PESCI D'AEROPORTO

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ANGELIKA OVERATH

PESCI D’AEROPORTO Traduzione di Laura Bortot

Keller editore


*Me aeroplana kai vaporia/kai me tous filous tous palioús ‒ Con aerei e navi, e con i vecchi amici è una delle più celebri canzoni di Dionysis Savvopoulos. Nell’incisione più bella canta insieme a Sotiria Bellou.


VI IL FUMATORE

N

on esistono unioni felici. Il matrimonio d’amore è un’invenzione decadente, con neppure cento anni di vita. Felicità, per una vita! Siamo in una favola? Forse esistono brevi matrimoni felici. Chi agli dei è caro… Dio mio, ma alla parola “compagno”, inteso per un periodo della vita, non potrei mai abituarmi. È puerile non essere in grado di legarsi. Noi siamo stati in grado di legarci. Già molto presto. Dopotutto. E l’idea di invecchiare insieme ha un suo valore. Una sua dignità. Mah, siamo di nuovo nel circolo per soli uomini. Il matrimonio come il fumo. Il matrimonio con una sua distinzione. Era davvero necessario? Che io dovessi sedere qui, ora. Che in questo maledetto aeroporto non si possa fumare. È ovvio che rimango. Che cosa mi resta da fare? E fumo e bevo. Gliela faccio vedere. Il fumo uccide. Di nuovo un’esagerazione. Lei ha esagerato. Che cos’ha in mente, alla sua età? Aveva tutto. Amiche particolari. Seminari sul corpo. Terapia del respiro. Più libera di come ha vissuto lei, vorrei vedere se è possibile. La nostra meravigliosa casa, la donna delle pulizie, la stiratrice. E cucinava volentieri. La sua collezioni di ricettari! Cucina india-


na, giapponese, thailandese, italiana, perfino il boršč mi ha presentato in tavola. Un’intera biblioteca. Il più delle volte ero reduce da pranzi o cene di lavoro. Amava il giardino. Dai primi mughetti alle ultime malve. In estate la casa era circondata di glicine fino a coprire le grondaie, poi bambù, oleandri, rose, rose! Aveva un’abilità particolare con le rose. Quando tornavo a casa ero sempre sorpreso, lo ammetto, di quanto diverso apparisse il giardino. Le ore che passava in giardino, pazzesco. Io ci stavo pochissimo. Ma lei si scatenava in mezzo a tanta natura. Fantastici attrezzi da giardino, forgiati a mano, tutto della migliore qualità, e come ci lavorava, con il grembiule di tela verde al ginocchio, i guanti di gomma che le arrivavano al gomito, gli stivali. Ah, va be’. La mia giardiniera. Era piena di cose da fare. E quando venivano i colleghi l’atmosfera non era niente male. Earl Grey e pasticcini, circondati dal verde. E lei in tubino e décolleté. Niente da dire. Dio mio, era perfetta nel suo ruolo. Al momento giusto creava la cornice ideale. Ma anche lei ne godeva. O no? Il matrimonio in fondo non è un progetto. Il matrimonio è la cornice. Per quale quadro? Per la mia carriera? Suona così fazioso. Anche lei ne condivideva i vantaggi. Si prestava volontariamente. Sapeva che ero forte anche perché c’era lei. E ora se n’è andata. Certo, fa male. Ebbene, ce la farò. I coltelli smussati sono pericolosi, si dice. Non ci si aspetta uno scivolone con un matrimonio di tanti anni.


Il whisky non è male. Non fa niente se bevo dalla bottiglia. Me lo posso permettere. Non mi conosce nessuno. Lasciato. Non suona bene. Intendo dire che si spargerà la voce. Ma anche altri conoscono la situazione. Le separazioni sono un classico. Tuttavia non per noi. Pensavo. Che cosa crede di guadagnarci? Ora però mi gira davvero la testa. Non ci sono più abituato. Non fumo da quindici anni. Si smette quando non si può più contare sul proprio viso. La prima fiacchezza sulle guance. E poi le rughe sul collo, come i rettili. Quel primo palpito da animale morente. Si smette quando i valori non sono più inattaccabili. Quando tutto a un tratto il medico si prende due minuti per un consulto. Si smette. E non si è affatto dipendenti. Perché anche se si continuasse a fumare, non sarebbe più lo stesso. Quell’innocenza del primo fumo aspirato. Al mare. Sugli scogli di Finistère. Le pieghe del suo ginocchio. Come stava seduta, le gambe distese, i piedi nudi sulla roccia calda. Si è vecchi quando viene in mente che si era giovani. Ma a un certo punto le cose devono aver cominciato a cambiare. Di soppiatto. Un veleno silenzioso, furtivo, a cui ci si abitua. Il successo. La sicurezza a cui volevamo arrivare. I tessuti migliori, il vino migliore, gli hotel migliori. Il tempo stringeva, ma era tutto più bello. Diventava tutto sempre più bello. Potevamo permetterci qualsiasi cosa. Intendo dire, qualsiasi cosa volessimo. Lo ammetto, con gli anni mi sono costruito un discreto prestigio. Una fama internazionale in ambito scientifico, una competenza come


consulente di case farmaceutiche. E lei si era avviata a condurre la vita di una bella donna al fianco di un uomo di successo. Accavallava le gambe con solennità. Quelle gambe conservate tali. Lo sapevamo che ci ammiravano. Eravamo una coppia. Eravamo la coppia. Il suo sorriso. Mi hanno invidiato per il suo sorriso. E io le mettevo la mano sui fianchi, anche un po’ più giù, per il pubblico. Aveva cominciato a truccarsi leggermente. Lucide tonalità brune sulle labbra. Intonate alla cipria luminosa intorno agli occhi. Era abile anche in questo. Era abile e svelta. Non come altre donne, che passano ore in bagno. Si tirava su i capelli neri e fine. E poi i capelli grigi, con le mèche più chiare. Sapeva quello che le stava bene. I suoi fermacapelli. Corno, madreperla. Era una donna bella, dotata di senso pratico. In effetti non l’ho mai vista ingrigita. Sì, deve esserlo stata. Cos’altro dire. Ma non appariva ingrigita. Brizzolata, si dice. Non so come si dica. Non ci avevo mai pensato. Era giovane. Probabilmente capita così quando si invecchia insieme. La cecità del matrimonio. Che cosa avrà visto lei in me? Il fatto che ora io stia male non ha niente a che vedere con me. Non ha effettive ripercussioni. Non sono mai stato un sentimentale. Sono sempre stato un meticoloso. Anche se adesso sto bevendo. Voglio bere. Voglio fumare e bere. La vita mette in pericolo di vita. Cos’altro dire. Potrei lasciarmi andare. Subito. Pericolo di vita. Pericolo di morte. Ebbene? Dov’è il pericolo? Certo non nella morte. Se si pensa che si

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può anche mancare la morte. Strano pensiero. Non posso più morire bambino, e neanche più giovane rampante, com’ero un tempo. Non più amante mediocre, com’è probabile. Posso solo morire nei panni della persona che ancora non sono. Il whisky fa bene. Era tanto che non ne bevevo. Non è particolarmente forte, ma chiude delicato, piacevole. Flottante perdita di forza di gravità, subacqueo senso di vertigine. Bere è come immergersi. Oban, piccola insenatura. Perché no? Sono sempre stato padrone di ogni situazione. Anche quando non lo ero. Ma nessuno alla fine doveva notarlo. I vigliacchi si riconoscono perché rivelano le proprie debolezze. Non perché siano deboli. Chi non è debole, poi? Dio mio, sono verità palesi, rudimenti di un qualsiasi seminario sul profilo caratteriale per la gestione del personale. Ma non lo si mostra. Si tiene duro, questo ti tiene in piedi. Io sono in grado di assumermi delle responsabilità. I miei collaboratori. Il consiglio di sorveglianza. Il comitato scientifico. I finanziamenti esterni. Le perizie. Le valutazioni. La sua spontaneità. Ma questa volta si è spinta troppo oltre. Non si riesce quasi a respirare. L’aria è così pesante. Anche gli altri dovrebbero sentirla. Stanno lì seduti come se fosse tutto normale. Quanto si assomigliano i visi avvolti nel fumo. O vedo già male? Qui si tratta di lesioni personali. Perché nessuno alza al massimo il climatizzatore? Non lo sento neanche, il climatizzatore.


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