o il gioiello in genere serva alle donne per sedurre, per sovrastare con il linguaggio del corpo lo sguardo malato dell’uomo. Non mi pare che sia questo il messaggio che forma dopo forma, con parole diverse Angela Caputi ha imbricato nei suoi bijuox. Piuttosto io vi vedo un gioco sofisticato tra donne, che nell’oggetto mettono un po’ di se stesse, finendo per trasformarlo nell’oggetto transazionale che celebra il loro contatto. Dunque, oltre ad essere belli, i bijuox di Angela Caputi hanno la proprietà di predisporsi ad una discorsività che la maggioranza dei gioielli grandi e piccoli non hanno. Essendo creati per rendere possibile un contatto si basano su di un sano realismo ideativo che funziona come un limite, contro gli eccessi cercati dalla visionarietà di molti designer attuali. Il realismo di cui parlo compenetrandosi con il buon gusto ha permesso nel tempo ad Angela Caputi di affermarsi in tutto il mondo con prodotti percepiti per l’alto valore in termini di contemporaneità. Non a caso le sue creazioni hanno conquistato attenzioni e riconoscimenti in tutto il mondo… Dall’Alta Moda ai Musei. A tal riguardo si può citare la speciale esposizione dedicata dal Matropolitan Museum alla collezione Iris Barrel Apfel, intitolata “Rara Avis”, nella quale un posto di privilegio lo hanno avuto proprio le creazioni di Angela Caputi. Molto spesso quando si osservano i bijuox di Angela Caputi si scopre che presentano la strana proprietà di manifestare un sostanziale equilibrio tra effetto moda e dimensione artistica. In altre parole: le sue creazioni lasciano immaginare una fantasia poetica che cerca in qualcosa di classico il suo punto di stabilità, rimanendo però coerente con l’andamento mosso dell’immaginazione. Ecco perché i suoi oggetti sembrano costantemente in evoluzione (moda) ma anche atemporali (arte). Un altro aspetto che caratterizza le creazioni di Angela è la cura dei dettagli. Dalle linee geometriche ma morbide, ai colori fantastici dalle mille sfumature, sino alla selezione dei materiali “semplici”; resine plastiche rese preziose dalla lavorazione tutta fatta a mano, dagli accostamenti accurati e dal design originale ed estroso… Ebbene tutte le dimensioni con le quali possiamo decostruire il bijoux di Angela Caputi sono sottoposte ad una regolazione accurata, per certi aspetti misteriosa. E’ il perfetto controllo di questa misura la dote fondamentale della designer da cui discende la fusione armoniosa di materiali, colori, estetiche altrimenti in tensione. La bellezza come armonia tra dimensioni in contrasto tra loro, ecco una definizione che potrebbe calzare per raccogliere in poche parole gli effetti simbolici dei Bijoux di Angela Caputi. Una bellezza dunque che si lega alla tradizione dell’artigianato artistico (controllo magistrale degli elementi costitutivi) e al bisogno delle donne attuali di vivere il loro tempo con oggetti intelligenti che le sappiano divertire e far sentire in armonia con sé stesse.
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Un momento della sfilata
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CAPITALI DELLA MODA
Mosca. Nuova capitale della moda. Di Kalmykova Ekaterina
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Il concetto della “moda” iniziò a svilupparsi in Russia solamente nella seconda metà degli anni ’90. Fino a quel momento il paese vivendo in una società di tipo “chiuso”, non era incluso nel processo internazionale della creazione della moda ed appariva prevalentemente come un imitatore delle idee provenienti dall’Ovest. Il deficit e l’assenza della concorrenza caretterizzanti l’economia dell’Unione Sovietica contrastavano la natura stessa della nascita e dello sviluppo della moda. Questo settore era sostituito dall’industria del vestiario e il design aveva un ruolo secondario. La situazione iniziò a cambiare negli ultimi decenni. Lo sviluppo precipitoso del mercato russo della moda negli anni ’90 fu dovuto all’apertura della “finestra verso l’Ovest” nonché alla nascita del ceto sociale capace economicamente e pronto al consumo sia dei prodotti di lusso che della merce appartenente al medio segmento. La crescita repentina e impetuosa dell’interesse verso il mercato di lusso può essere comprovata dal fatto che attualmente la Russia occupa uno dei primi posti tra i paesi maggiormente attrattivi per i brand di sfarzo. Negli ultimi dieci anni cambiò radicalmente il rapporto tra i russi e la moda: se ancora recentemente la maggior parte degli individui si accontentava dell’assortimento dei mercati e delle sezioni di abbigliamento negli ipermearket, allora oggi le nuove condizioni costringono i retailer a riguardare nel modo radicale i modelli di business in Russia, ampliando la gamma dei prodotti, modificando gli standard qualitativi, aprendo multibrand e monobrand stores e corners. Bisogna però mettere in evidenza che lo sviluppo del settore della moda non è uniforme su tutto il territorio
la cura del look e l’elaborazione dello stile. Oggi il centro della capitale russa è l’intersezione delle vie, in cui convivono i più famosi e lussuosi brand internazionali. Mosca non è più solamente una città, ma è lo stile di vita. Le vie Tverskaya, Kysnezkii most, Ochotnyi ryad, Stoleshnikov pereulok, i negozi come GUM e ZSUM rappresentano il nucleo della moda moscovita che comunica con le vetrine di Prada, Louis Vuitton, Dior, Giorgio Armani e tanti altri. Su queste e altre strade del centro furono ultimamente aperti i concept stores Podium e Diesel e numerosi multibrand concept stores come Cara&Co, Phisika, Luhta. Le azioni della capitale nei confronti della moda non finiscono con le continue aperture di spazi dedicati ai brand internazionali. Ultimamente Mosca mostra la propria ospitalità verso la realizzazione nella città delle mostre internazionali riguardanti la moda, il design ed i prodotti cosmetici: Chapeau Moscow, Euro Shoes premier collection, Baby Land Moscow, Junwex Moscow. Cosi, una recente mostra internazionale Collection Premiere Moscow era dedicata alle previsioni e alle prospettive dell’industria russa della moda. I rappresentanti dei più importanti brand di retail, moda e pret-a-porte cercarono di individuare la futura direzione dello sviluppo di questo settore crescente, e il loro comportamento tattico nei confronti di esso. L’evento più importante per Mosca, come per una dei protagonisti del fashion internazionale, rimangono comunque le settimane della moda tenute due volte all’anno: a fine marzo e a fine ottobre. Una delle peculiarità ad oggi, con l’entrata nel 2003 di un nuovo fashion week organizator, è l’assistere a due eventi
nazionale. Tutti i processi si sviluppano e le nuove idee nascono nella capitale dalla quale poi alcuni riescono a sfuggire ed adattarsi nelle città di minore grandezza. La conclusione che ne deriva mostra che parlando della moda russa bisogna concentrarsi sull’ambiente della moda di Mosca. Perché Mosca? Nonostante lo sconfinato territorio della Russia il paese è rappresentato solamente da due grandi città: Mosca e San Pietroburgo. Di questi due è Mosca che appare sia come la capitale sia come il business center del paese in cui hanno possibilità di coesistere tutte le condizioni favorevoli per il consumo e lo sviluppo dell’industria della moda. La maggior parte delle risorse finanziarie è concentrata proprio in questa città, il che attrae le persone da tutto il paese trasformando la capitale in un micromondo abitato da 17 milioni di consumatori. Dopo il grande cambiamento negli anni ’90 i moscoviti per primi acquistarono la possibilità di visitare i paesi esteri. I più svegli e intraprendenti portarono dall’Europa le nuove idee e le adattarono alla mentalità imprenditoriale russa ed alle condizioni del mercato nazionale. Molti di questi pionieri concetrarono le loro attività sulla creazione del settore, al tempo inesistente e fresco, applicando l’esperienza assimilata dall’Europa. L’abbigliamento diventò un elemento di appartenenza e d’ingresso in ambienti per lo più esclusi ai molti. È a Mosca che iniziò il processo in cui fu cambiata la concezione vecchia della moda ed acquistò importanza
distinti in contemporanea per ogni settimana della moda. La prima ad apparire nello scenario russo fu l’attuale Volvo Fashion Week che ebbe inizio nel 1994. Questa data per la Russia può essere considerata il giorno della nascita della vera e propria industria della moda. Tale evento fu creato dall’Associazione di haute couture e pret-a-porter fondata poco prima con lo scopo di propaganda e di sviluppo della moda nazionale. Per i primi dieci anni venivano mostrati i modelli haute couture dei designer russi e delle case di moda chiave porvenienti dall’estero. Fino al 2003 la Volvo Fashion Week era orientata sull’esperienza delle settimane della moda di fama mondiale come Parigi, Londra, New York e Milano. Oggi Volvo Fashion Week si tiene in Gostinyi Dvor, uno dei più belli edifici storici di Mosca, e presenta le collezioni pret-a-porte e pret-a-porte de lux accrescendo la fama dei designer russi e stranieri più importanti e scoprendo ogni anno nuovi talenti, i quali Igor Chapurin, Andrei Sharov, Tatiana Parfenova, Daria Rasumichina, Olga Kameneva, Natasha Drigant, Sergei Efremov e molti altri. Più giovane risulta Mercedes-Benz Fashion Week Russia fondata nel 2003 con il sostegno del Ministero della cultura RF e dell’unione degli undustriali e degli imprenditori russi. Nel 2011 l’organizzazione firmò il contratto con il brand tedesco ottenendo il prefisso Mercedes-Benz che la mise accanto alle settimane della moda sponsorizzate dalla società automobilistica in New York, Berlino, Miami e Stoccolma.
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L’evento viene tenuto in Congress-hall centro del commercio internazionale, ed il suo simbolo diventò la sfilata di Vyacheslav Saizev che tradizionalmente apre la settimana della moda. La Mercedes- Benz Fashion Week Russia, secondo le parole degli esperti della fondazione culturale “Russian Siluet”, rappresenta il progresso di cui proprio oggi la Russia ha la maggior neccessità, perché il suo scopo principale è la promozione e l’aiuto ai giovani designer russi di essere visti, notati e conosciuti. Grazie a una stretta collaborazione tra la Mercedes-Benz Fashion Week Russia e “Russian Siluet” che premia i talenti, è diventato possibile ai nuovi designer di presentare le loro collezioni agli occhi ed ai giudizi dei professionisti. Vyacheslav Saizev 2 marzo 1938 “Sono obbligato alla proveggenza..” Vyacheslav Saizev rappresenta uno dei nomi più rilevanti della moda russa. Dopo essersi laureato e specializzato in pittura dei tessuti conobbe Pierre Cardin e Marc Boan nel 1956, il periodo in cui ebbe l’inizio il suo percorso da designer. Passati venti anni Saizev inizia a lavorare nel suo piccolo atelier trasformandolo nella casa della moda di Mosca. Acquistata la fama nazionale nel 1988 lo stilista viene chiamato a Parigi per partecipare alla settimana della moda. Era la prima volta che un pittore russo fu degno di poter presentare le sue collezioni nella capitale francese. In Russia Vyacheslav Saizev è considerato uno dei fondatori della moda nazionale che per anni ha contribuito allo sviluppo ed alla crescita dei nuovi talenti nella moda russa, alla creazione dell’immagine degli uomini di spettacolo e degli enti governativi. Il tema principale della sua attività creativo-artistica è la ricerca dell’armonia tra il contenuto e la forma; è la voglia di provare che l’uomo non è abile solamente a godere osservando la belezza ma è capace anche ad essere un modello di questo mondo magnifico. Valentin Yudashkin 14 Aprile 1963 La decisione di diventare il modellista gli venne già negli anni scolastici quando costruiva i suoi primi modelli e gli realizzava da qualsiasi materiale trovato sotto mano. Dopo aver preso il diploma per Yudashkin non esisteva nessuna perplessità su dove andare a studiare, nonostante l’opposizione dei genitori i quali non consideravano la professione del modellista un vero lavoro maschile. Con il conseguimento della laurea Yudashkin fu preso a lavorare nell’ufficio centrale di progettazione dei prodotti di largo consumo con la carica sia dello stilista, sia del modellista, sia dell’artista makeup. Alla fine degli anni ’80 Yudashkin ha accumulato molte idee non realizzate per il lavoro indipendente, e proprio in quel periodo della “ricostruzione” a Mosca apparsero i primi imprenditori. Col passare di pochi anni Yudashkin presentò la sua prima collezione a Mosca che rese il suo nome famoso in tutto il paese. Dopo quest’anno i couturier francesi hanno notato il giovane modellista e l’hanno invitato a Parigi. Il viaggio nella capitale francese ha fatto scoprire a Valentin Yudashkin la ricchezza e l’abbondanza dei tessuti che non poteva neanche sognare in Russia. Quel momento ha cambiato la sua concezione della moda, e nel 1991 insieme all’apertura della propria azienda “Valentin Yudashkin” egli ha realizzato la prima collezione haute couture “Fabergè”. In quell’anno la settimana della moda era tenuta nell’ambasciata russa a Parigi dove il giovane modellista ha potuto impressionare il pubblico internazionale ed il suo nome divenne famoso nel mondo. I.QUALITY • 136
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A creare la collezione pret-a-porter nel 1997 e ad ampliare la gamma di prodotti, gli permise la crescita dell’azienda che continua a svilupparsi fino ad oggi seguendo i temi dell’arte, della letteratura, della pittura, dell’architettura e del baletto russo consentendo di riconoscere in ogni sua collezione la trama della storia e della cultura russa. Dalla relazione Russian Trends Watch segue che la moda russa è vista all’estero come un settore molto promettente con un potenziale commerciale alto. “In molti paesi del mondo è abbastanza elevata la percentuale delle persone russofone che potrebbero diventare i consumatori chiave dei prodotti dei designer russi. Questo fattore mantiene alto il livello d’interesse verso questo settore da parte dei byer americani ed europei.” Infatti, la moda russa, avendo già messo le radici, continua a crescere, mostrando al pubblico ogni anno le nuove collezioni dei suoi più famosi designer come Vyacheslav Saizev e Valentin Yudashkin, e facendo apparire i nuovi talenti come Denis Simachev, Gosha Rubchinski, Aleksandr Terekchov, Kchelen Yarmak, Dasha Gauser, Masha Kravzova. La particolar attenzione è da porre ai lavori di alcuni designer che si sono presentati alla Mercedez-Benz Fashion Week Russia a fine marzo. Un’immagine forte e curiosa hanno prodotto i modelli di Borodulin’s, una giovane coppia, che quest’anno ha creato la collezione I.QUALITY • 138
“Olga”. La loro opera è ispirata alla principessa Olga che regnò in Russia nel decimo secolo e fu la prima nobile a diventare cristiana. Un cronista a lei contemporaneo ha espresso la visione popolare sulla giovane regina nella seguente maniera “Lei fu una profetica per la terra cristiana, come l’aurora prima del sole. Splendeva come la luna durante la notte. Splendeva tra i pagani come la perla nel fango”. Ogni capo di questa collezione infatti sembra di aver assorbito la vulnerabilità e la grande forza interna, la saggezza e l’integrità, il cuore coloroso e la fermezza della regina Olga, arricchendo con gli ornamenti bizantini e con i famosi disegni di Pavlopasad le forme tradizionali dell’epoca adattandoli all’attualita. Dopo anni di lavoro, sembra che proprio questa collezione sia la più sincera ed esprime in maniera più percettibile la personalità della giovane coppia dei designer, che da un po’ di tempo sta esperimentando con i temi della potenza femminile nella storia della Russia. La sensazione di un romanticismo più dolce e sfumato ha fornito la collezione “Vaniglia” di Diana Pavlovskaya il cui lavoro si è concentrato sulla combinazione delle stoffe dense con quelle più aggraziate e trasparenti. Si nota un leggero tocco dello stile rètro che ha aiutato a creare un’immagine delicata ma non troppo dolciastra. Oltre ad aver creato un’atmosfera lirica e sentimentale, si vede che il designer anche in questa collezione ha progredito nella creazione delle insolite combinazioni di pizzo, lastro, perle e ricami d’oro, applicandoli alle strutture degli abiti con delle proporzioni non conforme allo standard. I.QUALITY • 139
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Una collezione, degna di nota, fu mostrata alcuni mesi prima della settimana della moda a Mosca. È la “Boccetta” di Uliana Sergeyenko. Tutto l’evento era ispirato al cinema ed era sfondato sullo scenario di una storia immaginaria di quando Brigitte Bardot visitò l’Unione Sovietica. Con questa collezione il designer ha cercato di trasmettere l’unione tra il pudore/timidezza della giovane russa con la sensualità della celebre attrice. Il tema principale della collezione sono le siluet femminili con la vita ed i finachi sottolineati, la linea morbida della spalla e le maniche voluminosi. Le gonne di tanti strati, décolleté con il tacco a spillo, i cappelli di paglia ed i fazzoletti di velo di seta – tutti i dettagli che rispecchiano lo stile affermato di Uliana. La novità di questa collezione sono i body scultorei con le scollature profonde, le borse di paglia, di veluto e di perle, ed infine i gioielli elaborati con il brand Yana by Yana Raskovalova. Le collezioni di quest’anno affermano che col tempo sentiremo parlare sempre di più della Russia come della nuova moderna capitale della moda.
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DESIGN
FOo e linea INTERIOR3. La domotica sposa il design Di Arch. Giacomo Dolfi
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INTERIOR3 nasce per assecondare un’intuizione: fondere design e domotica. Se FOo è sostanzialmente un “vestito” per una serie di gadget ad alta tecnologia gli altri mobili sono invece complementi d’arredo (comodino, tavolo da fumo ecc.) equipaggiati con sistemi ad alta tecnologia che sono parte integrante del design. L’intero progetto, che ha suscitato l’interesse del CNR di Pisa, coinvolge oltre chi scrive anche: Domota/Konnecta (Ing. Romano Giovannini/Milano) ed Evidence (Ing. Paolo Gai + Ing. Ida Savino/Pisa) che si occupano delle componenti elettroniche; Giuntoli Carlo Arredamenti che ha realizzato il “case” del prototipo. A cui bisogna aggiungere: DG tecnologie (David Bartoli /Pontedera) per i led, Sileno Cheloni (che si occuperà delle essenze), Alessandro Mariani (modellazione 3D e rendering), Cosmo 3 (di Agliana) ed, ovviamente, i miei colleghi (in rigoroso ordine alfabetico): Arch. Roberto Bruni, Arch. Vittoria Cioni, Designer Francesca Donapai, Designer Allessandra Magrini, Arch. Rosalba Tommei. Linea INTERIOR3 La nuova linea di “arredi domotici” INTERIOR3 è stata concepita per esplorare le possibilità offerte dalle nuove tecnologie digitali nell’ambito dell’arredo domestico. Gli “arredi domotici” possono essere ATTIVI (cioè capaci di interagire con l’utente) e PASSIVI (in questo caso eseguono solo quelle funzioni, generalmente di output, per le quali sono stati predisposti). Tutti gli “arredi domotici” proposti possono essere sia ATTIVI che PASSIVI tuttavia alcune tipologie si prestano meglio di altre ad un uso interattivo per questo motivo alcuni oggetti vengono proposte sia in versione ATTIVA che in versione PASSIVA mentre altre vengono messe a catalogo solo in versione PASSIVA lasciando comunque la possibilità di personalizzarle a renderle ATTIVE al momento dell’ordine. Il nome INTERIOR3 è stato scelto per sottolineare il fatto che l’utilizzo di tecnologia informatica aggiunge una” terza dimensione” al binomio “design e materiali” tradizionalmente impiegato come criterio di valutazione di un prodotto d’arredo. Il suffisso HI- utilizzato per la maggior parte dei nomi altro non è che l’abbreviazione di HIgh tech ed ha il pregio di “suonare” come “I-” senza limitarsi a copiare quello che ormai è da considerarsi uno slogan APPLE. HI-DESK Pensate ad un comodino che, utilizzando pannelli LED / Plasma / LCD, al posto dei materiali tradizionali dà all’utente la possibilità di cambiarne il look “caricandovi” immagini (o filmati) scelti a piacere (si può impostare il comodino perché mostri unas “texture2 eguale a quella del lenzuolo piuttosto che la foto dei propri cari od il video di un fiume che scorre magari accompagnato da effetti sonori ed olfattivi) oppure utilizzare lo schermo superiore, a tecnologia touch, come orologio, sveglia, radio, lettore mp3 ed addirittura fonte luminosa. HI-TABLE Adesso provate ad immaginare un tavolo da fumo “touch” che può gestire la domotica di casa, scaricare le foto della vostra macchina digitale o del vostro smartphone oppure divenire una sorta di mega telecomando per il vostro sistema di home theatre od ancora un tavolo sul quale “caricare” giochi come la dama, gli scacchi od anche la versione digitale dei più noti giochi da tavolo. I.QUALITY • 146
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HI-DOOR Un’altra applicazione interessante è la porta interattiva si tratta di una porta rivestita su un lato (o anche su entrambi il lati) con uno schermo LED / LCD / Plasma che può essere anche touch. Questa porta può “reagire” all’avvicinarsi dell’utente, magari riconoscerlo (se la porta è equipaggiata con l’apposito modulo) ed interagire con lo stesso. Come per il comodino ed il cassetto si possono caricare immagini e video, ed inoltre si può programmare la porta per dialogare con il sistema domotico della casa, oppure simulare uno specchio o generare una luce d’arredo. HI-LAMP Con il lampadario HI-LAMP La tecnolgia digitale compie un’incursione nel mondo del’illuminotecnica. HI-LAMP è un lampadario ad anello con i corpi illuimanti a Led posti nella “fascia interna” realizzata in vetro satinato (o metacrilato) e fin qui non c’è niente di nuovo ma la novità consiste nell’ utilizzo di monitor “oled” curvi (o lineari nella versione “Square”) per la fascia esterna. Come accade per altri prodotti della linea INTERIOR33 anche il lampadario HI-LAMP può interagire con gli utenti, cambiare il look “tramite immagini, filmati o texture impostati dall’utente od ancora generare un effetto “luce stroboscopica” o, più semplicemente generare una luce (bianca o colorata) per integrare quella prodotta dalle stripled. MAELSTORM La tecnologia sembra sconfinare nella magia con il tavolo olografico Maelstorm. Il piano del tavolo, in corian, sembra venir risucchiato dal “vortice” cavo che costituisce l’unico elemento di sostegno del tavolo. La superficie del tavolo, che si increspa nella vicinanze del vortice, dispone di due aree touch (identificate da led a luce azzurra posti sotto il pannello in corian) che permettono di acceder ad alcuni comandi (compresa una tastiera “virtuale”. Un sistema di telecamere e sensori posti sul bordo del vortice permetteranno di intereagire con le imagini olografiche proiettatte del centro del vortice. Il sistema “FOo” completa, per adesso, la linea INTERIOR3 FOo non è solo uno specchio ma piuttosto un pannello di controllo per la gestione domotica della casa e può essere equipaggiato con rilevatori biometrici (capaci di eseguire una serie di semplici analisi mediche) e con sensori di posizione (WINA Locators) e Tag (WINA Tag) che vi consentono di rilevare la posizione qi qualsiasi oggetto (precedentemente taggato) mostrandone la posizione su una planimetria direttamente sullo schermo. Dal punto di vista stilistico “Foo” fedele al suo nome, si presenta con una cornice circolare , che può essere realizzata in legno / Corian / metallo o plastica, posta intorno ad uno specchio (anch’esso circolare) che può essere complanare alla cornice stessa o “distaccarsene” mediante una speciale cerniera. Lo specchio, inclusa la cornice, può essere inserito dentro cover intecambiabili (realizzate su specifica richiesta del commitente in legno / Corian / metallo o plastica). Saranno inoltre disponibili delle cover in tessuto che potranno essere collocate sia sella cornice che sulle cover rigide precedentemente citate. Oblò (e le cover rigide) può essere installato a parete, su piantana oppure può essere appeso al soffitto. I.QUALITY • 148
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Attualmente è allo studio una linea “contract” basata sul medesimo concept della linea INTERIOR3 oltre ad altri complementi d’arredo pensati per ampliare la gamma di prodotti destinata al mercato “home” ( un cassetto-mensola capace di caratterizzare un salotto attraverso immagini in movimento che appaiono sui 3 display verticali mentre il vetro retroilluminato posto sul lato superiore genera una luce d’arredo evidenziando al contempo gli oggetti posti sopra il cassetto). Foo FOo, grazie alla flessibilità della tecnologia digitale ed alla possibilità di avere diverse “cover” in diversi materiali, può essere utilizzato nelle reception degli hotel, nella SPA (per cromoterapia, aromaterapia ecc), negozi ed abitazioni private. FOo è un dispositivo hi-tech che si cela dietro le apparenze di uno specchio. Si tratta di un sistema domotico e scalabile, che consente di gestire numerosi parametri relativi all’ambiente in cui si trova (applicabile in abitazioni, negozi, hotel, spa, etc.… ) e di interagire con gli utenti. La tecnologia digitale è “agile e flessibile”, e permette di dotare un singolo dispositivo di molteplici funzioni (vedi relazione tecnica allegata) fra le quali citiamo: gestione domotica degli ambienti, ricerca di oggetti smarriti (se equipaggiati con appositi sensori acquistabili separatamente), analisi mediche di base (temperatura
corporea,etc. …), sistema di allarme, hot-spot wi-fi e diffusore di essenze. L’idea di partenza è quella di rendere configurabile e personalizzabile anche l’involucro esterno, mentre dal punto di vista stilistico il concetto base del progetto FOo è un oblò: una forma semplice ed essenziale, che però, grazie alla varie tipologie di cover ed alle numerose possibilità di configurazione di hardware e software, può dar vita ad un progetto molto articolato. FOo nella configurazione base è composto da una cornice (dim. Diametro esterno cm63 – diametro interno cm49) e da uno specchio (dim. diametro 47 cm, che nasconde un monitor lcd touch). Il design, decisamente lineare, è impreziosito da due accorgimenti: una cerniera, posta sul retro del monitor nella parte bassa, consente di inclinare lo specchio rispetto alla cornice, conferendo dinamismo all’insieme; alcuni LED RGB ubicati all’interno della cornice creano un alone di luce che sembra uscire da dietro lo specchio.
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Vi è inoltre la possibilità di inserire l’elemento base (specchio/monitor e cornice) in apposite cover. FOo inserito nella cover come illustrata nei render (cover denominata STONE) crea la configurazione FOo in the Stone. FOo in the Stone può essere a sua volta sia agganciato al muro che appeso al soffitto, e quest’ultima versione è realizzabile tramite cavi metallici, corde da nave o invisibili fili in nylon misti a fibre ottiche, ; questa soluzione è particolarmente suggestiva perché di giorno sembrerà che FOo in the stone. fluttui nell’aria, mentre di notte apparirà come sorretto da sottili raggi di luce azzurra. Sia la cornice base che le cover sono in legno, ma su richiesta possono essere realizzate in corian , in metallo (anche con effetto “acciaio corten”), con materie plastiche od in vetroresina, inoltre possono essere rivestite con tessuti pregiati (rimovibili) incrementando così ulteriormente le possibilità di personalizzazione del prodotto. Allo stato attuale, oltre alla cover riportata nei render, disponiamo di una soluzione alternativa in fase di ingegnerizzazione e sono allo studio anche altre cover ed una cornice base studiata per specchi/monitor rettangolari.
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Insieme agli Architetti Roberto Bruni e Vittoria Cioni ha fondato lo studio ARK • LIGHT, inoltre assieme a questi e ad ad altri professionisti (Architetti, Designer, Ingegneri, esperti di domotica e di illuminazione e tecnici ambientali ) ha costituito un team multidisciplinare con il quale partecipare a bandi di gara e concorsi di idee oltre a fare ricerca e sviluppare prgettti innivativi Recentemente ha avviato contatti con gallerie d’arte ed artisti di livello internazionalei Lo studio ARK • LIGHT si occupa di progetti che vanno dall’arredamento d’interni sino ad interventi a scala urbana ed è composto dagli architetti Roberto Bruni, Vittoria Cioni, Giacomo Dolfi (tutti laureati alla Facoltà di Architettura di Firenze) e dalle loro collaboratrici le Designer Francesca Donapai ed Alessandra Magrini e l’Arch. Rosalba Tommei. Nei loro progetti cercano di coniugare ricerca estetica (irrinunciabile), tecnologia e sostenibilità ambientale. Attualmente stanno seguendo il progetto di un edificio espositivo, caratterizzato da un aspetto decisamente innovativo; di un polo turistico, composto da un albergo con SPA e Piscine termali, di un complesso ediliziocomprendente appartamenti ed un centro commerciale, progetto per frantoio ecologico, in linea con le tendenze della “Land-Art”. Attualmento sono in fase di completamento i lavori per la realizzazione della nuova sede della Pubblica assistenza Monsummanese. Il progetto è stato pubblicato sul numero di maggio del mensile ARCHITETTI, sulla rivista COSTRUIRE e su PROGETTARE.
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ARCHITETTURA
La Grande Motte Di Lamberto Cantoni
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ARTE
Michelangelo Antonioni, 100 anni d’arte Di Gilberto Mora
“totem” 100x150 acrilico su tela
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Michelangelo Antonioni, 100 anni di cinema, cultura e vita vissuta Un grande artista non muore mai. Rimangono le sue opere e il ricordo dei suoi estimatori e dei suoi cari. Avrebbe svoltato il secolo il 29 settembre e eravamo convinti che ci sarebbe arrivato. Lo si considerava quasi invincibile… dal tempo e dalla sua malattia. Una notte ha deciso che voleva riposare definitivamente e ci ha lasciati con lievità. Michelangelo ha segnato come pochi altri la storia del cinema italiano e a livello internazionale è considerato un maestro assoluto. Speriamo che anche il nostro paese lo sappia celebrare adeguatamente e sia orgoglioso di aver dato i natali a questo “cittadino del mondo” che ci ha raccontato la vita di relazione, ha testimoniato la rivoluzione sia della swingin’ London di “Blow up” che della lontana, ma così vicina, California di “Zabriskie Point” e della Cina del 1972 raccontata in “Chung Kuo”. Ma Michelangelo Antonioni è stato anche un grande innovatore delle tecniche di ripresa con l’uso della telecamera a giroscopio per la sequenza finale di “Professione Reporter” e con il “Mistero di Oberwald” un film interamente girato in elettronica nel 1980. Sempre curioso e assetato di novità ha realizzato il primo videoclip in Italia con Gianna Nannini. Ho citato solo alcuni meriti specifici e alcune straordinarie opere d’arte a cui, personalmente, aggiungerei una struggente piccola grande opera “Lo sguardo di Michelangelo” che analizza nel profondo il Mosè di Michelangelo Buonarroti, realizzata solo qualche anno fa. Di seguito una bella e sincera conversazione con la moglie Enrica Antonioni, un’intervista parigina con il regista e alcune immagini dei suoi quadri che hanno riempito di luce i suoi ultimi anni. È un modo per dirti: buon compleanno Maestro.
“emme” 80x100 acrilico su tela “coup de foudre” 100x150 acrilico su tela
CONVERSAZIONE CON ENRICA ANTONIONI Incontro Enrica Antonioni nella sua bella casa sulla collina Fleming a Roma. La casa nella quale tante volte l’ho incontrata con Michelangelo. La trovo molto serena e con una leggera abbronzatura da un recente viaggio nel Salento. La casa è piena di Michelangelo. I suoi quadri spuntano un po’ da tutte le parti, nella sua camera da letto, sotto le grandi finestre, riempiono il soppalco. Sono qui con Raimonda Bongiovanni, la curatrice della mostra che si farà a Bologna incentrata sui piccoli quadri del maestro che ora, come straordinari schizzi di luce, sono sparsi sui tappeti e sui divani. Che meraviglia! La nostra amica Stella, cuoca per l’occasione, ci ha appena preparato delle alici in agrodolce con una grande misticanza. Assaggiamo un paio di cioccolatini e una grappa che si spruzza in bocca come se fosse uno spray. Cominciamo la nostra intervista…. Dopo 36 anni di vita con Michelangelo quali sono gli aspetti della vostra vita comune che ti hanno profondamente cambiato e che adesso ti danno forza e fanno parte di te? Sono tantissime le cose che mi hanno fatto cambiare. Ti dirò di più. Addirittura mi hanno snaturato e ne sono contenta. Michelangelo mi ha fatto cambiare quel carattere ligure molto chiuso. Michelangelo me l’ha fatto addirittura buttare via. Molti liguri quando incontrano un uomo famoso fanno finta di non conoscerlo. Io, ormai, gli vado incontro e lo omaggio. E anche gli eventi della vita non li sfuggo ma gli vado incontro. Certo anche Michelangelo era all’inizio molto restio come lo possono essere i ferraresi ma il grande lavoro di crescita di una coppia è proprio quello di smussare le spigolosità dovute probabilmente a eccessi di signorilità e ad un certo aristocratico distacco che ci connotava.
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Anche in questa sua pazzesca esperienza di malattia con il grande handicap di non potersi esprimere a parole è riuscito a capire l’importanza di cogliere l’occasione di aprirsi e confontarsi con l’altro. Togliere spigolosità sia di carattere che di atteggiamento e aprirsi al mondo? Certo. Anche perché in Michelangelo c’era un grande snobismo dovuto ad una fortissima educazione borghese e provinciale dalla quale col tempo si è completamente sfilato. Il fatto di vivere così tanto tempo gli ha dato possibilità di essere al di sopra di tutto questo. Mi sembra di capire che esista un certa dicotomia tra il Michelangelo celebrato e qualche volta imbalsamato dai critici come l’uomo che racconta l’incomunicabilità e l’uomo che stava facendo un percorso di conoscenza…. Se ne fregava totalmente delle celebrazioni, gli davano molto fastidio soprattutto perché lo facevamo sentire anziano mentre lui si sentiva giovanissimo. Andava in bicicletta e giocava a ping ping con i miei amici giovani e vinceva sempre lui. È stato un uomo giovane fino a 94 anni! Ricordo quando gli hanno dato il Leone alla carriera a Venezia che mi diceva “ma come, me lo danno così presto”. Non voleva ancora parlare di carriera anche se aveva già più di settant’anni. Gli piaceva molto invece poter vedere l’ammirazione del suo pubblico verso la sua opera. Era un momento felice in cui lui stesso si riscopriva e si apprezzava. Tu come ti sei confrontata con gli aspetti più eclatanti del lavoro di Michelangelo, il linguaggio cinematografico e quello pittorico? Io ero terrorizzata dal cinema. L’ho sempre rifiutato perché il cinema è un’arte molto violenta. Devi usare una tale energia e una tale carattere per dirigere un film, e Michelangelo ne aveva uno molto forte. Devi urlare, lottare e mandare a quel paese un sacco di gente per ottenere quello che vuoi. Mi ha trattato malissimo come suo aiuto e collaboratrice perché non poteva perdere tempo a spiegare le cose. Dovevo fare esattamente quello che lui voleva e basta. Il cinema è un’arte che tu non puoi fare da solo. Giorgio Morandi diceva che l’artista è colui che sa stare da solo in una stanza. Io vengo da Brera e l’arte, pittura e scultura, sono la mia materia. Quella che poi mi ha fatto tener testa a Michelangelo. Quando l’ho incontrato ero forte di quell’esperienza, ero salda nelle mie convinzioni. Ecco perchè in tutte le occasioni in cui Michelangelo si è accostato alla pittura io gli sono stata vicina. Del cinema invece ho sempre avuto paura anche se mi ha insegnato tutto. Mi ha insegnato cos’è il demonio nella vita.
Enrica Antonioni fotografata da Pietro De Filippi
Nella pittura quindi tu e Michelangelo vi siete “riuniti” nella sensazione di compiere un ‘opera insieme.. Senz’altro ma anche nel cinema. Siamo stati molto uniti perché in questa lotta Michelangelo aveva bisogno di complici. Ma per quanto riguarda il linguaggio pittorico? Totalmente. Io lo lego anche alle nostre case, la casa in Sardegna, quella in Umbria ma anche qui a Roma dove c’è una luce perfetta. L’ho invitato sempre a dipingere perché lui era felice quando lo faceva. Soprattutto le ultime opere che sono astratte sono totalmente libere, forma e colore. I.QUALITY • 171
“festival del cinema” 90x120 acrilico su tela
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“Tiffany” 30x25 acrilico su cartoncino
Che sono il suo elemento, la luce. Michelangelo si è espresso con la luce. Era totalmente felice e non aveva bisogno di nessuno salvo un’assistente che gli stendeva il colore perché lui non ce la faceva per il problema alla mano destra. Le idee gli venivano liberamente e le poteva realizzare subito senza aspettare un anno o più come capitava per il cinema. Penso per eccesso all’idea dell’ultima sequenza di “Professione Reporter” che Michelangelo aveva avuto almeno cinque anni prima di poterla realizzare. Per tornare ai tuoi anni con Michelangelo volevo farti ricordare alcune foto che ho riguardato qualche giorno fa. Una in Uzbekistan, forse nel ’74, dove ci sei tu giovanissima insieme a Michelangelo, Tonino Guerra e Carlo Di Carlo. Che sensazioni ti fa venire i mente? L’assoluta magia. Eravamo lì per preparare un film tratto dall’Aquilone di Tonino. Erano paesi magici, incontravi un vecchio vestito con questi cappotti a righe verdi, d’oro, d’argento, viola, col colbacco di pelo e con centodieci nipoti. Uno di questi cappotti è ancora di là nell’armadio. Michelangelo e Tonino cercavano la fantasia più folle per fare una favola. Il rapporto tra i due era fantastico perché erano all’opposto, erano come due gemelli. Uno era la poesia e l’altro la visione. La seconda foto per accendere alcuni ricordi è la serata di gala per “Eros” al Festival del Cinema di Venezia con te accucciata vicino a Michelangelo. Tu radiosa e Michelangelo felice che guardava te e il pubblico che stava riempiendo la Sala Grande. Stare con Michelangelo, soprattutto negli ultimi tempi, era sempre una festa. Soprattutto perché tutti gli offrivano il meglio. Ma tutta la sua vita con me è stata straordinaria, piena, convulsa, stratificata. Nel bene e nel male. Michelangelo era il miglior uomo padre, perché ho scelto un maestro che mi potesse condurre. Averlo di fronte agli occhi così bello, così elegante e così giovane fino alla fine è stato per me fantastico. Così come mi è piaciuto Michelangelo non mi è mai piaciuto nessuno. Neanche il più grande attore. Inoltre era totalmente inafferrabile… e totalmente imprevedibile, fuori da ogni schema.
Michelangelo Antonioni fotografato da Piero Marsili Libelli
Io sono così perché sono stata con lui per quasi 40 anni. DIECI DOMANDE A MICHELANGELO ANTONIONI Trascrizione della Conferenza stampa in occasione della presentazione di “Cronaca di un amore” a Parigi il 27 marzo 1985 “Cronaca di un amore”, il tuo primo film è una storia d’amore in cui le singole personalità sono confuse l’una nell’altra, fuse dal racconto d’amore. In “Identificazione di una donna”, c’è la storia di tre singole identità forse inconciliabili, prese da una ricerca solitaria, oltre a una tua personale ricerca di definizione di comportamenti diversi. Non è più una storia d’amore. Non ti identifichi più con l’amante, ma con l’artista. Varrebbe forse la pena di discutere di questo tipo di domanda, che mi porta a scomporre due dei miei film ( il primo e l’ultimo) in tanti pezzi ciascuno dei quali ha una facciata diversa: sociologica, critica, psicoanalitica, filosofica ecc. È una cosa che non faccio mai, che non so fare. La mia risposta, ammesso che la tua sia una domanda e non piuttosto una considerazione, è molto più semplice. Io non mi identifico mai con i miei film. I.QUALITY • 174
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Li vivo emotivamente ma sempre osservandoli con quel distacco che l’operazione del “narrare” comporta. Hai mai dei rimpianti per come si vivevano prima le storie d’amore? Secondo te questi sono tempi difficili per l’amore? I nostri sono tempi difficili per tutto. Non ho rimpianti per le storie d’amore di vecchio stampo. La “passione” ottocentesca oggi fa sorridere. È vero che si ammazza ancora per amore, ma sono sicuro che se andassimo ad approfondire i fatti di questo tipo troveremmo molte altre componenti, oltre l’amore, per esempio tra le difficoltà che una coppia incontra a sposarsi non c’è dubbio che ci sia anche quella di trovare casa. In certi momenti mi sembra che identifichi la donna attraverso l’incomprensibile, un comportamento indecifrabile dall’uomo, un’identificazione dunque che è anche un addio alla donna come se fosse una cosa del passato ?
Un momento, io non identifico nessuna donna nel film. Nel film c’è un personaggio che cerca di identificarne un altro. Non bisogna dimenticare che il protagonista è un regista cinematografico che vuole fare un film centrato su una figura femminile. Come sempre succede, non ce l’ha chiara in testa, questa figura, e quindi confonde i modelli con il prototipo. Mi spiego meglio: le donne che incontra nella vita con quelle che incontra nella sua immaginazione. Le due donne appartengono a due diverse classi sociali. Pensi che la posizione sociale influisca sul comportamento di una donna rispetto all’uomo? E come potrebbe non influire? Credi che l’educazione che riceviamo e l’ambiente in cui cresciamo non condizionino la nostra psicologia, la nostra mentalità? Il nostro comportamento non è qualcosa di esterno a noi. Ma queste sono tutte cose a cui non penso mai. Ciò che io dico sul terreno teorico non ha alcuna pretesa di essere oro colato. Specialmente quando l’argomento è l’amore. Io non sono né Stendhal, né Ortega y Gasset. Una volta mi hai detto: “Una donna è un filtro più sottile della realtà”. E un’altra volta: “Una donna ha due vite o due epoche nella vita” (una legata all’amore al sesso-riproduzione e quindi intima, personale e una sociale, legata forse all’attività, al lavoro, al mondo esterno) Pensi che sia un vantaggio? È sempre stato così per la donna o lo vedi ora in modo particolare? E per l’uomo è uno svantaggio, un problema? Penso che la donna sia portata ad avere, di quanto avviene attorno a lei, una percezione più profonda di quella dell’uomo. Forse ciò è dovuto al fatto (ma potrei dire anche una sciocchezza) che è abituata a ricevere. Così come accoglie l’uomo dentro di sé e il suo piacere consiste appunto in questo ricevere, si dispone anche naturalmente ad accogliere la realtà oserei dire nella stessa posizione che è assolutamente femminile. Ed ha, più dell’uomo, maggiori possibilità di trovare soluzioni adeguate al caso. Non mi sembra che per l’uomo questo sia uno svantaggio. Al contrario. Molto spesso ci conta. Che cosa pensi di una donna artista? Pensi che una donna potrebbe descrivere: “identificare un uomo” come tu fai, lo vorrebbe fare? Virginia Woolf l’ha fatto. Simone de Beauvoir anche.
“con Michelangelo” 100x72 acrilico su cartoncino
Non si può pretendere che u uomo decifri sempre e completamente i comportamenti delle donne con le quali ha a che fare. Andiamo per un momento a vedere che cosa succede nel proletariato. Il proletariato italiano è notoriamente incolto e scarsamente educato. Le sue reazioni sono dunque istintive. Non penso che si ponga mai il problema di decifrare i meccanismi e tanto meno la psicologia di un rapporto, quindi i comportamenti di chi fa parte del suo ambito sociale e privato. Un proletario le vive, le sue storie, soprattutto quelle amorose. Nessun addio alla donna, dunque intesa nel senso ortodosso. La donna e il suo rapporto con l’uomo sono sempre stati l’argomento basilare della letteratura mondiale, da quando è nata. E continuerà così, a mio parere, anche quando la gente sarà andata a vivere su altri pianeti. Nei film ci sono due donne. Come mai hai sentito il bisogno di identificare una donna attraverso due personaggi femminili? Che cosa c’è di diverso tra loro, e che cosa c’è di uguale, di comune nel loro comportamento di donne? I.QUALITY • 176
Pensi che una donna sia più legata all’autobiografia nell’espressione artistica, più portata a guardare dentro di sé che non un uomo? Non credo a questo tipo di distinzioni. Chi è portato ad esprimersi attraverso l’autobiografia non ubbidisce a spinte fisiologiche. Voglio dire il sesso non c’entra. Ubbidisce a un bisogno di sincerità, nel migliore dei casi, o di esibizionismo o di masochismo, o di pettegolezzo, nel peggiore dei casi. Identificazione di una donna non è un film autobiografico. I fatti che racconto non sono accaduti a me. Ma tutti abbiamo avuto e abbiamo le nostre storia, d’amore o no, quindi semmai è l’esperienza acquisita nel corso di queste vicende che abbiamo in comune. Tra me e quel personaggio abbiamo in comune il bisogno di farci un film. E poi io non credo nell’autobiografia. Nel senso che non credo alla sincerità di un journal intime. È sempre una scelta che l’autore fa, e ad avere il sopravvento è sempre il materiale utile a dare di sé una certa immagine. I.QUALITY • 177
Quello spurio viene lasciato istintivamente, o deliberatamente, da parte. E invece la vita è fatta dell’un materiale e dell’altro fusi insieme. Anche se Gide fa di tutto per apparire spietato verso sé stesso, nell’Immoraliste, io credo che il senso di rimorso che dal libro emana sia puramente letterario.
“campo di grano” 100x70 acrilico su cartoncino
Si è detto che i tuoi film sono sempre documentari. Pensi che una fusione di questi due generi di cinema sia dunque possibile, auspicabile? Pensi che nel cinema si debba riflettere la realtà contemporanea? Tutti i film a soggetto sono anche, più i meno, documentari. Diciamo che ci pensa la macchina da presa a documentare, quando il film è contemporaneo. Nel caso del film storico viene effettuata una maggiore violenza sulla realtà, ma questo è legittimo in qualsiasi operazione di carattere creativo. Una volta mi hai chiesto: “È troppo sentimentale mettere la macchina da presa solo e sempre nel punto dove siamo noi?”. Cosa risponderesti tu ora? Non hai forse messo la macchina da presa questa volta proprio dove sei tu? L’ho messa accanto a me, come sempre. Io dormirei, con la macchina da presa a fianco. Per documentare ciò che avviene mentre sono assente, nel sonno. E anche cosa succede a me. Perché no?
Vedere per noi registi è una necessità. Anche per un pittore il problema è vedere. Ma mentre per un pittore si tratta di scoprire una realtà statica, o anche un ritmo, ma un ritmo che si è fermato nel segno, per il regista il problema è cogliere la realtà che si matura e si consuma, è proporre questo movimento, questo arrivare e proseguire, come una nuova percezione. Michelangelo Antonioni 1963 Amo innanzitutto Piero della Francesca. Sebbene tratti temi religiosi, lo fa con un distacco tale, con una lucidità così misteriosa che lo si può amare pur non essendo sensibili ai soggetti dei suoi quadri. Altri pittori? È sempre difficile fare un elenco, implica un giudizio….. Direi Paolo Uccello, Kandinskij, Pollock, Malevich, Morandi. E, naturalmente, Picasso. Cito dei nomi a caso. Per esempio, ho una profonda ammirazione per Velàzquez che mi sembra sia ancora sottovalutato. Un altro grande pittore del passato troppo poco conosciuto è Cosmè Tura, il più originale artista della scuola ferrarese. Tra i minori c’è Benozzo Bozzoli: guardo sempre con piacere i suoi dipinti, ha delle tonalità così inusuali, dei rosa, dei turchesi così particolari e poi mi piace anche il suo modo di comporre i quadri. Tra i pittori italiani contemporanei direi Schifano. Michelangelo Antonioni 1985 Un pittore, davanti ad un paesaggio che intende dipingere su una tela, credo capisca, nel momento in cui si accinge a dipingere, il colore giusto, il colore che gli serve. Nel cinema non è possibile. Tutto deve essere previsto sin nei minimi dettagli se si vuole intervenire sulla realtà, se si vuole che quella realtà che abbiamo davanti agli occhi venga trasfigurata secondo le esigenze di quella scena che si deve girare. Ed è uno sforzo terribile prevedere il colore in anticipo, anche perché avviene spesse che nel momento in cui si gira, la luce cambia e di conseguenza dovrebbe cambiare anche il colore da usare. E ciò non è possibile. Michelangelo Antonioni I.QUALITY • 178
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Olimpia Biasi Vulcani, inferi e muse
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Sette pensieri per Olimpia Biasi di Marco Goldin Difficile trovare un canto così lungo e disteso, fedele, com’è quello di Olimpia Biasi dedicato al colore. Un canto che si è espresso in diversi modi nel corso degli anni, ma che ha fatto dell’intensità dell’emozione la sua regola. Fossero dapprima certe visioni sudamericane, o di mercati sonori, pieni di ronzii e intermittenze della luce; o i primi paesaggi del Sile, i primi ritratti, i paesaggi di Stromboli e le scene di luna-park, niente ha mai contravvenuto a questa scansioue segreta, al dilatarsi come in un fuoco lungamente tenuto acceso. Da quel quadro molto bello che è il Parque Central, del 1984, il colore non solo si imprime, ma gronda come una interminabile colata incandescente. È il colore che costruisce il quadro, ne indica le zone di forza, i suoi stringimenti d’emozione, la partitura degli spazi, la loro invincibile concatenazione. In esso sta la scoperta che questa pittura fa della luce; ed è una luce ora secca e tonante, ora umida e grassa, appena oleosa, ma sempre una luce che si deposita, fa corpo con la materia, la rende viva e vera. Questa luce che non riflette ma è la potenza immaginata della descrizione, mai dedicata al reale ma alla sua trasformazione in succhi, energie, intransigenze del tempo così contenute. Si scosta una tenda e si vede questo rifluire maestoso del colore, il suo gorgogliare, emettere suoni, scansare i silenzi. Si manifesta così lo stravolgimento della realtà, la sua mascheratura, o schermatura. La pittura di Olimpia Biasi non è mai neutra, ma sempre proviene da una sacca profonda, ed è l’idea della vita comunque, della concentrazione più serrata prima di una dispersione. Solo attraverso il colore; come una lingua, una parola che non si può non dire. Come una necessità del cuore, un’imposizione dolcissima. C’è un grande quadro del 1988, La porta sull’Eden, che a me è sempre piaciuto molto, da collocare all’inizio di quel bellissimo capitolo dedicato ai paesaggi del Sile, il fiume che attraversa Treviso lasciando la città in grandi anse placate e verdi. Lì, su una di quelle anse, ha studio Olimpia Biasi. Da dieci anni il luogo privilegiato del suo osservare; prima solo la porta-finestra - oscurata dal buio ai suoi lati - verso il piccolo giardino. Poi un guardare più disteso, a comprendere un orizzonte all’inizio solo segnato, appena segnato; quindi la comparsa del fiume, come un’energia nuova diventata tutta natura. Sono alcuni quadri di interni-esterni che segnalano un punto importante di crescita. Una nuova idea dello spazio, che, senza essere costretto entro più invadenti misure, lascia convivere la felicità del colore quasi bonnardiano con il clamore di una doppia visibilità: il luogo di una sospensione e quello di un accadimento, così che la pittura appare divaricata, descritta su un doppio registro: stare e affondare. Ma proprio nel momento in cui dipinge quadri sempre invasi dalla luce allarmata del fiume, realizza anche - ed è il 1989 - alcune opere che pongo ai culmini di tutto il suo lavoro. Opere non diverse per materia, nelle quali l’intenzione del linguaggio non cambia, mentre muta l’intonazione, viene un silenzio che prima non era. Quadri pieni di fascino, a descrivere la Sera, una Neve di periferia. Dove pare si possa placare quell’urlo continuo di colore. Il registro si abbassa, vengono 1e luci plumbee, cineree, che non hanno nulla di luttuoso, ma sono la sostanza di una nostalgia, il paesaggio intravisto nella deformazione dell’ora serale, nell’improvviso biancore di una giornata invernale. Sono episodi del colore diversi, pronti a tacere, a darsi come un’assenza, a creare vuoti anziché percorsi, l’illimite anziché il limite. È come una terra impastata, concimata dalla notte che viene; un’aria ferma, quando il vento ha smesso appena di soffiare. Una natura che si dà adesso per impronte, e mai per masse cromatiche. I.QUALITY • 182
Olimpia Biasi
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Come graffiature del buio, segni tracciati alla deriva, incrostazioni fiorite, assieparsi dell’ombra. Hanno questi quadri un tono più sacro, di minore manifestazione dell’essere, di una sua scoperta sotto il bianco immenso sulla riva del fiume. Del 1986 sono i primi ritratti, che stanno all’interno dell’opera come un segno distintivo, e sono quasi la trasformazione della natura effervescente in occhi cancellati, bocche aperte, volti comunque preda del giorno pieno, della luce abbagliante; o della notte al suo culmine. Ritratti come una pienezza, una distorsione del pensiero, l’intensità del racconto. Eppure, queste sono persone sottratte al fluire dei giorni, sottratte al loro tempo; collocate in una terra di nessuno, nell’aggrovigliarsi dello spazio misterioso. Sono invece i disegni una cosa diversa. Anche quando Olimpia Biasi allinea figure sul grande foglio, lo spazio non è più cosa lontana. Nei disegni racconta, numera i giorni, offrendoci coordinate per non cadere in trappola. Qui è il piacere fortissimo di raccontare delle storie. Disegni che sono un altro dei suoi apici, intermittenti di luci attonite, sparenti, come per un’eccessiva cecità. I.QUALITY • 186
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Il suo guardare è adesso come una folgorazione, un alone luminoso attorno a chi si muove in un luogo ristretto, occultato da ogni lato. E sono poi storie famigliari, di una memoria che ritorna precisa, inarrivabile, da poter solo essere trascritta in immagine. E il segno usato come una confessione mai cruda, invece appena malinconica, dove capisci che il tempo è passato, che dietro quelle storie ci sono fotografie stinte, ingiallite. E dove, d’altronde, si manifesta quella bella modernità dello stile che è cosa rara nel disegno di oggi. Come una sovrapposizione, un’incandescente, tesissima rilevanza che non è più pittura, ma stravolgimento dell’emozione. Così questi disegni sanno essere essenziali, violenti e poetici, devoti alla realtà ma anche lontani da essa. Dicono con un’assenza, trasformano l’evidenza nei modi del sogno. Eppure come sogno mai sognato, solo costruito con i fatti della storia. Storia privata, certo, ma aperta al dilagare della vastità, al suo biancore che non è più segno ma nuovamente colore. O forse nemmeno più, perché il bianco si confonde col tempo.
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Paesaggi di Stromboli. Colore allagato, alluvione di cieli, azzurri assoluti, odore del vento. Vento placato, luce toccata, mai partita, sempre restata. Sera con l’odore del mare, notte che viene, notte che non si spegne. Paesaggi di Stromboli, tesi, invincibili. Sono di questi due ultimi anni nuovi paesaggi del Sile. Come un poema più disteso, meno episodico. Tempi più dilatati, nella pittura di Olimpia Biasi. Agisce meno la lettura dell’attimo. La pittura ha poco dell’appunto e più del tono narrativo. Facendolo sempre da una posizione di ingresso deciso nel colore, però con una precauzione maggiore. Come l’eco del tempo si fosse fatta più imperiosa, solenne, ascoltabile. Dentro le tracce sull’acqua, sopra le sue fioriture bellissime, sono avvicinabili, umane misure. Cala per la prima volta un silenzio che tutto avvolge, che lascia un profumo. I.QUALITY • 190
OLIMPIA BIASI Trevigiana, vive e lavora a Lovadina (TV). Ha studiato a Venezia con Bacci, Gaspari, Pizzinato. Espone dal 1972 in gallerie pubbliche e private, in Italia e all’estero (Venezuela, Stati Uniti, Cina, Ungheria, Austria...). Il suo esordio di matrice espressionista si traduce nel tempo in larghi racconti trasognati di potente matericità, che, recuperando immagini sedimentate nella memoria, tornano negli intensi, grandi, disegni ‘tessuti’ a grafite su carta da scenografia. Curiosa sperimentatrice di tecniche e materiali, lavora in una casa-studio che è un’ ‘hortus conclusus’. www.olimpiabiasi.com I.QUALITY • 191
Rassegnarsi al peccato con la Semplice insalata di Stefano Baiocco Di Blue G. www.aspassoconblue.it
Stefano Baiocco classe 73’chef Executive a Villa Feltrinelli dal 2004 vanta un curriculum che lascia allibiti. Nel suo percorso passa tra le cucine di Pinchiorri, Ducasse, Gagnaire, Roca, Aduriz, Adrià, e altri chef “stellati”, non c’è, quindi, da stupirsi se già da alcuni anni abbia preso “la stella Michelin”. La sua cucina è pulita, netta, leggera, è erotica e implosiva, è sensuale e ricercata nella sua semplicità, è un condensato di saperi e ricerche, di sapori, gusti, odori, visioni che vengono create e posate sul piatto. E’ una cucina “dell’amore” fatta di germogli, foglie, fiorellini, di erbe officinali che segue e raccoglie personalmente, una fusione di colori, timbri emozionali, impatti visivi, pitture impiattate e alchimie. È una cucina che risveglia le tormenta del corpo, sana le pene dell’anima e brama di vivere ben oltre l’attimo in cui ne gustiamo i sapori. Superato l’impasse emotivo, dato dalla grandiosità dell’ingresso a Villa Feltrinelli, dopo aver perso lo sguardo in un’infinità di immagini che si presentano al nostro occhio, annientati dalla bellezza della natura alla pari di un’opera Romantica, ecco che placato il desiderio di saziarsi di osservabile, il nostro punto focale si sposta su un altro senso “passando la palla” al gusto, senso dell’erotismo puro, detentore del desiderio e padre naturale dell’assoluta perdizione. In questo tripudio sensorio, l’occhio guarda e nel sovrabbondare del percepibile si riempie d’immagini, la curiosità si fa spazio e la smania di appagare il palato avanza. Cullata dalla brezza primaverile, seduti in modalità relax, è obbligatorio lasciarsi trasportare dalla scelta dello chef che riesce, con i suoi assaggi lenti e profondi, a creare un vero e proprio Simposio, facendoci innamorare dei suoi “Ravioli farciti con pomodoro arrostito e burrata”, olio al pomodoro e gocce di pesto cosi come delle sue “Chele di scampo crude con sorbetto alla mela verde, fiori di basilico e pepe di sansho” che modulano l’alternarsi di acidità e dolcezza ensemble. Ma il vero piatto dell’amore, il coup de théâtre e sintesi perfetta della filosofia della cucina di Stefano Baiocco è la sua “Semplice Insalata” composta da più di cento varietà vegetali tra erbe e fiori eduli, con alla base due cialde di pasta brick che racchiudono fini lamelle di I.QUALITY • 192
champignon crudi, il tutto condito con un filo di olio. Un piatto per molti, ma non per tutti, un fuori menù, dedicato a chi merita, ed è in grado, secondo lui, di sopportare l’esplosione/ implosione dei sensi. Un’anarchia gustativa in cui si percepisce che in natura c’è già tutto ciò che desideriamo, dove si alternano l’amaro, il piccante, il dolce, l’acidità, la freschezza e altre mille sfaccettature che ti fanno pensare ad un piatto che vive solo nel presente in quanto la fogliolina che ingerirai, dopo un attimo, sarà diversa da quella di un attimo prima. La semplice insalata ricongiunge anima e corpo. Un corpo che diviene luogo assoluto in cui introduciamo il cibo invasi dalla passione. Un corpo/luogo non più “carcere” come scrisse Michel Foucault, bensì, terreno di scoperta del piacere. La semplice insalata è un’apertura oltre la soglia della sensualità delicata, un anello di congiunzione tra intimità e lussuria, un’alternanza orgasmica di sapori. Anthelme Brillat-Savarin nel 1825 disse: “La scoperta di un piatto nuovo è più preziosa per il genere umano che la scoperta di una nuova stella”. E’ interessante notare come questo giovane chef, che fa della passione e della curiosità le note immancabili della sua cucina e che esprime il suo credo in “La cucina ha senso soltanto se abbiamo qualcuno con cui condividere le nostre emozioni“ sembri aver ispirato la “Fisiologia del gusto”. La cucina ha più senso se stimoliamo il palato, innalziamo la soglia del gusto e aggiungiamo amore a ciò che facciamo, unendola a un pizzico di rassegnazione al peccato. Dopo aver assaggiato i piatti di Stefano Baiocco, seduta a sorseggiare un caffè, con vista Lago, sarei pronta a ricominciare da capo. In questo momento di redenzione il rimando alle fiabe è obbligatorio “e vissero felici e contenti” tra menta hibrida dionisyos, oxalis rossa, salvia all’ananas e altre mille foglioline. Possiamo trovare Stefano Baiocco da Aprile a Ottobre a Villa Feltrinelli www.villafeltrinelli.com
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…UNA SEMPLICE INSALATA 4 PAX PER LA GUARNIZIONE 8 quadrati di pasta brick 10 champignons de paris 1 lime 1 arancia 16 cubetti di limone in salamoia Olio extra vergine di oliva del garda Sale maldon PER L’INSALATA 4 foglioline di acetosa, 4 puntine di achillea, 4 steli di aglio, 4 puntine di aneto, 4 foglioline di anice, 4 germogli di atsinia, 4 foglioline barbabietola, 4 foglioline di basilico alla cannella,4 basilico genovese, 4 basilico limone, 4 basilico greco, 4 basilico rosso, 4 basilico liquirizia, 4 germogli bieta da costa, 4 germogli di borraggine, 4 foglie di buon enrico, 4 germogli di camomilla, 4 germogli di carota, 4 germogli di cavolfiore, 4 germogli di cavolo cappuccio, 4 puntine di cerfoglio, 4 foglioline cicoria Castelfranco, 4 foglie cicoria grumolo rossa, 4 foglioline puntar elle, 4 foglioline cicoria zuccherina, 4 foglie coriandolo, 4 ciuffetti crescione d’acqua,4 germogli daicon, 4foglie dente di leone, 4 steli erba stella, 4 steli erba cipollina, 4 foglie ficoide glacialis, 4 ciuffetti finocchio selvatico, 4 germogli di indivia, 4 foglie lattuga red bowl, 4 foglie lattuga lollo rossa, 4 foglie lattuga ricciolina, 4 foglie lattuga ubriacona, 4 foglioline levistico, 4 puntine di limoncina, 4 puntine maggiorana, 4 foglioline malva, 4 foglioline melissa, 4 puntine menta gattefossei, 4 foglioline menta glaciale, 4 foglioline menta hibrida dionisyos, 4 puntine erba nana di Gibilterra, 4 puntine menta nana requienii, 4 foglioline menta piperita, 4 foglie di nasturzio, 4 puntine di origano, 4 foglio oxalis, 4 foglie di oxalis rossa, 4 foglie di oxalis variegata, 4 punte di pimpinella, 4 germogli di piselli, 4 germogli di pomodoro, 4 foglioline di prezzemolo comune, 4 germogli di rabarbaro,4
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foglie di rapa bianca, 4 foglioline di ravanello, 4 foglie di rucola selvatica e 4 di coltivata, 4 foglie di rumex atroporpureo, 4 puntine salvia all’ananas, 4 puntine santoreggia, 4 foglioline di sedano, 4 germogli di spilantes, 4 foglie di senape bianca, 4 germogli di shiso verde e 4 di shiso porpureo, 4 puntine di silene, 4 foglioline di spinacio, 4 germogli di thaoon,4 foglioline di valeriana , 4 foglioline di tetragonia, 4 foglioline di violetta PER I FIORI EDULI 4 fiori di abelia, 4 di aglio, fiori di basilico, 4 di borraggine,4 fiori di begonie, 4 petali calendula, 4 fiori di camomilla, 4 fiori di coriandolo, 4 petali di crisantemo, 4 fiori di cipollina, 4 petali dimorfo teca, 4 euryopsis, 4 fiori exacum, 4 petali geraneo, 4 tulbaghia violacea, 4 fiori di lantana, 4 lobelie, 4 di malva, 4 petali margherita, 4 fiori mughetto, 4 petali nasturzio, 4 nemesia, 4 fiori oxasis, 4 pervinca, 4patali rosa , 4 fiori rosmarino, 4 fiori rucola, 4 fiori salvia bianca , 4 viola , 4 salvia all’ananas, 4 petali tagete, 4 petali tagete “ ursula nano”, 4 petali torenia, 4 petali tuberosa, 4 fiori verbena, 4 petali viola ciocca, 4 petali viola del pensiero, 4 petali viola cornuta 4 violetta soroira. PRCEDIMENTO Cuocere i quadrati di pasta brick in forno per alcuni minuti a 160 °C sino a che non siano ben dorati e croccanti. Una volta cotti disporli su di un piano da lavoro. Laminare i champignons e disporli sopra 4 fogli di brick condire quindi, con l’aiuto di un microplane, con la buccia di lime, arancia e qualche cristallo di sale; disporre sopra i funghi gli altri 4 fogli di brick. Adagiare i 4 “ tortini “ al centro di altrettanti piatti ed iniziare a montare l’insalata con l’aiuto di piccole pinzette per fare in modo che le foglioline mantengano il massimo del volume; ricoprire con i fiori eduli , i cubetti di limone in salamoia ed ancora qualche cristallo di sale. Sarà in fine il cameriere a terminare il piatto davanti al cliente con qualche goccia di olio extra vergine di oliva.
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Ecosistemi A Kiev, presso la national Art Academy dell’Ucraina, nel mese di giugno è stata dedicata una importante mostra all’arte fotografica di Luca Bracali. Di Roberta Filippi
Esattamente nel mese in cui l’Ucraina diventava gettonattissima in tutta Europa grazie agli europei di calcio, la National Art Academy di Kiev in collaborazione con L’Istituto di Cultura Italiano ha organizzato nella capitale ucraina una seguitissima mostra dedicata all’opera fotografica di uno dei maestri della fotografia naturalistica del nostro Paese. Luca Bracali infatti da decenni esplora il pianeta terra cercando di documentare luoghi caratterizzati dalla bellezza estrema della natura, bellezza a rischio di degrado per i problemi ecologici che tutti in qualche modo conosciamo. A giusta ragione lo si può considerare uno dei fotografi più impegnati in difesa degli ecosistemi più a rischio, diffusi in ogni parte del mondo.”Non potevamo I.QUALITY • 196
scegliere un artista più giusto per celebrare le Giornate d’Italia nel corso del 20° anniversario delle relazioni diplomatiche tra i due Paesi”, ha ricordato a tutti i presenti ad una affollata conferenza stampa Fabrizio Romano, l’Ambasciatore Italiano… “ la sua foto piena di umanità e di reverenza per un pianeta che ci appare semplicemente bellissimo; sembrano tuttavia, in verità, anche un monito per allertarci sul rischio che abbiamo di perdere tutta questa bellezza. Inquinamento e noncuranza da parte dell’uomo, come raccontano gli scienziati, potrebbe in tempi brevi cancellare molti dei paesaggi immortalati da Luca Bracali”. Questo messaggio etico segnalato dall’ambasciatore è stato raccolto da Andriy Chebkin, presidente della National Art I.QUALITY • 197
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Academy, il quale nel suo intervento, ha sottolineato la doppia valenza del lavoro del fotografo, sommo conoscitore delle regole formali della bellezza e al tempo stesso rigoroso difensore dei
realizzato a Kiev, per i nostri fotografi possano essere organizzati anche in Italia, un paese che spesso sembra dimenticarsi persino dei suoi fotografi più bravi.
valori che la natura non cessa di trasmettere a chi ne sa udire il messaggio. Alla vernice della mostra era presente tutta l’elite artistica e intellettuale di Kiev. Senza dubbio la mostra è stato l’evento più importante mai dedicato ad un italiano dall’Ucraina. Dobbiamo aggiungere che Luca Bracali non è nuovo a questi esploit. Ormai sono numerose le mostre che lo hanno visto protagonista in molte città italiane e del mondo. Il suo stile e le sue opere sono ammirate ed emulate da migliaia di giovani fotografi e, a tal riguardo ricordo che, attualmente il suo impegno comprende anche un percorso didattico a favore di chi ama la fotografia naturalistica e di documentazione sociale. Un fotografo dunque, impegnato su più fronti, in un momento decisivo della sua carriera. Infatti l’onore che la città di Kiev gli ha concesso e la bellezza dell’esposizione, rappresentano sicuramente un capitolo importante di un percorso culturale e professionale ancora in corso di assestamento e di crescita. La speranza è che eventi prestigiosi e ben configurati come quello
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Di Roberta Filippi
Tendence Jewels Tendence Jewels
L’Estate 2012 si colora con Duepunti! Tecnologia ed innovazione, artigianalità e maestria orafa sono qualità che da oltre 50 anni caratterizzano l’operato di Vai Milano, Azienda orafa che opera nel cuore di Milano. In linea con questa filosofia e sempre alla ricerca di novità interessanti, lanciano il brand Duepunti: l’idea è quella di coniugare una pietra preziosa, il diamante, con un materiale inconsueto e moderno, il silicone. Un accostamento inedito in gioielleria, che unisce la più tradizionale delle pietre preziose per eccellenza, alle tendenze più attuali dell’high tech. Per questa nuova stagione Primavera /Estate 2012 Duepunti presenta Bangles Collection, bracciali in silicone anallergico in 19 colori con un diamante. I nuovi bracciali da indossare e da abbinare per un’allegra esplosione di colori e per ogni momento della giornata. A questa linea si aggiunge Jelly Collection: 6 nuovi anelli in silicone anallergico trasparente nei toni fluo che vanno ad ampliare la gamma dei 19 colori già esistenti. Il bianco, i verdi e gli azzurri, il blu che parlano di mare e di onde spumeggianti. Il giallo, l’ arancio e i rossi che ci ricordano i bagliori del sole, la passione e i coralli negli abissi. Il beige ed i marroni, il colore della sabbia, degli scogli e delle pietre. La gamma dei rosa dal baby al fucsia, dal glicine ai viola fino alla regalità ed eleganza del bordeaux. Per non dimenticare il più classico ed amato degli abbinamenti: il black & white. Ognuno può trovare il proprio abbinamento e scegliere i colori che più lo rappresentano. Le collezioni Duepunti sono in vendita in Italia e nel mondo a partire da 59,00 euro. Per ulteriori informazioni: Duepunti Vai Milano www.duepuntitalia.com
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Tendence Cake design Tendence Jewels
Di Roberta Filippi
Nomen omen: quando i dolci sono un segno del destino La cake designer Giada Farina sforna e decora torte, cupcake e dolci di ogni forma e colore.
Le Torte di Giada Corso Mameli 2/1 Brescia cell. 340-3745.199 www.tortedigiada.com letortedigiada@virgilio.it
Oggi, i trentenni vengono spesso definiti giovani promesse, ma Giada Farina, cake designer bresciana, classe 1981, per tutti gli appassionati delle torte decorate con pasta di zucchero, è già una certezza. Diplomata Maestra D’Arte nel 2000, da sempre nutre una passione smodata per l’arte, l’antiquariato e la cucina. Dopo aver completato gli studi, ha lavorato nel campo della progettazione. Ben presto, però, ha trovato il modo di far coincidere e fruttare le esperienze passate con la passione per i dolci e la cucina: torte monumentali, decorate con fregi di rara bellezza e realismo, wedding cake realizzate nella migliore trazione americana e dolci di ogni sorta, sono diventati la sua firma. Per affinare la sua tecnica ha frequentato i professionisti della Sugar Art American Style interpretando con geniali tocchi personali i loro insegnamenti. Giada Farina oggi si dedica con passione al cake design progettando e decorando, nel suo laboratorio a vista, torte capaci di incantare grandi e bambini, dando libero sfogo a quella magia che è in tutti noi. I.QUALITY • 202
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Di Francesca Flavia Fontana
Vincenzo Agnetti. Protagonista outsider dell’arte ‘60-’70 Nell’ambito della programmazione espositiva del CIAC, Centro Italiano Arte Contemporanea di Foligno, splendido spazio per l’arte contemporanea inaugurato nel 2009 nel centro storico della bella cittadina umbra, dal 23 giugno al 9 settembre 2012, viene ospitata la mostra dedicata all’opera di Vincenzo Agnetti. La mostra, curata da Italo Tomassoni e Bruno Corà, presenta circa cinquanta opere emblematiche nel percorso di Agnetti, tra cui alcuni capolavori come Macchina drogata (1968), l’Apocalisse (1970) il Libro dimenticato a memoria, 1970, gli Assiomi, 1969-70, su bachelite, i Feltri, pannelli incisi a fuoco, Surplace, 1979-80, le Photo-Graffie, 1980. Vincenzo Agnetti, singolare protagonista outsider dell’arte italiana degli anni Sessanta-Settanta, è considerato anche uno dei massimi esponenti dell’arte concettuale internazionale. Artista visivo, poeta, scrittore, nasce a Milano il 14 settembre 1926. Diplomatosi all’Accademia di Belle Arti di Brera segue anche la Scuola del Piccolo Teatro di Milano diretta da Giorgio Strehler. Ancora giovanissimo inizia le prime esperienze di pittura informale e di poesia di cui tuttavia non restano tracce. “Quello che ho fatto -dichiarerà più tardi Agnetti - l’ho dimenticato a memoria: è questo il primo documento autentico”. Le opere di Agnetti presenti in numerose gallerie, collezioni private e musei di vari paesi del mondo sono state esposte numerose volte alia Biennale di Venezia. Agnetti muore a Milano, improvvisamente, il 1° settembre 1981. In occasione di questa importante esposizione di Foligno, è in preparazione un esaustivo catalogo, comprendente i saggi critici dei curatori, un testo biografico redatto da Germana Agnetti, figlia dell’Artista, nonché numerose immagini delle opere, oltre agli apparati biobibliografici aggiornati.
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Tendence Art Tendence Art
da sinistra: Agnetti e l’Apocalisse Installazione foto Ugo Mulas, Agnetti e Scheggi con l’opera Il trono, 1979 foto Fabio Donato Napoli, Libro dimenticato a memoria, 1970 libro fustellato al centro con copertina in tela 70 x 50 cm Archivio Vincenzo Agnetti, Milano, Entropia, 1970 perspex pantografato 20 x 11 base 14 x 4 x 4 cm Archivio Vincenzo Agnetti Milano, Macchina Drogata, Surplace. Quattro titoli , 1979-1980 quattro sculture in acciaio, quattro fotografie misure ambiente Archivio Vincenzo Agnetti, Milano
www.centroitalianoartecontemporanea.com
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Di Francesca Flavia Fontana
da sinistra: Mai-Thu Perret - One dark night, listening to the frost, 2008 - ceramica invetriata, 50x38x16 cm - © dell’artista e Timothy Taylor Gallery London; Rona Pondick - Navel, 2008-2010 - Bronzo dipinto - 18,26x28,56x28,56 cm, edizione di 3 - © dell’artista e Sonnabend Gallery New York; Lynda Benglis - Ghost Shadow I, 2007 - schiuma di gomma, filo metallico da pollaio, 127x61x38,1 cm - © Cheim & Read, New York e VAGA
Tendence Art Tendence Art
da sinistra: Decadence (Red Coral), 2008 - Plastica, schiuma di poliuretano, resina epossidica, pittura, filo di metallo e oggetti vari - 137 x 66 x 71 cm; Settle Into Place, 2011 - carta, gesso, pittura, resina epossidica, plastica, legno, metallo e materiali vari - 100 x 162,5 x 50 cm; Rethink, 2011 - Carta, pittura, plastica, inchiostro, legno e oggetti vari - 99x51x58 cm www.brandnew-gallery.com 31 maggio – 28 luglio 2012 Opening: 31 maggio | 19.00-21.00
BRAND NEW GALLERY presenta Changing states of matter
BRAND NEW GALLERY presenta Recover di Cristina Lei Rodriguez
Brand New Gallery è lieta di presentare la collettiva Changing states of matters, una mostra pensata per svelare i processi della creazione artistica, che si svolgono attraverso una “produzione ipotetica” del reale, portata al limite estremo dell’esperienza sensoriale. Attraverso la frammentazione del lavoro iniziale, questo gruppo di artisti indaga la materia per rivelarne nuove forme e sembianze, dando vita a mondi misteriosi ottenuti sovvertendo le tecniche artistiche tradizionali. Ognuno degli artisti inclusi in questa group show sceglie il mezzo espressivo in base alla propria esperienza della materia tangibile e dell’intimità della memoria. La materia diviene quindi metafora delle strutture sociali e delle realtà che ci circondano, e la sua aggressione diviene pratica utile ad esplorare il rapporto con l’alterità ed il reciproco scambio che costantemente avviene tra le persone e gli oggetti. Sebbene alcune delle opere proposte in questa mostra possono sembrare, nei termini canonici della storia dell’arte, molto tradizionali, la differenza è apportata dalla sovversione dei luoghi comuni ereditati e connessi con il genere. Esse svelano una tensione evidente tra il pensiero ed il processo costitutivo, che consente di concepire una nuova modalità scultorea offrendo una visione caleidoscopica di spazi indefiniti. Gli artisti sono: Aaron Angell, Bianca Beck, Lynda Benglis, Steve Bishop, Kadar Brock, Matthew Chambers, Folkert de Jong, Nicolas Deshayes, Sam Falls, Ryan Foerster, Antonia Gurkovska, Gabriel Hartley, Jessica Jackson Hutchins, Mai Thu Perret, Rona Pondick, Ry Rocklen, Analia Saban, Molly Zuckerman-Hartung.
Brand New Gallery è lieta di presentare Recover, prima personale italiana dell’artista americana Cristina Lei Rodriguez. Le forme scultoree elaborate da Cristina Lei Rodriguez sono conglomerati astratti provenienti da un’era post atomica, di cui narrano le vicende di decadenza e rovina. Sebbene i processi naturali di crescita e declino siano stati una tematica che ha ispirato gran parte del suo lavoro, recentemente l’artista ha deviato lo sguardo lontano dalla natura, per rivolgerlo verso costruzioni culturali di incertezza ed instabilità. La materia è sagomata con sensibilità critica nei confronti della voracità bulimica e del glamour impenitente che accompagnano il capitalismo contemporaneo, dell’accumulazione della ricchezza che va di pari passo con la minaccia di un collasso sistemico totale. Per realizzare le sue sculture, Cristina Lei Rodriguez adotta una sorta di ready-made ottenuto impiegando una molteplicità di materiali come plastica, resine, reti metalliche, gesso e vernice, modellati attraverso un’estetica gestuale di distruzione e decomposizione, grazie a cui essi si schiacciano, si accartocciano, si ritorcono su se stessi o sporgono grevemente verso l’esterno, colando una folta pittura materica sui piedistalli da cui si elevano. Cristina Lei Rodriguez seduce lo spettatore grazie alla costruzione di un’eleganza formale che trasmette una raffinata esperienza corporea, precisata da un aspetto fluido e laccato, al contempo organico e minimalista, in una visione igienizzata della natura.
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Tendence Art Tendence Art
Di Anna Serini
da sinistra: Enatalem D. Zeleke: “Senza titolo”, acrilico su carta 70x100; Martine Parise: “Simbiosi 2”, tecnica mista, 60x100 cm, 2011; Ignazio Mortellaro: “Untitled (Bestiario)”, stampa su carta, 42x60 cm, 2011; Laura De Barba: “Olivam”, inchiostro su feltro, 90x100 cm, 2011; Sergio Picciaredda: “A modern garden”, stampa fotografica seriale, 60x60cm, 2010
Seconda Edizione Premio Internazionale di Pittura “Zingarelli-Rocca delle Macìe” La famiglia Zingarelli ha da sempre rivolto un’attenzione particolare verso le arti in genere e soprattutto verso tutti quei giovani che cercano di affermarsi attraverso l’arte, dedicandosi con passione ed impegno alla realizzazione del proprio sogno. Da questa sensibilità è nato il desiderio di dare vita al Premio Internazionale di Pittura “Zingarelli-Rocca delle Macìe” che con l’edizione 2012 ha visto protagonista l’olio e l’ulivo. “Mio padre (Sergio Zingarelli, n.d.r.), che ha sempre vissuto ogni esperienza con grande coinvolgimento, aveva la capacità e la volontà di far diventare realtà i suoi sogni.” racconta il figlio Sergio che proprio in questi giorni si è aggiudicato la carica di presidente del Consorzio Vino Chianti Classico. “La vita lo ha portato ad appassionarsi alle arti in genere, ma è verso la pittura che egli ha nutrito un grande amore. Uomo di grande senso estetico, ha sempre scelto i suoi quadri istintivamente, spinto dalla ricerca del bello più che dalla fama dell’autore.” Il Premio d’arte “Zingarelli-Rocca delle Macìe” nasce, dunque, come omaggio ad Italo Zingarelli, produttore, regista e direttore cinematografico nonché fondatore dell’azienda vitivinicola Rocca delle Macìe gestita oggi dal figlio Sergio insieme alla moglie Daniela, alla sorella Sandra e ai suoi due figli, Andrea e Giulia. Sebbene l’attività principale di Rocca delle Macìe sia il vino, la coltivazione dell’olivo per la produzione di un Olio Extravergine di Oliva ha fatto parte della storia dell’azienda fin dalla sua nascita. Accanto alle viti, infatti, la famiglia Zingarelli ha sempre coltivato anche gli ulivi consapevole del grande valore storico, paesaggistico, alimentare ed agronomico di queste colture tipicamente mediterranee. Per questo, oltre 20 anni fa, ha creato un frantoio aziendale ubicato all’interno del borgo della Riserva di Fizzano dotandolo negli anni dei migliori macchinari per la frangitura e garantendo una produzione di altissimo livello. Le 6500 piante di olivo distribuite nelle sei tenute di proprietà testimoniano il legame della famiglia ad una tradizione secolare. Il tema scelto per le seconda edizione del Premio “Zingarelli – Rocca delle Macìe”, a cui gli artisti si sono ispirati in piena libertà stilistica e tecnica, è il “Giardino del Getsemani” in cui l’olio e l’ulivo si sono resi protagonisti. La parola aramaica Getsemani significa “frantoio” e ancora oggi il Giardino del Getsemani, locus amoenus in cui Gesù fu tradito da Giuda, conosciuto anche come “Orto degli Ulivi” o “Giardino dei Fiori”, conserva al suo interno otto magnifici esemplari secolari custoditi gelosamente dai frati francescani. Il Comitato Organizzatore ha visto al fianco di Daniela, Sergio, Giulia e Andrea Zingarelli, il pittore Raimondo Galeano, ideatore del progetto, e la curatrice Simona Gavioli. Ed è proprio Simona Gavioli a spiegare la scelta del tema: “Nell’arte, l’ulivo è stato inscenato I.QUALITY • 208
Info: Rocca delle Macìe Loc. Le Macìe, 53011 Castellina in Chianti (SI) - tel. +39 0577 7321 - fax +39 0577 743150 info@roccadellemacie.com - www.roccadellemacie.com
da pittori, scultori e illustratori, con notevoli e autorevoli significati simbolici legati sia alla tradizione classica sia a quella giudaico-cristiana. Ne troviamo testimonianza in svariate opere da Simone Martini a Duccio da Buoninsegna, da Giotto a Botticelli, da Paolo Veronese a Andrea Mantegna, da Telemaco Signorini a Giovanni Fattori fino ad arrivare al più recente Vincent Van Gogh con Olive Grove. Ancora una volta dopo secoli, gli artisti ripercorrono e interpretano questo tema che appassiona la nostra cultura Occidentale. Innumerevoli sfaccettature che hanno come unico comune denominatore la passione di imprimere sulla tela l’emozionante ricerca delle nostre origini. […] Così nell’interminabile cammino tra arte e ulivo, ormai la pittura è tutto: olio, acrilico, matita, carta, legno, digitale, china e graffio, ma anche mappatura, stratificazione, tecnologia e diligenza. Qui la pittura è quel tutto, quel nostrum, capace di rendere immortale il Giardino del Getsemani e i suoi innumerevoli simboli legati all’olio e all’ulivo.” Il premio, patrocinato dal Comune di Castellina in Chianti e dalla Provincia di Siena, verrà conteso tra artisti italiani e stranieri che vantano un percorso di rilievo nell’arte contemporanea. Questi i 19 artisti (in ordine alfabetico): Mirko Canesi, Maria Grazia Carriero, Luna Corà, Luca Cruz Salvati, Laura De Barba, Ilaria Del Monte, Raffaele Fiorella, Pierluigi Lanzillotta, Marta Mancini, Ignazio Mortellaro, Luca Moscariello, Martine Parise, Sergio Picciaredda, Vittoria Ramondelli, Riccardo Ruberti, Renato Rubini, Mattia Scappini, Chiara Sorgato e Enatalem D.Zeleke. Il Premio Istituzionale “Zingarelli – Rocca delle Macìe 2012” (€ 3.500) verrà assegnato tramite una valutazione popolare attraverso il voto dei visitatori dell’Azienda e dei fruitori della mostra allestita da aprile a fine settembre. Il Premio Speciale Famiglia Zingarelli (€ 1.500) verrà, invece, conferito dalla famiglia all’opera che rispecchierà maggiormente l’identità dell’azienda. Rocca Delle Macìe Rocca delle Macìe vanta una proprietà di 600 ettari di cui 200 a vigneto e 60 ad oliveto suddivisi tra le sei tenute di proprietà: Le Macìe (1973), la Tenuta Sant’Alfonso (1973), la Riserva di Fizzano (1984) e le Tavolelle (1998) nel Chianti Classico, e Campomaccione (1998) e Casamaria (2002) in Maremma nella zona del Morellino di Scansano.
Italo Zingarelli Uomo generoso, amante della vita, dotato di intuizione e di grande lungimiranza, Italo Zingarelli è un nobile esempio di self-made-man. Dopo una breve carriera in giovane età come pugile che lo porta in finale del Campionato Italiano Novizi nei pesi medio-massimi, nel 1949 inizia a lavorare nel cinema, prima come figurante e stuntman, poi come tecnico di produzione e infine, dal 1954, come direttore di produzione per numerosi film. Nel 1958 arriva a firmare la sua prima produzione cinematografica “La rivolta dei Gladiatori”. Grazie alla sua determinazione e volontà nel 1964 apre la sua casa di produzione e nel 1966 fonda la società di distribuzione cinematografica DELTA. Numerosi sono i successi cinematografici che ci ha regalato, tra cui “Lo chiamavano Trinità”, “Continuavano a chiamarlo Trinità” e “Più forte ragazzi”, oltre alle co-produzioni di successo internazionale come “C’eravamo tanto amati” e “Sesso matto”.
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Referente turismo Giancarlo Roversi
Reporters Francesco Antinolfi - Blue G. Antonio Bramclet - Fabiola Cinque Anna Serini
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L’amore per il legno nel cuore della tradizione Pasquini Marino La Bottega Artigiana Pasquini Marino Srl nasce nel lontano 1957 dalle abili mani del suo omonimo fondatore da cui ha preso il nome. La produzione artigianale di Bottega Artigiana Pasquini Marino si è da subito concentrata nella costruzione di sedie, poltrone e salotti di raffinata eleganza e di particolari finiture di pregio. Oltre all’abilità manifatturiera, Pasquini Marino ha sempre posto una particolare attenzione alla selezione dei materiali di prima qualità, dalla accurata scelta dei legni a quella di tessuti pregiati e resistenti. Nel corso degli anni gli eredi hanno investito la professionalità e l’esperienza maturata nell’attività che è progressivamente cresciuta ampliandosi nella produzione, affermandosi nel settore e differenziandosi nella tipologia di prodotto, mantenendo quelle caratteristiche qualitative che hanno da sempre contraddistinto l’azienda. Oggi la Bottega Artigiana Pasquini Marino ha incrementato nella propria produzione una linea di prodotti destinati alla ristorazione ed in particolar modo ai complementi d’arredo destinati alla conservazione dei vini. Una evoluzione nata dalla grande passione per il vino coltivata negli anni dalla famiglia, da un profondo interesse posto nella ricerca di quelle caratteristiche strutturali che creano quelle condizioni favorevoli alla conservazione, in modo tale da non pregiudicare il pregiato contenuto delle bottiglie e di consentire loro una naturale maturazione nel corso del tempo. La Bottega Artigiana Pasquini Marino realizza strutture personalizzate al fine di trovare una giusta collocazione nell’ambiente, spesso già arredato, che andrà ad ospitarle. Dal classico al moderno al minimalista, la Bottega Artigiana Pasquini Marino saprà ricavare la giusta dimensione di spazio da dedicare alla conservazione dei vini. Consulenza, cordialità e disponibilità sono valori fondamentali che fanno della Bottega Artigiana Pasquini Marino un vero e proprio punto di riferimento sia per chi opera nell’ambito della ristorazione sia per i privati che esigono un ambiente esclusivo e confortevole. www.pasquinimarino.it I.QUALITY • 210
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ANNO VI - N° 35 Estate 2012