"3° Quadernetto Poetico - La cena delle Effe”

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I Quadernetti Poetici di “SiFaPerFarBenEdizioni”

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“La Cena delle Effe”


“SiFaPerFarBenEdizioni”, improbabile casa editrice frutto della fantasia contorta di Roberto Marzano, presenta il 3° Quadernetto Poetico a tema “La cena delle Effe”, ovvero: umori, ispirazioni e aspirazioni legate a cibi, bevande, abbuffate e stravizi alimentari... Un tema piuttosto impegnativo, sicuramente fuori dai soliti canoni poetici, che ha visto la partecipazione di tanti affamati poeti, fotografi, pittori, cuochi e narratori con le loro opere. Ce ne sono di cotte e di crude, ricette quasi segrete, melanzane e granite, prezzemolo un po’ dappertutto. Ci sono zuppe e abbuffate, formaggi e omelette, cocktail di pesci e carciofi, caffè e ammazzacaffè… Un gigantesco minestrone di pomodori, sfincioni, trippe e fegatini, mozzarelle, cannoli, arance, limoni, bushmeat, gnocchi, frappè, spinaci, sfogliatelle, maionese, olive nello spritz, frittate e vino a garganella.. Non manca il pane, e nemmeno la brocca dell’acqua sulle tavole gaudenti, dove fantastici manicaretti spandono nell’aria il loro profumo. Artisti da ogni parte d’Italia, ma non solo,

vi faranno sentire infiniti sapori e

fragranze con i loro versi, racconti, disegni e fotografie… Troverete opere di Roberto Marzano, Maria Pia Altamore, Fabrizio Casapietra, Luca Crastolla, Giusy Del Vento, Giulia Bragalone, Beatrice Orsini, Angela Donna, Giovanna Iorio, Maby Col, Alessandra Carnovale, Valeria Bianchi Mian, Vittorio Fioravanti, Helen Esther Nevola, Giusy Rodolfi, Sandra De Felice, Enrico Mario Lazzarin, Grazia Valente, Norma Landucci, Giulio Murru, Angelo Pini, Marco Maggi, Giovanna Olivari, Enrica Gugliotta, Loredana Borghetto, Laura Paita, Carolina Navarro, Adele Libero, Adele Ferrari, Lorella Finocchiaro, Maura Taormina, Fabio Barricalla e Izabella Teresa Kostka. I “quadernetti” sono (volutamente) piuttosto coloriti e colorati, disomogenei nella grafica, un tantino infantili, quasi naif. L’intento è quello di discostarsi dalla consueta veste di altre, pur rispettabilissime – detto senza alcuna ironia – antologie. Proviamo a dare una botta di vita a un ambiente talvolta rigido e ingessato con la tendenza a prendersi troppo sul serio. Qui, di “serio”, non c’è nessuno! La partecipazione è libera e gratuita, fatta solo per amore delle arti e della loro divulgazione. Non c’è selezione, se non quella di pubblicare nell’ordine d’arrivo dei contributi. Il risultato potrà anche apparire kitsch o un po’ pacchiano, ma la nostra “poca voglia di serietà” deve in qualche maniera esternarsi, e i “quadernetti” vanno proprio in quella direzione… Roberto Marzano


RobERtO MaRZaNo Nato a Genova il 7 di marzo del ‘59, narratore e poeta “senza cravatta”, chitarrista, cantautore naif e bidello giulivo. Barcollando tra sentimento e visioni, verseggio di vagabondi e di prostitute, di amori folli, di ubriachi, di oggetti inanimati e dei quartieri ultra-popolari dove sono orgogliosamente vissuto. Se vuoi sapere di più (pubblicazioni, premi letterari e altre poesie):

https://robertomarzano.jimdo.com

LA CENA DELLE EFFE

L'AMMAZZACAFFÉ

Non mi farò sopraffare dal traffico malefico né soffocare da sformati di falafel asfittici io sfarfalleggio all’infinito, non so star fermo e francamente me ne infischio, strafottente degli spifferi funesti di metafore e fantasmi...

Intenso godimento ebbro io provo nell'ingollar cotenne irsute, polipi glabri avvoltolare vermicelli alla forchetta fare scarpetta, intingere per ben pane nel sugo...

M’affligge chi famelico si fionda su beffarde fettuccine funghi e fango farfugliando affanno e frasi senza offesa goffe ed affrante come krapfen sgonfi fanti di fiori offesi da fiacchi stufati stufi di fiabe-truffa e di falsi suffissi...

Strofe trifolate con fagiolini metafisici saffiche fiorentine affamate di finestre fate fedifraghe, falene sul soffitto sfrontate figlie di fantomatici fauni riflessi nelle finte forme in fil di ferro...

Intanto un flan di frattaglie strafritte mi sfalda il fegato, me lo fa a fette con un puf f che soffia fallimento deflagra in un frappè di frutta sfatta servito da filosofi in frac e farfallino che fan strofe febbrili di fornace in questa folle, folle cena delle effe che fame non toglie proprio a nessuno se dopo il formaggio arriva... il for-giugno!

Provare ai denti quanto sia “dolce il naufragare” tra i flutti di un purè ricco di burro e abbandonarmi così con far lascivo a suggere lumache via dal guscio... Dare l'assalto alle procaci cosce calde di brace e a uova strapazzate fare impazzire le cozze, far del male alle mele lanciare fragole in volo per ingoiarle intere... E non m'importa di tovaglioli e orpelli senza senso mi ungo il mento? tanto lo posso nettàre con la lingua e mai do tregua a lasagne che trasudan besciamella alle patate a garganella al forno con il timo... E ancora vino a secchi, acqua alle rane finché l'infinita fame non s'addormenti con la testa abbandonata alla tovaglia plachi la voglia di provoloni, burrate e mozzarelle... Forse un dessert o uno stufato di frattaglie potrebbe riempire il mio gran vuoto giusto un timballo, o un pollo in fricassea con tante olive e se ancor vivo, una mousse di more e un'omelette prima di un'enorme caraffa di caffè sperando che il suo celebre assassino - sì, proprio lui: l'ammazzacaffè non voglia oggi uccidere anche me!


BLOODY MARY Nel mio incedere incauto senza alcuna prudenza inciampavo distratto addosso ai gradi insidiosi di una scala minore non certo per l'importanza a discendere in fronzoli d'oro di coriandoli a festa forse in senso contrario al comune buonsenso e non per questo provavo meno dolore col bemolle piantato nella costola flessa ed un taglio a sprizzare all'altezza del cuore. Senza farne clamore restai comunque di stucco nell'udir palpitare dal rosso fiotto sgorgante un picchiettare di archi, l'ulular di una tuba arabeschi a sghimbescio di oboe ubriachi di Bloody Mary a zampillo, lapalissiana certezza che nel sangue ho la musica, ma io già lo sapevo… MEZZOGIORNO IPOTETICO Curvo, gli occhi fissi al piatto tremolante di brodo l'anziano cameriere sulla soglia timida di ottobre serve il cliente solitario intriso del proprio destino in un mezzogiorno ipotetico trafitto da lame di lumi anime implumi che annaspano sbiadendo nel vespro bruno.

BRACCIA AL CIELO Quanto ho sofferto e tribolato quanta fatica per farla sollevare perché avesse l'aspetto decente che con tutto il cuore auspicavamo. Le davo uova per conferirle energia e sbattevo la testa contro il suo silenzio con tutta la forza che avevo in corpo per comunicarle il mio vigore ma, purtroppo, non fu sufficiente e impazzì, la poverina... Deluso, mi dovetti così accontentare di un dozzinale tubetto di marca ignota che spremetti con rabbia sul nasello furiosi ghirigori come onde in tempesta che facevano impennare barche di giunco marinai atterriti con le braccia tese al cielo imploravano piangendo la mamma lontana in un altro mondo molto, ma molto diverso da questo…

GIA' MANGIATO

UNA VITA DA POCO

Vittima fui assai dei tuoi pranzetti di mal lavati sedani e di lattughe cespi di libere versioni di spente amatriciane pesci bolliti troppo al gusto di castagne.

Mani nell’aria scolpiscono scie di spillo orridi sibili… Improvvise, micidiali, decise infliggono al mio corpo mortali offese… Scappare !? E dove mai, poi, ora? Ho perso i miei fratelli non ho più la terra evapora la vita… Vita, oh mia vita! Appena assaporata e già ti sto perdendo…

Capirlo avrei dovuto anche un po’ prima quando la pasta, invero, era una colla quel sugo unto che la lubrificava il tovagliolo – urgente! - al tanfo di cipolla. Non avertene a male, hai fatto del tuo meglio possiedi altri talenti, son sicuro chiunque sai può commetter sbagli ma il sale s’usa a pizzichi, non a pugni. Ma tutto ciò, mia cara, lo scrivo di nascosto non ho il coraggio di dirtelo negli occhi quel tuo entusiasmo mi lascia un po’ spiazzato così la prossima volta verrò, di già “mangiato”! LA TRIPPA Mai sembra troppa la trippa alla truppa anelante che trepida per la frattaglia di brodo fradicia che dalle bocche ricolme straripa mugolando estatici “ancoraaaa” ai mestoli che pescano il tesoro da pentoloni a tappo ribollenti…

Vengono uomini urlanti siam tutti fatti a pezzi! La sola mia difesa unghie acuminate vilipese, derise mi vengono amputate! Pian – piano, strato a strato mi strappano la pelle il cuore mio scoperto persino preso a morsi… Ormai non ho speranze il futuro mio è remoto ma vale così poco la vita di un… carciofo?!


RIVOLUZIONE

IL PREZZEMOLO

Grano di pepe tu che giri in tondo nell'orbita di un ravanello al brandy prendi coraggio e affronta la mia griglia confuso tra gli stinchi dell'indivia rompiamo insieme usanze e convenzioni rivoluzione, a cominciar dalla cucina!

Non si disprezzi il prezzemolo solo per il suo prezzo modico o perché, si dice lo si trovi in ogniddove come se stesso del resto ma lo si apprezzi invece, lo si ami tanto per il soave olezzo che sprizza dagli odorosi pori verdi a sprazzi nei mesti triti dondolanti sotto la lena lenta di mezzaluna…

La lunga processione di lenticchie aggira il piatto e assale i cannolicchi che affogano nel brodo di cotogne inebriati da lardo e zafferano il riso che lì abbonda ingolla Chianti che sgocciola bignè alle crocchette che poverette sfuggon la padella stordite da un flambè di grappa bionda. Il gorgonzola è stanco e prende tempo centellinando melassa d'angostura è la paura a far triti e ritriti ed i battuti non si daran per tali un palpito d'aceto e castagnaccio rimembra ai conigli alla mugnaia che un asparago annega di brodaglia nei fegatini d'anatra in guazzetto. Allora è l'alloro che disdegna di mantecare pomodori tristi secchi e assetati di menta e di pistacchio occhio di bue che frolla e osserva tutto. Ma i broccoli d'Orly la fanno franca se salmistrati giusto due minuti tritati tra le scaglie dei lanzardi e un pizzico di anice e radicchio. Ma se ne infischia la vongola che ride a crepapelle delle crespelle saltate con la trippa non è mai troppa la maionese sopra lo spaghetto che se sta stretto può sempre usar sé stesso e fuggir via...

ROZZO FIGLIO Figlio di chi è avvezzo a gozzoviglie un alone fetido sparpaglia… Per certi commensali impediti nel parlare vuol dire : “No, non ho mangiato male!” Ei giunge alla laringe gonfio, tosto e con clamore al fine esplode con fragore! Il bevitor di birre n’è invero un gran campione ne sparge ogniddove a profusione certo del buon gusto problemi non si crea e di 'sì rozza usanza egli si bea… BRICIOLE

PAPPA DI PANE

Alla fine raccoglieranno tutte le briciole dal tavolo per ricomporre il pane della mia vita la mollica saranno i segreti dell’anima la crosta ciò che hanno visto di me gli altri.

Pappa di pane che strabolli sfatta nella brodaglia d'aglio e glutammato il pepe nero che t'incendia il cuore mentre t'ammolli scotta alla pignatta lo sciabordio del mestolo frapposto tra l'aria avara e il caglio polveroso con l'ombra sua bruta ti scodella l'ultima stilla di fiato a strozzacollo…

Fatte entrambe degli stessi ingredienti l’una solo più cotta dal fuoco del mondo l’altra più morbida ben difesa dalla prima lasciata toccare a chi mi ha voluto bene e ha saputo vedere aldilà della mia musica o sotto la brace ardente dei miei versi buoni come il pane…


mariA PiA AlTAmOrE

(Le foto dei cibi e la loro creazione sonno tutte esclusivamente di Maria Pia Altamore) PALERMO, e' quel posto dove può succedere di tutto e nessuno se ne meraviglia. A Palermo puoi anche Vivere solo ma non ti senti solo… A Palermo tutti parlano con tutti , anche troppo e cosi" spesso si litiga, ma anche può capitare Che il tuo nome venga urlato più e più volte dalla Signora rimba del Terzo piano posteggiata Sul poggiolo perché quello e' il suo unico svago. A Palermo se spingi Una macchina in folle , c'è Una folla a spingere. A Palermo se chiedi cos'è in un negozio alimentare te Lo fanno assaggiare… a Palermo in una sala d'attesa come niente ti trovi a parlare di niente. A Palermo fai merenda con arancine, sfincioni, pani e panelle pani e cazzilli, quarume, stigghioli pani cu a meusa, gelato cannolo e caffe' e poi vai a casa a mangiare!


A GRANITA Un vecchiu assittatu all'ummira, cu a coppula fuddata ntesta, abbagna u pani cu a giugiulena

Tu non sai quanto preziosa sia quella risata! Così fragorosa scalda il cuore e mentre dimentico le mie pene riprendo il cammino della vita che dalle tue risa è stata alleggerita!

nta nu biccheri di granita al limone su gusta che pari arricriarisi

ORARIO PROLUNGATO

ogno tanto si ferma, sganga u pani a pizzunna quattru, cinqu, talia cu l'occhi a pampinedda . Un vecchio seduto/all’ombra con la coppola in testa/bagna il pane col sesamo/ in un bicchiere di granita al limone/se lo gusta con piacere/ogni tanto si ferma, spezza il pane a pezzi/quattro, cinque, guardi con gli occhi semichiusi.

Anche tu sei merce seduta su quel trespolo dietro alla cassa un oggetto come tanti altri che stanno invece in bellavista

MENNULA SCACCIATA

sugli scaffali ben allineati! Ormai non guardi più verso l'alto

Comu 'na mennula scacciata

il tuo sguardo e' chino sul nastro trasportatore

mi sentu corpa di petra

a farti compagnia

dati forti pi rumpiri u virdi e poi atri cchiù forti pi rumpiri u dintra all'ultimu corpu a mennula si sfa a pezza nichi. Accussì mi sentu…

farine, burri, arance, paste, succhi che passano veloci al suono del “pic” del codice a barre.... Solo quel “pic” scandisce le tue ore, i clienti comprano e scappano ti guardano solo e male se rallenti il ritmo.... “Plin plon…

Come una mandorla schiacciata/mi sento colpi di pietra/dati forti per rompere il verde/e poi altri più forti/per rompere la polpa/all'ultimo colpo/ la mandorla si sfa/a pezzi piccoli./Così mi sento...

un addetto alla gastronomia alla cassa 4 ...”

PAUSA CAFFE’ (A Doriana)

anch'io ho fretta

Manca il prezzo sul prosciutto. Si ammucchiano in coda i clienti sono appena tornata dal lavoro ...

Assorta nei miei pensieri, chiusa nel mio giubbotto, entro distrattamente A mezzo busto stai. Come in televisione … Il resto rimane nascosto dal bancone … Ordino un caffè e ancora penso agli affari miei … Improvvisamente irrompe la tua risata! Perle sono i tuoi denti … Preziose risa che doni a me e a tanti come me! Eppure anche tu hai i “cavoli tuoi” ma te li tieni per te! Ascolti solo i miei! Perché tanta generosità?

devo preparare la cena; tu e le tue “meches” fatte in casa che non si scompongono ed io provo tanta ammirazione per tanto autocontrollo. Ma come fai? Forse ho capito il tuo segreto: ti sei iscritta ad un corso di pugilato, ad ORARIO PROLUNGATO!!!!!!!!!


Dal Quaderno di lingua ittaliana di Maria Pia Altamore - Palermo 1967 : Tema: Scrivi ciò che sai dell’uva, e della vendemmia. A settembre naturalmente si ventemmia. La vire ha una malattia che si chiama filosera. Anticamente il dio del vino che si chiamava Bacco. Le parti dell’uva sono: grappolo, buccia, gracino. la b. si c. fioc. Molti contadini il vivo lo portano nelle canti sociali. Nele cantine si inbottiglia, infiascato e venduto. Quando L’uomo beve molto vino si accorcia la vita si rovina il fegato e diventa scemo. Il vino fa buon sange quando se ne beva poco. Il vino ai bambini fa molto male. Dal vino si estrae l’alcoo serve per fabricare i liquori. La mamma per le feste usa la gancia. Vari tipi di vino: Moscato, barbera, Chianti, frascati, marsala, bardolino, vermut, Cinzani, Martino, Albano, Ferrari, Principe, Barolo, lagrima, Lonbusco, Nebbiaiolo, Tocai, Valpoliella, vernacchia, Baboso, Soave, Freisa. Il cormercio dei vini da guadagno ha molta gente. al vignaiolo, al contadino, al, vendemmiatore, a l’oste, al cantiniere al negoziante di vini agl albergatori, ai baristi. Dalle minaccie si ricavano la grappa e l’alcool che vengono usati nella fabbricazione dei liquori. Tema: La Gola, dei golosi. La gola è un altro vizio capitale. La gola è chi mangia troppo e gli piacciono i dolci. Io ho un fratello che è goloso e gli piacciono molto i dolci, quando viene mia zia dal paese gli dice “ma i topolini ti hanno mangiato i denti?” La golosità è una cosa molto brutta che fa diventare grossi, e questo vuol dire e ci sono i migrobi bianchi e rossi sono di più del numero che debbono essere. Mariapia Altamore, sembra un nome d'arte, invece è proprio il suo. Bisognava solo abbinare il temperamento artistico, rivelatosi negli anni tanto eclettico da farla spaziare dal teatro comico alla clownerie, allo scrivere teatro e poesia, a gestire eventi a cui partecipa anche come animatrice e cuoca. Insomma una "cuocattrice" (nonché poetessa) titolare del singolare progetto "Cibarty di Mariapia Altamore-La Cucina del Buonumore".


FaBriZiO CaSApiEtrA IL PORTO DELLA TAVOLA Oh, il porto della tavola... Con cibi blandi, bonaccioni, pazienti ad ogni passaggio dall'aria aperta al buio dell'elastica caverna... Oh, voi cibi, che regnate su schiavi e monarchi, sui golosi e sui parchi; voi che ammiccate, seducenti, come a riempire deschi e conversari spenti: ricchi e modesti cibi, dalle procedure esotiche, a volte un pò esoteriche: portate portate da anonime teleferiche dall'altro capo del mondo, che peccato, che non vi ricordate più di quegli occhi melanconici e gioviali dei vostri lontani padri animali, delle ali svigorite delle pianticelle fiorite: per loro non valgono funerali, rimpianti, recriminazioni: soltanto macelli con svuotati budelli, ganci che arpionano gli immobili slanci: ma, tutto considerato, che bello tuttavia, consumare lenti i cibi succulenti, soffrirne soltanto se del troppo ti lamenti! Fabrizio Casapietra, laureato in Lettere moderne, con una tesi su Plinio il Vecchio, ho partecipato a letture di poesia assai apprezzate alla 'Stanza della poesia' di Genova, essendo stato giudicato con ottime valutazioni da esponenti della cultura, animatori culturali, giornalisti ed artisti genovesi come Riccardo Grozio, Tina Cosmai e Giorgio Boratto, giornalista de "Il Secolo XIX"; sono stato apprezzato da cantanti ormai noti a Genova, come G.Zazza e Bobby Soul. Sono recensito, anche,con ottimo apprezzamento di pubblico e critica, da "La Repubblica", "Il secolo XIX" e "Mente locale"; scrivo canzoni e ballate pop melodiche, dolci, graffianti, ironiche, delicate. Dal vivo, ho partecipato a prestigiose letture di poesia e concerti, fra cui "Faber e la città vecchia"(centro storico, per un tributo a F. De André). Le mie canzoni-poesie si possono trovare e ascoltare sui siti: https://soundcloud.com/sassifraga1 e https://www.reverbnation.com/fabriziocasapietra


LuCa CRaStoLLa Arruolate l'arrotino che la lama separi senza dubbi il culaccio dall’osso. E che dia ai fuochi un occhio che non scemino a metà del rosolare. Fimmine il Figlio dell'Uomo è tornato! stanco vivo e affamato! Che il venerdì è risaputo cosa passa il convento pane vino e tradimento. Paisa’ il Figlio dell'Uomo è tornato! stanco vivo e 'mbrisofato! Ha lasciato la sacca e l’asinello mo tiene marsina e cappello. Ha mandato a dire che ogni anno tutto sto teatro si può fare a patto che poi lo si festeggi a dovere a patto che la wascezia sia imbandita a godere. Che non è un numero di magia da fiera è il prosperoso incanto della primavera. Lasciate, quindi i gironi magri dell’inverno che v’hanno dato ironico assaggio delle pene dell’inferno. È questa la nuova parola del Signore: “al diavolo pene e penurie a tutt quand fazz i megghjè augurie!”


Note: -'Mbrisofato: agghindato - Wascezia: italianizzazione del termine pugliese Wascezz. E' un termine di non immediata traduzione, che può riferirsi ad una mangiata festosa, ad una riunione tra amici, ma anche ad uno stato d'animo giocoso ed allegro. Secondo la mia persponale etimologia creativa deriva dal termine "basso" (in dialetto wasc). Quindi, wascezia è momento celebrazione di ciò che si ritiene in basso rispetto allo spirito, ovvero la carne; Allora uascezia per me ha qualcosa a che fare con i baccanali e Dionisio.

Figlio di una tarantola e un ferroviere, Luca Crastolla nasce, in Puglia, alla fine del secolo scorso, e nasce stanco. È convinto che su di sé gravi la spossatezza degli ultimi anni del ‘900, unita alla convalescenza dei feriti dal boom economico, di fatto esploso solo qualche anno prima. A sei anni, per Natale, chiede in dono l’allegro chirurgo. All’ufficio di Via 25 dicembre, dopo una stima accurata delle sue biricchinate, (tenuto conto dei precedenti e della reiterazione, acquisito che in molti casi le disobbedienza costituiva la prova di una personalità fortemente controversa e antisociale, rigettate le attenuanti generiche e quelle legate alla compulsiva curiosità verso i fatti della vita) si opta per un tristissimo pacco di penne. Il bambino, scarta e non capisce. In prima battuta crede si tratti dei primi pezzi appartenenti al dono richiesto (il resto arriverà l’anno prossimo?). Crede di vederci dei bisturi e comincia a usarli su di se come capita. Le penne non reggono, scoppiano, e il bambino sporca d’inchiostro un po’ dappertutto. Ci prende gusto. E questo, signori, è tutto.


GiuSy dEL VenTO Odio fare la spesa ma è in arrivo l’inverno Una giara d’olio la farina, sale, vino nuovo l’aglio e la cipolla i semi per l’orto La legna non la compro

La pausa . . . Ero al fresco sotto l’ombra di un ulivo Ed è accaduto. Forse la stanchezza di sicuro per la fame Me ne sono accorto dopo dal calore . . . Ho ingoiato il sole. Mentre mangiavo pane e arance.

non mi serve tu hai promesso che verrai, sicuro Basterà chiudere la porta e tenerti le mani

Ho passato il pomeriggio intero a schiacciare mandorle per te Bianche e tenere da succhiare Adesso dammi un bacio Ho le mani tutte verdi Coglimi due limoni prima che muoia il sole.

il sole adagiato sul letto. Giusy Del Vento è autrice di prosa e poesia. Ha collaborato con sue opere, ed è presente in numerose antologie e raccolte di entrambi i generi letterari. Gestisce una pagina facebook come autore. Alcune sue interviste si trovano in rete, in diversi blog e piattaforme culturali. Da anni pubblica su mEEtale, sede libera di self publishing, dove si possono trovare racconti e le poesie. "Nòstos" (Il ritorno) è l’ultima raccolta, intima e visiva che ha come tema centrale il desiderio e le emozioni dei ritorni, dove o da chi, il lettore è libero di immaginare. Suoi racconti sono stati usati in Patagonia Argentina, come materiale didattico per insegnare Italiano in una scuola. Le sue poesie sono state tradotte in francese, tedesco, inglese, spagnolo, macedone, greco, esperanto e polacco. Afferma che, fra tutti i riconoscimenti ricevuti, i commenti dei lettori sono quelli che le stanno più a cuore.


GiULia BrAGaLoNE

Giulia Bragalone, nata ad Anagni il 22 Gennaio 1996. Amante dell'arte (in modo particolare della pittura) della scrittura e della cultura, studia Filosofia presso l'UniversitĂ "La Sapienza" di Roma.




BeaTRiCe OrSiNi Con uno schianto lucido e fiero il bicchiere ha lanciato la sua traiettoria:

Spezzavo le mie dodici verità

c'è del vetro rotto in cucina c'è una casa addormentata e tu ci cammini sopra, l'attraversi come in una trappola per topi.

divisa dalla voce di un coltello

Le mie mani, così incapaci ad afferrare i tuoi piedi, che cercano giustizia.

con una bottiglietta tra le mani.

sulla scia di un soffio tarda l'occhio, oltre lo sguardo: un rivolo d'acqua, le ferme foglie la libellula allunga le uova: per ogni grappolo una parola.

contro i gradini di una scala a chiocciola

gioivo, della mia infelicità: me ne uscivo dai giochi d’acqua

Pochi passi per uscire da una vita entrare in un'altra. Pochi passi per lasciare strade illustri varcare portoni dismessi appoggiati al corrimano cercare tracce di un po' di verde nel cortile, oltre la tromba delle scale le impronte dei tuoi passi come un fiato sulla schiena.

domenica d'inizio settembre ci si prepara alla questua tra i vialetti del parco

Non sapevo che le conchiglie avessero un cuore blu cobalto.

qualche ramo spezzato un po' di ruggine in cima alle foglie i ricci ancor chiusi e le finte fontane

abbiamo ubriacato i cani tolto i chiavistelli alle porte di casa abbiamo camminato scalzi sfiorando al buio binari ciechi

tacciono. Se senti che le mie gambe tremano non sono io: è la terra

abbiamo cucinato un idioma con la saliva delle nostre bocche

a inciampare

abbiamo pagato il prezzo e consumato in fretta il pasto:

nelle stanze sfocate

di ogni cosa che incontro esistono sempre due ingressi.

soffocate chiuse a chiave anche un ventilatore rotto può venire confuso con un’opera d’arte non c’è certezza che non s’inganni. Solo calcoli sterili incolonnati con la prove del nove.

Che strana, che molle questa fiducia in te... Parlo mangio dormo persino. Continuo a inciampare in geometrie imperfette in attesa del giorno in cui piova, capovolta, l'acqua di palude. Salterà un girino: avrà rumore di plastica rotta.


Usciamo da una città consegnata al pianto usciamo dal suburbio di voci e palazzi dentro un'idrovora dalla bocca di alligatore dentro un fiume di carne che non porta al mare. Uova, girino, pesce. Un rospo nudo che salta oltre il fosso. In altri lidi le acque mute e ubbidienti salgono alla superficie formando un cerchio.

innamorami se puoi, se vuoi, se credi che io valga il tempo corto di una moneta di rame prima che si frantumi questo squilibrio. ci si abitua alle piccole come alle grandi cose, al peggio ancor più che al meglio

[a lungo ho creduto che il ciliegio fosse un albero dalla bianca corteccia]

alla tenacia di una colonia di pidocchi a un piatto di minestra insipida e fredda

lontana dalle mie origini contadine dal verso degli alberi dal cerchio delle stagioni da ciò che nasce e muore nel solco sottile arato con la terra

la pigrizia diviene un cemento che incolla le gambe con i pensieri

trovo un bastone e un coltello un tavolo e una panca di legno: gli strumenti del riposo all'ombra di un'unica pianta

Ho messo un elefante nel piatto. Come promemoria per le cose future. Da una parte il cervello, dall'altra le interiora. Mi commuove la goffa tenerezza con cui ricorda. Senza sapere. Senza sentire. Nulla.

[a lungo ho creduto che il ciliegio fosse un albero dalla bianca corteccia]

Innamorami se puoi, se vuoi, se riesci a estrarre dal letargo del cardo una natura priva di spine conto gli inverni invece delle primavere: qualcosa cade: un pesce rosso sfila la sua lisca dal piatto lontano luccica una scatola di vetro innamorami se puoi, se vuoi, se di ruggine si disfano una ad una le foglie e non è ancora autunno dentro la mia bocca di neve salata si riempie la caverna i pipistrelli riposano nel nido manca un latrato alla conta delle notti: un cane ha mangiato la sua coda

i rubinetti sgocciolano piano: hanno un ritmo regolare.

Smisi tardi la veglia del cappotto mi scollai di dosso la carta da parati strappai dal muro l'ombra - dell'invisibilità ruppi il guscio - senza fare rumore [diffidare di cammelli a tre gobbe guadare gli specchi oltre la siepe ] nel mondo annaspano giorni lunghi e piani una membrana opaca li avvolge: ci sono domeniche sconfitte che si travestono da martedì.


aNgELa DonNa Pesche e vino Ho imparato ad amare il vino amando mio padre. Un padre grande e buono - alto a proteggermi - quando mi portava a cavalluccio sulle spalle da bambina. Contadino ‘zoccolone’, ci diceva, diventato marinaio perché ‘la terra l’è basa’. Ma - in pensione - tornato a quella terra. Senza rimpianti. E alle sue semplici abitudini. La campagna d’origine ridimensionata ormai in un piccolo orto montano. Eppure la stessa cura. La stessa pazienza. Lo stesso attento ritmo delle stagioni. So con certezza che ogni volta che apro una buona bottiglia per gli amici lui è presente. E lì con me. Consuetudine usanza regola antica dell’accoglienza. Dell’ospitalità. Della gioia conviviale. Della condivisione. Del piacere della vita. Occasioni e momenti di festa intorno a una tavola imbandita riemergono nella mia memoria-bambina dove la famiglia allargata - e riunita insieme agli amici – vede papà mescere generosamente i vini portati su dalla cantina. La piccola crota buia e fresca con le stagere colme di file di bottiglie accuratamente imbottigliate ed etichettate da lui con la luna giusta. Più tenero un ricordo ‘da nulla’. D’estate - durante il periodo delle albicocche e delle pesche – rammento ancora il suo rituale quotidiano. A ogni fine pasto. Lento – ché la lentezza e l’arte della vita e ci schiude alla bellezza – ripetendo i gesti di suo padre e di generazioni di contadini prima di lui. Pesche e vino. Misurato e solenne come un sacerdote. Sposta il suo bicchiere al centro del piatto fondo. Sceglie attento rigirandolo palpandolo nella mano destra - un frutto maturo tra quelli appena lavati e che mia madre ha portato in tavola dentro un piccolo grilet di ceramica bianca. Impugna il suo opinel – coltello d’elezione nella tradizione delle montagne al confine francese – ormai logoro per il troppo uso e - appoggiando la lama sottile sul pollice - taglia a spicchi regolari la pesca destinata al sacrificio. Sistemata con somma cura ogni fetta – se del caso schiacciando leggermente la polpa per trovar posto a tutte nel coppa del vetro – inizia l’ultimo atto. Il più sacro. Il suo braccio si allungava a raggiungere il collo della bottiglia di barbera – immancabile compagna dei pasti inaugurati sempre da un’insalata dei prodotti del suo ‘orticello di guerra’ (cipollini erba di San Pietro cicorietta pomodori basilico timo santoreggia…). Gioiosamente il gotto di vino profumato saliva nella trasparenza del bicchiere unendosi al dolce aroma delle pesche che affogavano pian piano nel liquido sanguigno. Da lì in avanti iniziava la degustazione. La punta del coltello ferisce spicchio dopo spicchio che - portato alla bocca – lascia colare il suo sugo rossastro e si scioglie sulle papille gustative. “Mi ricreo!” era l’amen emesso con vigore a conclusione del cerimoniale di quella liturgia del cibo che sempre mi porto nel cuore. Insieme a mio padre. NOTA Il racconto “Pesche e vino” nasce dal semplice “piatto” di fine pranzo estivo della cultura contadina piemontese che consisteva nell’intingere le pesche, appena tagliate, nel bicchiere di vino rosso (ma credo anche di altre regioni italiane poiché mi giunge notizia da amiche siciliane che anche il loro nonno aveva questa abitudine). Mi pare un principio di sangria. Il mio legame con questa tradizione è veicolato fortemente dall’amore per mio padre (come si evince dal racconto stesso). Oggi questo dessert l’ho riscoperto e proposto più volte con successo abbinandovi anche amaretti sbriciolati e pezzetti di cioccolato fondente (che sono poi gli ingredienti anche delle pesche ripiene altro piatto tipico piemontese).

2012


Gnocchi Rituali di casa bambina di madri e di nonne in cucina intorno ai grembiali spiegati di tela più fina con bianche farine sul bordo. Rituali di mani veloci o più grevi con verghe di nozze al dito anulare sinistro che rotolan serpi di pasta e patate in forme sottili e allungate per fare gli gnocchi. Rituali coi fiocchi di tempi discreti muliebri segreti trasmessi tra schiere di tondi soldati bastoncelli rigati - in fila - in attesa solenne d’essere presi e poi cotti e mangiati. Rituale di unirvi l’ingrediente speciale - che da tanto si usa in famiglial’alloro nel sugo d’allora che anche oggi preparo soltanto coi gnocchi perché m’assomiglia alle piccole donne di ieri 2017

Angela Donna Poetessa e scrittrice da più di trent’anni (1). Nel “bel verde canavese”, mio nonno paterno Giuseppe aveva una cascina presso Rivarolo, mentre nella vicina Castellamonte, secondo una tradizionale migrazione, il nonno materno Giacomo, montanaro proveniente da Chialamberto in Val Grande di Lanzo, aveva aperto un’attività di salumaio. Pur avendo poi viaggiato e vissuto in città di mare, al seguito di un padre militare, le mie radici affondano dunque nella tradizione solida delle famiglie contadine. Fin da piccolissima, ho sempre avuto un profondo e forte legame con i miei parenti vivendo in compagnia di adorati genitori, fratelli e nonni, zii e prozii, cugini, amici e conoscenti, in assoluta e piena libertà. A questa “infanzia favolosa” e al mio teatro familiare devo le più intime e forti memorie…anche quelle legate ad alcuni rituali del cibo che è il tema di questo libretto. E infine, a proposito di cibo, per l’Associazione culturale DUE FIUMI, di cui sono vicepresidente, in collaborazione con Egle Bolognesi, ho realizzato con successo nell’anno scolastico 2016-2017, il progetto di laboratorio sperimentale di scrittura in versi: “Poesia in cucina” con i ragazzi dell’Istituto alberghiero Giolitti di Torino. (1) Per qualche informazione in più : http://autori.poetipoesia.com/angela-donna/; https://www.ibs.it/libri/autori/Angela%20Donna

https://www.yeerida.com/it/writer/angela_donna_937;



GiOvAnNA IoRiO LA CENA AFRICANA La cena africana per il compleanno dell’Onorevole era stata organizzata con estrema cura sul terrazzo bianchissimo della villa di Capri: la tovaglia color glicine mossa da un lieve e innocuo scirocco, le porcellane pregiate allineate sulla tavola, i bicchieri di cristallo colmi degli ultimi raggi del sole, le posate d’argento lucidate una per una, il nome di ciascun invitato sul segnaposto scritto a mano. Intorno solo il mare e, incastonati nella distesa blu cobalto, solitari e malinconici i faraglioni, così vicini da poterli sfiorare. La moglie dell’Onorevole aveva affidato la cena al cuoco di un rinomato ristorante africano di Roma. – Dovrà essere una cena indimenticabile! La moglie dell’Onorevole si era letteralmente ammalata d’Africa, dopo essere stata all’inaugurazione del ristorante. Conosceva bene il proprietario e l’aveva implorato che il cuoco la seguisse a Capri per una “indimenticabile cena africana”. Il cuoco si chiamava Ngaliema. Taciturno e altissimo, veniva dalla Guinea. Quando il proprietario del ristorante lo cedette alla moglie dell’Onorevole, lui non ebbe nessuna reazione. Qualche giorno prima della cena, il cuoco si recò di persona in tutti i mercati di Capri a cercare gli ingredienti. Nonostante gli sforzi, però, non riusciva a trovare l’occorrente per un piatto speciale. La moglie dell’Onorevole, irritata, gli aveva detto: – Vai in Africa ma trova gli ingredienti! E così spronato il cuoco riuscì a procurarsi tutto quello di cui aveva bisogno. Qualche ora prima della cena, Ngaliema scese al porticciolo. Quando già la moglie dell’Onorevole cominciava ad agitarsi per la sua assenza, lo vide risalire con una cassa di legno e un grande sorriso. Ngaliema annunciò: – Sono arrivati gli ingredienti. E sparì in cucina. Gli ospiti arrivarono puntuali alle otto di sera: uomini abbronzati accompagnati da donne scheletriche vestite da sera. Tra loro onorevoli, parlamentari, avvocati, personaggi dello spettacolo, perfino scrittori. L’Onorevole aveva l’abitudine di ospitare nella sua villa di Capri gli amici illustri, non badando a spese per cene originali e indimenticabili. Mentre dava il benvenuto agli ospiti, la moglie dell’Onorevole con un cenno fece servire gli antipasti. Il mare era diventato blu notte e sull’orizzonte un filo vermiglio teneva separato il cielo dall’acqua. I faraglioni viola sembravano sempre più vicini e minacciosi. I camerieri andavano avanti e indietro con i vassoi in equilibrio sopra una mano, colmi di assaggi: crocchette di pesce verdure alle spezie, tenere sfoglie di tef, fufu di manioca, pezzettini minuscoli di saka–saka, bocconcini di dongo-dongo. Uno sfarzo di prelibatezze sconosciute, tutte accuratamente preparate dal taciturno cuoco africano, Ngaliema. Finiti gli antipasti, gli ospiti si accomodarono, ciascuno al proprio posto, assegnato dalla moglie dell’Onorevole con delicata armonia così che ognuno avesse accanto la persona ideale con cui conversare. In cucina, il cuoco Ngaliema lavorava senza sosta: sistemava le portate nei piatti e controllava che tutto fosse perfetto prima che fossero servite. In tavola si susseguirono portate a base di carne e pesce, tutte condite con spezie delicatissime e misteriose. Il palato degli ospiti fu stuzzicato da una miriadi di sapori insoliti. La moglie dell’Onorevole si gustava il successo con un sorriso soddisfatto.


Alcuni esultavano nel riconoscere i piatti: Zighinì! I più raffinati pronunciavano con eleganza: Poisson capitain! Tutti concordi esclamavano: Una cena indimenticabile! La cena africana proseguì con le infinite salse e il vino più pregiato della riserva speciale dell’Onorevole. E poi ancora calici d’idromele, vino di palma, birra di miglio. Gli ospiti estasiati, la padrona di casa trionfante. A un tratto qualcuno levò il calice: – Alla salute dell’Onorevole! Ci fu un lungo applauso e i bicchieri tintinnarono. L’Onorevole stava per dire qualcosa ma venne interrotto dall’arrivo del cuoco. Ngaliema giunse dalla cucina con un’altra pietanza: – Un piatto speciale della mia tribù, dall’Africa per l’Onorevole. La voce di Ngaliema sembrava arrivare dal cuore dell’Africa. Il mare, immobile fino a quel momento, cominciò a frangersi contro i faraglioni e un vento più freddo fece tremare le candele che illuminavano il terrazzo. Il cuoco, con il vassoio colmo di costolette di carne, servì prima una porzione all’Onorevole e poi a ciascun commensale. Gli ospiti cominciarono a spolpare gli ossicini con le mani, sporcandosi la bocca di salsa. Ripresero tutti a conversare e il mare tornò silenzioso. L’Onorevole gradì le costolette e se ne fece servire un’altra porzione e poi un’altra ancora. Solo la moglie non volle assaggiarle, colta da un’inspiegabile inquietudine. La serata si concluse con un tripudio di dolci tipici africani che tutti gustarono seduti sulle gigantesche poltrone di vimini del terrazzo. Il cielo era diventato nero come l’inchiostro e le stelle cadevano riluttanti. Una magnifica torta con sessanta candeline giunse, infine, sul terrazzo sospinta da quattro camerieri sopra un grosso carrello: sembrava una immensa nave da crociera che entra nel porto. Tra versi di ammirazione e sorpresa, l’Onorevole soffiò le sue sessanta candeline. Il giorno dopo il cuoco africano Ngaliema mise tutti gli attrezzi in un piccolo bagaglio e andò sul terrazzo a congedarsi, pronto a tornarsene a Roma. – Bene, – disse la moglie dell’Onorevole. – È stata una cena indimenticabile… a proposito qual è il nome di quella carne pregiata che ha servito a mio marito? – Bushmeat, – rispose Ngaliema. – pipistrello, antilope, scimmia e porcospino. La moglie dell’onorevole rabbrividì e non strinse la mano che il cuoco le porgeva. Restò fredda come una statua a guardare Ngaliema scendere giù per le scale e avviarsi verso il porto, con il suo piccolo fagotto. Della cena indimenticabile ne parlarono anche i giornali. Tre settimane dopo l’Onorevole, mentre era in Parlamento, venne colto da un improvviso malore. Il medico notò subito gli occhi rossi e dilatati, la pelle del collo e del torace ricoperta di chiazze porpora, il corpo scosso da brividi, i conati di vomito. Si informò se di recente avesse fatto un viaggio in Africa. Ricoverato allo Spallanzani, nel reparto malattie rare, l’Onorevole è il primo caso accertato d’ebola in Italia. A Roma. A Montecitorio. (Dalla raccolta di racconti DORMIVEGLIA, edita da ReginaZabo 2016) Giovanna Iorio vive e scrive a Roma. Ha pubblicato diverse raccolte di poesie. Le più recenti "Poesie d'amore per un albero" (Albeggi) "La neve è altrove" (Fara, 2017) "Haiku dell’Inquietudine" (Fusibilia 2016), "Frammenti di un profilo" (Pellicano 2015, con Post poesia di Renzo Paris). È presente in molte antologie tra cui Cuore di preda (CFR) e SignorNo (SEAM). Scrive racconti (Domiveglia, Regina Zabo 2016) e radiodrammi (Rai 3 e Radiolibriamoci web). Collabora con Roma&Roma, DiarioRomano, Erodoto108 e L'EstroVerso.


Maby CoL Meditazione N°1 Un piatto due piatti il pane l’acqua l’oliera cadenza quotidiana di giorni alterni. Dormire, respirare mangiare, urinare defecare, riprodursi… no riprodursi no non più. Per fortuna! Voci imbalsamate si rincorrono nel nulla spettacolo di morte sudiciume d’avvoltoi esposto al pubblico diletto. Nessuna dignità né per la vita né per la morte. Mandaci, Signore, per favore una bella epidemia… 4 aprile 2005

Riflessioni alimentari Pollo agli ormoni soia transgenica mais gigante fragole mostruose al pesce zucchine gonfiate maionese adulterata carote su misura grano duro al cesio sugarelli radioattivi

vino al metanolo olio di colza travestito… Che altro ancora ci tormenta nelle trippe? Caffè alla paraffina mele rosse avvelenate nettarine lucidate albicocche di plastica bistecche agli antibiotici gelato finto sale allo iodio patate al selenio fagiolini alle piogge acide… Inutile sperare: meglio non sapere. Lasciatemi morire con le mie illusioni! Cetrioli anticrittogamici riso al diserbante vitello gonfiato latte di sintesi formaggio riciclato cotolette ricostruite… Tsunami Rimesto nel paiolo briciole di vita, pelo una patata frammento inessenziale d’universo, penso a quello scoglio malfermo ed insicuro che mi ospita, pezzetto sperso nel grande niente, inesplorato vuoto di tempeste ignote, elettromagnetiche speranze,

casa buia piena di misteri in cui indifferente rotola, rimescola e patisce il nostro sasso vivo e derelitto, la nostra pentola d’acqua e di canzoni marmellata amara d’assurde sensazioni cortocircuiti e minestre ricordi astrusi da dimenticare ansie e calligrammi. Minuscoli coriandoli d’avventura e sentimenti ci accapigliamo in cerca di consensi, mentre sopra di noi s’abbatte l’orizzonte. 27 dicembre 2004

Pace Non ci sarà un domani uguale a questo col vento a tramontana senza mosche un caffè americano un mare spianato che quasi pare lago. In questo giorno disteso gli Dei si sono addormentati dopo i bagordi della notte e nell’oblio extraterrestre hanno scordato le vendette e fermata l’entropia per un momento. Dovrei mangiare più spinaci… 6 luglio 2013

Nata Milano nel 1947, Mabi Col si è dedicata con passione all’organizzazione di eventi artistici. Si occupa anche attivamente di pittura, collage, poesia, saggistica, computerart, mailart e critica d’arte. Ha pubblicato due saggi di archeologia (Zeus C. e Penelope e le altre ), sei raccolte di poesie di cui alcune in numero limitato con copertine manuali (La Vispa Teresa, Polenta e caramelle di menta, Musica, Poesia per gioco, Chiaroscuri, Crespi di seta) e una serie di dialoghi poetici con altri autori (2 tazze, Rumori e silenzi al tavolino di un caffè, Due paia di occhiali, Piano pianissimo forte fortissimo, Luci sospese, I volti discreti della case, Giro in bici, Scombinamenti) e una serie di diari di viaggio a più mani. Ha pubblicato anche un libro di fiabe (La lingua del serpente). Altre notizie sono rintracciabili sul sito http://web.tiscali.it/mabicol


AlesSaNdRA CaRNoVaLE UNA RICETTA DI GUSTO

OLIVA

Dell’uovo solo il tuorlo, olio quello vero, del mio terreno lontano, versato a filo (a mano, goccia a goccia, piano piano), un po’ di succo di limone e una presa, quanto basta, di sale: per questa maionese, ricca di sapore - e non quella industriale, posta in bella mostra lassù, su uno scaffale – penso potrei anche ammazzare.

Liscia e verde, o nera e rugosa (ellittica, sempre) da tavola, in salamoia o da spremere a freddo per ottenere viscoso tesoro dal color dell’oro, frutto ricercato nei secoli, unguento dei fedeli e pasto dai sapori mediterranei, nocciolo duro della tradizione dei paesi del sole: oliva meridionale benedizione.

Alessandra Carnovale. Nata a Roma, collabora col circolo letterario Bel Ami e con altre associazioni culturali. Frequenta reading ed altre iniziative artistico/letterarie dell’area romana. Ha partecipato a vari premi letterari, ottenendone riconoscimenti. Sui testi sono pubblicati nella rivista contaminata Diwali, nei Quaderni di Erato, Bibbia d’Asfalto e nelle antologie dei concorsi a cui ha aderito. Si interessa anche di scultura e modellazione, soprattutto ceramica. Ha in cantiere un laboratorio di ceramica estivo per bambini. Coltiva la nostalgia dell’altrove.



VaLeRiA BiANChi MiAn TRE FILASTROCCHE DI VALERIA BIANCHI MIAN DA FAVOLESVELTE DI GOLEM EDIZIONI, 2016 UNA REGINA SAGGIA Una fiaba civile, uno scorcio di possibile, un sogno di decrescita e armonia con la terra. C’era una volta un luogo, un bel paese, senza denari da due anni e un mese, ma nel castello sopra la collina nacque una Regina senza pretese. Con la sua gente lei condivideva strategie per far con tre sole uova insieme alle ancelle trenta frittate tremila frittelle con poche patate. Il suddito dava ciò che poteva. Nel regno ogni cosa si barattava. Non ci fu più ricco, non più perdente peccato sia una fiaba … solamente.

LO GNOCCO GNUCCO Poesiola scioglilingua sulla cucina dei cuochi pazzerelli.

Ecco nel mio piatto lo gnocco un po’ gnucco che giace lì in cruccio mentre con le nocche la nuca e il ginocchio io mi gratto nel dubbio se pappare o schiacciare lo gnocco un po’ gnucco. Bando alle gnagnere! Faccio gnam dello gnocco e ora ho un groppo come tocco di nacchere che mi blocca la bocca di gnaulio da gnucco in gnatodinia.


LA CENA DEGLI ORGANI Educazione (o rieducazione forzata) alimentare in rima. Stasera, come ogni sera, gli organi del Signor Rossi son riuniti intorno al tavolo del bistrot “I quattro assi” (un posticino proprio sotto casa, giusto due passi). «Siamo ciò che mangiamo, questo concetto a tutti è noto» attacca per primo Stomaco, brontolando arrabbiato, «Il nostro Rossi certamente dovrebbe far del moto.» «Non troppo sale, non troppo sale, eh, che mi fa male…» si preoccupa il buon Cuore e lo Stomaco, ormai triviale, grida al vorace Signor Rossi «Il grasso non è ideale!» I Polmoni gemelli si riempiono ben presto di fumo. Tra una portata e l’altra non un gran di peperoncino. Affaticati e stanchi, i due tossiscono un po’ per uno. Intestino sentenzia «Dose di Kuzu giapponese potrebbe disintossicarmi per un intero mese invece mi riempie di cioccolato e carni a sue spese.» Lo Stomaco al conto singhiozza pieno zeppo di bolle e frizzantino… il Cuor gli mette un braccio attorno alle spalle gli fa forza, non è finita, se ne aspetta di belle. Fegato grasso al terzo amaro sogna insalata fresca dell’orto, biologica, verde di foglia e pur di testa. Immagina i prati, l’aria pulita, le verdure in festa. Quella notte il cervello pulsa, connessioni impazzite. Il Signor Rossi si alza più volte, le membra sfinite. Il giorno dopo il medico dice «La solita gastrite…» Valeria Bianchi Mian. Psicologa psicoterapeuta dal 1998, con formazione in “Psicodramma Analitico Individuativo”. Milanese d’origine, ha scelto Torino come città in cui vivere e coniugare la scrittura, la poesia e il disegno con il mestiere di psicoterapeuta d’orientamento junghiano. Specializzata in terapia di gruppo, si occupa di supervisioni d’équipe con gli operatori e di gruppi con le famiglie (caregiver) presso diverse strutture per anziani sul territorio piemontese. Con alcuni psicologi analisti (membri dell’ARPA Jung) ha avviato un gruppo di studio su tematiche del mondo contemporaneo, partecipando a tavole rotonde, convegni e congressi con riflessioni e articoli sul tema “maternità contemporanee”. Per Lithos Edizioni (2016) ha pubblicato “Utero in anima” (Bianchi Mian V., Ceresa S.G., Putti S.). Conduce laboratori di tecniche espressive multimediali con disegno, pittura, manipolazione della creta e scrittura. Per diversi anni ha coordinato spettacoli teatrali e gruppi di narrazione e sceneggiatura in strutture per tossicodipendenti e nelle scuole superiori, ottenendo anche il primo premio sezione scuole superiori al Sottodiciotto Film Festival 2002 (Rabbia allo schermo) e la partecipazione a convegni nazionali con materiale audiovisivo (documentari con adolescenti e tossicodipendenti). Redattrice per la rivista indipendente di letteratura e poesia Niedern Gasse - www.niederngasse.it; ha pubblicato articoli di psicologia (Ananke Edizioni) e poesie (Matisklo Edizioni, Golem Edizioni). È organizzatrice di Medicamenta – lingua di donna e altre scritture (Associazione Art10100), un progetto che si occupa di laboratori poetici per donne (rifugiate, anziane) e Reading poetico-narrativi. Pubblicazioni: Poesie Aeree (Matisklo Edizioni, 2014), Favolesvelte (Golem Edizioni, 2016), Utero in anima (Lithos Edizioni, 2016) Rubriche: www.psychiatryonline.it www.niederngasse.it Blog: barlumidicoscienza.blogspot.it favolesvelte.wordpress.com poesieaeree.wordpress.com


ViTtoRiO FiORaVAnti Triglie all'aglio

La volta che presero Gino

Appena un sì in un sorriso

Triglie all'aglio trattoria sugli scogli spogli tralci d'uva appassita

"Ricordi la volta che presero Gino?" La mano che serra il vetro è invecchiata - trema l'orlo rosso del vino quando m'alzi in faccia il bicchiere pure è la stessa che abbrancò svelta al buio mitra e caricatori e uscì nella luna.

Fumo e un colpo di tosse odore di pane caldo la sigaretta stretta fra le dita rosse mele in un cesto marmellata di more un fiore e un piattino di frutta candita

La sigaretta accesa fra le dita m'alzo a scrutare venire il mare in lunghe onde di spuma tra barche mosse e boe rosse ancorate storto un pontile di legno nella nebbia che sfuma sull'ampia veranda Vino buono da bere m'assegno il tavolo fuori la sedia vuota dove sedeva mia madre così come la ricordo parole dette fra sguardi con un gesto di mano con un sorriso Lerici colta al volo un'ultima volta ancora ad ali spiegate come un gabbiano Penso a mia madre al chiaro suo viso nell'intenso profilo del castello imponente le ciglia in pianto nel vento brindando con me serena gli occhi negli occhi L'aglio soffrito la tovaglia a quadretti un cestello di paglia col pane la bottiglia di vino nostrano Non c'è niente di meglio avrebbe ordinato le triglie Le avrebbe volute affogate nell'odoroso sughetto che preparava in cucina sul fornello di casa al Canaletto sull'azzurra fiamma del gas con la finestra spalancata all'aria su al quarto piano Così resto qui fuori all'aperto col cameriere interdetto Fa freddo ma fa lo stesso Ho stretta in cuore ben salda l'amara parvenza di lei la calda presenza qui intorno di Mamma Clara Caracas, novembre 2007

La volta che ci presero il capo durò un breve tratto di notte. Ne uccidemmo otto per liberarlo - e tu quattro da solo con una raffica e al mattino Gino fu in salvo oltre un muro e poi su per i boschi. Il fiasco del brindisi gira come girava Maria cinta dalle tue braccia, col bricco del caffè americano, tra i partigiani su al covo il-giorno-della-tua-gloria. Ma "sangue chiama sangue" ho letto non so più dove. Sulla tovaglia s'allarga grossa una macchia come la chiazza rossa sulle pietre attorno ai morti in piazza. Scendemmo insieme a vederli. C'era mezzo paese bocconi, prete compreso; e nel binocolo lo scialle giallo-oro di mia madre, e il suo volto fermo, il suo corpo scomposto; perfino le mosche. Ecco: per te è rimasta la volta che presero Gino e che tu lo liberasti; per me fu invece quella che fucilarono Mamma, insieme agli altri, nel mucchio, come una bestia indifesa. Stoccarda, novembre 1962

Prima colazione a letto dove abbiamo con ansia in questa lunga notte fatto insieme l'amore una volta soltanto Grazie mi dici caro e m'accarezzi la mano ma fissi nella tazzina la schiuma muoversi del cappuccino Ero sceso in cucina lasciandoti sola nel sonno sul cuscino e le coltri ricoprendoti il seno E tu m'invochi tesoro mentre sorseggi sbirciando fuori se piove un braccio teso in alto con uno strano sbadiglio Vano il richiamo mio chiudendo l'uscio per riabbracciarti non sai più dirmi t'amo vecchio mio seduttore senza neanche uno sguardo appena un sì in un sorriso colto riflesso sullo specchio appeso

Caracas, novembre 2007


Ho nelle carni

Curvo sulla ringhiera, piegato dallo svuotante conato amaro del mio inutile sabato sera; spenti negli occhi i torbidi coralli di luci riflesse e di colori tormentati dall'impietose acque della laguna, che una luna vasta irreale rese irrequiete, e che ora l'alba illividisce e affrena lungo le fondamenta; ho nelle carni,

Morirò ebrio di Juve Stanotte m'ubriaco Berrò fino a riempirmi il cuore di vino rosso A garganella fino a domani da poter cantare a gola aperta slogan pieni d'ardore sguaiato slogan colmi d'amore deluso per un'ultima estrema volta prima di morirne affogato Vi andrei barcollando Sarei uno dei tanti tifosi accorsi all’appuntamento fissato a Bari Vi andrei sbandando gonfio d’un grosso turgore abbracciandomi a tutti

ormai umide d'ansia e di nebbia, come doloroso e informe assolo d'un vibrante sassofono d'orgasmo, questa mia intera notte Berrò invece quì solo davanti allo schermo acceso d'insoddisfazione. gridando rinchiuso in una stanza lontana al di là d’un oceano La Spezia, agosto 1960 di rimpianto e d'angoscia

Mi piangerò dentro per tutto l'incontro per uno scarno scudetto che non vale più nulla E spegnerò infine il contatto per afferrarmi a un'immagine del mio passato remoto a quella più bella alla più chiara e sublime all'incancellabile Resterò in alto in quel cielo Sarò la sfera spinta nel grigio di quello stadio a Firenze sarò negli occhi di Magli nelle membra estese a mezz'aria in quella rovesciata di Parola Morirò in quella foto ebrio di Juve sparirò in quelle strisce più nere che bianche nella casacca di quella Juve che ormai non c'è più Caracas, 13 maggio 2006

Il poeta Vittorio Fioravanti risiede a Caracas, nel Venezuela da oltre cinquant’anni. Scrive fin da ragazzo, e ha pubblicato da sempre i suoi versi su riviste letterarie e nelle pagine di antologie poetiche italiane e straniere, ricevendo innumerevoli premi e menzioni durante l’intera sua lunga vita. Nel 2004 la sua composizione poetica “Non c’era una volta” ha meritato il primo premio assoluto al Concorso Mondiale “Italia Mia”, riservato agli scrittori italiani residenti all’Estero. Come esponente di riguardo della nostra collettività nel 2013 la Federazione delle Associazioni Italo-Venezuelane ha organizzato in suo nome il tradizionale Festival della Cultura. Due anni fa queste sue cinque liriche - “Razza mediterranea”, “Andarsene via”, “Me n’andrò”, “Un uomo solo” e “Silvia” - sono state pubblicate a Nuova York nell’imponente Antologia ItaloAmericana “POETS OF THE ITALIAN DIASPORA”.


HeleN EsThER NeVoLA Con l'agonia ci bevo lo spritz Il campanile bagnato. I piedi strascinati. Il caffé schifoso. I rumori del tuo silenzio che mi camminano in testa che iniziano ad amalgamarsi con un altro mattino d’impazienza intanto che si affievoliscono man mano le voci dell'ultimo sogno assurdo bloccato con le palpebre saracinesche. E il costato. Non ho sguardi da offrire, almeno per ora; andatevene a casa vostra. Lo so che non è domenica, ma ho gli occhi chiusi lo stesso. Il sole che s'affaccia. Il campanile bagnato. Il caffé schifoso. La musica che aspettava lì come il cane. Il caffé schifoso. Il campanile meno bagnato. La musica.

Boccheggio e sei già un'altra assenza per i miei reading di gesti.

Poesia alimentare per spiriti scaduti Su lenzuola che coprono cadaveri si asciugava attenta l'ipocrisia. Ho tentato di lavarla per troppo, da ospite e sbagliata, poi me ne sono andata. E lei è venuta a trovarti tutta intera perché quando ce l'hai fin nelle ossa è l'unica compagnia che ti rimane ogni sera. Tu, al solito, esci fuori dall'acqua con un occhio e lo volgi al cielo, allo sguazzare, all'oca di turno che ti ritrovi accanto. Mentre controlli che io non ti guardi e gridi affinché si giri e ti sciogli. Ti immaginavo oceano e squalo. Eravate brodo e tonno. E fai finta di non renderti conto, di piangere affondo e coperchio che alle ombre delle onde ha tolto il sole. Cotto, con quel fuoco sotto i piedi per cui non hai mai voluto camminare diritto. Non ti si può neanche più mangiare: hai bruciato tutto.


(B)IO <La notte del 4 febbraio 1984, al sant'Anna di Torino, la sala travaglio più "intima" a disposizione fu il corridoio del 2° piano e in sala parto luci al neon e radio a tutto volume che trasmetteva musica leggera. Così è nata Helen, Esther. Non so se fu il suo primo impatto col mondo a infonderle quella "fretta di vivere" che ha sempre avuto. Imparò a correre prima di camminare> (mamma). Seguono domeniche ad ascoltar mio padre raccontare di canzone d’autore e pomeriggi a rubare lettere di mamma dalla carta di scarto della sua copisteria. Scrivo “Volo”, la prima poesia, a 8 anni: rimango tutta la sera in camera coi miei finché capiscono che è roba mia. A scuola invento, a 23, laboratori di creatività e giornalini di concorrenza a quello della presidenza. A 18, via di casa mamma di Nadine Esther. Oggi aiuto a crescere sia lei, sia la mia passione per l'arte. Lancio vernice su bottiglie di birra e tele, fotografo; recito in Reading e partecipo a poetry slam. Ho vinto il Torneo di Poesia Declamata 2016 e partecipato come allieva attrice alla Rassegna "Dizionario Dell'Indicibile" c/o CAP Torino. Da gennaio 2014, conduAutrice del Progetto CaleidoScoppio (facebook.com/caleidoscoppio) che si occupa di organizzazione eventi culturali e dà spazio a talentuosi artisti dell'underground torinese. Il format CaleidoScoppio è una serata mix-shaker di arti performative tra la tradizione dell'open mic e la jam session. Gli artisti si mescolano nelle esibizioni, anche improvvisando collaborazioni, come tessere di un "caleidoscoPPio" che di volta in volta dà colori e forme diverse alla serata. Due edizioni all'ex Gianca2, storico locale dei Murazzi di Torino e poi itinerante per locali in Torino e Provincia, CaleidoScoppio ha partecipato e partecipa a manifestazioni svolte nel nord Italia con i "CaleidoS in Trip" e ha animato tutta l'estate de la "Spiaggia ai Murazzi" ampliandosi con serate, laboratori, incontri, reading poeticomusicali, mostre, mini corsi artistici, animazione per bimbi e ragazzi, i "CaleidoStuzzico" (aperitivi con artisti) e il "Photo Shooting Corner", il set fotografico di CaleidoScoppio. Ripetutamente ospiti inoltre delle principali scene artistiche piemontesi, CaleidoScoppio ha anche vinto i Giochi Poetici 2016. Negli ultimi anni ho partecipato ad alcuni workshop e laboratori teatrali e nel 2017 scritto e portato in scena due nuovi Reading poetico-performativi. E' in lavorazione, “Tessere” - primo di tre pubblicazioni in cantiere: i miei "libri perennemente incompiuti", in questo caso una raccolta di pezzi poetici, in prosa e monologhi.


GiUSy RodOLfi Dalla padella al piatto e poi…

La pizza C’è pizza e pizza;

Sfrigola nell’olio

pilucco Margherita

il cipollotto,

l’ultima volta delude

s’ammolla, s’avvizzisce, rilascia un aroma pazzariello. Spruzzato di rosso, si riveste; blat… blat…blat…

erano quattro stagioni meglio la prima-vera emozione al dovuto senso

s’è sfatto,

che pizza decidere;

in connubio di spaghetto lungo,

Regina o contadina?

gnam…gnam…gnam;

I calzoni tirano al cavallo

dal piatto ben guarnito alla forchetta, steso tra la lingua e il palato

vegetariana oppure ortolana s’è rotta la pizza, gira a vuoto

pian piano deglutito glu… glu…glu è estasiato. Rubicondo di rosè annaffiato s’annega nel gargozzo - e scivolando ascoso

il tempo si perde, nello zzzzz fastidioso e Mari-monti, capricciosa, s’agita per nulla manda M.S a Bianca sua amica Romana impegnata a cogliere funghi.

s’affaccia al buio d’una panza piena.

Il cameriere, di birra, serve in tavola.

Sono sempre io, con alcuni giorni in più e alcuni altri da vivere, possibilmente, come più mi piace. Adoro la fantasia in cucina e il suo creare con poco, ma sempre di qualità. Sono Giusy Rodolfi. Sono nata e vivo a Milano, la mia vita è poesia nel bene e nel male. Da tempo immemorabile ovunque vada mi ritrovo con penna e carta, non voglio essere altro. Ho la speranza di lasciare qualcosa di me a chi mi capisce e mi ama con i miei pregi e difetti. Sposata da oltre 50 anni; ho 2 figli e 3 nipoti maschi e il resto è vita.


SaNdrA De FELiCE Nata a Scafa (Pe).Vive e lavora a Pescara. La sua opera prima il libro di poesie d’amore “Frammenti di luna”è stato pubblicato nel 1998 dalla Casa Editrice "TRACCE" di Pescara. Con la suddetta Casa Editrice ha partecipato alla realizzazione dell'Antologia "La Scrittura delle Donne " nell'anno 2001. La sua opera seconda il libro di poesie “Trasparenze” è stato pubblicato nel 2011 dalla Casa Editrice Aletti. Per la stessa è presente in diverse Pubblicazioni Antologiche con numerose poesie-La piu' prestigiosa L'ENCICLOPEDIA dei Poeti Italiani anno 2009 raccoglie tre Poesie di Sandra. Nel 2014 ha partecipato all’Antologia “ Vortice” con un componimento di poesie intitolato Il Mare, gli amanti e il poeta”. Dal 2014 pubblica poesie su diverse antologie ebook curate dal poeta Matteo Cotugno. Per la “Casa Editrice “ Pagine” ha partecipato alla realizzazione della Collana Riflessi 2014 con una Raccolta di poesie dal titolo ”Bagliori Autunnali”. La sua Terza Opera di Poesie dal titolo "DIPINTI POETICI" è stato pubblicato a Marzo 2016 dalla Casa Editrice ERMES Servizi Editoriali Integrali S.R.L. I citati libri sono pubblicati anche on line sul portale www.calameo.it ed altri. Nella poesia di Sandra De Felice spiccano la scorrevolezza e l’immediatezza del testo che permettono al lettore una notevole comprensione dei temi e dei contenuti trattati.Tuttavia la silloge testimonia una complessità di motivi e di sfumature espressive in cui carica sentimentale e tensione emotiva compongono un dettato di grande incisività.


EnriCo MaRiO LAzZARiN IL CALDO VERDE A Nazarè arrivai con una vecchia corriera i bagagli sul tetto, ero partito la mattina prima da Viana do Castelo. Il pomeriggio era caldo la spiaggia con la sabbia grossa invitava a fare un bagno i pochi bagnanti se ne stavano a prendersi quel sole che bruciava occhi e pelle ma nessuno di loro era in acqua. Mi tuffai con entusiasmo subito sentii la sensazione di freddo e il mio corpo contrarsi avevo fatto poche bracciate ma mi ero allontanato di parecchio dalla spiaggia e notai che tutte le persone mi osservavano , la corrente mi stava velocemente portando al largo e non sarebbe servito provare a nuotare verso la terra ferma la grande spiaggia si allontanava sempre di più e il freddo mi aveva preso alle gambe quasi che non riuscivo più a muoverle. Mi lasciai trasportare dalla forza di quel mare scuro e nel giro di qualche minuto vedevo solo il faro di Nazarè che rifletteva il sole, l’Atantico mi aveva portato lontano credo a un miglio o forse più non scorgevo la spiaggia gli occhi bruciavano il freddo ora mi avvolgeva anche lo stomaco e i polmoni provai a dare qualche bracciata ma il corpo era come di marmo mi lasciai andare completamente ma un forte brivido lungo la schiena mi fece girare a faccia in giù e allora bevvi una gran quantità di acqua era salatissima chiusi gli occhi il sole era alto e cercai di fare il morto ma non riuscivo per via del freddo a stare fermo ero scosso sempre con maggior frequenza dai brividi . Arrivò la paura e il panico che fino a quel momento avevo saputo contenere mi ero trovato in situazioni simili altre volte ma nel Mediterraneo li ero immerso in Atlantico con la sua acqua gelida e salatissima. Ero solo; a quasi due miglia dalla terra ferma e intorno a me soltanto acqua. Avevo sempre più freddo anche se si era a Luglio del 1985 mi piaceva venire in Portogallo e ci andavo sempre in treno viaggiando la notte ; soltanto la prima volta giunsi a Lisbona con una vespa px 125 che possiedo ancora oggi. Cercai di concentrarmi su qualcosa di caldo mi ricordai che la sera prima a Viana do Castelo mi servirono in una piccola osteria il CALDO VERDE che ancora bolliva nel piatto di terra cotta mi scottai le labbra e la lingua mi concentrai anche sul sapore di patata e cavolo mi concentrai cosi tanto che ora il corpo rispondeva ripresi a nuotare la paura era quasi passata lo stomaco ora non era più contratto e i polmoni si riempivano di aria e facevano muovere braccia e gambe in maniera vigorosa gli occhi semichiusi per il sale scorgevano la linea marrone scuro della spiaggia di Nazarè. Alle mie spalle sentii un fragore mi voltai un onda gigantesca alta cinque piani mi stava per avvolgere presi tutta l’aria che potevo chiusi gli occhi misi le braccia lungo i fianchi , Un grande freddo mi avvolse nuovamente, quella enorme onda mi aveva fatto andare giù sotto di lei ero nella sua pancia gelida chiusi forte gli occhi ora anche le orecchie mi bruciavano. Ripensai al CALDO VERDE tentai di essere seduto in osteria e una canzone mi venne in mente Amàlia Rodrigues cantava Làgrima mi feci forza ripetendo più volte CALDO VERDE,CALDO VERDE . Vidi la luce presi una gran boccata di aria e sole e guardai avanti , a poche decina di metri vi era la sabbia grossa di Nazarè due uomini in pantaloncini corti venivano verso di me gesticolando e urlando “EI… ei .. MISTER OK OK “ Risposi OK OK CALDO VERDE CALDO VERDE. Mi buttarono sulle spalle una vecchia coperta militare di lana che sentii sulla pelle come una liberazione tremavo e ridevo e un poco piangevo ; La sera andammo alla vecchia taverna Rosas dos Ventos della Nazarè alta prendendo l’elevator e per prima cosa ordinai un Caldo Verde. ENRICO MARIO LAZZARIN, settembre2017


Enrico Mario Lazzarin nasce a Torino nel 1958. Si interessa di poesia da sempre. Dal 2016 presiede l'associazione culturale Due Fiumi.

Caldo Verde portoghese Il Caldo Verde è un piatto tipico Portoghese una zuppa a base di Cavolo Verde e Patata con aggiunta di salciccia.

Preparazione 20 minuti

Cottura

50 minuti

Totale

1 ora 10 minuti

Tipo di ricetta: Zuppe, ricette di stagione Cucina: Portoghese Porzioni: 3

Ingredienti 250 g di patate ½ cipolla 1 spicchio d'aglio 1 litro di acqua 200 g di cavolo verde o galiziano affettato molto sottilmente ½ chorizo olio extravergine d'oliva qb sale qb

        

Preparazione: ho portato l'acqua ad ebollizione con le patate tagliate in grossi pezzi, la cipolla, l'aglio e 2 cucchiai d’olio. Ho fatto cuocere per una trentina di minuti, aggiustato di sale e ridotto le verdure in purea. 1. 2. 3.

4.

Nel frattempo ho preparato il cavolo, l'ho lavato ed affettato molto sottilmente. Ho versato la purea di verdure nuovamente nell’acqua di cottura, aggiuto il cavolo tagliato e cotto per 15 minuti circa. Infine ho unito il chorizo tagliato a fettine e lasciato cuocere ancora per qualche minuto aggiungendo un filo d'olio. Ho servito il caldo verde ben caldo accompagnando con fette di pane di mais


gRAZia VaLeNtE Che fine ha fatto la zucca-carrozza? Da tanto tempo più non m’insegue la scarpetta fatata di Cenerentola e la zucca-carrozza si è sciolta nei vapori dorati della minestra. La bottiglia di Gavi Guardami almeno una volta amore caro come ieri guardavi la bottiglia di Gavi sullo scaffale del supermercato. So già che cosa vuoi dirmi: se il tempo della vendemmia è passato non lasciarmi il calice vuoto! Evangelica Ho tagliato ad anelli le cipolle - date cibo agli affamati! e stirando colonne di camicie un poco anch’io ho vestito gli ignudi. Ma sarò giudicata per un rammendo imperfetto o per quel bicchiere rotto in un giorno di vento mentre ti aspettavo.

Grazia Valente è nata a Torino, dove vive. E’ autrice di numerose poesie, alcune delle quali sono state pubblicate su riviste e antologie. Nel 1999 ha vinto il premio nazionale Haiku Contest promosso dall’Istituto di Cultura giapponese (Roma). Un suo racconto, vincitore di un concorso della R.A.I., è stato inserito in un’antologia (Edizioni ERI). Le sue poesie sono l’espressione di sentimenti scandagliati e rimodulati in chiave lirica con stile minimalista. Opere: “Il poeta (2012) ; “Fillide amorosa” (2013); “Ambaradonna” ( 2015) ; La fatal quiete (2017)


NoRmA LaNduCci Giaxò nisséue e penso a ti Lecaeso i gelati e penso a ti Sganasciu de lungu panetti e penso a ti Addentu a fugassa cun e xiuole e penso a ti Divoro inna fiammenghilla de troffie au pesto e pensu a ti Ma ti cose pensi de mi? T ‘ammiu e me fa mà a schennà t’è grossa, ti paigi na balenna Sganasci e triti cummè na betumiera ciuttosto che piggiate cume muggè vaddu un galera! Mastico nocciole/e penso a te/Lecco i gelati/e penso a te/Mangio sempre panini/e penso a te/Mordo la focaccia con le cipolle/e penso a te/Divoro una fiamanghilla di trofie al pesto /e penso a te… Ma tu cosa pensi di me?/Ti guardo e mi fa male la schiena/sei grossa, sembri una balena/Mastichi e trituri/ come una betumiera/piuttosto che prenderti per moglie/vado in galera! Norma Landucci è nata a Sestri Levante nel 1965, da alcuni anni risiede a Chiavari. Ha conseguito, nel 1984, la maturità presso l'Istituto d'Arte e in seguito il titolo di Terapista della Riabilitazione - Fisioterapista. Dal 2000 è professore a contratto presso l'Università degli studi di Genova (Laurea in fisioterapia). Conseguita laurea magistrale nel 2014 in Scienze Pedagogiche svolge attività di Pedagogista presso l'ASL 4 “Chiavarese”. Ha collaborato a eventi per beneficienza ideando il progetto “Respiri diversi” poesie e pensieri dal mondo della sanità, pubblicato nel 2006, ottenendo il “Marengo d'oro” premio letterario internazionale conferito dalla associazione ”Maestrale”. Ha scritto articoli per alcuni giornali locali. Sue poesie, anche dialettali, sono in diverse antologie.


GiuLiO MuRRU


aNgELo PiNi Distributore di benzina esistenziale quanti umani ho liberato alla pompa si avvicinano feriti con la valigia in stile aereo con pochi indumenti intimi e qualche cerotto di sopravvivenza annunciano la resa mentre la benzina si asciuga per i senza legge dentro la tracolla l'aspetto doloso camion che ricaricano di nuovo il corpo esausto di gratitudine aspetto nel deserto figure mancanti interessate a terme di fango Rimango a secco nessuno o quasi si avvicina per sollevarmi , resta sul piatto un bicchiere vuoto d'amore aspetto un funerale con orchestra in divisa da benzinaio nella strada cammino senz'anima viva. Ho vecchie pupille per sollevarmi da solo una genia confusa e stirata per l'occasione un segno di fuoco arriva illeggibile per incoscienza

Angelo Pini (Camogli, 1949). Ha pubblicato La Bocca capovolta, con poesie e illustrazioni, e Limoni e cachi con poesie e fotografie, con la prefazione di Giancarlo Majorino. Ăˆ stato segnalato dalla rivista Anterem, pubblicato dalla rivista Poesia e ha partecipato alla Biennale Filicudi Memoriale Sottsass.



MaRCo MaGGi Ingordigia

Rarità

Osservate come azzannano e mordono

Per gustare cibi e pietanze prelibati

un morso ingordo che riempie le fauci

occorre coricarsi nel dolore

mastica, tritura e sminuzza

dello scempio delle uova di storione,

vite animali, vegetali ed umane

nuotare nel brodo delle tartarughe

succhiando linfa all’intero pianeta

mordicchiare la pinna di uno squalo

Amano le guerre

addentare qualche trancio di cetaceo

che dividono in paesi e razze diverse

Sia dabbenaggine, gola o perversione

ma vogliono insegnarci a mangiare

poco importa agli animali in estinzione.

sotto una sola bandiera cibi precotti e confezionati già formattati come un hard disk

Uomini e maiali

La chiamano “industria alimentare” il cibo proviene dalla terra e dal mare

Pare che nella trasformazione industriale

il loro proviene dalle fabbriche

il porco sia sfruttato da cima a fondo

sminuzzato e disinfettato da macchine

si affoga in un enorme tritacarne

se rimane poco di naturale è industriale:

occhi e pelo, muso e zampe,

non c’è inganno nel nome!

né disdegna qualche avanzo inverecondo

L’inganno è nelle nostre pance sazie

tralasciato sul fondo dello stabbiolo

di veleni e di sostanze

tutto s’insacca nello snello salsicciotto

nelle menti che non ragionano ed ingoiano senza tante domande

viene perciò da chiedersi se il più animale

nelle lingue che non riconoscono

è l’uomo che lo mangia o il maiale.

il sapore delle cose sane E se poi a volte qualcuno si ammala quando succede ci facciamo domande.

Marco Maggi. Nato a Tortona nel 1968, vive a Castelnuovo Scrivia. (Alessandria) Sue poesie sono state selezionate e pubblicate su diverse antologie e riviste letterarie, sia online che in cartaceo, e ha ottenuto diversi riconoscimenti in alcuni importanti premi di poesia. È stato inoltre invitato a partecipare a numerosi readings sul territorio nazionale tra cui spiccano località come Genova, Milano, Roma e Matera. Nel febbraio 2014 ha pubblicato la sua prima raccolta poetica, intitolata “Punto di fuga”, presso Collezione Letteraria della Puntoacapo Editrice.


GiOvAnNA OLivARi LA CENA DELLE EFFE

INVITATI ALLA CENA DELLE EFFE

Fronteggiando fonduta filante feci follie. Famelica fui. Formaggio fuso, fontina folgorante. Frumentose fette fiammanti frantumai, forti, fumanti. Facilmente feci fuori focacce farcite frittelle, fritture, fagiani frollati, funghetti, frattaglie, fagioli fiascati. Fecer furore framboises flambées, fichi fioroni, frullati, frappè. Fortunatamente, forse, Frascati favorì faticoso fardello. Fegato fu fregato. Finimmo felici. Farla franca fu facilassai. Farinadelmiosacco. Fiorin fiorello.

A frotte a frotte arrivano fatine e faraoni, folletti, farmaciste, e frati francescani, funamboli, fornai, fioraie e falegnami, figuriniste, fisici, foniche e formatori. Niente fornicatori. Di regola è vietato. Soltanto formichieri, per toglier le formiche che fanno formicai di briciole di pane. Fantasmi a volontà, d’ogni foggia ed età. Fedifraghi fan finta di essere fedeli? Fuori! Non li vogliamo! Neppur falsi profeti, né finti sacrestani, fanatici, falsari, felloni e fattucchiere, furfanti, finti buoni, feroci saladini. La cena è delle EFFE, ma della EFFE PURA, quella di Fantasia, Felicità, Fortuna. Ammessi son fisiatri e fisioterapisti, filosofe, filantropi, filologi e flautisti, fruttai, fotomodelli, fotografe, fondiste, fantasiste fantasiose, future futuriste. Fumatori? Solo a cena finita, forse, dopo il caffè, per non mandare in fumo il profumo che c’è.

Giovanna Olivari.È nata a Genova dove tuttora vive e lavora. Ama definirsi “poetattrice”, giocare con le parole, seguirne il ritmo, entrare nelle loro metamorfosi. Ama dare la sua voce alle cose che scrive. Scrive poesie, haiku, racconti, favole, monologhi, che si trovano pubblicati in diverse raccolte antologiche, e-Book , tra cui “ I quaderni di Erato”, “Voci di poesia”,”Luoghi di parole”, “Il Federiciano 2015” “ Divergentemente 2015” “Estemporanea” 2016, “Genova canta il tuo canto” 2015 ed Zona, “Essenza di un’isola”2017, a cura di Acqua dell’Elba e Io Donna, “Genoese Hours. Le ore genovesi di Henry James”2017 a cura di Beth Vermeer, “Binari InVersi2016”e “Poetando 2017” a cura di Roberto Marzano, in riviste, tra cui “Illustrati”(settembre 2015, maggio 2016, marzo 2017) ed.Logos, ed inseriti in rappresentazioni teatrali. Ha collaborato col Circolo Letterario “Banchina”. Fa parte del gruppo di Poeti di Genova Voci e del Coro dei Poeti di Genova Voci. Ha partecipato e partecipa a numerosi eventi, spettacoli, reading, festival, mostre. Nel 2017 la mostra”Versi Sospesi: poesie di Giovanna Olivari su cieli di Mario Pellegrini” Ha ricevuto diversi “attestati di merito”, “ menzioni” e “segnalazioni”. Nel 2015 ha pubblicato il libro-oggetto “INFERNO-INTERNO. Parole Immagini Emozioni” (trailer su youtube) https://youtu.be/nFfQwhHU8Hg


EnRiCa GuGLiOTtA Sono nata a Genova il 7 Maggio ‘77. A 12 anni ho iniziato a scrivere poesie. Nel 2002 sono entrata in semifinale al Festival internazionale di poesia La città dei poeti. Nel 2002 hanno pubblicato la poesia la città nell'antologia del festival la città dei poeti. Nel 2007 ho pubblicato la mia prima raccolta di poesie dal titolo: Diario dei pensieri notturni. A seguire: Il risveglio, La rinascita, Gocce di poesia, Emozioni, Sogni ad occhi aperti, Scatti e versi,Poemys, La mia seconda vita. In preparazione: 40 anni in versi Biografie : Breve vita romanzata di Eugenio Montale, Breve vita romanzata di Alda Merini, Le poetesse liguri. 15 antologie poetiche, Ebook vari, eventi poetici, un calendario un cd musicale, video su YouTube https://www.facebook.com/search/str/e nrica+enry+gugliotta/keywords_top

1. Polipo con vellutata di ceci 2. Carpaccio di ananas con gelato alla menta 3. Dolcino siciliano crema di mandorle con crema di pistacchi


LoReD aNA BoRghETto Se non fossero giraffe (pausa pranzo nella città delle banche) Nel mare grigio di cravatte onde incerte di trampolieri miopi incespicano, si accavallano si sfiorano non si vedono. Sushi o kebab, insalata o couscous ingeriti tra un’obbligazione e un derivato un bonifico e un gossip ascoltato con insofferenti sorrisi. Una sensuale carezza allo smartphon al tablet per non allontanarsi dalla city o da wall street, dalla bce o da piazza affari.

Il collo allungato verso quegli aghi ipodermici che feriscono il cielo grattacieli di inutili cose dove una sedia girevole e un computer in standbay aspettano… Se non fossero giraffe vedrebbero la pozzanghera che ancora resiste a quel mare grigio di solitudini affollate.

Food * Grassi saturi insaturi alimenti iposodici ipocalorici biologici a KM zero dieta vegetariana vegana… fast sloow street finger food… i nostri amletici crucci quotidiani. Loro “cardbord food” senza problemi.

Per noi oggi il menù di Trimalcione: beccaccino in crema piccante di tordo, ghiri conditi con miele in un letto di salsa di papavero ceci d’Arezzo innaffiati con Falermo Opimano di cent’anni e, dulcis in fundo, maialino di pasta di mandorle… Per loro, i dannati della stazione con le bocche disincarnate, sul marciapiede tra scarpe frettolose e occhi vuoti, menù fisso: pane in un letto di cartone accompagnato da un vino bianco o rosso in cartone naturalmente… Per noi sputacchi di cibo in piatti gourmet da deglutire con religiosa lentezza come chi è colpito da afflizione ostruttiva. Per loro in precari piatti di plastica spaghetti disordinati spinti in bocca con rumoroso piacere. Chef stellati, asettici camerieri per noi. Per loro rubizze pensionate e giovani contestatori con piercing e sorrisi tatuati che scaldano il cuore. Fast sloow street finger cardbord food. *la poesia contiene espliciti riferimenti al “Satyricon” di Petronio.


Il tuo assenzio Ogni giorno solito bar immobile come sedie e tavolino smarrito come il bevitore di assenzio interroghi quel liquido color della notte squarciata da un lampo. Forse provi pietà per una vita devastata che scorre tutta in quel bicchiere sempre pieno.

Loredana Borghetto. Nata nella Marca Gioiosa et Amorosa, laureatasi in Lettere presso l'Università di Padova, vive in provincia di Belluno, abbracciata dalle mitiche Dolomiti. Alcune sue poesie sono state selezionate e inserite in sillogi di autori vari e/o pubblicate in ebook; altre sono state e sono protagoniste di trasmissioni radiofoniche o presentate in reading poetici in varie città. Presso la Libreria Editrice Urso ha pubblicato due raccolte di poesie , “Anch’io sento quel canto” e “Vite in cammino” classificatesi rispettivamente al terzo e secondo posto del Concorso libri di-versi in diversi libri.


LAuRa PaitA Metamorfosi di un mucchietto di farina Palpabile leggera vellutata si solleva al tuo respiro se più ardito si avvicina. La mano asciutta affonda lasciando traccia delineata cipria sulle dita. Bagnata cambia consistenza appiccicandosi in grumi informi trasformabili in impasto. Gesti ritmati la metamorfosi compiono… prende forma una pasta soda ed elastica pronta a tuffarsi nell’acqua bollente! Caffè Scuro caldo dal maschio profumo ti sale al cervello ancora prima di gustarlo… amaro denso risveglio per i sensi ti scuote nel profondo sferzata di energia… miscela di sapori aroma avvolgente ti inebria e bruscamente ti riporta alla realtà. 13 giugno 2012

Caramella Scartami dall’involucro che mi avviluppa. Accosta le tue labbra alle mie curve. Trascinami all’interno della bocca e con la lingua accarezzami sui fianchi. Succhiami i contorni fino a farmi sciogliere. Lasciami squagliare lentamente… fino a quando di me non resterà più niente, una dolce sensazione ed un sapore invadente.


Goccia a goccia 2014, 2015, InfinitAmore 2014, 2015, 2016; Un cielo di poesia 2014, 2015, 2016. Ha fatto parte del progetto MIMESIS, una Performance sperimentale in continua metamorfosi (Laura Campagnoli),nato nel 2013 nell’ambito della rassegna POLIS COME POESIA ad opera dell’Artista Sociale Laura Campagnoli. “Area di ricerca comune è l'intenzione di percorrere insieme tutte le forme d'Arte entro un contenitore che pare ogni volta abbattere i limiti dei propri confini settoriali per estendersi verso orizzonti e incastri inaspettati. La sfida che vive ogni partecipante diventa esperienza che fa crescere l'individuo e il gruppo. La propria ricerca artistica viene condivisa e confutata tra gli artisti come in un Laboratorio Teatrale.” L.C. Ha partecipato a Mimesis (27 novembre 2013, La Claque - Genova); Voci in Viaggio (5 febbraio 2014, Teatro dei Cappuccini – Genova); Impasse (13 giugno 2014, Teatro dell’Ortica – Genova); Komos (2 agosto 2014, Torriglia); Viaggio nell’Alieno che è in noi (13 settembre 2014, Teatro Parrocchiale – Torriglia). Il 24 febbraio 2014 è stata ospite del Laboratorio di Poesia dell’Associazione San Marcellino presso la Biblioteca Berio, Sala Lignea a Genova con Il Sapore della Poesia. Ha partecipato all’evento Poesie Aeree e Performance Verticale (13dicembre 2014, Palazzo Reale – Torino). In occasione della Giornata Mondiale della Poesia 2015, ha partecipato all’evento Invasione Poetica (21 marzo 2015, Palazzo Ducale – Genova). Il 29 maggio 2015 ha partecipato al reading “Espressionista”11°

Laura Paita è nata a Genova, dove vive, il 14 gennaio 1960.

Mostra LABO ART VILLA MARTI presso la Biblioteca Bruschi Sartori

Si occupa di Scienze per la Pace, Cooperazione Internazionale e di Genova Sestri Ponente e nella stessa sede alla mostra Mediazione di Conflitti. Fin da bambina ha sempre interpretato la scrittura come catarsi e urgenza comunicativa. Non ha mai avuto un amico immaginario né tenuto un diario, ma ha sempre scritto pensieri e riflessioni rivolgendoli a qualcuno,

“ECOLOGICA” LABO ART VILLA MARTI: “Una Poesia al giorno toglie il medico di torno” 9-21 maggio 2016. Il 26 settembre 2015 ha partecipato a P FOR POETRY-100 THOUSANDS POETS FOR CHANGE a Genova, Palazzo Ducale. Il 18 ottobre 2015 ha organizzato assieme al Dott. Mohammad

usando la forma dell’epistolario. Negli anni i pensieri si sono fatti

Natour Poesia, Arte e Medicina,

poesia.

un’esperienza su come si possa

Finalista nel concorso Fior di Loto del 2011, le sue poesie sono

affrontare un cancro in maniera

state pubblicate nell’antologia Il Profumo delle rose edita da

creativa, all’interno della mostra

Sonia Demurtas Collezioni Editoriali. Nell’aprile 2012 è uscita la

è,creatività digitale di Adriana

sua prima raccolta di poesie Io so chi sono, edito da De Ferrari Editore, nella collana Ineditamente, curata da Tina Cosmai. Sempre nell’aprile 2012 ha partecipato con tre poesie ed un

Anselmo, presso AMAL, via del Campo 10/7 Genova. Il 14 maggio 2016 ha partecipato a “Binari InVersi- Poeti senza

breve racconto al concorso Immagini da leggere , a cura di

Lanterna” presso il Salone del

Fotogruppo Effeotto di Cernusco Lombardone, pubblicati

Dopo Lavoro Ferroviario, in va

nell’antologia omonima. Il 30 giugno 2013 ha partecipato come

Balbi 25 a Genova, organizzato da Roberto Marzano e Maria Pia

poeta/relatrice al Festival delle due culture presso il Centro

Altamore.

AMAL di Genova ed il 7 giugno 2014 alla seconda edizione.

Ha vinto il primo premio del “Premio letterario Federica: le parole

Collabora con la rivista non periodica Est Ovest Orizzonte, nel-

della Vita” , indetto da A.I.O.M. ( Associazione Italiana Oncologia

la sezione Letteratura con articoli e poesie. Ha contribuito alle Antologie Alda nel cuore 2013, 2014, 2015, 2016, 2017;

Medica), il 21 maggio 2016. Cura un blog personale laurapaita.blogspot.it e fa parte di un blog collettivo di poesia vocidipoesia.blogspot.it


CaROLinA NaVArRO AUTUNNO

SMARRIMENTO

Fichi secchi, salame e un Bracchetto d’Acqui. Così è stata la serata domenicale di fine ottobre un sorso dietro l’altro per cercarti con quei sapori di contrasti tra il dolce e l’amaro proprio come te.

Scrivo perché mi sento persa in questa giungla di cemento che non conosco. Le specie sono altre, gli animali più aggressivi cammino in un campo minato senza sapere in quale tempo perderò a me stessa. Un primo colpo sulla dignità nella frontiera. Gli odori erano diversi gli sguardi più agri ricercando i toni della mia terra mi sono ammalata di stanchezza non trovandoli mai. Le emozioni mi assediavano il mio ventre crollò e lasciai partire il dispiacere. Mi tengo il mio cuore stretto se lo abbandono perderò anche a te. Mi arrendo lentamente come i libri del mio casellario dopo il terremoto cercando di trovare rifugio nel primo angolo a portata di mano. La confusione esalta la mia mente al capire che non sono nel mio posto.

VITTORIA La vittoria arriverà non preoccuparti arriverà con te, come in quei giorni bui dall’antica guerra quella guerra che mi hai fatto conoscere nei tuoi occhi tristi e malinconici per la mancanza d’amore che arriverà non preoccuparti, come arriverà la Vittoria come quel buon cibo in abbondanza che preparavi per le feste e il tuo bel sorriso che illuminava le serate buie d’inverno di fronte a un bicchiere di vino per festeggiare la compagnia. Questa poesia è in ricordo a Vittoria

Poesie di “Luna piena” (Aletti Editore 2009)

CAROLINA NAVARRO è poetessa e traduttrice italiana d’origine cilena, appassionata di psicoanalisi, letteratura e cinema, nacque a Santiago del Cile nel 1973 dove ha compiuto studi Scientifici Umanistici e posteriormente studi in Psicologia. È laureata in Comunicazione Interculturale presso la facoltà di Lingue a Genova e in Scienze e Tecniche Psicologiche presso la ex facoltà di Psicologia dell’Università della Valle d’Aosta. Attualmente studia la Magistrale in Psicologia Clinica e di Comunità presso l’Università di Genova. È iscritta all’Ordine degli Psicologi della Liguria e partecipa al Gdl Etnopsicologia. In volo trovo la calma che produce la partenza scappando da questo sentimento che fiorisce dentro di me ogni giorno che ti incontro (Estratto da “Vortex”, Aletti Editore 2015)


aDELe LiBeRo Ricetta crespelle con ricotta Se voglio le crespelle preparare tre uova innanzi tutto ho da comprare, poi le unisco al latte ed a farina che prima devo bene setacciare. Aggiungo poi il burro un poco fuso, un pizzico di sale nell'insieme. Poi friggo una ad una le crespelle, senza bruciarle, ma dorando bene. Quando son fredde aggiungo della salsa, un sugo buono che ho già preparato, dentro ci metto un fiocco di ricotta, che con il sugo ho già amalgamato. E sopra aggiungo un po' di mozzarella, formaggio parmigiano grattugiato, e metto in forno la crespella bella e poi la mangio, quasi d'un sol fiato !! ……. Ingredienti: tre uova, 500 ml di latte, burro 40 gr sale, farina 250 gr parmigiano e ricotta a piacere, sugo al pomodoro. Olio o burro per friggere con le dosi dovrebbero realizzarsi 15 crespelle

Adele Libero Nata a Napoli il 28 dicembre del 1950, laureata in lingue e culture moderne. Ho lavorato per tanti anni. Sposata. Una volta in pensione ho iniziato per hobby a scrivere poesie ed ho pubblicato due sillogi “Poesie per tutti i giorni” e “Le mie chimere”. Le mie poesie sono state inserite in antologie sia in stampa che on line ed alcune hanno vinto premi di poesia. Tratto dei problemi della vita moderna, di temi esistenziali, dell’amore, insomma di tutto ciò che mi emoziona e mi rende viva.


AdeLE FeRRaRi La cena delle tre effe. Con Irma Il profumo del cibo prevalse nell’aria fredda, rugginosa di filo spinato, del Campo dei prigionieri deportati. “C’è un gran pranzo stasera al Comando, troveremo qualche avanzo !“ - disse un prigioniero, sfregandosi le gelide callose mani. Irma si alzò, come se una leva l’avesse sollevata e s’ incamminò seguendo con l’olfatto quella scia di odori. Lo fece per un tratto ad occhi chiusi, come rapita. Irma attraversò l’opprimente salone ormai deserto e si trovò al buio sulla neve. Superò l‘ultimo tratto di campo ghiacciato ed entrò nella abitazione degli Ufficiali. Nessuno la fermò. Giunta alla tavolata; le voci e l’allegria dei commensali la destò come da un sogno. Spalancò gli occhi nello stesso istante che gli ufficiali si accorsero di lei. Seguì un silenzio che le ghiacciò ulteriormente le scarne membra. Ella si vide come appariva ai loro occhi: vestita di un solo cencio in cui si perdeva, una ragazza braccata, dai troppi capelli arruffati su un volto scarno ancora di fanciulla. Sapeva bene di essere fuori posto, ma così ci si sentiva da un bel po’, da quando l’avevano strappata via dalla sua famiglia, dalla sua casa. Da allora si sentiva fuori posto da tutto, anche dalla vita. Quindi sgranò impavida i suoi curiosi occhi: verde foglia-grigio piombo e nascose fra le pieghe della sua veste, la paura. “Cosa mi rimane ancora da perdere!” - pensò impavida Irma, restando immobile e muta. L’uomo a capotavola vedendola, la fissò severo per qualche interminabile istante. Anche Irma lo fissava determinata e infine quello sguardo di giovane sprezzante lo spiazzò. “Lo stesso sguardo di mia figlia”- pensò il Comandante Frederik Schulz. Quindi chiamò la domestica:”portate di sopra questa ragazza, permettetele un bagno e datele dei vestiti!” Quindi rivolgendosi ai commensali continuò: “non sia mai che una ragazza ci rovini questo giorno speciale. Siamo qui per festeggiare Karl e Franz che tornano a casa dalle loro famiglie, in licenza premio. Dopo di che li riavremo fra noi più decisi e motivati di prima, per realizzare la nostra vittoria!. Oggi siamo qui per festeggiare!”. Così dicendo sollevò il calice e tutti lo imitarono. Tornò subito il buonumore. Quando Irma si ripresentò in sala era molto cambiata. Nello stesso istante che entrò lei, entrarono i camerieri con le portate fumanti di arrosti e contorni vari. L’attenzione quindi, si spostò subito per il pasto. Irma guardava quel cibo lo assaporava ancor prima di mangiarlo. Quanto le mancava tutto questo!... Gli Ufficiali accolsero quelle vivande con esclamazioni gioiose e lei si sedette fra loro con una naturalezza sorprendente. Degustò quel cibo, piano, assaporandone ogni boccone come se fosse il primo e l’ultimo. Ad ogni boccone ringraziava la bontà Divina, mentre la testa le batteva forte come se avesse la febbre. Tremava ancora così forte che le scricchiolavano le ossa. Ma la fame oh! quella superava ogni cosa! Dopo aver fatto queste considerazioni, si guardò attorno con calma, senza più paure. Notò che erano tutti perfetti vestiti nella loro divisa militare, ma quella sera questi Ufficiali, avevano scordato i gradi ed erano tornati ad essere dei ragazzi della loro età! E già, a parte il Comandante, quegli ufficiali non avevano molti più anni di lei. Notò che dialogavano con lei spontaneamente e le sorridevano! Fu così che il bel viso di Irma si illuminò e ritrovò il suo bel sorriso . Adesso, i militari improvvisarono canti. Irma ora stava decisamente meglio! Vide un pianoforte e vi si diresse. Suonò un allegro motivo che cantarono tutti. Questo allegro coro li riportò al tempo quando regnava la pace, li riportò in famiglia fra le mura sicure delle loro case. Gli ufficiali le furono grati per questa sensazione. Con un nodo di commozione avvicinarono i loro calici al suo e brindarono ai loro cari . “Cin cin”- rispose Irma, anche lei si commosse, ma continuò a sorridere, come non voler più scordare quel sorriso. E aggiunse: “Anche per me, oggi è un gran giorno! E questa cena la chiamerò delle Tre Effe” -disse Irma “per ricordarmi : tutto il freddo, tutta la fifa, tutta la fame, che ho avuto! Ma stasera è accaduto qualcosa di straordinario. In questa cena ci siamo sentiti come in una cena in “famiglia”, ci siamo sentiti “felici”, dimenticando le “frontiere”e la guerra. Ed io … ehm! anzi noi, la ricorderemo per sempre per questi motivi!” A queste parole vi fu un applauso e qualcuno disse forte : “ Viva la Cena della fraternità che non conosce frontiere e che ti rende felice, questa è la cena che verrà ricordata da tutti per questi motivi e per questi sentimenti la Cene delle Tre Effe!”


La cene delle tre Effe di Gemma. E’ ora di cena, nelle abitazioni fervono i preparativi, le famiglie si riuniscono intorno al tavolo. Gemma rimasta sola dopo essersi presa cura dei genitori, chiude gli occhi e ricorda tutta la sua vita, la sua famiglia e tutto l’amore che regnava e rifioriva ogni giorno in quella casa. Ricorda i giorni felici vissuti. Rivede lei, suo fratello Alessio, partito dopo la laurea per il lavoro, suo padre Rino stanco dal ritorno dal lavoro. Papà mancato troppo presto ai loro affetti . Era però riuscito a festeggiare la laurea del figlio. La mamma Michela, un vero angelo del focolare, il sostegno, la sua maestra di vita. La mamma … un nodo alla gola le impedisce per un attimo di respirare. La mamma era qui con lei fino a un anno fa! Ma gli ultimi anni erano stati molto duri. La sua malattia richiese molte attenzioni e cure molto costose. Tutto fu fatto, anche quasi l’impossibile! Inizialmente Gemma era contenta, le sue rinunce non le pesavano per niente. La sua grande soddisfazione era vedere la mamma trarre giovamento da quel che faceva lei e i medici. Ma un brutto giorno Michela, nonostante tutto, restò immobile! E da allora non ebbe più un gesto né una parola, restò su una sedia a rotelle. Gemma perse il lavoro. Gea la gattina di casa, con un balzo la raggiunge le saltò in grembo, le fece le fusa e aspettò una sua carezza, come capisse quel dolore muto. Gemma rimase lì con un dolore che morde il petto, inghiottì lacrime amare e ascoltò la voce della mamma che le proveniva da dentro e che diceva:”Non piangere Gemma non sarai mai sola, ascolta i vicini!...”. Gemma andò alla finestra e vide la signora del primo piano con la figlia che terminavano di versare la minestra nelle scodelle quindi chiamarono liete il resto della famiglia: ”venite è pronto in tavola!” Le cucine del palazzo dove abita Gemma danno tutte nel cortile interno e Gemma presta attenzione a queste voci, ai profumi che provengono da ogni cucina, li distingue uno a uno. Lo fa per scordare quel che ha dentro, fissa quel che ha intorno e per quel momento, li avverte come vita che vive. Lei riesce a immedesimarsi. Nadia, la signora a fianco, con le presine in mano sforna un tacchino fumante. Il marito l’aiuta e tiene lontano dal forno e dalla teglia una schiera di bimbi in scaletta. La bimba del terzo piano fa i capricci e piagnucola: “mamma, il minestrone proprio non mi va giù!” – “Ma va là, è un minestrone coi fiocchi!” risponde il papà. La coppia di fronte mangia già, stanno seduti vicino ai nonni che loro accudiscono in cambio della loro ospitalità. C’è una gran cordialità in ogni loro gesto e parola. La loro gioia è il ringraziamento per non essere più soli. Gemma sente questa benedizione e guarda con tenerezza quei nonni che ogni tanto va a trovare e porge carezze sulle loro bianche teste, come se lo facesse ancora ai suoi genitori. In altre abitazioni fervono gli ultimi preparativi. C’è una cena fra amici. Ne sente le risa e il tipico cordiale trambusto di gente che arriva per cena ed ognuno porta qualcosa. Fra cui bottiglie di vino buono, spumante e una torta. “Forse festeggiano un compleanno , sai Gea!” disse forte Gemma al gatto accarezzandolo come una vera consolazione . Gea la guarda con i suoi occhi gialli interrogativi e le risponde con un “miaomiaao” un po’ infastidito. Questa sera per loro sarà una cena di fantasia. Con i profumi che la raggiungono, Gemma ha assaporato il minestrone coi fiocchi, ha gustato un pezzetto di tacchino cotto al punto giusto, ha brindato con quel vinello nostrano leggermente frizzantino e al momento opportuno avrà il suo pezzo di quella delicata torta. Ma Gea riprende a miagolare e si sporge sospinta verso quei profumi di cibo. Guarda Gemma che non si muove poi guarda la sua ciotola vuota. Tace un attimo e riprende a miagolare ancora più forte, disperata. Nadia si affaccia e quasi si tocca con Gemma di quanto son vicine, la saluta e la invita: “cosa succede a Gea stasera? E tu che fai qui tutta sola, vieni da me, mi fa piacere”- “ Oh grazie mille, davvero! Sarà per la prossima volta, ci vediamo, buona cena, ciao!” risponde Gemma e si allontana per chiudere la finestra, ma Gea più veloce di lei, salta sul davanzale della vicina. La risata cristallina di Nadia rallegra Gemma. “Su vedi? Gea è già qui! Ti apro la porta”- aggiunse Nadia. Gemma va, entra in casa di Nadia. Quel senso di inquietudine e profonda tristezza di Gemma, lascerà presto il posto al senso di appartenenza, alla condivisione. Inizia la cena e Gemma si sente dire “Siamo molto contenti che sei qui con noi!”. Gemma sente il suo cuore scaldarsi. Ora è a tavola con i suoi vicini ed è felice. Questa cena sarà “fondamentale” per la ripresa “fisica e felice” di Gemma.

LA CENA DELLE TRE EFFE di giuggiole e bacche selvagge Ti parlo mentre vorrei fissare nel tegame Il segreto della fiamma per il sugo. Carota cipolla e gusti per il soffritto. L’olio è d’oliva della nostra riviera Tutto è pronto per la cena di fede di fuoco di fiamma Come le rosse risonanze di corbezzoli Che si ergono sulla rocciosa collina di frutti di gusti dimenticati

Splendore di gialli limoni Si specchiano come il sole Nel blu del mare. Ci Aggrappiamo agli scogli come polpi Perché sai bene che potresti precipitare all’inferno Per la torta di mele alla crema e pinoli E per quel vinello Che contiene il codice per la resurrezione.


LoREllA FiNOCcHiARo Omini e manciàri Don Santo Fucile, due metri di altezza, un quintale abbondante di peso aveva capelli folti e baffi rossicci a manubrio, sempre molto curati e rigidi. Faceva il campiere a servizio del marchese Liotta che aveva grandi possedimenti dalla costa di fronte alle Isole Eolie sino ai piedi del paese di Montalbano Elicona. Vigilava su vigneti, uliveti e distese di agrumi, controllava che il lavoro procedesse nelle stagioni dei raccolti. In estate, nelle ore più calde, lo si vedeva seduto davanti al vecchio deposito delle olive, col fucile sulle spalle, un cappellaccio sulla testa ed una foglia di tabacco arrotolata tra i denti. Ai suoi piedi, un bùmmulu di acqua fresca. In paese era rispettato da tutti, tanto era uomo di poche parole ,quanto uomo di grandi mangiate. La sua capacità di ingurgitare quantitativi spropositati di cibo, lo aveva reso famoso in tutti paesi del circondario. Molti, quando lo vedevano mangiare alle sagre paesane, scommettevano sul numero di portate che avrebbe ingurgitato. Erano rimasti nella storia i cinque chili di stoccafisso, accompagnati da una chilata di pane di semola, due litri di vino e mezza anguria. Si diceva che non trovando un letto che lo contenesse, avesse dovuto aggiungere alla rete,due sedie dove potervi appoggiare i piedi e che, il falegname, avesse conservato tavole sufficientemente lunghe e robuste per il tabbùtu, in caso fosse stato colto da improvviso malore dopo una delle sue memorabili mangiate. Quando, durante le feste, le donne preparavano cibo in quantità per le loro numerose famiglie, subito qualcuno si apprestava a dire: “ e che cucinasti pi don Santo Fucile? ”. Da piccola ho ascoltato molti aneddoti su quest'uomo, severo e molto, molto generoso. Non mi era chiaro se facesse Fucile di cognome o lo chiamassero così per via dello schioppo sempre sulla spalla. Se qualcuno passava per la trazzera accanto alla sua postazione, lui salutava e lo invitava a favorire di qualche frutto, infatti,aveva sempre un cestino di fichi d'india e dei dolcissimi fichi adagiati sulle foglie stesse dell'albero , posti all'ombra, insieme ad acqua fresca e una bottiglia di buon vino.

Dedico a questo grande uomo, un detto ,che indica che il cibo va sempre condiviso con chiunque passi ed abbia fame. La Tàvula è trazzèra....cu arrìva s'assètta e mància (La tavola è come un tratturo, chi arriva, si siede e mangia). Il detto e la traduzione sono tratti dal Dizionario “Il Siciliano “di Rosario Sciangola. I personaggi descritti sono di fantasia , fatta eccezione ,questa volta, solo per il nome , che corrisponde a quello di un mio parente realmente esistito.


Ode al caffellatte

Odori

Oh caffellatte

Sembravano sincronizzate

tiepida mistura

mia nonna che tritava con la mezzaluna i sapori per il sugo

aroma di caffè

e la pendola appesa alla parete

bianca schiuma

La guardavo ipnotizzata

mentre scendi

in un vapore di aglio e rosmarino

giĂš dal cannarozzo

La sfoglia per le tagliatelle

il tuo tepore

sul tavolo di marmo, faceva da tovaglia

scioglie il nodo a strozzo

gialla di uova

La pace

spolverata di farina

dallo stomaco al cor s'infonde

Un tempo lungo

come un dolce cullarsi tra le onde

pochi suoni

In attesa che in me cali primavera

l'odore della stufa

ti gusterò mattina e sera

Ero felice

Lorella Finocchiaro nasce a Genova nel 1960. Le origini siculo-bolognesi ed i ricordi dell'infanzia ispirano i suoi scritti prevalentemente ambientati in Sicilia e sull'Appennino Tosco Emiliano. Vive a Genova dove lavora come insegnante di scuola materna.


MaURA TaOrMiNa Di tutti il più nero. Amato mi solletichi il naso. Ricomponi le braccia che scostano lenzuola intersecate. Ombre le gambe come macchie sul fornello a spiaccicare schizzi sul mattone marrone. Girano strette le dita intorno al tuo beccuccio Io paga con gli occhi strizzati Mi beo del mio caffè...

Sono Maura Taormina nata a Genova l’11 luglio 1963 da genitori siciliani trasferitisi a Genova alla fine degli anni ’50 per motivi di lavoro. Sono sposata e ho 2 figli. Ho un diploma in perito tecnico per il turismo. Mio padre mi ha trasmesso l’ amore per la danza, il canto e l’arte in genere. Divento prima ballerina di danza classica e modern/jazz, successivamente insegnante delle due suddette discipline. Ho diretto saggi e spettacoli scrivendone personalmente i testi e curandone la regia. Ho partecipato a concorsi di danza in qualità di giurata e preso parte a film e spettacoli teatrali. L’anno scorso la mia coreografia “Mia ombra di luce” ha avuto vari riconoscimenti in 5 differenti concorsi anche a livello internazionale. Ho lavorato in varie radio private genovesi tra gli anni 80 e 90. La mia passione per la scrittura nasce poco dopo aver imparato a scrivere. Mi piace ridere e scherzare in compagnia, per contro adoro trasferire su carta le mie inquietudini ed i miei pensieri chiudendomi in piccoli spazi fisici e mentalmente comodi.


FaBiO BaRRiCaLLA Da: «Guardavamo la luna»

[4] E continuo a vedermi dall’esterno Come se fossi un altro A mangiare a fumare In soggettiva Sanremo, 24 gennaio 2014

[19] Piange sempre Sul latte versato Sanremo, 24 maggio 2014

[40] Si va avanti così Bestemmiando e fumando In attesa del nulla Sanremo, 12 novembre 2014

Inediti I A fine serata rientra dal bere a fatica sbanda barcolla finge la dignità perduta Sanremo, 17 settembre 2017

II Mi si vede la pancia in quella foto Sanremo, 8 luglio 2017


III S’avvia caracollando il vecchio Poldo Reduce di non so Quale guerra s’infila Vittorioso in un bar Sanremo, 16 giugno 2017

Fuori tema (altri inediti) I Facta per Fra. C’era un bracco a Realdo Abbaiava affannato Ma tu non lo temevi Lo trovavi carino Sanremo, 28 luglio 2017

II Facta per Fra. Sembra anche a me che tu ci sia sempre stata Sanremo, 29 maggio 2017

III Facta per Fra. Che quel giorno del due io non sapevo Non potevo sapere che ti avrei Amata Sanremo, 19 aprile 2017

Fabio Barricalla è poeta e filologo italiano. Ha pubblicato le raccolte poetiche Gaia e altre canzoni (Imperia, Edizioni Ennepilibri, 2005), Verziere (ivi, 2006), Guardavamo la luna (Mallare, Matisklo edizioni, 2015). Ha curato, tra gli altri, i volumi: Giovanni Boine, Salmi della vita e della morte (Genova, Edizioni San Marco dei Giustiniani, 2016) e Dino Campana, Canti Orfici (Savona, Matisklo edizioni, 2016).


IzAbeLLa TeRESa KoStKa TRITTICO SUL CIBO CENA (con ironia)

PANE (l'urlo del disoccupato)

Ho bisogno d'assaporarti come il sangue di Cristo diventando la Maddalena dei nostri tempi.

Pretendo il pane quotidiano come i piedi il suolo della fresca terra eppur vietate i miei diritti

Mi stendo sull'altare dell'ultima cena per nutrire le membra dei peccatori.

spingendomi nel baratro dei disperati.

Assaggiatemi rinunciando all'ingresso nel noioso Eden.

Voi, seduti nei comodi uffici abbuffati di tasse e di grasse imposte, diventerete un giorno cibo per i vermi

ACQUA

e nessuno s'accorgerĂ della vostra mancanza.

Sgorga dal pozzo della dimenticanza per saziare le labbra invernali,

Scarti dell'Universo.

depura gli stagnanti sensi di colpa che scorrono tra i ruscelli fatti di rughe. Affonda qualsiasi dolore.

(Izabella Teresa Kostka, 2017)


KOSTKA IZABELLA TERESA è nata a Poznań (Polonia) ed è laureata con lode in pianoforte di cui è insegnante. Izabella vive e lavora a Milano, è scrittrice, poetessa, giornalista freelance per WordPress, organizzatrice e presentatrice di eventi culturali come "Verseggiando sotto gli astri di Milano" presso il Centro di Ricerca e Formazione Scientifica Cerifos. Negli ultimi tempi ha ricevuto molti importanti riconoscimenti letterari nazionali e internazionali. Ha partecipato a numerose mostre di arti visive e fotografia presso Circuiti Dinamici di Milano (2015, 2016, 2017), per la poesia ha pubblicato nove raccolte monografiche ("Granelli di sabbia", "Gli scatti", "Caleidoscopio", "A spasso con la Chimera", "Incompiuto", "Peccati", "Gli espulsi dall'Eden", "Le schegge", "Si dissolvono le orme su qualsiasi terra - Rozmywają się ślady na każdej ziemi"). Tante sue liriche compaiono su varie antologie ( tra cui "Novecento non più. Verso il realismo terminale" con l'introduzione di Guido Oldani, La Vita Felice Edizioni 2016; "Antologia proustiana" La Recherche 2016 e 2017), su numerosi siti culturali e su riviste letterarie (La Recherche, Euterpe, Bibbia d’asfalto, "Poetry Dream" di Antonio Spagnuolo, Letteratura al femminile, Liburni Arte e Cultura, Partecipiamo.it, Words Social Forum). Curatrice di diverse antologie tematiche di cui il ricavato è devoluto in beneficenza. Ideatrice e co-fondatrice del Gruppo per la Diffusione della Cultura e dell'Arte "Valchiria", fondatrice e redattrice del blog culturale "Verso - Spazio Letterario Indipendente". https://izabellateresakostkapoesie.wordpress.com/ https://verseggiandosottogliastridimilano.wordpress.com/ https://versospazioletterarioindipendente.wordpress.com/ http://gruppoculturalevalchiria.blogspot.com/


FINE

(grazie di averci letto) e

appuntamento al prossimo “quadernetto�



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