Abitare (con) le cose

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di Rosaria Di Rocco



POLITECNICO DI MILANO III FACOLTA DI DESIGN BV CORSO DI DESIGN DEGLI ITERNI A.A. 2011/2012

ABITARE (con) LE COSE Rosaria Di Rocco| 750705

relatore| Leonardo Cascitelli | Ida Farè correlatore| Maurizio Splendore


in copertina Lisa CHOW//Furnish, 2008


indice preludio // il mondo degli oggetti /capire le cose /dell’abitare

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PARTE 1 // oggetti e modi di abitare 1/ la casa vuota 2/ la casa della cultura 3/ la casa delle piccole cose 4/ la casa dell’identità e del tempo

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PARTE 2 // il potere degli oggetti 5/ genesi dell’oggetto industriale 6/ oggetti delle meraviglie 7/ merci dentro e fuori le case 8/ oggetti comunicanti

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conclusione // verso un nuovo medioevo tecnologico / ridefinizione di privato / abitare tra nuovi parallelismi

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IL MONDO DEGLI OGGETTI preludio



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na persiana che cigola, pantofole che strisciano sul pavimento, il sussultare della caffettiera, auto che passano in lontananza, il fischiare del treno. Ed è mattino. I primi rumori del giorno iniziano a irrompere, sempre meno fiochi, come se quel filo che divide realtà e sogni, nei quali eravamo immersi fino a pochi attimi fa, si stesse lentamente spezzando e una forza estranea ci riconducesse da un altro spazio e tempo alla quotidianità della nostra vita. E così, cullati ancora dalle nostre fantasie, proviamo a ricordare cosa ci aspetta una volta aperti gli occhi e a mettere a fuoco nella nostra mente quello che ci circonda, affinché, come scrive Proust [1995] in un episodio analogo che apre la Recherche, “le pareti invisibili, mutando posizione secondo la forma della stanza immaginata”, preparino il riconoscimento del posto in cui ci troviamo. Il comodino

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preludio// il mondo degli oggetti

con il cellulare e l’agenda, senza i quali non potremmo andare avanti, sulla sedia la camicia del nostro colore preferito, i libri, la scatola dei ricordi e le foto... come se, per essere sicuri di chi siamo, necessiti la certezza che tutte le nostre cose siano lì dove le abbiamo lasciate, in modo da ricordarci del giorno appena cominciato ma anche di quelli ormai passati. Gli spazi, gli oggetti, le immagini dell’abitazione formano con noi stessi, un unico blocco, nel quale l’esistenza, apparentemente annullata dall’automatismo dei gesti, si costruisce giorno per giorno, ed è proprio quest’intima adesione che definisce l’abitare, che citando ancora una volta Proust [Op. cit.], è “quel pomo dell’uscio della mia camera, che differiva per me da ogni altro pomo del mondo per il fatto che pareva aprirsi da solo, senza che dovessi girarlo, tanto l’uso me ne era diventato incosciente”. Ecco che gli oggetti, anche i più banali e insignificanti, ricoprono un ruolo attivo nella pratica quotidiana dell’abitare e nella sedimentazione dei ricordi, che unitamente all’abitudine, ne fanno un’esperienza personale, e finiscono col formare un quadro di riferimento per la coscienza e la volontà. Ma anche per la nostra storia personale. Ogni

WHAT W CONFL 10


generazione è circondata da un particolare paesaggio di oggetti che definiscono un’epoca grazie agli strati e ai segni del tempo che li ha visti nascere, trasformarsi e spesso tramontare per fare spazio ad altri sempre più nuovi, senza perdere i significati acquisiti nella loro vita e divenendo documenti dotati di dignità propria, capace di evocare memorie personali e comuni. Come accade al protagonista di Umberto Eco [2004], Yambo, che riacquista i ricordi grazie alle cose che avevano segnato la sua infanzia, ricostruendo anche le avventure e le vicende comuni, le inclinazioni e i gusti di un’intera società. Rohan ANDERSON

Luca MAIRINI

THE BURNING HOUSE// blog americano, 2011

IF YOUR HOUSE WAS BURNING, WOULD YOU TAKE WITH YOU? IT’S A LICT BETWEEN WHAT’S PRACTICAL, VALUABLE AND SENTIMENTAL.

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preludio// il mondo degli oggetti

D Socrate (confutando le tesi di Cratilo e Ermogene): i

nomi non sono convenzioni, ma rappresentano qualcosa dell’oggetto, non vi è però identità ma somiglianza

Dialoghi platonici, Il tetralogia, IV sec. A.C.

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agli utensili preistorici in pietra alle prime produzioni ceramiche, dalle macchine agli attuali computer, le cose hanno percorso una lunga strada assieme alla nostra specie, cambiando con i tempi, i luoghi, le modalità di lavorazione, dipendendo da storie e tradizioni diverse. Il mondo degli oggetti si presenta costantemente come parte integrante delle nostre vite; per questo che sin da piccoli abbiamo imparato a conoscerli, classificarli, fino a semplificarli in strutture elementari predefinite, poi crescendo cominciamo a fissarli nella memoria e dargli dei nomi, così da orientarci in quell’universo indistinto di forme e materia, dandone un significato, impariamo a farne uso o a rinunciarvi, comprarli o venderli, darne valore o trascurarli, secondo regole personali che dipendono dal modo in cui ci relazioniamo con le cose, ma anche relative ai costumi sociali. Nelle diverse culture, infatti, sia l’attribuzione dei nomi sia la classificazione concettuale segue percorsi specifici congruenti a criteri dominanti, determinando così una diversa percezione degli oggetti, e pertanto un diverso uso e significato.


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/ capire le cose

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CAPIRE LE COSE

a società in cui viviamo, definita, da Gauthier a Bauman e molti altri, come società dei consumi è saturata da un’innumerevole varietà di oggetti che attendono di essere compresi. Come scrive Borsari [1992]: “Sotto forma di oggetti tecnologici, di beni di consumo, di effetti personali, di arredi ed elementi della casa, della strada e della città, oppure nella veste più ambigua di oggetti artistici o di presenze marginali e desuete, proliferano a dismisura in ogni parte della nostra vita. Prodotti, scambiati, consumati in misura sempre più crescente e con un’estensione globale senza precedenti, gli oggetti diventano parte integrante dell’identità degli individui e delle comunità. Incorporano i ricordi, le aspettative, i sentimenti e le passioni, le sofferenze e il desiderio di felicità”. Di fatti i nostri rapporti con gli oggetti sono molteplici, spesso ci costituiamo per tramite delle

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preludio// il mondo degli oggetti

C’E’ SEMPRE UN SENSO CHE VA OLTRE L’USO DELL’OGGETTO

cose e ci situiamo nello stesso loro orizzonte: anche se in un primo luogo un oggetto significa la sua funzione di strumento per risolvere problemi quotidiani, allo stesso tempo è vero che esso rinvia ad altri significati, assume cioè valori simbolici di carattere sociale e culturale, come scrive Barthes [1966] “c’è sempre un senso che va oltre l’uso dell’oggetto”. La capacità evocativa degli oggetti non si limita, infatti, a rivelare una memoria distinta delle attività e delle esperienze quotidiane, ma entra anche in rapporto dialettico con l’ambiente sociale che contribuisce a plasmare e dal quale al tempo stesso è plasmata.

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e trasformazioni avvenute nell’uso quotidiano degli oggetti in seguito alla diffusione massiccia della produzione in serie, e quindi il mutamento delle funzioni svolte dalle cose nella vita delle persone e nelle interazioni tra loro, hanno cambiato l’atteggiamento di molti sociologi che attribuiscono agli oggetti materiali una propria vita sociale e per questo vanno considerati come soggetti capaci di contribuire ai processi collettivi di produzione della realtà [Pels, Hetherington,

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PRODOTTI, SCAMBIATI, CONSUMATI IN MISURA SEMPRE PIU’ CRESCENTE, GLI OGGETTI DIVENTANO PARTE INTEGRANTE DELL’IDENTITA’ DEGLI INDIVIDUI E DELLE COMUNITA’: INCORPORANO I RICORDI, LE ASPETTATIVE, I SENTIMENTI E LE PASSIONI, LE SOFFERENZE E IL DESIDERIO DI FELICITA’.


preludio// il mondo degli oggetti

Vanderberghe, 2002]. Tali affermazioni, del tutto nuove e contrastanti con il passato, sono necessarie per comprendere una società in cui il consumo di cose materiali ha raggiunto livelli elevati e del tutto inspiegabili con la semplice motivazione dell’appagamento dei bisogni materiali delle persone. In precedenza, infatti, gli oggetti entravano nell’orizzonte delle scienze umane e sociali attraverso vie d’accesso d’altro tipo: col marxismo, gli oggetti furono considerati come frutti del lavoro umano e quindi come prodotti pronti all’uso o allo scambio, merce come strumento della dominazione di alcune classi sociali su altre; nella semiologia, il sistema degli oggetti segue quello del linguaggio, Barthes [1966] studia i significati dei comportamenti umani e gli effetti che produce l’uso delle cose sulla collettività, mentre Baudrillard [1972] considera gli oggetti come strumenti al servizio delle proprie tattiche di mobilità sociale, come simboli di status; nell’antropologia e nell’archeologia, infine, l’oggetto è una testimonianza di strutture sociali o di processi culturali. Tutte queste discipline sono però accomunate dalla visione antropocentrica: le cose, mera materia cui qualcuno ha dato forma in funzione

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/ capire le cose

di un’esigenza, diventano interessanti se si considera

L’ESSERE UMANO, CHE NE TRASFORMA IL SIGNIFICATO DI VOLTA IN VOLTA, IN MERCI DI SCAMBIO, SIMBOLI DI STATUS, ARTEFATTI DELLA CULTURA MATERIALE, PORTATORI DEI PENSIERI, DELLE AZIONI E DELLE RELAZIONI UMANE CHE HANNO DATO LORO VITA.

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utti questi discorsi evidenziano la natura composita degli oggetti e rischiano di creare confusione, si è parlato, infatti, di materia e funzioni e contemporaneamente di ricordi e sensazioni. Il malinteso dipende dalla mancata distinzione tra ‘cosa’ e ‘oggetto’, parole che il tempo e l’abitudine hanno dotato di significato univoco. L’italiano cosa è la contrazione del latino causa, ossia di ciò che riteniamo importante e coinvolgente da mobilitarci in sua difesa, e per certi versi è l’equivalente concettuale del greco pragma, della latina res o del tedesco sache (dal verbo cercare), parole che non hanno niente a che vedere con l’oggetto fisico in quanto tale ma che contengono tutte un nesso con

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preludio// il mondo degli oggetti

le persone e con la dimensione collettiva del dibattere e deliberare, rinviando tutte all’essenza di ciò di cui si parla, pensa o sente in quanto ci interessa. Oggetto è, invece, un termine più recente, che risale alla scolastica medievale e sembra ricalcare teoricamente il greco problema, inteso quale ostacolo che si mette avanti per difesa o impedimento che sbarra il cammino e provoca un arresto, o il latino obicere che vuol dire gettare contro, porre innanzi; l’idea di oggetto implica quindi una sfida, una contrapposizione con quanto vieta al soggetto di imporsi, presuppone un confronto che si conclude con la definitiva sopraffazione dell’oggetto, che viene reso disponibile al possesso e alla manipolazione da parte del soggetto. Il significato di ‘cosa’, che comprende anche persone o ideali, è più ampio quindi di quello di ‘oggetto’ che si racchiude nella fisicità degli oggetti materiali, quelli elaborati, costruiti o inventati dagli uomini secondo specifici modelli, tecniche e tradizioni culturali; nonostante ciò i due concetti risultano strettamente connessi non solo dal linguaggio comune ma anche dai continui investimenti e disinvestimenti di senso che gli attribuiamo, caricandoli o privandoli di valore e significati

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/ capire le cose

a seconda della nostra volontĂ , e inserendoli in storie che possiamo ricostruire e che riguardano noi o altri: “Le cose non sono soltanto cose, recano tracce umane, sono il nostro prolungamento. Ciascuno ha una storia e un significato mescolati a quelli delle persone che li hanno utilizzati e amati. Insieme formano, oggetti e persone, una sorta di unitĂ che si lascia smembrare a faticaâ€? [Flem; 2005].

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/ dell’abitare

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DELL’ ABITARE

arlando di oggetti non possiamo prescindere dal parlare di casa e di abitare, come scrisse Heiddeger [1976]: “L’esserci dell’uomo nel mondo non è pensabile se non in relazione con gli oggetti, persone e spazi che definiscono questo mondo”, e ancora “Il modo in cui tu sei e io sono, il modo in cui noi uomini siamo sulla terra, è il buan, l’abitare. [...] Non è che noi abitiamo perché abbiamo costruito; ma costruiamo e abbiamo costruito perché abitiamo, cioè perché siamo in quanto siamo gli abitanti”, possiamo dire pertanto che abitare è l’essenza stessa dell’esistenza, è il consolidamento della vita nella realtà quotidiana. L’identità, le modalità d’uso dell’abitazione, la stessa casa, sono valori immediatamente riconoscibili come risultato di un’esperienza condivisa, che si spiegano in maniera più completa attraverso concezioni

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preludio// il mondo degli oggetti

simboliche, rappresentazioni, figure concettuali; ma non dobbiamo dimenticare che l’abitare acquisisce senso e orientamento attraverso l’enorme massa di materia - utensili, spazi, strutture, artefatti o presenze naturali che lo compongono, equivarrebbe a privare l’abitare dei suoi attributi essenziali, fino a farlo rifluire nelle vaghe regioni del mito. Ciò che invece lo definisce è proprio la sua posizione intermedia, di confine e di collegamento tra l’idea e le cose. Se pensiamo all’etimologia della parola abitare, dal latino habito-as che sta per ‘avere, possedere’, apre il verbo all’idea di proprietà e a quella, reciproca, di appartenenza. Abitare indica il possesso di qualcosa che è allo stesso tempo in noi, perché parte intrinseca della nostra esistenza, e fuori di noi, poiché oggetto d’intervento e finalità.

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elle età più remote i punti di riferimento delle popolazioni non sono stati né le città né i villaggi né, tantomeno, le quattro mura della casa, bensì gli oggetti d’uso capaci di produrre, anche nel più primitivo dei ricoveri, l’insostituibile esperienza dell’abitare. Le civiltà primordiali, infatti, li deponevano accanto ai

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/ dell’abitare

Marcos CALAMATO// Feels like Home (serie)

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preludio// il mondo degli oggetti

GLI OGGETTI NON SOLO ARREDANO LA CASA MA DEFINISCONO LE MODALITA’ PERSONALI DELL’ABITARE

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morti per perpetuare il ricordo di una serena stanzialità, oppure per sottolineare che il tempo del nomadismo era finalmente finito e si era approdati alla vera e ultima casa. Anche in seguito, a partire dall’organizzazione degli spazi architettonici, tocca agli oggetti, agli utensili, agli strumenti dell’esistenza quotidiana il compito di organizzare l’esperienza abitativa, di normalizzare i comportamenti, di permettere al corpo di incidere sul proprio intorno fino a delineare abitudini, regole, transazioni e rappresentazioni che definiscono la figura stessa dell’abitare, che si identifica negli oggetti – arredi, apparecchiature, suppellettili – nella misura in cui essi stessi acquistano senso e identità al suo interno: gli oggetti non solo arredano la casa ma modellano gli spazi, facendo dialogare vuoti e pieni, ispirazione formale e funzionalità, e definiscono le modalità personali dell’abitare fino a imporle come manifestazione del sé, e solo attraverso di essi si può abitare la casa. In tal modo abitante, spazi e oggetti diventano un tutt’uno, la rappresentazione di un’esperienza universale che segna il punto di continuità con la società esterna: l’abitazione racconta la persona che la abita a se stesso e agli altri, attraverso scelte che


/ dell’abitare

narrano una personalità che si inscrive nell’ambiente domestico per rispecchiarsi. Il passaggio dall’interno architettonico all’interiorità domestica definisce l’abitazione, pur in una miriade di varianti, nella sua qualità di guscio protettivo: è il passaggio dell’interno nell’interno, che ha il suo fine nell’isolamento totale, nella presa di distanza definitiva del proprio corpo rispetto al mondo che lo circonda. Questa ricerca d’intimità è stata proprio il pulsore di tutte quelle trasformazioni che hanno segnato l’evolversi dell’abitazione tra il XV e il XIX secolo: da spazio disgregato, contenitore indifferenziato dove personale e abitanti risiedono confusamente senza distinzione con la vita di strada, diventa spazio organizzato attorno al nucleo della famiglia e contrapposto sempre di più alla società esterna.

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’epoca dei lumi, che vede il nascere della società borghese e industriale, mette ordine definitivo alla confusione medievale, definendo spazi e ruoli per ciascuno: è proprio nella casa borghese che per la prima volta è sentita l’esigenza da parte dei suoi abitanti di possedere spazi fisici in cui isolarsi dal mondo, privazione

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preludio// il mondo degli oggetti

Martin HEIDEGGER L’esserci dell’uomo nel mondo non è pensabile se non in relazione con gli oggetti, persone e spazi che definiscono questo mondo. [...] Il modo in cui tu sei e io sono, il modo in cui noi uomini siamo sulla terra, è il buan, l’abitare.

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/ dell’abitare

dal vocabolario francese Cosmopolite :

1762/ Celui qui n’adopte point

de patrie. Un cosmopolite n’est pas un bon citoyen

1798/ citoyen du monde. Il

se dit de celui qui n’adopte

pas de patrie. Un cosmopolite regarde l’univers comme sa patrie

che raggiunge il suo culmine nell’Ottocento, con la necessità di ‘inscatolare’ la grandezza del mondo per ridurlo a una dimensione più normale e controllabile. Infatti, fu il primo romanticismo tedesco a introdurre il tema dell’abitare come destino dell’essere umano nel mondo. “La filosofia è propriamente nostalgia, è desiderio di sentirsi dovunque a casa propria”, proclamò Novalis [1987], abitare fu quindi un processo di intima partecipazione al mondo, che si risolveva nella permanenza in un luogo come segno della propria identità. Questa visione dell’abitare il mondo come immersione in una natura moderna e sovrana, trovò il suo radicale rovesciamento nello spirito analitico e romantico con il quale Leopardi contemplò l’indifferenza del creato. Il romanticismo fece così dell’abitare il centro di una riflessione cosmica che apparve lacerata tra i due estremi del Tutto o del Nulla, in mezzo ai quali emergevano, tuttavia, istanze più complesse. La perdita di senso dell’universo ha fatto del mondo uno spazio aperto, dovunque abitabile: la figura del viaggiatore, che è a casa in ogni anfratto, locanda, villaggio o città, prende piede nell’immagine collettiva, così l’Ottocento, tempo di

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preludio// il mondo degli oggetti

esplorazioni e colonialismo, fa di ogni spazio un ‘essere a casa’, fino a sfociare nell’ossessivo e ignoto vagabondaggio del poeta Rimbaud (1854-1891), che segna questo senso di sradicamento. Col Novecento, si assiste alla riduzione dell’universo alla società e dell’abitare a una funzione sociale, adeguando l’esperienza della casa al puro piano del diritto: così il problema dell’abitare è divenuto il problema dell’abitazione, imponendosi nella sua dimensione quantitativa, regolata da leggi di mercato e riconosciuta come esigenza di massa. Lo spazio dell’abitare si è irrigidito in uno schema distributivo di funzioni quotidiane e il tentativo di abitare il mondo è stato affidato a un’utopia propria della cultura architettonica. Il tramonto della modernità ha però fatto riaffiorare il culto del genius loci, che, nel momento in cui l’apertura sul mondo andava verso la globalizzazione, ha riproposto i valori dell’identità locale e della differenza. Adattando le primitive formule romantiche, il mondo così viene a coincidere con il territorio e l’abitare non delinea solamente la casa ma anche il sua ambiente naturale, la sua geografia, la sua storia, recuperando il suo antico senso di radicamento e appartenenza.

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Abitare under 35 Green Kitchen// Scuola Politecnica & Io Donna


preludio// il mondo degli oggetti

S

i passa, dunque, dall’abitare il mondo all’abitare la casa, che diventa propria nel momento in cui tra lo spazio architettonico e il corpo dell’abitante s’interpongono una serie di oggetti, strumenti e immagini, che lo trasformano in spazio domestico, universo individuale, attraverso un processo che prende il nome di arredamento. Arredo è un vocabolo nato dall’aggiunta della particella latina ad- al ceppo gotico raidjan, che equivale a ‘ordinare’, due culture diverse accomunate dal senso profondo dell’organizzazione domestica. Arredare implica, dunque, una mutazione dello spazio architettonico, che assumerà i tratti di una struttura organizzata riconoscibile dall’interno, della quale ogni oggetto si definirà in relazione a tutto il resto. Questa trasformazione non sarà unitaria, infatti, tale processo passa prima dall’atto dell’attrezzare, che consiste nel dotare l’architettura di strumenti che ne garantiscano le funzioni; successivamente a quello dell’ammobiliare, nel quale l’interno architettonico lascia il posto all’abitazione, dove i mobili ricoprono il ruolo funzionale e rappresentativo; e, infine, quello dell’ arredare, che vede la stratificazione di cose, risorse, memorie

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/ dell’abitare

proprie che ci rappresentano e contraddistinguono. Sono proprio gli oggetti a condensare tutte le energie dell’abitante, sui quali riverserà una completa dedizione. La ‘roba’, ricorda il poeta latino Lucrezio [cit. in Vitta, 2008], nasce con la civiltà. Gli uomini dapprima crearono le città e divisero i campi e il bestiame. Posterius res inventast: dopo inventarono la roba; traduzione che sa di possesso geloso, di proprietà da difendere. Anche la letteratura moderna ha insistito su questo concetto, facendone il perno di contrasti sociali, Verga [1889], tra i tanti, ha voluto rappresentare il peso che esso ha sull’esistenza quotidiana, proprio ai possedimenti l’uomo riversa desideri, nostalgie e speranze: “Ah! La mia roba? Voglio vederli! Dopo quarant’anni che ci ho messo a farla... un tarì dopo l’altro!... Piuttosto cavatemi fuori il fegato e tutto il resto in una volta, chè li ho fradici dai dispiaceri... A schioppettate! Voglio ammazzarne prima una dozzina! A chi ti vuol togliere la roba levagli la vita!”. Quest’attaccamento, quasi morboso, alle cose personali ci porta a notare come la casa stessa non riesce a concludersi senza gli oggetti che la compongono nell’esperienza di chi la abita.

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preludio// il mondo degli oggetti

abitante/oggetto/casa

sono elementi intimante legati e saranno la traccia di quest’analisi che, se da una parte è concentrata nel cogliere le metamorfosi dello spazio domestico, dall’altra ha come obiettivo quello di comprendere quali legami gli oggetti intrattengono, nei diversi periodi della storia, con questo luogo, e come si relazionano col concetto di abitare, ma soprattutto come cresce e si sviluppa il potere degli oggetti nell’individuazione del sé. Dalla storia delle cose, infatti, emerge la forma del tempo, si delinea un ritratto dell’identità collettiva, che serve al gruppo come guida o punto di riferimento per il futuro, fino a definire ogni tratto distintivo delle nostre vite. Per comprendere appieno questa ‘triade’, che ricorrerà come filo conduttore in tutta la ricerca, occorre specificare gli ambiti d’indagine dei singoli elementi: /abitante/ inteso nella propria individualità e nella maniera in cui percepisce se stesso; /oggetto/ nella sua natura funzionale, simbolica, personale, segnica, comunicativa …; /casa/ come spazio nel quale si conclude il senso di sé,

QUA FA

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/ dell’abitare

percepito come home e quindi come atmosfera della propria domesticità.

Q

uesto viaggio inizia lentamente, e toccando argomenti eterogenei, cerca di spiegare il complicato e vasto mondo degli oggetti, che come nel momento del risveglio, incipit di questo preludio, cerca di assecondare la comprensione del senso delle cose prima che l’abitudine e la funzione prendano il sopravvento.

ABITARE (con) LE COSE studia i nostri rapporti con gli oggetti, sia nella loro materialità sia nel loro legame emozionale con chi li possiede, fino a rispondere alla domanda:

ALI OGGETTI ANNO CASA?

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O

OGGETTI E MODI DI ABITARE parte 1



H

a inizio il nostro viaggio all’interno di case, palazzi, residenze, appartamenti‌ come ospiti silenziosi staremo a osservare gli spazi, i modi di abitare, le idee e i sentimenti dei padroni di casa, ma soprattutto ci lasceremo guidare dagli oggetti, che siano semplici arredi o utensili, cose preziose o simboliche , saranno loro a scandire i nostri passi come hanno influito, insieme al tempo e alla societĂ , alla maniera di percepire gli spazi e di utilizzarli, tanto da darne il loro nome a volte. Possiamo considerarla una sorta di visita guidata a un piccolo numero di case, in altrettante giornate, attraverso le quali restituire un panorama descrittivo del rapporto che nei secoli si è tenuto rispetto alla presenza degli oggetti, da un marcato disinteresse a una ricerca quasi ossessiva, e quali siano state le motivazioni a determinare tali cambiamenti.

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PARTE 1// oggetti e modi di abitare

L’espressione ‘nouvelle

histoire’ è stata coniata da Jacques Le Goff e Pierre Nora (1978), esponenti

della terza generazione della École des Annales. Questo

movimento è l’antitesi del

modo convenzionale di scrivere la storia: la nouvelle histoire, infatti, rifiuta un concetto

di storiografia incentrato sui grandi uomini ed i politici,

fondandosi invece sullo studio delle mentalità, ponendo

in rilievo le caratteristiche

antropologiche delle civiltà.

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Uno degli aspetti che sarà considerato maggiormente è l’arredamento, poiché mostra bene la peculiarità della civiltà di ogni tempo e il suo essere, per eccellenza, un mondo di oggetti: ciò che la caratterizza è la crescente moltiplicazione, che sembra non aver limiti, della loro produzione, circolazione, consumo. Tale insieme, dato di relazioni e associazioni, ricostruisce uno spazio abitato, la sua organizzazione, i suoi luoghi e utensili da lavoro, i focolari, i luoghi di riposo, i percorsi. Attraverso gli oggetti, infatti, si compongono le relazioni sociali. La nuova storia, a proposito, ha ridimensionato l’importanza delle fonti scritte e il loro primato, per valorizzare le fonti mute, ben sapendo che tutti i documenti sono anche monumenti; e ha dato tutto il loro peso agli oggetti, poiché in fondo la storia dell’uomo coincide con la storia della cultura materiale. Ovviamente tutti gli oggetti hanno il respiro della loro cultura e in essa hanno il loro senso, anche se non hanno tutti lo stesso statuto o non occupano lo stesso posto: alcuni oggetti sono indicatori decisivi di una civiltà, altri assumono il valore di simboli o emblemi di un’epoca, sia perché in essi si riconosce, facendone riferimento privilegiato del


suo immaginario, o perché da essi è contrassegnata nel suo sviluppo e nella sua struttura.

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na visita, però, è breve per definizione, ma potrà bastare a chi abbia buoni occhi e fantasia sufficiente, pertanto il benvenuto è a tutti coloro che abbiano l’interesse o semplicemente la curiosità, di conoscere un po’ meglio come gli oggetti hanno cambiato il nostro modo di abitare nei secoli. Per riuscirci è necessario operare una riduzione, una semplificazione, consistente nel rivelare i vari archetipi attraverso l’esaltazione delle loro caratteristiche più evidenti, non si tratterà dunque di un’analisi completa e dettaglia quanto a una piacevole sintesi, delle storie nella storia, che ci portano dal Medioevo fino a tutto l’Ottocento.

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LA CASA VUOTA


La foire du Lendit da Pontifical de Sens/ France, XIV secolo


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1/ la casa vuota

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LA CASA VUOTA

iò che caratterizza a prima vista la casa medievale è un senso di contenutezza e sobrietà d’insieme, i mobili sono pochi, semplici ed essenziali e rispondono alle comuni esigenze di vita: di carattere pratico, essi presentano dimensioni proporzionatamente adatte all’uomo e al suo ambito. “Come la coscienza di sé della gente medievale è carente, l’interno delle loro case è vuoto, anche nelle hall dei re e dei nobili. Il mobilio all’interno della casa compare insieme al mobilio interiore della mente”, come ci spiega Lukacs [1970]; non possiamo scindere gli spazi domestici dalla mentalità di chi li vive, proprio perché non sono solo la dichiarazione esteriore dello spirito del tempo quanto della società e del pensiero dominate. La civiltà medievale, appena uscita dall’incubo dell’anno Mille, è ancora immersa in una profonda instabilità sociale:

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PARTE 1// oggetti e modi di abitare

re, imperatori, e nobili feudatari, per fronteggiare un clima di perenne ostilità, sono costretti a governare tra continui spostamenti tra una corte e l’altra; né migliore sorte tocca ai loro sudditi che, per sfuggire alle guerre, carestie e malattie, spesso si arrangiano fra il miraggio delle ricchezze terrene prospettate dal potere temporale e quello della vita eterna promessa dal potere spirituale. In questa desolazione, l’esistenza umana si disgrega nel deperimento del corpo, nel costante pericolo dell’agguato, nell’ingiuria della ferita, nella malattia. La morte vi si distende come un velo che ne ricopre ogni aspetto; pertanto la sopravvivenza è affidata allo spirito di un Dio che si sostituisce a ogni atto umano. Il decadimento della civiltà urbana fa regredire, inoltre, ogni forma di conoscenza ai suoi livelli più elementari; anche le più comuni tecniche costruttive sprofondano in un oscuro oblio. Per realizzare un umile oggetto o addirittura per aggiustarlo, occorre ormai un evento miracoloso. L’oggetto d’uso assume così, agli occhi sia dei sapienti che degli incolti, dei santi, dei guerrieri, dei contadini, un valore quasi sacrale. Gli utensili e gli strumenti di lavoro appaiono nell’arte e nella letteratura

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György LUKÁCS Come la coscienza di sé della gente medievale è carente, l’interno delle loro case è vuoto, anche nelle hall dei re e dei nobili. Il mobilio all’interno della casa compare insieme al mobilio interiore della mente.

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PARTE 1// oggetti e modi di abitare

Herrad of Landsberg//Hortus deliciarum carro

solo come simboli, alle allegorie dobbiamo la loro conoscenza: le rappresentazioni del mulino, del frantoio, del carretto derivano dalle allegorie cristologiche del mulino e del frantoio mistico, e al carro di Elia, presenti particolarmente nell’Hortus deliciarum [Landsberg; cit. in Fiorani, 2001] del XII secolo. Allo stesso modo, i diversi arnesi appaiono solo come attributi simbolici di un santo: le lesine del calzolaio sono spesso rappresentate solo perchÊ fanno parte dei supplizi tradizionali inflitti ai martiri.

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1/ la casa vuota

Gli oggetti, infatti, nel trattato sulle “caratteristiche delle cose” – De proprietatibus rerum di Bartolomeo Anglico [in Op. cit.] – stanno alla base della piramide al cui vertice sorge l’empireo divino. Ogni oggetto materiale è, per la mentalità medievale, la raffigurazione di qualche cosa che gli corrisponde su un piano più elevato e ne diventa pertanto il suo simbolo, ricorda e richiama una realtà nascosta, e quindi sacra. Il mondo, infatti, è costituito da signa e da res, di segni o simboli, e cose. “Le res che sono la vera realtà restano nascoste; l’uomo afferra solo dei segni” [J. Le Goff; 1988]. Ciò spiega in parte come mai il sapere tecnico resta a lungo gelosamente custodito dagli artigiani, presto riuniti in corporazioni, e perché le regole del mestiere vengono mantenute segrete e la loro trasmissione è esclusivamente orale. Per tutti i secoli dell’alto Medioevo, l’oggetto d’uso si pone dinanzi agli individui come un’entità dotata di vita misteriosa. In una cultura incline a moltiplicare i significati, a un tempo materia, simbolo, incarnazione, segnale divino, è sempre utensile e compagno, strumento del proprio lavoro, ma anche volontà superiore che vi manifesta la sua potenza. La meraviglia degli scrittori dell’epoca dinanzi

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PARTE 1// oggetti e modi di abitare

IDEA PROVVISORIA DELL’ABITARE

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a un manufatto ben costruito è indicativa in proposito: si riconosce l’abilità dell’artigiano; ma nella riuscita della sua opera si loda una sapienza di origine ultraterrena. Da questo spirito ne deriva un’idea molto provvisoria dell’abitare e il carattere d’essenzialità che governa ogni aspetto della vita. Per l’uomo medievale ogni cosa acquista significato in rapporto con una totalità cosmica ordinata divinamente alla quale partecipa anch’esso; in questo modo anche gli oggetti hanno un posto e un valore proprio, il che ci porta a comprendere il suo senso della concretezza, cosciente com’è di vivere in un mondo povero. Anche gli interni esprimono visibilmente questo forte spirito religioso attraverso una marcata sobrietà: la Chiesa non è solo la fonte e il tramite di diffusione delle innovazioni in campo della scienza, della medicina e delle nuove tecnologie, ma influenza la vita sociale e la cultura, riversandosi anche nella vita domestica e nel possesso di cose personali, che raccoglie e custodisce come segni del passaggio dell’uomo sulla terra. L’oggetto, infatti, acquista valore e personalità solo nei ceti superiori, nei tesori dei grandi monasteri o nei corredi d’armi dei signori. Le raccolte di oggetti delle antiche abbazie evidenziano

SCRIVE ARIÉS: NESSUN POSSIED NIENTE NEMMEN IL PROP CORPO


E

1/ la casa vuota

NO DE

NO PRIO

l’ingenuità del gusto medievale e la capacità di saturare ogni particolare delle cose con complesse simbologie. Il celebre tesoro di Suger, abate di Saint Denis (10801151), abbonda di oggetti più o meno artistici, destinati a suscitare l’ammirazione per la loro sapiente fattura, ma anche a rinviare a significati reconditi. Al di là degli strumenti della liturgia, anche certi oggetti, come le armi del cavaliere, si caricano di molteplici sensi.

I

l rapporto con gli oggetti, la ricerca di uno spazio più confortevole, la cura del proprio corpo non sono da ricercare né sono riconducibili al benessere fisico: il corpo rivela la condanna della fisicità, va pertanto controllato, represso e subordinato alle esigenze dell’anima che contiene. Tuttavia, nonostante le scomodità e le poche attenzioni riservate alla persona, a dire di Giedion [1967] non appena si mette piede in un ambiente medievale si avverte il vero confort: “L’elemento essenziale, che è necessario all’uomo per il suo benessere, è l’atmosfera in cui è immerso e vive. Essa, materialmente, è inafferrabile pressappoco come il medievale regno di Dio. La comodità medievale equivale alla comodità dello spazio, che sembra

Robert CAMPIN// Trittico dell’Annunciazione MET/New York, 1427

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PARTE 1// oggetti e modi di abitare

essere compiuto anche quando in esso non figura nessun mobile”. In tal modo, nella natura d’interezza dello spirito cristiano, la necessità di appagamento si manifesta nel dominio sugli eccessi, unico modo per equilibrare il rapporto tra anima e corpo, e nella cerimonia del pubblico, che nasce dal bisogno di manifestare potenza e divinità. Da un lato, quindi, l’oggetto svela il proprio posto all’interno di un ordine simbolico e gerarchico, gli arredi vengono, infatti, disposti in luoghi precisi che non indicano la migliore funzionalità ma il diverso grado di formalità delle stanze; dall’altro, l’oggetto non è altro dal suo utilizzo, non è contemplata la possibilità di distinguerne funzionalità ed estetica, proprio perché rientra in un’idea di totalità: ecco allora che oggetti OGGETTI D’USO tutto d’uso comune convivono con elementi magici e simbolici, COMUNE promiscuità che caratterizza anche tutti gli altri aspetti CONVIVONO CON della società medievale e soprattutto la fruizione degli ELEMENTI MAGICI spazi domestici. Sia la casa contadina sia la dimora vera E SIMBOLICI, e propria all’interno di un nucleo abitativo a corte sono PROMISCUITA’ CHE costituite da un unico locale, uno spazio indifferenziato CARATTERIZZA al cui interno si mescolano attività e oggetti diversi, con l’unica separazione delle aree riservate agli uomini e

ANCHE LA CASA

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1/ la casa vuota

anonimo senese// Scene di vita coniugale Palazzo Pubblico, Stanza della Torre/ S.Gimignano, fine XIII sec.

Loyset LIEDET// Banchetto, 1478

agli animali, che però convivono sotto lo stesso tetto. La presenza promiscua di suppellettili rispondenti a esigenze diverse si collega pertanto alla polifunzionalità degli ambienti, caratterizzati dalla mobilità degli arredi – come osserva a proposito Giedion [Op. cit.], “il mobilio, ossia quanto è mobile, non veniva preso nell’odierna ridotta eccezione di oggetto d’arredamento, ma fu così nominato perché faceva parte dei beni ‘movibili’ che accompagnavano il proprietario ovunque egli andasse” –, e degli abitanti, che comprendono oltre i legami stretti di parentela, i servi, gli apprendisti, i protetti. Ogni atto è un affare comune: nello stesso letto, di regola, dormono più persone di diversa età e sesso, anche nelle case dei ricchi le ancelle dormono ai piedi del letto della padrona e i garzoni in un angolo della camera del padrone, vivendo pubblicamente intimità e segreti; allo stesso modo i banchetti sono collettivi, ma con differenziazioni che riguardano qualità e prelibatezza, secondo l’autorità e l’importanza dei commensali. Sala da pranzo a mezzogiorno, posto di conversazione la sera, di notte stanza da letto e contemporaneamente luogo di meditazione e lavoro, nella hall si trascorre la maggior

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PARTE 1// oggetti e modi di abitare

parte del tempo, circondati da scarsi averi, che non sono quasi mai beni personali, e si svolgono molteplici attività, tranne i bisogni fisiologici che si fanno nei campi. Si tratta di un ampio atrio, dove i principali pezzi di mobilio sono di legno e costituiti dal letto, quando vi è e non si tratta di un semplice giaciglio, dal tavolo, da sgabelli e panche, cassoni o cassapanche; ganci, scansie o rientranze nelle pareti servono per appendere o riporre vestiti e oggetti d’uso comune. A questi elementi di base, che a volte mancano – certe sale sono assolutamente vuote – si aggiungono occasionalmente alcune suppellettili, tra cui vi possono essere, oltre agli utensili da fuoco, recipienti per cuocere i cibi e contenitori per conservare le vivande e per la mensa. Gli oggetti e gli arredi utili per la casa sono pochi a tutti i livelli della gerarchia sociale, con distinzioni a proposito della quantità, dello stato di conservazione, della qualità degli oggetti: l’essenzialità del corredo domestico è una costante, quanto è contenuto all’interno di una casa risponde generalmente alla semplice necessità di garantirsi la sopravvivenza, a un’esigenza di utilità, più che di bellezza.

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1/ la casa vuota

N

CON L’AVVENTO DEL MERCANTE L’OGGETTO SI LAICIZZA

ella rinascita che segue la crisi dell’anno Mille, l’aura portentosa che spesso aleggiava intorno agli oggetti si dissolve lentamente. La tecnica torna a configurarsi come somma di conoscenze pratiche codificate, grazie alle quali la materia prima può essere sottomessa al criterio dell’utilità. Questa laicizzazione dell’oggetto procede di pari passo col passaggio della società medievale a una struttura più complessa, nella quale la figura del mercante segna l’inizio di tempi nuovi e sancisce la radicale svolta impressa nella storia degli oggetti. I rapporti fra individui e gruppi smettono d’essere affidati esclusivamente al confronto diretto, il più delle volte cruento, fra persone, e l’oggetto vi s’inserisce come elemento mediatore: il suo valore, reso ben presto astratto dal corrispettivo in denaro, stabilisce quello dell’esistenza dei singoli e delle collettività. L’oggetto perde, inoltre, la sua preziosa unicità, che individua il suo possessore trasmettendogli il proprio prestigio, e si moltiplica, abbellendosi di forme che invitano al puro godimento estetico, diventando più copiose e più facilmente acquisibili. Ecco come a un livello più alto di affermazione sociale – mercanti di stoffe e commercianti – si nota un arredo non tanto

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PARTE 1// oggetti e modi di abitare

di rado nel Trecento si parla di armadi

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più vario quanto realizzato con materiali di maggiore prestigio: cassoni decorati che contengono il corredo, forzieri, cofanetti con rinforzi di metallo o semplici scatole dipinte per riporre biancheria e oggetti preziosi. Al tempo stesso si distinguono altri e molteplici ausiliari del confort e nei grandi inventari si trovano svariati utensili del focolare, i lumi, gli attrezzi, le stoviglie da cucina e da tavola, tutti oggetti che accompagnano ormai l’agiatezza. Ciò nonostante, le stanze della nobiltà, ammobiliate e decorate, sono riscaldate a malapena, e dame e gentiluomini, abbigliati con decoro, siedono su panche scomode e minuscoli sgabelli e dormono nello stesso letto. Anche nella dimora signorile pubblico e privato si compenetrano: tra gli spazi pubblici vi può essere la cappella, ma sempre vi è la grande sala in cui il signore amministra la giustizia, riceve gli ospiti, tiene corte, consuma i pasti in suppellettili di pregio e che può servire anche da dormitorio, arredata semplicemente con panche, tavole su cavalletti, credenze. Un elemento importante dell’arredo è rappresentato da prodotti tessili, come arazzi, stoffe o altro, che appesi alle pareti o come elementi divisori, proteggono dall’umidità, dal freddo e


1/ la casa vuota

arazzo, Scena di romanzo cortese Musee Des Arts DĂŠcoratifs/ Parigi, 1410

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PARTE 1// oggetti e modi di abitare

creano intimità; per la loro natura di elementi preziosi, danno prestigio all’ambiente in cui sono esercitate le funzioni di comando, diventando anche oggetti di scambio e di regalo tra i potenti.

A

nche la piccola casa di campagna, col tempo e con maggiori risorse, riesce a disporre più stanze e ad attribuire funzioni differenti: l’aggiunta di un’altra stanza determina la separazione tra la sala e la camera. Tale miglioramento delle condizioni abitative della popolazione contadina si deve anche all’introduzione di un nuovo ‘oggetto’, la stufa da riscaldamento, che fa della sala una stanza riscaldata e senza fumo, tanto da essere chiamata stube e da diventare centro della vita sociale della famiglia, poiché luogo di riparo dai rigori invernali. L’importanza di quest’elemento è tale che censimenti e tassazioni vengono effettuati dalle autorità in base ai fuochi e non alle famiglie. In seguito, la separazione del focolare della cucina, che è provvista di cappa e canna fumaria, sostituendo così con fornelli chiusi i bracieri aperti, dalla stube, comporta la doppia utilizzazione della stufa per cucinare e per riscaldare. La nozione della

Bartolomeo SCAPPI// Cucina

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1/ la casa vuota

parola tedesca stube trova un significativo riscontro nel corrispettivo termine francese poêle, che indica sia la stufa sia il locale da essa riscaldato. La stube, o soggiorno, era quindi il luogo della convivialità e di rappresentanza, dove ci si tratteneva soprattutto nel tempo libero, in occasione di conviti festivi e di pranzi familiari, oppure per svolgere occupazioni poco impegnative, come le veglie. La camera, invece, è il vero cuore della casa, dalla quale si sprigiona l’impressione opposta, quella di un uso costante e multiplo, di calore e di vita. È il luogo del riposo per eccellenza, sia in campagna sia in città, dappertutto il letto è il mobile base, il mobile che regna incontrastato, presentandosi ancora a molteplici usi e utilizzatori: spesso occupato da più persone contemporaneamente, poter condividere il letto con il padrone di casa costituisce un particolare onore per un ospite. Il corredo completo di ogni letto comprende in genere un pagliericcio, un materasso, delle coperte, un paio di lenzuola, un copripiedi, dei cuscini e talvolta dei piumacci. Troneggiando così nella stanza, con la sua larghezza di due o tre metri, con la sua vasta superficie che sembra più grande per via dei cassoni che lo

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PARTE 1// oggetti e modi di abitare

taccuino #1 focolare domestico da La casa delle idee. Procter & Gamble e la cultura dell’innovazione

Il legame tra la casa e calore – come funzione ma anche simbolica forma di vita, situazione archetipica del gruppo – è stato così forte che nella mitologia Estia, dea del focolare domestico, era collocata al centro dell’Olimpo, mentre Hermes – nomade, ladro, avventuriero e dio dei comunicatori – era collocato tra cielo e terra, fuori dalla porta di casa, simbolo non di ciò che lega un luogo ma ti tutto ciò che lo mette in discussione, che gli è straniero. Il riscaldamento, sotto forma di braciere, camino, stufa o termosifone è da sempre l’elemento nevralgico della casa, quello che ne costituisce a tal punto la qualità di base a non poter essere ridotto a semplice accessorio. McLuhan vede la casa come “un

tentativo di estendere il meccanismo per il controllo della temperatura del corpo”. Analogamente all’espansione della

stufa alla stube, de Seta porta l’esempio del termosifone che da oggetto si dilata fino a diventare l’elemento determinante la struttura stessa di un edificio, modifica i costumi, usi, incide sulla tecnologia per la costruzione di un ambiente.

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1/ la casa vuota

circondano e messo in risalto da una trapunta variegata, il letto s’impone per il suo carattere monumentale rialzato dalle cortine. Tra gli utensili domestici che affascinano gli uomini medievali, celebrati con versi in prosa e soprattutto in volgare, primo tra tutti è, infatti, il letto, che figura al centro del modesto armamentario che è tenuto a possedere, secondo Coquillart [1847], anche un individuo “povero e miserabile: non ha altro bene che un letto, e poi un tavolo, una panca, un vaso, una saliera, quattro o cinque piatti e bicchieri, una marmitta per cuocere i piselli”. La camera è animata anche durante il giorno, in mille occasioni e in tutti i momenti: sono là ad attestarlo mobili e oggetti di ogni specie che circondano il letto. Gli inventari della fine del Trecento ne contano Vittore CARPACCIO// Sogno di Sant’Orsola Gallerie dell’Accademia/ Venezia, 1495

Vittore CARPACCIO// Nascita della vergine Accademia Carrara/ Bergamo, 1504

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PARTE 1// oggetti e modi di abitare

raccolta di leggi e di regole, emanato dall’imperatore Carlo Magno per organizzare nel migliore dei modi la vita quotidiana delle sue fattorie

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fino a duecento e anche di più: panche, sgabelli rotondi, anche tavole, senza contare i molteplici cassoni, invitano a sedersi in compagnia, per discorrere, lavorare e anche pregare, volgendosi verso le immagini e gli oggetti di pietà spesso presenti, esclusivamente, nelle camere. Il Capitulare de villis, per esempio, si occupa anche della necessaria suppellettile ‘intra cameram lectariam’: tra gli utensilia contenuti nella camera da letto sono elencati elementi disparati, dalla biancheria e arredo per il letto, al letto stesso, ai vasi di metallo per vari usi, alla dotazione per il focolare, ad attrezzi che sembrano destinati più alla carpenteria che al lavoro nei campi, ma pur sempre limitati nella varietà. È interessante che strumenti da lavoro, arredi e suppellettili siano elencati insieme come dotazione necessaria della camera, a riprova della destinazione polifunzionale che ha lo spazio all’interno della casa e della stretta commistione tra attività produttive e vita domestica, che caratterizza non solo l’abitazione dei ceti subalterni, ma anche quella dei potenti. Quest’ambiente, così legato alla vita dei padroni e alla loro sorveglianza, s’impone appunto come il luogo sicuro, il ripostiglio dove si ordinano, si ammassano, si proteggono i propri tesori.


1/ la casa vuota

Ed ecco la ragion d’essere dei cassoni che vi si trovano e che funzionano contemporaneamente da guardaroba per i vestiti piegati, da biblioteca per libri di famiglia e per la cassaforte dei gioielli, da buffet per la biancheria da tavola ed eventualmente per il vasellame. Stando così le cose, il fatto che la stanza sia piena non significa necessariamente che sia ingombra: tutto è riposto, pochi oggetti sono sparsi. Restano il fasto delle stoffe, la protezione delle immagini, la presenza rassicurante del letto, le conversazioni, il via vai tra i cassoni sottoposti a un uso costante: quest’animazione che la abita da vita alla camera, la rallegra, ne fa la stanza più calda della casa. Anche quando, alla fine del Medioevo, il passaggio da un sistema economico agrario a uno mercantile, l’aumento della popolazione urbana e l’intensificarsi delle industrie, che costringe a occupare gli spazi liberi interni e cittadini, portano a una maggiore stanzialità e alla costruzione di edifici a più piani, detti torri, l’impianto e gli oggetti delle stanze rimangono invariati, così come la funzione di casa-bottega. Ecco la descrizione che Viollet le Duc Bartolomeo SCAPPI// Attrezzi da tavola

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PARTE 1// oggetti e modi di abitare

[1996] fa di una casa borghese in Francia: “È pur bella la casa di Michele il pannaiuolo. Si compone a pianterreno di una gran bottega, di un parlatoio, di una cucina, con lavatoio e latrine. Una scalinata dritta, che mette in faccia ad una porta aperta direttamente sulla strada, porta al primo piano che comprende la grande sala e due camere. Sopra il lavatoio sorge una scala che sale al piano sotto il tetto, abitato dagli apprendisti e che serve da soffitto. Un cortile illumina la parte posteriore della casa. […] La camera importante, la sala dove si radunava la famiglia era fornita di un ampio camino; e il soffitto, composto di travicelli in vista, era dipinto e di gaio aspetto. Casse che servivano da forzieri, grandi cassoni di quercia ferrati, e una gran tavola con intorno degli sgabelli: ecco la mobilia della sala rilucente ai raggi del sole che filtrava attraverso i grossi vetri delle invetriate”. La cucina, pur sempre rudimentale, ha, come per le case dei poveri, un fuoco acceso al centro, il cui fumo si disperde attraverso il soffitto, in cui spesso è praticato un buco, privo di caminetto e canna fumaria; c’è poi una vasca con dell’acqua, portata con i secchi, oltre ad un vero e proprio armadio per gli utensili. La camera principale è la

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sono

stato lasciato in eredità ai padroni dalla loro

famiglia e per questo vengo considerato importante

e di valore, forse perchè sono fatto con un buon legno

o semplicemente perchè non sono così facile da trasportare

come le panche e le tavole su cavalletti, ma quello che so è che su di me, il

LETTO,

ogni giorno tante persone

passano il loro tempo ed è questo che mi fa sentire al

centro dell’attenzione. attorno a me e ai mie cassoni sono

conservati ogni tipo di oggetti e così tutto il giorno c’è un viavai continuo, ma sono utilizzato

anche per conversare, giocare, pregare

e lavorare e infine di sera faccio riposare i

padroni, i bambini, gli apprendisti e se ci sono anche i viandanti


casa spazio promiscuo e provvisorio (continua mobilità)

abitante parte di un disegno divino oggetto quasi mai personale – o in possesso della Chiesa – all’interno di un ordine sacrale, simbolico e gerarchico, o puramente legato all’uso

medioevo la poca coscienza di sè dell’uomo medievale determina l’esigua presenza degli oggetti nell’abitazione, tanto da far apparire la casa vuota, anche se gli spazi riescono ad esprimere una loro compiutezza, quasi divina


1/ la casa vuota

stanza in cui si dorme e si mangia nelle grandi occasioni, il mansio, dove i muri, che per lungo tempo sono stati nudi, pian piano si ricoprono di affreschi e stoffe, appese con chiodi. Il letto varia da un pagliericcio alzato sopra tavolati o graticci sostenuti da canne distese per terra, a un letto di legno tornito, cinto da cortine e da cassoni disposti intorno, che acquista finalmente un posto ufficiale in un angolo della stanza. Il cassone in legno, di varie fogge e nomi, funge da armadio, cassettone, sedile. Le sedie sono numerose, le più comuni sono formate da un piano di legno, triangolare o circolare, che poggia su tre o quattro gambe a sghembo e non hanno schienali. Le tavole sono in genere mobili, formate da un asse di legno che poggia su cavalletti.

termine che deriva dal compito di accogliere gli ospiti della padrona di casa e dal fatto che la sala presentava dimensioni molto più grandi di quelle che ne necessitavano; da qui l’abitudine di usare l’aggettivo ‘madornale’ come sinonimo di ‘esagerato

I

ricchi vivono, invece, in case costituite da tre stanze: cucina, camera da letto e sala per i ricevimenti, che era detta sala prima o sala ‘madornale’. A causa del freddo, pian piano si diffonde l’usanza di costruire un caminetto in ogni stanza. Il mobilio delle case ricche è più vario: si trovano spesso stoviglie di ceramica, e bicchieri e posate in argento. In alcune case, inoltre, è in uso la tovaglia, che,

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PARTE 1// oggetti e modi di abitare

incisione, castello francese/ tardo XVI secolo

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1/ la casa vuota

nelle grandi occasioni, viene estesa su un tavolo massiccio di quercia, circondato da sedie che hanno lo schienale, così come le cassapanche. I ricchi dormono su dei veri e propri letti, dotati di materassi di crine e lenzuola con coperte e piumini, hanno inoltre il baldacchino chiuso da tende, con testate rivestite spesso di stoffe pregiate. Nelle camere da letto dei palazzi dei nobili vi sono anche dei mobili per il trucco, con specchi e pettini in avorio lavorato.
Nella novella di Andreuccio da Perugia, Boccaccio [1992] parla di una camera da letto “la quale di rose, di fiori d’aranci e d’altri odori tutta oliva, là dove egli un bellissimo letto incortinato e molte robe su per le stanghe, secondo il costume di là, e altri assai belli e ricchi arnesi vide”. Siamo così entrati negli interni trecenteschi, dove l’armonioso slancio delle cattedrali gotiche trova l’equivalente laico in un’aristocratica leggerezza. Con il passaggio dall’austerità monacale all’opulenza borghese, i mobili e, ben presto, gli oggetti personali entrano con maggior diritto nella vita quotidiana: dal Medioevo si passa dunque al Rinascimento.

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LA CASA DELLA CULTURA


Leonardo DA VINCI// L’uomo vitruviano Galleria dell’ Accademia/ Venezia, 1485-90


2

LA CASA DELLA CULTURA

2/ la casa della cultura

D

alla camera da letto descritta da Boccaccio passiamo a quella di un ricco mercante fiorentino, che descrive la casa nel momento in cui la mostra alla moglie: “Poi rivenimmo in camera mia, e ivi serrato l’uscio le monstrai le cose di pregio, gli arienti, gli arazzi, le veste, le gemme, e dove queste tutte s’avessono ne’ luoghi loro a riposare”. Come scrive Leon Battista Alberti nel Della Famiglia [1430], la visita termina nella camera, dove egli mostra le proprie ricchezze, gelosamente conservate in questo luogo intimo nel quale può offrirsi il piacere di ammirarle da solo. Gli interni quattrocenteschi non favoriscono ancora un completo senso d’intimità: gli spazi sono grandiosi e regolati da un linguaggio marcatamente intellettualistico; i mobili sono pochi, ma in compenso abbondano i dipinti, le sculture, i libri, gli oggetti rari, insomma uno scenario

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PARTE 1// oggetti e modi di abitare

capace di favorire un vero e proprio ‘culto della cultura’. I Signori rinascimentali, assai spesso tiranni rapaci e brutali, amano però la vita raffinata, sono sensibili all’arte e alla cultura, si fanno ‘mecenati’, ed è questo il loro merito più grande, di poeti e letterati, di pittori, scultori, architetti che vivono alla loro corte, operano per loro, edificano e decorano palazzi e ville. “Questo [Federico da Montefeltro] tra l’altre sue cose lodevoli, nell’ aspro sito d’Urbino edificò un palazzo, (secondo la opinione di molti il più bello che in tutta Italia si ritrovi) e d’ogni opportuna cosa sì ben lo fornì, che non un palazzo, ma una città in forma di palazzo esser pareva: e non solamente di quello che ordinariamente si usa, come vasi d’argento, apparamenti di camere di ricchissimi drappi d’oro, di seta, d’altre cose simili: ma per ornamento v’ aggiunse una infinità di statue antiche di marmo e di bronzo, pitture singolarissime, instrumenti musici d’ogni sorte (né quivi cosa alcuna volle se non rarissima ed eccellente) appresso con grandissima spesa adunò un gran numero di eccellentissimi e rarissimi libri Greci, Latini, ed Ebraici, i quali tutti ornò d’oro e d’argento estimando che questa fosse la suprema eccellenza del suo magno

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2/ la casa della cultura

Frans FRANCKEN// Cena a casa del borgomastro/ 1635

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PARTE 1// oggetti e modi di abitare

VISIONE DELLE COSE COME ‘MONDO’

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palazzo” [Castiglione, 1993]. La vita culturale e l’attività intellettuale, determinano cambiamenti profondi nella concezione dell’uomo e della sua vita, nella produzione e nella diffusione del sapere, nell’organizzazione di una cultura di tipo umanista: l’uomo è al centro dell’universo, rifiutando l’idea medievale di una creatura passivamente sottomessa a Dio. La visione delle cose come mondo è l’oggetto dell’umanesimo: l’occhio scorre su tutto l’universo e ne abbraccia la bellezza, ma anche lo scopre e lo misura. La sua forza sta nel riscatto contro ogni ‘autorità’ del mondo, come orizzonte di azione e realizzazione dell’uomo, che a esso partecipa e porta a compimento secondo arte, bellezza e sapere. Il Rinascimento professa una dimensione cosmica delle cose nell’ottica insieme laica e sacrale del neoplatonismo, in quanto, presso alcune correnti, pensa il mondo come opera d’arte: un cosmo, progetto dell’uomo, che è artefice della propria fortuna e gareggia in creatività con la natura e con Dio. È in quest’orizzonte che il soggetto, con la ragione legislatrice, conosce la natura come pura presenzialità, e la trasforma in un sistema calcolabile. Con gli umanisti, la vita ritrova il suo valore, la morte riacquista la sua


2/ la casa della cultura

dimensione umana; e l’uomo organizza il suo regno sulla terra, e di esso fa parte il mondo delle cose e deli artefatti. Nel Rinascimento emerge l’idea che la società con tutti i suoi artefatti è la terza natura, natura cioè che esiste grazie all’uomo, natura perfezionata dall’uomo. Per esso la mimesis non imita le cose, ma le crea: è la potenza e la grazie dell’invenzione e dell’immaginazione. Ecco perché gli intellettuali di questo periodo sono interessati a ricercare con entusiasmo le opere della cultura e della civiltà del passato, testimonianze di ciò che l’uomo ha concretamente creato nella storia.

I

n questo rinnovamento culturale e intellettuale gioca un ruolo decisivo l’invenzione e la diffusione della stampa a caratteri mobili, che inaugura una nuova epoca della comunicazione delle idee: grazie a Gunteberg e alla tipografia, il prezzo del libro si riduce di molte volte e si diffonde dal clero ai nobili e ai mercanti, trasformandolo nell’oggetto primario della cultura. Tornando alla nostra visita nella casa di Alberti [Id.], proprio ai libri è dato un valore quasi sacro: “Solo e’ libri e le scritture mie e de’ miei passati a me piacque e allora e poi sempre avere in

LA STAMPA É LA TECNOLOGIA DELL’ INDIVIDUALISMO. MARSHALL MCLUHAN THE GUTENBERG GALAXY, 1962

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PARTE 1// oggetti e modi di abitare

esistevano vari gradi di accessibilità di uno studiolo: da quelli di rappresentanza, aperti a chiunque ne facesse richiesta, a quelli privati, aperti su invito, fino a quegli intimi, riservati al solo proprietario

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modo rinchiuse che mai la donna le potesse non tanto leggere, ma né vedere. Sempre tenni le scritture non per le maniche de’ vestiri, ma serrate e in suo ordine allogate nel mio studio quasi come cosa sacrata e religiosa, in quale luogo mai diedi licenza alla donna mia né meco né sola v’intrasse”. Ecco, per la prima volta, la comparsa di un elemento nuovo che caratterizzerà non solo le case rinascimentali, ma determinerà profondi cambiamenti nella vita domestica: lo studio; quello di cui parla Alberti è, infatti, sia un piccolo studiolo, sia un mobile della camera chiuso a chiave. Il libro rappresenta un bene prezioso, che si tramanda di padre in figlio, segno di uno status sociale e del potere del capo-famiglia. Lo studiolo, allo stesso modo, risulta legato al potere della scrittura e della lettura, simbolo della supremazia del padrone di casa, ricoperto dai blasoni e dalle iniziali, contiene le sue cose più personali; ma è anche compagno di nuove intimità e inconsuete solitudini. Fino allora, infatti, la letteratura medievale aveva un carattere profondamente orale e pubblico: canzoni di gesta, canzoni che le donne cantano filando, racconti in versi, opere teatrali; anche la tematica delle opere rimanda al collettivo, che si tratti del


2/ la casa della cultura

taccuino #2 io leggo

di Carol Gianotti su http://artistagoloso.wordpress.com/

Nell’antichità la lettura aveva un andamento declamatorio: la voce, con le sue intonazioni, condizionava la comprensione del testo. Con Ambrogio e con la successiva diffusione nei monasteri della lettura silenziosa si annunciò – penso si possa dire – un principio destinato ad avere una grande importanza nello sviluppo della coscienza umana: il principio della riflessione intima. Metteteci un pizzico di Sant’Agostino e del suo “redi in te ipsum, in interiore nomine habitat veritas”, e siamo giusto alle soglie della scoperta del ‘privato’ che comincia a prevalere sul ‘pubblico’. Stranamente, qualche tempo fa, il privato non godette di una buona stampa. Per dire, la chiesa respingeva nettamente l’idea che la religione dovesse essere ristretta nella sfera, nell’ambito del privato. In un suo saggio [Laicità e relativismo nella società postsecolare, Il Mulino, 2009] Stefano Zamagni ribadisce il concetto, installatosi come uno dei punti forti del pensiero cattolico contemporaneo, che “il cuore della secolarizzazione” è costituito dal “progetto di separazione fra sfera pubblica e sfera privata” avviatosi in Europa “a far tempo dalla Rivoluzione Francese”.

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PARTE 1// oggetti e modi di abitare

mondo feudale impegnato nella difesa della cristianità o nelle lotte fratricide, della corporazione dei chierici o degli eroi della tavola rotonda. Adesso, nuovi temi, nuove forme narrative, come diari intimi, memorie, romanzi in prima persona, racconti utopistici, unitamente a legittimazioni profonde nell’atto di scrivere, si ricongiungono in un complesso viluppo che porta alla lettura privata, la quale apre un nuovo mondo e muta il lavoro intellettuale che resta intrecciato alla religione, ma la oltrepassa per importanza. La lettura diventa, così, silenziosa e interiore, e porta a uno spostamento di focalizzazione dalla voce e dai gesti allo sguardo; muta, pertanto, lo spazio temporale attraverso il quale si percepisce il contenuto del testo assieme al mutare delle posture corporali: compaiono, per la prima volta, le poltrone per leggere semisdraiati. Lo studiolo è un locale molto piccolo, senza caminetto né ampie finestre. Il doppio significato della parola, che designa sia il mobile sul quale ci si siede per leggere su un leggio sia un locale che svolge la stessa funzione, è rivelatore del processo di invenzione di nuovi spazi privati nelle case dell’élite sociale, o meglio di ingrandimento di siffatti spazi

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è passato

il tempo in cui si dovevano tramandare le storie oralmente

o leggere i manoscritti tutti insieme, ed è ora che mi presenti : sono il

LIBRO,

fresco di stampa, anche tu puoi averne uno e

leggerlo nell’intimità del tuo studio. ciò che potrai apprendere da me è tutto ciò che l’essere umano ha imparato lungo la sua esistenza su

questa terra e ora il sapere è disponibile a tutti... pertanto ti consiglio di

accendere una lampada, recarti in un luogo che sia solo tuo e lasciarti

guidare dalle mie parole, fai questo viaggio con me, ti porterò in luoghi lontani, alla ricerca di cose che non hai ancora visto e farò

palpitare il tuo cuore... ti donerò nuovi occhi con cui guardare il mondo


casa primi spazi privati in relazione al libro e agli oggetti di studio/collezione

rinascimento

abitante al centro del mondo, artefice del proprio destino

oggetto identificativo della cultura, si libera del suo stato di mera utilitas

il rinascimento e la fede nella capacità dell’uomo porta alla diffusione della casa dell cultura, in cui arte, bellezza e sapere diventano virtù di cui omaggiare in privato in spazi nuovi e dedicati


Vittore CARPACCIO// Visione di S.Agostino S.Giorgio degli Schiavoni/ Venezia, 1502

Antonello DA MESSINA// S.Gerolamo nello studio National Gallery/ Londra, 1474-5

2/ la casa della cultura

trasformando in stanze quelli che fino ad allora erano pezzi di mobilio. Nelle diverse lingue europee, lo studio, il gabinetto, la biblioteca e lo scrittoio possono sempre significare un mobile; ma, a poco a poco, queste parole designano anche una stanza che ha una funzione particolare, spesso privata. Anche la cucina, quando si presenta separata dalla sala da pranzo, partecipa alla medesima ambiguità semantica. Creato per il raccoglimento di personaggi dediti allo studio e alla meditazione, lo studiolo non necessita pertanto di grandi spazi, avvicinandosi piuttosto alla ristrettezza delle celle monastiche. Per questo, l’idea dell’arredamento di uno studiolo quattrocentesco può essere colta, in primo luogo, attraverso alcuni dipinti dell’epoca raffiguranti un santo studioso, San Gerolamo, nel suo luogo di lavoro e meditazione. Tra le tante tele, come quella del Carpaccio, dove è l’arredamento a dominare la scena, o quella di Antonello da Messina, che è invece un pretesto per creare una rappresentazione d’interni di stretto rigore prospettico, nel quadro del Colantonio [1] la figura del dottore della Chiesa è letteralmente chiusa in un ambiente-bozzolo, dove sono stipati un insieme di

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PARTE 1// oggetti e modi di abitare

82 [1] COLANTONIO// San Girolamo nello studio Galleria Nazionale di Capodimonte/ Napoli, 1445


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LA LETTURA, LA CONTABILITÁ E LA PREGHIERA SONO AFFARI INTIMI

oggetti: la cattedra su cui siede, la cassapanca su cui ha poggiato il cappello cardinalizio, il leggio seminascosto dal leone, e infine i tanti libri aperti, chiusi, accatastati negli scaffali insieme a penne, calamai, scatole, forbici e altri oggetti, tutti disposti col tipico disordine ‘ordinato’ con cui sono usi trattare gli studiosi i propri strumenti di lavoro, come se si risolvesse nella descrizione degli oggetti una situazione interiore. Allo stesso modo, le carte professionali degli avvocati sono conservate accanto ai lavori della loro giovinezza – nei versi e nelle traduzioni degli autori antichi – e ai loro oggetti più personali. Poiché il numero dei celibi è ben più elevato tra chi esercita una professione liberale che non tra gli altri gruppi dell’élite sociale, un medico o un avvocato mette sovente nel suo studio il proprio letto e il materiale per le proprie esperienze scientifiche e i suoi libri. Questa nuova stanza ha talora delle porte solide con serratura e chiavistelli: la lettura, la contabilità e la preghiera sono affari intimi e non richiedono eccessiva mobilia, salvo un piccolo tavolo e una sedia – gli scrittoi e le cassette o i cofanetti in cui sono conservate le lettere, carte e conti, sostituiscono lo studio per i meno ricchi –. I muri sono

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PARTE 1// oggetti e modi di abitare

coperti di pannelli di legno e di piccole porte dietro le quali si trovano gli scaffali, che ne fanno una sorta di mobile nel quale si può vivere. Il sapore di tali atmosfere, dove predomina un consapevole culto della cultura, è rintracciabile nel più celebre studiolo quattrocentesco, quello di Federico da Montefeltro (1422-1482) [2], duca di Urbino. Questo piccolo ambiente, in primo luogo, possiede i requisiti necessari alla sua primaria funzione: un’illuminazione adatta all’esercizio della scrittura e della lettura; un’esposizione capace di favorire una lunga e piacevole sosta; materiali confortevoli e colori riposanti in grado di acuire la concentrazione; un’opportuna relazione con gli altri locali adiacenti e, infine, un’agevole accessibilità. Lo studiolo di Federico occupa, infatti, un posto d’onore nel gruppo di stanze dell’appartamento privato e, grazie ai trompe l’oeil realizzati con gli intarsi, finisce con l’essere un congegno illusionistico a tutto campo. Il rivestimento ligneo che lo fodera per l’altezza di due metri e mezzo dà la strana sensazione di trovarsi contemporaneamente dentro e fuori un grosso mobile. E come tutti i mobili architettonici del Quattrocento, anche questo è composto da una zoccolatura, che qui è intarsiata

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2/ la casa della cultura

[2] STUDIOLO di Federico di Montefeltro Palazzo Ducale/ Urbino, 1473-6

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PARTE 1// oggetti e modi di abitare

secondo l’immagine illusionistica di una libreria dalla ante chiuse, oppure aperte in modo da lasciare intravedere libri e strumenti di musica; mentre la zona in alto, sempre con la stessa tecnica, è ritmata da figure di oggetti del sapere, immagini delle tre Virtù, del duca e un paesaggio. “I simboli della religione e gli emblemi del principe si confondono con i libri e gli strumenti che sembrano disposti a caso. Secondo una concezione nuova e seducente, essi rappresentano direttamente, senza intermediari allegorici, le operazioni del sapere celebrato d’altronde dalla serie delle Muse e delle Arti liberali. Alla lettura celebrata mediante i volumi in-folio, si unisce, grazie alla presenza dell’orologio, e della sfera, la doppia attività dello spirito che misura lo spazio e il tempo, senza però che siano dimenticati i simboli della caducità e della morte. È tutta una filosofia espressa in immagini”. [Chastel, 1964]. La tipologia dello studiolo si diffuse in molti centri europei: in Francia, esso assunse il nome di cabinet, arricchendosi di decorazioni in pietre preziose; ma incontrò un grande successo anche nei Paesi bassi e in Germania, il kunstschhrank, che, con la calatoia centrale abbassata, rivelava una serie di cassetti adatti a

Anton MOZART// Presenta Staatliche

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2/ la casa della cultura

contenere oggetti da collezione. La funzione degli studioli rinascimentali quali biblioteche, guardaroba di oggetti preziosi, luoghi di riflessione scaturisce appunto dall’unione tra: il tablinium romano – ambiente nel quale si conservavano libri e ritratti degli avi – e gli scriptoria e le stanze del tesoro dei monasteri medievali.

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alla metà del Quattrocento i signori italiani, spesso spinti anche da desiderio di emulazione, cominciarono ad allestire studioli nei loro palazzi e questi, progressivamente, si trasformarono sempre più da luoghi di studio ad ambienti destinati ad accogliere raccolte di opere d’arte, preziose Wunderkammer che testimoniavano “la cultura e la raffinatezza dei loro committenti” [Liebenwein, 1988]. La stanza delle meraviglie era parte integrante dello studiolo, della biblioteca: la conoscenza cercava di spaziare a 360 gradi. La società di fine Cinquecento cerca di mettere mano su tutto il sapere umano e d’accedere al mito dell’enciclopedismo. Molti rampolli della migliore nobiltà sono poeti, versificatori; si occupano di astrologia, matematica e scienze. Il collezionismo nasce appunto

ation of the Pomeranian Art Cabinet to Duke Philip II of Pomerania e Museen, Kunstgewerbemuseum/ Berlino, 1617

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PARTE 1// oggetti e modi di abitare

si tratta di ‘mirabilia’‘naturalia’ o ‘artificialia’che associano il gusto della rarità e dell’apprezzamento estetico, con il bisogno di conoscere i grandi fenomeni della natura, in equilibrio tra l’arte e la scienza; e che determinano la nascita del museo moderno a partire dalla “camera delle meraviglie”

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da questi interessi: studiando l’astrologia collezionano mappamondi, sfere armillari; occupandosi di scienza raccolgono strani animali imbalsamati, importati da terre lontane. Ad esempio nella Camera dell’astronomo di Joannes Stradanus [3], bussola, compassi, sfera armillare, mappamondo, orologio a polvere, libri, carte, sono inventariati, non meno della caravella in miniatura sospesa al soffitto, e dei mobili intorno, che la trasformano anche in zona soggiorno e, con la presenza del letto, notte: un vero e proprio universo di sapere e di vita racchiuso in una stanza. Esiste poi la categoria di oggetti che servono esclusivamente a suscitare meraviglia e stupore, che rendono evidente lo stato sociale dei proprietari, pensiamo ad elementi in corallo e rame dorato, tempestati di pietre preziose e di pietre dure. Certo, questi oggetti costituiscono anche una forma d’investimento e possono essere rivenduti con una certa facilità, in caso di necessità. Questa esigenza di esporre le cose più preziose, porta alla creazione delle gallerie, ambienti sviluppati in lunghezza, adatti quindi a una passeggiata all’interno, durante la quale è possibile ammirare quadri, stucchi e affreschi riposti lungo le


2/ la casa della cultura

[3] Joannes STRADANUS// Camera dell’astronomo

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PARTE 1// oggetti e modi di abitare

IL VERO ABITANTE DELL’INTERNO É IL COLLEZIONISTA

pareti. Proprio nel Cinquecento, dunque, la cultura dello studiolo e quella della galleria s’incontrano in alcuni ambienti d’imponente grandiosità, le Kunstkammern, differenti per forma e per grandezza, ma accomunati dalla loro matrice di camera d’arte. “L’interno”, scrive Benjamin [1962], “è il luogo di rifugio dell’arte. Il vero abitante dell’interno è il collezionista. Egli s’incarica della trasfigurazione delle cose. […] Non solo si trasporta in sogno in un mondo distante o passato, ma anche in pari tempo in un mondo migliore, in cui gli uomini non sono provvisti delle cose delle quali abbisognano più che nel mondo di ogni giorno, ma le cose sono libere della servitù d’essere utili”.

Willem VAN HAECHT// The Gallery of Cornelis van der Geest Rubens House/ Antwerp, 1628

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LA CASA DELLE PICCOLE COSE


fotomontaggio personale su Sebastian SMITH// Marie Antoinette series 1


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LA CASA DELLE PICCOLE COSE

3/ la casa delle piccole cose

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uella che emerge nel Seicento è un’ansia espressiva difficile da contenere, che si manifesta liberamente con l’arte splendida ed esuberante del Barocco, quando, cessata la lotta contro l’eresia protestante, l’Ecclesia Triumphans “non solo permette, ma incoraggia l’attenzione alle cose del mondo, legittimando il gusto degli interessi e dei piaceri mondani” [Hauser, 1964]. Entriamo, pertanto, nel Salone della casa di Rubens, ritratto da Frans Grancken II [4], per farci un’idea abbastanza precisa dell’opulenza delle dimore di Anversa: le pareti sono rivestite di cuoi con impressioni in verde e in oro; il tavolo è ricoperto da un tappeto turco; la credenza riccamente intagliata sembra in attesa di essere apparecchiata con porcellane e argenterie; i cuscini tessuti in arazzo formano l’armonioso complemento delle seggiole tappezzate di cuoio nero.

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PARTE 1// oggetti e modi di abitare

[4] Frans FRANCKEN II// Salone della casa di Rubens Museo Nazionale/ Stoccolma

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3/ la casa delle piccole cose

Nonostante il fasto, a dominare è un’atmosfera appagata e appagante al tempo stesso, evidente negli interni di Pieter de Hooch, di ter Borch, di Metsu, e soprattutto di Vermeer [5], nei quali, per dirla come Praz [1964], è “come se il mondo si fosse placato per sempre in una stagione di grazia e di soave ragionevolezza, assorto nei ricordi e pago di minuti piaceri: una sonata al clavicembalo, un vino eletto bevuto in un terso cristallo, la visita di una persona cara”. Il rapporto tra le cose e i personaggi è, nei suoi quadri, diretto: in generale esse fanno da cornice alle figure presenti, e le definiscono non solo nello spazio della tela, ma anche nella loro funzione psicologica. In tutti questi esempi l’esistenza quotidiana assume un rilievo insolito: lontana dallo stile eroico e magniloquente della grande pittura dell’epoca, con i suoi ritratti di aristocratici, le grandi narrazioni religiose o la celebrazione monumentale del potere, rivela il modello di vita di una borghesia nascente, modesta, pratica, amante di un benessere discreto e funzionale. Quell’opposizione al fasto magniloquente che Barclay [1621] vedeva in una casa religiosa, potrebbe ripetersi per questi sereni interni olandesi: “Non aurei soppalchi splendenti su profuse [5] Jan VERMEER// Lezione di musica Collezione reale, St. James’ Palace/ Londra, c. 1662-65

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PARTE 1// oggetti e modi di abitare

mense per interi giorni, interi soli divorati d’infinito banchettare; non velari di tirie sete sfioranti impiantiti superbi; non eburnei giacigli custodienti sonno ancor più preziosi; […] nulla di queste false apparenze dell’effimero e caduco benessere che traggono a mutue stragi i folli figli degli uomini… Ma pace e gioie pure, gentili affetti dimorano qui intimi e quieti”. È questo il sentimento che esprimono le case che ci accingiamo a visitare.

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ome ci ricorda Ariès [1987], attraverso le sue emozioni, i propri gesti, le sue preghiere e i suoi sogni, l’individuo ha col tempo imparato ad associare al proprio essere, al proprio intimo, certi spazi (come abbiamo visto in precedenza) e certi oggetti, che non sono particolari poiché appartenuti ad un singolo individuo, unico quanto al tempo e allo spazio, ma tuttavia perché il loro significato è codificato e perfettamente comprensibile agli altri. La società ha dotato di potenzialità espressive oltre che questi luoghi, anche gli oggetti che li animano: avere per sé i propri vestiti, il proprio letto e la propria corona del rosario, significa di più che non il mero possesso di alcune cose. Altri, invece, diventano

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3/ la casa delle piccole cose

oggetti-reliquia offerti alla persona amata o alle care amicizie, come un favore: il possesso di un oggetto condiviso da altri non esclude la possibilità d’accedere, grazie ad esso, nella specificità di un’intimità. L’intimo è rivelato anche dal ritratto visivo o scritto, e questi oggetti-reliquie hanno un potere particolare: parlano non soltanto con i loro sorrisi, i loro occhi, ma anche attraverso le loro parole, capaci di riallacciare un dialogo all’infinito. È evidente che l’io può esprimersi attraverso un ghirigoro, una maniera di firmare, un motto, come i nomignoli e la scelta di un animale con cui identificarsi, così i segni segreti incisi sugli anelli, i servizi da scrivania decorati, le pietre tombali, le porte scolpite rimarranno sempre dei potenti oggetti-reliquie, anche se i loro segni non sono sempre decifrabili. Basti pensare al Secretum di Petrarca nel quale custodiva i suoi dialoghi intimi con sant’Agostino. Stessa cosa accade nel caso degli artisti, dove l’autoritratto possiede un gran numero di caratteristiche del diario intimo. Nel corso del Seicento, la parola ‘ricordo’ assume un doppio senso, indicando un fatto di memoria o un oggetto banale o un regalo che manifesta fortemente l’identità di chi lo dà o di chi lo

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PARTE 1// oggetti e modi di abitare

riceve. È con lo scambio di ricordi di tal genere che l’Io diventa l’altro, e viceversa. Tale tipo d’intimità assicurata dai ricordi del corpo – chiamati appunto reliquie – ha da sempre caratterizzato l’atto religioso privato. Le case di Dio sono state riempite di reliquie nelle quali i fedeli riscoprono i rapporti fra l’interiorità. Presso i principi e nelle grandi famiglie, l’abitudine di separare il cuore dal cadavere, per collocarlo nel luogo preferito dal defunto e dai suoi familiari, rimane estremamente frequente fino l’inizio del Settecento. Ecco che l’importanza data a quest’organo come propulsore di calore e sentimenti porta i discorsi amorosi a concretizzarsi, nella vita intima, attraverso gli oggetti del cuore: un bigliettino , una lettera, che vengono posti appunto dall’amata che li riceve nel corsetto, accanto al cuore, così l’amante è intimamente presente nello spirito dell’innamorata. L’atto di leggere in segreto, com’è mostrato nel ritratto di Donna che legge una lettera davanti la finestra di Vermeer [6], è talmente privato da farci sentire quasi degli intrusi ad osservare un gesto di così squisita interiorità. Le lettere d’amore sono portate su di sé come dei talismani, in un sacchetto di cuoio appeso al collo. Pettini da donna, nastri, anelli,

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3/ la casa delle piccole cose

[6] Jan VERMEER// Donna che legge una lettera davanti alla finestra Gemäldegallerie/ Dresda, 1658

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PARTE 1// oggetti e modi di abitare

CASE COME SCRIGNI CHE RACCOLGONO I SEGNI DELLA RICCHEZZA

si riferisce ad un periodo dell’arte europea, a partire dal XVII secolo, in cui si ebbe una notevole influenza dell’arte cinese; caratterizzato dall’utilizzo di immagini fantasiose di una immaginaria Cina, da asimmetria nei formati e capricciosi contrasti di scala e dai tentativi di imitazione della porcellana cinese oltre che dall’uso di materiali simili alla lacca

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braccialetti, fazzoletti, specchi, cinture e giarrettiere sono tutti oggetti di favore, dati in cambio di altri. Tra questi oggetti, uno dei più ‘popolari’ nel Settecento è il locket – gioiello speciale munito d’una chiusura che tiene nascosto quel che c’è dentro – nel quale sono inserite spesso delle miniature dipinte o addirittura ciocche di capelli, per alimentare le passioni quando gli amanti sono separati.

L

e case sono, definitivamente, diventate altrettanti scrigni adatti a raccogliere i segni della ricchezza: dipinti commissionati a pittori o mercanzie provenienti da terre lontane, sbarcate dalle navi della compagnia olandese delle Indie Orientali – tra le quali, probabilmente, un carico di porcellane Ming permise alla ricca borghesia di diffondere in tutta l’Europa, l’amore per le chinoiseries –. La cerimonia del tè divenne occasione per sfoggiare non solo tavolini e contenitori laccati d’ogni tipo, ma specialmente tazze e bricchi di splendida porcellana. L’appagamento nell’esporre tali prodotti determina probabilmente la nascita di uno dei più caratteristici mobili elisabettiani, il court-coupboard, ossia una credenza a due o tre ripiani, adatta a esporre


mi

tengono vicino al cuore

ogni giorno, e mi nutro del suo

calore e dei sentimenti veri che

questo genera. sono il

LOCKET

e

custodisco ogni piĂš intimo affetto... al mio

interno difendo gelosamente una ciocca di

capelli di un ragazzo e so che non è un ragazzo qualsiasi ma uno speciale, che fa palpitare di

emozione la padroncina, e la stessa cosa succede

quando mi stringe in mano e pensa a lui. ecco cosa faccio, ho il compito di avvicinare le

persone, i loro corpi, tanto rigidamente tenuti

distanti dalle buone maniere e dalle regole di comportamento. sono gli affetti a

conferirmi un’importanza tale da non

farmi separare mai da chi mi possiede,

perchè anche un piccolo oggetto, un ritratto,

un fiore appassito, delle iniziali su un pezzo di carta, un ricordo, possono custodire significati profondi e speciali per ognuno


casa moltiplicazione di funzioni e spazi, per intrattenere e intrattenersi

sei.settecento nella casa delle piccole cose ogni oggetto acquista importanza per chi lo possiede, tanto da diventare uno scrigno essa stessa per raccogliere i beni della ricchezza ma anche le cose piĂš comuni

abitante libero di dedicarsi ai piaceri terreni e al gusto delle cose

oggetto depositario dell’altro e delle passioni proprie, diventa personale e caricato di attenzioni, tanto da essere raďŹƒgurato, catalogato ed esposto


3/ la casa delle piccole cose

piatti e vassoi. Il piacere di vivere settecentesco è, infatti, coltivato innanzi tutto nelle case e fra gli arredi: qui la bellezza ‘privata’, fatta di affascinanti superfluità ornamentali e di piccoli ambienti licenziosi, prevale su quella ufficiale, e il confort vince sull’etichetta. Il nuovo modo di abitare tra gli oggetti non è più dettato dalla grande manière, ma dal gusto dei petit genres e dai plaisirs menus, che segnano il sopravvento delle arti minori e delle ‘piccole cose’, che hanno pertanto un posto riservato. Dalla precisa organizzazione degli oggetti deriva poi una più definita organizzazione spaziale: architetti e artigiani imparano a progettare ambienti, mobili e suppellettili secondo schemi più flessibili e adattabili alle diverse esigenze funzionali, tipologiche e decorative del committente. Gli appartements, per esempio, sono ripartiti in appartements privés, dove si svolgono le attività legate alla sfera individuale e familiare; appartements de société e appartements de parade, riservati alla vita di relazione dei padroni di casa, gli ultimi in particolare hanno un ruolo decisamente ufficiale. La convenance, alla base dell’arte della distribuzione, ora raggiunge altissimi livelli. Il celebre trattato De la Distribution des

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PARTE 1// oggetti e modi di abitare

Maisons de Palisance di Blondel [1737], infatti, offre un esauriente repertorio dei modelli distributivi degli interni di gusto rococò: non più allineati in rigide enfilade, ma riuniti per gruppi e differenziati per funzione, tali interni prevedono salotti per ricevere, per conversare e per fare musica, cabinet e biblioteche, boudoir e camere da pranzo. Anche la composizione degli arredi si adegua allo stesso principio: se, infatti, i grandi saloni delle feste mal sopportano una folta densità di oggetti, gli ambienti destinati alla vita privata traboccano di tavoli, tavolinetti, poltrone e poltroncine, ma soprattutto di nippes (gingilli invisibili) che tanto gradimento provocano nel gusto del tempo. Da secoli, ormai, i ceramisti di tutta Europa erano incuriositi dal mistero dei preziosi oggetti orientali, tanto compatti e resistenti quanto leggeri e trasparenti. All’inizio del Settecento, quindi l’alchimista Böttger, insieme al gioielliere di Augusto il Forte e al fisico Tschirnhaus, riesce a produrre finalmente la cosiddetta porcellana a pasta dura, che porta a una grandiosa produzione di manufatti altamente decorati in stile rococò. Della svolta neoclassica, invece, va ricordata la modellazione del biscuit, un tipo di porcellana tenera, per

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3/ la casa delle piccole cose

Emanuel DE WITTE// Ragazza alla spinetta Museo Boymans-van Beuningen/ Rotterdam, 1617-1692

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PARTE 1// oggetti e modi di abitare

Madame Victoire figlia di LUIGI XV Mi sento troppo legata alle comodità della vita – indicando la bergère su cui è seduta – la mia vita sono poltrone come questa

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3/ la casa delle piccole cose

farne dei veri e propri gruppi scultorei o dei medaglioni da appendere alle pareti. In definitiva, la porcellana, prestandosi alla conformazione di oggetti tanto piccoli quanto preziosi, ha sconfitto la più economica arte della ceramica, dimostrandosi inoltre in grado di sincronizzare tempi e atmosfere molto distanti tra loro. Nel nuovo proporzionamento degli ambienti, molti dei grandi mobili del passato cadono in disuso, accorpando in altri più piccoli le loro varie funzioni, o diversificandosi in mille sfumature. Ecco che la poltrona diventa una bergère, resa più morbida dal cuscino sulla seduta e dalla continuità dell’imbottitura dello schienale e dei braccioli, tanto che Madame Victoire, figlia di Luigi XV, risponde a chi le consigliava di entrare in convento: “Mi sento troppo legata alle comodità della vita – indicando la bergère su cui è seduta – la mia vita sono poltrone come questa” [cit. in Camesasca, 1968]. Alla famiglia dei siège courants, ossia dei sedili maneggevoli e leggeri, e perciò facilmente spostabili per formare gruppi negli ambienti, fa parte la chauffeuse, utile per scaldarsi accanto al camino; la voyeuse, con uno schienale adatto a offrire un appoggio al gomito di chi osserva il gioco d’azzardo; la causeuse,

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PARTE 1// oggetti e modi di abitare

taccuino #3 classificOggetto da Il mondo degli oggetti

Si sono date diverse catalogazioni di questo complesso mondo oggettuale, ma i risultati sono problematici e lo sono anche i criteri che possono andare da quello tecnico-scientifico dei sistemi produttivi a quello estetico. Dorfles, nel 1963, considera desueta la classificazione proposta da Read sulla base dei materiali che non distingue tra oggetto artigianale e industriale, valutando più opportuna una catalogazione rispondente al rapporto tra funzione e forma, che tenga conto della presenza o assenza di una forma meccanica al suo interno. Diversa è la logica della classificazione di Kalff che distingue tra oggetti destinati a una fruizione individuale, in cui il fattore estetico è prevalente, e quelli destinati a un tipo di fruizione superindividuale, più stabili e caratterizzati da funzionalità e pratica e da un consumo tecnologico. Di altro respiro per il rigore è quella di Moles per arrivare a una classificazione degli oggetti tecnici che renda conto del numero dei componenti e delle funzioni, come sistema formato da sottoinsiemi, a loro volta formati da componenti. Ma la produzione di massa degli oggetti azzera, per de Seta, ogni possibilità di stabilire una tassonomia: è troppo breve la vita degli oggetti, la loro fatticità sociale.

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3/ la casa delle piccole cose

che favoriva le chiacchierate in un tête-à- tête, e così via, anche per altre tipologie di arredi. Nel secolo dei lumi tutto è inventariato e classificato, e il mondo degli oggetti s’inscrive nell’orizzonte del lavoro. L’Enciclopedia si apre al mondo delle tecniche e ai suoi strumenti, fornisce una descrizione dei macchinari e dei processi lavorativi e una classificazione esaustiva degli oggetti pratici, anche se l’artigianato non si è ancora separato dai suoi strumenti. Le sue meravigliose tavole delle arti e dei mestieri danno visibilità anche agli oggetti umili e svelano i segreti dei mestieri. Una classificazione più esaustiva degli oggetti viene fatta nel 1777 da Beckmann, allievo di Linneo, adottando il modello di classificazione degli oggetti naturali. Egli – scrive Maldonado [1992] – “intuisce per primo che l’universo dei prodotti della tecnologia doveva essere oggetto di una classificazione che consentisse, in qualche modo, il suo controllo istituzionale. In altre parole una tassonomia dei prodotti in cui era già in nuce una tassonomia delle invenzioni”.

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ra i secoli della nudità dello spazio domestico e quello dell’ammassamento delle cose, ha avuto luogo

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PARTE 1// oggetti e modi di abitare

un’elaborazione e un’estensione del potere dell’oggetto che, non solo è depositario della traccia dell’altro e delle passioni proprie, ma diventa soggetto, protagonista, e viene contemplato per se stesso. Rendendosi autonomo e trasformatosi in cosa che ci sta a cuore, non è più quello che ci sta di fronte come ostacolo da superare o alterità da inglobare. Questa nuova sensibilità nei riguardi delle cose determina la nascita di un nuovo genere pittorico: Stilleven, che significa appunto natura immobile e rappresenta un gruppo di cose scelte e prese a tema da un pittore che le separa da contesti che prima includevano la presenza umana. Sotto il loro guscio materiale di tele, tavole, immagini, e colori le cose dipinte nascondono precisi e codificatori valori simbolici: i canestri di frutta, i fasci di fiori, i pesci, la selvaggina, le tavole imbandite, il vasellame, gli strumenti musicali, i libri, sono tutte cose dipinte per la gioia e il godimento degli uomini. Esse appaiono ancora sospese tra la vita effimera o appena spenta e la morte, tra la loro consistente forma visibile e l’evanescente prospettiva del loro prossimo consumarsi o decomporsi, testimoniando, insieme ai piaceri della vita, il desiderio di approfittarne prima che sia tardi,

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3/ la casa delle piccole cose Anthonie LEEMANS // Still life with a copy of De Waere Mercurius Rijksmuseum/ Amsterdam, 1655

NATURA MORTA COME TESTIMONIANZA DELLA CRESCENTE PRESENZA DELLE COSE NELL’ESISTENZA QUOTIDIANA

l’appagamento di tutti i cinque sensi e il loro progressivo indebolimento, l’utilità e la bellezza dei beni quotidiani e la loro caducità. Non si tratta, in assoluto, di una novità: immagini di armadi dipinti, ricolmi di oggetti, erano già presenti nelle pitture pompeiane e negli affreschi medievali; negli studioli rinascimentali erano frequenti le tarsie lignee che riproducevano libri e altri oggetti. Il carattere decorativo di quelle immagini è evidente; ma dalla seconda metà del Cinquecento l’interesse degli artisti e dei committenti per queste pitture, che richiedono un alto virtuosismo e suscitano la meraviglia del trompe l’oeil, ne incrementa la produzione. Considerata sotto il profilo della storia dell’arte, la natura morta esce di rado dai confini del puro esercizio stilistico e dai ristretti canoni del ‘genere’ artistico, ma dal punto di vista della storia degli oggetti d’uso costituisce una preziosa testimonianza della crescente presenza delle ‘cose’ nell’esistenza quotidiana. Da sola, forse, non sarebbe sufficiente a definire i caratteri del mutato rapporto con gli oggetti. In realtà, però, la sua credibilità è garantita da un parallelo interesse dell’arte e della letteratura per questo aspetto dell’esistenza quotidiana in quel tempo. In questo modo

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PARTE 1// oggetti e modi di abitare

ossia delle composizioni con teschio. Il nome deriva dalla frase biblica “vanitas vanitatum et omnia vanitas” e, come il ‘memento mori’, è un ammonimento all’effimera condizione dell’esistenza

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sconfigge, seppur lentamente, il pregiudizio per cui viene considerata un genere minore, lontano dalla storia, dalla mitologia e dalle immagini sacre. Esclude gli uomini che vantano di una dignità superiore, e rappresenta non solo piccole cose comuni, ma talvolta, anche arredi lussuosi (come porcellane, vasi di cristallo o elaborate saliere). Anche se nella serie delle vanitas, destinate a ricordare la vanità dell’esistenza mondana, le cose assumono una funzione ammonitrice; per lo più si propongono solo per se stesse, vale a dire come presenze costanti e indispensabili nella sfera esistenziale degli umani. Da questo punto di vista, l’arte non fa che registrare la crescente importanza dell’oggetto d’uso nella società europea dell’epoca. Tra tutti, sono però le immagini di cose umili a far riscoprire i piaceri del quotidiano. Una delle ragioni è legata alla sua nascita, nell’Olanda calvinista della seconda metà del Seicento, e all’impossibilità degli artisti di dedicarsi a quadri di soggetto sacro da esporre nelle chiese, che sono spoglie e non esigono altri ornamenti oltre alla musica e all’indicazione dei versetti biblici da cantare o commentare. Le cose, pertanto, mostrate nel momento della loro perfetta maturità e del pieno dispiegarsi delle


3/ la casa delle piccole cose

taccuino #4 protagonista d’arte dal catalogo mostra La Natura della natura morta. Da Manet ai nostri giorni

Seguendo lo sviluppo tematico e stilistico della natura morta, non possiamo non citare il contributo di Cézanne, che ha dato una dignità particolare al genere, studiando la dinamica ottica e fisica della percezione visiva e ottenendo uno spazio esteticamente autonomo. Altri infondono nelle composizioni di genere l’impronta originale della propria creatività artistica, Van Gogh e Gauguin, ad esempio, dipingono nature morte impregnate di motivi metaforici ed autobiografici.
Tra le più significative sperimentazioni artistiche si segnalano le opere futuriste e cubiste, nelle quali la decostruzione dell’oggetto supera e stravolge ogni regola accademica, come Severini, Boccioni, Picasso e Braque; ma soprattutto Morandi, artista simbolo della natura morta, che ne fa la sua cifra stilistica più rappresentativa, sperimentando differenti visioni di un numero ristretto di oggetti d’uso quotidiano. A rinnovare il genere, saranno sia la Pop Art, che fa dell’oggetto un protagonista assoluto, sia le poetiche dada e surrealista, che lo rappresentano o riproducono tridimensionalmente, spesso in scala gigantesca, o realmente introdotti nelle composizioni, travalicando i confini della natura morta come genere.

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PARTE 1// oggetti e modi di abitare

loro qualità, sono esaltate e quasi santificate, come dice Ortega y Gasset [1986]: “È frequnte nei quadri di Rembrandt che un umile fazzoletto bianco o grigio, un grossolano utensile casalingo, si trovi avvolto in un’atmosfera luminosa e irradiante, che altri pittori versano solo attorno le teste dei santi. Ed è come se ci dicesse, con un delicato ammonimento: Siano santificate le cose! Amatele, amatele!“. Da una pittura trionfalistica, che celebra pubblicamente i fasti della religione o della politica, si passa quindi a una pittura con meno pretese, raccolta nell’intimità della casa. Questa dimensione domestica e l’attaccamento alle cose del mondo e ai suoi agi si collega all’elogio del benessere e all’apoteosi dell’abbondanza, propria del Settecento.

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LA CASA DELL’ IDENTITA’ E DEL TEMPO


fotomontaggio personale su Joseph Clayton CLARKE// Mr. Micawber


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LA CASA DELL’ IDENTITA’ E DEL TEMPO

4/ la casa dell’identità e del tempo

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inora abbiamo dovuto fare una distinzione tra modelli abitativi del popolo e dell’aristocrazia, dei contadini e dei nobili; la distanza che ha separato tali sfere è rimasta a lungo incommensurabile, finché l’irruzione dei popolani in armi nella stanza da letto di Maria Antonietta nella reggia di Versailles non l’ha di colpo annullata. L’abbattimento delle antiche barriere fra le classi prospetta a tutti quel confort un tempo riservato solo a pochi, mentre i nuovi metodi di lavorazione meccanizzata assecondano tali aspettative, rendendo finalmente possibile una copiosa produzione destinata alle masse – al termine della Grande Esposizione di Londra aperta al grande pubblico nel 1851, la stessa regina Vittoria non manca di ricordare nel suo diario il grande evento, descrivendolo come la più grande dimostrazione del progresso dell’uomo

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PARTE 1// oggetti e modi di abitare

L’INTERNO NON É PIÚ UNO SPAZIO DOVE INTRATTERNERE O INTRATTERNERSI MA ABITARE

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moderno, ormai capace di realizzare “quasi ogni cosa” – . In quel drammatico incontro tra due mondi, fino allora lontanissimi, si è consumato il tramonto di un’epoca e il sorgere di tempi nuovi, che proprio nella casa hanno trovato una sempre più vivace espressione: la necessità di aderire alle più pratiche esigenze domestiche e di conferire nel contempo un nuovo stile a tutti gli aspetti della quotidianità a testimonianza dell’effettiva conquista di un dignitoso status sociale, morale e culturale comporta quindi la decadenza del precetto della rappresentatività, in favore di quello dei contenuti funzionali. La casa non è più dunque una maison de plaisance, e una più libera composizione degli ambienti consente la scomparsa dell’enfilade di anticamere, saloni, cabinet e boudoir; analogamente, l’interno non è più uno spazio dove intrattenere e intrattenersi, bensì un luogo dove abitare, dove vivere, dove le sensazioni di intimità collegate alla quotidianità domestica possono essere esaltate dalla confortante familiarità delle forme e dei tipi dell’antichità classica. Il crollo del formalismo aristocratico consente un’effettiva mobilità dell’oggetto d’arredo: i mobili non sono più ordinati lungo le pareti


4/ la casa dell’identità e del tempo

ma si spostano verso il centro dell’ambiente, divenendo, così, complici alle mutevoli esigenze dell’utente. Come ci mostra Garnerey [7], nel Salotto della duchessa di Berry, una notevole quantità di sedie dalle linee decisamente addolcite e arrotondate sono poste liberamente nella stanza, ma lo scenografico disordine dell’ambiente va ben oltre la libera disposizione dei sedili: quadri di tutte le misure affollano le pareti, innumerevoli suppellettili e romantici souvenir sono profusi sui tavolini, mensole e consoles, mentre un drappo lasciato distrattamente dalla duchessa sul divano anticipa quel tripudio di stoffe, arazzi e tappeti che caratterizzerà gli ambienti della seconda metà dell’Ottocento. [7] Auguste GARNEREY// Salotto della Duchessa di Berry Pavillon de Marsan alle Tuileries/ Parigi

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PARTE 1// oggetti e modi di abitare

Arrivati a questo punto, la nostra visita si fa più complicata: nel XIX secolo, la casa, diventata un tutt’uno con i suoi abitanti e gli oggetti che possiedono, è rappresentativa dell’identità privata e cela i più reconditi segreti, per questo, se da un lato sarà difficile entrare, dall’altro non sarebbe esaustivo osservare un’unica abitazione; ci lasceremo guidare pertanto da piccoli frammenti che nell’insieme ci possano dare una visione più completa e variegata.

N SEPARAZIONE E DISTINZIONE TRA PUBBLICO E PRIVATO

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ell’abitazione borghese dell’Ottocento, come ci ricorda Vitta [2008], il corpo dell’abitante si scinde, si disaggrega, articolandosi in spazi ristretti ma funzionali, incasellati in schemi sociali che ne parcellizzano i ruoli. Si attua un processo di progressiva separazione e distinzione tra la casa e il lavoro, il pubblico e il privato, la quotidianità e la sua rappresentazione; all’interno della famiglia, i rapporti naturali tra uomo e donna, tra genitori e figli, si stabilizzano in una normativa gerarchica che assegna a ciascuno spazi e comportamenti accuratamente definiti. Lo spazio dell’abitazione si restringe, ma si organizza in settori che ricalcano i ruoli delle nuove figure, e finisce


4/ la casa dell’identità e del tempo

così col disegnare un perimetro sociale, prima ancora che un modello abitativo. Hoffmann [1981], nella raccolta I fratelli di Serapione, racconta del Consigliere Krespel, che dirige la costruzione della sua casa restando all’interno dei quattro muri appena elevati, modellando l’abitazione sul proprio corpo. La sua ‘casa’ diviene un calco della sua persona, come un guscio, un abito, un mantello protettivo, fino a risolversi interamente nella sua conformazione interna. Essa è destinata a isolare l’abitante dal mondo e a divenire, in pari tempo, “tutto il suo mondo”. In quanto casa, il suo compito sarà quello di racchiudere, schermandola rispetto a tutto quanto ne è Carl BEGAS// Herrenkleidur Danenkleidung des Biedermeier/ 1821 fuori, l’esistenza dell’abitante. Per comprendere appieno tali esigenze, dobbiamo considerare il periodo in cui il racconto fu scritto: gli anni della cosiddetta Restaurazione, ribollenti tra i due laceranti episodi del Congresso di Vienna e delle rivolte europee. Il feroce conservatorismo imposto dalla Santa Alleanza, la continua sorveglianza poliziesca, la spietata repressione di ogni attività ritenuta potenzialmente sovversiva, costringono i cittadini a ritirarsi nelle loro occupazioni e a fare della casa e dell’ambiente familiare il fulcro della loro esistenza quotidiana. In

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PARTE 1// oggetti e modi di abitare

stile che nasce come contrapposizione al cosiddetto Stile Impero, nel periodo immediatamente successivo al Congresso di Vienna, di cui riprende una decisa “voglia di normalità”: lo scopo è quello di valorizzare la sobrietà e l’armonia, mutuando parte dei motivi stilistici dal periodo precedente, ma spogliandoli di tutti i decori, gli orpelli e gli eccessi che lo avevano caratterizzato

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pari tempo, la crescente spinta dell’urbanizzazione accelera il frazionamento degli spazi abitativi, che si riducono alla dimensione dell’appartamento, variabile a seconda del reddito, ma in generale molto ristretta. Nel chiuso di quest’angusta esistenza, il conformismo dell’ordine e del decoro, che nella vita pubblica si condensa nel rispetto al potere e nell’adesione ai suoi modelli di comportamento, si sviluppa, nel chiuso delle abitazioni, nelle forme di una quotidianità confortevole e metodica, in una sobria tranquillità attenta al risparmio, nell’osservanza di abitudini sociali ampiamente condivise e lontane da ogni sospetto di eccentricità. Il nome con cui viene più tardi definito questo atteggiamento sociale, trasformato in modo d’abitare, è quello di Biedermeier. Nella pittura d’interni di tale periodo, associabile con la tradizione seicentesca olandese, appare lo studio di rendere un interno come uno spazio sigillato fuori dal mondo esterno, come un piccolo universo accuratamente preparato per l’evasione nel passato e nell’esotico: il bisogno primitivo di sicurezza contro un fuori ostile è soddisfatto pertanto da un luogo chiuso. Assai vicino a Vermeer, Georg Friedrich Kersting, realizza


[8] G. F. KERSTING// Uomo che legge alla luce di una lampada Scholossmuseum/ Weimar, 1812

[9] G. F. KERSTING// La ricamatrice Scholossmuseum/ Weimar, 1817

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una serie di scene piene di stimmung, che corrisponde allo stato d’animo e a un’atmosfera intima. Il motivo di tutti questi quadri è sempre lo stesso: una singola figura, un uomo alla scrivania [8], o una ragazza dinnanzi allo specchio o nell’atto di ricamare [9], è rappresentata in un ambiente semplicissimo, vicino a una finestra che raramente lascia vedere la scena esterna; di solito essi sono visti di schiena, in modo da non richiamare su di sé l’attenzione principale, che è prima di tutto attirata dall’ambiente stesso, coi suoi pochi mobili e il gioco della luce e dell’ombra prodotto dal sole che entra dalla finestra, o da una lampada accesa di notte. Quel che il pittore vuole comunicare è il senso dell’interno, dell’ ‘appartamento’ nel senso pieno della parola – perciò i personaggi voltano il viso dall’altra parte: sono veramente distaccati da ogni cosa esterna, appartati, assorti nella stimmung del loro guscio personale, il mondo che importa si trova all’interno delle quattro mura. Il pittore sembra dire con William Blake [1803; pub. 2004], sebbene in un diverso contesto: “Tenete l’infinito nel palmo di una mano e l’eternità in un’ora”. Il limitato spazio domestico è ripartito in zone destinate ad attività plurime, nelle quali

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PARTE 1// oggetti e modi di abitare

l’abitante s’incapsula come in un microcosmo ben riparato dei grandi avvenimenti della storia. La socialità è tutt’al più mimata nelle ristrette riunioni tra amici; l’esistenza familiare scorre tra minute attività domestiche. La stessa polifunzionalità degli arredi è specchio di un ordine mentale ispirato ai modelli della burocrazia: le accorte disposizioni di cassettini, ribaltine, nicchie, mensole, vani, scomparti, segnalano una predilezione per una razionalità efficiente, che riduce i movimenti a pochi gesti lenti e pacati, nei quali si condensa una tranquilla operosità. L’ordine degli spazi abitativi combacia dunque con quello dei registri contabili. Il modello di vita s’ispira alle modalità delle relazioni d’affari, e il risultato è un universo domestico omogeneo e coerente, che garantisce continuità ed equilibrio. L’ordine serve, infatti, a celare la realtà materiale, quotidiana, vitale degli attori impegnati sulla scena dell’abitare, a farla rifluire in una zona d’ombra, discreta e nascosta, nella quale essa possa conservare i propri segreti, mentre il disordine, che espone davanti a tutti gli oggetti e i rituali legati alla cura del corpo, alla sua palpitante carnalità, si pone come elemento perturbatore, capace di minare alle

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BISOGNA CHIUDERE PORTE E FINEST STESSI, COME RICCI, ACCENDERE UN CAMINO, PERCHÉ FA FREDDO, ED EV GRANDE IDEA- SCRIVE FLAUBERT- PO SPEGNERE IL SOLE, DOBBIAMO TAPPA E ACCENDERE LAMPADARI NELLA NO


4/ la casa dell’identità e del tempo

fondamenta sociali della convivenza. A tale proposito, la moglie di Zaccaria, di cui parla Hale White [1887], “non poteva sedere tranquilla se un ornamento del caminetto appariva spostato o a sghimbescio, e si sarebbe levata dal letto di morte, se avesse potuto farlo, per rimettere a posto una seggiola”.

L

’interesse per l’ammobiliamento delle case di si fa, nell’Ottocento, acuto, come diretta conseguenza dell’urbanesimo determinato dallo sviluppo industriale. La diffusione dell’appartamento borghese porta in primo piano la produzione del mobilio e imprime drastici mutamenti negli stessi modelli abitativi. Poe [2001] scrive all’inizio del secolo una Filosofia dell’arredamento, nella quale rispecchia le torbide atmosfere romantiche delle sue opere. Nelle sue pagine, il mobilio assume un valore simbolico che lo rende presenza viva accanto a quella dei suoi tormentati personaggi. Si delinea, così, un modo nuovo di guardare agli oggetti domestici: Baudelaire [1980], nella Chambre double, immagina dei mobili che avessero “l’aria di sognare”, come “dotati di un’esistenza da sonnambuli”. Balzac [1876], allo stesso modo, dedica

TRE, CHIUDERSI IN SE N GRAN FUOCO NEL VOCARE NEL CUORE UNA OICHÉ NON POSSIAMO ARE TUTTE LE FINESTRE OSTRA STANZA.

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PARTE 1// oggetti e modi di abitare

sempre grande attenzione alla descrizione degli interni, convinto che basta varcare la soglia di una dimora per rendersi conto del carattere dei suoi abitanti. “La casa è l’uomo”, sostiene; e in un suo racconto, La bourse, il pittore Schinner, entrando nell’appartamento di due giovani e misteriose donne, cerca di risolvere l’enigma osservando i mobili, perché “ i nostri sentimenti sono segnati e iscritti, per così dire, nelle cose di cui siamo circondati”. Il legame con gli oggetti e i propri possedimenti a volte diventa talmente forte da coincidere con lo stato della propria mente e il proprio carattere: “sul tavolo tenevo tre pezzi di calcare, ma rimasi atterrito al pensiero che avevan bisogno d’essere spolverati ogni giorno, mentre il mobilio della mia mente era ancora pien di polvere. E disgustato li buttai fuori dalla finestra. Come dunque potevo avere una casa ammobiliata?” [Thoreau, 1988]. Sulla capacità degli oggetti di descrivere il loro proprietario ha scritto anche Dickens [2002], che descrivendo l’argenteria dei Podsnap, la caratterizza di “un’orribile solidità”: “Ogni oggetto era fatto apparire pesante al massimo grado, e occupare quanto più posto poteva”. Nello stesso senso, una ventina d’anni prima Gogol [2007] ha descritto la casa

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4/ la casa dell’identità e del tempo

Gyula RUDNAY// Interior with a Lady Reading in a Thonet Chair collezione privata/ 1918

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PARTE 1// oggetti e modi di abitare

di Sobakevič: “Cicikov dette un altro sguardo d’insieme alla stanza: ogni cosa in essa era solida e ingombrante al massimo grado e mostrava una specie di somiglianza col proprietario stesso. In un angolo una scrivania di noce si gonfiava sulle sue quattro buffissime gambe, tale e quale un orso. Tavola, seggiole, poltrone, ogni cosa era del genere più pesante e scomodo, insomma ciascun oggetto, ciascuna suppellettile pareva dicesse: ‘Anch’io sono un Sobakevič!’ oppure: ‘E io pure son molto simile a Sobakevič!’ ”. Questo, e non altro, è, nella sua ragione più profonda, la casa: una proiezione dell’io; e gli oggetti non sono che una forma indiretta di culto dell’io. Allo stesso modo in cui il corpo, secondo la filosofia di Swedenborg, non è altro che una proiezione, un’espansione dell’anima, così per l’anima, la casa dov’ella abita non è altro che un’espansione del proprio corpo; che per un’anima amante dell’ordine, e che fa tesoro dell’esperienza, si stabiliscono innumerevoli affinità delicate fra essa e le cose della sua dimora esteriore, sicché infine non v’è distinzione alcuna per lei tra il di fuori e di dentro. L’ambiente diventa, pertanto, qualcosa di più di un mero specchio dell’anima, è come se fosse un museo dell’anima,

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4/ la casa dell’identità e del tempo

interno ottocentesco

un archivio delle sue esperienze, dove rileggere la propria storia. Ha precisato Thibaudet [1967] che l’arredamento di una casa non solo è che la visibile incarnazione del carattere dei suoi abitanti, ma anche della loro “natura sociale”; esemplare, a tale proposito, è il personaggio del profumiere César Birotteau, il quale, appena divenuto ricco e importante grazie al suo lavoro e alle sue capacità, entra in una nuova casa, che dovrà separare la bottega dall’abitazione e rappresentare, attraverso oggetti e arredi, la condizione del proprietario. In essa vengono impressi i caratteri di un ceto in progressiva ascesa, nei quali domina una distribuzione rigorosamente funzionale degli ambienti, ciascuno caratterizzato da decorazioni e arredi intesi a definire la figura dell’abitante e il suo ruolo nella società: lo studio del signore, nel quale “dominano i colori bruni”; la camera da letto della signora, “tappezzata di seta turchina”; la stanza della signorina, “molto civettuola”; la sala da pranzo, “nel genere detto Luigi XVI”; il salotto, “bianco e rosso”; il salottino, “verde e bianco”; le camere, ridotte all’essenziale, per la servitù. Ogni stanza, ogni oggetto dichiara la sua appartenenza. A tal proposito, una sintesi, che non figura nei trattati di

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PARTE 1// oggetti e modi di abitare

filosofia, può essere considerata l’iscrizione che si legge sulla facciata della casa di Rossini nella Strada Maggiore di Bologna: Non domo dominus, sed domino domus, la casa è per il padrone, e il padrone è per la casa. La casa essendo un’espressione, un’espansione dell’io, non è soltanto un articolato sistema di convenienze, ma quel mondo intimo in cui all’io piace rispecchiarsi quotidianamente; ciò che ne consegue come primo corollario è, pertanto, il possesso. La casa è la sfera dell’influenza, lo spazio vitale, il dominio, e qualsiasi altra forma, per significare il fatto, che nel linguaggio rudimentale del fanciullo, si esprime con un petulante “È mio!”.

Q

uest’attenzione al privato e al possesso, alla necessità di custodire ogni cosa, di celare dietro mille tipi di serrature ogni segreto e ogni aspetto, anche insignificante, della propria vita, caratterizza la società borghese e la famiglia, di cui è fondamento. Uno degli aspetti di tale atteggiamento è il collezionismo, che rivela soprattutto una struttura psicologica segreta. La costituzione di un museo interiore dipende, a seconda dei casi, da varie esigenze; può essere

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FAMIGLIE FOCOLAR PORTE S GELOSO DELLA F

I NUTRIM ANDRÉ G


E! VI ODIO! RI CHIUSI; SERRATE; POSSESSO FELICITÁ.

4/ la casa dell’identità e del tempo

anche soltanto la semplice accumulazione dei ricordi individuali o tracce segrete che consentono di godere di un piacere solitario, dettato probabilmente dalla preoccupazione di controllare e di reprimere la propria libido costantemente. Possesso allo stato puro, priva di qualsiasi funzione, la collezione soddisfa completamente la passione individuale della proprietà privata; ma può divenire essa stessa una fuga appassionata, un rifugio fra quegli oggetti che rappresentano altrettanti equivalenti narcisistici della persona, compensando una frustrazione reale o immaginaria. Radicata in tale ambiente, la casa, diventa l’emblema dello scorrere del tempo, attraverso gli oggetti delle vite dei suoi abitanti, dalla nascita alla morte. A testimoniare amori, feste, dolori e gioie, sono i diari intimi che le donne tengono per tutta una vita, lettere, dipinti e fotografie, libri dei conti e album degli anniversari. L’incessante avanzare del tempo è assorbito dalle pareti della casa, sulle quali si depositano i ricordi, attraverso una moltitudine di oggetti chiusi nelle vetrine, accumulati nei bauli e in ogni spazio disponibile. “L’interno non è soltanto l’universo ma anche l’astuccio del privato. Abitare significa lasciar tracce. Nell’interno

MENTI TERRESTRI, GIDE

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PARTE 1// oggetti e modi di abitare

esse sono accentuate. S’inventano coperture e protezioni, fodere e astucci in quantità, in cui si dileguano le tracce dei quotidiani oggetti d’uso. Nell’interno si dileguano anche le tracce dell’abitatore”, scrive Benjamin [1962]. La ragione di questa esuberanza sta nel contrasto tra l’ambiente di lavoro, l’ufficio, dove predomina la piatta banalità, e l’ambiente di conforto e di svago, la casa, che deve propiziare il sogno, l’illusione. “L’interno rappresenta l’universo del privato. Egli vi aduna ciò che è distante e ciò che è passato. Il suo salotto è un palco nel teatro del mondo” [Id.]. Le cose di tutti i giorni, insipide per essenza, assumono un valore positivo se i nonnulla di cui si compongono si trasformano in riti cui si dà significato sentimentale. Nello spazio borghese la ripetizione non è abitudine meccanica, ma conferisce il suo valore di felicità all’evento destinato a diventare ricordo e memoria, preoccupazione che s’intensifica in questo secolo, che colloca la sua durata nel concatenarsi delle generazioni. Ecco che quadri e fotografie diventano una maniera di tradurre in termini visivi la stirpe, importante al punto tale che la maggior parte delle famiglie si fa ricostruire la loro genealogia. Allo stesso modo, è il periodo delle

albero genealogico

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BAULE

sono il

e sono chiuso a chiave,

ecco perchè non posso svelarvi cosa contengo,

ma dev’essere importante per i signori, non perchè debbano nascondere qualcosa ma perchè è buona

educazione non sciorinare in giro le proprie cose : tutto

deve essere conservato nella sua custodia, con contegno e compostezza, tanto da far dileguare agli occhi degli

estranei le tracce di chi abita la casa... i signori amano

tanto la loro casa e lo loro cose e considerano me un amico

fidato. sanno che i loro ricordi più cari sono al sicuro e per

questo sono felici di vivere circondati da tanti oggetti e dalla loro famiglia in un ambiente intimo e

privato, dove potersi sentire protetti dal mondo


casa fulcro dell’esistenza quotidiana con spazi chiusi, ristretti e delimitati, per ‘abitare’

nella casa dell’identità e del tempo, agli oggetti è affidato il compito di racchiudere la storia e il valore della famiglia, che siano ritratti o autobiografie o semplicemente cose lasciate in eredità, raccontano sempre le gesta e il passato di ognuno

abitante acquisisce identità all’interno della famiglia e della società in cui vive

oggetto rappresentativo del proprio essere e della propria storia, è gelosamente custodito

ottocento


4/ la casa dell’identità e del tempo

Walter BENJAMIN L’interno non è soltanto l’universo ma anche l’astuccio del privato. Abitare significa lasciar tracce. Nell’interno esse sono accentuate. S’inventano coperture e protezioni, fodere e astucci in quantità, in cui si dileguano le tracce dei quotidiani oggetti d’uso. Nell’interno si dileguano anche le tracce dell’abitatore

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PARTE 1// oggetti e modi di abitare

autobiografie, specialmente quelle di persone comuni, che sono più familiari che personali. Avere appesa al muro la propria immagine o avere un libro che parli di sé e della propria storia disinnesca l’angoscia; significa dimostrare la propria esistenza, perpetuarne la durata. Messo ben in vista, il ritratto è anche testimonianza del successo, rende manifesta la buona posizione raggiunta. Per il borghese, ossessionato dal ruolo di eroe fondatore, non si tratta più, come un tempo per l’aristocratico, di inserirsi nella continuità delle generazioni, ma di creare una discendenza, di cui ha l’obbligo di avviare il prestigio attraverso il proprio personale successo. Appannaggio degli alti ranghi, il ritratto, trionfa ora tra il popolo come miniatura: pendenti, medaglioni, coperchi di scatole da cipria si ornano di volti amati. La sua democratizzazione avviene in definitiva per mezzo della fotografia: chiunque può per la prima volta fissare e, possedere e replicare in serie la propria immagine. L’accesso alla rappresentazione e al possesso della propria fotografia rende più vivo il sentimento della propria importanza, libera a tutti l’esigenza del riconoscimento sociale, anche attraverso l’enfatizzazione al massimo del soggetto. L’unico modo

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4/ la casa dell’identità e del tempo

taccuino #5 pittura e fotografia da Wikipedia

La bolla d’inferiorità rispetto alla pittura fu attribuita alla fotografia fin dalla sua prima diffusione: poteva uno strumento tecnico (chimico/ ottico/meccanico) esprimere una sensazione artistica individuale?
La resistenza alla diffusione della fotografia ebbe prevalentemente ragioni economiche e sociali, da parte dei pittori. Il poeta Lamartine che nel 1858 definiva la fotografia “un’invenzione del caso che non sarà mai un’arte ma un plagio della natura da parte dell’ottica” nel 1859 cambiò opinione affermando: ”[la fotografia] è più di un’arte, è il fenomeno solare dove l’artista collabora con il sole”. La disputa alimentò se stessa, ma nella sostanza era chiaro che la fotografia avrebbe affiancato la pittura e con essa si sarebbe integrata come dimostrano le ispirazioni reciproche presenti fin dagli esordi. Fu però László Moholy-Nagy, nelle sue lezioni al Bauhaus, a formalizzare il rapporto tra le due arti. “Nel procedimento meccanicamente esatto della fotografia noi possediamo un mezzo espressivo per la rappresentazione che funziona molto meglio del procedimento manuale di pittura figurativa sinora conosciuto. D’ora in poi la pittura si potrà occupare della pura organizzazione del colore”.

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PARTE 1// oggetti e modi di abitare

per dischiudersi verso l’esterno rimane la lettura: un’esplorazione condotta in poltrona che permette di addomesticare l’universo rendendolo leggibile e, con la fotografia, visibile. La biblioteca, così, apre la casa al mondo e racchiude il mondo nella casa.

L

a consumazione di questo culto dell’interno sarebbe avvenuta, secondo Benjamin [1962], alla fine del secolo, quando il Liberty europeo offre alla borghesia trionfante dell’epoca uno stile di vita e un’immagine di sé coerenti e omogenei. Voltando le spalle ai rigorismi neogotici e alle ridondanze storicistiche dell’eclettismo, gli architetti della nuova generazione interpretano la modernità facendo della casa un artefatto globale, in cui la configurazione degli interni deve rispecchiare in ogni particolare i principi estetici dell’involucro esterno. “Suo scopo si rivela l’apoteosi dell’individuo. Sua teoria è l’individualismo. Con Vandervelde la casa è l’espressione della personalità. L’ornamento è per questa casa ciò che la firma è per un quadro. Il vero significato dello stile liberty non trova espressione in questa ideologia. Esso rappresenta l’ultimo tentativo di evasione dell’arte

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4/ la casa dell’identità e del tempo

assediata dalla tecnica nella sua torre d’avorio. Mobilita tutte le riserve dell’intimità. Esse trovano la loro espressione nel linguaggio medianico delle linee, nel fiore come simbolo della natura nuda, vegetativa che si oppone al mondo circostante armato dalla tecnica. […] (ma) il tentativo dell’individuo di spuntarla con la tecnica basandosi sulla propria interiorità, lo conduce alla rovina”.

Henry VANDEVELDE// Dining Room Third German Arts and Crafts Exhibition/ Dresdra, 1906

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i

IL POTERE DEGLI OGGETTI parte 2



I

l Novecento è il secolo delle cose: l’accelerazione industriale, la crescente mercificazione, la nascita delle scuole di design, hanno concorso alla produzione di ogni tipo di oggetto industriale a ogni livello di qualità e con qualunque destinazione, da quella funzionale a quella puramente estetica. Questo secolo, caratterizzato da molteplici cambiamenti, appare complessivamente percorso da una triplice discontinuità rispetto all’Ottocento, come ci fa notare Bonfantini [2001]: è forse, anzitutto, il secolo del petrolio (e quindi della benzina e dell’automobile, e della petrolchimica e della plastica); è poi il secolo delle tre esse – serie, standard, stereotipo – dominanti lo stile di produzione e consumo; ed è poi, infine, anche se con forti contraddizioni e controtendenze, secolo di consumi più privati che pubblici e sociali, che si fissano in oggetti d’uso che

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PARTE 2// il potere degli oggetti

si portano in casa. Il motivo non è solo, e non tanto, l’aumento del potere d’acquisto della piccola borghesia e dell’aristocrazia operaia, ma il fatto che i nuovi prodotti e i nuovi mobili costano meno, perché sono industriali, cioè sono fatti a macchina e in grande serie: è questa la grande novità strutturale, nel mondo di produzione, che si affaccia nel primo decennio del Novecento. La produzione di massa è stata lungimirante fin dall’inizio, con nuovi oggetti funzionali, liberati dalle forme storiche tradizionali e dal loro appariscente aspetto borghese, il mondo e il modo di rapportarsi a esso sono cambiati. La situazione economica fra le due guerre, tuttavia, costringe i progettisti a lavorare con materiali semplici e poco costosi, che inizialmente non rendono evidente il grande cambiamento in corso, limitazione che non è più necessaria nella seconda metà del secolo. La rapida scalata economica e il potere d’acquisto in aumento fanno espandere e articolano il ciclo di produzione. Prima gradualmente, poi velocemente e poi con velocità esponenziale, si passa dalla necessità al consumo. Il compito di mostrare il crescente dominio degli oggetti creato da una produzione industriale sempre più massiccia

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tocca, come sempre, all’arte, che ci ha guidato fin qui. Nel 1909, Balla dipinge una Lampada ad arco [10] nella quale un nuovo oggetto d’uso si propone come protagonista non tanto nella sua forma, quanto nella sua natura tecnica – la luce come prodotto tecnologico –, e nello stesso anno Marinetti celebra l’automobile come opera d’arte della modernità. Ma a farci capire come profondamente cambia la percezione dell’oggetto e del suo potere in evoluzione, sono (in particolare) altri due avvenimenti. Nel 1915, Duchamp espone a New York i suoi ready made: oggetti ‘trovati’ che, allontanati dal loro contesto quotidiano e isolati nella loro nuda identità oggettuale, alterano le loro modalità di comprensione, trasformandosi in opere d’arte. Contemporaneamente, Marinetti pubblica il suo primo ‘dramma di oggetti’, intitolato Vengono: la scena teatrale è quella di un tradizionale salotto borghese, nel quale gli oggetti sono di volta in volta spostati secondo le richieste del maggiordomo. Quel che è rilevante è come i mobili, e in particolare sedie e poltrone, assumono “atteggiamenti impressionanti e pieni di misteriose suggestioni, in una stanza dove non vi sono esseri umani” quasi come acquisissero una “strana vita fantastica”, dice [10] Giacomo BALLA// Lampada ad arco MoMA/ New York, 1909-11

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PARTE 2// il potere degli oggetti

lo stesso autore [cit. in Vitta, 1996]. L’oggetto divenuto, in entrambi i casi, protagonista della scena artistica, perde il suo attributo principale, il suo intrinseco carattere di utilità, ed è tornato a presentarsi come puro oggetto. Ma non si tratta di una perdita quanto, in realtà, dell’acquisizione di una nuova identità: l’oggetto non è più, ora, semplice oggetto d’uso, ma l’Altro, che si erge misterioso e inafferrabile di fronte a noi, in altre parole ritorna a essere Oggetto.

C

ome abbiamo visto, nei secoli il possesso delle cose si è sempre legato all’appartenenza di classe: nobili, industriali, ricchi mercanti, banchieri hanno sempre vissuto nell’opulenza, circondati dagli oggetti. Nel ventesimo secolo, e specialmente negli ultimi decenni, il cambiamento del nostro rapporto con le cose ha soppiantato le cose naturali, molto apprezzate dal Rinascimento all’Illuminismo, con le cose artificiali, prodotte industrialmente. La produzione di massa democratizza quindi i prodotti, li rende ampiamente accessibili, e il commercio fa sì che essi non siano più né speciali né unici, fondando il loro appeal sulla novità.

E’ LA MESSA IN PRATICA, NELLA CUL DI MASSA, DELLA RIDUZIONE DELL’OPERAZIONE ARTE A OPERAZIO ESTETIZZAZIONE DIFFUSA NEL SOCIA RENATO CALLIGARI

Marcel DUCHAMP// Ruot

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Possiamo concludere, pertanto, che l’oggetto industriale è il protagonista assoluto di un secolo, e allo stesso modo di quest’analisi, volta a capire come le cose sotto molti punti di vista, dalla produzione all’uso quotidiano, dalla loro funzione di merce a quella simbolica e affettiva, hanno acquistato un potere tale da definire la produzione, le azioni domestiche, la società e infine i rapporti tra le persone e tra le cose stesse; aspetti – approfonditi in ogni capitolo – che s’intrecciano senza una precisa corrispondenza cronologica ma che caratterizzano al contempo periodi precisi. Ne deriva uno scenario complesso, affollato, spesso sorprendente, nel quale l’oggetto, occupando ogni aspetto della vita quotidiana, esprime la sua complessa personalità e desta stupore, conducendoci ad analizzare situazioni di vita, abitudini e utilizzi di tipo diverso. L’insieme di forme estremamente diversificate, materiali, progetti, concetti, produce una riflessione sulla vita dell’uomo contemporaneo, che con il procedere e il maturare della civiltà industriale si allontana dalla natura per affidarsi agli oggetti più vari, dai più semplici ai più sofisticati, dai più funzionali ai più ‘inutili’, dei quali pare circondarsi totalmente.

LTURA

ta di bicicletta, 1913

ONE DI ALE.

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GENESI DELL’ OGGETTO INDUSTRIALE


Todd MCLELLAN// Apart Phone


5

GENESI DELL’ OGGETTO INDUSTRIALE

5/ genesi dell’oggetto industriale

S

e la forza delle idee artistiche d’inizio Novecento, in consonanza con i ritmi delle avanguardie figurative, procede all’insegna dell’irrequietezza e dell’instabilità, la forza delle cose appare invece guidata da una linearità solida e progressiva. La principale stabilità concerne il mondo della tecnica: nel secolo appena concluso, la rivoluzione industriale, nata circa duecentocinquanta anni fa, vede finalmente coronati i propri sforzi, e non solo nell’Inghilterra che si vuole le abbia dato i natali. La Germania, infatti, diviene la più temibile concorrente delle altre nazioni europee, mentre oltreoceano gli Stati Uniti iniziano la loro scalata industriale minacciando sempre di più i mercati del Vecchio Continente. Le riflessioni intorno al concetto d’industrialismo e alle sue conseguenze sulla società e la cultura risalgono già all’inizio dell’Ottocento, ma

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PARTE 2// il potere degli oggetti

affondano le loro radici nell’entusiasmo illuminista per i valori della tecnica e della scienza. Nel 1830 Comte [1967] inizia la pubblicazione del suo Corso di filosofia positiva, nel quale sostiene che l’umanità dopo aver attraversato lo stadio teologico e quello metafisico, è entrata nello stadio positivo, caratterizzato dalla struttura industriale della società, l’unica in grado di esaltare la razionalità propria dell’intelligenza umana. Tuttavia alla consapevolezza della nuova realtà si accompagna subito la diffidenza nei confronti della cultura che l’accompagna. Nello stesso periodo Carlyle [1921] scrive in Segni dei tempi che “la nostra età è quella della macchina, in tutta la compiutezza del termine”; ma critica al contempo la meccanizzazione del lavoro, che ha sostituito “il vivente artigiano” con “un operaio senza anima”. Dibattito che segnerà tutto il secolo, come quello tra forma e funzione. Gautier [1848], nell’articolo Plastique de la civilisation, già a metà dell’Ottocento, indica l’urgenza di risolvere la questione della forma degli oggetti d’uso prodotti in serie e raccomanda a tal fine l’intervento dell’artista al fianco del tecnico; in secondo luogo sostiene che alle nuove funzioni deve corrispondere una forma altrettanto

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5/ genesi dell’oggetto industriale

MODIFICANDO I MODI DI PRODUZIONE, L’INDUSTRIA HA MODIFICATO ANCHE I PRODOTTI.

innovativa, capace di eguagliare quella dell’antichità, ma in quanto espressione genuina della modernità. La rivoluzione industriale aveva dato vita, infatti, a oggetti nuovi, mai visti nel passato; e tutto il dibattito della produzione, sulle funzioni e sulla forma delle cose realizzate dalle macchine, ruota appunto intorno a questa constatazione. Modificando i modi di produzione, l’industria ha modificato anche i prodotti. La macchina si è moltiplicata: da strumento generatore dell’oggetto è diventata oggetto essa stessa, e quindi portatrice di una nuova bellezza. Il Manifesto del futurismo [1909], pubblicato agli inizi del Novecento, né dà la conferma definitiva: l’oggetto prodotto in serie – meccanizzato, standardizzato – differisce dall’antico prodotto artigianale per il suo impatto nella società. A una società di massa corrisponde un oggetto di massa, sicché anche la sua forma deve sottrarsi alle analisi meramente estetiche e impegnarsi sul difficile terreno dell’etica. Le teorie funzionaliste, infatti, – dalla “razionale Sachlichkeit”, ossia la “oggettività” ricercata da Muthesius, come indice di una “funzionalità perfetta e pura”, fino alla formula form follows function, ovvero “la forma segue la

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PARTE 2// il potere degli oggetti

Argan [1965� ne riassume così le sue caratteristiche principali: quantificazione intesa come valore qualitativo; ruolo sociale di processo produttivo destinato alla massa; modificazione della tecnica e dei materiali; nuova figura del designer come artefice capace di intuire “un’idea platonica”.

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funzione” coniata da Sullivan e fatta propria da tutto il Movimento Moderno – hanno insistito sulla dipendenza della ‘bellezza’ dal ‘ruolo’ tecnico dell’oggetto. Le cose, seguendo il destino di ogni altro settore, dipendenti dall’industria, entrano così definitivamente nella spirale della macchina, e la parola design, o meglio industrial design, s’impone sempre di più. Con la nascita del design, quindi, si teorizza e si precisa il principio della forma standard, fondamentale per garantire la produzione meccanica in serie, e importante soprattutto dal punto di vista sociologico per la rispondenza ai bisogni e per l’accordo che implica con i consumatori, circa la forma più appropriata e quindi standardizzata di certi oggetti. In inglese il termine design non comporta soltanto la creazione di oggetti secondo una forma-funzione, riconducibili industrialmente, ma piuttosto una vera propria ‘cultura del progetto’, che va dal pensare un problema fino all’integrazione della soluzione nell’ambiente considerato. Con questo nuovo metodo di lavoro, applicabile a ogni tipo di progettazione, gli oggetti di produzione industriale assumono forme sempre più legate alla funzione specifica. Ciò implica lo sviluppo di


5/ genesi dell’oggetto industriale

un linguaggio di forme elementari assemblate, impiegato sia negli oggetti sia negli edifici, e un’elaborazione delle forme che devono accompagnarsi alla logica delle funzioni tecniche.

S sedia Shaker // New Lebanon/ 1920

sedia Thonet // model 14 / 1859

ono state, in realtà, grandi intuizioni che nel corso dei decenni hanno permesso e garantito uno sviluppo così saldo: quella estetico-qualitativa di Cole, che dà un ulteriore impulso alla nascita di un’estetica del prodotto industriale, auspicando per gli oggetti di produzione meccanica forme semplici e schiette, libere da reminiscenze storicistiche e da decorativismi forzati; quella etica degli Shakers, secondo cui “la bellezza si basa sulla praticità”: oggetti di uso comune devono per forma e funzione soddisfare innanzi tutto i bisogni della vita quotidiana, rinunciando a ogni pretesa stilistica; quella quantitativa di Thonet, che concilia un’alta qualità estetica con una diffusione commerciale senza precedenti, riuscendo a inquadrare le diverse fasi di lavorazione meccanica in un unitario processo produttivo; e, infine, quella comunicativa dell’Art Nouveau, con la sua doppia anima fatta di tradizione e innovazione, le

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PARTE 2// il potere degli oggetti

sedia Liberty /1900

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cui espressioni artistiche oscillano tra il naturalismo e la geometria. Ecco che anche la ‘nuova’ esaltazione della decorazione e dell’ornamento, ai primi del Novecento, è in realtà direttamente in funzione delle nuove esigenze di produzione e vendita del capitalismo delle macchine e dei grandi magazzini. Il nome italiano, infatti, per questo movimento artistico pieno di forme eleganti e ricorrenti, allungate, curvilinee e spiraloidi, è Liberty: dalla fortuna del marchio dei grandi magazzini, Liberty & Co. appunto, fondati a Londra nel 1875. Ha dunque diritto il grande critico dell’industrialismo e macchinismo Ruskin [1987] ad attaccare, nel saggio Seven Lamps of Architecture del 1849, l’ornamento fasullo e superfluo in nome della verità. Con un’attenuazione dell’opposizione alle macchine, queste critiche sono riprese in seguito dal suo seguace, Morris, che negli ultimi due decenni dell’Ottocento, organizza Scuole e Società di arti e mestieri, esposizioni e convegni, intorno a un principio di produzione di utilità e bellezza, di oggetti e architetture non solo gratificanti ma addirittura moralmente e socialmente ‘formativi’ per gli utenti. Sia il lavoro di Morris e dei progettisti Liberty, però, ha però un limite che ne vanifica interamente le ambizioni sociali: il


5/ genesi dell’oggetto industriale

Gerrit RIETVELD// Red and Blue Chair, 1918

il Bauhaus fu una scuola di architettura, arte e design della Germania che operò a Weimar dal 1919 al 1925, a Dessau dal 1925 al 1932 e a Berlino dal 1932 al 1933. Il termine era stato ideato da Walter Gropius e richiamava il termine medievale Bauhütte che indicava la ‘loggia dei muratori’.

rifiuto della lavorazione industriale finisce col restringere tutta la produzione a dei costosissimi pezzi unici, resi dalla loro stessa bellezza oggetti di lusso destinati a pochi privilegiati. Solo la produzione meccanica riesce a sciogliere questa contraddizione: la fabbricazione in serie degli oggetti d’uso a basso prezzo è il veicolo per portare il benessere in tutti i ceti sociali. L’unico problema è quello di assicurare che i prodotti industriali abbiano quella bellezza che un tempo, la sintesi tra arte e artigianato ha conferito alle cose, e per risolverlo è indispensabile che la progettazione degli oggetti ritrovi la sua carica artistica. È pur ciò che propone, anche se con presupposti diversi, il Bauhaus con il suo ideale di unire artigianato, arte e industria, aprendosi al design e a un nuovo modo di pensare gli oggetti, che ha alle spalle la tradizione delle Arts and Craft e del Werkbund. L’esperienza del Bauhaus costituisce una rottura definitiva con gli schemi ottocenteschi: pensa, per la prima volta, che l’oggetto industriale possa avere valenze estetiche, vedendo nell’arte una componente naturale del vivere quotidiano e quindi inventando una nuova tipologia di oggetti, progettati per la produzione in serie industriale,

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PARTE 2// il potere degli oggetti

ma in grado di incorporare, oltre alla funzione praticautilitaria, anche quella estetica. Gli oggetti della vita quotidiana diventano, pertanto, degni di riflessione progettuale, di ricerca, di sperimentazione sulle nuove forme tipologiche e sulle tecniche di lavorazione, sui materiali, sulle loro proprietà formali e sensoriali. Muta così il rapporto dell’uomo con il mobile della casa: non è più una sorta di ‘monumento’ domestico, com’è il mobile di legno, ma un oggetto utile e maneggevole. Ecco che l’avvento della macchina nella produzione di oggetti permette di configurare un’estetica senza ornamenti in cui forma e funzione s’incontrano. Le Corbusier, inaugurando nel 1925 il suo padiglione dell’Esprit Nouveau all’Esposizione delle Arti Decorative di Parigi, presenta una cellula essenziale moltiplicabile in altezza e lunghezza: gli oggetti, che sono oggetti-tipo rispondenti a bisogni-tipo, devono essere essenziali, efficienti, leggeri ed economici. A tal proposito possiamo affermare che la casa minima funzionalista è il modello autentico e adatto a esprimere i modi di abitare del – primo – Novecento: il binomio forma-funzione corrisponde totalmente a quello abitare-produrre, uniformando la condizione

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SEDIE,

siamo

ma non sedie

qualunque, abbiamo persino un nome, così come

tutti i nostri fratelli figli dell’indutria. io e le mie sorelle siamo

esattamente uguali e progettate per essere belle esteticamente e pure

comode, anche se non siamo le sole, ogni giorno infatti la nostra famiglia

continua a ingrandirsi e la produzione non smette mai... quindi la scelta sta

a voi umani, cosa vi rappresenta di più? potete finalmente scegliere i veri

prodotti della modernità, sicuri e indistruttibili. siamo pronte a popolare le vostre case, qualunque stile esse abbiano, e trasformarle in macchine da abitare, perfette per ogni vostra esigenza, perchè ogni nostra vite, materiale, forma, colore, è stato pensato per voi, per essere pratiche, utili e maneggevoli.


casa rispecchia la dicotomia forma-funzione abitante inserito nel sistema produttivo oggetto sempre artificiale, si afferma come oggetto-funzione standardizzato e industriale, con valenze estetiche progettate

anni venti all’inizio del novecento, la crescente fiducia nella macchina porta alla genesi dell’oggetto industriale e alla sua fulminea diffusione nelle case: facilmente selezionabile in catalogo e velocemente acquistabile, conquista il suo posto d’onore in ogni angolo dell’abitazione, come rappresentante della modernità


5/ genesi dell’oggetto industriale

privata al sociale. La casa non è più quel luogo chiuso e imperscrutabile dell’Ottocento, è invece assimilata al mondo della produzione, ricalcandone i tempi nella razionalità e nella severità delle forme, in cui la famiglia non è più patriarcale ma connessa alla sfera produttiva, tanto da diventare marginale rispetto alla centralità della fabbrica e della sua organizzazione. Anche gli spazi domestici si specializzano in luoghi adeguati, secondo principi morali e funzionali insieme: è proporzionata alla grandezza della famiglia, salubremente suddivisa in spazi privati per ogni abitante, e regolata dal principio della macchina. Una delle critiche più intelligenti e divertenti di questo modo di pensare è presentata magistralmente da Tati nel film Mon Oncle del 1957, dove gli Arpel vivono all’insegna dell’ordine e del progresso scientifico, tra igiene e praticità, subordinando la famiglia – e il loro bambino – ai tempi imposti dall’industrializzazione.

L

a rivoluzione industriale e la produzione di massa portano alle estreme conseguenze il processo di oggettivizzazione del mondo: recidono il legame tra gli oggetti e le cose, e cambiano il mondo ma anche il rapporto

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PARTE 2// il potere degli oggetti

Le Corbusier

Occorre creare lo spirito della produzione in serie, lo spirito di costruire case in serie, lo spirito di concepire case in serie.

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5/ genesi dell’oggetto industriale

con gli oggetti. Marx [1964] ha descritto il passaggio dal mondo delle botteghe artigiane e dell’oggetto fatto a mano, a quello dell’industria e dell’oggetto serializzato, con il concetto di merce e di alienazione. Il Capitale, del 1867, rimane la prima grande opera in cui si da una trattazione del carattere sociale dell’oggetto e si analizza il passaggio da prodotto a merce: distinguendo “l’utilità di una cosa”, la quale “fa che essa abbia un valore d’uso”, dal “valore di scambio”, che è quello della cosa ridotta a merce, quest’ultima viene dotata quindi di un valore unitario e generale, espresso in denaro. Nel moderno sistema capitalistico, l’oggetto si trasforma in merce quando il suo valore di scambio annulla quello d’uso, ma tale perdita comporta lo svuotamento dell’identità stessa dell’oggetto. L’economia ha così preso il sopravvento non solo sulla tecnica, ma anche sulla scienza: tutta la produzione delle cose è ormai organizzata secondo una logica che trova i suoi principi ispiratori nel valore di scambio. Un simile passaggio ha sull’oggetto due effetti contrastanti. Per un verso ne impone la presenza, non solo fisica, ma anche culturale, in ogni aspetto della vita quotidiana di tutta la collettività: la possibilità tecnica e

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PARTE 2// il potere degli oggetti

LE COSE ASSUMONO UNA POSIZIONE CENTRALE NELLA SOCIETÁ, DIVENUTA ORMAI DI MASSA

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ancor più l’esigenza economica di mantenere costante o addirittura di accrescere il ritmo della produzione, determina la massiccia invasione degli oggetti sulla scena della storia dell’Occidente e via via di tutto il mondo; e le ‘cose’ assumono dunque una posizione centrale nella società, divenuta ormai ‘di massa’ grazie proprio alla crescente capacità produttiva dell’industria. Ma sotto un altro aspetto esse pagano il loro conquistato protagonismo con la perdita dell’individualità. Assumendo la natura di ‘merce’, l’oggetto d’uso vede sfumare i suoi tratti distintivi (utilità, bellezza, struttura tecnica) nella nebbia indistinta del puro scambio economico. La qualità principale del prodotto è, pertanto, quella di essere veicolo di profitto, rendendo però astratte le modalità della sua progettazione e fabbricazione. Alla sua mercificazione corrisponde la mercificazione d’ogni altro aspetto dell’esistenza, e poiché proprio questa trasformazione l’ha dilatato a dismisura, identificando la ‘qualità’ con la ‘quantità’, ecco che proietta potentemente sul mondo il marchio della sua nuova immagine. Il profondo cambiamento della cultura materiale prodotto dal macchinismo e poi dalla seconda rivoluzione industriale, pertanto, non solo


5/ genesi dell’oggetto industriale

fa crescere a dismisura il numero degli oggetti, ma ne immette una nuova tipologia che viene direttamente dalla modificazione dei modi di produzione. Si da avvio così a un nuovo modo di pensare e progettare l’oggetto, anche quello dell’arte. L’oggetto, come dirà Moles [1969], per la nostra civiltà “non è mai naturale”: l’albero o il sasso sono cose e “la pietra diventa oggetto solo quando le si fa assumere la funzione di fermacarte”. È quindi il prodotto di un’attività e di qualcosa di costruito, e per il Novecento esso è espressione della civiltà industriale. Con l’industria si rompe il legame tra gli oggetti e la loro singolarità, diventano tutti ‘copie’ di una serie e non v’è più l’originale. E, nella merce in quanto merce, tende ad annullarsi la differenza tra gli oggetti investiti di senso (l’opera d’arte, gli oggetti del sacro o quelli di prestigio) e gli oggetti del quotidiano, che si dà piuttosto al suo interno come differenza di valore. Da questo punto di vista trova cittadinanza anche l’oggetto comune che l’arte del Novecento investe, creando con il design un nuovo tipo di arte, democraticamente diffusa per tutti, dove si rinnova l’idea dell’oggetto in relazione alla produzione industriale, cogliendo la novità che essa rappresenta.

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OGGETTI DELLE MERAVIGLIE


poster vintage // House Staff


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OGGETTI DELLE MERAVIGLIE

6/ oggetti delle meraviglie

C

’era una volta un tempo in cui i cibi non erano ancora battezzati con nomi propri, in cui la polvere non era un efferato nemico, in cui si passavano ore e ore a strizzare i panni nelle acque gelide invernali. Ma come tutte le favole, anche nella vita delle donne di casa arriva, a un certo punto della storia, un aiutante magico – o in questo caso molteplici –, che con i suoi poteri riesce a risollevare le sorti delle nostre eroine: l’energia elettrica all’interno della casa porta con sé una serie di accessori, gli elettrodomestici, che facilitano e migliorano il vissuto casalingo, con notevoli vantaggi di confort. I mutamenti della casa, anche nella sua architettura, sono determinati dall’impiego di questo nuovo elemento: ecco il fuoco che si rinnova in illuminazione. All’inizio del Novecento, l’elettricità ha un peso non irrilevante anche nell’immaginazione delle

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PARTE 2// il potere degli oggetti

avanguardie storiche e in particolare nel futurismo: forti tinte, lampi di luce, ritmi intensi ammantano i prodotti della vita quotidiana e li sottraggono ai passatisti. Anche le comiche del cinema muto salutano l’elettrificazione della vita domestica e la frenesia degli automatismi che rende possibili, non solo perché prevedono che proprio questa energia consentirà il dispositivo motorio delle riprese e della proiezione cinematografica, ma anche e soprattutto perché è proprio la luce a creare sullo schermo l’illusione della realtà, la magia della visione. Ed è una vera e propria magia quella che accade nelle case nel secondo dopoguerra, quando a seguito del cosiddetto miracolo economico, cominciano a comparire oggetti nuovi e dalle funzioni più impensabili, che sempre più velocemente diventano, in effetti, beni di massa. Ecco che il frigorifero, moderna macchina del tempo, permette di conservare i cibi più a lungo ed evitare di fare la spesa ogni giorno; rigorosamente dotato di chiavi conservate con gelosia dalla Mamma, riesce in seguito a regolare la temperatura dalle gradazioni del fresco fino a toccare il ghiaccio, e addirittura a congelare per tempi futuri, permettendo di preparare pietanze per più giorni.

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WE HAVE MORE FU


6/ oggetti delle meraviglie

E UN!

pubblicità Frigorifero Kelvinator/ 1957

Altro strumento è l’aspirapolvere, che, abbandonati i tempi delle streghe e delle scope, dà spazio a una sorta di mostro buono mangia-sporco pronto in un lampo a risucchiare e compattare ogni impalpabile, eppure feroce, imbrattatore della casa. Ma uno degli aiutanti preferiti è la lavatrice: impossibile non amare lo splendore di un bucato bianco e profumato senza nessuno sforzo, la scatola del pulito realizza delle vere e proprie magie sotto gli occhi di tutti, un incantesimo che si realizza giro dopo giro della centrifuga. Sono solo esempi di come questi oggetti entrano a pieno diritto nella vita di tutti i giorni, fino a diventare indispensabili, e modificano, soprattutto, il modo di organizzare i lavori domestici e le cure familiari, acquisendo potere nella gestione della casa e nelle abitudini legate all’abitare. La particolare responsabilità della donna americana – dal titolo del manuale di economia domestica che Catherine Beecher pubblica nel 1841 – e in seguito l’elettrificazione della casa iniziata con la lampadina – oggetto dapprima di lusso, che ha poi finito con l’imporsi escludendo dall’illuminazione il gas –, sono probabilmente i due poli sui quali si fonda quella che è stata la ‘rivoluzione’ dell’ambiente domestico, e le

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PARTE 2// il potere degli oggetti

pubblicitĂ Lavastoviglie Kitchen Aid/ 1968

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6/ oggetti delle meraviglie

Rappresenta il culmine delle esposizioni universali - dove si espongono le arti decorative,che con il processo di industrializzazione dalla fine del ‘700 ebbero sempre più successo - fu un fiorire di idee ed innovazioni. Vi partecipane un gran numero di paesi ( oltre 58) ed i visitatori superarono i 50 milioni. La numerosa presenza di grandi magazzini porterà poi alla commercializzazione e distribuzione.

mete dalle quali si è mossa poi la razionalizzazione del lavoro casalingo. La meccanizzazione della casa, quindi, e la tensione a migliorare la qualità della vita liberandola dai lavori più faticosi, fanno puntare sul binomio vincente di scienza e tecnologia. Le principali operazioni casalinghe – la lavatura dei panni e delle stoviglie, la stiratura, la pulizia dei tappeti – erano già state alleviate dall’introduzione dei manodomestici, ‘piccole invenzioni’ per la vita quotidiana: numerosissimi sono stati i congegni che, imitando i movimenti della mano e trasformando l’andirivieni in movimento rotatori continui, sono stati messi a punto utilizzando i progressi della meccanica di precisione. È all’esposizione Universale di Parigi del 1878, la quinta mostra industriale internazionale della storia, che si presentano i primi ‘servitori meccanici della donna’, pur non affrontando ancora il tema dell’elettricità applicata, che culmina in seguito nella ‘festa dell’elettricità’ avente come palcoscenico ancora una volta un’ Esposizione Universale, ancora a Parigi, nel 1900, con un intero palazzo dedicato alla ‘religione’ del XX secolo. Da lì in poi gli elettrodomestici trovano spazio in saloni dedicati e, soprattutto, in riviste di settore che informano e danno

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PARTE 2// il potere degli oggetti

consigli pratici alle donne. Ecco che, dai primi decenni del secolo, i cataloghi delle aziende s’infittiscono d’immagini, mai viste prima, di oggetti azionati dall’elettricità o da ingegnosi meccanismi, realizzati in grande serie e venduti a basso costo, puntando a un vastissimo mercato. Gli elettrodomestici, che sempre più repentinamente non sono più da considerarsi sogni proibiti destinati a pochi, contribuiscono potentemente a modificare gli stili di vita della famiglia e delle donne in particolare, che hanno a disposizione molto più tempo libero da dedicare alla cura dei figli ma anche alla cura personale e agli hobby, parola che si afferma proprio in questo periodo a indicare la possibilità, grazie al nuovo benessere, di impegnarsi in attività non remunerative, solo per il piacere di seguire le proprie inclinazioni o dedicarsi all’intrattenimento, andando al cinema e ai ritrovi esterni. Naturalmente questa nuova ottimizzazione dei tempi entra in sinergia anche con la possibilità, per le donne, di gestire oltre che i lavori domestici, un’attività lavorativa. Anche nelle favole, però, più sono grandi i poteri, più grandi sono i cambiamenti cui si viene incontro. Come abbiamo visto nella storia del mondo occidentale fino all’Ottocento,

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oggi non c’è

bisogno che mi presenti, tutti mi conoscono e forse non

riescono a fare a meno di me, ma lasciate lo stesso che vi racconti la

mia storia: mi hanno chiamata

LAVATRICE

e sono in grado di fare miracoli.

ricordo ancora il momento in cui arrivai qui... il signore e la signora risparmiavano da

anni per potermi comprare e il primo giorno che dovevano utilizzarmi invitarono anche la nonna, che era la più eccitata di tutti. per tutta la sua vita aveva dovuto

riscaldare l’acqua sul fuoco e fare il bucato a mano per sette figli, e ora stava per vedere l’elettricità al lavoro. la signora ha aperto lo sportello e caricato il bucato

nel mio cestello e poi quando ha chiuso la nonna ha esclamato: no no, lasciami schiacciare il bottone! e così fece, era incantata da quanto stava accadendo tanto da prendere una sedia e godersi l’intero programma

di lavaggio. per la nonna era un

miracolo. ecco quello che faccio! ma

non si tratta solo di risparmiare un

lavoro faticoso alle mani delle donne, il vero miracolo è il regalo del tempo...

sapete cosa fece la signora dopo aver

abbandonato la preoccupazione del bucato?

portò suo figlio in biblioteca e forse è anche per merito mio che oggi è un eccellente studioso.


casa regno delle cose, i cui spazi importano a seconda degli oggetti presenti

anni cinquanta

abitante nel vortice della societĂ dei consumi, si omologa con gli altri; mentre la donna ottiene tempo per le proprie attivitĂ

oggetto ormai elettriďŹ cato, sostiene ogni attivitĂ mutando il rapporto con il corpo, e diviene rappresentativo dello status symbol

nel secondo dopoguerra, ecco la comparsa nelle case di tutti, a prescindere dalla situazione economica, degli oggetti delle meraviglie, gli elettrodomestici, che fanno della cucina il luogo principale dell’abitazione


6/ oggetti delle meraviglie

l’oggetto compare come il prolungamento della mano umana, come estensione del corpo, e la sua materia naturale ha la stessa vitalità delle membra umane che li manipolano e usano. Prima il vapore e poi l’elettricità – e l’elettronica in seguito – mutano di colpo quest’universo primordiale: il concetto biblico di ‘fatica’ come condizione dell’esistenza e motivo di riscatto ultraterreno sfuma in quella di ‘lavoro’ come produzione e modello sociale. L’assunzione della macchina come metodo costante ne è la prima manifestazione. In seguito, l’automazione – così come in futuro prossimo la telematica – separa maggiormente l’oggetto dal corpo, situandolo in una sfera autonoma raggiungibile lungo invisibili percorsi di energia e gesti impercettibili. Alla moltiplicazione degli oggetti ha fatto pertanto riscontro l’isolamento del corpo: serrato dalle cose, ne è quasi diventato immune, al riparo da ogni contaminazione. Ecco che l’uomo, sempre più dipendente in ogni suo atto da strumenti tecnici, vive la sua sottomissione come nudità e separazione, come scrive appunto Vitta [1996].

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PARTE 2// il potere degli oggetti

U

na delle prime proposte, all’avanguardia nella sua modernità, è la casa elettrica presentata alla IV Esposizione delle Arti Decorative e Industriali, nel 1933 a Monza, che costituisce un momento fondamentale della ricerca italiana nei confronti degli sviluppi tecnologici e progettuali già recensiti in altri paesi europei, e una proposta per quanto concerne lo standard del confort casalingo allora comunemente inteso. L’edificio, firmato dal Gruppo7, al di là della funzione specifica e dell’organizzazione razionale degli spazi, desta attenzione per il fatto che contiene “quanto di più moderno si sia fatto nel campo della tecnica degli apparecchi e impianti elettrodomestici”: ne fanno parte l’intera serie dei Primo Marelli – l’aspirapolvere, il lucidatore, il termoventilatore, il macinacaffè – mentre troneggia, monumentale armadio a due ante, il “silenzioso frigorifero automatico” – il Frigidaire – dotato “del famoso regolatore del freddo” e perfino di una “cantinetta”. Ma, sottolinea giustamente Polin [1982], “l’apparecchiatura elettrica è così profondamente collegata all’organizzazione della preparazione e cottura dei cibi, del loro passaggio al salotto, della lavatura dei piatti, ecc. che è necessario descrivere

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taccuino #6 verso la casa domotica da http://www.casaintelligente.info/

Elettrodomestici collegati in rete, luci, impianto di riscaldamento e climatizzatori che si regolano da soli attraverso sensori; gestione a distanza di funzioni di routine come annaffiare i fiori o azionare le tapparelle; sistemi di allarme che avvisano per cellulare o per e-mail. Questo presupposto funzionale è la vera novità proposta dalla domotica: la rete domestica può essere così gestita offrendo agli utenti un livello di comfort e di benessere superiori. Non si tratta più di suggestioni solo immaginabili, tutte queste sono soluzioni pronte da installare. Per relizzare la visione di Le Courbusier di una casa come “macchina da abitare”, più confortevole e sicura. Grazie ad una serie di moduli facilmente integrabili in ogni abitazione, è possibile attivare i propri scenari e monitorare le condizioni di tutti gli ambienti. E’ quindi possibile controllare non solo l’illuminazione, il clima interno, l’impianto antifurto ma pressochè tutte le operazioni domestiche. La casa intelligente rende l’ambiente eco compatibile: grazie all’accurato studio dei materiali che compongono l’arredamento e ad un efficace isolamento la casa richiede meno energia, consuma meno acqua e produce meno rifiuti di una casa normale.


PARTE 2// il potere degli oggetti

la cucina e l’acquaio acciocché si veda come la posizione stessa degli apparecchi in questa parte della casa conti quanto la loro esistenza”, ecco perché salotto, cucina, ufficio, acquaio sono collegati in un percorso ottimale, dotati ognuno di mobili ‘specializzati’ – dove vanno riposti gli acquisti a seconda dei diversi ‘generi’ – e di apparecchi destinati a specifiche funzioni. La crescente presenza di oggetti nuovi segnala, e in pari tempo incoraggia, drastici mutamenti nei modelli d’esistenza quotidiana: non solo le invenzioni si susseguono a un ritmo sostenuto nei settori dei trasporti e delle comunicazioni, ma perfino gli schemi abitativi si modificano grazie al proliferare di nuovi utensili. Un tempo era il salotto a esigere l’intervento dell’artigiano e dell’arredatore, ora sono sempre più la cucina o il bagno a richiedere l’acquisto di modernissimi prodotti industriali, frutto della tecnica più aggiornata. Tutto ciò avviene abbastanza rapidamente dalla seconda metà del secolo, quando l’elettrificazione si diffonde, la tecnologia delle infrastrutture domestiche (impianti idraulici e di riscaldamento) e quella degli apparecchi domestici si affina, gli standard abitativi mutano a livello di massa e contemporaneamente le famiglie si fanno più (copertina) Marguerite FENNER// Easy-Do Parties Electrically: 15 Party Ideas,Menus,Recipes/ 1960

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6/ oggetti delle meraviglie

piccole. La casa diviene, in misura crescente presso tutti i ceti, uno spazio non solo privato, ma articolato e da arricchire. Anche le differenze tra le tipologie della casa urbana e rurale tendono a ridursi, talvolta a vantaggio della seconda, nella misura in cui tutti possono usufruire di spazi più grandi. In queste trasformazioni emerge un’immagine di vita privata familiare che ha ormai spazi e scansioni canonici: ove il dormire è separato da altre attività; ove l’igiene personale richiede spazi sempre più articolati e arredati per soddisfare non solo bisogni di pulizia e funzionalità, ma di estetica e confort; ove cucinare è un’attività frequente e complessa, che richiede molte attrezzature, e perciò spazi; ove occorrono sempre più spazi non solo per i beni di consumo ma anche per gli attrezzi di manutenzione dello stesso spazio domestico.

A

nche se con un’industrializzazione tardiva, in Italia è a partire dagli anni Cinquanta che si registra il boom economico che fa del nostro paese una potenza industriale. Ma il vero cambiamento è il crescere di uno strato sociale intermedio d’imprenditori: è la figura del piccolo e medio borghese, lavoratore, ricco d’iniziative,

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PARTE 2// il potere degli oggetti

IL POSSESSO DI OGGETTI E IL CONSUMO COSTITUISCONO UN MOTERE DI OMOLOGAZIONE SUL PIANO CULTURALE

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che è partito da zero e ora accede al benessere, alla piccola proprietà, allo stile di vita ‘moderno’. Il salto costituito dal passaggio della classe operaia e contadina da produttrici a consumatrici, porta anche a un solido affermarsi della società dei consumi: è l’epoca delle cambiali e del pagamento a rate che consentono la diffusione dell’automobile e dei nuovi elettrodomestici, appunto. Il possesso sempre più generalizzato di oggetti di tutti i tipi è qualcosa di più del raggiungimento del benessere, dello status symbol, o del modello americano, il consumo costituisce un enorme motore di omogeneizzazione anche sul piano culturale. Ecco che, improvvisamente, la società italiana conosce in un brevissimo volger d’anni una rottura davvero grande con il passato: nel modo di produrre e di consumare, di pensare e di sognare, di vivere il presente e di progettare il futuro. E’ messa in movimento in ogni sua parte: esprime energie e potenzialità economiche diffuse, capacità progettuali, ansie di emancipazione differenti, e di diverso segno. I fattori che determinano tale svolta sono molteplici e da ricercarsi in ambiti differenti: uno di questi è senza dubbio la fine del protezionismo e l’adozione di un sistema di


IL MIGLIORAMENTO DELLE CONDIZIONI DI VITA NELLE CIVILTÁ MODERNE SAREBBE STATO IMPOSSIBILE SENZA QUELLA CONOSCENZA DI STANDARD PIÚ ELEVATI DIFFUSA DALLA PUBBLICITÁ. FRANKLIN ROOSEVELT, PUBBLICIZZARE IL SOGNO AMERICANO

6/ oggetti delle meraviglie

tipo liberista che rivitalizza il sistema produttivo italiano. In seguito alla fase economica positiva di cui l’Italia fu protagonista, la società cambia radicalmente e le condizioni di vita subiscono un notevole miglioramento dovuto all’aumento del reddito medio della popolazione, che permette a volte l’acquisto di beni di lusso, prima assolutamente fuori portata. I consumi aumentano con una rapidità mai vista e le possibilità finanziarie delle famiglie sono tali da permettersi un’alimentazione sana e ricca, vestiti, un’abitazione e perfino l’automobile. In molte case italiane sono anche presenti gli elettrodomestici di ultima generazione: phon, orologio, stufette elettriche, frullatori, che cambiano definitivamente le abitudini degli Italiani. Contemporaneamente, si rivengono i germi di un modo di vivere quanto mai imprevedibile, instabile, libero, sia nelle classi più popolari sia in quelle via via più elevate. Si fa strada un costume individuale maggiormente predisposto al cambiamento e alla ricerca di gratificazioni rapide, anche se poco garantite. Si tratta di una sorta di ‘americanizzazione’, quasi che tutti, anche se impoveriti, si sentissero abilitati a tentar fortuna fuori dalle tradizionali suddivisioni di classi e di ruoli.

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PARTE 2// il potere degli oggetti

L

’immagine dell’Italia che cambia si esplicita anche mettendo a fuoco solo il tema dell’aiuto domestico, dal grande elettrodomestico al piccolo. Così, negli anni Settanta, il quotidiano Il Sole 24 ore poteva addirittura titolare: “Gli elettrodomestici sono per l’Italia quello che gli orologi sono per la Svizzera”, mentre il Financial Times arriverà a paragonare questi due prodotti per la loro perfezione. Sempre nello stesso periodo, è proprio l’elettrodomestico che diventa il dono più alla moda, quello che “più si addice alla gente della nostra epoca”. Malgrado disuguaglianze non trascurabili, tutte le classi sociali sono state catapultate nelle ‘meraviglie’ della società dei consumi: la percentuale sempre maggiore di salariati, l’impatto dei mezzi di comunicazione di massa, il ruolo della pubblicità e della standardizzazione, hanno contribuito a determinare una certa uniformità degli stili di vita. La sete di consumo è stata intensificata dal ricordo lontano delle difficoltà degli anni Trenta e da quello, più vicino, delle privazioni di guerra. Il principale segno che c’è dato cogliere è, pertanto, quello del benessere e soprattutto del consumismo, come fenomeno non solo di quantità ma di modo diverso di acquisire, fruire, pensare

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L’AVANZA CLASSI M DEL POTE E LA MAG REDDITI SOCIALE GLI STILI PAOLO D


6/ oggetti delle meraviglie

famiglia anni ‘60

il rapporto con le cose. L’analisi dei consumi mostra indiscutibilmente uno spostamento di attenzione dai generi di sussistenza di prima necessità verso voci diverse, che riguardano l’arredo e lo spazio dell’automazione o agevolazione dei servizi domestici, lo sviluppo dei mezzi di trasporto in proprio, senza contare il miglioramento delle comodità e apparenze del guardaroba, peraltro contenute di solito entro quelle forme classiche ‘convenienti’, legate alla specificità di ruoli e di mestieri, che si riallacciano a un’eredità vittoriana. Come sostiene Gauthier [1998], il consumo non ha come scopo solamente la soddisfazione dei bisogni, esso ha anche altri significati: il gusto della “gratuità” (desiderio di oggetti inutili o gadgets) o, per alcuni sociologi, l’appagamento di un’insoddisfazione latente e l’affermazione di una posizione sociale (nozione di standing). Alcuni consumi hanno, infatti, un carattere discriminante, nella misura in cui, per un certo periodo, essi rimangono appannaggio esclusivo di una minoranza, nell’attesa di generalizzarsi e di essere sostituiti da altri nel loro ruolo di status symbol. Ogni decennio ha visto alcuni prodotti giocare questo ruolo: l’automobile, la televisione, la lavatrice o le vacanze al mare negli anni ’50;

ATA DELLE MEDIE,L’AUMENTO ERE D’ACQUISTO GGIORE DISPERSIONE DEI COMPORTANO UN’EVOLUZIONE VERSO UNA SOCIETÁ IN CUI SONO DI VITA A CONTARE DI PIÚ. DELL’AQUILA

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PARTE 2// il potere degli oggetti

la seconda casa, la cinepresa, la lavastoviglie o le vacanze in montagna negli anni ’60; la barca, la televisione a colori, il congelatore e le vacanze all’estero negli anni ’70. Nel Sistema degli oggetti, Baudrillard [1972], pone appunto la “questione di sapere come gli oggetti sono vissuti, a quali esigenze oltre a quelle di funzionalità rispondano, quali strutture mentali s’intersechino a quelle funzionali e le contraddicano, su quale sistema culturale, intra- o transculturale sia fondato il loro vissuto quotidiano”. Gli oggetti possono, infatti, diventare indicatori non solo delle scelte del gusto, delle condizioni sociali, ma delle pulsioni e delle passioni umane. Allo stesso modo si apre anche al mondo irrazionale dei bisogni: ciò che determina l’oggetto è il fatto di essere prodotto, consumato, posseduto, personalizzato. E questo fa si che “il sistema degli oggetti, contrariamente al sistema della lingua, non possa essere descritto scientificamente se non nella misura in cui lo si considera come risultante dell’interferenza continua di un sistema di pratiche su un sistema di tecniche” [Id.]. D’altra parte, è nella casa che si raccolgono quasi tutti gli oggetti del sistema, pertanto l’interno domestico viene analizzato come luogo in cui si rendono visibili le

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6/ oggetti delle meraviglie

Lo specchio è un “oggetto d’ordine simbolico”, vale come nostro riflesso e alter ego, e l’orologio si assimila al battito del nostro cuore e ci rassicura nell’intimità domestica.

trasformazioni delle relazioni umane, di cui costituiscono le personificazioni. Contrariamente a quanto avviene nella società dei consumi, i mobili e gli oggetti della casa diventano neutri e funzionali: perdono “la sostanza che li fondava, la forma che li bloccava, e attraverso cui l’uomo li annetteva alla propria immagine: ora è lo spazio che gioca liberamente tra di essi e diventa funzione universale dei loro rapporti e valori ” [Id.]. Interessanti sono, pertanto, le osservazioni sulla sparizione di specchi e orologi, che istituivano gli uni la chiusura e introiezione dello spazio, gli altri la permanenza e l’introiezione del tempo. Non c’è più posto per loro quando muta l’idea di arredamento: “non si tratta più di innalzare un teatro di oggetti o di creare un’atmosfera, ma di risolvere un problema, dare una risposta più raffinata a un incastro di dati, mobilitare uno spazio” [Id.]. Qui gli oggetti non ci riflettono, organizzano e comunicano. L’uomo cessa di mischiarsi alle cose e di investirle della propria immagine per “proiettare ad esse il proprio gioco, calcolo, discorso, e investire questo gioco di un messaggio volto agli altri, ma anche a se stesso” [Id.].

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MERCE DENTRO E FUORI LE CASE


Michael Vincent MANALO// The Anchorman, 2010


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MERCE DENTRO E FUORI LE CASE

7/ merce dentro e fuori le case

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a complessità della merce – come realtà e insieme finzione, oggetto concreto e oggetto idealizzato dalla nostra immaginazione, oggetto funzionale e oggetto simbolico – è stata espressa sin dall’antichità attraverso leggende quali le prodigiose invenzioni di Efesto, la nascita di Pandora o lo struggente amore di Pigmalione per la sua statua. In seguito, la tendenza delle favole pagane ad antropomorfizzare animali e cose si è inserita nella sovrapposizione tra ritmi metropolitani e proliferazione di merci. Molte narrazioni dell’industria, molti generi della letteratura e del cinema hanno ripreso dall’Ottocento in poi il tema della vita incarnata negli oggetti: primo tra tutti il Mago di Oz, frutto di un’immaginazione interamente conformata allo splendore delle vetrine e al valore religioso delle merci, ai sentimenti umani e alla ricerca della felicità. Tale razione

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PARTE 2// il potere degli oggetti

Carosello/ 1957

quotidiana d’immagini e desideri è stata alimentata da un unico oggetto, tanto piccolo quanto potente, la televisione: nessuno strumento ha avuto un ruolo così rilevante nel mutamento molecolare della società quanto questa ‘scatola dei sogni’, che entra nelle case degli Italiani nella seconda metà degli anni Cinquanta, dopo circa vent’anni di sperimentazioni. Ciò che è maggiormente interessante è come un oggetto diventi portavoce di altri oggetti, ormai merci, con una propaganda continua che trascina le cose nelle abitazioni ancor prima di essere acquistate e usate. Nel 1957 comincia la programmazione di Carosello, uno spettacolino di due minuti in cui con scenette comiche si allude a un prodotto per poi citarlo esplicitamente solo nei quindici secondi finali del programma, vincoli che obbligano i pubblicitari italiani a inventare situazioni e linguaggi assolutamente originali rispetto alle consolidate tecniche espressive che prevalgono nel resto del mondo industrializzato, e che portano a un interesse senza precedenti: è un appuntamento che nessun bambino che vive in una casa con il televisore – una minoranza inizialmente – vuole perdere, anche se la sua messa in onda coincide inesorabilmente con il momento di

LA PUB SU UN’ FEL CO É NUO

PUBB SAL CHE T VOCE COSA T FATT

D MA 196


BBLICITÁ SI BASA UNICA COSA: LA LICITÁ. E SAPETE OS’É LA FELICITÁ? UNA MACCHINA OVA, É LIBERARSI DALLA PAURA, É UN CARTELLONE BLICITARIO CHE TI LTA ALL’OCCHIO E TI GRIDA A GRAN CHE QUALUNQUE TU FACCIA É BEN TA, E CHE SEI OK.

7/ merce dentro e fuori le case

andare a letto. Ecco che l’universo degli oggetti ha dato vita a una nuova natura: la rappresentazione delle cose. A spingere l’individuo all’acquisto e a persuaderlo dell’importanza, nella sua vita, del possesso di beni, di consumo o di lusso, è proprio la pubblicità: attività di propaganda, volta a far ottenere a un determinato prodotto la preferenza del pubblico, genera ben presto un ‘gusto’ collettivo. Sostenuta dal potenziamento dei grandi mezzi di comunicazione di massa e dal confluire di fattori scatenanti – come l’aumento della produzione di massa, manovrata da un’organizzazione capitalistica, e di una cultura di massa, che ne sancisce gli obiettivi – all’inizio, la pubblicità è tesa prevalentemente a divulgare maggiori informazioni al consumatore sull’esistenza di un dato prodotto e sulle sue qualità. Con il passare degli anni mira, però, più che a informare, a persuadere i potenziali acquirenti della necessità di comprare solo quel determinato prodotto, abbassandosi, nella scomoda visione del marketing, al ruolo di puro orientamento del consumatore. Negli anni Sessanta lo stile di vita consumistico su modello americano s’impadronisce dell’italiano medio e la pubblicità si sbizzarrisce per

DONALD DRAPER, AD MEN/SERIE TV 197


PARTE 2// il potere degli oggetti

promuovere sempre nuovi consumi occupando tutti i media disponibili: i giornali, le riviste, la radio e, per prima, la televisione, diventano casse di risonanza dei nuovi prodotti immessi sul mercato.

R

igidamente in bianco e nero e ingessata da regolamenti moralistici e puritani, tuttavia la ‘prima’ televisione rappresenta un potente strumento di omogeneizzazione culturale e di diffusione di comportamenti e stili di vita nuovi. Innanzitutto porta gli italiani a imparare finalmente a parlare la loro lingua: tra i primi programmi TV, Non è mai troppo tardi – condotto dal maestro e pedagogo Alberto Manzi – insegna a leggere e a scrivere. Infatti, nonostante l’unificazione nazionale oramai consolidata, ogni comunità continua a parlare il proprio dialetto, cui affida le ragioni della propria identità e la propria cultura. Con la televisione ecco arrivare nelle case di tutta l’Italia, gli stessi messaggi, sulla scia di quanto avevano cominciato a fare fra le grandi masse la radio e il cinema, e così il flusso delle informazioni finisce per far cadere le barriere tra i modi di vita e di pensare fino ad allora rigorosamente incomunicanti. Sulle prime, a causa

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il mio

nome è

TELEVISORE,

per gli amici TV,

ma c’è anche chi mi chiama ‘scatola dei sogni’... sono

un oggetto come tanti che però è capace di parlare di altri

oggetti : attraverso di me sono proposte cose nuove, che fanno

sgranare gli occhi ai bambini e contare le monete nei portafogli ai

papà, che faccio entrare nella casa ancor prima che siano comprate. racconto anche storie, do notizie, faccio ridere ma anche piangere,

insomma riesco a fare un po’ di tutto, ma la cosa che più mi piace, e

quella che secondo me mi riesce meglio, è fare stare le persone insieme : è come se il mio angolo fosse il punto principale della casa, quello dedicato alla comunicazione e all’incontro... ed ecco che dopo cena tutta la famiglia si riunisce intorno a me e

mentre loro stanno a guardarmi, io guardo i loro sguardi incantati e speranzosi e vivo delle loro emozioni.


casa espande i confini al mondo, in un unico labirinto di merci abitante inserito in una società massmediale, identifica la propria immagine, per sé e per gli altri, con le cose che possiede oggetto promosso attraverso la pubblicità, cessa di essere prodotto e diventa merce, autonoma e capace di esprimere significati e linguaggi sociali

anni settanta con la comparsa delle merci dentro e fuori le case si aprono le porte alla globalizzazione dei modelli di vita e dei desideri, che modificano lo statuto profondo della società ma anche gli schemi comportamentali, come l’abbattimento di ogni formalità


7/ merce dentro e fuori le case

tv in piazza/ puntata di Lascia o raddoppia?, 1954

dello scarso numero di apparecchi presenti sul territorio nazionale, favorisce anche l’instaurazione di nuove occasioni d’incontro: Lascia o raddoppia?, il programma a quiz di Mike Buongiorno, scatena tali passioni di massa che le folle si radunavano nei bar per seguire il sogno più vero delle vittorie o sconfitte dei propri vicini, di quelli come loro. L’intervento fin nei luoghi e nei momenti più riservati del quotidiano della televisione, capace di offrire modelli di esistenza e, anzi, di valutarli, giudicarli, accompagnarli, con approvazione o condanna, ha modificato e soprattutto uniformato intere generazioni. Se da un lato avvicina e spersonalizza modi individuali di pensare e di sentire, per altri versi agisce però nel disgregare, nell’isolare. Progressivamente la tv impone un uso passivo e familiare del tempo libero a scapito delle relazioni di carattere collettivo e socializzante che, alla lunga, modifica profondamente i ruoli personali e gli stili di vita, oltre che i modelli di comportamento. Negli anni Settanta gli apparecchi si contano a decine di milioni, acquisendo così il potere di ridisegnare i luoghi della casa: non è più la cucina il punto caldo della comunicazione e dell’incontro, ma l’angolo del video. E questo vuol dire

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PARTE 2// il potere degli oggetti

che il medium di tutti, il divertimento più popolare non è più il cinema, e forse neppure lo stadio, ma la televisione, che alla fine del decennio, riesce a mandare in onda le prime trasmissioni a colori: il mondo delle merci e degli ‘oggetti di consumo’ spunta così colorato e imprevedibile da tanti angoli della scatola dei sogni. Non è più relegato nell’infantile teatrino serale come le favole, ma le televisioni commerciali diventano una realtà corposa, che non offre più programmi al pubblico ma pubblico agli sponsor e agli inserzionisti pubblicitari, trasformando la società in una società massmediale, legata a un mercato che scambia simboli, linguaggi, costruzioni di senso.

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a qui l’interesse che la semiotica, fin dai tempi delle analisi nuove e anticipatrici di Barthes e Moles, ha rivolto agli oggetti, mettendone in luce la valenza segnica, informativa e cognitiva. Gli oggetti costituiscono, infatti, un sistema comunicativo essenziale come il linguaggio, a esso parallelo e correlato. In essi, anzi, l’aspetto comunicativo ha acquisito sempre più peso, e in quelli di design è ricercato e voluto. Più che alla produzione, l’attenzione in una prima fase si è volta all’uso e alla

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7/ merce dentro e fuori le case

CENTRI COMMERCIALI COME NUOVI SALOTTI DELL’ INDUSTRIALIZZAZIONE

circolazione, terreno privilegiato d’intervento della sociologia che negli anni Sessanta connette gli oggetti al consumo, per mezzo del quale cambia lo statuto degli oggetti: la società degli oggetti è la società delle merci, che ne fa spettacolo del mondo. È nelle merci che comincia a emergere il carattere problematico dell’oggetto: ciò apre a incontri di più ambiti disciplinari, dalla semiotica al marxismo, al freudismo, all’analisi critica della società. In quest’orizzonte si possono iscrivere la riflessione di Benjamin [1986] sul feticcio della merce e il ‘sex appeal dell’inorganico’. Analizzando Parigi e i suoi passages, le gallerie commerciali coperte, in ferro e vetro, con il loro particolare intreccio tra lo splendore delle luci e lo sfavillio delle merci, definisce questi ultimi come i nuovi salotti dell’industrializzazione, spazio ambiguo in cui si mescolano interno e d esterno. Anche Maldonado [1987] parlando della casa scrive: “Strada e interno diventano parti di un unico labirinto, il ‘labirinto delle merci’ della società borghese”. La società massmediale e tecnologica, con le sue forme di comunicazione e i suoi oggetti, dal telefono alla radio, è al centro poi dell’analisi di Horkhaimer e Adorno [1966]. La società, scrivono

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PARTE 2// il potere degli oggetti

in Dialettica dell’illuminismo, è caratterizzata da tre particolari fenomeni: l’aumento dello stato di benessere, l’indebolimento dell’individuo e il rafforzamento delle spinte sociali. L’enorme crescita dei beni di consumo si sviluppa secondo una logica finalizzata solo a se stessa, con l’esclusivo obiettivo della propria dilatazione. L’individuo, trovatosi da un lato in condizioni materiali migliori, scopre contemporaneamente dall’altro la propria capacità a controllare il sistema produttivo. Responsabile di tutto ciò è la struttura sociale caratterizzata da conformismo e appiattimento: nella sfera del consumo sono all’opera la logica delle merci e la razionalità strumentale. Il tempo libero, la cultura, l’arte sono filtrati anch’essi attraverso Il pessimismo dei due l’industria culturale, che è lo strumento di cui la società filosofi ha dato presto avvio si serve per rendere permanente questo stato di cose. ad un lungo dibattito: Walter Benjamin, pur condividendo In tal modo, la crescente supremazia del valore di la posizione adorniana sulla scambio non soltanto affievolisce il valore d’uso delle “razionalità illuministica”, ha cose, ma permette alla merce di assumere un valore individuato proprio nel processo surrogato, un valore d’uso secondario, perciò le merci tecnologico e nei nuovi mezzi di sono disponibili per assumere una più vasta portata di comunicazione di massa, come associazioni culturali e illusioni. Attraverso la pubblicità la fotografia e il cinema, la leva per l’emancipazione sociale si mettono in relazione mondi del desiderio, della delle masse e per una possibile democratizzazione culturale.

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7/ merce dentro e fuori le case

Thomas MALDONADO Strada e interno diventano parti di un unico labirinto, il ‘labirinto delle merci’ della società borghese.

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PARTE 2// il potere degli oggetti

bellezza, dell’esotico e del benessere con i beni di consumo. L‘industria culturale, pertanto, in cui sfocia la dialettica dell’illuminismo, è lo strumento essenziale del dominio economico-sociale. Già Benjamin [1986], nella sua analisi dell’Art Nouveau, aveva osservato un contagio che trasforma tutto in messaggio pubblicitario. Horkhaimer e Adorno vanno più in là e vedono la città come un mercato di consumo e descrivono in paesaggio moderno come una pubblicità senza fine, fatta di pannelli pubblicitari, di segni e messaggi luminosi. Nel passaggio dal valore d’uso a quello di scambio c’è la volontà di una trasformazione del mondo: oggi “gli oggetti industriali sono ‘cose’ che si candidano all’universalità” [La Cecla, 1998]. La diffusione planetaria di certi oggetti ne fa un discorso universale. Sempre Benjamin sottolinea che la merce, divenuta ‘astratta’, cessa di essere un prodotto e un dominio dell’uomo per acquistare soggettività e vita autonoma. Gli oggetti subiscono uno scivolamento di significato, si presentano come altro da sé: è come se le cose avessero una vocazione inderogabile ad animarsi. Le merci diventano autonome, indipendenti, assumendo e nascondendo le relazioni sociali che le hanno generate;

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CA VER

LESTER: ÉS CA É IL TAPEZ ITALIAN ÉS LES DIVANO! QUEST MA PER

AM


AROLYN: LESTER, RSERAI LA BIRRA SUL DIVANO! E CON QUESTO?! SOLO UN DIVANO! AROLYN: QUESTO L SOFÁ DA 4.000$ ZZATO CON SETA NA... QUESTO NON SOLO UN DIVANO! STER: É ‘SOLO’ UN NON É LA VITA... TA É SOLO ROBA. TE É DIVENTATO PIÚ IMPORTANTE CHE VIVERE.

MERICAN BEAUTY

7/ merce dentro e fuori le case

essendo poi contemporaneamente anche oggetti veri e propri possono diventare anche merci feticcio, oggetti che hanno il potere di incantare. Ma non si tratta dello ‘sfavillio’ di Freud che seduce, ma di un nuovo tipo di feticismo, come acquisizione di un significato emotivo che deriva da altri contesti: esso è capace di conferire agli oggetti un carattere mistico, un valore inatteso, magico e totemico. È il mondo umano che si mostra attraverso le merci, che parlano il loro linguaggio e il nostro. Gli oggetti sono, infatti, sovraccarichi di valenze simboliche, e sono loro a essere sociali e ad andare in giro al posto degli uomini. Si animano fino a diventare merci feticcio, in connessione con l’attuale fase del marketing in cui “la merce perde la propria trasparenza simbolica, non rimanda più a uno status o a qualcos’altro, ma solo a un potere fascinativo irriducibile e primitivo” [Terrosi, 2000]. Lo statuto degli oggetti si misura sempre di più all’interno dei processi comunicativi fino a diventare pura comunicazione e visibilità; a ciò mira il complesso d’immagini di cui sono investite oggi le merci, nel processo della loro spettacolarizzazione. Lo spettacolo, infatti, – diceva già Deboard [1968] –

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PARTE 2// il potere degli oggetti

“è il momento in cui la merce è pervenuta all’occupazione totale della vita sociale”. I moderni centri commerciali, le ‘cattedrali delle merci’, sono dunque riproduzioni e concentrati spettacolari, ibridi in cui s’incrociano e si mescolano consumo, divertimento, tempo libero, comunicazione, media e sport. Ma per mettersi in scena la merce non svanisce né si dissolve in comunicazione: per diventare immagine ha bisogno della sua natura attrattiva di cosa e ha bisogno della proprietà dei luoghi, del loro potere identitario e del proprio. Di qui la nuova centralità sociale degli spazi di spettacolarizzazione, che rende i luoghi di consumo palcoscenici teatrali: oggi tutto sta diventando centro commerciale e luogo di eventi e comunità – centri storici, musei, aeroporti, stazioni, ‘piazze’ artificiali e non – per consentire costantemente alle merci di esercitare un ruolo spettacolare e comunicativo.

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prodotti di questa industria, meccanicamente differenziati, si rivelano sempre uguali: puntano esclusivamente alla standardizzazione, alla serializzazione, e in tal modo in tutto vi è un’aria di somiglianza, mentre

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pubblicità


7/ merce dentro e fuori le case

showroom Ikea /monorotaia Kobe, 2008

IDENTITÁ NON PIÚ NELL’UTILIZZO MA NEI MODELLI DELLA PUBBLICITÁ

l’insieme costituisce, a ben vedere, un sistema, in cui ogni settore è in armonia con tutti gli altri. Al bisogno delle cose si sostituisce in tal modo l’aspirazione ad esse: i vecchi cataloghi che illustrano i prodotti per tipologie d’uso lasciano il posto a invitanti figurazioni che conferiscono alle cose un’aura sottilmente affabulatrice. Si opera così una svolta radicale nella storia degli oggetti: l’identità strumentale dell’antico utensile viene offuscata da una nuova individualità, che non si da nel diretto rapporto d’utilità di un tempo, ma si affida interamente all’analogia dell’immagine pubblicitaria, del desiderio stimolato, del simbolismo della forma. La pubblicità distende sulle cose il seducente manto della pura immagine e ne occulta la fredda natura tecnica e la realtà di merce, sostituendo al concetto di uso quello di possesso. Così facendo, accentua l’alterità dell’oggetto, rendendolo tanto più inafferrabile quanto più lo mostra attraente: legata al consumo, il suo compito è in fondo quello di accendere un desiderio che il semplice acquisto non placa mai del tutto. In tal modo ogni oggetto d’uso assume una duplice personalità: nel principio immediato dell’utilizzo scompare come realtà materica per

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PARTE 2// il potere degli oggetti

riaffiorare solo nell’esito del suo funzionamento; nella sua alterità d’immagine indifferenziata, si eleva rispetto al consumatore come aspirazione insoddisfatta, che trova un suo precario equilibrio solo nella continua tensione dell’acquisto. Una delle conseguenze della produzione in serie è appunto la riduzione della qualità e – soprattutto nel mondo moderno – della durata delle cose, che ostacolano la loro permanenza nella memoria: “Uno dei caratteri fondamentali degli oggetti, una volta, era la loro permanenza […] Poi è accaduto esattamente il contrario, abbiamo cominciato a sopravvivere ai nostri oggetti, i quali muoiono prima di noi, non per deterioramento, dato che oggi potremmo farli veramente immortali; muoiono piuttosto per obsolescenza. Anzi non muoiono: funzionano benissimo, semplicemente vengono superati da altri oggetti più avanzati” [Del Giudice, 1985]. Con lo sviluppo delle tecnologie, entrano in scena oggetti diversi da quelli di un tempo: i nuovi materiali derivati dal petrolio rendono quasi impossibile risalire alla vera natura delle cose. La loro fonte, gli idrocarburi, formatisi in un milione di anni, è in un futuro breve destinata a esaurirsi, ma i residui delle loro lavorazioni, al pari di quelli

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7/ merce dentro e fuori le case

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PARTE 2// il potere degli oggetti

di determinati minerali, dureranno più di quanto non vorremmo. Allo scopo di far durare se stessa la società dei consumi deve distruggere le cose durevoli. Non vi è una scomparsa lenta, ma una “perdita violenta” degli oggetti: “Il gusto acquisitivo e lo shopping costituiscono la premessa per tale opera di distruzione di ciò che si è comprato” [Baudrillard, 1976]. Anche se gli oggetti e i materiali scartati non vengono sempre distrutti, a volte sono rifunzionalizzati e riciclati: nelle nazioni industrializzate si ricavano tessuti in pile dalle bottiglie di plastica usate, come nell’Italia del dopoguerra le vecchie camere d’aria degli pneumatici erano usate come salvagente per fare il bagno. Sia la vita sociale che quella privata risultano così intasate di oggetti, vecchi, nuovi e riutilizzati. Come afferma Vitta [1996] “un fitto velo di cose ricopre il nostro mondo. Una nuvola indifferenziata di oggetti ne offusca l’orizzonte. Essa riluce degli attraenti luccichii dell’oro e deli invitanti bagliori del piacere, sicché ben pochi rimpiangono la limpidezza del cielo stellato in cui Kant ci invitò a specchiarci. Ma in questa nube ogni cosa si equivale. La fantasmagoria delle grandi esposizioni si è frantumata in mille episodi quotidiani.

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7/ merce dentro e fuori le case

L’universo dei grandi magazzini, dei supermercati, degli ipermercati, ne diffonde dovunque la caleidoscopica immagine. Da quest’universo a quello degli spazi domestici il passo è breve: la ‘casa’ è ormai il luogo della saturazione. L’emancipazione delle masse dalla penuria non ne ha elevato il livello culturale; al contrario, ne ha intorbidato la coscienza e prodotto l’asservimento”. Ecco che come scrive Frémont [1976]: “Dopo aver prodotto l’indispensabile con l’agricoltura e il superfluo con l’industria, l’economia delle mercanzie offre l’inutile. Questo cambiamento è vissuto da alcuni come una straordinaria liberazione, da altri come un’angosciante alienazione”.

TUTTO IL NOSTRO PROGRESSO E LE NOSTRE INVENZIONI ATTRIBUISCONO UNA VITA INTELLETTUALE ALLE FORZE MATERIALI E MORTIFICANO LA VITA UMANA CON LA FORZA MATERIALE. CARL MARX

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OGGETTI COMUNICANTI


Amy CASEY// Point to point


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8/ oggetti comunicanti

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OGGETTI COMUNICANTI

li oggetti sempre di più appartengono al mondo dell’informazione e sono i protagonisti di una svolta che è stata definita epocale, in quanto la comunicazione è diventata l’elemento vitale del sistema: noi comunichia-mo attraverso gli oggetti e gli oggetti, ormai ‘intelligenti’, comunicano con noi e ci fanno comunicare con gli altri, in un sistema di relazioni – in rete – continuo. Sarebbe ingenuo, pertanto, pensare che ciò non sia connesso con profonde trasformazioni dei comportamenti e dell’ambiente, dal momento che gli oggetti sono il modo in cui ci interfacciamo con il mondo e lo costituiamo, per questo è destinato a cambiare le identità, le forme di socializzazione, oltre che il nostro modo di agire con le cose. Come abbiamo già detto, alla smaterializzazione fisica dell’oggetto postindustriale corrisponde la sua moltiplicazione nella forma illusoria

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PARTE 2// il potere degli oggetti

della pubblicità. L’informazione pubblicitaria delle cose ne sostituisce il possesso rilanciandolo nella sfera del desiderio: l’immagine visiva ne fissa i contorni astratti intorno ai quali, come un’aureola luminosa, balenano le promesse di un utilizzo felice. Tuttavia l’immagine dell’oggetto si pone ormai come nucleo della funzione pubblicitaria solo in quanto riflesso di quella del soggetto, che non vi si specchia, ma si adegua. L’ha notato Perniola [1983]: la pubblicità non punta tanto all’immagine dell’oggetto offerto, quanto a quella del consumatore, vale a dire del soggetto. Perciò la domanda del consumatore e il suo “investimento libidico” riguardano sempre di più esclusivamente “l’immagine di se stesso che gli è proposta dalla pubblicità”. Così, al surrogato dell’oggetto si contrappone il surrogato del soggetto, in un vano rincorrersi d’insignificanze a livello planetario. Uno degli altri effetti della comunicazione e della globalizzazione, è lo svincolarsi degli oggetti dal territorio, e – già negli anni Ottanta – l’avere a che fare con prodotti che si presentano come ‘glocali’ in quanto, pur provenendo dal locale, s’impongono sulla scena globale e sono ‘senza confini’. Significative in proposito sono le scene di Good

Nagao TOMOKO // HOKUSAI The Great Wave off Kanagawa with Mc, Kikkoman, cup noodle, kyupie

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8/ oggetti comunicanti

Bye Lenin!, un film del 2003 diretto da Wolfgang Becker, che racconta la vicenda della transizione dall’Europa della guerra fredda a quella contemporanea con un linguaggio molto originale e utilizzando la dimensione dei consumi (e del consumismo) come chiave di lettura per raccontare la storia di una donna, socialista militante, che entra in coma pochi giorni prima della caduta del muro di Berlino. Al suo risveglio nulla è più come prima. Berlino è vittima di una schiacciante occidentalizzazione: i manifesti pubblicitari della Coca-Cola tappezzano le sue pareti come quelle di una qualunque altra città europea e americana, i fast-food e gli hamburger imperano, nei supermercati non v’è più traccia dei prodotti di marchio tedesco. Da qui il tentativo del figlio di inscenare un ‘mondo dove nulla è cambiato’, per ridurle il trauma dell’improvviso mutamento della società e dei costumi. Gli oggetti diventano così, in maniera repentina, portatori di nuovi valori, che si sono configurati grazie ad essi, mostrando modi diversi d’intenderli ma soprattutto un modo diverso di relazionarsi nello spazio, di abitare, di viaggiare, di porsi nei confronti della società. Da qui prendono avvio comportamenti sociali rilevanti il modo di organizzare la

e and kitty / 2012

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PARTE 2// il potere degli oggetti

SIAMO RIMASTE SOLO IO E LA CUCINA. MI SEMBRA UN PO’ MEGLIO CHE PENSARE CHE SONO RIMASTA PROPRIO SOLA

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casa, di vivere il tempo e il proprio corpo. Il domestico è, appunto, il luogo privilegiato dove poter osservare gli oggetti e anche il trasformarsi del Sé in oggetti, e viceversa. Ecco la presenza di cose, che si offrono alla visione non come materia inerte o semplici strumenti, bensì come attori. Banana Yoshimoto [1991], scrittrice giapponese contemporanea, ha esordito con un racconto nel quale gli arredi di una moderna abitazione hanno un ruolo cruciale. Il titolo stesso dell’opera – Kitchen – definisce la centralità delle cose nell’esperienza dell’io narrante: “Non c’è posto che io ami più della cucina. Non importa dove si trova, come è fatta: purché sia una cucina, un posto dove si fa da mangiare, io sto bene. […] Siamo rimaste solo io e la cucina. Mi sembra un po’ meglio che pensare che sono rimasta proprio sola”. Ecco come gli spazi cominciano a perdere la loro consistenza e servono a parlare di chi li vive senza rappresentarli: la cucina che, in questo caso, è simbolo dell’evoluzione del personaggio, ma anche della trasformazione in atto nei modelli abitativi giapponesi. Lo spazio dell’appartamento è indeterminato, in una modernità astratta, in cui i mobili fluttuano in un vuoto che non rappresenta né le abitazioni tradizionali giapponesi


8/ oggetti comunicanti

né quelle geometriche e funzionali dell’occidente. È un vuoto che compenetra i mobili stessi, che sembrano materializzarsi da un mondo distante e conosciuto solo grazie a raffigurazioni e descrizioni: “Entrai. Era davvero uno strano appartamento. Nel soggiorno, che era un tutt’uno con la cucina, l’occhio correva subito a un immenso divano. Di fronte ai mobili che contenevano gli arnesi da cucina non c’era né un tavolo né un tappeto, solo il divano. Aveva un rivestimento beige e sembrava uscito da uno spot pubblicitario. Veniva da pensare a una famiglia al completo seduta a guardare la tv e disteso accanto a un cane, di quelli enormi che in Giappone non esistono. Insomma era un divano fantastico” [Id.]. L’oggetto contemporaneo appare qui, nell’istantanea sintesi letteraria, in tutta la sua inconsistenza. Non più strumento né prodotto né valore, è presente come pura illustrazione di sé. Non è un divano né l’immagine di un divano. Non è simbolo sociale né un dato culturale. E così si potrebbe continuare all’infinito: l’oggetto non è identificabile perché, straniero nello spazio della casa giapponese, si presenta come un generico messaggio, proiettandolo in una dimensione di assoluta alterità, un

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PARTE 2// il potere degli oggetti

essere-in-sé che non esclude la varietà delle relazioni col soggetto, ma le oltrepassa. Dalla narrazione letteraria traspare così la situazione degli oggetti contemporanei, prodotti per un mercato planetario e indifferenziato, svincolati da ogni relazione con i luoghi della produzione e dell’uso, deprivati della loro concretezza dalla pubblicità. Eppure la protagonista si sente a proprio agio in quella casa, proprio perché è insicura e vaga come la sua vita. Come ci spiega Vitta [1996], mutando la logica della produzione degli oggetti è mutata anche la logica del nostro rapporto con essi. La mobilità con la quale guardiamo alle cose decide la loro instabilità – e viceversa. Dunque l’antico legame che ci àncora agli oggetti non si è infranto, ha solo cambiato segno: l’in-differenza dei valori trova il suo corrispettivo nell’in-differenza delle cose. La dilatazione del mercato ha annullato le distanze geografiche, colmato le fratture storiche e, soprattutto, ha imposto al mondo la sua ‘forma’, con la mediazione della pubblicità. Automobili, televisori, computer, orologi o divani ricoprono così il mondo sotto un velo uniforme di oggetti a cui tutti – o quasi – possono attingere. Ma proprio in quest’universalità l’oggetto ha perso il suo

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STIAMO ASSISTENDO ALLA CRESCITA DELLE COMPONENTI COMUNICATIVE ED ESPRESSIVE D DEI PRODOTTI, NON PIÚ DEFINITI DA UN INSIEME DI PRODOTTI CHE SVOLGONO LA MEDESIMA FUNZIONE D’USO, MA DA TUTTO CIÓ CHE PUÓ ENTRARE IN CONCORRENZA SIMBOLICA.

8/ oggetti comunicanti

interlocutore, la sua identità, le sue radici, persino la sua materia. La tecnologia, sempre più sofisticata, e la pubblicità l’hanno trasformato in una sorta di oggetto metafisico, che si pone sempre al di là dell’esperienza, pur sollecitandola di continuo. a ciò deriva che non sono i beni in sé che significano, ma i sistemi di beni: il significato sta nelle relazioni. Nessun oggetto ha significato in sé, ma lo acquisisce per differenza nel sistema di beni di cui fa parte, come mediatore del rapporto del soggetto con se stesso. La comunicazione è, infatti, scambio di oggetti di valore, contrattazione tra attori sociali, per cui la realtà, le cose, gli stessi soggetti si danno gli uni in relazione agli altri attraverso procedure di negoziazione. Tramite le cose, ciò che circola sono essenzialmente i valori, determinati dalla relazione tra oggetto e soggetto. L’atto di consumo è allora un atto comunicativo, in quanto da un lato è “congiunzione con un oggetto che porta con sé dei valori di comunicazione”, mentre anche, dall’altro, permette al soggetto di “esprimere un comportamento significante” [Ceriani, 2001]. Il mondo tardomoderno riversa così

VANNI CODELUPPI

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PARTE 2// il potere degli oggetti

NON SI CONSUMANO OGGETTI MA SEGNI

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l’oggetto nel segno, determinando la sua perdita d’identità: viene comprato e consumato in funzione di qualcos’altro. Anche la funzionalità stessa è trattata come segno e può traslare da funzionalità delle prestazione a comunicazione di funzionalità: non qualifica ciò che si adegua a uno scopo, ma quello che si adegua a un sistema. L’oggetto non parla la propria lingua, ma un’altra, diventa cioè messaggio, sfociando più facilmente nel consumo, che non è un’attività materiale, ma “una modalità attiva di rapporto non soltanto con gli oggetti ma con la collettività e con il mondo” [Baudrillard, 1972]. Non si consumano così oggetti ma segni, che devono essere consumati non nella loro materialità ma nella differenziazione; in questo processo l’uomo si annulla nell’oggetto e ne prende il suo posto. Anche De Certeau [1990] sostiene che il consumo non è solo un’attività, ma un processo di produzione di senso: comporta uso e interpretazione mediante i quali è possibile anche riappropriarsi delle cose. La stessa produzione non è più avvertita come frutto di una visione alienata del rapporto di sfruttamento come avveniva parzialmente – o per scoperta critica o per ‘opposizione’ – negli anni Sessanta, ma come processo complesso


8/ oggetti comunicanti

taccuino #7 io consumo da http:http://www.kapusons.com/

Il consumatore degli anni Novanta sembra dotato di maggiore indipendenza e capacità critica nei confronti della pubblicità e delle promesse consumistiche, pur non sfuggendo alla logica della personalizzazione simbolica dell’acquisto. Il consumatore esprime un’esigenza di consumo sempre più differenziata e mutevole nel tempo e inoltre effettua le proprie scelte in base a più criteri. Si afferma un azione di consumo più equilibrata e tendente all’autoregolazione: la morale del “Je me pilote” caratterizza il cosiddetto egobuilding, ovvero il tentativo di costruirsi un “Io” attraverso il consumo. Questo fenomeno di individualizzazione del consumo, colpisce senza distinzione tutta la sfera dei consumatori, generando una vera e propria “società individualista di massa”. Non bisogna però pensare che il prodotto, come il soggetto, abbia un’identità debole, ma piuttosto che essa sia diventata molteplice e polisemica. O meglio, più che i prodotti, è la comunicazione pubblicitaria che può riuscire ad operare in maniera polisemica: può riuscire a contenere una dose sufficiente di ambiguità semantica tale da consentire degli apporti proiettivi e delle interpretazioni personali da parte dei consumatori.

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PARTE 2// il potere degli oggetti

I CONSUMATORI POSSONO CONSIDERARE I PRODOTTI E LE MARCHE COME DELLE PERSONE E RICERCARE PERCIÓ CON ESSI QUELLE VALENZE PSICOLOGICHE ED AFFETTIVE E QUELLE SODDISFAZIONI INTERIORI CHE NON RIESCONO PIÚ A TROVARE NEI LEGAMI DI TIPO INTERPERSONALE. JOSEPHINE KLEIN

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8/ oggetti comunicanti

tutt’altro che unidirezionale o tutt’al più bipolare: esso comprende e mette in atto processi e attori diversi. Gli oggetti nel consumo non solo ci illuminano sui comportamenti, sui valori, sulla realtà sociale, ma danno loro esistenza e visibilità. Proprio per lo stretto legame che li collega alle dinamiche sociali, e, quindi anche all’azione e al cambiamento dei valori e stili di vita, gli oggetti sono al centro della scena sociale. Non ci dicono solo com’è una società, ma ci aiutano anche a capire i cambiamenti in atto, perché è per loro tramite che avvengono e si manifestano. “Le cose non esistono senza essere piene di uomini, e più sono moderne e complicate e più gli uomini vi pullulano”, dice Latour [1999]. Gli oggetti sono inseriti in una fitta rete di relazioni intersoggettive e interoggettive e sono attivi nei confronti del soggetto: agiscono sul corpo, sulla mente, sul tempo e sullo spazio. Per questo, oggi, tendono a venire in primo piano le logiche d’uso, le strategie di appropriazione, i vissuti, le reti relazionali che gli oggetti permettono di creare, e a esse s’ispira anche la loro messa in forma.

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PARTE 2// il potere degli oggetti

E

ssendo cambiato lo statuto dell’oggetto, la sua duplice natura di oggetto-funzionale e oggetto-segno non basta più a definirlo. L’oggetto è ora un moltiplicatore di attività sensoriali che si allontanano dalla precedente natura di prolungamento fisico e instaurano con noi una sorta di colloquio. Il nuovo oggetto è uno strano doppio sempre più vicino alla nostra fisicità e individualità. E questo cambia il nostro sguardo, coinvolgendoci nuovamente in un rapporto emotivo con l’oggetto. L’attitudine a intrattenerci con una certa affettività agli oggetti, e non più con la loro manualità, ci porta persino a volte a parlare e arrabbiarci con quegli essere inanimati che sono le cose. Ci occorre allora riflettere su come sia mutato il nostro mondo esperienziale e noi stessi, e anche sulle differenze tra l’antica affettività e la nuova, che ci collega agli oggetti. L’interazione non riguarda più la loro materialità ma la loro sensibilità, che fa degli oggetti non più l’altro, ma il doppio, una straniante oggettivazione della nostra mente e della nostra affettività. È anche attraverso essi che si fa visibile la ‘nostalgia del presente’, la visione del futuro popolata di oggetti del passato, e ciò non riguarda solo la storia pubblica e collettiva, ma quella individuale.

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8/ oggetti comunicanti

prodotti Alessi

Dagli anni Novanta, si è aperta la tendenza a enfatizzare ulteriormente le proprietà sinestetiche degli oggetti: sono oggetti-giocattolo, tattili, sensuosi, per i quali si esplorano le proprietà delle plastiche e il piacere del colore con la sua multivalenza simbolica ed emozionale. Sono oggetti pensati come piacere dell’oggetto, al di là del discorso estetico, stilistico, culturale, vogliono “riprodurre progettualmente il processo animistico dell’oggetto” proprio della rappresentazione del bambino e delle ‘culture primitive’ e di ogni infanzia [Polinoro, 1993]. Si mette l’accento sul ‘fare’ dell’oggetto, sulla relazione comunicativa e conoscitiva, perché è qui che, diversamente da quanto avviane nella relazione strumentale, l’oggetto è attivo verso il soggetto. “Gli oggetti raccontano una storia del fare. In una società dove la riconoscibilità individuale è legata al rapporto produzione-consumo, gli oggetti diventano i nuovi veicoli dell’immaginario, capaci di creare nel mercato nuove ‘famiglie’ e identità di consumi, nuovi luoghi di riconoscibilità e appartenenza, e capaci di costruire, oltre alla dimensione socioculturale, quella più intima della nostra identità di consumatori” [Id.]. Il riferimento è agli

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PARTE 2// il potere degli oggetti

teorizzati da Donald Winnicott, sono per il bambino una metafora del seno materno e assumono una vasta gamma di sfumature nella vita dell’adulto.

oggetti transizionali, configurati a esperienze, atti, riti che hanno a che fare con tutte le forme di raffigurazione, ma anche di creatività. La forza attrattiva di questi oggetti risiede nell’inatteso che essi rappresentano rispetto alle forme canoniche degli oggetti: spodestano ogni corrispondenza morfologica formale fino a diventare presenze astratte della propria riconoscibilità come strumento.

U

n fenomeno che sembra non arrestarsi è la diminuzione degli aspetti fisici e tangibili a favore di quelli virtuali e immateriali, che interessa tutti i tipi di oggetti, diminuendo così di volume, di peso, di consistenza, come tendessero alla sparizione fisica per non essere altro che segnale elettronico o informazione pura. Nell’attuale sistema degli oggetti, infatti, le parti interne e i meccanismi si fanno sempre meno visibili e accessibili, sempre più aleatori. Alcuni oggetti sono solo un programma di software dall’interfaccia ridotta all’essenziale, cosicché l’oggetto stesso sembra dissolversi. Mentre altri sono solo una manciata di circuiti integrati, rivestiti da un guscio di plastica: il loro corpo è un gioco di

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Kyle BEAN// Mobile Evolution m


8/ oggetti comunicanti

matriosche di cartone/ 2012

SONY// Walkman TPS-L2/ 1979

superfici, che potrebbe essere diverso da com’è, poiché è appunto un simulacro, che mima o mette in scena la materialità dell’oggetto. Tutto ciò cambia non solo le loro forme e il loro funzionamento, ma il loro statuto e ruolo. E cambia anche il modo con il quale viviamo gli oggetti, che perdendo materialità, acquisiscono un maggiore valore simbolico e comunicazionale. La miniaturizzazione dei componenti non produce solo oggetti più leggeri e più piccoli, ma protesi corporee che tendono sempre di più ad aderire all’uomo, perdendo la loro tridimensionalità e diventando sempre più piccole, in modo da entrare in simbiosi con il contesto che li circonda e seguire fedelmente l’uomo ovunque vada. Tra i primi oggetto-nomade, possiamo riferirci al walkman, che non è solo un lettore di cassette, ma un modo di personalizzare la musica, che da utilizzo collettivo diventa individuale, facendo in modo che la musica arrivi dall’interno del nostro corpo. È stato definito “una tecnologia ambientale”, cioè un “dispositivo tecnico di gestione dei canali sensoriali” [Thibaut, 1999], un gestore di sensi, in quanto s’interpone tra il soggetto e il suo ambiente: interagisce con lo spazio metropolitano e connette o Il Sony Walkman originariamente era un lettore di musicassette creato da Akio Morita, Masaru Ibuka e Kozo Ohsone, e prodotto dalla Sony. Gradualmente si diffonde in modo tanto capillare che, nel linguaggio comune, il termine Walkman rappresenterà qualsiasi lettore di audiocassette portatile, anche se non prodotto dalla Sony.

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PARTE 2// il potere degli oggetti

separa lo spazio domestico da quello pubblico. Sono processi di deterritorializzazione e di riterritorializzazione, poiché moltiplicano e frammentano le sonorità nei paesaggi che si danno all’attraversamento. Secondo i propositi di cui parlavamo prima, anche il walkman di ultima generazione sta diventando sempre più piccolo, senza parti in movimento, completamente digitale, con i moderni lettori mp3. Ciò fa dell’oggetto qualcosa che tende a nascondersi nel cavo della mano o in una tasca, o a essere ‘indossato’ come avviene per i cellulari, che hanno perso lo statuto di oggetto tecnologico e manageriale e sono sempre più vicini alle protesi incorporate. Inoltre, l’attuale moltiplicazione di formati e colori, di opzioni che permettono di personalizzare l’oggetto sono interventi estetici connotativi, più che essere connessi al posizionamento dell’oggetto, allo status o alle prestazioni. E giacché i modelli si susseguono a distanza ravvicinata, la rapida evoluzione formale li collega ai tempi del settore della moda. Ormai le funzionalità sono livellate per tutti i modelli, che non vengono più acquistati per le loro caratteristiche quanto per la ricercatezza delle finiture e per l’attenzione ai piccoli particolari. Il loro

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8/ oggetti comunicanti

GLI OGGETTI NON SOLO SI SPOSTANO NELLO SPAZIO MA ABITANO IL NOSTRO CORPO, REALIZZANDO LA FUSIONE TRA SPAZIO REALE E VIRTUALE

diventare familiari e di moda fa tutt’uno con il fatto che la telefonia mobile ha rivoluzionato il modo di comunicare e di ‘vivere’: sempre di più abitiamo nei cyberspazi, e con l’accesso istantaneo a internet, il livello di comunicazione si amplia maggiormente, potendo scorrere le pagine web e giocare in borsa come col computer di casa. L’estrema e rapida diffusione rende testimonianza della pervasività di questo genere di oggetti. Il nomade tecnologico, come lo definisce Fiorani [2001], è certamente un figlio sempre in viaggio della globalizzazione, ma non è mai isolato dal mondo, è sempre connesso all’infrastruttura tecnologica. Senza di esso ci sentiamo ‘nudi’, come se le nostre capacità comunicative venissero ridotte. E dunque, gli oggetti non solo si spostano sul territorio, ma abbandonano lo spazio e abitano il nostro corpo, creando nuove spazialità e realizzando la fusione tra spazio reale e virtuale. Infatti, col passaggio dell’energia meccanica a quell’elettronica, il ‘macchinismo’ dell’età industriale è stato soppiantato dall’ ‘organicismo’ dell’età post industriale. Lo sviluppo della cibernetica, dell’informatica, della telematica ha trasformato radicalmente non solo le modalità di produzione degli oggetti, ma la loro stessa natura e,

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PARTE 2// il potere degli oggetti

dunque, il nostro modo di porci in relazione ad essi: per un verso sono misteriosi e incomprensibili, estranei alla nostra normale quotidianità per la composizione di materie sintetiche sconosciute e complicate regolazioni d’uso; per un altro verso sono intelligenti e interagenti, con i quali l’interazione ha superato l’inerte strumentalità dei vecchi utensili. L’oggetto postindustriale reclama dunque la sua autonomia, che non è la ribellione del dottor Frankenstein, ma un diverso statuto di servizio. In pratica, all’universo delle funzioni si è sostituito un universo della comunicazione. All’oggetto performativo è subentrato l’oggetto informativo, il cui risultato delle capacità operative è secondario; ciò che conta è il rapporto sul piano del linguaggio. Non si tratta però di segni, in questo caso la sua comunicazione è un ipercomunicazione: nel suo offrirsi alla visione l’oggetto è circondato da una moltitudine di significati – estetici, arredativi, di gusto, epocali, soggettivi, culturali – che ne moltiplicano le valenze. Come abbiamo già visto, Baudrillard [1987] ha seguito la trasformazione degli oggetti a partire dal tentativo di fissarne un ‘sistema’, ma l’operazione è fallita: il mutamento era troppo accelerato

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8/ oggetti comunicanti

per seguirne lo svolgimento. “Tutto è partito dagli oggetti, ma non c’è più un sistema degli oggetti. […] Tutto questo esiste ancora e simultaneamente scompare. La descrizione di questo universo proiettivo, immaginario, simbolico, era quella dell’oggetto come specchio del soggetto. […] Oggi, non c’è più scena né specchio, ma uno schermo e una rete. Non più trascendenza o profondità, ma la superficie immanente delle operazioni, la superficie liscia e operativa della comunicazione”.

S

eguendo questa scia, gli oggetti delle società postindustriali diventano sempre più superfici di comunicazione, che instaurano un dialogo con l’utilizzatore e si relazionano al corpo o alla mente. Allo stesso modo, instaurano nessi con lo spazio, ristrutturandolo e creando una nuova immaginazione del mondo. E ciò appunto fanno le nuove tecniche di visualizzazione, uno dei settori di maggiore innovazione: schermi piccolissimi ad alta definizione che possono essere inseriti, date le piccole dimensioni, in qualunque oggetto – esempio significativo di firme di derealizzazione del mondo –. La tecnologia del plasma e dei cristalli liquidi, unita all’uso di pellicole

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PARTE 2// il potere degli oggetti

tattili, porta alla diffusione massiccia del touch-screen: i tasti e le manopole spariscono o, meglio, s’integrano alla superficie, diventando personalizzabili, ridisegnabili a piacere. L’artificiale tende al continuum delle superfici, a superfici interattive, sensibili alla domanda, caratterizzate dalla rappresentazione teatrale, in una realtà che è già scena interattiva globale. La tecnologia sta dunque cambiando l’aspetto del mondo e lo fa anche nei luoghi d’interiorità e dell’io, come quelli degli interni e della casa, mutando il modo in cui opera la tattilità e il modo di prendere contatto: negli strumenti e negli oggetti di alta qualità le funzioni, anche se cessano di essere evidenti, non spariscono, dalla vista si mostrano invece al tatto. È dunque cambiato il rapporto uomo-oggetto e uomomacchina, diventando un rapporto tra sistema di segni e gestione di flussi informativi. Gli oggetti, infatti, come si è ampliamente detto, creano relazioni tra gli individui e sono strumenti di comunicazione, presupposto che per alcuni è la loro ragion d’essere. Come la comunicazione è diventata pura comunicazione – venendo oggettivata e posta in un sistema di relazioni e network – gli oggetti sono pure strutture relazionali. Oggetti intelligenti,

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ecco a

te la più intelligente delle macchine : sono il

PERSONAL COMPUTER,

posso risultare difficile da capire

all’inizio e non sto ad elencarti tutte le cose che riesco a fare, anche

contemporaneamente, ma posso

aiutarti in tutti quei calcoli noiosi e semplificare molte operazioni. sarò

solamente tuo e diventerò il tuo più intimo amico. il mondo è davvero

cambiato con me, e con l’avvento di internet,

tutto non è più quello di una volta : pensieri, compartamenti,

informazioni e soprattutto le relazioni. sono cambiato negli anni, mi

sono rimpicciolito e ho acquisito maggiore potenza, così puoi portarmi in giro, cercare qualsiasi cosa sul web, parlare con i tuoi amici, guardare

film, ascoltare musica, acquistare, imparare, socializzare con chiunque nel mondo, condividere ogni tuo pensiero con chi vuoi.

non puoi più farne a meno, vero?


casa il privato coincide con il limite del proprio corpo, perdendo ogni consistenza

sempre di piĂš abbiamo a che fare con oggetti comunicanti che permettono di relazionarci con essi e, attraverso di essi, con gli altri, divenendo parti integranti del nostro essere, ovunque ci troviamo

abitante in costante relazione con l’esterno (reale e virtuale)

oggetto ormai inconsistente,si presenta come pura comunicazione e visibilitĂ nel possesso

anni novanta.duemila


8/ oggetti comunicanti

APPLE// I pad/ 2010

nomadi, nodi di relazioni, in cui la materialità, oltre a farse sempre più precaria, è l’aspetto meno importante rispetto a quello informativo e relazionale. Sono oggetti-informativi, scritti sulla superfice, privi d’individualità. Più che un sistema di oggetti sono un sistema di informazioni condensate su congegni materiali. Emblemi di questo mutamento e del passaggio a una nuova epoca sono il computer e internet. Il computer, prima di essere un oggetto interattivo, è un oggetto non specifico, non progettato per svolgere un compito specifico, quindi non è un oggetto-funzione come sono gli oggetti industriali: è un oggetto programmabile che appare ‘intelligente’ proprio perché non è specializzato ma multifunzionale. Nella sua polivalenza, però, resta significativo il fatto che è destinato ad un uso personale, da qui il termine pc – personal computer – che ne ridetermina l’identità di oggetto legata al possesso. Come trampolino di lancio, avvia perciò a una nuova generazione di oggetti, o meglio di macchine, in cui vale la polifunzionalità, che permette di sostituire una molteplicità di altri apparecchi, e di pensare a un sistema di oggetti modulare. Abolendo, in prospettiva, la separazione tra i diversi

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PARTE 2// il potere degli oggetti

Jean BAUDRILLARD Tutto è partito dagli oggetti, ma non c’è più un sistema degli oggetti. Oggi, non c’è più scena né specchio, ma uno schermo e una rete. Non più trascendenza o profondità, ma la superficie immanente delle operazioni, la superficie liscia e operativa della comunicazione.

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8/ oggetti comunicanti

contrazione della locuzione inglese Interconnected Networks, è una rete di computer mondiale ad accesso pubblico, attualmente rappresentante il principale mezzo di comunicazione di massa, e che offre all’utente tutta una vasta serie di possibili contenuti e servizi

strumenti ne abolisce l’identità, ampliando e rendendo multiforme la propria. E innanzi tutto trasforma la comunicazione, che non solo si è ampliata, ma si è resa indipendente e non è più separata e distinguibile. La multimedialità non è l’unione di più componenti, ma la combinazione di più caratteristiche che danno origine a un oggetto nuovo, i cui modi di organizzazione e fruizione combinano parti importanti dei sistemi comunicativi. Internet è appunto un nuovo medium, è un ambiente comunicativo composito che ricollega, rimescola e trasforma molti altri strumenti e situazioni comunicative. Combina insieme i due precedenti sistemi su cui si fondava la modernità, quello ‘immateriale’ dei segnali che avviene nell’aria e quello degli oggetti che avviene nello spazio fisico. In internet viaggiano non solo idee, informazioni, immagini ma oggetti che ora è possibile digitalizzare, condividere in memorie virtuali, e ancora meglio, stampare in maniera tridimensionale a partire da una progettazione con software di modellazione, in un processo di continua smaterializzazione e rimaterializzazione degli oggetti.

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PARTE 2// il potere degli oggetti

L

e cose costituiscono un sistema comunicativo complesso ed essenziale, in cui fanno tutt’uno e non sono separabili gli aspetti sostanziali, che comprendono i materiali, le forme, le dimensioni, i colori dell’oggetto reale, e gli aspetti comunicativi, che non solo comprendono l’investimento simbolico, o la poetica, cioè la traduzione della funzione in forma estetica, retorica, attraverso la metafora, il rito, il gioco, ma interessano anche gli aspetti materiali. Gli oggetti divenuti simbolici sono portatori di significati traslati e tendono a metamorfosarsi in segni, in forme del valore e della comunicazione. E proprio con la perdita di referenzialità, un oggetto s’impone e dura per la sua forza evocativa, per la sua carica comunicativa, per il suo potenziale d’informazione nuova e per la sua capacità di reinvestimento del senso del mondo. Anche se la modernità riduce l’anima degli oggetti ad anima del feticcio, le merci non cessano di essere oggetti: dietro ad esse con tutto il loro potere, vi sono la forza e l’efficacia delle cose, e la complicità che da sempre ci lega a esse. Vivere è una partecipazione al mondo sensibile, che risponde alle nostre attese, ed è un ‘essere con’: abitiamo il mondo proprio perché siamo in relazione stretta e

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8/ oggetti comunicanti

coinvolgente con le cose che ci circondano, e vi siamo implicati con tutti i nostri affetti e investimento simbolici. Le cose ci circondano e definiscono il nostro abitare, mentre anche ci serviamo di esse per dire qualcosa di noi e per affermarci e affermare per adesione o per contrasto, cosicché il consumo e il nostro rapporto con le cose ha i connotati di un’attività rituale, ma non è mai solo uso. Per questo le cose ci attraggono e ci sopravvivono e sono i nostri silenziosi ed eloquenti rappresentanti, mentre sono pur sempre se stesse e dunque alterità.

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V

VERSO UN NUOVO MEDIOEVO TECNOLOGICO conclusione



P

hilippe Daverio, in un’intervista [Che tempo che fa, Dicembre 2011], ha affermato che “ oggi possiamo toccare il presente e il passato nello stesso modo, attraverso un sistema di abolizione di tempo e spazio […] viviamo in un mondo perennemente interconnesso, pertanto non c’è più cronologia, tutto il nostro mondo culturale è un cocktail di trasversalità”. Ma come s’inserisce la casa in questo contesto sociale? Anche se siamo sempre legati all’impostazione dell’appartamento borghese, nella nuova società l’abitazione sembra perdere sempre di più il suo legame con la suddivisione funzionale degli spazi, aprendosi come un cannocchiale verso l’esterno, e anche gli oggetti presenti in essa sembrano comunicare quest’esigenza, ponendosi sempre al confine di modi di abitare non più così definiti.

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conclusione // verso un nuovo medioevo tecnologico

Philippe DAVERIO Oggi possiamo toccare il presente e il passato nello stesso modo, attraverso un sistema di abolizione di tempo e spazio, viviamo in un mondo interconnesso, pertanto non c’è più cronologia, tutto il nostro mondo culturale è un cocktail di trasversalità.

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LA CASA RISULTA, PERTANTO, DOMINATA DA UN SENSO DI COLLETTIVITÁ E CONDIVISIONE, SIA A LIVELLO DI RISPARMIO SOCIALE E DI RISPETTO PER L’AMBIENTE SIA A QUELLO D’INTERCONNESSIONE EMOZIONALE ED ESPERIENZIALE CONTINUA... ECCO CHE RIEMERGONO IL SENSO DELLA PROMISCUITÁ D’USO E DELLA PERDITA DEL PUDORE PRIVATO, UN NUOVO VALORE DELLA MATERIA E DELLA NATURA, IN COMPRESENZA DI UNA FORTE COMPONENTE TECNOLOGICA CHE COLLEGA IN RETE OGNI ASPETTO. Attraverso gli oggetti che più hanno delineato il senso dell’abitare nei secoli passati, oggi gli spazi domestici si mostrano a partire dalle caratteristiche del Medioevo, arricchite dai cambiamenti che ne sono succeduti e soprattutto dall’acquisizione del senso di sé – come fondamentale punto di partenza.

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/

/ ridefinizione di privato

L

RIDEFINIZIONE DI PRIVTO

a nascita del concetto del privato si può fare risalire alla fine del periodo medievale, in concomitanza con una serie di cause politiche e sociali: la religione che, mediante le riforme, accentua nella regolamentazione della vita il suo carattere individuale e interiore; la diffusione della scrittura e della lettura silenziosa e lo sviluppo dell’alfabetizzazione; e, soprattutto, il mutamento dello Stato e il suo intervento in comunità. Durante il Medioevo, come abbiamo già visto, lo Stato è debole e simbolico e la vita individuale dipende dalla comunità protettiva alla quale si appartiene in base alla nascita nelle circoscrizioni territoriali: in circostanze del genere esiste una fusione tra pubblico e privato. Cambiando tali condizioni ecco che la necessità di difendersi da un potere forte, spinge gli individui e le comunità a separare una parte di sé dallo sguardo

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conclusione // verso un nuovo medioevo tecnologico

del sovrano e della legge. Lo stesso termine ‘privato’ indica ‘essere privo’ di qualcosa: ciò che manca è la partecipazione collettiva e la promiscuità; la persona, infatti, si sottrae agli sguardi degli altri. Nella storia della vita privata si assiste così alla “sostituzione di una sociabilità anonima quale quella della strada, della corte, del castello, della piazza, della comunità con una sociabilità ristretta che si fonde con la famiglia o, ancora, con lo stesso individuo” [Farè, 1992].

L

’epoca attuale è dominata dall’effimero, dalla mobilità e dalla molteplicità degli stili di vita, per cui non si riesce a individuare un’organizzazione sociale unitaria. Durante il Novecento si assiste alla scomparsa della dimensione del privato inteso come ambito segreto della persona, sottratta agli sguardi e chiusa nella casa di cui si è padroni assoluti. Il privato resta come luogo fisico e mentale ma è sempre più attraversato da moduli, messaggi, immagini e comportamenti che non sono stati stabiliti dal soggetto, ma sono in relazione col mondo esterno: la sfera pubblica e la sfera privata, così come tutte le strutture instabili, crollano e tornano a confondersi tra di loro. Ecco che in maniera inversa, un eccesso di regolamentazione da

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/ ridefinizione di privato

parte della Stato in tempi recenti, ha comportato una privatizzazione del pubblico, che in tutti i campi, oggi presenta caratteri molto particolari, ma soprattutto in quelli riguardanti la famiglia, che è interessata da un crescente intervento specificatamente legislativo – relativo alla regolamentazione della cosiddetta famiglia legittima, dei rapporti tra coniugi, dei criteri per lo scioglimento di questi ultimi e dei rapporti patrimoniali – esplicato anche tramite le politiche sociali – pensioni, indennità varie, sussidi. Lo stato può varcare i confini privati della famiglia per verificare l’adeguatezza, fino al punto di intervenire a modificare le stesse relazioni generazionali. Le due sfere pubblico-privato non sono nettamente separate e si assiste alla formazione di un’area intermedia – opinione pubblica – che si rapporta con il mondo pubblico, ma in modo autonomo e decentrato rispetto alle rappresentanze politiche del paese. Allo stesso modo, il privato pubblicizzato non coincide più con i confini della vecchia privacy – il diritto di stare da solo – e al suo posto subentra un nuovo campo dell’individuo e della sua famiglia, che stabilisce e tutela un nuovo campo della privacy – diritto di controllare la circolazione d’informazioni che riguardano l’individuo. A

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conclusione // verso un nuovo medioevo tecnologico

cominciare dall’onnipresenza della televisione, fino alle più o meno recenti tecnologie delle comunicazioni, nella sfera domestica si è insinuata una pubblicità relazionale in precedenza estranea. Il rapporto privacy-tecnologia si è fatto oggi ancora più pressante, al punto che la pubblicità di ciò che è privato, è diventata una costante impossibile da controllare. Quello cui stiamo assistendo, non è un’ulteriore rinegoziazione del confine labile tra pubblico e privato, in gioco sembra esserci una completa “ridefinizione della sfera pubblica” in quanto palcoscenico su cui vengono rappresentate opere private ma aperte al pubblico e guardate da tutti, come sostiene Bauman [2002]. Sempre maggiore è il proliferare di reality shows che hanno trasformato in interesse pubblico il presagio del Grande Fratello di Orwell, dove l’occhio non è di un ente dominatore e oppressivo ma del voyeur che è dentro tutti noi. Allo stesso modo nei talk-shows, parole e frasi inerenti a un’esperienza ritenuta intima, e quindi non consona a essere discussa, vengono invece liberamente pronunciate in pubblico, suscitando anche approvazione, ilarità, applausi. Che si condivida o no, a volte non abbiamo neanche la possibilità di scelta, considerando le numerose pubblicità che fanno un fatto quotidiano e

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OGGI NE DISCUSS PRIVATE PREVALG L’IMBECIL LA VANIT PETTEGO E POI C’É TV. IL SA SI É SPOS DA COST

ROSELLIN ARCHINT CORRIER DELLA SE


ELLE SIONI

GONO LLITÁ, TÁ E IL OLEZZO, É LA ALOTTO STATO TANZO.

NA TO, RE ERA

/ ridefinizione di privato

divulgato il mettere una dentiera o combattere le perdite vaginali: possiamo affermare, quindi, che ci stiamo dirigendo a gran passo verso quella mancanza di pudore, di senso del privato, propria dell’età medievale.

M

a non è solo la sfera del privato a essere interessata, le affinità con i ‘secoli bui’ hanno riguardato soprattutto la sfera sociale, seppure circoscritta a ben più ampi dibattiti politici e futuristici: da Roberto Vacca (Medioevo Prossimo Venturo, 1970) a Umberto Eco (Il Medioevo è già cominciato, 1973) con i quali si apriva una lettura sul futuro della tecnologia e del progresso della società – concetto di attualizzazione del passato in base ad un uso metaforico degli stereotipi, il futuro lo si vede oscuro per una serie di motivi, pertanto arriverà un Nuovo Medioevo. In campo internazionalistico, tra i primi a utilizzare questa l’immagine è stato Hedley Bull (La società anarchica, 2006), fino a Parag Khanna (Come si governa il mondo, 2011), testo che può essere considerato come una sorta di manifesto per una nuova diplomazia. Il comune paragone degli ultimi anni del Novecento con il Medioevo si avvia, naturalmente, con una corrispondenza non totale, in quanto oggi i processi sono enormemente

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conclusione // verso un nuovo medioevo tecnologico

accelerati. Il confronto nasce dall’osservazione che alcune caratteristiche della società medievale sono presenti anche nel nostro tempo: una pace precaria e un grande potere statale internazionale che unifica il mondo da un punto di vista della lingua, dei costumi, delle ideologie, dell’arte e della tecnologia, e che a un certo punto per la sua stessa complessità ingovernabile crolla, perché ai confini premono i ‘barbari’, che apportano nuove visioni del mondo e nuovi costumi. I barbari moderni non agiscono con la violenza per appropriarsi di una ricchezza che è stata loro negata, ma s’insinuano nel corpo sociale e culturale dominante portando una forte instabilità. Possono identificarsi con i popoli del Terzo Mondo, i contestatori, gli immigrati che viaggiano all’interno dello stesso paese e il loro mescolarsi con gli abitanti originari, che comporta una medioevalizzazione della città. Sono minoranze raggruppate in zone spesso inaccessibili agli altri, come i quartieri definiti da professioni nel passato, che possono essere formate dalle classi meno abbienti e dagli emarginati oppure dalle classi sociali superiori, che si ritirano fuori dalla città in quartieri-giardino. Nel ‘vecchio’ medioevo si teme l’invasione o la conquista dei barbari e ci si difende con case-torri, oggi se n’è arrivati a temere

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/ ridefinizione di privato

anche solo la vicinanza fisica e si resta segregati nella propria abitazione, dove spesso il contatto con l’esterno è virtuale e mediato dagli strumenti di comunicazione. Nell’apocalittico film L’età barbarica [2007], con un timbro da commedia surreale e favola allegorica, il regista Arcand sostiene che l’uomo d’Occidente incede a passo deciso verso la “neo-barbarie”: un nuovo Medioevo, tecnologico e frenetico ma dominato allo stesso modo da catastrofismi, malattie reali e incombenti, superstizioni, sessuomanie e sessuofobie, razzismi, anche inconfessati, violenza e cinismo sempre più pervasivi, che ha come protagonista l’“uomo senza interesse” Jean Marc Leblanc, attorno al quale svolge il suo discorso sulla solitudine e impotenza dell’“homo consumens” e la sua critica ai burocratici e ipocriti rituali sociali. Ma anche gli scenari più tragici sembrano concludersi con moderato lieto fine: il trasferimento del protagonista in una casa di campagna. Ecco che il rimbalzo all’età medievale non è solo negativo: si avverte da più parti il bisogno di compensare la presenza dell’alta tecnologia entrando più spesso a contatto con la natura, di combattere il bisogno dell’artificiale, ritornando al nocciolo, all’essenza delle cose.

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ABITARE TRA NUOVI PARALLELISMI

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/ abitare tra nuovi parallelismi

O

ggi la porta di casa non segna più la frontiera tra il pubblico e il privato, così come si è inteso nel XIX secolo e ancora fino a qualche ventennio fa. Come la casa medievale, aperta in rapporto costante con l’esterno e accogliente al passaggio delle genti, la casa di oggi è una continua mescolanza tra pubblico e privato e tra spazio di relazione e spazio del sé: è vero che continua a essere il luogo della famiglia e del privato ma è altrettanto vero che rappresenta uno spazio aperto e comunicante con ciò che la circonda, dove avviene lo scambio affettivo e sociale con le persone che si è scelto ricevere, e non imposte come quelle che caratterizzano i rapporti col mondo esterno. Se quest’ultimo è il luogo della confusione, dello stress fisico e psicologico e della competizione, la casa è un rifugio, uno spazio privato in cui si trova una

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conclusione // verso un nuovo medioevo tecnologico

compensazione a questi squilibri e si raggiunge una sensazione di stabilità. All’interno della propria abitazione ogni individuo può esprimersi sia nel suo essere sia nel suo comportamento, pertanto gli oggetti di arredamento, i mobili, l’organizzazione stessa – estetica e funzionale – sono vissuti pienamente come rappresentazioni o immagini di sé. L’estensione del concetto di confort, da una percezione pura e semplice della comodità individuale, si ridefinisce nell’esperienza delle persone in termini di qualità della vita, di approccio più rilassato e profondo nei confronti della vita quotidiana e di attenzione sempre maggiore a un corpo che, insieme al tempo, costituisce il bene più prezioso di questa nuova epoca. In casa tutto ciò si traduce in una nuova domesticità conviviale, attraverso cui le relazioni amicali, familiari e di coppia si rigenerano in un uso condiviso e partecipato. Le esperienze private e il contesto domestico hanno smesso ormai da tempo di essere il luogo chiuso delle relazioni personali, limite al nucleo ristretto della famiglia, per diventare il luogo privilegiato di rapporti costruiti soprattutto sul comun sentire delle persone e sulla condivisione di passioni, interessi e creatività tra i membri del nucleo familiare,

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/ abitare tra nuovi parallelismi

CASA COME LUOGO NON PIÚ SOLO DI INTIMITÁ MA ANCHE DI INCONTRO E DIVERTIMENTO

ma anche tra una cerchia di amici più allargata. Questa sensibilità crea un unico legame, che può essere tanto di affettività, quanto di relazione: sentimenti di amicizia e interessi condivisi, ma anche l’intenzione di creare legami e di esprimerli attraverso precise ritualità, come l’abbigliamento comune, gli stessi atteggiamenti, le stesse scelte di consumo. La casa si profila, così, come un luogo sicuro, dove trascorrere momenti tranquilli, non più solo di intimità, ma anche di incontro sociale e di divertimento, e al contempo la famiglia torna a ricoprire il ruolo protettivo che aveva perso in seguito ai movimenti degli anni Sessanta e allo sfaldamento degli anni Settanta. Vi sono fenomeni che sottolineano in modo ancor più marcato questa nuova voglia di “socialità domestica” [Morace, 2005], come ad esempio la moda tutta inglese dell’organizzazione di feste e happening di ogni tipo in case private che, a pagamento, mettono a disposizione spazi altrimenti dedicati alla vita familiare. L’apertura della casa di oggi ricorda lo spazio casalingo medievale, anche se la presenza di persone che vi abitano non è così costante e variegata come quest’ultimo, una tendenza sempre più dilagante è l’attitudine a condividere,

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conclusione // verso un nuovo medioevo tecnologico

nell’esperienza del cohousing, spazi comuni – lavanderie, cucine, laboratori, biblioteche, palestre – in modo collettivo ottenendo in questo modo risparmi economici e benefici di natura ecologica e sociale, ma soprattutto riscoprendo la natura dei riti antichi di collaborazione come il lavare o cucinare insieme, che rivitalizzano un capitale emotivo cui non si vuole rinunciare; allo stesso modo è sempre più frequente – soprattutto tra i giovani – l’azione del dare ospitalità, come nel coach-surfing, mettendo a disposizione il proprio divano per qualche notte a ‘quasi’ sconosciuti o scambiando le case per le vacanze. Che sia un bisogno quanto mai mostrato d’interattività tra le persone o una solidarietà in tempi di recessione, il timore verso il mondo esterno dei decenni passati sta lentamente svanendo, sempre che alla base ci siano feedback positivi sulla rete: sono proprio internet e il web, il veicolo per eccellenza di questo mutamento sociale. Sembra definitamente tramontata l’ipotesi di una società in cui gli individui si ritrovano sempre più privi di contatti umani e in balia di pulsioni isolate e isolanti, in costante relazione solo con i terminali del sistema informativo, adatto a dialogare con uno schermo che

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LAVATRICE// AUTOMAZION INTELLIGENT


/ abitare tra nuovi parallelismi

diventa anche il proprio specchio. Contemporaneamente si moltiplicano le forme possibili di comunicazione tecnologica on-line, con le chat e i blog; ciò che appare immediatamente evidente è come il fenomeno colmi una condizione di disagio esistenziale e assolva la funzione di compensare la solitudine, scavalcando la difficoltà del confronto con un altro essere. Gli ultimi anni hanno rappresentato ‘l’epoca d’oro’ della tecnologia digitale e delle sue illimitate applicazioni, e di conseguenza la dimensione connettiva è diventata un fondamentale elemento di crescita e di scambio.

NE E

COMPUTER// CONDIVISIONE SOLITARIA

I

l computer diventa quindi l’oggetto principale, che – in casi di ritorno alla casa-bottega medievale, ossia a un ambiente che sempre di più accoglie il mondo del lavoro, un tempo allontanato dalle pareti domestiche – riesce a fondere gli strumenti per il tempo del lavoro con gli strumenti per il tempo libero, venendo ad assumere su di se lo svolgimento delle principali funzioni sociali. Oggi, grazie a tutti i suoi derivati – dai portatili ai palmari, dal tablet per leggere giornali ed e-book ai cellulari perennemente connessi in rete – che gli hanno permesso di uscire dalla

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conclusione // verso un nuovo medioevo tecnologico

DAL LOCKET AL CELLULARE// AFFETTI

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casa, ha un ruolo, che cresce esponenzialmente, nella vita di chiunque senza differenza di occupazione o età, e più che mezzo per acquisire informazioni è uno per darne, per sentirsi parte di qualcosa di più grande ed esserne protagonisti in prima persona. Siamo inseriti in un sistema strettamente interconnesso e volto alla comunicazione: assistendo a un qualsiasi evento, in pochi minuti, possiamo farlo diventare immagine, scattando una foto col cellulare, salvarla in memoria, immediatamente pronta per essere guardata, giudicata, rifatta o corretta, o un istante dopo inviarla ad altre mani, lontane o remote che siano, che a loro volta possono scaricarla sulla memoria di un computer o inviarla a una stampante per imprimerla sulla carta, facendola rimbalzare in un circuito comunicativo enne volte. Il cellulare ha ormai trasformato, nell’aspetto socialecomunicativo, la vita di chi lo possiede: permette di trovarsi sempre e ovunque a portata di voce, liberando la mobilità ma destrutturando l’idea di luogo come spazio vivo delle relazioni umane, secondo la logica della raggiungibilità, e allo stesso modo portando alla perdita della privacy con la

BAULE// MEMORIA TRA REALE E VIRTUALE


/ abitare tra nuovi parallelismi

LIBRO// PRIVATEZZA IN PUBBLICO

possibilità di tracciare gli spostamenti e alla convinzione di possedere una persona conoscendone il suo codice identificativo, ossia il numero. Quest’attaccamento al possesso può essere interpretato secondo una via differente, quella del custodire gli affetti, attraverso messaggi o fotografie che rendano eterne le nostre tracce di memoria. In quest’organismo, ecco che il tempo e lo spazio si annullano, e così anche la storia può essere reperita in questa promiscuità d’informazioni: basta avere un dispositivo connesso in rete per avere accesso a una cultura portatile, istantanea ma a breve termine, con la conseguente perdita della ricerca della conoscenza e dei riti a essa collegati, come il cercare dentro un baule o lo sfogliare un’enciclopedia. Fortunatamente la stessa sorte non è capitata ai libri, che resistono ai più pratici ma meno sensoriali e-book, anche se il leggere si è slegato dai luoghi dell’intimità e aperto ai luoghi pubblici e alla condivisione, tramite il book-crossing, a estranei. Anche negli spazi della casa li ritroviamo nelle zone del living, che contemporaneamente ospitano le zone pranzo, socialità, studio, conversazione,

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conclusione // verso un nuovo medioevo tecnologico

TELEVISONE// PUBBLICITÁ DEL PRIVATO

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tv ..., zone specializzate ma senza separazioni rigide, che fanno del soggiorno l’ambiente più vissuto della casa. Caratterizzata in passato da spazi molto suddivisi, chiusi e chiudibili – sia in termini di accessibilità da parte dei figli più piccoli, degli ospiti e degli estranei, sia in termini di scarsa luminosità – e da separazioni fisse, oggi, la casa è organizzata in funzione di una maggiore apertura: ha minori separazioni tra i singoli locali e sono privilegiati spazi ampi e luminosi; è più disponibile al visitatore, con stanze più frequentate e accessibili. Nella casa come ambiente sociale si afferma dunque il valore della flessibilità dello spazio e della polifunzionalità degli oggetti. L’affermazione degli open spaces e dell’arredo trasformabile segna una nuova dimensione dello spazio domestico come uno spazio di coabitazione funzionale, che propone soluzioni intelligenti per rispondere alle nuove esigenze di vita. Il modo di abitare è quello, quindi, di un grande spazio indifferenziato; dal momento che non si desidera più un luogo frammentato e diviso per funzioni, ecco che anche la camera da letto perde la sua sacralità, non più luogo riservato esclusivamente al riposo notturno sembra rievocare

LETTO// PROMISCUITÁ D’USO


Á

/ abitare tra nuovi parallelismi

SEDIA// PRODUZIONE GLOBALE

l’antico uso promiscuo medievale, sul livello dell’uso: giaciglio su cui dormire ma anche leggere, giocare e mangiare, in un ambiente sempre più variegato e vicino al living, proprio perché la nostra iperattività sembra non avere mai fine, neanche la notte. Dalla staticità e uniformità delle scelte e dello stile di arredamento si è passati, poi, a un maggiore eclettismo stilistico combinando stili diversi e pezzi eterogenei. Dal massimo livello di definizione della casa del passato, in cui i locali erano rigidamente codificati, ci si sta dirigendo verso una maggiore libertà interpretativa nell’organizzazione e nella fruizione degli ambienti, che vengono cambiati con l’evolversi delle esigenze e delle abitudini nel corso degli anni. Una tendenza ricorrente riguarda la forza simbolica ed evocativa della memoria, che riprende le icone del passato, come le sedie, e ne proietta l’immaginario nel futuro: la forza magnetica degli oggetti si esprime quindi attraverso la capacità combinatoria del ricordo, che mescola icone retrò e suggestioni prossime in un presente che affascina con la forza del suo racconto. Nell’ambiente domestico, se da un lato l’incontro con culture diverse da quella di origine si trasforma in molti casi in una serie di spunti

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conclusione // verso un nuovo medioevo tecnologico

con nuovi codici e linguaggi appartenenti ad altri popoli, dall’altro, si diffondono il ricordo nostalgico del passato e la voglia di recuperare oggetti e memorie d’epoca. I temi dell’ecologia e della sostenibilità ambientale si stanno affermando nella casa e puntano sul vivere naturale, riqualificando la vita, soddisfacendo il bisogno e la ricerca di armonia con il proprio mondo, ma anche la necessità di affrontare il futuro con maggiore responsabilità. Si affermano prodotti ‘etici’ e ‘verdi’ che permettono al consumatore di partecipare a uno scenario ‘globale’ e di introdurre nella propria vita elementi che rispettano l’ambiente e la propensione personale verso il mondo naturale.

L

abitante/oggetto/casa

a triade che è stata il filo conduttore di una storia che, in quanto esseri umani, ci coinvolge in prima persona, portandoci a riflettere sul perché ci circondiamo da alcune cose invece che da altre e a scoprire come queste hanno cambiato il loro significato nel corso dei secoli, arriva al suo inevitabile termine, lasciando l’interrogativo aperto sul futuro.

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