IL SILENZIO DEGLI ALBERI

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Brossura | collana VIE | pp 112 Traduzione dal catalano Beatrice Parisi KELLER www.kellereditore.it | www.kellerlibri.it



VIE 14



EDUARD MÁRQUEZ

IL SILENZIO DEGLI ALBERI Traduzione di Beatrice Parisi

Keller editore



A Javier e Toni



L’arte di perdere non è difficile da imparare Elizabeth Bishop



P

er la prima volta dopo molto tempo Andreas Hymer piange. L’aereo decolla tra una fila di colline riarse. Gli alberi, come pali anneriti, quasi senza rami, sorreggono un telo di nebbia che nasconde la città assediata. Le eliche dell’Hercules ronzano. Andreas Hymer appoggia la fronte al vetro del finestrino. Gli corre un brivido lungo la schiena. L’uomo del posto accanto gli porge un pacchetto di gomme da masticare. «Ne vuoi una?» Andreas Hymer si asciuga furtivamente le lacrime. «No, no, grazie». «Se non mastico qualcosa mi si otturano le orecchie». Andreas Hymer annuisce e si rimette a guardare dal finestrino. Sente un nuovo fiotto di lacrime nel ripensare alle parole di Amela Jensen, poco prima di uscire per andare all’aeroporto. La sua voce che riempie l’oscurità del pianerottolo... “Non mi dimenticare”. ... che lo segue sui gradini male illuminati dalla fiamma fragile dell’accendino...

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“Non mi dimenticare”. ... che si confonde con il crepitio delle mitragliatrici nelle strade piene di macerie e di macchine consumate dal fuoco. “Non mi dimenticare”. Le ali dell’aereo fendono la nebbia. Andreas Hymer chiude gli occhi e abbandona il capo sullo schienale. I ricordi si affastellano. Volteggiano come scintille che si staccano da un falò. Riportano a galla le ore e i giorni vissuti a un passo dalla morte. Il tempo torna indietro, alla prima sera in città. Andreas Hymer arriva a un incrocio e trova un gruppo di persone, in attesa sotto a un cartello che avverte della presenza di cecchini. Le lettere, scritte alla meno peggio, gocciolano. Quasi nel mezzo del viale, buttato sull’asfalto, c’è il corpo di una donna con gli occhi aperti. Il sangue si infila tra le giunture del selciato. «I proiettili sono più veloci delle palpebre». La voce dell’uomo raggela Andreas Hymer. Per un pezzo nessuno osa muoversi. La paura occupa l’esiguo spazio che separa la vita dalla morte. Qualche minuto dopo, quando ricominciano le corse, Andreas Hymer aspetta il suo turno con il polso che batte all’impazzata. Le tante volte che ha attraversato quella strada diretto al conservatorio pesano come piombo nelle tasche del cappotto, nelle scarpe, nelle ossa. «Adesso tu. Tocca a te». La stessa voce di prima, ora venata di impazienza.

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Andreas Hymer stringe con forza la custodia del violino e si mette a correre. Quando passa accanto alla donna, ha la sensazione che gli occhi di lei lo seguano, restituendogli l’immagine di un bambino che attraversa la strada con le mani sudate per il nervosismo e la custodia del suo primo violino appesa a una spalla. Adesso pensa che non lo dimenticherà mai, quello sguardo. Lo perseguiterà per sempre. Arrivato all’altro marciapiede si volta e resta fermo a lungo, con gli occhi fissi sulla scia di impronte rosse che lo unisce, come un cordone ombelicale, alla donna morta. Il direttore del conservatorio lo riceve in un ufficio senza finestre. Si abbracciano in silenzio. «Benvenuto in quello che resta di casa tua». Andreas Hymer fissa il viso asciutto del direttore. «Puoi dirlo forte. Quello che resta...» Si abbracciano nuovamente. «Com’è andato il viaggio?» «Un po’ complicato». «E l’albergo, che te ne pare?» «Bene, molto bene». «È abbastanza sicuro?» «Ma sì, certo». «Altrimenti sai già che puoi venire a stare da me. L’appartamento è piccolo ma...» «Non ti preoccupare. Affittano solo le stanze che danno sul cortile interno».

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«Ieri ne parlavo con qualcuno. Quanto tempo era che non venivi?» «Troppo... dalla morte di mio padre». Il direttore gli posa brevemente la mano sulla spalla e cambia discorso. «Allora, qui è tutto pronto. È un onore che tu abbia corso tutti questi rischi per venirci a trovare. Quasi tutti si sono dimenticati di noi». «Credo che tu non possa criticare nessuno... non è la loro città». «Forse hai ragione». «Sei riuscito a parlare con Amela Jensen?» «Sì, ma non c’è stato niente da fare». Nel vedere l’aria delusa di Andreas Hymer, il direttore apre una cartella e gli mostra un elenco. «Ma non ti preoccupare. Ci sono decine di pianisti disposti a suonare con te. Non hai che l’imbarazzo della scelta». «Non voglio scegliere. Voglio Amela Jensen». «E allora temo che sia impossibile». «Non cambia idea neanche in una situazione come questa?» «Amela...» «Che cosa ti ha detto?» Il direttore lascia passare qualche secondo prima di rispondere. «Amela non ti vuole vedere. Cerca di capire. È un brutto momento».

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«Sì, certo lo so, è un brutto momento per tutti, per questo sono venuto; ma forse riuscirò a convincerla, no?» «No, non credo proprio». L’espressione di Andreas Hymer si indurisce. «Dove abita?» Il direttore esita, ma poi comincia a sfogliare un’agenda e copia un indirizzo su un pezzo di carta. «Non dirle che te l’ho dato io, d’accordo?» «Grazie. Quando suoniamo?» «Sabato sera. All’Auditorium dell’ordine degli avvocati. L’acustica non è eccezionale, ma è l’unico posto abbastanza grande che è rimasto ancora in piedi». Andreas Hymer fa un sorriso forzato... «Non si può avere tutto». ... e tira fuori dalla tasca una busta. «A parte il concerto c’è un’altra cosa. Questa lettera mi è arrivata poco dopo l’inizio della guerra. È di Ernest Bolsi, il liutaio. Dice che ha un violino per me. Sinceramente non capisco, lo conosco solo di nome. Sai dove posso trovarlo?» «Penso nel suo laboratorio o al Museo della musica. Ci organizza delle visite guidate». «Ma non era chiuso?» «Sì, e vuoto come tutti gli altri musei, ma lui le visite guidate le fa lo stesso. Almeno così dicono...» «Ci andrò quando avrò un momento». Di ritorno in albergo, Andreas Hymer fa una deviazione che lo avvicina alla casa dei suoi genitori.

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Le strade sono deserte. Solo di tanto in tanto incrocia qualcuno che trasporta bidoni d’acqua o grandi carichi di legna in carrozzine per bambini, rimorchi improvvisati per biciclette o carriole rubate in qualche cantiere. I palazzi, con le vetrine in frantumi e le facciate devastate dal fuoco o dai proiettili, gli sembrano irriconoscibili. Dalla finestra della sua stanza, al secondo piano di una casa abbandonata, esce soltanto uno sbaffo di fuliggine. Andreas Hymer gira per le stanze con il cuore stretto. Colloca mentalmente i mobili e i quadri sulle pareti. Apre e chiude porte sparite. Attratto dal suono di un violino, sale le scale ed entra in una delle camere. Ci trova se stesso a sette o otto anni, davanti a un leggio. Con lo sguardo fisso sullo spartito. Sua madre intona la melodia battendo il ritmo con la mano. “Fai attenzione. Stai perdendo il tempo”. Andreas Hymer si ferma. Sbuffa. Muove la testa per rilassare il collo. La delusione gli disegna una ruga sulla fronte. “Non mi riesce. Ci ho provato tanto, ma non mi riesce”. La madre sorride... “Fatti portare dalla musica. Non ostacolarla. Se la ascolti con tutto il corpo, ti riuscirà”. ... apre la finestra e indica il filare di pioppi che limita il giardino della casa. “E non nascondere il suono. Lascia che la musica arrivi dove finisce il silenzio degli alberi”.

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Andreas Hymer si affaccia alla finestra e prova a unire con una linea invisibile i ceppi degli alberi abbattuti, sparsi in mezzo all’erba, cercando una figura. Una risposta. Suo padre gli circonda le spalle con un braccio e guarda la figura che è apparsa dall’unione dei puntini numerati distribuiti sul foglio. “Allora, ti è venuto?” “Sì, è un rinoceronte”. “Bravissimo, Andreas”. “Dai, fammene un altro, ti prego. Fammene un altro. E con più puntini. Ti prego. Questo era molto facile”. Il padre si siede davanti al foglio, con un pennarello traccia una serie di puntini e li numera. “Forza, qui ce ne sono il doppio”. Andreas Hymer poggia a terra la custodia, tira fuori il violino e, mentre suona, immagina di stare unendo le note della partitura con la linea tremula della nostalgia. Appena arriva nella sua stanza d’albergo si sdraia sul letto. Si sente stanco, ma non riesce a dormire. Ogni volta che chiude gli occhi, lo sguardo della donna morta, abbandonata in mezzo alla strada, prende possesso dell’oscurità. La fiamma della candela ridesta le ombre. Le esplosioni squarciano il silenzio del crepuscolo. Andreas Hymer pensa ad Amela Jensen e ripassa mentalmente i brani del concerto per sentirsi meno solo.

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