Dalle Circoscrizioni ai Comuni metropolitani: verso un nuovo modello di decentramento

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DALLE CIRCOSCRIZIONI AI COMUNI METROPOLITANI: VERSO UN NUOVO MODELLO DI DECENTRAMENTO (a cura di Stefano Carlizza)

Nel dibattito politico–culturale il problema del governo delle grandi aree metropolitane si intreccia strettamente con la ricerca di ambiti territoriali ottimali per l’esercizio delle funzioni amministrative e la gestione dei servizi pubblici. E’ un dibattito ormai antico, che si è andato sviluppando nel nostro paese soprattutto nell’ultimo trentennio, a seguito dell’attuazione dell’ordinamento regionale e nella prospettiva della compiuta realizzazione di quella “Repubblica delle autonomie locali” disegnata nel 1948 dal legislatore costituente. Le vicende seguite all’imponente trasferimento di funzioni agli enti locali, avvenuto in virtù del D.P.R.616/77, se hanno determinato la trasformazione dei comuni in enti a fini generali, rappresentativi, almeno tendenzialmente, della totalità degli interessi delle comunità locali, poi sancita dell’art.9 della legge 142/90, hanno anche evidenziato come ad un effettivo esercizio di tale ambizioso ruolo si frapponga spesso il problema di dimensioni territoriali che, per la loro insufficienza o, al contrario, per il loro gigantismo, impediscono un’efficace ed efficiente gestione dei pubblici servizi. Questa consapevolezza era alla base delle disposizioni di cui agli artt.17 e segg. della legge 142/90. Queste disposizioni individuavano quali aree metropolitane le zone comprendenti i comuni di Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Roma, Bari, Napoli e gli altri comuni i cui insediamenti si trovassero con essi in rapporti di stretta integrazione economica, sociale, culturale e territoriale. Nell’ambito di dette aree metropolitane la legge 142/90 articolava l’amministrazione locale in due livelli: quello della Città metropolitana e quello dei Comuni. Ciascuno di questi due livelli, caratterizzati da una rappresentatività diretta, di primo grado, avrebbe dovuto avere propri organi elettivi. Nell’ambito dell’area metropolitana, la Provincia avrebbe assunto il ruolo di autorità metropolitana, risolvendosi appunto nella Città metropolitana. Questa sarebbe divenuta titolare delle funzioni di competenza provinciale, nonché di quelle comunali cd. di area vasta, ossia delle funzioni normalmente affidate ai comuni, ma che, per il loro precipuo carattere sovracomunale o per ragioni di economicità ed efficienza, avrebbero dovuto essere svolte in forma coordinata nell’area metropolitana (pianificazione territoriale, trasporti, viabilità, smaltimento dei rifiuti ecc.). Ai Comuni metropolitani sarebbero rimaste le funzioni non espressamente attribuite alla Città metropolitana. Come è noto, il disegno della legge 142/90 non ha trovato attuazione. Prendendo atto delle difficoltà che la sua realizzazione ha incontrato, il legislatore è intervenuto a modificarlo, in modo anche significativo, con la legge 265/99. Volendo formulare un giudizio, pur sommario e sintetico, sulle novità introdotte, non appare arbitrario affermare che ad un’architettura qual era quella della legge 142/90, la quale, per tutte le aree metropolitane, veniva ad imporre un modello rigido ed uniforme di organizzazione dei poteri locali, la legge 265/99 ha sostituito invece una trama istituzionale che fa leva, in primo luogo, sulle autonome determinazioni delle collettività locali e dei comuni potenzialmente interessati, in quanto ricompresi nel territorio di un’area metropolitana, i quali possono costituirsi in città metropolitane ad ordinamento differenziato. Se rimane fermo che la


Città metropolitana acquisisce comunque le funzioni della Provincia, spetta ora all’assemblea dei rappresentanti degli enti locali interessati, su conforme deliberazione dei rispettivi consigli comunali, adottare una proposta di statuto della Città metropolitana, che ne indichi il territorio, l’organizzazione, l’articolazione interna e le funzioni. Non più dunque un modello istituzionale calato “dall’alto”, bensì un processo volto a costruire, con il diretto concorso delle popolazioni interessate, un’articolazione dei poteri locali che sia, di volta in volta, la più aderente alle specifiche esigenze delle singole realtà territoriali. La proposta di istituzione della Città metropolitana è infatti sottoposta a referendum da parte di ciascun comune partecipante. Peraltro si annida qui, forse, anche la principale criticità di questa “fase costituente”, che rischia di rendere, nei fatti, assai problematico il percorso verso la Città metropolitana tracciato dalla legge 265/99 e riproposto dal Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, approvato con Decreto Legislativo 267/2000. Infatti, secondo la nuova normativa, la proposta istitutiva, per poter essere tradotta in legge, deve ricevere il voto favorevole della maggioranza degli aventi diritto al voto espressa nella metà più uno dei comuni partecipanti. Condizione per la quale non pochi temono che anche la Città metropolitana ridisegnata dalla legge 265/99 possa rimanere lettera morta. Ciò avrebbe conseguenze particolarmente gravi per Roma. E’ unanime infatti la consapevolezza che la tradizionale “forma Comune” risulti ormai del tutto inadeguata al governo di un territorio vasto come quello di Milano, Torino, Venezia, Genova, Bologna, Firenze messe insieme e che la Città capitale d’Italia non possa continuare ad essere amministrata con lo stesso modello organizzativo di enti che, per territorio e popolazione, non sono neppure lontanamente comparabili ad essa. Questo nodo potrà ora essere sciolto dalla legge dello Stato cui l’art.114 della Costituzione, come modificato dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n.3, affida la disciplina dell’ordinamento di Roma capitale della Repubblica italiana. Il legislatore statale, se vorrà assolvere efficacemente al proprio compito, dovrà saper disegnare un modello organizzativo che preveda la devoluzione di significativi “pacchetti” di funzioni amministrative, ad esempio nei settori dell’urbanistica, dei trasporti, della grande distribuzione commerciale, dei beni culturali, dallo Stato e dalla Regione Lazio all’istituenda Città metropolitana di Roma, la quale, acquisendo altresì le funzioni della Provincia, verrà dunque a porsi come l’unica istanza amministrativa di livello sovracomunale. Nel contempo, la legge e lo Statuto della Città metropolitana dovranno prevedere la devoluzione di ulteriori funzioni dell’attuale Comune di Roma agli organismi di decentramento. Questi, quale potere locale più vicino ai cittadini-utenti, assumeranno su di sé, in coerente attuazione del principio di sussidiarietà, l’esercizio di tutte le funzioni e l’erogazione di tutti i servizi non di “area vasta”. Quale configurazione giuridica dovrà allora prospettarsi per le attuali circoscrizioni di decentramento comunale, quali sono ancora, allo stato, i nostri Municipi? Gli attuali Municipi dovranno risolversi senza residui nella “forma Comune”, acquisendo integralmente il relativo regime giuridico. A favore di questa tesi militano motivi di opportunità politica, ma soprattutto ragioni di ordine tecnico e gestionale. Solo percorrendo in modo conseguente questa strada, sino all’acquisizione da parte dei Municipi di una propria e distinta personalità giuridica, potranno, a mio avviso, trovare compiuta e soddisfacente soluzione problemi come quelli connessi al riconoscimento di un’adeguata autonomia finanziaria e contabile, nonché ad


una gestione davvero autonoma delle risorse umane. Non sarebbe utile invece, se non in via del tutto transitoria, ipotizzare, nell’ambito dei futuri comuni metropolitani, status giuridici differenziati per gli attuali Municipi e per i Comuni ”storici” dell’hinterland romano. I processi di devoluzione a due o più velocità, infatti, rischiano di accentuare le divaricazioni ed aggravare le sperequazioni fra le diverse realtà territoriali. Al contrario, potrebbe rivelarsi proficuo sperimentare a fondo quegli strumenti giuridici che il Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, approvato con Decreto Legislativo 267/2000, propone al fine di assicurare l’esercizio coordinato delle funzioni e dei servizi in ambiti ottimali di gestione sovracomunale. Anche nelle more della istituzione della Città metropolitana di Roma, e proprio al fine di preparare le migliori condizioni per il suo avvento, il processo di decentramento da lungo tempo in atto nel nostro Comune potrà comunque conoscere importanti sviluppi. Una tappa significativa di questo processo si è avuta poco più di due anni fa, con l’approvazione da parte del Consiglio Comunale del nuovo Regolamento del decentramento amministrativo. La deliberazione n.10/99 ha confermato ed accresciuto le rilevanti competenze attribuite alle preesistenti Circoscrizioni dalla precedente deliberazione n.38/95. Già oggi gli organismi di decentramento sono preposti non soltanto alla erogazione della quasi totalità dei servizi alla persona, ma anche all’assolvimento di funzioni strategiche per la qualità della vita cittadina. E’ il caso della manutenzione urbana, edilizia e stradale. Vi sono probabilmente le condizioni per un ulteriore incremento delle competenze decentrate, nei settori predetti, come pure in altri. Così, ad esempio, nella gestione del verde pubblico, ma anche della cultura e della edilizia privata. In questa fase, peraltro, il problema più urgente è, forse, non tanto l’aumento, quanto piuttosto la razionalizzazione e la piena attuazione delle competenze stesse, per superare inutili duplicazioni ed improprie sovrapposizioni da parte dell’Amministrazione centrale. In questa direzione sta lavorando la Commissione istituita ai sensi della IV Disposizione transitoria e finale dello Statuto. Al di là dell’estensione delle competenze decentrate, va in ogni caso ripensato il modello di relazioni tra Amministrazione centrale e Municipi. Se infatti, anche a garanzia dei livelli di erogazione delle prestazioni essenziali da rendere ai cittadini-utenti e dell’omogeneità degli standard qualitativi delle stesse, non potrà prescindersi, anche per il futuro, da un forte ruolo di indirizzo e coordinamento degli Organi ed Uffici centrali, i Municipi, proprio al fine di un ottimale esercizio di detto ruolo, dovranno essere chiamati, anche per quanto riguarda le competenze centrali, a concertare gli indirizzi generali e la programmazione degli obiettivi, secondo quel principio e metodo della cooperazione cui debbono improntarsi i rapporti tra i diversi livelli istituzionali. Banco di prova di questa riaffermata volontà di collaborazione reciproca potrà essere la ricerca di soluzioni più aderenti alle esigenze dei territori municipali in materia, ad esempio, di contratti di servizio con le società ed aziende pubbliche, come pure di politiche della sicurezza urbana. Non può peraltro sottacersi come, nel recente passato, all’accresciuto ruolo rappresentativo e gestionale delle Circoscrizioni non sempre abbiano corrisposto i livelli di efficacia ed efficienza sperati. Diverse e complesse le cause di questo ritardo. In primo luogo, certo, l’insufficienza delle risorse disponibili. In questa sede ci si deve limitare a rilevare come il pieno dispiegamento delle potenzialità degli organismi decentrati sia stato inceppato anche da un assetto istituzionale ed organizzativo non più all’altezza dei nuovi compiti ad essi affidati. E’ diffusa la sensazione che, nelle grandi realtà metropolitane, si sia ormai ad un bivio: o si procede verso più compiuti e razionali assetti del decentramento urbano o si rischia un fallimento di tali processi, quanto meno nella loro capacità di concorrere ad un innalzamento della qualità della vita.


Questa preoccupazione e consapevolezza sembra ispirare la previsione contenuta nell’art.8 della legge 265/99, ora trasfuso nell’art.17 del T.U.E.L., in forza del quale, nei comuni con popolazione superiore a 300.000 abitanti, lo statuto può prevedere particolari e più accentuate forme di decentramento di funzioni e di autonomia organizzativa e funzionale, anche avvalendosi del rinvio alla normativa applicabile ai comuni aventi uguale popolazione. Il nuovo Statuto del Comune di Roma, approvato con Deliberazione del Consiglio Comunale n. 122 del 17 luglio 2000, ha imboccato con decisione la strada suggerita dal legislatore. Esso, infatti, ha introdotto novità di assoluto rilievo per quanto riguarda il decentramento comunale. Tra queste: l’elezione diretta del Presidente della Circoscrizione; la previsione del ritorno obbligato dinanzi al corpo elettorale ogniqualvolta il Presidente venga a cessare dalla carica; l’introduzione, in luogo del Consiglio di Presidenza, di una Giunta circoscrizionale, i cui Assessori vengono nominati, anche al di fuori del Consiglio, e revocati dal Presidente; la previsione di un numero di consiglieri variabile in rapporto alla popolazione circoscrizionale e secondo la normativa applicabile ai comuni aventi uguale popolazione; l’approvazione del Regolamento della Circoscrizione affidata alle definitive determinazioni del Consiglio Circoscrizionale, senza più alcun intervento da parte del Consiglio Comunale. L’equiparazione dell’ordinamento dei Municipi al regime proprio dei comuni deve tuttavia considerarsi, allo stato, come tendenziale e non ancora completa. Come è noto infatti, in forza della II Disposizione transitoria e finale dello Statuto, la previsione relativa al numero dei consiglieri municipali entrerà in vigore soltanto al momento della costituzione della Città metropolitana, quando, con la nascita dei comuni metropolitani, detta equiparazione potrà dirsi compiuta. L’Amministrazione capitolina ha comunque inteso sfruttare a pieno l’opportunità offerta dalla norma legislativa, riconoscendo agli organismi di decentramento, ancor prima che essi si trasformino in comuni metropolitani, il massimo di autonomia possibile nell’ambito dell’unitaria personalità giuridica del Comune di Roma. Con la deliberazione del Consiglio Comunale n. 22 del 19 gennaio 2001, le diciannove preesistenti Circoscrizioni sono state costituite in altrettanti Municipi. Questa significativa modifica delle disposizioni statutarie in tema di decentramento amministrativo è stata dettata, in primo luogo, dall’esigenza, avvertita come ormai matura, di attribuire ai nuovi organismi autonomia amministrativa, finanziaria e gestionale, con conseguente conferimento di risorse finanziarie certe. La fondamentale affermazione di principio introdotta nello Statuto dovrà ovviamente trovare nello strumento regolamentare, e quindi in sede di riforma del regolamento di contabilità, le modalità di attuazione che la rendano compatibile con la necessaria unità del bilancio comunale. Parimenti, il nuovo regolamento di contabilità dovrà individuare le forme possibili di una più attiva partecipazione dei Municipi alla gestione delle entrate, anche attraverso l’introduzione di meccanismi “premianti” intesi a valorizzare l’efficienza gestionale delle singole realtà municipali. Nello stesso tempo, dovranno essere definiti e sperimentati nuovi criteri di ripartizione delle risorse tra i Municipi, in grado di correggere le sperequazioni che, nel tempo, si sono determinate. In tal modo, potrà realizzarsi quel “patto di federalismo interno” prospettato nelle linee programmatiche presentate dal Sindaco ed approvate dal Consiglio Comunale. Nel processo di trasformazione degli attuali Municipi in comuni metropolitani, potrà esservi ancora spazio per ulteriori modifiche statutarie. Ad esempio, per introdurre, anche nell’ambito dei Municipi, la figura del Presidente dell’Assemblea consiliare, come pure per attribuire alla Giunta del Municipio un qualche potere deliberante. Una leva fondamentale di questo processo dovrà peraltro essere costituita da una profonda riorganizzazione degli Uffici dei Municipi, in grado di renderli più adeguati alla necessità di fornire risposte all’utenza in termini di crescente efficacia ed efficienza. A tal fine, occorre costruire un modello organizzativo più flessibile che, sulla scorta delle innovazioni sperimentate per i Dipartimenti centrali, porti al graduale superamento della rigida


ed ormai datata articolazione regolamentare nelle tre unità organizzative: amministrativa, tecnica e socio-educativa-culturale-sportiva. Passi importanti in questa direzione sono stati fatti con l’approvazione del nuovo Regolamento degli Uffici circoscrizionali, approvato con deliberazione della Giunta Comunale n.26 del 12 gennaio 2001, le cui disposizioni tracciano le linee fondamentali dell’organizzazione delle strutture burocratiche dei Municipi. Entro questo quadro generale di riferimento, la puntuale definizione delle scelte organizzative e di gestione delle risorse umane è ormai demandata, nell’ambito degli indirizzi e delle direttive degli Organi di governo del Municipio, ad autonomi atti di organizzazione del Direttore del Municipio stesso, chiamato adesso a valutare, in relazione a specifiche esigenze del territorio di competenza, la possibilità di istituire unità organizzative ulteriori e diverse rispetto a quelle previste dal Regolamento. Come si vede, nell’ultimo triennio sono state gettate le basi di un nuovo ordinamento del decentramento nella nostra Città. Se sapremo utilizzare proficuamente la consiliatura da poco iniziata, anche impegnandoci per dare alla Capitale della Repubblica quella buona legge che da anni attende, saremo probabilmente in grado di concluderla con la nascita della Città metropolitana di Roma e dei nuovi comuni metropolitani. Roma, novembre 2001


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