ARNO CAMENISCH, ULTIMA SERA

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ARNO CAMENISCH

ULTIMA SERA Traduzione di Roberta Gado

Keller editore


Come acqua, chiede la zia al tavolo fisso dell’Helvezia guardando l’Alexi, ti è andato di volta il cervello. Scuote la testa e si infila una Mary Long tra le labbra, l’acqua non te la porto, se proprio la vuoi arrangiati, dove sono i bicchieri lo sai. Prende un fiammifero dalla scatola sul tavolo e si accende la Mary Long. L’Alexi fa per alzarsi, il Luis gli stringe l’avambraccio, tu resti seduto, gli dice, qui nessuno beve acqua, non siamo ancora caduti così in basso, un paio di botte in testa, quelle sì che posso dartele se le vuoi, e poi magari ti rimetti a ragionare. Ideas da cuafför, dice l’Otto accarezzandosi la barba. Ha la barba come una vanga. Non ha ancora nevicato fin qui, immergi la testa in un secchio che ti si raffredda e scappano i fantasmi, porca Eva. La zia lascia la Mary Long sul posacenere con la scritta Calanda, si alza e va dietro al bancone. Serve una birra alla spina all’Alexi, viva, dice riprendendo la Mary Long dal posacenere, è tutta la vita che bevi soltanto birra e adesso mi chiedi l’acqua, vorrai mica ammazzarti. Si siede. Idee del piffero, finché sarò vivo io, qui dentro l’acqua non la beve nessuno, dice il Luis, qui si beve solo oro, e adesso bevi. Ha un binocolo al collo e uno 9


stambecco cucito sulla manica sinistra della giacca da sci blu. La radio con l’antenna spezzata fruscia sulla mensola. Ci manca solo che portiamo acqua al Reno, dice la zia con un sorrisetto. Vorrei proprio sapere chi te l’ha data a bere, dice l’Otto, solo perché hai dormito storto non è un buon motivo per ridurti così, pensa un po’ anche agli altri, tra sei mesi non ci vediamo più fuori dagli occhi, tanta è la chioma. Prende i Brissago dalla tasca della giacca, Jesusmaria, ci mancava il barbiere impazzito, accende il sigaro, vero o no. Adesso bevi che vien calda, insiste il Luis, o dobbiamo prima cantarti la santa consolaziun, di solito bevi come un animale. L’Alexi allontana il boccale e borbotta, huara cleppers. Fa per alzarsi, l’Otto lo afferra per la spalla e lo rispinge sulla sedia. Il Luis gli avvicina il boccale. Bonschiur, dice la Silvia entrando all’Helvezia. Ha in mano il portasigarette e la scatola dei fiammiferi. Avete consegnato le pistole, chiede, non che ci scappa il morto vista l’aria che tira qui dentro, non siamo rimasti più in tanti. Si siede e si accende una Select. Silenzio. La zia si alza e va dietro al bancone a pren10


dere un Caffefertic per la Silvia, che ci mette lo zucchero e mescola. L’orologio appeso al muro è sbagliato. La zia spegne la Mary Long. L’Alexi si liscia l’acconciatura. Il Luis guarda il posacenere al centro del tavolo e sbircia verso l’Alexi. L’Otto fruga nella tasca della giacca. La zia prende un’altra Mary Long. Recupera il posacenere dal tavolo e lo porta dietro al bancone, lo vuota e lo pulisce con una spazzolina, la Mary Long accesa tra le labbra. Rimette il posacenere al centro del tavolo e serve un’altra bottiglia all’Otto, viva, dice. L’Otto annuisce. Il cane sbuca da sotto il tavolo. Ha ricominciato a piovere, dice la Silvia, in pieno gennaio, se almeno nevicasse. L’Otto si mette il berretto. Finisce che ci ammolla le ossa, dice, e pure il cervello, fa il Luis, preferisco non sapere come va a finire. Ieri è passato il Ludivic, il meteorologo di Patnasa, dice la zia, ha detto che la montagna si sta svegliando dal letargo, la si sente di notte mentre si stiracchia. Come se non bastasse che restiamo tre mesi all’ombra per colpa sua, dice l’Otto, adesso vuol pure farci fuori, seppellirci vivi, beve un sorso e si pulisce la bocca con il dorso della mano, non che si ripete la disgrazia del venticinque. Ventisette, dice la Silvia, la 11


zia le serve un altro Caffefertic. Venticinque, dice l’Otto, non è vero, ventisette, dice la zia, il venticinque hanno ammesso le automobili nei Grigioni, la frana è del ventisette, ho ancora un articolo del giornale nell’armadio, è uscito che non è tanto sulla Gasetta Romontscha per l’ottantesimo anniversario, ma è sulla frana nel paese vicino, sul nostro neanche una parola, come se non fosse mai successo, ignoranti, dice il Luis, è stato nello stesso giorno di quell’altro paese, una domenica mattina, solo mezz’ora dopo. La zia lascia la Mary Long sul posacenere, si alza e va all’armadio vicino alla porta della cucina. Peccato che non c’è più il Pancraz, proprio adesso che sarebbe servito, queste cose le sapeva tutte, si è portato nella tomba un sacco di storie, gell, dice la Silvia, Pancraz, assistici quando congiurano le genti, sussurra l’Otto, leggicelo tu, dice il Luis alla zia restituendole l’articolo, io non riesco, oggi ho gli occhi freddi, beve un sorso del quintino, poi portamene un altro che ultimamente ce n’è dentro un po’ poco. La zia regge la pagina del giornale con le due mani, dunque, qui c’è scritto, ha piovuto ininterrottamente per sette giorni e poi il roccione è crollato sul paese vicino e lo ha bombardato con massi grossi come vacche, 12


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