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Rrose SĂŠlavy

magazine n. 32 marzo 2012

MARCO GENTILI


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magazine n 32 marzo 2012

D: La domanda di inizio non sfugge, volutamente, alla domande di ogni inizio: la tua prima macchina fotografica è stata un regalo di qualcuno o l’hai comprata tu per fare le foto durante una gita scolastica? O invece la storia è un’altra? R: Vi ringrazio innanzitutto per questa intervista. Inizio raccontandovi come ho avuto per la prima volta tra le mani una reflex. La storia potrebbe risultare molto banale, ma è cosi che sono andate realmente le cose, poco più di due anni fa. Nessuno dei miei amici o parenti si è mai interessato realmente alla fotografia. Ho comprato la mia prima reflex con i soldi ricevuti dalla raccolta dell’uva, per una azienda agricola della mia zona. Inizialmente scattavo veramente pochissimo perché non mi convincevano le foto che facevo, ma soprattutto non sapevo che bisognava badare a numerosi fattori, come la luce, la composizione, la scelta dei soggetti, la post-produzione, le ottiche e altro. D: Hai mai sviluppato foto in camera oscura? R: No, non ho mai sviluppato foto in camera oscura. L’ho visto fare solamente da piccolo, penso due volte. Però ho intenzione di farlo in futuro comprando una macchina a pellicola, soprattutto per stampare le foto in bianco e nero. D: Ti definisci un fotografo “del paesaggio”. A cosa è dovuta questa tua preferenza? R: Ho iniziato fotografando i paesaggi che mi circondano, soprattutto le colline delle Marche e il Parco Nazionale dei Monti Sibillini. Fortunatamente abito in una regione come le Marche che offre dei paesaggi stupendi, a partire dal mare per arrivare alle montagne, con delle differenze in tutte le stagioni. Offre dei paesaggi ancora incontaminati, come ad esempio Castelluccio di Norcia, consiglio a tutti di andarci almeno una volta nella vita: io ne sono innamorato. Da quando ho iniziato a fotografare devo dire che apprezzo maggiormente le cose quotidiane a cui prima a cui prima davo poca importanza e che invece adesso ho fatto diventare diciamo quasi uno “stile di vita”. La fotografia di paesaggio mi piace perché ti dà la possibilità di tornare più volte in un determinato luogo e trovare sempre qualcosa che cattura la mia attenzione; la ritengo per certi versi una forma di “ricerca”. Mi piacciono anche altri generi, come ad esempio le foto a teatro, i ritratti delle persone, le loro storie o le foto in studio. D: Io penso che la fotografia sia essenzialmente “luce e inquadratura”. Sei d’accordo? R: No, oltre alla luce e l’inquadratura secondo me c’è molto di più, e mi spiego. Da quando ho incominciato a scattare seriamente ho – diciamo – una percezione diversa, cioè non guardo più le cose con l’occhio che avevo prima, ma cerco di guardarle proiettate su una stampa. Un ruolo fondamentale sta nella passione, soprattutto per la fotografia paesaggistica, unita a


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una buona dose di fortuna, ma quella te la crei andandoci più volte sullo stesso posto. Per fare un esempio, sono stato più di 40 volte a Castelluccio prima di fare quelle foto che vedete. Senza dubbio la luce ha un ruolo fondamentale come anche la scelta dei soggetti, la composizione che deve sempre cercare di far catturare l’attenzione allo spettatore. D: Sei per cogliere l’attimo o privilegi lo scatto studiato? R: Entrambi, ma purtroppo il tempo a disposizione che dedico alla fotografia non è molto e quindi tante volte mi trovo a cogliere l’attimo. Per quando riguarda la paesaggista prediligo uno scatto studiato sia a livello compositivo sia che per quanto riguarda la morfologia del posto unita alle condizioni metereologiche ecc.. Per le foto in teatro preferisco improvvisare, anche se prima devo sapere cosa vado a fotografare. Per le foto reportage o in studio o anche in determinate situazioni favorevoli cogliere l’attimo è fondamentale. D: Meglio aprire uno studio di posa o andarsene in giro per il mondo con la macchina fotografica a tracolla? R: Senza dubbio la seconda opzione, sarebbe il mio sogno, ma immagino sia di tutti i fotogafi. D: Chi è stato, o chi è, il tuo maestro ideale? R: Il migliore fotografo di paesaggio a mio avviso, e che da sempre seguo, è Ansel Adams. Anche Joe Cornish, comunque. Mentre per quanto riguarda la fotografia di reportage seguo Steve McCurry, per la fotografia naturalista Stefano Unterthiner e tanti altri. Attualmente a livello nazionale seguo con molta attenzione il gruppo DreamerLandscape, composto da numerosi fotografi che conoscono anche di persona, i quali sono stati e sono tutt’ora una fonte di ispirazione. Non vorrei dimenticare infine di ringraziare anche il fotografo Luca Giustozzi. D: Cos’è che ti fa decidere di andare a fare fotografie in un qualche posto? L’umore, certe ore della giornata, le previsioni del tempo, l’occasione, il caso? R: La fotografia paesaggistica, a differenza di altri generi, deve tener conto di numerosi fattori, tra cui in particolare le situazioni metereologiche, che contribuiscono a valorizzare appieno il luogo o la scena che si ha in mente. Si, devo dire che tante volte mi capitare di guardare il meteo o dare un’occhiata al cielo, poi certe volte capita che si creino situazioni inaspettate e insperate fino a 5 minuti prima di un’alba o un tramonto. Tante volte mi è capitato di assistere a situazioni che non credevo possibili ed è questo il bello della fotografia paesaggistica, non sai mai ogni volta cosa ti si può presenterà ai tuoi occhi. Si forse l’umore e lo stato d’animo incidono a mio avviso in modo determinante nella realizzazione finale dello scatto, forse anche più delle condizioni metereologiche in sé. Io trovo


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questo genere molto rilassante, soprattutto se lo condividi in compagnia di pochi amici, ti da la possibilità di assistere alle bellezze uniche della natura. D: Hai sempre la macchina fotografica con te? R: No, so che è sbagliato, ma preferisco averla con me quando c’è una occasione (l’attrezzatura costa, non vorrei rovinarla). Durante i viaggi invece la porto spesso con me, è d’obbligo. D: Fare fotografie è per il momento una passione o un lavoro fare con passione? R: Per il momento resta una passione, in futuro tutto è possibile. D: Mai fatto filmati “domestici” con una video-camera? R: No, ma sto realizzando con un caro amico (Riccardo Tabocchini) un progetto in timelapse, che a breve pubblicheremo, riguardante il Parco Nazionale dei Monti Sibillini. D: Uno sguardo ai maestri, ora. A quale ti senti più vicino? R: Senza subbio mi sento vicino al maestro Ansel Adams, che della fotografia paesaggistica ha fatto uno stile di vita. D: Hai un nome da aggiungere? R: Per il momento no. D: Le tue belle foto di paesaggio sono – almeno questa la mia impressione – molto ricercate, ben studiate, nella luce, nelle inquadrature. Usi particolari filtri, risolvi poi con il ritocco o altre tecniche? R: La fotografia paesaggistica è abbastanza semplice, anche se bisogna conoscere molto bene il luogo che si vuole andar a fotografare, parlo della morfologia del suolo, le persone, le abitudini, i cambi di stagione eccetera. Ad esempio, le piane di Castelluccio di Norcia, posto unico in Italia, offrono infinite possibilità di inquadratura in tutte le stagioni, sia in inverno sia a giugno/luglio durante la fioritura, per non parlare poi della fotografia notturna, per l’assenza di luci artificiali. Sono rimasto affascinato da Castelluccio, penso di averlo fotografo in tutte le sue sfaccettature, ma ogni volta che ci vado è come se fosse la prima volta. Utilizzo un’attrezzatura professionale Sony e non uso più di tanto Photoshop, tolte le correzioni minime. Sì, uso dei filtri della marca Lee, fondamentali nella fotografia di paesaggio, per


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poter compensare la differenza di luce tra il primo piano e lo sfondo e soprattutto perché preferisco che lo scatto sia il più fedele possibile. D: Inquadrare è selezionare una immagine e di conseguenza – inevitabilmente – significa lasciare fuori tutto il resto. Potrebbe significare che l’occhio del fotografo sia di parte, troppo personale. Io credo che i bravi fotografi riescano ugualmente a darci una visione completa della scena, della situazione (di quella storia) anche con un particolare. Cosa ne pensi? R: Purtroppo l’obbiettivo fa rientrare una minima parte di quello che si ha di fronte. Ovviamente la scelta è del tutto personale e ricade su quel soggetto o sulla situazione che mi suscita o lascia dentro qualcosa. Certo, purtroppo bisogna fare una selezione di quello che si vuole includere o escludere, ma la soggettività rende unica una foto, secondo me. Ho scattato delle foto ad alcune persone con l’intenzione – non invasiva sia chiaro – di creare un’introspezione e cercando allo stesso tempo di fornire una percezione, seppur minima, della loro vita e della loro personalità. Questo è uno dei motivi che mi spingono a fotografare, cercare con il mio occhio, mettere in luce alcuni momenti che per altri non hanno nessun significato. D: Nel tuo sito c’è scritto che hai “imparato ad apprezzare il silenzio della montagna”, non distante dalla tua città (Macerata). Vuol dire che, oggi come oggi, se dovessi fotografare una grande città, una metropoli, lo faresti di notte, quando naturalmente c’è maggiore silenzio? R: Le grandi città, sono molto belle da fotografare, ci possono essere situazioni uniche, persone o altri avvenimenti che dal punto di vista fotografico sono molto interessanti. Ma personalmente preferisco apprezzare il “vero” silenzio della montagna e del vento; è difficile da descrivere, personalmente mi da un senso di pace e di tranquillità. D: Roland Barthes, nel suo La camera chiara. Nota sulla fotografia (un libro del 1980, irrinunciabile per chi si occupa di fotografia o di comunicazione), scrive che lo spettatore fruisce una fotografia in due modi: uno razionale (lo spettatore cerca delle informazioni dalla foto stessa: luogo, usi e costumi), l’altro emotivo, attraverso il quale l’osservatore è colpito più da un particolare, da un dettaglio, che dall’intera immagine. Sei d’accordo? R: Sì, sono d’accordo. Un po’ lo accennavo nella risposta di prima. D: Progetti per il futuro? R: Oggi fare progetti a lungo termine mi sembra molto difficile, anche se bisogna sempre pensare in modo positivo. Tra non molto dovrei terminare i miei studi universitari, poi forse mi dedicherò a tempo pieno alla fotografia, visto che un riscontro positivo penso di averlo avuto. Però le possibilità che si possono presentare nel futuro non si possono mai immaginare, quindi per il momento vivo giorno per giorno.


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Rrose Sélavy

Marco Gentili è un giovanissimo fotografo, che sembra avere già un bel po’ di inquadrature e scatti, non dietro le spalle – come verrebbe da dire – ma davanti agli occhi. Si muove su più temi, dal paesaggio al teatro, dal ritratto ai luoghi urbani. Crea atmosfere molto pittoriche, scenografiche, con un uso del colore (e a volte anche del bianco e nero) che aggiunge al reale una sfumatura onirica. Una bellezza non di superficie, quindi, che ci fa scoprire qualcosa di diverso, oltre l’immediato colpo d’occhio.

Intevista di Massimo De Nardo

www.gentilimarco.com


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