SEPP MALL, Ai margini della ferita

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VIE 28

CONFINI



SEPP MALL

AI MARGINI DELLA FERITA Traduzione di Sonia Sulzer

Keller editore



A mio padre (1929-1998)


I corsivi si riferiscono a parole in italiano presenti nel testo originale. N.d.R .


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I

l ragazzo disse che suo padre si era dissolto nel nulla, così, da un giorno all’altro.

Una mattina, mentre scendeva di sotto ancora assonnato, vide ciò che era appena successo. Le ante della credenza in cucina erano spalancate, i cassetti buttati per terra e in mezzo a tutta quella confusione, in ginocchio, c’era sua madre. Tornerà, tornerà presto, fu la prima cosa che gli disse. Stava in ginocchio, confusa e scombinata, come fosse stata uno degli oggetti gettati fuori dai cassetti. Tornerà presto, ripeteva con voce atona, e anche sua sorella continuò a ripeterlo per tutta la mattina. Ritornerà presto, diceva, domani, al più tardi dopodomani. Ma papà non tornò più. Non tornò né quel giorno né il giorno seguente. Riordinarono l’appartamento, rimisero a posto i cassetti e aspettarono. Aspettavano che suonasse il campanello di casa o che nella serratura girasse una chiave, la chiave di papà. Il ragazzino razzolò per terra, allungando alla madre le provviste, le posate e le carte che erano scivolate sotto i mobili, mentre sua sorella passava la scopa in ogni stanza. Intanto trascorrevano le settimane e l’unica cosa che arrivò fu una lettera, recapitata da un avvocato.

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Il ragazzo disse che da quella mattina aveva avuto l’impressione che sua madre avesse un odore diverso. Era un profumo che ricordava le chiare giornate di primavera in cui la neve si scioglie lenta davanti alle finestre, un profumo che sembrava avere anche qualcosa di quei flaconi blu trasparenti disposti uno accanto all’altro in bagno, nei quali sua madre conservava l’acqua ossigenata per schiarire i capelli. Un odore leggero e fuggevole, e ci fu un momento in cui si convinse che non poteva che essere l’odore delle sue lacrime, delle lacrime di sua madre. Dunque, le cose adesso stavano così. Da quando il padre era andato via, la madre di Paul correva per le stanze, girava per la casa, saliva e scendeva le scale piangendo e parlando da sola. Ma come hai potuto, borbottava tra sé e sé, e quando si accorgeva di essere ascoltata, scappava in bagno o su per i gradini, in dispensa. In camera si gettava prona sul letto e loro, dalla tromba delle scale, attraverso lo spiraglio della porta rimasta aperta, la osservavano. A tavola, a pranzo, mentre apparecchiava, rivoli di lacrime scorrevano furtivi sul suo volto e nulla riusciva a prosciugarli. Prendeva le pentole dal fuoco, le portava a tavola e, mentre riempiva i piatti, le sue lacrime cadevano nella minestra, sulla carne, nella polenta. Paul guardava sua sorella e lei ricambiava lo sguardo. Mangiavano le lacrime che corrodevano le loro corde vocali. In silenzio, osservando la mamma di sottecchi, ingerivano il cibo, pulivano il piatto fino all’ultimo boccone e non litigavano su chi dovesse aiutare a lavare i piatti. 12


Durante l’ora d’italiano, Herbert gli chiese che cosa avesse combinato suo padre. Niente, disse Paul, proprio niente. Per niente non si finisce in galera, disse Herbert. Forse, disse passandosi il pollice sotto la gola, ha ucciso qualcuno, chissà. Poi, in cortile, durante la pausa, prese Paul in disparte: era meglio che gli altri non venissero a sapere di suo padre. Si misero dietro, sotto i tigli, vicino ai bidoni dei rifiuti. Herbert divise il suo panino con la marmellata. Ne offrì una metà a Paul, spiegandogli che non diceva sul serio prima, sì, insomma, quando aveva detto che suo padre forse aveva ucciso qualcuno. È innocente, disse Paul, ne sono certo. Questo è quello che dicono tutti, disse Herbert. Ho le lacrime in tasca, disse la madre quando, dopo non essere riuscita per l’ennesima volta ad arrestarne il fiume, si accorse che la stavano osservando sgomenti. Poi rise, una risata breve e acuta, simile a un belato, e sembrò lei la prima a stupirsi dell’inesauribilità delle sue lacrime. Sarà l’alto tasso di umidità dell’aria, disse in tono beffardo la sorella di Paul che cercava di fare l’indifferente. Poi però, sbattendo le porte, urlò che dovevano lasciarla in pace, tutti quanti. Quando Paul era solo con la mamma, qualche volta lei lo avvicinava a sé e lo avvinghiava con entrambe le braccia. Gli sussurrava che non avrebbe mai dovuto abbandonarla, mai, mai, e lo stringeva così forte contro il suo ventre che Paul 13


sentiva i battiti del suo cuore. Allora lui scuoteva il capo e voleva risponderle, ma il vigore di quell’abbraccio gli toglieva il respiro e doveva dibattersi e dimenarsi per riuscire a liberarsi dalla presa della madre e non soffocare. Dobbiamo restare uniti adesso, disse sua madre, tutta la famiglia, unita.

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Q

uel giorno avrebbero dovuto giocare contro la squadra del Merania. Fuori era ancora buio quando la madre, scuotendolo, lo svegliò. Mentre stava andando in bagno, Maria, sua sorella, gli urlò di sbrigarsi. La domenica è il giorno del Signore, disse zio Anton mentre salivano le scale della stazione. Il giorno del Signore, ripeté mentre facevano la fila davanti allo sportello per acquistare i biglietti e, prendendo Paul per il mento, gli disse, capisci, il giorno dedicato a vostro padre. Poi rise rumorosamente e senza ritegno, tanto che i presenti si girarono verso di lui. Li squadrarono dalla testa ai piedi, esaminando gli zaini che portavano in spalla, ricolmi di cibo per la persona che stavano andando a trovare. In treno lo zio Anton li spinse in uno scompartimento vuoto, poi con slancio sollevò gli zaini e li sistemò nella rete, invitando la mamma di Paul a sedersi di fronte a lui, accanto al finestrino. Elencava i nomi delle località che attraversavano e quando la mamma, che guardava scorrere il paesaggio alle prime luci del mattino, di tanto in tanto indicava in silenzio un edificio o un monte, lo zio si affrettava a rammentarne il nome. Nei paesi allineati lungo la ferrovia cominciavano ad accendersi le prime luci e sembrava che le

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