rrose magazine

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Rrose Sélavy

magazine n. 34 marzo 2012

ELISABETTA CAMELI


RS

magazine n 34 marzo 2012

ÂŤNon esiste una cosa chiamata arte, esistono solo gli artisti.Âť


RS

magazine n 34 marzo 2012

«Non esiste una cosa chiamata arte, esistono solo gli artisti.», questo affermava Ernest Gombrich, in uno dei suoi celebri discorsi sull'arte. Elisabetta Cameli è nata a Bologna nel 1986. La battuta di Gombrich le serve per dirci che lei è una assoluta autodidatta in fatto di arte, che cioè non ha mai frequentato scuole d'arte e accademie. L’università invece l’ha frequentata: Facoltà di sociologia, a Forlì. Per Elisabetta è stata un utile strumento per capire meglio la società, la vita di relazione. È proprio attraverso la sociologia che le cresce la passione per le arti visive, in particolare per la fotografia. Anche per il disegno, che lei utilizza al di là delle tecniche, solo per far uscire un sé più nascosto. Elisabetta sa bene che l’intuizione, l’impulso, l’emozione devono trovare una loro forma concreta, per esprimersi, comunicare. Non è più tempo di essere autodidatta. Frequenta allora il biennio della prestigiosa “Scuola romana di fotografia”. E, com’è nel carattere irrequieto di Elisabetta, la fotografia divenuta un tramite verso la pittura. «Pittura emotiva», sottolinea lei. E si vede. La pittura è uno schermo sul quale proiettare le inquietudini più intime, che non sono soltanto personali. Quei suoi personaggi fantastici e impossibili siamo anche noi. «Sono il malessere dell'io generato dall'indifferenza sociale e dalla pesantezza che la società produce sulle vite dei singoli, portandoli all'inettitudine, alla paura e all'alienazione di se stessi», racconta Elisabetta. «Personaggi alienati da una quotidianità dolorosa, che sono costretti ad attraversare una via crucis dei tempi moderni. Personaggi che appartengono a quelle generazioni perse in un buio incolmabile, dove la luce sta nello scoprire il significato del “rabbit”, unica salvezza di un mondo ingiusto». Gestuale, informale, poeticamente rabbiosa, la sua pittura ha certo guardato con curiosità i graffiti metropolitani, i writer, l’arte “sporca” delle periferie, dei capannoni, dei muri che dividono. E viene anche da pensare a Basquiat – che per molti è un ispiratore, per altri una insopportabile eredità stilistica. A Elisabetta non importa né l’una né l’altra situazione: a lei viene naturale dipingere così. Lo fa con velocità, senza ripensamenti. Però sa che deve, in qualche modo, coinvolgere anche il nostro sguardo, e allora sceglie i rossi, gli azzurri, i gialli, che sono colori antichi, pittura dentro la pittura. Perché anche l’inquietudine – senza scomodare il signor (nel senso alto) Pessoa – può farci buona compagnia. Massimo De Nardo


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