Tu non morirai di Kathrin Schmidt

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Brossura | collana PASSI | pp 368 | euro 16.50 Traduzione dal tedesco Franco Filice KELLER www.kellereditore.it | www.kellerlibri.it


KATHRIN SCHMIDT Kathrin Schmidt è nata nel 1958 a Gotha, in Turingia, laureata in psicologia sociale ha lavorato prima come ricercatrice alla Karl Marx University di Lipsia, poi come psicologa dell’infanzia nella DDR . Debutta nell’82 con la sua prima raccolta di poesie, nel ’93 vince il premio “Leonce und Lena” della città di Darmstadt e dal ’94 si dedica alla scrittura imponendosi via via come una delle voci più rappresentative della letteratura tedesca. Nel ’98 conquista il Premio della regione Carinzia al concorso “Ingeborg Bachmann”, nel 2003 il “Droste Literature Prize”, nel 2004 il Premio per la letteratura “DrosteHülshoff ”. Nel 2009 il Premio della “Lista dei migliori della SWR” e il “German Book Prize” con Tu non morirai.


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KATHRIN SCHMIDT

TU NON MORIRAI Traduzione di Franco Filice

Keller editore



La sua premura la infastidisce. Come farà a guardarlo in faccia ora che le è tornata la memoria di quel vissuto? ◊◊◊

Manca semplicemente il tempo di sistemare le cose con il laptop. Eppure ogni parola è un vero e proprio involtino di cavoli di sabbia. Da bambina Helene giocava spesso da sola, per ore e ore, nel recinto con la sabbia facendo degli involtini: metteva la terra bagnata nelle foglie di acero che infine chiudeva perforandole con lo stelo perché non si aprissero. Col tempo aveva sviluppato l’abilità dell’avvolgimento perfetto. Guardava estasiata gli involtini che classificava in base a criteri estetici. Quando la sera andava a letto e chiudeva gli occhi, vedeva grandi pile di involtini di cavoli di sabbia. Quell’orgoglio lo ritrova in ogni parola sprigionata dal suo cervello tagliuzzato e spillato che lecca lo schermo. Ma non ha modo di dedicarvisi. Quindi, fisio, logo, psico – le terapie vengono chiamate col solo nome di battesimo, ognuno sa che tutte si chiamano terapia e tutte rubano un sacco di tempo. Pizzica del tempo dal buio quando le tre compagne di stanza dormono, oppure va giù, all’aperto, con la carrozzina, il laptop incastrato di lato. Purtroppo è vecchio e debole, la batteria ha un’autonomia molto limitata. Eppure lei sa che non ce la farebbe comunque a reggere tempi più lunghi di quelli della batteria. ◊◊◊

Helene è seduta all’ombra dei tigli ed è contenta che nessuno sia andato a farle visita. Hanno finito di pranzare. C’erano

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polpette di Königsberg. La salsa di capperi le ha lasciato uno strano sapore stopposo sulla lingua. Un sapore che le ricorda il cibo delle mense, e che ha sempre chiamato ratto della lingua. Non è facile scacciare il ratto della lingua. Ma Matthes le aveva portato della gomma da masticare, ieri – fruga nelle tasche dei pantaloni della tuta ed effettivamente la trova. Non è facile scartarla. La mano sinistra armeggia maldestra, anche se nella sua percezione è vero il contrario. Che strano… È seduta e mastica. Un forte sapore di menta libera la gola. Il laptop rimane chiuso nella borsa. Non si era proposta di riordinare un po’ le cose? Le riordina senza il laptop, vuole mettere a punto una lista nella sua testa trapanata, segata e ricucita e in un primo momento le sembra del tutto normale. Un normalissimo elenco fatto a regola d’arte. A sinistra le parole chiave, a destra ciò che significano per lei. Di primo acchito le risulta difficile capire qualcosa, di conseguenza impiegherà molto più tempo per il lato destro che per quello sinistro. A sinistra scrive la parola amore. A destra i nomi di uomini? No, ride, a destra dovrebbe scrivere cosa le viene in mente quando ha sulla lingua la parola amore. Ma sulla lingua non c’è proprio niente. E infatti la sua bocca rimane serrata. Tutto si svolge da un’altra parte. Cerca di immaginarsi le aree del cervello. Purtroppo non sa nemmeno dove le è scoppiato l’aneurisma. Una cosa comunque è certa, è scoppiato. Dove era rimasta? Ah, all’amore. Un sentimento. Un sentimento che fa sì che il sangue scorra più veloce nelle vene. Quando pensa all’amore, si immagina accaldata e avvampata. Pensa a quanto era bramosa di Matthes. Dov’è quella sensazione, che fine ha fatto? Deve pur essere da qualche parte! Si arrabbia perché non riesce a trovarla nella sua testa. Perché non la può afferrare. Si muove dietro delle lenzuola bianche

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che palpitano nel cervello come se vi soffiasse il vento. Quale vento dovrebbe soffiare nel cervello? Il vento del cervello? Nei meandri del cervello? In direzione del cervello? Con un tale fragore che indica la direzione del vento del cervello, tutto ciò che è evidente diventa inafferrabile; si dispera, avrebbe voglia di scaraventare via il laptop, ma nell’agitazione non riesce a tirarlo fuori dalla custodia. Ma perché poi dovrebbe tirarlo fuori dalla custodia, lo può scaraventare via così com’è, via, via, nel piccolo corso d’acqua che scorre nelle immediate vicinanze. Qualcuno chiama mamma, una voce che le sembra di conoscere, e quella voce fa sì che lei avverta subito una sensazione d’amore senza che si accaldi e avvampi. Ci deve essere un altro genere d’amore. Perché non se ne ricorda più? Perché si nasconde fino a che qualcuno esclama mamma distogliendola dalla compilazione di un elenco che non è altro che un piano, un proposito che già dalla prima voce inserita fa presagire che suderà inutilmente sette camicie? Lungo la via lastricata di cemento vede arrivare correndo una bimba che grida mamma, tenuta per mano da un uomo. I due si fermano, la bambina la guarda trepidante negli occhi. Incuriosita, ricambia lo sguardo. Pian piano comincia a ricordare che la conosce. Si chiama Lotte. ◊◊◊

Insieme rientrano in corsia, con la piccola Lotte che le siede in grembo sulla carrozzina. Dove abiti? La piccola Lotte vuole sapere dove abita. Ha dunque la percezione di un’assenza così lunga da farle pensare che la mamma abbia cambiato casa. In effetti lei voleva lasciare casa. 55


Il fatto che ora si trovi lì rende più palpabile quel proposito o ci allontana da esso? Un altro di quei quesiti condannati a rimanere irrisolti. La certezza (tacitamente) espressa respinge qualsiasi tipo di risposta creando confusione nella testa di Helene. In quella situazione l’idea della separazione sarebbe stata una sciocchezza fuori luogo. Cerca forzatamente di tranquillizzarsi. Chiude gli occhi, senza problemi, perché Matthes la spinge. Ahi, grida divertita Lotte, mi dai i pizzicotti! E Reinhardsbrunn? Ti è piaciuto stare dai nonni? Carta vincente. Lotte racconta tutto quello che ha fatto con il nonno. Hanno cercato bacche e mirtilli nel bosco. Catalogato per nome uccelli, farfalle e piante. Matthes dice che è diventata una vera esperta di farfalle. Vedi mamma, questa per esempio è solo una cavolaia, ce ne sono molte, ma un occhio di pavone è molto più bello e raro, per non parlare della farfalla a scacchiera o del vulcano, che per vederli devi cercare davvero a lungo! Nella sua infanzia gli uccelli, le farfalle e le piante avevano avuto un ruolo centrale grazie al padre che, con molta dedizione, si prendeva con lei il tempo di osservarli. Si commuove al pensiero che lo faccia anche con sua figlia, mentre sua madre, come allora, resta a casa a cucinare e a preparare dolci. Il suo comportamento, un loop senza fine. All’improvviso percepisce come un elemento tranquillizzante il corso delle storie che si ripetono. Svanisce l’indignazione provata per il fatto che sua madre se ne stesse a casa per occuparsi delle faccende riservate alle femminucce mentre suo padre le mostrava il mondo. Quando tornavano a casa aveva fatto il bucato e steso i panni, il vapore delle patate lesse saliva dalla zuppiera, sentiva subito l’odore del sanguinaccio in padella e

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dei crauti. Non avrebbe mai immaginato di scoprire sotto il suo mantello femminista qualcosa di simile all’indulgenza per la divisione dei ruoli dei suoi genitori. Indulgenza? No, è più probabile che si tratti di gratitudine. Vede improvvisamente suo padre che al ritorno bacia sua madre, con lo sguardo fiero, perché non l’ha percepito allora, quando lo vedeva davvero, di ritorno con le sorelline da giri sempre uguali, era abbastanza grande da ribellarsi a quella che considerava una condizione predeterminata alla quale sarebbe andata incontro anche lei… Sua madre ha sempre lavorato, giorno per giorno ha insegnato a leggere e a scrivere a eserciti di bambini – non le sarebbe dovuto bastare? Non avrebbe dovuto vedere nell’agire dei suoi genitori una divisione dei compiti? Non erano molto più tranquilli e meno caotici loro rispetto a casa sua con i cinque figli? E non era, quella, la conseguenza del fatto che fosse chiaro, a monte, chi si sarebbe occupato di cosa? Ciascuno a occuparsi delle mansioni che gli riescono meglio? È strano come convinzioni così radicate si sovrappongano mostrandosi in una luce completamente nuova. Che basti una sola frase di una bambina per far sì che si eliminino a vicenda. ◊◊◊

Dalla finestra ha seguito Matthes con lo sguardo per un tempo infinito. È trascorso molto tempo dall’ultima volta che lo ha fatto. Facevano ancora l’università, lui studiava matematica, lei psicologia. Era uscito, correndo, da una gelateria nella piazza del mercato di Lipsia per raggiungere il tram. Lo vede correre ancora oggi, i lunghi capelli al vento, la testa oscillante, le braccia allargate e il passo ciondolante che, a intervalli 57


regolari, faceva toccare le ginocchia. Il tram l’avrebbe riportato a casa. A casa, un appartamento a Wiederitzsch, l’aspettavano una donna con due bambini piccoli. Nati a distanza di due anni, uno al primo anno d’università, l’altro al terzo. Adesso erano al quinto. Lui l’amava. Lei no, non lo amava. Poi venne un giorno in cui si ritrovarono a recitare insieme in un teatro studentesco e vide le sue spalle magre, larghe. Mentre si cambiavano. Aveva subito sentito il desiderio di essere accolta tra quelle spalle magre, larghe, e constatato con stupore come stava cambiando il suo atteggiamento. Non aveva mai pensato a un uomo già impegnato. Quando fecero l’amore la prima volta, la chiamò sciocchina dagli occhi azzurri e parlò tanto da far diventare rosse le ciliegie gialle che pendevano dall’albero di fronte alla finestra del salotto. Il suo odore sapeva di paura, ma non si era tirato indietro lo stesso. Il figlio di Helene, Bengt, stava facendo il riposino pomeridiano nella stanza a fianco. In realtà lei condivideva con lui quella stanza di dodici metri quadri, ma la vicina si era assentata per una settimana e le aveva lasciato la chiave. Alla fine era stato Bengt a tirarla giù, chiamandola, da quelle spalle. Matthes si era rivestito in fretta. Così in fretta che era seduto come sempre a tavola quando lei entrò con Bengt. Amava Matthes. Lo aveva seguito a lungo con lo sguardo quando era corso a prendere il treno per Wiederitzsch. Le sue erano lacrime di sconforto per la mancanza di prospettive che quel rapporto comportava. Se anche ora è sconforto quello che dovrebbe sentire, non genera lacrime.

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Se proprio non sappiamo dove si è cacciata, per un paio d’ore può lasciare il reparto, dice ammiccando l’infermiera. Che significa? Fino a quel momento Helene ha sempre comunicato che sarebbe andata nella caffetteria o nell’ampio parco, ma non si è mai assentata per più di un’oretta. Non vogliono sapere dov’è? Quando viene a farle visita, Helene lo dice a Matthes, che prospetta una minivacanza per il fine settimana successivo. Quindi si può fare, pensa, ed è orgogliosa di averlo comunicato a Matthes senza domande annesse. Purtroppo lui non è ancora in grado di guidare. Ma lei nemmeno! Non più! Non ci aveva mica pensato. Dovremo vendere la macchina, dice lei. Vedremo, dice lui. Dice sempre vedremo. Non c’è niente da vedere. Se ne accorgerebbe persino un cieco col bastone che non può più guidare. È arrabbiata. Chi dovrebbe venire a prenderla e portarla a casa per un paio d’ore? Deve pazientare in attesa della sorpresa. A domani. ◊◊◊

Il sabato c’è poco personale. Un’infermiera per la mattina, una per il pomeriggio e una per la notte. Oltre a due ragazzi del servizio civile. Sono contenti che se la svigni. Manca poco alle due. La vicina di letto è con il suo compagno venuto a trovarla, una coppia simpatica, allegra e ultrasettantenne! Doveva portarle le mutande da casa, ma non avendole trovate le ha comprate. Sono dei tanga. Gli chiede se è fuori di testa. Helene se

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