Kairòs n.4

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Anno III - 2013

ARCHITETTURA La Grande Motte Archistar

FASHION Baracuta

TRAVEL Seychelles

BEER Al Top 6.2

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Kairòs si fa promotrice in prima persona del rispetto ambientale con la coraggiosa scelta etica di stampare l’intera rivista su carta FSC certificata, ovvero proveniente da foreste correttamente gestite, controllate e da legno e fibre riciclate.


L’attenzione alla sicurezza di chi lavora tutti i giorni in condizioni rischiose è la nostra priorità.

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INDICE Anno III – N°4 – 2013 Presidente Giovanni Buffoli Editore

Via I Maggio, 3 40062 Molinella (BO) www.robertafilippi.it Direttore Editoriale Roberta Filippi info@robertafilippi.it

EDITORIALI

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EDITORIALI

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TRAVEL 6

ARCHITECTURE 14

LA FORMAZIONE COME FORMA DI RESILIENZA CONTRO EVENTI TRAUMATICI di Giovanni Buffoli

MODE, IDENTITÀ, CAMBIAMENTO SEYCHELLES, di Lamberto Cantoni UN PARADISO DI NATURA DA PRESERVARE. di Roberta Filippi e Fabiola Cinque

LA GRANDE MOTTE Di Lamberto Cantoni

ART 28

FOOD 36

BEER 42

FASHION 48

SETUP di Anna Serini

LA CUCINA DI AURORA MAZZUCCHELLI di Blue G.

AL TOP di Roberta Filippi

Direttore Responsabile Lamberto Cantoni Hanno collaborato Antonio Bramclet, Fabiola Cinque, Blue G., Simona Gavioli, Anna Serini Art Director Francesca Flavia Fontana Stampa Varigrafica Alto Lazio s.r.l. Via G. Bettolo, 39 00195 Roma

EXTREME SOLUTIONS EXTREME SOLUTIONS

COMICS 54 IL DANDY AVVENTUROSO di Lamberto Cantoni

Non si restituiscono testi, immagini, supporti elettronici e materiali non espressamente richiesti. La riproduzione anche parziale di articoli e illustrazioni è vietata senza espressa autorizzazione dell’editore in mancanza della quale si procederà a termini di legge per la quantificazione dei danni subiti. L’editing dei testi, anche se curato con scrupolosa attenzione, non può comportare specifiche responsabilità per eventuali errori o inesattezze, limitandosi l’editore a scusarsene anticipatamente con i lettori e gli autori. Ogni articolo firmato esprime esclusivamente il pensiero di chi l’ha scritto e pertanto ne impegna la personale responsabilità. Le opinioni e, più in generale, quanto espresso dai singoli autori non comportano alcuna responsabilità da parte dell’editore anche nel caso di eventuali plagi di brani da fonti a stampa e da internet.

Reg. al Trib. di Bologna N° 8190/7/06/2011

FREESTYLE

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In copertina:

© La Grande Motte - Olivier Maynard

LA NUOVA STAGIONE DI BARACUTA di Roberta Filippi

80 SICURLIVE FORMAZIONE E SPERIMENTAZIONE

SICURLIVE SOLUZIONI E INNOVAZIONE SICURLIVE SOLUZIONI E INNOVAZIONE


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La resilienza è un concetto che proviene dalla scienza dei materiali per costruire strutture. Significa la proprietà di assorbire una forza negativa senza rompersi. Ma questa categoria sta conoscendo un successo che va ben aldilà delle discipline ingegneristiche. Per esempio in psicologia clinica viene usata per definire situazioni di efficace adattamento ad una patologia. Anche in contesti economici appare spesso per marcare la capacità di una azienda di reagire positivamente ad una situazione di crisi. La gente emiliana che dopo il terremoto sta ricostruendo in fretta la proprie case, si può dire che abbia dato prova di notevole resilienza alle avversità. Per farla breve, la resilienza è la capacità che possiedono individui e strutture di riuscire a reagire positivamente nonostante eventi negativi. Che cosa ci occorre per sviluppare resilienza? Senza dimenticare i caratteri individuali, si può dire che resilienti si diventa soprattutto grazie ad una formazione particolare. I percorsi didattici che abbiamo stabilito nella nostra scuola di formazione per prevenire i rischi nei luoghi di lavoro, si appellano a questo bisogno di residenza fondamentali per chi opera in settori nei quali l’evento traumatico è sempre li dietro all’angolo pronto a ferirci. Grazie ad un approccio costruttivo e a simulazioni controllate, cerchiamo di abituare i nostri clienti a concentrarsi su ciò che in particolari situazioni è utile e razionale fare. In un contesto lavorativo dove i rischi sono inestirpabili, sviluppare la risorsa della resilienza non è solo qualcosa che produce competenza e rispetto per il lavoro, ma può aiutare a sostenere l’efficenza del gruppo di persone con il quale si collabora.

Giovanni Buffoli

EDITORIALE

La formazione come forma di resilienza contro eventi traumatici


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Tutto il mutamento è mutamento di qualcosa L’invadenza delle mode ci suggerisce l’ineluttabilità di mutamenti che sconfinano in questioni che investono i livelli d’identità necessari per sostenere i giochi sociali. Quando diciamo che siamo sottoposti, spesso senza averne piena coscienza, a cambiamenti, vogliamo sottolineare problemi del tipo: che cosa cambia? Come cambia? Perché cambia? Come possiamo parlarne? Chi cambia? Il chi cambia ovviamente pone in primo piano il problema dell’identità. E qui troviamo alcuni grattacapi da risolvere. Se tra il senso comune Moda significa essenzialmente cambiamento, non possiamo nasconderci invece che il termine identità per la gente si trascina dietro qualcosa che non dovrebbe cambiare così facilmente. Abbiamo dunque cose che evidentemente cambiano e altre che non devono mutare. Nel secondo caso siamo di fronte a qualcosa che genera tensione con il resto. Nel primo caso, aldilà delle abitudini discorsive, non possiamo non accorgerci che dobbiamo sempre tenere fermo qualcosa per poter dire che qualcosa cambia. Qualcosa che permane, che si ripete, che è identico a sé è il primo termine con cui abbiamo a che fare quando parliamo di mutamento. Qualcosa del genere è associato ai modi in cui i filosofi hanno parlato della sostanza e dei suoi accidenti. Il secondo caso è più complicato. Accade spesso che dove pensiamo di introdurre la differenza, siamo costretti alla ripetizione. Dove insistiamo sulla variazione, siamo portati a osservare l’invarianza. Che cosa vuol dire che una moda ci cambia? Dove ci cambia? In cosa ci cambia? Qual è il particolare che qui ci interessa?

Rispondiamo frettolosamente dicendo che una moda ci cambia l’identità. Ma poi di fronte al paradosso che qualcosa di noi deve permanere sosteniamo che il cambiamento è solo apparenza. Come risolvere questa confusione? Potremmo dire che l’identità, la ripetizione, la permanenza sono esiti di costruzioni perché sono sostanzialmente linguaggio. Noi attraverso essi mettiamo ordine in un guazzabuglio plurale fatto di una eterogeneità di percezioni, segni, significazioni. È a partire dunque da qualcosa che funziona come permanenza dei tratti invarianti che possiamo articolare con precisione il fascio di differenze a loro volta sottoponibili a marcatura. Dimodochè possiamo ragionevolmente sostenere che il problema del mutamento e dei modi con cui ne parliamo o cerchiamo di comprenderlo, è localizzabile lungo i bordi di una identità, esattamente là dove nasce una tensione tra permanenza e emergenza di un tratto nuovo. Il mutamento è sempre una gradazione tra variazione e invarianza. Karl Popper in un suo libro ci ricordava che il problema del mutamento può essere posto in questi termini: “Tutto il mutamento è mutamento di qualcosa. Ci deve essere una cosa che cambia; e questa cosa deve permanere, mentre muta, identica a se stessa. Ma se essa rimane identica a se stessa, dobbiamo chiederci, come può mutare? La questione sembra ridurre all’assurdo l’idea che una qualsiasi cosa particolare possa mutare” (Karl Popper, Il mondo di Parmenide, Piemme, 1998). Per chi ragiona, congettura e prende decisioni partendo dai problemi tipici della moda la comprensione del problema del


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manipolazioni. Siamo di fronte ad un mutamento nell’assiologia applicabile al concetto di identità. Per esempio il valore della mia identità dipenderà dal grado di manipolazione che riesco ad esercitare in pubblico. Sembra abbastanza chiaro che il normale concetto di comunicazione per questo tipo di giochi di moda che riflettono nuovi valori per l’identità dei soggetti risulti insufficiente. Se vogliamo primeggiare nei giochi di ruolo nel postmoderno dobbiamo acquisire una competenza più raffinata rispetto al concetto classico di persona (che in realtà deriva dal latino person ovvero maschera, quindi sembra dipendere da significati profondamente diversi dall’irrigidimento burocratico dell’io e delle sue devastanti crisi, tipico della modernità). I giochi di moda ci costringono ad entrare in sequenze di ruoli che producono una scissione nel concetto d’identità classico e moderno. Ma non sempre giocare con l’identità produce piacere. Per quanti possano essere i consumatori delle mode, da sempre esistono resistenze al suo pieno dispiegarsi nel sociale. Il riferimento ad una identità chiamata a sfaldarsi per poter giocare a pieno titolo i giochi di moda ci fa comprendere che là dove il lavoro sullo stile e sul mutamento è più accentuato si nasconde la frontiere sottile che separa i giochi delle forme dell’apparire dalla patologia.

Lamberto Cantoni

EDITORIALE

cambiamento non è un esercizio fine a se stesso. Pensate al problema dell’identità di uno stile o di una marca in un contesto che premia la “novità”? Come faccio ad interpretare le nuove tendenze senza snaturare il mio stile? Se la forma x cambia, allora non si tratta più di x. D’altra parte non possiamo affermare che x cambia senza intendere con ciò che x persiste durante il cambiamento, che si tratta della stessa cosa x all’inizio e alla fine del cambiamento. Se distinguiamo tra informazione e significazione possiamo facilmente comprendere come il problema del cambiamento nella pratica si risolva senza alcun attrito particolare. Il nome proprio che porto (l’informazione zero della mia identità) rimane lo stesso in ogni mondo possibile. Le significazioni con le quali lo ricopro, come un carciofo nasconde (o protegge) la parte più tenera, cambiano quanto cambia l’abito che indosso. Nelle interazioni sociali post moderne il tratto invariante (in questo caso il nome proprio) ha perso di valore. Per esempio se lo rafforzo con qualche attributo corro il rischio di ottenere l’effetto contrario. Per esempio se ostento il prof., avv. etc… il più delle volte rischio il ridicolo. Per contro, le componenti contingenti dell’identità per esempio gli abiti che porto hanno acquisito un ruolo più sottile per la messa in valore dell’identità delle persone. Possiamo sempre dire che gli abiti informano chi ci vede su come viviamo, su che lavoro facciamo, sul nostro conto in banca ma la comunicazione di queste notizie sulla nostra identità sono meno importanti dell’impatto che in modo più o meno calcolato grazie ad essi imponiamo agli altri. Non può certo sfuggirci che in tal modo ci predisponiamo a manipolare l’altro e al tempo stesso accettiamo di subire


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Ste Anne Marine Park


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Seychelles, un paradiso di natura da preservare.

TRAVEL

di Roberta Filippi e Fabiola Cinque


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Circa metà delle 115 isole che compongono l’arcipelago delle Seychelles sono di origine granitica e possiedono rilievi che arrivano a 900 m di altezza. Le isole disposte verso sud ovest sono atolli corallini situati sulla cima di monti sottomarini. Le calde acque dell’oceano indiano hanno contribuito alla costruzione dei reef ovvero hanno permesso la vita dei piccoli organismi marini dai quali discendono i coralli. I singoli animali costruttori dei reef sono chiamati polipi. Quando muoiono secernano scheletri esterni calcarei che vanno ad accumularsi sul substrato. I polipi vivono in grandi colonie e questo spiega il grande accumulo di scheletri nel corso del tempo, e le imponenti strutture coralline che oggi ammiriamo. Le Seychelles presentano fantastici paesaggi corallini creati dall’evoluzione nel corso di centinaia di miglia di anni. Rappresentano dunque un tesoro inestimabile e una straordinaria attrazione turistica. Ma sono anche uno degli ecosistemi più complessi e fragili del pianeta. Nello spazio interposto tra la barriera corallina e la costa troviamo una laguna nella quale vivono una fantastica varietà di organismi viventi. La ricca biodiversità del mare che circonda le Seychelles e che anima l’interno molte delle sue isole rappresentano un valore inestimabile del quale si sono fatti carico le autorità del piccolo stato. Dovendo le isole vivere di turismo è scontato che la strategia dei responsabili del comparto abbia preso molto sul serio il concetto di turismo eco sostenibile.

dall’alto: Anse Source d’Argent, Grand Anse,La Digue nella pagina accanto: Bird Island


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Denis Island

Coral & Fish

Mountains on Anse Major Trail

Angel Fish


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Lion Fish


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nella pagina accanto: Sunset Anse Soliel, Mahe in questa pagina dall’alto: market, fishing e Sting Ray

In primo luogo è stato creato un marchio Seychelles Sustainable Tourism Label che rappresenta la sintesi tra ricerca scientifica e la necessità di fare scelte pratiche legate allo sviluppo economico. Da un lato quindi abbiamo i ricercatori che aggiornano continuamente le informazioni utili per il controllo qualitativo dei processi naturali. Dalle informazioni si distillano gli standard di sviluppo ai quali le imprese devono adattarsi per rispettare l’ambiente. Gli operatori economici quindi collaborano attivamente trasformando le pratiche ecologiche suggerite in uno modo di organizzare le imprese a basso impatto ambientale. Ecco spiegato il perché le Seychelles pur essendo uno dei luoghi turistici più conosciuto al mondo rappresenta ancora oggi una occasione di incontrare la natura in tutta la sua bellezza. Evidentemente il futuro porterà nuove sfide. I turisti aumenteranno di numero, si svilupperanno imprese locali che attireranno visitatori molto diversi rispetto quelli che oggi frequentano resort di lusso. Tuttavia il modello creato sinora per fondere la conoscenza scientifica sullo stato dell’ambiente e le pratiche sostenibili sarà senz’altro utilissimo per ridurre al massimo l’impatto negativo del turismo. Il Governo delle Seychelles è seriamente impegnato a fare della sostenibilità uno standard riconosciuto e rispettato in tutto il mondo. Non è certo un caso se gli organismi di controllo dell’ambiente internazionali, collaborano attivamente con i rappresentanti delle isole, considerando le esperienze maturate nell’arcipelago come una modellizzazione di pratiche da esportare in tutto il mondo. Le Seychelles non sono solo un oasi di bellezza per turisti evoluti, ma si propongono come un laboratorio permanente capace di sviluppare un dialogo fecondo tra le ragioni della natura e i bisogni dell’uomo; un discorso la cui centralità purtroppo non è ancora riconosciuta da tutti i Paesi ma che non è esagerato considerare la vera sfida etica del XXI sec.


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Una città turistica patrimonio del XX secolo. La sorprendente stazione balneare creata da Jean Balladur è una esperienza che chi ama il mare, l’architettura, l’arte e la natura deve almeno per una volta nella vita vivere e conoscere.


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La Grande Motte

All’inizio degli anni sessanta il turismo francese e la clientela del Nord Europa che si spingeva fino al mediterraneo aveva come punto di riferimento la Costa Azzurre, la Spagna e in misura minore l’Italia. Il litorale della regione Languedoc-Roussillon, era, in quei giorni, caratterizzato da qualche porto (Le Grau-duRoi, Sète, Port Vendres…) dedicato alla pesca. L’entroterra era di una bellezza selvaggia, con dune desertiche e paludi infestate d’insetti. Il Generale de Gaulle e il suo Governo, per creare un’alternativa alla Costa Azzurra ormai satura di insediamenti turistici, e alla Spagna, decisero di creare ex nihilo una teoria di stazioni balneari lungo i 240 Km di coste della Languedoc. Tra questi nuovi insediamenti La Grand Motte è passata alla storia dell’architettura e dell’urbanismo come il modello di maggiore impatto, al punto che oggi viene considerato giustamente una forma d’arte complessa, probabilmente irripetibile in Europa. Il merito di questo successo spetta all’architetto visionario, Jean Balladur, che ne concepì il concetto e la realizzazione. L’idea centrale di Balladur era semplice e oggi condivisibile: una nuova città seppur dedicata al turismo doveva essere costruita per soddisfare tutti gli aspetti irrinunciabili della vita umana, e doveva durare nel tempo, ovvero doveva essere una risposta ai problemi che già all’inizio degli anni sessanta le persone più intelligenti non potevano non vedere. Questa visione si rivelò un successo. Balladur e il suo team realizzarono una città proiettata nel futuro, nella quale la natura, la sostenibilità come diremmo oggi, la circolazione delle auto e gli edifici garantiscono una qualità della vita difficilmente riscontrabile in altre località.

ARCHITECTURE

di Lamberto Cantoni


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Tuttavia, negli anni della fondazione e delle prime realizzazioni, il progetto di Jean Balladur scatenò un mare di polemiche. I suoi edifici, ispirati ai tempi precolombiani di Téotihuacan, scoperti durante un viaggio in Messico, in un contesto culturale dominato dallo stile internazionale e dalla figura carismatica di Le Courbusier, non furono accettati dalla maggioranza degli architetti. A distanza di mezzo secolo possiamo dire con certezza che le intuizioni estetiche di Jean Balladur erano degne di rivaleggiare con la creatività dei più grandi architetti del novecento. I suoi edifici piramide incapsulati in un’area ricchissima di alberi e giardini, si integrano al paesaggio delle dune della costa e con l’ecosistema che circonda e attraversa la città, senza sconvolgerne l’armonia.


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É difficile trovare una concentrazione di arte architettonica originale e provvista di forte personalità come a La Grand Motte. Sorprende che questa straordinaria stazione balneare sia tutto sommato così poco conosciuta soprattutto in Italia. Io credo che se tanti nostri architetti-geometri, responsabili degli scempi compiuti lungo le nostre coste fossero andati a studiarsi ciò che Jean Balladur stava realizzando, avremmo oggi una Italia più bella e più vivibile. Un ringraziamento particolare a Jean-Marc Lopez ( Responsabile Comunicazione La Grand Motte) per avermi fatto scoprire il genio e le meraviglie create da Jean Balladur. Per info: www.lagrandemotte.com


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Archistar? Sì, grazie

In queste pagine: Bodegas Ysios di Santiago Calatrava

Fino a pochi anni fa si chiamavano semplicemente architetti, ora si chiamano Archistar. Ma chi sono e cosa fanno? O meglio cosa hanno fatto per meritarsi il titolo di stelle del firmamento al pari di attori o cantanti. Le Archistar firmano progetti in cui emerge la genialità dell’architetto, edifici che divengono opere autoreferenziali, costruzioni modaiole che elevano l’architettura a brand. Il progetto diventa un prodotto da guardare per stupire, incantare e far incollare l’occhio dello spettatore alle pareti, spesso sconnesse o rotondeggianti. Gli edifici diventano scrigni glamour, opere narcisistiche in cui specchiarsi per cercare una nuova identità. È, infatti una nuova identità che si cerca commissionando un nuovo edificio a una Archistar, si ha bisogno di una rivoluzione che possa cambiare il corso della storia, si ha necessità di creare un ponte con il futuro, è urgente cambiare immagine, cercare nuove strade che portino prestigio e svecchino i vecchi palazzi che rappresentano il collasso di un sistema che non piace più. I protagonisti di questa provocazione posano schizzi a penna su tovaglioli ridisegnando i centri e le periferie di città presenti su tutti i lati del pianeta e sono Santiago Calatrava, Norman Foster, Franck O. Gehry, Renzo Piano, Zaha Hadid, Arata Isozaki, Massimiliano Fuksas e molti altri. Da Nord a Sud, da Est a Ovest il viaggio intorno alle mega architetture delle star le troviamo ovunque.

ARTE

di Simona Gavioli


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Da Bilbao, dove lo zampino lo hanno messo un po’ tutti o lo metteranno, dalla metropolitana disegnata da Norman Foster, all’innovativo Museo Guggenheim di Frank O.Gehry, dalla Torre di Iberdrola di Cesar Pelli fino alla prossima penisola di Zorrozaurre di Zara Hadid sono solo alcune. La Spagna ha deciso di puntare su questi architetti per cambiarsi d’abito, spogliarsi di una gonna che le stava stretta e vestire un sottoveste di tendenza. Così, dopo Bilbao, sono arrivate: la Bodega del Marqués de Riscal di O.Gehry e quella di Ysios, le grandi opere di Calatrava a Valencia con la costruzione della Città delle Arti e della Scienza, la Caja Forum a Madrid di Herzog & De Meuron, un edificio che sembra sospeso tra cielo e terra dove possiamo visitare gratuitamente mostre dei grandi maestri della contemporaneità. La Spagna ha fatto il salto e anche se la crisi avanza e pare che non ci siano più soldi, queste costruzioni crescono come funghi per cercare di sconfiggere un momento economicamente difficile con l’unica cosa che può farlo: la cultura. Altrove, in Europa, spuntano costruzioni in grado di attirare turisti, città che prima erano snobbate dal turismo mondiale ora sono mete di pellegrinaggio da parte di curiosi o giovani amanti dell’architettura e dell’arte contemporanea. Si stanno allineando al fenomeno Bilbao, anche Varsavia (Polonia), che un tempo era costretta a una dittatura imperante e che ora vive la sua primavera con il nuovo stadio (progettato da gmp architekten) che ha attirato, con gli ultimi mondiali, milioni di visitatori.

In queste pagine: Bergisel ski Innsbruck PH. Hélèn Binet


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A sinistra e in basso: Zorrozaurre di Zara Hadid Render @Zara Hadis Architects


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In questa pagina, nella sequenza in alto: il Guggenheim Museum a Bilbao in Spagna qui a destra: lo stadio nazionale di Varsavia, Polonia

Così Innsbruck (Austria) che da città racchiusa tra le montagne, diventa audace esempio di contenitore di creazioni architettoniche. Anche qui la vincitrice del premio Pritzker, Zaha Hadid, ha messo lo zampino studiando la stazione dell’impianto di risalita situato nel cuore della cittadina. Forme coraggiose ma di grande funzionalità ispirate allo sciogliersi dei ghiacciai. Anche in Italia, pare muoversi qualcosa, ci stiamo risvegliando dal letargo se pur lentamente. Milano punta sul quartiere Santa Giulia firmato da Foster, sulla antica Ansaldo trasformata in polo culturale da Chipperfield e sulla nuova fiera disegnata da Fuksas. Venezia, come Reggio Emilia, si allinea al vento europeo con il ponte di Calatrava che, non con poche polemiche, è riuscito a prendere posto in un punto nevralgico della città veneta. A Roma troviamo l’Auditorium di Renzo Piano e il neonato Maxxi di Zaha Hadid, il nuovo Macro di Odile Decq o il prossimo centro congressi Nuvola di Fuksas. L’Italia è ancora indietro rispetto alla città del vecchio continente, la scarsa propensione al futuro del popolo italiano pare trovare non pochi ostacoli alle costruzione di questi colossi cambia immagine. Chissà se riusciremo a capire che dobbiamo andare avanti e non vivere solo di ciò che siamo stati.


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SetUp Art Fair 2014 di Anna Serini SetUp è la fiera d’arte indipendente di Bologna che rivolge l’attenzione agli artisti emergenti presentandosi come piattaforma culturale. Il nome “SetUp” indica le intenzioni del progetto: se il termine significa tecnicamente “predisporre le operazioni per il successivo avviamento di un sistema”, l’impegno e la scommessa degli organizzatori è mettere in atto un nuovo processo per ripensare il sistema Arte. Dopo il successo della prima edizione, accolta con entusiasmo da oltre 8.200 visitatori, Simona Gavioli e Alice Zannoni puntano nuovamente sulla formula vincente del debutto, riconfermando il format: la galleria presenterà un progetto curatoriale seguito da un giovane critico under 35, con la partecipazione di un giovane artista under 35, insieme alla scuderia della galleria stessa. L’Autostazione di Bologna è riconfermata con una metratura più ampia per poter accogliere il crescente numero di gallerie. Riproposto il Premio SetUp per puntare nuovamente sulla sinergia dei giovani attori dell’arte contemporanea riproponendo il modello di successo galleria-curatore-artista. Sabato 25 gennaio saranno i Giovani Imprenditori ad affiancare il comitato scientifico (Lorenzo Bruni, Daria Filardo, Helga Marsala) e il comitato di direzione (Simona Gavioli e Alice Zannoni) nella selezione del migliore artista Under 35 e miglior curatore Under 35 della manifestazione.

Contemporary Party I Giovani Imprenditori di Unindustria Bologna hanno deciso di organizzare il Contemporary Party, l’evento annuale d’arte dei Giovani Imprenditori di Unindustria Bologna durante la White Night, nella Piazza coperta dell’Autostazione. “Con questa iniziativa vogliamo dare un segnale di vivacità e di non rassegnazione ad una generazione che non può e non deve stare alla finestra. Il cambiamento va sfidato a viso aperto con lo spirito ottimista che ci contraddistingue. Per trasmettere questo messaggio abbiamo pensato di organizzare il tradizionale Contemporary Party dei Giovani imprenditori nel luogo simbolo dell’avanguardia artistica della nostra città: l’Autostazione durante il SetUp Art Fair”, dichiara il Presidente dei Giovani Imprenditori di Unindustria Bologna, Gian Guido Riva.

Rinnovato negli artisti, ma non nel concept, il Ricreatorio, spazio di interazione sociale attraverso l’arte che con un’istallazione inedita di Nino Migliori, Andrea Bianconi e le carte da gioco degli Ori Editori, sarà una delle punte di diamante per gli appassionati d’arte che in quei giorni confluiranno a Bologna.

ART

Il programma culturale rimane una colonna portante della manifestazione con un focus che individua il tema della riqualificazione (sociale, urbana, collettiva, morale) indotta dalla cultura come motivo di stimolo. SetUp farà confluire a Bologna nomi e realtà di riferimento del panorama dell’arte contemporanea nazionale e internazionale e sarà curato da Martina Cavallarin con l’assistenza al progetto di Matteo Rudolf Di Gregorio e il coordinamento culturale e organizzativo di Alice Zannoni.


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Contest P(in)g P(on)g. La seconda edizione di SetUp allarga gli orizzonti e approda sulla piattaforma Instagram con il contest P(in)g P(on)g. Niente di innovativo, dato che il social network si presenta come uno dei più utilizzati con i suoi milioni di utenti; qui sta la vera scommessa degli organizzatori, che hanno voluto profilare la natura collettiva e mainstream con una struttura che punta alla qualità degli scatti selezionati grazie ad una giuria autorevole e altamente qualificata in ambito fotografico e con la partnership della Fiaf (Federazione Italiana Associazioni Fotografiche). Tema del contest è il ping pong, per le molteplici declinazioni e accezioni culturali che esso contiene e che rendono il tema aperto ad un ampio range di utenti Instagram in tutto il mondo. “Il ping pong è un ottima metafora della vita in cui servono abilità di coordinazione, velocità, rapidità di pensiero, sensibilità di tocco” dicono gli organizzatori; il ping pong inoltre sarà presente a SetUp nello spazio “Ricreatorio” con un’installazione inedita di Nino Migliori che vedrà giocare i visitatori al buio con pallina, racchette, linee del campo e rete reattiva alla luce di wood. I premi in palio costituiscono un altro importante segnale che qualifica le intenzioni degli organizzatori: per i primi 10 selezionati, infatti, un workshop con Simone Bramante, Edoardo Lavagno e Davide Urani con lo scopo di attivare sinergie in un’ottica di partecipazione; le tre migliori foto delle dieci selezionate inoltre verranno pubblicate su Fotoit - organo ufficiale della Fiaf - e il miglior scatto in assoluto riceverà anche il catalogo La Materia dei sogni di Nino Migliori, la più ampia ed articolata antologica degli ultimi decenni. Partecipare è molto semplice: è sufficiente avere un account Instagram e fotografare con lo smartphone menzionando lo scatto con l’account di SetUp @setupartfair e usando l’hashtag #PingPongSetUp, fino al 19 gennaio 2014. La premiazione si terrà nella sala Talk di SetUp presso l’Autostazione di Bologna, domenica 26 gennaio 2014 alle ore 18.00.


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Informazioni: Comitato Scientifico SetUp: Lorenzo Bruni, critico e curatore indipendente e direttore artistico della Fondazione olandese Binnenkant21; Daria Filardo, storica dell’arte, docente universitaria e curatrice indipendente; Helga Marsala, giornalista, critica d’arte e membro dello staff di direzione di Artribune. Giuria del Contest: Nino Migliori (tra i più imprevedibili e multiformi ricercatori italiani nel campo della fotografia) e Roberto Rossi (Vicepresidente Nazionale Fiaf e promotore del Centro Italiano della Fotografia d’Autore) in team con tre global influencers della community Instagram: Simone Bramante (conosciuto in rete con il nome “@brahmino”, appena menzionato da Forbes come uno dei dieci profili Instagram più interessanti a livello globale), Edoardo Lavagno (“@ikals”, è tra i profili

suggeriti da Instagram ed è stato tra i primi membri scelti per il lancio dell’AMPt) e Davide Urani (“@omniamundamudis”, che in soli due anni di Instagram ha avuto più di cento riconoscimenti dalle comunità più attive importanti della rete). Vernissage: 23 gennaio su invito ore 19.00-22.30 | 22.30-1.00 apertura al pubblico Data: 23/26 gennaio 2014 Orario: 24-25 gennaio: 17.00-1.00 26 gennaio: 14.00-22 Costo Biglietto: € 3,00 Luogo: Autostazione Bologna - Piazza XX Settembre 6, angolo via dell’Indipendenza www.setupcontemporaryart.com

Lo staff 2014 pronto per la seconda edizione


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Un dentro e un fuori che accoglie e lascia liberi. La cucina di Aurora Mazzucchelli Fuori dalla città, lungo la strada che anticipa l’Appennino ToscoEmiliano, oltre un paesaggio dove si mescolano colori e suoni, dove regnano silenzio e pace e la natura imperante padroneggia sull’uomo annientando il nostro Io e facendoci cadere nelle braccia del sublime, c’è Aurora Mazzucchelli, chef del Ristorante Marconi. Bolognese con la B maiuscola, classe 73’, il destino di Aurora era già scritto dal tempo in cui i genitori aprirono la trattoria nel 1983. Nel suo futuro c’era già quel sapore di piatti profumati, freschi e innovatori, nel suo destino già palpitava il sentimento della cucina, anche se ancora non ne era consapevole. Fu la scelta coraggiosa, il cambio di marcia e l’inversione di tendenza a determinare la fortuna del ristorante Marconi che, nel 2000, svecchiò i cliché della cucina tradizionale, dando uno slancio verso l’alto alla cucina bolognese. Un anno importante che vide molti cambiamenti e influenzò diverse discipline, dall’arte contemporanea alla letteratura, dal design all’architettura fino ad arrivare alla gastronomia. Così, l’inizio del XXI secolo ha dato il “LA” a una rivoluzione silenziosa e sotterranea, si sono ri-scritti linguaggi, rotti i tabù, evaso le carceri dell’inespressione contro lo scandire delle regole, gli obbligo morali della tradizione e il vecchio galateo che imponeva un ordine. L’anno zero, nell’arte, ha aperto le porte alla femminilizzazione, facendo crollare i pregiudizi di genere e mettendo la donna in una posizione importante, conquistata duramente. Nella cucina si è verificato lo stesso fenomeno, demolendo l’immagine della donna “angelo del focolare” ed elevandola a più alti gradini. È proprio partendo da qui che la Mazzucchelli, è riuscita a sconvolgere un ristorante che rispettava i canoni convenzionali della trattoria di periferia a favore di una proposta più moderna e appassionante. Aurora Mazzucchelli è stata in grado di fare una rivoluzione cosciente, mettendo in gioco se stessa. Saper avanzare è scardinare i sistemi e re-inventarli, mettersi in discussione ogni giorno per arrivare a costruire una nuova torre sulla quale salire.

FOOD

di Blue G.


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Aurora è uno chef che osserva, sperimenta, assaggia, custodisce, si confronta, dialoga, soffre unitamente ai suoi piatti, che, nel corso degli anni sono diventati sempre più eleganti e raffinati nel gusto. È una chef comandata da quell’amore viscerale che alimenta la passione, da quel fuoco che genera genialità, da quel calore interiore che diventa il new leitmotiv dei suoi menu. La Mazzucchelli è fedele ai suoi piatti, il concetto di interiorità e di racchiuso, di passione e amore trapelano perfettamente nel suo modo di essere così come nella sua cucina che è un modo di donare e donarsi, un pegno di generosità, un mezzo che misura la capacità di offrire e offrirsi totalmente agli altri, creando un legame tra interno che contiene ed esterno che comprende. Non a caso il suo piatto dell’amore è il Raviolo di Parmigiano, fiori di lavanda e mandorle tritate. Qui, tutto parte della parte sinistra del nostro corpo, quella che pulsa, quella che da un senso alla vita rinviando al senso materno, al suo rinchiudersi al mondo per poi aprirsi allo stesso con amorevolezza ed energia, quell’energia necessaria a contenere un sentimento. In questo Raviolo tanto emiliano, stanno imprigionate le emozioni che esplodono nel momento in cui, affondando i denti, si spacca avidamente la pasta fresca facendo fuoriuscire la crema di parmigiano che lentamente implode in bocca. Una rêverie obbligata, un’istanza onirica, un’invasione della lavanda che risveglia il sonno della ragione e ripulisce dai pensieri lussuoriosi provocati dall’unione della pasta e del suo ripieno. Se per Seneca: “L’interiorità è l’unico luogo dove gli uomini possono sottrarsi anche agli avvenimenti esterni negativi”, allora per Mazzucchelli questa interiorità diventa il consumo lento e profondo dell’amore, toccando le vette più alte del desiderio per, poi, calarsi in un caldo abbraccio e in un’attesa maternità. “L’attimo prima” prepara la strada all’ultimo atto che completa il desiderio di vita. La mandorla, posta come piccoli puntini grattuggiati a ricordare un’opera di Yayoi Kusama composta di minuscoli frammenti di desiderio o attimi finali di un’azione che preannuncia un amplesso. Lo spazio del piatto di Aurora Mazzucchelli, è l’accoglienza nei luoghi della libertà gustativa. Ci accetta riaprendo le porte delle sensazioni, dentro cui non siamo più stranieri. La sua cucina è apertura. Apertura che spalanca con i sapori le dimore sbarrate dentro di noi. La cucina di Aurora Mazzucchelli cura le ferite esistenziali portando sul piatto un Raviolo che sa di calore materno. Il Raviolo di Parmigiano, profumo di lavanda e mandorla non è solo un luogo di maternità cosmologica ma anche un’anima partoriente con un dentro e un fuori che accoglie e lascia liberi.


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Aurora e Massimo Mazzucchelli

Ristorante Marconi Via Porrettana 291 40037 Sasso Marconi (BO) Tel. +39 051 846216


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TORTELLO DI PARMIGIANO REGGIANO AL PROFUMO DI LAVANDA, CREMA DI BURRO, NOCE MOSCATA E MANDORLA

Ingredienti per 4 persone Per la pasta fresca 200g di farina di semola rimacinata grano duro 100g di farina 00 n.2 uova intere n.2 tuorli Impastare gli ingredienti velocemente, formare una palla e metterla a riposare per 30 minuti prima di tirarla per la preparazione dei tortelli. Per la salsa al burro 1lt brodo di carne 80g farina 00 70g burro 400g burro a poma per montare Sale, noce moscata Preparare un roux con burro e farina. Scaldare il brodo, versare sul roux e portare a cottura. In una planetaria mettere una parte del burro e poco brodo sino a ottenere una crema abbastanza densa (alternare brodo e burro fino ad ottenere una crema). Aggiustare di sapore. Per il ripieno di parmigiano reggiano 300g di parmigiano reggiano 24 mesi vacche bianche 100g di panna liquida 60g di latte 6g di fiori lavanda secchi Portare la panna e il latte a 70°C, togliere dal fuoco e aggiungere la lavanda. Lasciare in infusione per 2 ore e trascorso questo tempo filtrare, riscaldare e, fuori dal fuoco, versare sul parmigiano. Emulsionare con il minipimer o il cutter, mettere il ripieno ottenuto in un sacà -poche e farcire la pasta fresca tirata sottilmente. Formare dei tortelli. Per la finizione n.1 noce moscata gr. 200 mandorle pelate e tostate Cuocere i tortelli in acqua salata bollente, scolarli e condirli con la salsa al burro preparata precedentemente. Terminare il piatto con polvere di mandorla e noce moscata.


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AL TOP di Roberta Filippi Le origini di AL TOP sono legate ad una grande spiaggia affacciata sull’oceano Atlantico, con il sole che si immerge nel mare per il suo classico bagno serale, quattro caipirinhe e sullo sfondo la duna di Jericoacoara con tanta gente che immortala questo spettacolo della natura. Immersi in questo paesaggio 4 amici, uniti dalla passione per il Kitesurf, si innamorano di questo modo di dire… “AL TOP”… e decidono di farlo proprio attribuendolo come marchio identificativo delle loro idee che in seguito andranno a sviluppare.

Il nome della birra, 6.2, è stato ispirato dalla passione che accomuna i ragazzi, il surf. Infatti 6.2 non è altro che la misura di una delle loro tavole preferite. Le diverse tipologie della birra 6.2 sono prodotte dal birrificio Sguaraunda di Bergamo sulla base delle ricette che AL TOP e i birrai bergamaschi hanno creato insieme.

E anche quest’anno, AL TOP rinnova la sua presenza a Bologna all’interno della Fiera d’arte contemporanea indipendente SetUp. Un ulteriore passo per sottolineare l’importanza della cultura artistica che contraddistingue il marchio. Il design delle bottiglie, la scelta creativa e tutto ciò che ruota intorno a AL TOP Ideas ha un senso estetico molto alto. Non a caso AL TOP arricchisce il suo prodotto con accessori e compendi d’arredo molto particolari. Anche in questi piccoli oggetti si sviluppano l’estro e le idee AL TOP, inoltre per la realizzazione di questi “prodotti” vengono impiegati materiali scartati e destinati allo smaltimento. Il progetto denominato 6.2 AL TOP BEER nasce da una di queste idee. AL TOP ha deciso di avventurarsi nel mondo della birra perché affascinato da questo prodotto, dalle varietà esistenti, dalla sua tradizione centenaria, dalla sua diffusione, ma soprattutto dal suo fattore aggregante. La birra, se è buona, si beve volentieri, ma la si beve ancora più volentieri in compagnia!

Luca Carleschi

Giovanni Buffoli

Gianluca Gallia

Claudio Sora

BEER

AL TOP si configura come una sorta di incubator di idee, in cui i quattro soci, Giovanni Buffoli, Luca Carleschi, Gianluca Gallia e Claudio Sora, elaborano e sviluppano progetti che li affascinano e li entusiasmano. L’aim è la soddisfazione di vedere realizzati concept ed idee che fino a poco tempo prima balenavano solo nella mente e che poi, con l’impegno e il lavoro, vengono tramutate in realtà.


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La nuova stagione di Baracuta di Roberta Filippi

Manchester, la città sinonimo di temporali, è diventata la capitale mondiale della produzione di impermeabili. Ed è proprio grazie all’abbigliamento da pioggia che è nato Baracuta. A quell’epoca Manchester era una località dinamica, nota per la produzione tessile. Nel 1937 John e Isaac Miller cominciano a produrre il primo G9 Baracuta nella fabbrica di Chorlton Street a Manchester, dettaglio che contribuisce a definire il marchio: è l’incarnazione autentica della giacca G9, che negli anni successivi continua a essere prodotta a Manchester. Il G9 rappresenta lo spirito di Manchester e allo stesso tempo un desiderio di crescita sociale, dato dalla sua associazione originaria con il golf. I fratelli Miller stessi aspiravano a diventare golfisti esperti, interesse che aveva influito sulla creazione della G9.

Internamente la giacca è foderata con il famoso tartan Fraser, motivo risalente al 18° secolo che ha attraversato indenne diverse guerre civili e tra clan. Nel 1938 John Miller ottiene l’autorizzazione a usare il tartan Fraser per la fodera della G9 da Lord Lovat 24°, capo del clan Fraser.

FASHION

La versatilità del G9 Baracuta è da sempre il suo punto di forza. Originariamente famoso tra i golfisti per l’effetto “ombrello” sulla schiena, in grado di far scivolare via l’acqua, è il capo ideale per praticare qualsiasi tipo di sport in quanto prevede l’elemento traspirante. Quando Arnold Palmer indossa una G9 per gareggiare a St. Andrews, la giacca si dimostra la tenuta perfetta per un torneo di golf. La lunghezza delle maniche, i polsini e l’orlo elasticizzati e la linea complessiva della giacca non si limitano a denotare una classe senza tempo, ma si rivelano anche particolarmente performanti quando si pratica sport. Una zip intera si abbina ai bottoni sul colletto per completare quello che molti considerano un esempio perfetto di forma che segue la funzione.


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Il legame culturale con Manchester viene usato per esportare il marchio negli States nel 1950. Il G9 viene scelto dagli studenti dell’Ivy League che lo preferiscono per la sua natura versatile: formale ma sportiva, che coniuga lo spirito dell’atleta e dell’esteta. In seguito, nel 1954, Elvis indossa un G9 nel film “La via del male” (King Creole), proponendo la giacca ad un pubblico ancora più ampio. Paul Stewart, primo distributore di New York City, apre la sua attività e getta le basi per la popolarità del capo negli Stati Uniti. Nel Regno Unito, invece, l’autorevole Ivy Shop di John Simons a Londra è accreditato per contribuire alla diffusione del G9, che continua a vendere ancora oggi. Rodney Harrington, personaggio di Ryan O’Neal nella serie Peyton Place del 1964, indossa sempre un elegante G9: è così che la giacca diventa famosa come la “Harrington jacket “, appellativo che conserva tuttora. Sempre nell’ambito cinematografico, nel 1968 Steve McQueen indossa un G9 ne “Il caso Thomas Crown” (The Thomas Crown affair): questa giacca, sfoggiata sulla copertina di Life Magazine, diventa immediatamente un must del suo guardaroba. Con le sue origini sartoriali e icone del calibro di Elvis Presley e Frank Sinatra, il G9 incontra l’approvazione della scena mod e, più tardi, di fan ska e punk: da Hollywood e dall’Ivy League la giacca si diffonde tra la gente comune. È questo l’inizio della fama del G9: un design funzionale che si presta a ogni genere di stile . Succede raramente che un capo di abbigliamento incontri il favore di gruppi sociali così diversi con punti di vista e gusti altrettanto diversi. Il G9 conserva la sua popolarità ancora oggi, raggiungendo l’ennesimo apice di iconica visibilità quando i Clash indossano il loro Baracuta nel famoso concerto del 1981 a Times Square. COLLEZIONE PRIMAVERA/ESTATE 2013 WP Lavori in Corso, distributore internazionale di Woolrich John Rich & Bros, Woolrich Woolen Mills, BD Baggies e Avoncelli che ha recentemente acquisito il marchio Baracuta, presenta la sua prima collezione SS13 a Pitti Immagine Uomo. La collezione Baracuta SS13 si muove nel rispetto della storica tradizione del marchio e presenta due etichette: la Ivory Label, la core collection basata sull’iconica reinterpretazione della G9, e la


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designer collection nota come Blue Label. La Ivory Label presenta la versione Made in UK del G9 e del G4. Queste due giacche classiche restano fedeli alla loro identità e alle loro caratteristiche iconiche (l’effetto “ombrello”, i polsini elasticizzati, la serie di bottoni sul colletto e la fodera in tartan Fraser) ma, dal punto di vista tecnico, risultano più evolute grazie all’uso di nuovi materiali performanti come il nylon di cotone, resistente agli acquazzoni, e una nuova fodera in cotone coolmax. Il G9 e il G4 “made in England” saranno proposte in otto colori tradizionali, tra cui ghiaccio, navy scuro, nero scolorito e sabbia di Cornovaglia. Le nuove linee di giacche della collezione Ivory Label, tra cui l’impermeabile e la serie tinta in capo, sono rivisitazioni delle icone originali. L’iconico trench Baracuta è stato reinterpretato in chiave moderna ispirandosi ai dettagli del G9, come il colletto, il tartan Fraser e l’elemento traspirante. La serie tinta in capo, pensata per un target più giovane, proporrà gli iconici G9 e G4 tinti in 10 nuovi colori ispirati agli anni ’80: giallo intenso, verde brillante e azzurro chiaro solo per citarne alcuni, con l’iconica allacciatura sul collo decorata con la bandiera inglese. La seconda linea è la designer collection nota come Blue Label, un progetto ideato da Kenichi Kusano, ex Direttore dell’istituzione giapponese Beams+. Kusano si è ispirato all’esercito britannico del 18° e del 19° secolo, facendo un viaggio culturale nel mondo manifatturiero britannico per la sua elaborazione creativa di elementi di design e tessuti. Tra i dettagli ricordiamo le tasche esterne, la struttura interna e i colori di ispirazione militare. Saranno dieci i modelli disponibili, tra cui una G9 e una G4 dal sapore militare, una field jacket a tre quarti, un giubbotto e un trench ispirato al modello degli anni ’40. I materiali sono il popeline di cotone, il cotone spigato 100% (il tessuto autentico dell’esercito inglese), il cotone rivestito ed il poliestere “black watch”, il tartan militare usato dall’intelligence del Regno Unito.


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Il dandy avventuroso

Suggestioni e congetture sul fascino di Corto Maltese

di Lamberto Cantoni

“Il dandy, invece, senza violare in alcun modo le leggi sottili della moda, riesce a creare simboli molto più sottili attraverso i quali manifestare la propria personalità” Max Beerbohm

Per i disegni di Hugo Pratt: Hugo Pratt™ and Corto Maltese® are © Cong SA, Svizzera www.hugopratt.com - tutti i diritti riservati.


Nel luglio del 1967 Hugo Pratt pubblica per l’editore genovese appassionato di fumetti Fiorenzo Ivaldi, le prime strisce di “Una ballata nel mare salato”, sulle quali appare per la prima volta il personaggio che più di altri lo rendera’ celebre anche tra il pubblico lontano dalla cultura del fumetto. Bisogna aggiungere che la straordinaria notorietà di Hugo Pratt/ Corto Maltese non arriverà di colpo. Dopo la citata prima apparizione sulle pagine della rivista St. Kirk, il “romanzo disegnato” delle avventure del marinaio filosofo terminera’ la pubblicazione delle strisce nel febbraio del 1969. In quella fase inaugurale solo poche migliaia di lettori gioirono della novita’ rappresentata da un personaggio anomalo per mondo dei fumetti, che con il senno di poi possiamo classificare come il culmine creativo di un grande autore. La vera popolarità iniziera’ ad accumularsi dopo soli due anni ovvero quando la ballata verra’ ripubblicata a puntate sul Corriere dei Piccoli, a partire dal 1971. Quando poi Mondadori raggrupperà i suoi disegni in un’unica opera nel 1972 il successo di Corto Matese diviene inarrestabile non solo tra i fanatici del fumetto o tra i giovanissimi, ma anche tra chi in un comics apprezza soprattutto l’arte, la letterarieta’, la visionarieta’ e la dimensione di eroe fragile lontana dalle troculente figure tradizionali che spopolavano in quegl’anni, in un genere osteggiato sia dalla maggioranza degli intellettuali e sia dalla dominante mentalità borghese. Chi è dunque Corto Matese? Delle sue origini sappiamo ben poco. L’autore distribuisce nel testo con molta parsimonia le informazioni biografiche che lo riguardano. Sembrerebbe essere nato nell’isola di Malta nel centro del Mediterraneo. La madre era una bellissima gitana di Siviglia chiamata Nina di Gibraltar della quale si ricorda l’esperienza di modella per il pittore Ingres, probabilmente per rafforzare l’idea di una una donna fuori dagli schemi. Nel tardo ottocento la professione di modella non era certo paragonabile a quella di oggi. Detta come vuol detta è probabile che persino a Parigi, dove avrebbe posato per il celebre pittore, la si considerasse una demi mondaine. Un bel giorno, non sappiamo dove, si innamoro’ di un marinaio inglese nato nella cittadina di Tintagel King’s Arthur Castle, in Conovaglia. Fu un amore improvviso ed occasionale. Del marinaio inglese si persero subito le tracce e il suo nome non viene mai citato nelle 29 storie che narrerà l’autore. Conosciamo pero’ la data di nascita di Corto Matese: il 10 luglio

del 1887; la trombata fatale potrebbe essere stata concepita tra novembre/dicembre dell’1886, durante una forzata pausa invernale delle attività marinaresche. Il nostro eroe trascorse la sua infanzia tra La Valletta e Cordoba. Nella cittadina maltese frequento’ la scuola ebraica del rabbino Ezra Toledano, ex amante della madre e cultore della Zohar e della Cabbala. A 17 anni ovvero nel 1904 si imbarco’ come marinaio per 4 anni sul Vanità Dorata, un cargo che come prima tappa lo porta a Buenos Aries, dove impara a ballare il tango. La rotta prosegue verso il Brasile, le Antille e New Orleans. In Luisiana si interessa del vudù. Poi è la volta dell’India, della Cina, Giava, isole Tonga. In Manciuria, a Mukden, durante la guerra russo-giapponese incontra Rasputin, un disertore senza scrupoli con propensioni criminali da serial killer, con il quale si imbarca per l’Africa alla ricerca delle favolose miniere d’oro di Duncalia. È l’inizio di una lunga ambivalente e pericolosa amicizia che viaggia lungo i confini della vita e della morte. Gli incontri con personaggi dal pessimo curriculum si moltiplicano. In Patagonia fa la conoscenza con i fuorilegge Butch Cassidy e Sundance Kid; ad Ancona nel 1907 incrocia un inquietante portiere d’albergo di nazionalità russa, Dzugasvili, che nasconde la sua vera professione: si tratta di un rivoluzionario dormiente, che più il la’ negli anni con il nome di Stalin diverrà l’incubo per l’Occidente, trasformandosi in uno spietato sterminatore di masse. Nel 1910 intraprende un business che lo vede trasportare bestiame da Boston a Liverpool. L’attività va presto a rotoli e in seguito alle traversie giudiziarie che lo incalzano diventa un pirata. Nel 1913 la sua ciurma sobillata dal nostromo, fratello di una ragazza che in qualche modo Corto Maltese aveva illuso, si ribella e lo getta nel Pacifico al largo delle Isole Salomone, legato ad una rudimentale zattera, abbandonandolo a suo destino. Viene miracolosamente salvato da Rasputin, divenuto anch’egli un pirata, entrambi al soldo del misterioso “Monaco”. Nel 1917 lo troviamo in America Latina e a navigare nei Caraibi in avventure che tra divinazioni, sogni e droghe culmineranno nella scoperta delle forze fondamentali dell’universo. Poi soggiorna in Europa. Nel 1918 in Francia assiste all’abbattimento di von Richthofen il celebre Barone Rosso. Nell’autunno dello stesso anno è nella Somalia Britannica. Si sposta in Etopia e poi nell’Africa orientale occupata dai tedeschi. Soggiorna per un po’ nella sua casa ad Hong Kong, apprendendo dal ritrovato Rasputin la fine della guerra. Nel 1921 appare a

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Venezia, prima di partire alla ricerca del tesoro di Alessandro Magno, in un viaggio che lo porterà in Azerbaijan e nel nord del Pakistan. Nel 1923 ritorna a Buenos Aries e indaga sulla misteriosa scomparsa di Louise Brookzowyc implicata in un traffico di prostitute. L’anno dopo compie un viaggio in svizzera. Vi conosce la pittrice Tamara de Lempicka con la quale si reca a Montagnola sul Ticino a Casa Camuzzi nella quale aveva domiciliato lo scrittore Hermann Hesse, dove beve il siero dell’immortalità. Tra il 1924 e 1925 con Rasputin si reca nei Caraibi alla ricerca di Atlantide, una avventura che si trasforma in una vera e propria esperienza interiore. Nel ‘28 e l’inizio del ‘29 è di nuovo in Etopia in compagnia del romanziere Henry de Manfried. In seguito fino al ‘36 conduce una vita misteriosa della quale non ci è dato sapere nulla. Riappare con l’inizio della guerra civile spagnola come combattente nelle Brigate Internazionali. È l’ultima impresa prima che cali sulla sua vita un lungo definitivo silenzio. Una lettera di Pandora Groovesnore citata in una lettera di Obregon Carrenza, posta a prologo della prima graphic novel disegnata da Pratt, mi permette di congetturare che il nostro eroe era ancora vivo nel 1965; un po’ rincoglionito e depresso per la morte di Tarao, l’inseparabile compagno della sua vecchiaia, ma ancora capace di reggere in solitudine l’angoscia del “suo grande mare”. La critica più attenta ha giustamente classificato Corto Maltese affibbiandogli l’etichetta del gentleman avventuroso, intriso di cultura romantica. Una sorta di eroe dal volto umano che pur partendo da posizioni ciniche o utilitaristiche alla fine lo troviamo sempre schierato con le idee giuste, buone e belle. Fondamentalmente sembra un personaggio disilluso dalla vita di relazione degli uomini, decisamente agnostico rispetto il sistema di valori correnti, molto sicuro del suo sentire individuale dal quale discendono le scelte decisive quando l’azione annoda le parti in gioco in situazioni contraddittorie. Per esempio nelle celtiche rifornisce di armi i terroristi irlandesi apparentemente per denaro. Ma poi rischia l’impossibile per vendicare un amico ucciso dagli inglesi facendo esplodere una intera caserma. Nel frattempo mantiene rapporti non privi di cordialita’ con entrambe le fazioni in lotta. Direi che l’autorità, la legge gli fa problema. È scettico nei confronti di chi si autoproclama detentore delle ultime parole.

Sembrerebbe essere il risultato di un complesso edipico bizzarro. Da un lato il padre assente avrebbe causato il suo nomadismo nautico/esistenziale; dall’altro lato l’immagine materna molto forte (in tutte le sue avventure Corto è un perfetto gentleman anche con donne che non lo meriterebbero) rende complicata ogni ipotesi di relazione con l’altro sesso ma in cambio conferisce al suo errare alla ricerca del padre perduto una abilita’, un saperci fare, una capacita’ di tessere eventi polarizzanti spesso intrisi di mistero, da farlo diventare l’eroe che trasforma il caos evenemenziale dell’avventura in storie, racconti, ballate. Di passaggio aggiungo che il segno grafico di Pratt è fantastico. Il piacere visivo delle sue grafic novel basterebbe a soddisfare la passione di qualsiasi amatore del fumetto. Ma in Corto Maltese c’è dell’altro. L’effetto del testo va aldilà di ciò che Pratt sembra voler raccontare. Molti hanno insistito con il parallelismo Pratt-corto, come se la biografia o le supposte intenzioni dell’autore bastassero a chiarire ogni aspetto del personaggio. Io penso invece che come succede in alcuni romanzi di Queneau, Corto sia sfuggito al controllo dell’autore trascinandolo in una deriva paradossale dove, forse, è più il fumetto a rimescolare Pratt che non viceversa. Le caratteristiche che del personaggio che ho elencato sono sufficienti per spiegarne il successo? A me sembrano dimensioni che non necessitano di molte spiegazioni. Ma al tempo stesso non le ritengo sufficienti per comprenderne la diffusione virale e l’amore ai limiti del fanatismo per Corto Maltese. Per esempio è stato riconosciuto che Corto è affascinante. Non ci sono dubbi che l’idea di uomo ideale nei sessanta e settanta aveva evidenti connessioni con il fisico del marinaio maltese. È quasi sempre più alto dei personaggi che lo circondano, è magro, dinoccolato, i basettoni che incorniciano il volto attenuano l’eccessiva regolarità dei tratti... Insomma, anche se le donne che incontra sono quasi sempre intrattabili e per ragioni di sceneggiatura inespugnabili, non c’è dubbio che di fronte alla sua persona tutte tradiscano l’incertezza, i leggeri cedimenti o le sospette ruvidezze che non possono che alludere all’impatto che Corto provoca in loro a livello di linguaggio di relazione. In qualche modo ci pare che vengano sedotte anche se l’esito di questo processo passionale non arriva mai alla sua conclusione naturale. Per contro, si ha la sensazione che reagiscano al fascino


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di Corto trasformandone l’impatto in un principio di incazzatura. Una sorta di fastidio per un personaggio del quale sembra che di colpo percepiscano il fatto, che non potra’ mai appartenergli, e nello stesso tempo non potranno nemmeno evitare di farci i conti. Si, indubbiamente Ugo Pratt ha voluto che il suo eroe avesse prima di tutto fascino. Sia con le donne e ancor di più forse con gli uomini (il povero Rasputin è indubbiamente la sua vittima preferita). Ama l’avventura, in qualche modo la trova, ma vi partecipa con una solidità etica che sembra non conoscere cedimenti. A volte si ha l’impressione che la sua arma preferita sia la seduzione. Ecco perché le sue apparenze sono diverse da altri personaggi prattiani. Luca Zane, in Anna nella jungla, uno dei primi fumetti dell’autore, ha qualcosa di Corto. Ma la sua onnipresente t-shirt nera, portata con il fazzoletto legato al collo come un cow boy, non alludono a nient’altro che al personaggio ben contestualizzato. Criss Kenton nella saga Wheeling in qualche striscia esibisce un look aggraziato dall’effetto straniante: penso alla camicia elegante con il farfallino indossata sotto ad un cattivante giaccone di pelle sfrangiato ai bordi. Ma nella costruzione iconica del bel marinaio maltese, Pratt sembra disegnare con molta più attenzione le apparenze del suo personaggio. Ma come classificare il fascino di Corto Maltese? Non è certo il fascino carismatico del tambeur de femmes. Troppo ironico, troppo tagliente ... E poi Corto ama troppo la conversazione sottile per posare, per mettersi semplicemente in bella vista. La sua curiosità, il piacere per i piccoli indizi gli impediscono le silenziose recite che impone il carisma e la seduzione fini a se stessi. Avanzo quindi la congettura che il fascino di Corto sia legato al suo essere un dandy. Se al posto della città mettiamo i mari, i deserti, i porti mi sembra di poter sostenere che in questi non luoghi il nostro eroe si muova come il flaneur di Baudelaire, ovvero come il personaggio che reagisce alla modernità e alle mode con l’atteggiamento blasé di chi sembra accettarne l’ineluttabile realtà senza aderirvi completamente, senza passione. Ovviamente il modello di riferimento per comprendere il dandismo di Corto non può essere Mr. Brummel, dal quale discende una interpretazione debole dello stile fop troppo centrata sull’abbigliamento.


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Il personaggio di Pratt non si cambia l’abito tre volte al giorno, ogni giorno dell’anno; non impiega tre ore a vestirsi, non passa il resto del suo tempo consultando sarti e custodi del suo guardaroba. Come riconobbero Max Beerbohm e Charles Baudelaire, i tratti pertinenti necessari per comprendere l’effetto che produce il dandismo vanno aldilà della forma delle apparenze le quali restano tutto sommato semplici, accese solo da piccoli tocchi di distinzione, ma mai eccentriche o snob. “I dandismo è l’ultimo atto di eroismo nei periodi di decadenza”, scrive Baudelaire in pagine famose. E alla fine del suo breve scritto elenca caratteristiche della bellezza del dandy che trovo estendibili a Corto Maltese: il modo di portare un abito, leggerezza d’andatura, sicurezza nei gesti, una semplicità nei modi pur nell’aspetto di dominatore, un atteggiamento sempre calmo ma che rivela tuttavia una forza, “un fuoco latente che si lascia indovinare, che potrebbe ma non vuole divampare”. Mi piace pensare che Pratt fosse consapevole del fenomeno emotivo alimentato dall’abito che il suo personaggio principale indossa nell’intento di sedurre il lettore. La sua genialità risiede nel fatto che i look di Corto Maltese lo

rinserrano talmente forte da diventare una cosa sola con l’anima avventurosa del personaggio. Mi rendo conto che nel definire Corto Maltese un dandy avventuroso corro il rischio di proporre una lettura controcorrente. La cultura di sinistra dominante nel nostro Paese negli anni settanta e oltre aveva subito arruolato il personaggio di Pratt tra le proprie icone. Non senza ragione ovviamente. Come negare che in un modo o nell’altro, troviamo sempre il bel marinaio schierato con la rivoluzione? Come negare la sua avversione contro i poteri forti? Il fatto poi che la sua adesione al principio di realta’ non si appellasse a nessuna ideologia ma sprofondasse in qualcosa di più profondo, ai bordi dello spiritualismo e dello stoicismi, non ha cambiato l’orientamento delle interpretazioni dominanti. Ora, la cultura di sinistra per decenni è stata incapace di pensare a fenomeni come la moda al di fuori dell’ideologia. Essendo il dandismo una reazione in qualche modo collegata ai fatti di moda era politicamente scorretto proiettarne l’ombra su un personaggio eticamente conforme al discorso di una sinistra che


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stava investendo tantissimo sul controllo dei giovani. Bisogna aggiungere che i borghesi che si riconoscevano nella DC, tutta schierata contro la cultura del fumetto, era ancora peggio. Ecco perché non è stata proiettata su Corto la giusta luce per illuminare gli effetti collaterali del personaggio creato dal talento di Pratt. Corto Matese indubbiamente ha stile. Avanzo dunque la congettura che una quota rilevante del suo fascino discenda da una idea di stile che appartiene alla cultura dandy. Per Stile intendo un modo di essere che ha una profonda coerenza capace di conferire un forte senso di unita’ al personaggio. Infatti Corto è sempre la’ dove il lettore si aspetta che sia. Cambiano le mappe, mutano i protagonisti e le situazioni ma Corto è sempre se stesso ovvero diverso da tutti. Ma forse dovrei dire distinto... Corto Maltese si distingue dagli altri. Senza questa caratteristica aristocratica il personaggio perderebbe in leggerezza, in sottigliezza finendo stritolato dalla pesantezza ottusa dell’eroe spacca tutto, sanguinario, insaziabile (come Diabolik, Kriminal e altri fumetti di grande successo negli anni sessanta/settanta). Nello stesso anno in cui appaiono le prime striscia delle avventure di Corto, il grande intellettuale francese Roland Barthes pubblicava “Il sistema della moda”, una poderosa ricerca che che aveva l’obiettivo di dimostrare quanto i fenomeni di moda, trasformati in linguaggio, siano, aldilà dell’effimero che manifestano in superficie, fenomeni di struttura. Ma del Roland Barthes interprete della moda mi interessa di più un altro testo breve apparso qualche anno prima. In “La fine del dandismo”, apparso per la prima volta nel 1962, l’autore riteneva impossibile il perdurare del dandy nel tempo in cui le mode cominciano a dominare il gusto della gente. La sua argomentazione non è priva di buone ragioni. Il dandismo, dice, è essenzialmente legato al dettaglio raro, unico, per certi versi irriproducibile. Essendo ormai i fenomeni di moda immediatamente riproducibili ne discende l’impossibilita’ di essere dandy. Barthes usa per la moda la critica che qualche decennio prima aveva utilizzato Walter Benjamin per denunciare la scomparsa dell’aura nell’arte travolta dai dispositivi seriali del capitalismo. Non sono completamente d’accordo con queste interpretazioni ma ammetto che fanno emergere dei contenuti problematici veri che ci aiutano a comprendere meglio eventi che interferiscono con la nostra vita.


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La forzatura di Barthes consiste nel schiacciare violentemente il dandy sui significanti che lo rappresentano ovvero i dettagli presentati come se fossero essenzialmente cose, quindi merci possibili, quindi riproducibili. Da un lato riconosce la logica assoluta che il dandy elegge a imperativo morale ma dall’altro vincola l’esperienza del dandismo non alla possibilità del dettaglio ma alla sua alterita’ rispetto le istanze emulative,imitative tipiche delle mode. È come se il vero dandy per l’autore non potesse che rifarsi alla lezione di Brummel, al quale sappiamo occorreva l’intera mattinata per scegliere il look minimalista da esibire nei giochi di società nei quali primeggiava per distinzione. Noi sappiamo, invece, grazie ad autori come Max Beerbohm e Baudelaire, quanto il fenomeno del dandismo non possa essere compreso solo concependo l’autonomia del dettaglio o la scelta delle apparenze “differenti”. È la natura etica dell’adesione al significante (o al fascio di tratti) che lo rappresenta presso altri significanti (gli sguardi di chi dal fuori lo invidia, lo ammira o lo disprezza) a conferire al dandy fascino e forza passionale. Comunque il punto di vista di Barthes ha il merito di segnalare un problema vero. Nel post capitalismo o se volete nel post fordismo essere dandy nel reale non è una avventura facile, come non lo è essere un artista. La particolare metafisica che sostiene queste soggettività si scontra con una società materiale che banalizza il mito, trasformando il mistero in consumo, il rito in spettacolo, il tocco magico in informazioni. Ecco dunque, per tornare a Corto Maltese, il dandy scomparso nel reale apparire tra il simbolico e l’immaginario nelle vesti grafiche inventate da Pratt. Osservate i look di Corto. Spesso indossa il caban blu, in tessuto di lana Kersey con chiusura a doppiopetto, con un collo molto ampio e un bavero largo che dal 1881 fino agli anni quaranta del novecento ha fatto parte della divisa della Marina militare americana. In realtà l’antesignano di questo giaccone reso famoso da tanti film di Hollywood è un capo in dotazione della marina militare inglese che risale almeno al 1857, quando fu dato in dotazione a tutti i militari. È un capo d’abbigliamento robusto, comodo, utile nelle situazioni ventose, contro la pioggia e il freddo. Corto Maltese alterna il caban descritto con una soluzione ancora più elegante di impianto settecentesco lunga come una redingote con spacco sul didietro, indossata come un


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frac a coda lunga. Il corpetto chiuso e la camicia dal collo rigido come quelle che oggi indossa Karl Lagerfeld danno al suo look dominante chiare inflessioni aristocratiche. I calzoni sono a zampa d’elefante e indossati con il suo fisico sono perfetti. Di passaggio mi piace sottolineare che a partire da Mary Quant, i cosiddetti calzoni a campana diverranno sino alla meta’ dei settanta una delle soluzioni di abbigliamento più gettonate da entrambi i sessi. Posso anche aggiungere che la moda di contaminare il look con fogge di tradizioni militaresche, delle quali Pratt era un vero esperto, negli anni sessanta aiuta a spingere il gusto dei giovani verso un casualizzazione del guardaroba sempre meno arroccato dietro le opposizioni classiche del tipo abito formale/abito da lavoro. Non è importante il valore di ogni singolo elemento dell’abbigliamento bensì l’effetto di stile che mi conferisce. Cosi’ ragionavano i trendsetter del periodo. L’appello allo stile, pensavano, mi da margini di libertà rispetto le prescrizioni della moda e al tempo stesso sposta l’attenzione sul modo di essere (di indossare) che marca la mia individualità. Direi che Corto Maltese è un perfetto profeta di un nuovo modo di vivere gli abiti che intercetta l’interesse delle avanguardie generazionali. L’orecchino che indossa con disinvoltura, in un periodo in cui tra gli uomini era ancora oggetto di commenti sarcastici, e la svolazzante cravatta a nastro che rende tollerabile la rigidità del collo inamidato lo fanno apparire veramente cool. Corto maltese è démodé e nello stesso tempo oltre la moda. Usa un abbigliamento mai stravagante o snob ma nello stesso tempo si distingue e crea una disposizione nell’altro a viverlo come icona. Il suo modo di atteggiarsi, e il portamento che lo contraddistingue rendono dandy la sua presenza. Forse è per questo che ad un certo punto Pratt ha infilato nel racconto l’informazione che la madre era stata una modella. Di un pittore certo, ma modella significa anche portamento, grazia, eleganza. Trovo dunque in Corto Maltese molti dei tratti che Baudelaire elencava nel suo famoso testo sul dandy. Il bisogno di crearsi un’originalità, contenuto nei limiti esteriori delle convenienze, per esempio; oppure la perfezione nella semplicità come miglior modo di distinguersi. Anche la propensione allo spiritualismo e ad uno stoico eroismo sembrano strappare il dandy al fascino della decadenza e al facile utilitarismo che contraddistingue, scrive Baudelaire, la marea crescente della democrazia. La leggerezza di andatura, la sicurezza nei modi, la disinvoltura nell’indossare un abito o nel dominare gli avversari in una


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improvvisa rissa, l’atteggiamento calmo e pensoso dal quale promana forza ed energia, sono caratteristiche che ben più delle apparenze rivelano la struttura individuale del dandy avventuroso. Non mi sorprende che in una societa’ che stava liquidando la funzione paterna Corto Maltese sia divenuto un mito. Non mi sorprende che il dandy dato per morto negli anni in cui i grandi romanzi delle ideologie resistevano, sia riapparso nella post modernità contribuendo al perdurare, tra chi consuma ancora fumetti, del fascino del bel marinaio. È vero! Forse oggi, nella nostra società liquida il dandismo appare il forma street style, retro’, contaminato da vintage. Forse bisogna cercarlo tra i disadattati... Ma non era Corto, a suo modo, un

disadattato di successo? Per concludere mi piace tornare alle brevi parole con cui Pandora, nella lettera citata, ci parla della struggente solitudine di Corto, seduto sulla spiaggia a guardare per ore il mare. Ora, davanti all’infinita ripetizione delle onde, forse sta comprendendo quanto sia stato alto il prezzo da pagare per essersi messo al posto del padre senza esserlo. Ora non gli rimane che la consolazione del mistero della madre, evocata da quel mare al quale lo psicoanalista Ferenczi ancorava la simbolizzazione della funzione materna. È da quel mare che continuano a sgorgare i veri tesori della sua vita. Altre favole soprattutto, o storie, premonizioni,sogni che Pratt non ha più voluto raccontarci.


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È stato presentato a Dicembre il nuovo logo di Sicurlive Freestyle Team: SFT, le iniziali di Sicurlive Freestyle Team, racchiuse in una coccarda, simbolo dei primi posti che si aggiudicheranno i nostri atleti. Un’immagine fresca, che richiama lo stile delle Università americane, come a significare la crescita e il percorso degli sportivi su cui Sicurlive Group sta puntando. Uno styling che verrà impresso su maglie, felpe, cappellini, tavole… che verrà portato in tutto il mondo dai nostri campioni. Il Sicurlive Freestyle Team è nato meno di un anno fa e ha già ottenuto ottimi risultati grazie al lavoro e alla devozione di Emil Goranov, Davide Frassine e Kevin Gilardoni. Conosciamoli insieme.

FREESTYLE

Freestyle Team


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DAVIDE “LERRI” FRASSINE Frassine Davide 26-06-1987 Barcellona Sposato... Skateboard

(ma non e' uno sport)

Lerri

Voglio vivere sereno!

Dove vivi? Barcelona. Sei sposato, fidanzato o single? Sposato con l’università e il lavoro, ma son pronto per divorziare in qualsiasi momento. A quanti anni hai iniziato a praticare e come ti sei avvicinato a questo sport? Ho iniziato a 14 anni, sentivo che era divertente e dovevo provare. Quante ore ti alleni al giorno? Con lo skate non ci si allena. Qual è l’episodio sportivo che ti ricordi con più emozione? Tutti i viaggi che ho avuto l’occasione di fare grazie allo skate. Hai mai avuto paura praticando questo sport? Sí Quali sono i tuoi progetti per il futuro? Vivere sereno.


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KEVIN GILARDONI Gilardoni Kevin 16 marzo 1992 in giro per il mondo

Fidanzato Automobilismo in circuito Gila o KG

determinato e aggressivo, sempre al limite! Dove vivi? Grandola ed Uniti, quando non sono in giro per il mondo Sei sposato, fidanzato o single? Fidanzato A quanti anni hai iniziato a praticare e come ti sei avvicinato a questo sport? In kart i primi passi a 3 anni, le prime gare a 8, a 15 anni il debutto in monoposto. È stato tutto naturale, senza alcuna forzatura, ovviamente grazie alla passione, agli aiuti ed ai sacrifici di mio padre, senza di lui non sarei qui! Quante ore ti alleni al giorno? 1,2,3...... Tante!!! Qual è l’episodio sportivo che ti ricordi con più emozione? La mia prima vittoria in monoposto (2008) ed il mio primo titolo di Campione Italiano (2012) Hai mai avuto paura praticando questo sport?

No, mai, anche se l’inconscio vive uno stato di paura incontrollabile tutto suo che aumenta adrenalina ed attenzione, la cosa mi carica parecchio! Quando chiudo la visiera entro in un altro mondo, non sapete cosa vi perdete! Quali sono i tuoi progetti per il futuro? C’è un progetto molto importante che verrà definito a breve che riguarda la mia carriera oltre oceano, in USA, staremo a vedere. Punto comunque a diventare completamente professionista, non importa dove! Con questa affermazione intendo di potermi ricavare tutto il necessario per una bella vita praticando questo fantastico sport, è il mio unico obiettivo, per cui lotto fin dagli inizi! Voglio ripagare al massimo tutti quelli che hanno scommesso su di me aiutandomi!


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PH. federicotognoli.com/rider: email goranov


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EMIL GORANOV Goranov Emil 14-09-1991 Iseo (BS) Single Snowboard, skateboard e wakeboard

Non ho pseudonimi

Campione italiano di Skate nel 2007

Dove vivi? Iseo (BS) Sei sposato, fidanzato o single? Single A quanti anni hai iniziato a praticare e come ti sei avvicinato a questo sport? Ho cominciato a praticare questi sport all’età di 17 anni. Mi sono avvicinato a questi sport grazie alla televisione e alcuni video ispirati, poiché dal vivo era quasi impossibile osservare questi sport! Quante ore ti alleni al giorno? Mi alleno in media 5/6 ore al giorno non tutti giorni ovviamente perché non sempre il tempo e le condizioni lo favoriscono. Qual è l’episodio sportivo che ti ricordi con più emozione? L’episodio che

mi ricordo con più emozione è stato il campionato italiano di Skate nel 2007 a Desenzano dove sono arrivato secondo nella categoria junior. Hai mai avuto paura praticando questo sport? La paura fa parte dei giochi… ma in questi sport dovresti imparare a controllarla e se è possibile eliminarla del tutto perché di sicuro non aiuta nella progressione!!! Quali sono i tuoi progetti per il futuro? I miei progetti per il futuro sono: non smettere mai di imparare, continuare a girare,viaggiare ed insegnare e far conoscere questi sport ad altre persone!


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SICURLIVE HA DETTO NO.

La scelta di non produrre né montare linee vita con ancoraggi deformabili è un dovere di tutte le aziende che intendano garantire la sicurezza dei lavoratori e di coloro che si affidano a un sistema di ancoraggio ritenuto “sicuro”.

A) Il calcolo del tirante d’aria e la freccia Il progettista ha l’obbligo di progettare il sistema tenendo conto del TIRANTE D’ARIA. Il Tirante d’aria è per definizione “lo spazio libero di caduta per l’operatore”. Tale spazio deve essere sufficiente a contenere la caduta dell’operatore senza che questi vada ad impattare al suolo o contro eventuali ostacoli. Nella scelta degli ancoraggi in relazione al tirante d’aria il progettista deve tenere conto dei seguenti fattori: 1) LA FRECCIA: la freccia (per un sistema di classe C) corrisponde alla flessione della fune in caso di caduta dell’operatore. Tale distanza è misurata sulla proiezione verticale e, per ogni tipologia di prodotto, varia in proporzione alla distanza fra gli ancoraggi. Il fabbricante ha l’OBBLIGO di indicare i valori della freccia. Per capire istintivamente la differenza fra un sistema deformabile e un sistema indeformabile sono sufficienti i seguenti dati: in una linea vita “indeformabile” con ancoraggi a distanza di 10 metri, la freccia è pari a 46 cm. Nel caso di una linea vita “deformabile”, mantenendo l’interasse a 10 metri, la freccia raggiunge addirittura 230 centimetri. • L’estensione dell’assorbitore di energia sul DPI. È un valore variabile (da 1,5 m a 1,75 m se viene utilizzato un cordino con assorbitore).

SICURLIVE GROUP

La maggior parte dei posatori e progettisti non conosce la differenza fra linea vita con ancoraggi INDEFORMABILI e quella ancoraggi DEFORMABILI. Credono di essere “nel giusto” montando e progettando una linea vita che, a confronto con le altre, non possiede troppe differenze. In alcuni casi, in fase di acquisto, la linea vita con elementi deformabili risulta essere più economica ed essendo più sottile offre privilegi sotto il profilo estetico. Ma cosa realmente distingue un sis-tema con elementi DEFORMABILI da quello con elementi INDEFORMABILI? Andiamo ad analizzarlo insieme.


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• L’altezza dell’attacco dell’imbracatura rispetto al piede della persona. Convenzionalmente si assume il valore di 1,5 m. • Lo spazio residuo minimo di 1 m di sicurezza sotto i piedi dell’utilizzatore, dopo l’arresto di caduta. È un valore fisso. I PALI DEFORMABILI HANNO UNA FRECCIA MOLTO ELEVATA. B) Trattenuta o arresto caduta? La normativa antinfortunistica obbliga a prediligere soluzioni che impediscono l’accadimento del rischio (dispositivo di trattenuta e posizionamento) rispetto a soluzioni che ne limitano gli effetti

(dispositivo di arresto della caduta). Una corretta progettazione del posizionamento degli ancoraggi, associata a una corretta scelta della tipologia degli stessi, permette all’operatore di lavorare in trattenuta impedendogli di oltrepassare il perimetro calpestabile e quindi di cadere nel vuoto. I PALI DEFORMABILI NON PERMETTONO DI LAVORARE IN TRATTENUTA E NON POSSONO ESSERE USATI PER IL RECUPERO DELL’OPERATORE. Pertanto oltre ad essere meno sicuri per l’operatore, sono assolutamente inutilizzabili per le operazioni di recupero dello stesso, in caso di caduta.


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MA APPROFONDIAMO UN PO’ MEGLIO IL DISCORSO ECONOMICO: UN SISTEMA DEFORMABILE È DAVVERO PIÚ ECONOMICO DI UN SISTEMA INDEFORMABILE? ASSOLUTAMENTE NO! Un palo deformabile in caso di caduta (e spesso anche solo in caso di utilizzo), deve essere sostituito in quanto, per propria natura, utilizza la deformazione per assorbire energia e tale deformazione è permanente. Ciò comporta il costo della sostituzione degli elementi, la verifica o la nuova installazione da parte di un tecnico abilitato, e soprattutto la riapertura della copertura nelle zona adiacente l’ancoraggio. Se indeformabili, invece, anche in caso di caduta, i dispositivi, non sono da sostituire in quanto non danneggiati. A seguito di tutte queste considerazioni ci chiediamo: come mai l’80% dei produttori ha deciso di vendere pali deformabili? Sarà forse che il costo di realizzazione dei pali è minore? Oppure perché essendo SOLO produttori non hanno responsabilità in merito alla progettazione e l’installazione, e non si fanno alcun tipo di remora nel mettere sul mercato pali deformabili? Sono infatti il progettista che ha progettato l’impianto e il posatore/ installatore a essere i primi diretti responsabili PENALMENTE E CIVILMENTE. Il progettista deve sempre verificare i dati forniti dal fabbricante, in quanto sono variabili in funzione del dispositivo che vuole adottare e dalla lunghezza della linea. Il posatore/installatore, secondo la norma UNI EN 795, deve accertare che la distanza richiesta o necessaria per arrestare la caduta di un lavoratore non superi la distanza disponibile in sito (deve verificare il tirante d’aria). La responsabilità, quindi, di chi è? Del progettista e del posatore ma non del produttore? Egli può produrre pali deformabili che potrebbero causare la morte di lavoratori senza subire alcuna conseguenza. Un dato confortante viene dall’orientamento delle nuove norme a favore dell’indeformabilità degli ancoraggi, poiché costringono i produttori a prove di prestazione secondo le quali molti prodotti sul mercato sono già “FUORILEGGE”. Sicurlive ha detto NO ai pali deformabili e da sempre mette al primo posto la sicurezza. E tu? Rifletti quando decidi di installare una linea vita!


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EXTREME SOLUTIONS

POSATORI LINEA VITA CERTIFICATI

SICURLIVE FORMAZIONE E SPERIMENTAZIONE

SICURLIVE SOLUZIONI E INNOVAZIONE


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SICURLIVE

In Sicurlive è nata una nuova realtà: Sicurlive Extreme. Per ottimizzare i costi di manutenzione, pulizia, montaggio, riparazione Sicurlive offre una nuova metodologia di lavoro in altezza: il lavoro su fune (detto anche “su corda”). Nei centri storici o nelle zone residenziali con palazzi molto alti, spesso diventa alquanto difficoltoso, oltre che molto dispendioso, eseguire determinati lavori: burocrazia, permessi di vario genere fra cui l’occupazione di suolo pubblico allungano i tempi di lavoro; i mezzi impiegati, le impalcature e ponteggi sono un aggravio di costi. Spesso nascono problematiche riguardanti la difficoltà nel raggiungere il posto dove esiste un problema da risolvere e che questo posto non sia raggiungibile: per l’altezza eccessiva e/o per la posizione svantaggiosa per i bracci meccanici, ed è ormai abbastanza frequente che si vedano degli operatori che, appesi su corde, compiano riparazioni o manutenzioni di vario tipo. Sicurlive propone interventi su fune con enorme risparmio di tempo e mezzi laddove si debba intervenire su strutture molto alte come ponti, viadotti o dighe o, su pareti e versanti soggetti ad instabilità. Queste tecniche sono derivate direttamente dall’alpinismo aggiungendo ulteriori elementi di sicurezza ai metodi usati in alpinismo per posizionarsi. “Scegliamo sempre di essere informati e correttamente formati in quanto questo ci permette di offrire un servizio degno di orgoglio e soprattutto sicuro in qunto ogni singolo operatore è una persona e come tale va salvaguardata. I lavori su fune richiedono grande carattere per coloro che si apprestano ad eseguirli ma senza una corretta formazione teorica e pratica, non possiamo avere persone all’altezza”. dichiara l’A.U. Giovanni Buffoli. Gli installatori Sicurlive, sono stati, infatti, formati e hanno ottenuto la certificazione per operare su corda in massima sicurezza.

SICURLIVE EXTREMESOLUTIONS

Extreme Solutions


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POSATORI LINEA VITA CERTIFICATI

SICURLIVE FORMAZIONE E SPERIMENTAZIONE

SICURLIVE SOLUZIONI E INNOVAZIONE


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Nasce SL Shark

SICURlive SL SHARK è un sistema studiato e brevettato da SICURlive S.R.L. SICURlive SL SHARK è una linea di ancoraggio progettato secondo UNI EN 795 CLASSE C, utilizzabile come dispositivo di ancoraggio per tetti inclinati a doppia falda. Il dispositivo di fissaggio (verificato e già presente) dovrà essere montato secondo le istruzioni del fabbricante prima di effettuare il montaggio del sistema verificare la portata del della struttura. Si devono osservare le norme tecniche sulle costruzioni edili. È ammesso solo l’utilizzo di parti originali. Scopo del dispositivo è fornire un collegamento ad altri DPI. Il dispositivo di ancoraggio è idoneo ad accettare altro DPI e a garantire che lo stesso, se correttamente applicato, non possa staccarsi involontariamente.

Descrizione Piastre in Acciaio INOX AISI 316 A4/SJ355 piegate a misura con asole per la corretta istallazione su lamiere di copertura comprese di un elemento in Acciaio INOX AISI 316 A4 che permette il collegamento della fune della “linea vita”. Materiale piastre : INOX AISI 316 A4 e SJ355 Formazione fune : 7 x 19 mm. + anima metallica Portata verticale: Kg. 400 Diametro nominale della fune mm. 8 Lunghezza Variabile Interasse asole Variabile Materiale Fune Acciaio INOX a norme DIN AISI 316 A4 e SJ 355 Coefficiente di sicurezza fune 5 Numero massimo utilizzatori per ancoraggio 2 (due). Carico max = 120 Kg.

SICURLIVE INSTALLATORI

È il nuovo nato in casa Sicurlive. Si chiama Shark, e il nome ricorda proprio la forma del palo, come la pinna di uno squalo. A seguito di attente analisi, Sicurlive si mette in gioco un’altra volta creando una nuova linea per il fissaggio. “Il palo Shark è ideale per la lamiera – spiega Michele Marchina - e siamo certi che aver la lungimiranza di ideare e creare pali idonei per ogni tipo di copertura, sarà la svolta decisiva”.


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Primo Concorso per gli istituti tecnici “La sicurezza non è un optional”

È iniziato il 19 marzo 2013 presso il Centro Sicur Zone di Ospitaletto il Concorso “La sicurezza non è un optional” finalizzato alla promozione della sicurezza nei luoghi di lavoro. Ed è stata una classe dell’Istituto Tecnico Einaudi di San Paolo d’Argon (BG) a dar il via alla prima edizione. Il Concorso prevede la partecipazione delle classi superiori di tutte le scuole che hanno come traguardo quello di formare personale che possa direttamente o indirettamente entrare in un cantiere edile (es. scuole per geometri) dando così un’informazione e una formazione sia teorica che pratica agli studenti. E sono già numerose le adesioni di altre scuole sia di Brescia che nelle province limitrofe. A constatare la professionalità del Concorso, tra i sostenitori dello stesso spicca il Collegio dei Geometri e dei Geometri Laureati della Provincia di Brescia, rappresentata dal proprio Presidente Geom. Giovanni Platto che, oltre aver riconosciuto il patrocinio a questo evento, è uno degli sponsor che hanno creduto maggiormente nella formazione specifica per i ragazzi di oggi che diverranno i professionisti del futuro. Durante quest’anno scolastico le classi che parteciperanno alle giornate educative gratuite in SicurZone potranno sfidarsi e vincere. Dopo un approfondimento teorico in cui verranno poste domande riguardanti la sicurezza nei luoghi di lavoro, le normative, la progettazione delle linee vita a cui gli studenti dovranno rispondere correttamente per ottenere un primo punteggio, i ragazzi dovranno prender attivamente parte ad un addestramento nell’area esterna, confrontandosi con un prova pratica. Anche in questo caso verranno conferiti dei punti ai singoli partecipanti. E ci saranno

SICURZONE

L’Associazione Sicurzone organizza corsi per promuovere la sicurezza nei luoghi di lavoro e lo fa attraverso un concorso tra le classi superiori.


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anche dei vincitori! Verranno infatti premiate con la Coppa del Concorso le 3 classi che otterranno il punteggio maggiore. Verranno inoltre consegnati 3 premi ai migliori studenti: al primo miglior studente verrà consegnato un iPad Mini, al secondo un iPod Touch mentre il terzo premio sarà un iPod Shuffle. Le scuole hanno tempo fino al 31 maggio (per l’anno scolastico 2012/2013) per inviare la propria candidatura. Attraverso il Concorso, gli studenti potranno apprendere, durante la parte pratica gestita da operatori qualificati e certificati, le problematiche e le difficoltà dei vari lavori e le soluzioni migliori per affrontarli oltre che approfondire teoricamente le normative, nello specifico i rischi contro le cadute dall’alto mediante l’utilizzo di punti di ancoraggio (linee vita). “Auspichiamo che il centro, dotato di un campo prove che permette di integrare i programmi di formazione alla sicurezza con attività pratiche, diventi uno strumento per i giovani, utile a far apprendere loro le strategie per prevenire o affrontare il rischio” dichiara il Geom. Raffaele Scorza, Direttore di Sicur Zone “Riteniamo fondamentale educare i giovani che si stanno per inserire nel mondo del lavoro in merito ai rischi che corrono nell’affrontare i lavori in quota.” Istruire fin da giovani i progettisti, gli operatori, gli amministratori condominiali del domani è il modo migliore per renderli consapevoli. E farlo attraverso le prove pratiche diventa sicuramente molto intuitivo oltre che sensibile al ricordo futuro. I ragazzi coinvolti personalmente nell’attività hanno infatti potuto provare gli ancoraggi sulle coperture realizzate nell’area esterna, capendo eventuali rischi e difficoltà. Un momento divertente, di condivisione e allo stesso tempo formativo per gli utilizzatori di domani affinché la sicurezza non sia un optional. Sono già iniziate le selezioni degli Istituti per Geometri Lombardi per l’anno 2013/2014. A primavera in concomitanza con la presentazione della seconda edizione del Concorso, saranno premiati i vincitori della prima edizione da autorità di rilievo, tra cui il Sindaco di Ospitaletto accompagnato da vari assessori, il Presidente del Collegio dei Geometri della Provincia di Brescia con alcuni rappresentanti del consiglio direttivo ed altre personalità.


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Quasi per caso navigando su internet e Facebook verso la metà del mese di marzo, sono venuto a contatto con il portale della società Sicurlive, e sono rimasto colpito dalla foto che illustra il modo di eseguire i lavori di manutenzione su una copertura a falde inclinate, e tra l’altro però in modo corretto e sicuro. Orbene questa foto mi ha incuriosito talmente tanto, che sono andato a scoprire il portale della Società di cui sopra al fine di vedere cosa in realtà e di quali temi la stessa Società si occupava. Con tutte le foto che illustrano il modo di operare sui lavori in quota alla fine mi sono reso conto del tutto, ed un’altra cosa che mi ha sorpreso anche il lay-out dell’Azienda destinato all’addestramento ed alla formazione, con un disegno tra l’altro colorato e stupendo che illustra un’area esterna di mq. 3.000 destinati a ciò, con tanto di gru a torre, tetti dotati di linea vita ed accessori vari, discensori per le simulazioni, addestramenti e prove, e volumi di terra per l’addestramento con le macchine movimento terra. Cosa questa in realtà mai vista, ed io che vivo nella regione Lazio a Latina non credo che ci sia un’azienda che si occupa delle difese dalla cadute dall’alto nelle costruzioni, con la progettazione e realizzazione delle linee vita. Premetto che nelle costruzioni edili le cadute dall’alto rappresentano in questo paese il 70% dei decessi e nella quasi totalità degli eventi, l’infortunio non è da imputarsi a un vuoto legislativo, ma all’assenza delle misure di prevenzione e protezione ed alla negligenza nella loro applicazione. La verità è che in questo Paese, nonostante sul piano legislativo sembra completata l’impalcatura della sicurezza, ancora la stessa viene intesa come un onere, un costo, che allunga i tempi, complica le cose e crea problemi, e faccio presente che l’attenzione di un popolo verso i problemi legati alla sicurezza sui luoghi di lavoro rappresenta il termometro del livello di coscienza civile del popolo stesso. Purtroppo parlare di sicurezza nei cantieri edili è più nelle intenzioni che nei fatti, e visto che il cantiere edile rappresenta un contesto a rischio di incidente rilevante, dove spesso lo stesso cantiere sale alla ribalta della cronaca per l’alto tasso di infortuni e troppo spesso mortali, e con problemi di drammi sociali non da poco per i figli e le vedove, spesso piccoli e giovani. Allora è chiaro che chi decide di avvicinarsi a questo settore sia come progettista della sicurezza e sia le Aziende che realizzano dispositivi e sistemi di difesa da questo fattore di rischio, debbono necessariamente investire nella ricerca, sperimentazione, nella formazione ed informazione continua, che comunque per le diversità e le difficoltà dei contesti di lavoro non è mai troppa, e solo con una sinergica azione di squadra tra tutti gli attori coinvolti nel processo si possono ottenere risultati accettabili, e con il contributo anche delle Istituzioni, anche loro troppo spesso latenti e fuggitive con tutti coloro che le rappresentano.


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Allora ho telefonato in Sicurlive, e sono rimasto colpito dalla gentilezza del geometra Raffaele Scorza e dalla sua professionalità di come ci siamo scambiati le conoscenza su tali temi. Mi ha riferito che avevano in programma il corso di 12 ore sul progetto delle linee vita i giorni 18 e 19 aprile. A quel punto ho deciso di voler partecipare a tale evento e dopo circa un mese di ripetute e verifiche telefoniche con Raffaele, che mi sorprendeva sempre di più per la sua gentilezza e signorilità sono andato. Sono stati tre giorni stupendi e di forte arricchimento professionale che mi hanno permesso di approfondire le mie conoscenze sulla progettazione delle linee vita con lezioni teoricopratiche tenute da Giovanni Buffoli che non si è fermato un attimo, e le cui nozioni mi torneranno molto utili nell’affrontare quotidianamente i problemi delle cadute dall’alto nei cantieri. Anche l’aspetto del confronto, dell’interfacciamento e dello scambio su esperienze professionali vissute con la platea è stato sempre costruttivo ed aperto al dialogo, in modo che tutti i partecipanti potevano portare il loro utile contributo. Cari amici, io non so come ringraziarVi di questa stupenda esperienza,la quale non mi ha arricchito soltanto sul progetto della linea vita, ma debbo riconoscere che ho conosciuto persone stupende, quale appunto siete Voi. Ho visto inoltre una città stupenda e tutta percorsa a piedi, dai contesti urbani di piazza Vittoria di Marcello Piacentini, a piazza del mercato e della Loggia, al Duomo vecchio e nuovo, allo spazio museale del Capitolium, della Brixia romana e dei tesori dei Longobardi quali patrimonio UNESCO, al castello ed alla riqualificazione dei capannoni della Freccia Rossa. Spero di rivederVi presto e Vi auguro un futuro ricco di traguardi e soddisfazioni e grazie per quello che state facendo per la bontà del Vostro progetto finalizzato alla salvaguardia della vita umana, perché NON SI PUO’ MORIRE PER CADUTE DALL’ALTO CON LE TECNOLOGIE CHE CONOSCIAMO E CHE STATE APPROFONDENDO E SPERIMENTANDO. Questa esperienza tecnicamente sarà oggetto delle mie lezioni che prossimamente esternerò presso “la facoltà di architettura in Roma alla Sapienza” ed in occasione di convegni con l’Associazione culturale di cui faccio parte come relatore, e Vi comunico che già ho parlato del Vostro progetto aziendale in una lezione tenuta presso il “Collegio dei Geometri” della Provincia di Latina il giorno 2 maggio 2013.

Con profonda simpatia e stima. Camillo Palma Architetto Esperto in sicurezza di cantiere e prevenzione incendi


3A E 3D ISISS DAVERIO - 18 APRILE 2013

Le classi che hanno prima edizione

ISIS FACCHINETTI - CASTELLANZA - 07 GIUGNO 2013


4D TARTAGLIA - BRESCIA - 29 APRILE 2013

o partecipato alla e del Concorso

3B - SOMMA LOMBARDO - 12 APRILE 2013

4C TARTAGLIA - BRESCIA - 03 MAGGIO 2013


5A EINAUDI - S.PAOLO D’ARGON - 19 MARZO 2013 4E TARTAGLIA - BRESCIA - 16 MAGGIO 2013

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