TESTI NON-LINEARI E LETTURA IPERTESTUALE - Tesi di Dottorato

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Ruggero Blasi

TESTI NON-LINEARI E LETTURA IPERTESTUALE Progettazione di artefatti comunicativi sinsemici per testi in ambiente digitale

Tutor: Simona Morini Coordinatore: Raimonda Riccini UniversitĂ IUAV di Venezia Dottorato di Ricerca in Scienze del Design - XXVII ciclo


alla mia famiglia, quella di ogni giorno


Sommario

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INTRODUZIONE La ricerca e i tre approcci metodologici Struttura della tesi

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1. CONTESTI DI LETTURA E LA RIVOLUZIONE DELLE ICT 1.1. La mente, la conoscenza e la teoria “rizomatica”: una premessa 1.2. La società dell’informazione e tecnologie informatiche per la diffusione e fruizionedella conoscenza 1.3. L’informazione in ambiente digitale: una lettura, tante letture? 1.4. La comunicazione testuale non dicorsiva come campo di ricerca del designer dell’informazione

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2 . LETTURA IN DIGITALE TRA EBook E NEW MEDIA 2.1. Definizioni e questioni aperte 2.1.1. Editoria e prodotti editoriali: gli eBook e la questione della “libritudine” 2.1.2. Formati e supporti: una breve storia della lettura in digitale 2.1.3. Dal testo lineare all’ipertesto: la cultura del libro nel passaggio al digitale tra opportunità e limiti 2.1.4. Lettura espansa: “apprendimento multitasking” o “erosione digitale” dell’attenzione? 2.2. Testi non-narrativi: un possibile campo di intervento del design 2.3. Re-design del testo digitale nell’evoluzione della cultura testuale 2.3.1. Oltre l’editorial design e il design delle interfacce, linee guida per un nuovo “sistema libro”

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3. VISUALIZZAZIONE E SCRITTURA NELLO SPAZIO 3.1. Linearità della scrittura alfabetica 3.2. Le tre dimensioni dello scrivere: due approcci alla non-linearità 3.3. Presentazione e visualizzazione: Information Is Beautiful 3.4. Information Design 3.5. Data-visualization e Data-art 3.6. Sinsemia, ovvero scritture nello spazio 3.6.1. La rottura della gabbia costruttiva di Gutemberg 3.6.2. Le variabili visive e la Sémiologie Graphique di Bertin 3.6.3. La coerenza e il principio di regolarità 3.6.4. L’intento comunicativo: informazioni qualitative e dati quantitativi

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4. VERSO UNA TEORIA DELLA SINSEMIA: 6 LEZIONI DI SCRITTURA NON-LINEARE 4.1. Simbolo, indice, icona e l’uso dei segni grafici 4.2. Teoria della percezione del segno grafico negli artefatti comunicativi 4.3. Attributi grafici e semiologia delle “variabili visive” 4.4. Architettura delle informazioni e criteri gerarchici 4.5. Scelta del linguaggio: la questione dell’efficienza e del riduzionismo 4.6. Visualizzazioni come linguaggio universale: il ruolo del “trasformatore”

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5. TESTI SINSEMICI IN AMBIENTE DIGITALE 5.1. Campi d’applicazione per la sinsemia 5.1.1. Sinsemia come strumento per la divulgazione 5.1.2. Sinsemia e Data Journalism 5.2. Sistemi di scrittura sinsemica oggi 5.2.1. Elenchi, mappe e diagrammi 5.2.1.1. Gli elenchi, le liste, le tabelle 5.2.1.2. Le mappe, le reti 5.2.1.3. La scala, la linea temporale, i diagrammi cartesiani 5.2.2. Infografiche e visualizzazioni 5.2.3. Infografiche in motion design 5.2.4. Infografiche interattive 5.2.5. Nuova editoria: eBook, riviste, app 5.3. Progettare sinsemicamente 5.3.1. Il “buon design” sinsemico 5.3.1.1. Le quattro fasi della progettazione sinsemica 5.3.1.2. Aggregati, livelli e gerarchia 5.3.1.3. Attribuzione delle variabili visive 5.3.1.4. Ruota della visualizzazione 5.3.2. Applicazioni 5.3.2.1. Progettazione di un artefatto sinsemico 5.3.2.2. Retro-design di un artefatto sinsemico

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6. S-I-N DESIGN PATTERN COME UNA POSSIBILE APPLICAZIONE 6.1. Introduzione 6.2. Caratteristiche generali del software e ambiente di utilizzo 6.2.1. Benchmarking 6.3. Nome del software e strutturazione dei moduli 6.4. Funzionalità specifiche del modulo M1 6.5. Funzionalità specifiche del modulo M2 6.6. Funzionalità speficiche del modulo M3 6.7. Simulazione funzionamento del concept

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7. CONCLUSIONI 7.1. La figura del designer tra illustratore e autore dei contenuti 7.2. La metodologia sinsemica e la sua progettazione 7.3. La fruizione, il lettore, l’educazione alla lettura

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BIBLIOGRAFIA

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Introduzione

Il tema centrale attorno al quale ruota la costruzione della presente tesi di dottorato è essenzialmente la comunicazione. Non è di certo una banalità affermare che, seppure una pratica quotidiana e insita nella natura e nell’agire umano (e innegabilmente non solo umano), essa è frutto di un’insieme di intenti e prassi in stretta correlazione tra loro che originano un processo molto complesso. La comunicazione, infatti, non è solo condivisione di un messaggio tra individui, è molto di più: bisogna tener conto di chi siano gli attori dell’atto comunicativo, dei rispettivi contesti culturali, delle modalità con cui si comunica, etc. Dimostrazione di ciò ne è l’intenso lavoro di teorizzazione dei processi comunicativi da parte di maestri come Paul Watzlawick, Claude Shannon, Roman Jakobson, solo per citarne alcuni. La comunicazione, d’altronde, non è sempre un’azione volontaria, programmata. Si comunica con tutto, con uno sguardo, un’espressione, un dono. Un oggetto fisico comunica in modo altrettanto incisivo di un claim pubblicitario, per esempio. Si parla in questi casi di unità comunicative native e unità comunicative non native, ovvero quei prodotti dell’agire umano non concepiti per la comunicazione ma indiscutibilmente parte di un atto comunicativo. Trattando di comunicazione, insomma, si incorre in diverse sfumature di significato. Immaginiamo di disegnare un asse in cui a un estremo, quello sinistro per esempio, poniamo la condivisione estemporanea e non prevista, o, anche, involontaria, di informazioni, e sull’altro estremo, a destra, la progettazione di unità comunicative, la comunicazione ricoprirà tutte quelle manifestazioni dell’agire che stanno nel mezzo tra i due concetti opposti. In quest’occasione, una tesi di dottorato in Scienze del Design, appare evidentemente più interessante parlare di comunicazione progettata, cioè come frutto di pratiche, per lo più professionali, atte al trasmettere informazioni da un individuo, a un altro, o, meglio, da una squadra di figure professionali eterogenee, a un insieme di individui ancora più variegato, chiamato il pubblico. Pensare che la comunicazione sia possibile oggetto di progettazione, però, non fa sì che il suo sviluppo si sminuisca a una banale attuazione di prescrizioni ormai consolidate che rendono il lavoro del designer totalmente privato di quella creatività che la programmazione sistematica delle componenti della comunicazione reprime. L’obiettivo della progettazione della comunicazione è quello di rendere quanto più efficace l’atto comunicativo, comprensibile il messaggio di fondo, gradevolmente incontrovertibile l’intera unità comunicativa. Ma il processo di produzione dell’artefatto comuinicativo è, anche in questo caso, tutt’altro che semplice. Il prodotto comunicativo infatti, nonostante la cura con la quale esso è concepito, non avrà mai la pretesa di essere univocamente definito e lascerà spesso la possibilità di effettuare più letture differenti dello stesso testo. Esemplare in questo contesto è la teorizzazione dello schema comunicativo proposta da Umbero Eco, nel quale, in estrema sintesi, l’unico soggetto a essere in grado di interpretare al meglio un testo è VIII

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Capitolo O

Introduzione

il lettore modello, un lettore, in realtà, che non esiste. Se la comunicazione non è verbale o non concepita in maniera lineare, la questione sulla sua possibilità di progettazione si complica notevolmente. Vedremo, all’interno della presente tesi, come la comunicazione visiva progettata sia un argomento cardine del dibattito sull’evoluzione dei testi e delle modalità di comunicazione oggi, e ci accorgeremo di come questo dibattito sia di grande attualità e origini tutt’oggi nuovi modelli comunicativi, nuove pratiche, nuove sperimentazioni. L’intento principale del mio lavoro, quindi, è quello di rappresentare un punto di partenza per la graduale raccolta di strumenti adeguati a rendere il lavoro del graphic designer, del communication designer, dell’infographic designer, quanto più possibile un processo guidato dal supporto di un metodo, al quale il designer è, per definizione, abituato. Il presente lavoro, in sostanza, si è articolato attraverso tre tappe fondamentali: ∙∙ osservazione e analisi dello stato dell’arte riguardo agli ambienti comunicativi, con particolare attenzione agli ambienti digitali; ∙∙ astrazione sul problema del comunicare tramite artefatti visivi e teorizzazione di modelli di comunicazione efficaci; ∙∙ formulazione di un corpus di indicazioni per il processo comunicativo non paradigmatiche ma ausiliari.

imparare, nella vita quotidiana, ad approcciarsi a questa tipologia di testi nel modo più vantaggioso per l’accrescimento della propria conoscenza. Per facilità, quindi, nel presente testo si fa sempre riferimento al designer come l’autore dei testi non-lineari ma mi piacerebbe poter pensare a esso come un “comunicatore” generico che decide di scegliere di condividere la propria conoscenza con altri facendo ricorso a una tipologia di linguaggio, quello “sinsemico”, poiché fiducioso nell’universalità della lingua visuale. Il terzo e ultimo punto di questa premessa riguarda il rapporto tra testi lineari e testi non-lineari. Ho cercato con una certa sollecitudine di scongiurare che attraverso la mia ricerca passasse il messaggio che la lingua parlata e la lingua scritta siano strumenti superati e presto destinati a essere soppiantati dalla lingua visuale. Ho evitato, quanto più possibile, che si originasse rivalità tra le due forme di linguaggio poiché convinto che il vantaggio più produttivo possa scaturire dall’accostamento tra le due, e dal continuo scambio. Una convinzione che ha caratterizzato la scrittura scientifica da tempo ormai. Un esempio tra tanti è quello del demo-etno-antropologo Alberto Mario Cirese riassumibile nell’espressione “Come è chiaro, la scelta grafica è una scelta teorica”1. La scrittura lineare e la visualizzazione in forma sinsemica, quindi, compartecipano alla creazione di un testo unico, più ricco e potenziato, a doppio binario in cui gli strumenti grafici hanno il ruolo non solo di illustrazione ma di elementi autonomi nella dimostrazione di quanto scritto in forma lineare e di tappe di indispensabili dello sviluppo logico dell’argomentazione, e la presentazione dei diagrammi è parte integrante della scrittura lineare, conferendo, così, al testo visivo valore meritatamente euristico.

Prima di concludere l’introduzione al testo preme fare alcune precisazioni. Innanzitutto occorre sottolineare che il risultato atteso dalla mia ricerca non è uno preciso schema procedurale per la progettazione di artefatti comunicativi che sfruttino un linguaggio non-lineare. Ho evitato di avere questa pretesa innanzitutto perché richiederebbe un lavoro molto più approfondito, arricchito da sperimentazioni e continue valutazioni. Un lavoro che, volentieri, potrebbe partire da qui e continuare nel tempo grazie anche a quelle stesse persone che mi hanno fornito in questi anni spunti di riflessione sull’argomento. Lo stato attuale della ricerca rappresenta quindi, come già accennato, un punto di partenza, non una meta. Ho evitato la pretesa di fornire uno schema procedurale per la progettazione di artefatti comunicativi non-lineari anche perché ritengo che lo strumento più valido che si possa fornire a un designer sia una metodologia. Io stesso negli anni sono stato grato a coloro che, più che trasmettermi istruzioni per come portar a termine delle azioni, ha avuto la premura di trasmettermi l’importanza di costruirmi un metodo nel fare le cose. Allo stesso modo, fornite delle indicazioni al designer su come è più efficace sfruttare al meglio il modo “sinsemico” di pensare a un testo, sta al designer, con la sua esperienza, professionale o quotidiana, di trovare il modo in cui costruire il proprio personale processo di produzione di un artefatto. In seconda battuta vorrei anche porre l’attenzione sulla figura del, più volte citato, designer a cui la metodologia è rivolta. Il mio desiderio è che la prosecuzione di questo lavoro di ricerca possa portare a includere nella cerchia di coloro che possano far riferimento alla metodologia proposta per rendere efficace la propria comunicazione sia all’argata all’utente comune, cioè una persona che, non dotata per formazione di competenze tecniche per produrre una testo non-lineare, possa trarre giovamento dalle indicazioni proposte per 2

La ricerca e i tre approcci metodologici La ricerca svolta si è avvalsa di tre approcci metodologici distinti ma non indipendenti che hanno permesso di creare un quadro, quanto più possibile vario e completo, rigurardo la fruizione di contenuti in forma digitale e sulle potenzialità del linguaggio visivo non-lineare. Per quanto riguarda la ricostruzione dell’evoluzione delle pratiche di lettura su dispositivi digitali e la rassegna sull’uso di artefatti comunicativi in forma non testuale, l’approccio utilizzato è di tipo storico, e, soprattutto, storiografico. È stata mia premura l’aver selezionato, attraverso ricerca bibliografica, una lista di testi scientifici del settore, pubblicati negli ultimi tre decenni – periodo di diffusione della cultura sottoforma elettronica –, fatta eccezione per alcuni volumi meno recenti necessari alla ricostruzione dell’evoluzione della progettazione degli artefatti grafici con scopi informativi (il riferimento è soprattutto alla semiologia grafica). In fase di mappatura dello stato dell’arte contemporaneo, invece, la metodologia adottata ha avuto una componente per lo più analitico-teorica che si è avvalsa non solo di spirito di osservazione personale, ma anche della collaborazione con diverse fonti, non sempre consapevoli – in ogni caso correttamente segnalate –, di aver avuto un ruolo nella mia ricostruzione del panorama attuale. Fondamentali sono state le conversazioni con Luciano 1 Cirese A.M. (1979), “Note provvisorie su segnicità, fabralità, procreazione e primato delle infrastrutture”, Problemi del Socialismo, vol. 20, n. 4 (15) 3


Capitolo O

Introduzione

Perondi, Emanuela Bonini Lessing, Beppe Chia, Alessandro Ludovico, Pier Paolo Peruccio e la partecipazione a diverse esperienze di convegni e workshop, tra le quali mi preme di citare il Laboratorio X, nel 2013, e il Laboratorio XY, nel 2014, organizzati da FF3300, PazLab e Laboratori dal Basso. Infine, al momento di raccogliere i risultati della ricerca, ciò che mi ha permesso di conferire al lavoro un senso anche dal punto di vista più pratico, oltre alla cooperazione con più personalità all’interno dei suddetti laboratori, è stata la metodolgia progettuale, figlia della mia formazione di designer. In questo caso però l’approccio è stato capovolto e partendo dall’analisi “osservativa” di cui sopra, e attraverso un processo di reverse design, è stato possibile stilare le linee guida per l’alfabetizzazione agli artefatti sinsemici.

Precisa volontà di questo lavoro è quella di affiancare alle parti discorsive – lineari, appunto – un’offerta di elaborati grafici informativi che premettano al lettore di allenare i propri occhi a leggere gli artefatti sinsemici, trarre l’informazioni tramite la disposizione spaziale degli elementi grafici in tavole sinottiche, e di far a meno, almeno in fase esplorativa, di scorrere il testo scritto. Inoltre a fine di ogni capitolo è presente la bibliografia di riferimento in modo tale da avere a portata di mano il prezioso strumento del link ipertestuale, non interattivo, ma tradizionalmente consolidato.

Struttura della tesi Trattare argomenti come il digitale, l’ipertesto e la non-linearità della comunicazione scritta ha inevitabilmente portato alla volontà di struttrare il risultato del lavoro di ricerca in maniera non convenzionale. Le singole parti della tesi, insomma, sono concepite come moduli indipendenti ma interconnessi con continui rimandi intertestuali che permettano al lettore di seguire un percorso di esplorazione dell’argomento dettato dai propri interessi e non esclusivamente tracciato dall’autore. Nella prima sezione, ovvero nel primo e secondo capitolo, al centro della discussione c’è il design di artefatti digitali finalizzati alla “situazione lettura” : cosa si intende per libro elettronico-digitale, come esso cambia la lettura di un testo, quali effetti ha sull’apprendimento e quali sono le problematiche che è possibile sollevare, e magari, tenere in considerazione in fase di progettazione dei supporti, delle interfacce e di una nuova forma di libro. Successivamente, nella seconda sezione, terzo e quarto capitolo, si introduce il tema della sinsemia, ovvero la disposizione spaziale, non monodimensionale di alcuni tipi di testo. Lungi dal creare confusione nel concetto di non-linearità preme all’inizio del capitolo, quindi, fare chiarezza sulla definizione di un testo non-lineare, non in riferimento alla sua accezione in ambito ipertestuale, ma come scrittura che si sviluppa nello spazio bidimensionale di un supporto, secondo logiche di posizionamento e attribuzione di proprietà visive ragionate e, auspicabilmente, inequivocabili. Il passo successivo è, dunque, quello di analizzare le varie forme di scrittura non-lineare, dalla più semplice alla più complessa, dalla più esplicita alla più criptica, dalla più figurativa alla più astratta, e definire il loro ruolo all’interno dell’apprendimento durante la lettura. Affrontati separatamente i due argomenti nella prima parte e partendo da alcuni esempi di applicazioni particolarmente innovative di linguaggio testuale e visivo in editoria digitale, il quinto capitolo del presente libro intende ricercare la strada più efficace per l’applicazione della sinsemia alla scienza, in ambito didattico, accademico e divulgativo. Il sesto capitolo è una repository di alcuni risultati ottenuti nella ricerca effettuata in questi anni riguardo sinsemia e ambiente digitale, allo scopo di fornire alcuni strumenti pratici e, soprattutto, teorici per la produzione di un artefatto sinsemico. 4

Cirese A.M. (1979), “Note provvisorie su segnicità, fabralità, procreazione e primato delle infrastrutture”, in Problemi del Socialismo, vol. 20, n. 4 (15), Carocci Editore 5


Capitolo 1. Contesti di lettura e la rivoluzione delle ICT

1.1. Una premessa: la mente, la conoscenza e la teoria “rizomatica” Nel 1980 la casa editrice francese Édition de Minuit pubblicò un testo anticonvenzionale, nella forma e nel contenuto, al punto che ci volle qualche tempo prima che la densità e la centralità dei temi di quest’opera venissero recepite in tutta la loro importanza. Il libro, intitolato Mille Plateaux, dal punto di vista della forma, era strutturato in più volumi «modulari» e«agerarchici» chiamati «piani»1, anziché capitoli. Ognuno di essi, che approfondiva un tema cardine della contemporaneità, essendo indipendenti tra loro potevano essere consultati a prescindere dall’ordine stabilito dall’indice in coda al libro. Anche la dichiarazione autoriale dei singoli plateaux ribadiva la segmentazione del testo e l’autonomia di un tema rispetto all’altro: gli autori, il filosofo Gille Deleuze e lo psicanalista Félix Guattari, inscenavano un sottile dibattito tra diversi scrittori, fittizi2. Dal punto di vista

A sinistra la copertina di "Mille Piani", il testo di Deleuze e Guattari A destra in alto: uno schema della struttura ad albero In basso: una struttura di rete a mesh

1  Guareschi M. (1980), “Prefazione”, in Deleuse G. - Guattari F. (1980), Mille Piani. Capitalismo e Schizofrenia, Castelvecchi 2  Deleuze G. - Guattari F. (1980), “Introduzione: Rizoma”, in Mille Piani. Capitalismo e Schizofrenia, Castelvecchi 6

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Capitolo 1

Contesti di lettura e la rivoluzione delle ICT

A sinistra: schema di una struttura rizomatica A destra: un rizoma

della trattazione, il libro è altrettanto rivoluzionario. Esso è prevalentemente di argomento filosofico e, anche se su alcune questioni risulta di difficile comprensione, si dichiara non rivolto specificatamente a chi è vicino agli ambienti della speculazione filosofica, ma a un «corpus di lettori al crocevia fra diversi ambiti disciplinari»3.

la metafora del rizoma e la struttura della conoscenza

Nelle riflessioni sulla contemporaneità, inoltre, Deleuze e Guattari stravolgono alcuni punti fermi della ricerca sulla conoscenza e sull’elaborazione cognitiva. Il concetto cardine della prima parte del libro, infatti, è quello di “rizoma”. L’analogia di origine botanica della struttura rizomatica è adatta alla descrizione dell’organizzazione della conoscenza strutturata nelle menti, all’opposto di come essa è convenzionalmente concepita. «Molte persone hanno un albero piantato nella testa, ma il cervello stesso è più un’erba che un albero»4, dal momento che ci fanno sapere Deleuze e Guattari, il filo d’erba non cresce dagli estremi ma nel mezzo, in maniera pluridirezionale. Il sapere personale ha struttura diffusiva, reticolare, procede per intersezioni e interconnessioni, con modalità non verticale e agerarchica. Il rizoma infatti, la modificazione del fusto di un essere vegetale con funzione di riserva, contiene al suo interno molteplici vie di connessione ed è esso stesso nodo di una rete di scambi di sostanze nutritive, e qualsiasi punto del rizoma «può essere connesso con qualsiasi altro punto, e deve esserlo» per garantire la sopravvivenza5. Il modello utilizzato, dunque, mette in profonda crisi la teoria cognitivista universale basata, invece, su principi generativisti e su modelli di rappresentazione “arborescenti”, ovvero strutturati attraverso verticalità e dicotomia binaria. Tralasciando gli aspetti più profondi del dibattito filosofico, che riguarda solo tangenzialmente il mio lavoro di tesi, è possibile riportare l’analogia del rizoma nel discorso sul testo e sulla nuove modalità di lettura. Così come secondo Deleuze e Guattari, la struttura dell’albero non è rappresentativa della conoscenza umana, poiché modello artificioso e limitato, possiamo ipotizzare che il libro, 3  ibidem 4  ibidem

per come si è strutturato nel corso dei secoli, non sia il medium più adatto all’organizzazione della conoscenza e non sembra soddisfare la richiesta dal pubblico contemporaneo. La conoscenza non è una pagina. D’altro canto la metafora dell’albero, non è del tutto trascurabile. Non solo la psicologia cognitivista e la linguistica sono fondate su questo presupposto, ma tutto il metodo scientifico ricerca un modello quanto più esemplificativo per strutturare la realtà entropica delle cose e dei saperi specialistici. Se nel marasma del rizoma, i modelli ad albero sono fondamentali, per isolarne nodi e poterne studiare particolari porzioni, una alla volta, fino a costruire una visualizzazione dei fenomeni più complessa, allo stesso modo il modello della pagina, del capitolo e del libro, è stato utile per secoli a organizzare i vari ambiti dello scibile. Tutt’ora, l’autore di un testo – e il sottoscritto, riguardo questo scritto – seleziona delle informazioni, le inscatola in macro-insiemi tematici e li ingabbia visivamente in pagine successive, cartacee o elettroniche, obbligando chi si interfaccia al libro, a seguire la scansione sequenziale prestabilita in fase di progettazione. Ma una questione sorge impellente nell’approccio allo studio della fenomenologia della conoscenza, quando il proprio bagaglio culturale appartiene al contesto di un’industria culturale fortemente tecnologizzata: si può dare per scontato che la struttura libro, nella sua forma di scrittura lineare, sia ancora lo strumento in assoluto privilegiato per ottenere conoscenze? La storia delle scritture moderne afferma, a ragione, che questa forma di trasmissione dei saperi sia stata, fino a tempi recentissimi, la più impiegata poiché inconfutabilmente funzionale, protagonista di un’opera di alfabetizzazione e di integrazione nella società culturale di tipologie di pubblico prima d’allora esclusi – i meno abbienti, i lavoratori, le donne6. 6  Steinberg S.H. (1982), Cinque secoli di stampa, Einaudi

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A sinistra: "Sistema figurato della conoscenza umana" dall'Enciclopedia di Diderot e d'Alembert (XVIII sec.) A destra: visualizzazione della struttura della conoscenza, Pierre Mouchon (1970)

conoscenza e gabbia tipografica


Capitolo 1

Contesti di lettura e la rivoluzione delle ICT

La meccanizzazione dei processi produttivi del libro, a partire dal XV secolo, l’abbattimento dei costi di produzione, la serializzazione e la conseguente moltiplicazione delle copie in circolazione e la proliferazione di autori e prodotti culturali cartacei sono gli artefici di tale rivoluzione culturale. È ferma convinzione di chi scrive che la forma “libro” sia stata fino a ora di gran successo non senza degne e forti motivazioni legate alle fruizione: economicità di tempo e risorse nella produzione, ergonomia nella fruizione, logicità nella sequenzialità della lettura.

forma libro e generi letterari differenti

Mettendo un attimo da parte la funzione romanzesco narrativa – non del tutto esente dalla necessità di sperimentare, in ambito digitale, forme innovative di esposizione dei contenuti, soprattutto nei romanzi in cui la simultaneità di alcuni eventi narrativi potrebbe essere proposta secondo una struttura reticolare, che permetta di cogliere la complessità dell’intreccio, non replicabile nella modalità di scrittura lineare tipica delle pagine di un libro –, vale la pena concentrarsi sul formato saggio, o su altro modello di testo con valore scientifico divulgativo per verificare la validità di diverse possibili forme espositive e strutturali. La scienza, per essere “raccontata” in modo oggettivo, verificabile e comprensibile ad addetti ai lavori e a lettori esterni all’ambiente della ricerca, ricorre a un suo metodo

Ian Pearce, "Visualisation of Wikipedia page linkage network in a small subgraph of pages" (2013)

consolidato, fatto di formulazioni di ipotesi, dimostrazioni sperimentali, di deduzioni, di teorie e di uno sviluppo del discorso tanto logico quanto rigoroso. Questo processo divulgativo è innegabilmente funzionale, ma non soddisfa quella tipologia di lettori contemporanei che, assetati di conoscenza, o di informazioni “prêt-a-consommer”, rivelano esigenze differenti: nella fase di approccio esplorativo, richiedono essenzialità e immediatezza dei contenuti informativi, ne colgono gli aspetti più rilevanti e, se di interesse, proseguono nell’approfondimento, affidandosi, da quel momento, a pressocchè infinite connessioni rizomiche, non gerarchizzate, fornite dal web. Su questo si basa il successo di uno dei più diffusi strumenti di conoscenza contemporanea: Wikipedia. Il lettore parte da un tema scelto arbitrariamente e, attraverso link ipertestuali, approfondisce la propria conoscenza saltando da un concetto all’altro. In tal modo, il lettore, con la complicità dell’ipertesto, sperimenta un percorso di apprendimento alternativo,

Le dodici tribù israelitiche nel "Libro delle figure", Giachino da Fiore (XII sec.) 10

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lettura e approccio esplorativo

la struttura ipertestuale di Wikipedia


Capitolo 1

Contesti di lettura e la rivoluzione delle ICT

una modalità perfettamente allineata ai principi deleuziani, priva di una rigida struttura di pensiero logico «arborescente»7; segue e crea esso stesso un percorso di lettura caratterizzato da connessioni più produttive e interessanti, anche se, talvolta, casuali, adottando, quindi, un metodo poco organico e chiarificatore: spesso si perde e vorrebbe ritornare al punto di partenza, ma senza difficoltà. Wikipedia, dunque, ha in seme tutte le ottime potenzialità dell’ipertesto e dell’enciclopedia universale collaborativa, ma un suo grosso limite è sostanzialmente l’interfaccia, un problema comune a quasi tutte le forme contemporanee di scrittura ibrida, basate su tecnologie digitali, potenziate dalle risorse infinite del web, ma costruite sui vecchi modelli lineari, non del tutto coerenti con l’ottica della fruizione libera della conoscenza. Le interfacce, ergonomicamente poco curate, non facilitano l’orientamento e l’organizzazione dell’apprendimento in fase di consultazione e in alcuni casi scoraggiano l’autonoma navigazione nei contenuti digitali. il duplice contributo della scrittura sinsemica

il pericolo della cultura "usa e getta" e i tempi della lettura

É la scrittura sinsemica, oggetto di analisi del terzo capitolo, che si propone come aiuto in questa empasse, in maniera duplice: innazitutto essa, in quanto metodo per la disposizione efficiente di informazioni nello spazio, si presta come mezzo privilegiato per la progettazione di interfacce coerenti e ergonomicamente funzionali. In secondo luogo, ed è l’aspetto più interessante dal punto di vista di questa tesi, essa favorisce la strutturazione della rete della conoscenza suggerendo un metodo per l’integrazione di forme di scrittura differenti, al fine di fornire al lettore strumenti d’apprendimento più adatti al contesto digitale, subitaneità dell’informazione ed economia dei tempi di apprendimento. É bene chiarire che chi scrive non è promotore di una cultura “usa e getta”, che, per sua natura, appiattisce la profondità della conoscenza e ne sminuisce il valore – come nei casi di informazione, veloce e confezionata per una facile fruizione, resa da certi mass media, prodotti per il consumo istantaneo e per l’intrattenimento, quindi superficiale e di scarsa qualità. L’economia dei tempi d’apprendimento, nell’ottica di soddisfare le esigenze del nuovo lettore, non necessariamente specializzato, ma comunque affamato di informazione di qualità, si esprime nell’ottimizzazione della tempistica di accesso alle risorse a disposizione. Nella pratica, dato un determinato argomento, la sua rappresentazione in scrittura sinsemica si traduce in un processo conoscitivo articolato in due fasi: la prima di accesso a un quadro complessivo, consultabile e comprensibile già a una lettura approssimativa e, la seconda, di approfondimento.

interattività, ipertestualità, multimedialità, sinsemia

Se all’efficienza della scrittura sinsemica si aggiungono le possibilità offerte dal digitale, cioè, interattività e multimedialità, e dalla rete, ipertesto sconfinato e contenuti on-demand, si fornisce ai testi di nuova generazione, una terza dimensione. In teoria il gioco sarebbe fatto: avremmo il testo perfetto. Nella pratica, invece, la configurazione degli artefatti sinsemici, le modalità di integrazione ‒ in riviste, libri, pagine web di seconda generazione ‒, e le interfacce di fruizione di contenuti culturali complessi, così come sono stati descritti, sono ancora al centro di dibattiti metodologici e sperimentazioni progettuali, non del tutto risolti. Questo lavoro, dal carattere fortemente 7  Deleuse G. - Guattari F., op. cit 12

esplorativo, si propone come un nodo di una rete di analisi di casi esemplari da cui trarre insegnamenti.

1.2. La società dell’informazione e tecnologie informatiche per la diffusione e fruizione della conoscenza Gli enormi cambiamenti che hanno caratterizzato la cosiddetta società dell’informazione stanno attraversando un periodo di profonda radicalizzazione, frutto di un processo di mutazione cominciato dall’introduzione di tecnologie informatiche e dalla loro applicazione ad ambiti umanistico-culturali, e, irrefrenabilmente, tutt’ora in atto. Le prassi della produzione e della fruizione della conoscenza, insomma, stanno attraversando una fase di riconfigurazione riconducibile a fattori di natura tecnologica, epistemologica e, non per ultima, sociale: negli ultimi decenni la diffusione dei personal computer, della rete internet e la graduale – ma mai del tutto completata – alfabetizzazione informatica hanno progressivamente, ma irreversibilmente, modificato le modalità di accesso all’informazione, non solo fornendo strumenti del tutto nuovi a supporto del lavoro delle molteplici figure professionali, ma coinvolgendo, nel processo produttivo, comunità e individui e conferendo allo scambio, alla socializzazione e all’interazione una funzione fondamentale nelle dinamiche di creazione di conoscenza. In questo contesto, tecnologie più tradizionali come stampa e scrittura, pur mantenendo il predominio nella diffusione dei contenuti culturali, in alcuni campi più che in altri, subiscono un ridimensionamento del loro ruolo e si trovano costrette a modificare sensibilmente alcuni dei loro parametri consolidati nei secoli, in favore di un adattamento indolore ai nuovi modelli proposti dai più lungimiranti attori dell’industria culturale. L’informazione digitale sfugge ai modelli tradizionali di classificazione, formalizzazione e organizzazione dei contenuti, e si presenta in forma diffusa, spesso implicita, legata alla comunità che la produce, recuperando ed esplicitando le componenti sociali e relazionali dei processi culturali, già in rilievo nella cultura orale, ma in parte dimenticate da scrittura e stampa.

1.3. Informazione in ambiente digitale: una lettura, tante letture? Come anticipato il nostro punto di partenza, e di riferimento nel corso dello sviluppo della tesi, sarà spesso il libro in versione digitale in quanto promettente medium, ancora in una fase evolutiva primordiale, direttamente correlato all’eredità del libro cartaceo. In realtà la conoscenza rizomorfa erogata dalle tecnologie digitali, con modalità, troppo di frequente, tendenti all’entropia, si sviluppa su canali di comunicazione diversificati, alternativi l’uno rispetto all’altro o integrati tra loro. I vecchi formati, come libri e riviste cartacei, che finora si sono dimostrati validi strumenti per la diffusione delle informazioni e della cultura, pur rappresentando tutt’ora “archetipi” dell’ospitare contenuti, si piegano alle possibilità offerte dalla tecnologia e alle nuove abitudini dei lettori e si integrano con i “nuovi” formati, quali pagine web, blog, documenti 13

la crisi del tradizionale formato libro


Capitolo 1

Contesti di lettura e la rivoluzione delle ICT

informazioni, di qualità migliore e più velocemente»10. Il lettore contemporaneo, infatti, non si limita a cercare le informazioni che ritiene utili consultando una sola fonte. La sua lettura a carattere fortemente esplorativo11 si divincola dalla singola pagina e si muove liberamente tra varie sorgenti di informazione, ottenute attraverso vari media a sua disposizione (questo è significato proprio di lettura multimediale). È una tipologia di lettura diversa dalla quella silenziosa per come era stata concepita negli ultimi secoli, poiché molto più frenetica e frammentata, ma non per questo poco approfondita: al contrario del modo con cui ci si ostina a descrivere una tipologia di lettore pigro, che desidera l’informazione immediata, lo scarso tempo a disposizione permette di ottimizzare il tempo dedicato alla lettura e di rivolgere la propria attenzione all’approfondimento di temi che realmente interessano.

Lettura ipertestuale analogica

di testo elettronico, file audio-video e file immagine. «Oggi, il pionieristico concetto di “intermedia”formulato a metà degli anni Sessanta dall’artista Fluxus Dick Higgins sembra essere diventato la norma»8 ma la risultante delle forze in gioco è un marasma di strumenti differenti tra loro, ma non del tutto strutturati: essi si presentano come media “espansi”, non come media completamente nuovi ma piuttosto “ibridi”. D’altro canto il ruolo dei formati tradizionali nella progettazione di formati nuovi non può essere sopravvalutato: il processo di virtualizzazione dei vecchi modelli di diffusione della cultura nella sola prospettiva di trasferire al digitale la produzione e la fruizione dei media, senza considerare la possibilità di intervenire sulle dinamiche di lettura, troppo radicate allo strumento cartaceo, è un errore storico al quale urge porre rimedio. Ciò significa che pur supponendo un enorme valore alle sperimentazioni in puro spirito hackeristico che hanno prodotto, nei primi anni Settanta, forme di etext, come la Dichiarazione di Indipendenza degli Stati Uniti9, su supporto elettronico, appare necessario ammettere che i tempi sono maturi per tirare le fila delle esperienze del passato e focalizzare l’attenzione sulla progettazione di supporti e formati incentrati sulle esigenze di lettura del nuovo pubblico, più che sull’accesso alle informazioni in ambiente informatico.

la crisi del libro non può essere una crisi della lettura

Una sostanziale parte della motivazione attribuita alla crisi di libri e giornali stampati è che il pubblico non legga abbastanza e preferisca l’intrattenimento alla lettura educativa. Secondo il cofondatore di Wikipedia Jimmy Wales, invece, «non è che la lettura stia diventando fuori moda -anzi, probabilmente è il contrario. Non è che la gente non badi più alla qualità – anzi, probabilmente è il contrario. La morte delle riviste tradizionali è vicina perché la gente chiede più

L’esperienza della lettura stessa si fa intertestuale, o più semplicemente ipertestuale, anche se i testi consultati sono del tutto lineari. Nulla di nuovo: già nell’editoria cartacea il sistema di note, riferimenti bibliografici e di informazioni paratestuali offrivano la possibilità al lettore di ricercare, secondo l’esigenza, un ulteriore grado di approfondimento della conoscenza appresa. Tali connessioni sono sempre esistite, la novità introdotta dalla struttura ipertestuale non è quindi tanto un nuovo modello, quanto piuttosto un aumento esponenziale della portata di tali collegamenti e della velocità per accedervi. Ma le abitudini di lettura vanno ulteriormente ad affermarsi in questa direzione: è questa l’epoca dello “scrapbooking”12 digitale e dei remix editoriali, cioè delle personali raccolte informazioni e dei diversi punti di vista con le quali esse sono presentate. Il lettore, quindi, in fase di lettura svolge un autonomo lavoro di ricerca e di “rassegna stampa”, resa possibile da internet e dalla sua scorta di strumenti autoriali gratuiti per pagine web, blog, social network e quant’altro, e filtrata dai propri interessi (dai semplici segnalibri per gli articoli più interessanti, ai software Floss che consentono di archiviare contenuti editoriali differenti e di produrne libri elettronici). Si potrebbe chiamare questa diffusa pratica “selfcurating”. In conclusione il lettore di testi digitali ha nuove esigenze e nuove possibilità, le une influenzate dalle altre, ma il processo di lettura che ne deriva non è che un’evoluzione del precedente, il quale comunque continua a resistere, anche se relegato a tipologie di approccio al testo più passive, in cui l’autore tiene ancora le redini del percorso logico che struttura il libro (per esempio la narrativa non sperimentale). La lettura in ambiente digitale non è che un mutato erede della lettura esplorativa tipica dello studio di saggi e di testi scientifici, diffusissima negli ultimi secoli anche se su cartaceo. La differenza sta nell’allargamento del pubblico di riferimento; si potrebbe parlare di democratizzazione dell’accesso alla conoscenza, o più semplicemente di divulgazione. Ma dato che i lettori sono diversificati e spesso non specialistici, probabilmente meno acculturati ma con forte desiderio di riscattarsi dalla propria condizione di ignoranza, la sfida è: perché non fornir loro la possibilità di accedere alle fonti di conoscenza con dei mezzi più user friendly e che offrano la capacità di governare la connotazione rizomatica dell’informazione così come elargita dalle tecnologie digitali? E chi, se non il designer, può cogliere questa sfida? 10  Wales J. (2009), Is the magazine dead?, su http://jimmywales.com/2009/10/21/is-the-magazine-dead/

8  Ludovico A. (2014), Post-Digital Print. La mutazione dell’editoria dal 1894, Caratteri Mobili

11  Baldini M. (2005), Elogio del silenzio e della parola. I filosofi, i mistici e i poeti, Rubettino

9  Il riferimento è al Progetto Gutenberg di Michael Hart

12 Ludovico, op. cit 14

15

esigenze di lettura e ipertestualità analogica

note, link, "scrapbooking" digitale, remix editoriali

divulgazione e democratizzazione dei mezzi di diffusione della conoscenza


Capitolo 1

Contesti di lettura e la rivoluzione delle ICT

1.4. La comunicazione testuale non discorsiva come campo di ricerca del designer dell’informazione L’idea di indagare come alcune forme di fruizione della conoscenza si trasformino, obiettivo primario del lavoro di ricerca svolto in questi anni, nasce proprio dalla necessità di capire come esse influiscano sull’accesso alla conoscenza e sull’apprendimento, e su come il fruitore finale – che chiameremo lettore – possa adattarsi a questa trasformazione. Nello specifico caso di questo lavoro di tesi, l’intento è, in primo luogo, quello di analizzare il fenomeno della digitalizzazione delle forme editoriali, focalizzando le riflessioni, per quanto possibile, sulla forma libro e sui cambiamenti introdotti dal libro elettronico. In secondo luogo, si intende capire come alcune forme di comunicazione testuale, non discorsiva, possano concorrere a rendere una situazione di apprendimento in ambiente digitale più efficiente e formativa; come queste possano rapportarsi alle forme più tradizionali – ovvero lineari, come saranno definite nel terzo capitolo –, e in quali aree disciplinari siano più utili e quali configurazioni devono assumere. Infine, la mia ricerca si propone come pretesto per poter, da un lato, definire meglio alcune sfaccettature della professione di designer – graphic designer, in questo caso – sempre più ai confini con altre figure professionali, e, dall’altro, indagare il ruolo che egli assume nella progettazione di questa tipologia ibrida di artefatti comunicativi e nell’opera di educazione del lettore, non nativo digitale, abituato a forme più tradizionali di consultazione dell’informazione. Per questo motivo, sotto l’aspetto disciplinare la ricerca affianca componenti di diversa natura al fine di osservare, da differenti punti di vista e con differenti approcci, il fenomeno della digitalizzazione dei mezzi di diffusione della cultura, e le modalità con cui la fruizione dei contenuti culturali a essi si adatta.

questi, man mano che il discorso si focalizzava su artefatti sinsemici più complessi, sono stati affiancati studi sul visual design, sul design della comunicazione e dell’informazione, sulla visualizzazione delle informazioni e data mining, nonchè sulla grafica statistica e sulla semiologia grafica. Il lavoro di ricerca, oltre a un’essenziale rassegna sulle diverse forme di editoria che negli ultimi decenni hanno modificato il sistema libro, e a un doveroso resoconto sulle diverse forme di information design applicato all’editoria digitale e al sistema della conoscenza, ha come proposito quello di rendersi portavoce dell’urgenza della rieducazione, per addetti al lavoro e fruitori, al corretto utilizzo dell’informazione visiva, al di là di inutili formalismi, aleatorie scelte di linguaggio e guizzi creativi dettati dalle possibilità degli strumenti informatici. Per questo obiettivo si rende necessaria, da un lato, l’istituzione di un’offerta formativa adeguata diretta a figure professionali, i designer, capaci di rendersi protagonisti di un cambiamento, quello in ambito di offerta dei contenuti culturali, in favore di una più comoda fruizione ed efficace apprendimento, più che dell’innovazione fine alla vendita e al ritorno economico delle società che finanziano lo sviluppo tecnologico e che detengono i diritti per la diffusione della cultura. Dall’altro appare allo stesso modo urgente un’alfabetizzazione, anche a livello scolastico, alla lettura di artefatti comunicativi complessi e all’uso consapevole di stumenti informatici di nuova generazione, che siano essi sottoforma di documenti ipertestuali, contenuti multimediali e libri elettronici nel loro aspetto più evoluto. Infine, appare necessario un ridimensionamento del ruolo del graphic designer all’interno di redazioni di giornali e libri, la cui funzione non sia più soltanto quello di assolvere ai compiti di progettista di layout o di illustratore, ma di concertatore nel lavoro di ricerca sulla nuova conformazione del sistema libro.

Innanzitutto è stata necessaria una ricostruzione sulla storia e fenomenologia del libro e sul passaggio da libro cartaceo a digitale per poter individuare le differenze tra i due tipi di supporto e cogliere direttamente da quest’analisi punti di forza e di debolezza dei due. Dal punto di vista dell’evoluzione tecnologica di dispositivi, è stato fondamentale approfondire la questione della rivoluzione digitale con riferimento ai device utilizzati e alle possibilità offerte dagli ipertesti e dalla rete. A tal proposito, un parte della ricerca si è concentrata sulle interfacce, come momento di interazione tra uomo e oggetto informativo, e tra uomo e sistemi elettronici – ambito disciplinare, chiaramente, prossimo all’interaction design. Un’altra parte della ricerca si è sviluppata sulla teoria della comunicazione e dell’informazione e semiotica, soprattutto a partire dall’introduzione delle tecnologie informatiche in poi, e una riguardante. Dal punto di vista della fruizione della conoscenza sottoforma digitale sono state necessarie nozioni di comunicazione, sociologia e scienze di media e nuovi media, nonchè di psicologia della percezione, dell’attenzione e dell’apprendimento ed ergonomia cognitiva nella situazione della lettura. Per quanto riguarda la visualizzazione delle informazioni, invece, è stato utile ricorrere a rimandi alla comunicazione visiva, progettazione grafica, editorial design e tipografia. A 16

Baldini M. (2005), Elogio del silenzio e della parola. I filosofi, i mistici e i poeti, Rubettino, Soveria Manelli Deleuze G. - Guattari F. (1980), Mille Piani. Capitalismo e Schizofrenia, Castelvecchi Ludovico A. (2014), Post-Digital Print. La mutazione dell'editoria dal 1894, Caratteri Mobili Steinberg S.H. (1982), Cinque secoli di stampa, Einaudi Torino Wales J. (2009), Is the magazine dead?, su http://jimmywales.com/2009/10/21/is themagazine-dead/ 17


Capitolo 2. Introduzione alla lettura in digitale tra eBook e new media Il primo tema del lavoro di ricerca è quello sulla metamorfosi della situazione della lettura, con particolare attenzione all’ambito editoriale. Pur restando ancora il caposaldo della diffusione della conoscenza il settore editoriale ha visto un ridimensionamento del suo ruolo e, nei peggiori dei casi, messo in campo strategie di sopravvivenza. Il mondo dell’editoria si trova da tempo dinnanzi a una situazione cruciale in cui giocano forze provenienti da diverse innovazioni tecnologiche e sociali. L’introduzione del digitale ha ormai mezzo secolo di storia, ma solo negli ultimi decenni l’innovazione in campo di interfacce, la diffusione di supporti tecnologici per la lettura e l’intrattenimento, e l’evoluzione dei formati digitali, hanno sviluppato un acceso dibattito su nuovi temi. La sempre crescente attenzione allo studio di fenomeni come quello della lettura in ambiente digitale deriva anche, e soprattutto, dall’osservazione di come essi si ripercuotano su molteplici ambiti della diffusione della conoscenza, dal quotidiano alla ricerca scientifica: l’informazione si fa frammentata e diffusa, o dispersa, in media non convenzionali (forum, blog, siti...) sostituendo il vecchio archetipo dell’informazione centralizzata raccolta in libri, biblioteche e università. Come spesso capita, si sbaglia se si tenta di definire due rigide linee di pensiero, tra apocalittici o gli integrati: «sbaglia chi vede l’informatica come un vaso di Pandora, colmo di malanni, ma sbaglia altrettanto chi la ritiene una cornucopia traboccante di frutti miracolosi»1. L’intento di ricerche come la presente, quindi, è quello di riconsiderare il ruolo delle tecnologie, al di là di facili giudizi di valore, e di partecipare a un dibattito volto ad analizzare soprattutto il rapporto di queste con le dinamiche sociali, anche al fine di «tutelare la loro carica innovativa»2.

2.1. Definizioni e questioni aperte 2.1.1. Editoria e prodotti editoriali: gli eBook e la questione della “libritudine” Sebbene sia innegabile che il web sia l’unico motore della rivoluzione “ipertestuale” della trasmissione dell’informazione, data la sua stessa struttura ipertestuale, esistono diversi nuovi media di conoscenza e si presentano nella maggior parte dei casi in forme ibride, primo tra tutti il libro in formato elettronico. Pertanto, è utile partire da questi strumenti per analizzare le sfaccettature del fenomeno della lettura in ambiente digitale e le differenti forme che esso 1  Maldonado T. (1997), Critica della ragione informatica, Feltrinelli 2  ibidem 18

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apocalittici vs. integrati


Capitolo 2

Introduzione alla lettura in digitale tra eBook e new media

una pericolosa ambiguità tra oggetto fisico e oggetto testuale: electronic book (termine frequente a partire dagli anni novanta) si designa sia «il dispositivo fisico utilizzato per leggere un testo elettronico (il dispositivo di lettura, o “reading device”), sia il testo elettronico (ricavato o meno da un libro precedentemente pubblicato a stampa), sia il prodotto commerciale venduto e distribuito in rete»3. Al fine di non cadere nel tranello di questa polisemia, occorre a questo punto dichiarare che nella presentazione di questa ricerca si intende far riferimento ai file testuali elettronici definendoli eBook e ai dispositivi utili alla consultazione dei suddetti contenuti, come supporti, devices, e eBook reader. Per distinguere un qualsiasi file testuale da un eBook appare utile la disamina successiva. Secondo l’ente no profit, che ha sviluppato il formato standard OeB, l’Open eBook Forum, un eBook può essere definito come «un’opera letteraria in forma di oggetto digitale, consistente in uno o più unificatori standard, di metadati e di un corpo monografico di contenuto, destinata a essere pubblicata e utilizzata in forma elettronica»4.

eBook e standard

Il NISO, organizzazione per la formulazione degli standard relativi alle applicazioni bibliografiche, in una pubblicazione più recente pone l’accento anche sulla questione della licenza, e definisce l’eBook come «un documento digitale, sotto licenza o liberamente accessibile, costituito prevalentemente da testo ricercabile, e che può essere visto in analogia con un libro a stampa»5. La questione della licenza verrà affrontata più in là, ma la peculiarità di questa definizione è che in questo caso si fa riferimento anche al modo con cui si consulta un libro, ovvero al supporto utilizzato: «l’uso degli eBook dipende in molti casi da lettori dedicati e/o software specifici per la visualizzazione e la lettura»6. Nel complesso risulta che parlando di eBook si conferisce al termine un senso molto esteso, dato che tendenza diffusa è di far riferimento a un electronic book ogni qual volta ci si trovi di fronte a qualunque testo compiuto, organico e sufficientemente lungo, disponibile in un formato elettronico, eventualmente accompagnato da metadati descrittivi, che permetta la fruizione su un dispositivo adatto.

Benchmark ironico tra una matita reale e l'Apple Pencil

ha assunto, dal momento della sua invenzione, per poter, infine, cogliere i tratti salienti della metamorfosi digitale. L’electronic book è un libro in formato digitale, consultabile su differenti supporti hardware, come computer, tablet, smartphone, o su dispositivi creati ad hoc, chiamati, appunto, eBook Reader. eBook e eBook reader: disambiguazione

Generalmente un eBook Reader ha una memoria interna, integrata o estendibile, sulla quale è possibile archiviare più eBook, spesso acquistati in rete attraverso le piattaforme di distribuzione. Esso inoltre può essere collegato alla rete, per esempio, tramite wi-fi, e dunque può permettere al lettore di accedere facilmente a contenuti extra, effettuare approfondimenti sul web, seguire link ipertestuali, scaricare aggiornamenti ai contenuti che sta consultando. L’applicazione del concetto di libro se da un lato risponde all’esigenza di identificare testi elettronici con formattazione simile a quella cartacea, dall’altro appare fuorviante perché raggruppa sotto la stessa definizione forme testuali in uso, come testi scaricati dalla rete, letti su PC tramite software specifici o browser, oppure su un dispositivo dedicato.

In questo senso, la definizione di eBook come «qualunque contenuto che sia riconoscibile come analogo a un libro, indipendentemente dalla sua origine, dalle sue dimensioni, dalla sua composizione, [...], che sia reso disponibile in formato elettronico per riferimento o lettura attraverso qualunque dispositivo che includa uno schermo»7 appare troppo vaga e comprensiva di troppi fenomeni testuali nei quali il lettore si imbatte quotidianamente. Il pericolo è quello di far rientrare sotto l’espressione “libro digitale” qualsiasi «assemblaggio digitale di contenuti multimediali»8. Interessante a questo proposito è la tesi sostenuta

3  Roncaglia G. (2010), La quarta rivoluzione, Laterza 4  Open eBook Forum (2000), A Framework for the Epublishing Ecology 5  NISO, National Information Standard Organization, 2004 6  ibidem 7  Armstrong C. (2008), “Books in a Virtual World”, Journal of Librianship and Information Science, settembre

Innanzitutto, come fa notare Roncaglia, dietro all’espressione libro elettronico si nasconde

8  Laterza G. (2001), Chiamiamolo DIASS, intervento al convegno “Il libro elettronico entra all’università: quali eBook per la didattica e la ricerca?”, maggio 2001

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definizione di eBook


Capitolo 2

Introduzione alla lettura in digitale tra eBook e new media

separatamente dal semiologo Umberto Eco e dal linguista Geoffrey Nunberg9, sintetizzando la quale è possibile riconoscere una degna forma di libro elettronico secondo due requisiti: il rendersi indistinguibile dal libro tradizionale (requisito di mimicità) e allo stesso momento indipendente dal supporto cartaceo e dalla stampa on demand (requisito di autosufficienza). Posizioni in gran parte condivisibili dato che pongono l’attenzione, da un lato, sulla preziosa eredità della cultura del libro consolidata nei secoli di storia della scrittura e della stampa, che ha reso il libro oggetto informativo ergonomicamente quasi perfetto; dall’altro, sulla affascinante prospettiva di conferire ai testi digitali una dignità e indipendenza – raggiungibile solo attraverso ricerca e sperimentazione – dalle pratiche di stampa su carta, sia in contesto di produzione seriale, sia in contesti “domestici”. Opinione del sottoscritto a riguardo è che è bene non considerare editoria a stampa ed editoria digitale come due forme rivali di fruizione di contenuti culturali, ma rivalutarne i ruoli autonomi e relativi a diverse finalità di consultazione delle informazioni – distinzione che verrà illustrata nei paragrafi successivi. le potenzialità del digitale e gli eBook sottopotenziati

L’opportunità offerta dalle tecnologie digitali, ormai in largo uso tra i lettori, permette però di credere nell’auspicabile ipotesi che la sperimentazione in campo progettuale sui formati porti a concepire gli eBook come oggetti informativi efficaci, lontani dal modello lineare e chiuso, specifico del libro a stampa tradizionale, e che sfrutti in maniera intelligente le potenzialità offerte da rete e ipertesto al fine di accrescere l’esperienza dell’apprendimento in fase di lettura.

In realtà le prime intuizioni in ambito di digitalizzazione dei testi cartacei risalgono al periodo a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta cioè a quando, quasi contemporaneamente, il gruppo di ricerca guidato da Alan Kay e quello guidato da Michael Hart rivelarono i loro progetti ambiziosi in fatto di diffusione della cultura con mezzi digitali, il primo dal punto di vista dei supporti e interfacce, il secondo in ambito di formati e codifica di testi elettronici.

le sperimentazioni sui formati di etext

Nel 1968, nei laboratori della Xerox a Palo Alto, Kay cominciò a lavorare sui “personal media”, esperimento che portò, un paio d’anni dopo, alla realizzazione di un computer portatile, con display e tastiera, per la scrittura e la lettura, denominato Dynabook10. Nel 1971, invece, Michael Hart, anch’egli vicino agli ambienti della Xerox, presentò il proprio obiettivo di realizzare un’intera biblioteca di testi elettronici disponibili in rete, chiamata Progetto Gutemberg, tramite l’utilizzo di una tecnologia di riconoscimento ottico di caratteri (OCR, Optical Character Recognition) fino ad allora sottovalutata11. Non è la prima volta che si prova a sperimentare nuove forme di lettura, consultazione di testi tramite display, e di archiviazione dei libri miniaturizzati – persino la letteratura fantascientifica di qualche decennio prima ha giocato un ruolo molto importante sulla prefigurazione di strumenti futuribili per la lettura –, ma Kay e Hart possono essere senza dubbio considerati gli apri pista della corsa all’innovazione tecnologica e alla diffusione di testi in forma digitale.

Alan Key e Michael Hart

Per questo motivo è il caso, a questo punto, di portare il discorso sulla questione dei supporti e sui formati.

Dispositivi per la lettura di eBook dell'azienda Kobo

2.1.2. Formati e supporti per la lettura in digitale La grande fiducia nel passaggio della lettura da cartacea a digitale ha permesso negli ultimi anni il proliferare inarrestabile di formati con i quali far circolare l’informazione sottoforma digitale. 9  Eco U., "Librai e millennio prossimo", in Ottieri Mauri S., a cura di (2003), Vent’anni di scuola per librai Umberto e Elisabetta Mauri, UEM; Nunberg G. (1993), “The places of books in tha Age of Electronic Reproduction”, in Rapresentations, n. 24 22

Versione cartacea e versione eBook in un Amazon Kindle 10  La pagina web all’indirizzo www.mprove.de/diplom/referencesKay.html contiene non solo una dettagliata biografia di Alan Kay e una panoramica sui progetti portati avanti dagli anni del dottorato in poi, ma anche link a documenti testuali originali dell’epoca, stampati ma digitalizzati, sottoforma solo di immagine, che spiegano i risultati dei suoi studi sui “personal media” e sulle interfacce hardware. 11  Birkerts S. (2006), The Gutemberg Elegies. The Fates of Reading in Electronic Age, Faber & Faber 23


Capitolo 2

Introduzione alla lettura in digitale tra eBook e new media

fatto di essere il progenitore del ben più degno di nota ePub. Il file ePub è una sorta di file contenitore, compresso in formato zip, al cui interno sono inserite diverse specifiche, in file XML e XHTML, che permettono al software di adattare la visualizzazione del testo al dispositivo in uso in modo fluido e – finalmente – reflowable. È questo il motivo principale per il quale tutti i dispositivi di lettura di seconda generazione, i software in commercio e le piattaforme di distribuzione (escluso Amazon e i suoi device, Kindle), persino Google Books e Progetto Gutemberg, riconoscano l’ePub come standard e lo utilizzino come formato.

Funzionamento della tecnologia eINK, basata sull'elettroforesi; schema realizzato da Jacopo Pompilii (2013)

progetto Gutemberg

Portable Document Format

Open eBook Publication Structure

Oggi i principali formati in uso sono per lo più varianti di quattro modelli nel tempo consolidati: i file di testo semplice, il PDF, l’ePub, e i comuni file immagine. Sebbene le versioni elettroniche dei libri sottoforma di file immagine, ottenute per scansione degli stessi, siano la forma più immediata e diffusa di consultazione di testi in digitale tralasceremo questa categoria poiché non utile al discorso di ottimizzazione delle potenzialità dei formati digitali che stiamo portando avanti. I file di testo semplice, anch’essi molto diffusi, sono quelli con un ruolo più importante nella storia dell’evoluzione dei formati. Gli stessi eBook del Progetto Gutemberg venivano inizialmente distribuiti in questo formato per assicurarne la massima interoperabilità tra i dispositivi diversi. Essi si presentano con estensione, generalmente, txt e non contengono alcuna formattazione e struttura semantica. Quest’estensione riduce sensibilmente le potenzialità del formato, soprattutto dal punto di vista della mutimedialità, poiché il testo appare nudo, se non accompagnato da un file di marcatura12 potente ed espressivo al fine decodificare le parti del testo e del paratesto nella loro struttura (distinguere i titoli dalle note, per esempio). Ciò nonostante gli eBook in formato txt sono probabilmente i più diffusi proprio perché data la loro semplicità essi possono essere visualizzati su qualsiasi dispositivo, fisso o mobile, perché il testo si adatta al display su cui è mostrato – sul concetto di reflowability, e sui vantaggi dei formati reflowable, avremo modo di tornare successivamente. Anche il formato PDF, acronimo di Portable Document Format, ha il vantaggio di poter essere letto sulla stragrande maggioranza dei dispositivi, non solo eReader, ma anche PC, tablet e smartphone, ed essere visualizzato in tutti i casi allo stesso modo: la tecnologia che lo supporta permette al software attraverso il quale lo visualizziamo di mantenere in alterate le caratteristiche grafiche del file, il posizionamento di testo e immagini, le scelte di layout riguardo il paratesto effettuate in fase progettuale. Questo succede perché il formato non nasce per la consultazione, quanto per il desktop publishing, ovvero la preparazione su computer di documenti destinati alla stampa. Ciò significa che un PDF, indipendentemente dall’hardware e dal software che lo decodificano, può essere solo rimpicciolito o ingrandito, senza la possibilità di modificare il layout in base alle preferenze di lettura – non è reflowable –, proprio a causa della garanzia di corrispondenza che offre come formato. Il primo vero standard per libri digitali si ha con il formato OeBPS (Open eBook Publication Structure), un formato aperto, basato su XML (eXtensible Markup Language), rilasciato in occasione dell’Open eBook Forum nel 1999. L’importanza del OeBPS sta nel 12 Il mark up language è un linguaggio che permette a una macchina di interpretare le parti del testo e dotarle di una struttura semantica. 24

ePub

Basato sull’OeBPS è anche il formato proprietario della Kindle, nato in Francia nel 2000 dall’azienda Mobipocket con il nome di mobi, acquisito da Amazon nel 2005, e ribattezzato azw. Esso è molto simile al più comune ePub salvo l’aggiunta di alcune funzionalità, come segnalibri e annotazioni, e di un sistema DRM13, che lo rende un formato chiuso.

2.1.3. Dal testo lineare all’ipertesto: la cultura del testo nel passaggio al digitale tra potenzialità e limiti «Con l’avvento del digitale, il libro cambierà volto. Progressivamente, appositi lettori per testi elettronici tenderanno a sostituire i libri di carta. Su questi lettori, il testo scritto si affiancherà a immagini, video, suoni. [...] La cultura del libro (o – come è forse più esatto dire – la cultura del testo) non scomparirà, ma conoscerà un’altra, importante tappa della sua evoluzione millenaria»14. Al di là di preoccupazioni antiprogressiste, paragonabili a quelle che affliggevano i protagonisti del romanzo di Hugo15 che vedevano nell’introduzione della stampa una minaccia per il valore degli edifici religiosi, possiamo confidare nel fatto che, anche se l’eBook finisse per carpire una fetta di mercato al libro stampato e a ridimensionarne ruoli e valore, esso difficilmente riuscirà a sostituirlo e a eliminarlo dalle nostre abitudini. «L’eBook insomma non ucciderà il libro. [...] Le pratiche e le abitudini coesistono e non c’è niente che amiamo di più che ampliare il ventaglio delle nostre possibilità»16. D’altro canto bisogna considerare che ci troviamo di fronte a un ecosistema editoriale completamente modificato: poiché la progressiva opera di passaggio al digitale, o, meglio, di introduzione di tecnologie digitali per la lettura nelle abitudini dei lettori, non può rivelarsi come una mera digitalizzazione di situazioni preesistenti, l’impatto dell’attuale rivoluzione può rivelarsi traumatico – ancora di più di quello della stampa di Gutemberg. Non è trascurabile, infatti, che questa rivoluzione non modifichi solo la tecnica di produzione del testo e la pratica del leggere17, ma anche «la materialità dell’oggetto che veicola il testo al lettore,

13  Applicare un DRM (Digital Right Management) a un eBook vuol dire applicare al file relativo al libro elettronico un sistema di protezione che lo salvaguardi dalla pirateria informatica. Un DRM, per esempio, impedisce a un file di essere letto su un dispositivo non autorizzato o di essere copiato. 14  Ciotti F. e Roncaglia G. (2000), Il mondo digitale, Introduzione a nuovi media, Laterza 15  Hugo V. (1831), Notre-Dame de Paris, trad. di Leto G. (1985), Mondadori 16  De Tonnac J.P., a cura di (2009), Non sperate di liberarvi dei libri, Bompiani 17  Bolter J.D. e Grusin R. (1999), Remediation: Understanding New Media, MIT Press 25

ePub

l'oblio del libro stampato e le conquiste dell'eBook

il feticismo del lettore tradizionalista


Capitolo 2

Introduzione alla lettura in digitale tra eBook e new media

l’informazione emessa, in base alle scelte del utente. Rientrano in questa categoria i prodotti che premettono, attraverso un interfaccia sufficientemente comunicativa, di ottenere informazione on demand, di trasmettere le preferenze dell’utente tramite un canale di feedback, e di adattare il percorso d’apprendimento alle proprie esigenze. ∙∙ Ipertestualità: proprietà di un testo di essere scomposto in blocchi, più o meno autonomi, chiamati “lessie”20, e di essere ricomposto attraverso una serie di rimandi e collegamenti (link). In questo modo, reso un testo non-lineare21, è possibile ottenere un percorso di lettura più complesso, arbitrario e più o meno libero in base alla qualtità di collegamenti proposti dall’autore e in base alla presenza di rimandi a “blocchi informativi” esterni all’opera – anch’essi, però, proposti dall’autore. Queste tre proprietà del testo digitale, unite alla capacità di alcuni dispositivi della lettura di immagazzinare quasi illimitatamente testi in memoria e di collegarsi alla rete internet, causano profonde ripercussioni sulle tradizionali pratiche di lettura:

Stuttura dell'ipertesto

[…] il modo di organizzare, strutturare e consultare la parola scritta, e il suo aspetto»18. Dando per condiviso quasi all’unanimità che il libro, nel suo essere interfaccia per la consultazione del contenuto stesso, è da considerare oggetto perfetto19 – tesi sostenuta da Eco, Vandentorpe, Casati, Roncaglia e molti altri – e quindi difficilmente sostituibile, è il caso di analizzare alcuni di quelli che potrebbero essere considerati vantaggi e dell’introduzione del digitale in campo editoriale. caratteristiche del libro digitale

Innanzitutto l’informazione in digitale si differenzia da quella tradizionale per tre aspetti fondamentali: ∙∙ Multimedialità: compresenza nello stesso prodotto informativo, in maniera integrata, di diversi media (testo, suoni, immagini, spezzoni video...); in realtà un prodotto multimediale è il frutto della convergenza al digitale di diverse espressioni di comunicazione ed essendo esso stesso un medium, in qualsiasi forma esso si presenti, si preferisce spesso sostituite a quello di multimediale il concetto di multicodicale, o pluricodice. ∙∙ Interattività: capacità di un oggetto informativo di liberarsi della propria “fissità” e “immutabilità” (aspetti che caratterizzano i libri a stampa, per esempio), e di partecipare in modalità attiva al processo di comunicazione modificando in maniera esplicita 18  Chartier R. (1995), Forms and Meanings: Texts, Performances, and Audiences from Codex to Computer, University Press of Pennsylvania Press 19  L’interfaccia libro può essere considerata naturale poiché essa sparisce agli occhi dell’utente, proprio come succede con strumenti di uso quotidiano come le posate, alcuni attrezzi da lavoro e la bicicletta. Per una approfondimento sul concetto di interfaccia impercettibile potrebbe essere interessante consultare Anceschi G. (1993), Il progetto delle interfacce. Oggetti colloquiali e protesi virtuali, Domus Academy. 26

∙∙ disponibilità immediata dell’informazione e possibilità di approfondimento: il percorso informativo può essere flessibile in base alle necessità di approfondimento del lettore ma l’eccessivo grado di personalizzazione dei contenuti non convince alcuni autori. «Il libro di carta presenta una serie di vantaggi cognitivi proprio là dove si vogliono imputare dei limiti tecnologici che l’eBook supererebbe: la linearità che permette di semplificare la comprensione, e l’isolamento relativo rispetto ad altri atrefatti cognitivi che potrebbero entrare in concorrenza con la lettura»22. ∙∙ possibilità di immagazzinamento quasi illimitato: i formati diventano sempre più leggeri, i supporti sempre più capienti e la rete permette di accedere senza grosse difficoltà ai database. Questa infinita disponibilità «è senza dubbio un vantaggio considerevole a confronto di quelle epoche in cui era necessario ricorrere a delle forme mnemoniche, per ricordare, perché non si poteva avere a disposizione tutto ciò che era opportuno sapere» ma in questo modo si «contribuisce alla cancellazione della memoria»23. Si affida il sapere alle «tecnologie della dimenticanza»24. ∙∙ estensione del tempo di fruizione: la possibilità di leggere ovunque e in qualsiasi occasione da un lato rende “subitanea” la possibilità di accedere all’informazione, dall’altro sgretola il tempo dedicato alla lettura e parcellizza le consultazioni dei libri in piccole porzioni da effettuare nei ritagli di tempo. ∙∙ libertà di fruizione, partecipatività, estensione della sfera sociale: «l’alta quantità di informazioni disponibili a costi decisamente bassi, l’alto livello di democraticità raggiunto dalla diffusione del sapere, la nascita, grazie anche a internet, di nuove forme di scrittura e il

20  Barthes R. (1973), S/Z, Einaudi 21  Landow G.P. (1993), Ipertesto. Il futuro della scrittura, Baskerville 22  Casati R. (2013), Contro il colonialismo digitale. Istruzioni per continuare a leggere, Laterza 23  Eco U. in De Tonnac J.P., op. cit 24  Carr N. (2011), Internet ci rende stupidi? Come la Rete sta cambiando il nostro cervello, Raffaello Cortina Editore 27

potenzialità dei devices digitali


Capitolo 2

Introduzione alla lettura in digitale tra eBook e new media

2.1.4. Lettura espansa: “apprendimento multitasking” o “erosione digitale” dell’attenzione?

Esempi di scheumorfismo nell'interfaccia di app per la lettura di eBook su dispositivi Apple

Agli inizi degli anni Sessanta, Douglas Engelbart, nel suo lavoro “Augmenting Human Intellect”, sostiene con convinzione la possibilità di superare i limiti dell’attuale forma libro, attraverso l’uso di modalità non-lineari di organizzazione dell’informazione. La perdita della linearità del libro non sembra possa essere un grande pericolo per le forme testuali oggi in uso, ammesso che l’obiettivo ultimo sia quello di rendere, come più volte detto, la situazione lettura più efficiente dal punto di vista dell’apprendimento. Ma dietro facili entusiasmi per la lettura espansa, non immutabile e multicodicale/multitasking, si nascondono non poche criticità: ∙∙ ergonomia della lettura: «i computer e gli smartphones sono vicini all’optimum ergonomico: non hai bisogno di libretto di istruzioni. […] L’obiettivo è l’assoluta facilità e immediatezza d’uso»28. Il dibattito sulla configurazione dei supporti e prodotti editoriali riguardo maneggevolezza, comodità d’uso e immediatezza nella comprensione delle funzioni di base non è esaustivo. É definita “legibility” la corretta identificazione e decodifica delle lettere che compongono parole e frasi, distinta dalla “readability” che, invece, riguarda i contenuti del testo. Il monitor va a incidere sui due processi a causa della minore risoluzione rispetto alla carta, dell’affaticante emissione luminosa dei fosfori e dell’innaturale posizione nella quale ci si trova ad affrontare l’atto della lettura. Nel 2010 uno studio del gruppo di lavoro ha rilevato che, rispetto a un libro stampato, la velocità di lettura di un testo diminuisce del 6,2% su iPad e del 10,7% su Kindle29. Ma questo dato non è del tutto rilevante nel momento in cui si voglia porre l’attenzione sulla qualità della lettura piuttosto che sulla velocità. Altri elementi di disturbo legati alla lettura a monitor derivano dalla scarsa attenzione all’armonia formale dello scritto e ai principi tipografici30 o dal trascurare gli effetti dell’eventuale rumore cognitivo, cioè l’interferenza di quegli elementi che aiutano nell’esplorazione, nell’orientamento e nella percezione delle gerarchie (elementi di attenzionalità) nella lettura della pagina stessa.

potenziamento delle forme tradizionali della scrittura»25 rappresentano un assaggio di quel tanto ambito “rovesciamento del potere” in ambito di media. La nuova posizione di rilievo assunta dall’autore “non professionista” suscita non pochi dubbi riguardo la qualità delle informazioni e l’autorevolezza delle fonti26 «ma al solito, spetta ai singoli individui, alla loro consapevolezza critica, alla loro creatività, ai loro valori, farne l’uso che meglio credono. Internet al pari della TV è sempre innocente, l’utente no»27.

∙∙ non-linearità del testo: il passaggio da testo fisico a testo virtuale ha portato alla sua evoluzione in “ipertesto”, il testo elettronico ramificato31, costituito da «una serie di brani tra cui sono definiti collegamenti che consentono al lettore differenti cammini»32. Mentre il libro cartaceo è caratterizzato dalla stabilità sia spaziale, fissità nell’impaginazione, sia logica, linearità e monologicità, l’ipertesto presenta una maggiore «dinamicità, fluidità, magmaticità» e «incoraggia l’integrazione piuttosto che l’autosufficienza»33 attraverso un processo di connessione con altri testi reso rapidissimo sia in fase di scrittura che di lettura. Viene meno così «l’isolamento fisico della tecnologia libro»34 e allo stesso tempo 28 Casati, op. cit. 29  Dati Nielsen 2010 30  Un classico su questo tema è Bringhurst R. (1992), The Elements of Typographic Style, Hartley & Marks 31  Peticca S. (2002), Il linguaggio delle email, Rubettino Editore

25  Rheingold H. (2003), Smart mobs. Tecnologie senza fili, la rivoluzione sociale prossima ventura, Raffaello Cortina

32  Nelson T.H. (1992), Literary Machines 90.1, Muzzio

26 Ludovico, op.cit.

33  Baldini M., op. cit.

27  Baldini M. e Marucci D., a cura di (2005), La parola nella galassia elettronica, Armando

34  ibidem

28

29

le problematicità legate alla fruizione sui supporti digitali


Capitolo 2

Introduzione alla lettura in digitale tra eBook e new media

vengono riconfigurate l’esperienza della lettura e il ruolo del lettore35. D’altro canto c’è chi sostiene che la tipologia di testo tradizionale lineare sia il formato cognitivo perfetto proprio perché assolve al suo compito contenendo «solo se stesso»36. ∙∙ lettura “estensiva”/lettura “espansa”, nativi digitali e situazione apprendimento: «fino alla fine del Seicento, tempo libero e capacità di leggere erano stati virtualmente limitati agli studiosi e ai “gentiluomini”»37, e solo sul finire del Settecento la lettura passa dall’essere «intensiva», riverente, silenziosa, per lo più di qualche almanacco e qualche operetta devozionale, all’essere «estensiva»38, disinvolta e irriverente, e guadagna «un pubblico sempre più atomistico, individualistico, disperso e differenziato»39. Nel Novecento, poi, compaiono diverse tipologie di lettore: il nomade, il bracconiere, il lettore che procede per assaggi, o per sondaggi, per salti. «Questa lettura non-lineare sarà la lettura tipica anche dei lettori degli ipertesti»40 e dei cosiddetti nativi digitali41. Il nativo digitale, o “homo zappiens”42, ha una capacità di gestire varie attività contemporaneamente, riuscendo con poche difficoltà a gestire il forte flusso di informazioni che circola nei nuovi media. In realtà l’intelligenza digitale43 è una questione ancora dibattuta dal momento che potrebbe essere sminuita a “saper fare” digitale, ovvero competenza tecnico-pratica dettata dall’abitudine a interfacciarsi con i suddetti device44. A ciò si può aggiungere che non solo l’evoluzione del design delle interfacce, nel frattempo, ha portato alla progettazione di oggetti iperergonomici e userfriendly45 ma che il rifermento stesso al concetto di userfriendly implica il riconoscimento di una diminuzione delle competenze necessarie per usare un determinato strumento46. Per quanto riguarda, invece, lo svolgimento in parallelo di più attività, il “multitasking” cosciente sembra non poter essere applicato al comportamento umano. Si ha piuttosto a che fare con “task switching”, cioè il passaggio continuo da un compito all’altro47 che comporta notevoli costi di tempo e investimento di sforzo, a scapito dell’attenzione48.

di numerose app volte all’intrattenimento, feed e inviti all’acquisto creano un contesto non favorevole alla lettura attenta. In alcuni casi gli iPad e i suoi succedanei sono visti essenzialmente come «strumenti di registrazione di iscrizioni»49. Ciò che sembra necessario è che il design, che ha trovato per decenni soluzioni per attirare l’attenzione, assuma il compito di «cercare soluzioni che la proteggano»50.

∙∙ distrazione: la concentrazione durante la lettura, elettronica o su supporto cartaceo, subisce la cosiddetta “erosione digitale” ma, mentre i libri a stampa occupano in maniera gelosa il nostro tempo ed escludono distrazioni, la centralizzazione in un solo schermo

Struttura rizomatica dell'ipertesto

2.2. Testi non-narrativi: un possibile ambito di intervento del design

35 Landow, op. cit. 36 Casati, op. cit.

Seppur ovvio, occorre rimarcare l’evidenza che esistano libri diversi, che si legga per scopi diversi e che leggere per diletto presupponga competenze e stati di coscienza differenti rispetto al leggere per accrescere la conoscenza. Da ciò si può dedurre che non tutti i generi editoriali siano adatti allo stesso modo alla “digitalizzazione”, o, meglio, alla virtualizzazione profonda dei testi in ottica di ottimizzazione delle risorse disponibili nella lettura in ambienti digitali.

37 Steinberg, op. cit. 38 Baldini., op. cit. 39  ibidem 40  ibidem 41  Ferri P. (2011), Nativi digitali, Bruno Mondadori 42  Veem W. e Vrakking B. (2010), Homo Zappiens, Edizioni Idea 43  Prensky M. (2001), Digital Game-Based Learning, McGraw-Hill 44 Casati., op. cit. 45  Tonello F. (2012), L’età dell’ignoranza, Mondadori

Basti pensare alla necessità, nella lettura di romanzi, per esempio, di ricreare un ambiente accuratamente immersivo. In questo caso l’oppressione derivante da note bibliografiche, o altri elementi di distrazione, costantemente offerti, non arricchirebbe l’esperienza della lettura, ma, al contrario, metterebbe il lettore in condizioni di difficile coinvolgimento empatico con le vicende dei protagonisti. Per questo motivo, è possibile ritenere che, al di

46  Krugman P. (1994), “Technology’s revenge”, in The Wilson Quarterly, Woodrow Wilson International Center for Scholars 47 Casati, op. cit.

49  Ferraris M. (2011), Anima e iPad, Guanda

48  Datchary C. (2010), La dispersion su travail, Octares Edition

50 Casati, op. cit. 30

31


Capitolo 2

Introduzione alla lettura in digitale tra eBook e new media

INTERTESTUALITA’ PASSIVA

INTERTESTUALITA’ ATTIVA = IPERTESTUALITA’

2.3. Re-design del testo digitale nell’evoluzione della cultura testuale

Differenze tra l'ipertestualità analogica tradizionale e ipertestualità in ambiente digitale

là di categorie letterarie particolarmente orientate verso una ridefinizione sperimentale del genere, che rimangono casi degni di nota, la riconfigurazione progettuale del libro narrativo sia, in questo contesto, meno interessante e, per questo, trascurabile.

il formato saggio e la questione delle note

Nel caso di testi scientifici, saggi, testi accademici o divulgativi, invece, dove bisogna saper ricavare il massimo dai contenuti, estrarre tutte le nozioni raccolte in forma implicita, evidenziando, producendo sommari, sintetizzando concetti-chiave, ecc, potrebbe tornare utile l’uso di strumenti capaci di rendere sistematica questa pratica, e di formati che associno l’eBook agli appunti personali, note e ad altri testi di approfondimento attraverso collegamenti ipertestuali. D’altro canto, nonostante ci sia chi difende con tenacia il ruolo delle note51, e, di conseguenza, del non-isolamento culturale del libro, come fondamento nella struttura del saggio moderno52, di contro, c’è chi sostiene che «la particolarità del formato-saggio viene dal fatto di dover presentare un argomento complesso in modo sostenuto e in continua interazione col lettore»53 e che nei saggi in cui il testo è asfissiato informazioni aggiuntive, per esempio nell’apparato di note, si ha l’impressione che l’autore dia troppa responsabilità al lettore, il quale si trova a svolgere un lavoro di sintesi, mancato in fase di redazione. Da qui nasce, quindi, l’interesse a dare particolare rilevanza all’indagine su come possa un intervento di tipo progettuale rendere la situazione della lettura, e, soprattutto, la situazione dell’acquisizione di preziose porzioni di conoscenza, a partire dalle criticità finora rilevate. Questa scelta verrà motivata ulteriormente nel momento in cui agli elementi in gioco si aggiungerà anche la ferma convinzione di ricorrere all’uso di metodologie sinsemiche per facilitare la consultazione delle informazioni presentate e l’ottimizzazione della fruizione di contenuti culturali in ambito digitale. 51  De Maurissens I. (2011), Social reading and social note: personalizzazione versus socializzazione nella didattica? in http://www. eBooklabitalia.com/annotazioni-eBook/ 52  Grafton A. (1999), The footnote: a curious history, Harvard University Press 53  ibidem 32

In alto: il testo reflowable di un eBook si adatta ai diversi formati dei dispositivi Kindle; In basso: impostazioni di lettura;

A conclusione dell’analisi nel campo dell’editoria emergono, quindi, alcune questioni irrisolte sulle quali il knowhow del progettista può dare un grande contributo al fine di ridefinire questa tappa transizionale dell’evoluzione della cultura testuale. È possibile, allora, provare a mettere in rilievo questi aspetti e a proporre alcune riflessioni effettuate durante la ricerca affinché rappresentino un punto di partenza per la definizione di linee guida per il “design della situazione della lettura e della situazione apprendimento”. Il sostanziale insuccesso degli eBook, e motivo principale dello scetticismo dei sostenitori della supremazia della carta, può essere individuato nel cattivo rapporto che si instaura tra lettore abituato alla comodità del libro stampato e interfaccia di fruizione del testo elettronico. 33


Capitolo 2

Introduzione alla lettura in digitale tra eBook e new media

Definiamo “interfaccia”, in questo ambito di interesse, come lo spazio di contatto54 fra i sensi e i dispositivi, sia hardware che software, che permettono all’utente di interagire con la realtà virtuale che gli si presenta nel momento in cui consulta un eBook. È chiaro che un dispositivo limitato alla sola fruizione lean foward, ovvero “a scrivania”, non può essere considerato al pari di un libro cartaceo dal punto di vista ergonomico e della comodità d’uso. Quindi pare fuor di dubbio che la prima azione progettuale è da rivolgere alla riconfigurazione dei supporti per la lettura lean back, delle interfacce dei software che permettono la navigazione e la consultazione dei libri, e delle interfacce “logiche” dei libri stessi, ovvero la loro impostazione tipografica. Alcune linee guida per la riprogettazione di supporti e formati possono essere:

linee guida oer il design della situazione apprendimento

∙∙ progettare dei supporti e dei formati durevoli: «ogni volta che compare una nuova tecnologia, essa cercherà di dimostrare che trasgredirà le regole e i limiti che ha trovato ogni altra tecnologia precedente»55 eppure dall’analisi del mercato si evince che «la velocità con cui la tecnologia si rinnova, obbliga in effetti a un ritmo insostenibile di riorganizzazione continua delle nostre abitudini mentali»56 e che i cosiddetti “supporti durevoli” (devices, softwares, estensione dei formati...) si dimostrano spesso piuttosto effimeri e vengano, nell’arco di pochi mesi, sostituiti da altri meno obsoleti. ∙∙ riconfigurare layout e aspetto grafico: il passaggio da libro cartaceo e libro digitale, o, meglio, da testo a ipertesto, fa affiorare alcune considerazioni sulla configurazione tipografica delle due tipologie di prodotto editoriale. Infatti se nel testo a stampa la divisione tra le varie parti dell’opera, per esempio l’introduzione, la postfazione, le note e le appendici, è stabile e risponde a gerarchie di status e potere (i caratteri più piccoli usati per il testo delle note e la collocazione del testo in una zona lontana dal centro normale dell’attenzione del lettore, rendono chiaro che quel linguaggio è sussidiario, dipendente e meno importante), tutto ciò può venir meno nell’ipertesto, nel quale «il collegamento elettronico distrugge immediatamente la semplice opposizione binaria fra testo e nota»57. Seguire un collegamento elettronico può portare il lettore non necessariamente dal testo alla nota, ma da un testo a un altro testo o a un commento critico, oppure può farlo passare da una nota a un’altra nota e da qui a una variante testuale, e così via58. È utile anche esaltare la possibilità di personalizzare l’aspetto grafico, variando la grandezza dei caratteri, il colore dello sfondo o del carattere stesso, ma anche la disposizione spaziale dei segni, l’integrazione tra titoli e testi, i collegamenti tra scritte, immagini e suoni59. ∙∙ riconfigurare l’interfaccia libro: se può sembrare ovvio considerare distinte l’interfaccia del libro cartaceo e del libro elettronico, è bene specificare che un’efficace interfaccia per eBook non può ricalcare ingenuamente altre interfacce digitali come quella dei vari

browser di pagine web. Il rischio del rumore cognitivo è molto vicino. D’altronde il “www” «è una forma di ipertesto molto primitiva, appiattita e ridotta. Inoltre, ha l’effetto dannoso di abbassare le aspettative della gente, di far si che le persone vogliano qualcosa di molto simile alle potenzialità dei libri senza avere le potenzialità di ciò che è elettronico. […] In altri sistemi di ipertesto – Storyspace, Intermedia, Microcosm, Sepia – alcuni scrivono con una tecnica simile a collage, fanno esperimenti di discussione, con l’uso di immagini e colori nei modi più diversi. […] Il lettore non si perde mai perché non soltanto si sa dove si può tornare, ma si conoscono anche i modi per andare avanti»60. Nello specifico della progettazione alcuni suggerimenti utili sono: ∙∙ progettare interfacce di navigazione e di comando, che non interferiscano con i contenuti del libro; ∙∙ inserire mappe globali del documento per l’orientamento all’interno di esso; ∙∙ facilitare la cronologia delle ricerche, delle letture; ∙∙ evitare elementi di distrazione, rumore cognitivo, confusione; ∙∙ rinforzare elementi visivo-spaziali in “sinsemia”61 cognitivamente efficaci; ∙∙ integrare il testo con elementi di ricerca, mappe, rimandi ipertestuali, note interattive; ∙∙ impiegare le potenzialità di tag e filtri, e renderne personalizzabile l’accesso; ∙∙ rendere l’indicizzazione partecipata, non del tutto automatica o preimpostata; ∙∙ permettere il settaggio delle impostazioni riguardo la visualizzazione delle informazioni, secondo quantità, tipologia, e grado di approfondimento;

54  Ciotti F. e Roncaglia G. (2003), op. cit. 55  Carriére in De Tonnac J.P., op. cit. 56  Eco in De Tonnac J.P., op. cit.

∙∙ abbattere l’isolamento culturale del singolo testo e favorire collegamenti con altre unità testuali.

57  Landow G.P., op. cit. 58  Baldini M., op. cit.

60  Landow G.P., op. cit.

59  Peticca S., op. cit.

61  Perondi L. (2012), Sinsemie: scritture nello spazio, Stampa alternativa & Graffiti 34

35

A sinistra: personalizzazione di lettura di un eBook A destra: interazione col testo


Capitolo 2

Introduzione alla lettura in digitale tra eBook e new media

2.3.1. Oltre l’editorial design e il design delle interfacce, linee guida per un nuovo “sistema libro”

Per rendere più interessante il discorso sulla trasformazione del editoria in ambito digitale, però, bisognerebbe partire dal presupposto che non è sufficiente riprogettare le configurazioni dell’attuale forma digitale del libro, o implementare esclusivamente le interfacce e la simulazione della lettura tradizionale effettuata con i dispositivi elettronici, ma occorre ripensare al sistema di trasmissione della cultura attraverso strumenti editoriali che, partendo dalla preziosa eredità della lettura consolidata nel tempo, offra un nuovo modo di fruire dei contenuti, abbandonando, se necessario, l’idea di libro come contenitore chiuso di informazioni. A proposito dell’“iper-romanzo”, per esempio, Calvino ci fa notare che «quella che prende forma nei grandi romanzi del XX secolo è l’idea d’un enciclopedia aperta, aggettivo che certamente contraddice il sostantivo enciclopedia, nato etimologicamente dalla pretesa di esaurire la conoscenza del mondo rinchiudendola in un circolo. Oggi non è più pensabile una totalità che non sia potenziale, congetturale, plurima»62. Più in generale, ad avere le idee piuttosto chiare è Craig Mod, designer, fondatore della casa editrice PRE/POST, il quale in un suo articolo63 intitolato “Post-Artifact Books and Publishing”, descrive tre fasi che riguardano la creazione di un libro tradizionale: la metafora dell'iper-romanzo e il post-artifact books

Schema delle ipotesi di Craig Mod in Post-Artifact Books and Publishing; schema di Jacopo Pompilii (2013)

∙∙ pre-artifact system: prima fase che racchiude il processo produzione di contenuti culturali in forma libro, dall’idea dell’autore fino alla pubblicazione vera e propria; ∙∙ artifact system: fase in cui il libro, nelle mani del lettore, partecipa a un’esperienza, quella della lettura, privata e isolata, salvo alcuni sporadici epidosi di scambio con la realtà esterna ∙∙ post-artifact system: ultima fase in cui il libro diventa oggetto di discussione da parte di studiosi, classi universitarie e gruppi di appassionati. Nell’ultima fase si rivelebbe il valore aggiunto di un libro, ma i limiti del mezzo cartaceo non permettono di conservare traccia dei legami tra opera e lettori e tra lettori stessi. Chi scrive una pubblicazione in digitale, invece, è in grado di offrire un’esperienza totalmente diversa dal concetto tradizionale di lettura, che comprende autore e lettore allo stesso tempo e prevede uno scambio continuo tra i soggetti coinvolti. Il mezzo digitale, quindi, può migliorare non solo la diffusione e l’accesso alle risorse, ma anche, e soprattutto, lo scambio e la partecipazione al processo di creazione del nuovo “artefatto libro”. Insomma, l’eBook e le pubblicazioni digitali non sostituiranno il libro cartaceo, ma avranno un ruolo di rilevanza nell’evoluzione della cultura testuale. Basta solo indagare su quali siano le strade percorribili. Per questo nei prossimi capitoli si cercherà di effettuare una panoramica su nuove forme di scrittura cercando quella che meglio si adatta alle nuove esigenze del lettore.

Armstrong C. (2008), “Books in a Virtual World“, in Journal of Librianship and Information Science, settembre Baldini M. e Marucci D., a cura di (2005), La parola nella galassia elettronica, Armando, Roma Barthes R. (1973), S/Z, Einaudi Birkerts S. (2006), The Gutemberg Elegies. The Fates of Reading in Electronic Age, Faber & Faber Bolter, J.D., Grusin, R. (1999), Remediation: Understanding New Media, MIT Press, Cambridge Bringhurst R. (1992), The Elements of Typographic Style, Hartley & Marks Publishers, Vancouver Calvino I. (1993), Lezioni Americane, Garzanti, Milano Carr N. (2011), Internet ci rende stupidi? Come la Rete sta cambiando il nostro cervello, Raffaello Cortina Editore, Milano Casati R. (2013), Contro il colonialismo digitale. Istruzioni per continuare a leggere, Laterza, Bari

62  Calvino I. (1993), Lezioni Americane, Garzanti

Ciotti F. - Roncaglia G. (2003), Il mondo digitale. Introduzione ai nuovi media, Laterza, Bari

63  Mod C. (2011), Post-Artifact Books and Publishing su http://craigmod.com/journal/post_artifact/

Datchary C. (2010), La dispérsion su travail, Octares Edition, Toulouse

36

37


De Maurissens I. (2011), Social reading and social note: personalizzazione versus socializzazione nella didattica? in http://www.eBooklabitalia.com/annotazioni-eBook/ De Tonnac J.P., a cura di (2009), Non sperate di liberarvi dei libri, Bompiani, Milano Ferraris M. (2011), Anima e iPad, Guanda, Parma

Capitolo 3. Visualizzazione e scrittura nello spazio

Ferri P. (2011), Nativi digitali, Bruno Mondadori, Milano Grafton A. (1999), The footnote: a curious history, Harvard University Press, Cambridge Hugo V. (1831), Notre-Dame de Paris, trad. di Leto G. (1985), Mondadori Krugman P. (1994), “Technology's revenge”, in The Wilson Quarterly, Woodrow Wilson International Center for Scholars, Washington Landow G.P. (1993), Ipertesto. Il futuro della scrittura, Baskerville, Bologna Laterza G. (2001), Chiamiamolo DIASS, intervento al convegno “Il libro elettronico entra all'università: quali eBook per la didattica e la ricerca?“, maggio 2001 Maldonado T. (1997), Critica della ragione informatica, Feltrinelli, Milano Mod C. (2011), “Post-Artifact Books and Publishing” su http://craigmod.com/journal/ post_artifact/ Nelson T.H. (1992), Literary Machines 90.1, Muzzio, Padova Ottieri Mauri S., a cura di (2003), Vent'anni di scuola per librai Umberto e Elisabetta Mauri, UEM Perondi L. (2012), Sinsemie: scritture nello spazio, Stampa Alternativa & Graffiti Peticca S. (2002), Il linguaggio delle email, Rubettino Editore, Soveria Manelli

3.1. Linearità della scrittura alfabetica Per la tradizione culturale occidentale, originata nella Grecia più di duemila anni fa, la linearità della scrittura ha rappresentato un presupposto fondamentale per la capacità di comunicare e per lo sviluppo del pensiero logico. Il principio di linearità monodimensionale sul quale si fonda la lingua parlata si è trasferito sulle modalità d’uso del sistema di scrittura, passando, secondo le teorie evoluzionistiche, attraverso l’uso dei pittogrammi, degli ideogrammi, delle scritture fonetiche sillabiche, raggiungendo nell’ultima fase alfabetica il culmine della scala evolutiva. Queste teorie descrivono il sistema segnico alfabetico come «un ingegnoso artificio tecnico per la rappresentazione della lingua parlata»1, a essa subordinato e, nel contempo, ritengono che l’espressione visivo-grafica innazitutto sia, e sia sempre stata, il veicolo primario della comunicazione, come suggerito dal semiologo e linguista Roy Harris2.

Prensky M. (2001), Digital Game-Based Learning, McGraw-Hill, New York Rheingold H. (2003), Smart mobs. Tecnologie senza fili, la rivoluzione sociale prossima ventura, Raffaello Cortina, Milano Roncaglia G. (2010), La quarta rivoluzione. Sei lezioni sul futuro del libro, Laterza, Roma-Bari Tonello F. (2012), L'età dell'ignoranza, Mondadori, Milano Veem W. - Vrakking B. (2010), Homo Zappiens, Edizioni Idea, Roma

Simile contrapposizione tra immagine e scrittura, seppur profondamente radicata nella comunicazione visiva contemporanea e consolidata dalla meccanizzazione delle tecniche di stampa, appare oggi controproducente e porta alla impossibilità di cogliere le potenzialità latenti dello sviluppo in parallelo dei due linguaggi e inoltre, genera una pericolosa diffidenza 1  Lussu G. (1999), La Lettera uccide, Stampa Alternativa & Graffiti 2  Harris R. (1998), L’origine della scrittura, Stampa Alternativa & Graffiti 38

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Interfaccia dei siti web come artefatti sinsemici: home del sito internet dell'Università IUAV di Venezia


Capitolo 3

Visualizzazione e scrittura nello spazio

3.2. Le tre dimensioni dello scrivere: due approcci alla non-linearità Mettere in ordine le informazioni è la prima operazione a cui, da sempre, è abituato chiunque abbia a che fare con la scrittura di un testo, procedendo sequenzialmente dalle premesse alle deduzioni, dall’esordio alla conclusione, dal complessivo al particolare. Specularmente la lettura determina la medesima situazione: le informazioni nei testi con cui generalmente il lettore ha a che fare si succedono in modo sequenziale, come il frutto di un disegno nitido ordito da chi ha prodotto lo scritto. La linearità della scrittura, come quella del linguaggio verbale, è un’eredità della cultura occidentale, con millenni di storia alle spalle, e ha indubbiamente assunto un fondamentale ruolo nello sviluppo della cultura illuminista e nella formazione del metodo scientifico della conoscenza moderna5. La rigida monodirezionalità di un testo ha, però, spesso dovuto fare i conti con una tendenza alla rottura di questo schema in favore di sperimentazioni volte a destrutturare la sequenzialità del discorso e fornire un ordine diverso alle informazioni.

A sinistra: iscrizioni sulla tavolette di Pilo (XIII sec. a.C.)

verso il concetto di multicodicalità espressiva.

A destra: alfabeto greco arcaico su una kylix attica a figure nere (IV sec. a.C.)

Questo scetticismo però appare in forte controtendenza con le attuali pratiche di design dell’informazione – siti web, eBook, web journalism, app per smartphones –, e gli spazi informativi digitali o fisici – città, negozi e musei, per esempio – sono progettati sempre più come una commistione complessa di parole e immagini: «parole da guardare e immagini da leggere»3. Il web, i giochi, le applicazioni di ubiquitous computing e l’internet delle cose, l’infografica, la lettura in digitale, sono tutti fenomeni che privilegiano una scrittura dove la sintesi fra parola e immagine comunica nella sua totalità, superando la classica disposizione sequenziale e privilegiandone una spaziale: «Scrivere parole è il latino dei nostri tempi moderni, la lingua volgare di oggi è utlilizzare video e suoni e immagini»4. La comunicazione si fa sinsemica.

cultura visuale e attuali pratiche di lettura e di condivisione di informazioni

artefatti sinsemici: visualizzazioni, mappe, grafici

Nella trattazione di questo tema utilizzerò una terminologia spesso varia per riferirmi agli artefatti sinsemici, chiamandoli, senza distinzione, salvo dove specificato, sinsemie, visualizzazioni (o visualizations), mappe, grafici, testi non-lineari o scrittura non-lineari, artefatti comunicativi in forma sinottica. In generale i testi sinsemici sono definiti come testi la cui organizzazione spaziale prescinde dalla disposizione bidirezionale degli elementi, non essendo vincolata alle tecniche meccaniche produttive dei libri cartacei e dai processi di pubblicazione della tradizione editoriale, premettendo di presentare contenuti complessi in forma sinottica e compatta, mediante l’uso di parole, immagini, icone, facilitando la comunicazione e la comprensione di concetti a elevato contenuto di astrazione.

3  Rosati L. (2011), Sinsemia: scrittura in formato paesaggio, su http://lucarosati.it/blog/sinsemia 4  Isabel De Maurissens, parafrasando le parole di Lawrence Lessing, nel suo saggio De Maurissens I., “Scrivere con le immagini”, in Anichini A. (2014), Digital Writing. Nel Laboratorio di Scrittura, Apogeo Education 40

monodirezionalità della scrittura alfanumerica

Semiologi, filosofi e informatici, tra cui David Bolter6, Vannevar Bush, Ted Nelson, Paul Delany, Douglas Engelbart, si sono interrogati sulla visione alternativa del testo e sulla possibilità di aumentare la capacità intellettuale umana – si parla di human augmentation – tramite l’organizzazione non-lineare dell’informazione. Passo fondamentale per il nuovo modello sarebbe quello di spezzare la «gabbia costruttiva di Gutenberg, liberarsi dalle catene materiali che legano testo scritto e idee»7. Ma una definizione di testo “non-lineare” si deve soprattutto al genitore della teoria degli ipertesti, George Landow, il quale propone l’evoluzione del testo scritto attraverso la trasformazione elettronica in reti ramificate di blocchi testuali collegati tramite i link, ovvero gli ipertesti. Il modello tradizionale di scrittura lineare, secondo le ipotesi di Landow, sarebbe «vincolante e innaturale», e, perciò, da combattere con «la scompaginazione fisica del testo, la collaborazione del destinatario (ndr. ciò che il modello tradizionale chiama “lettore”) e la produttività concentrata sui link e sulle connessioni»8. Occorre, però, far chiarezza su quale significato dare, all’interno di questo elaborato, all’espressione “non-lineare”. Sebbene il concetto sia oggi indissolubilmente legato a quello di ipertestualità, la nonlinearità può anche indicare un metodo di consultazione delle informazioni contenute in 5  A questo proposito può essere utile la lettura di due testi che affrontano il problema dell’opposizione tra scrittura e immagine: Antinucci F. (2011), Parola e immagine: storia di due tecnologie, Editori Laterza, e Barbieri D. (2011), Guardare e leggere: la comunicazione visiva dalla pittura alla fotografia, Carocci Editore 6  Bolter in Lo spazio dello scrivere afferma che la stampa ci ha incoraggiati a pensare al testo scritto come a una “creazione immutabile, un monumento al suo autore e alla sua epoca”. Lo studioso ricorda come Hugo affermasse che la biblioteca era diventata “un sostituto della cattedrale” e in un altro passo scrive “ciò che è innaturale nella stampa diventa naturale nel mezzo elettronico, e presto non ci sarà nemmeno più bisogno di parlarne, perché lo si potrà mostrare” (Bolter J. D. (1993), Lo spazio dello scrivere. Computer, ipertesti e storia della scrittura, Vita e Pensiero). Artificiosità e meccanicità della tecnologia gutemberghiana e “naturalità, fluidità” della tecnologia elettronica, sono tesi al centro dell’articolo As We May Think di Vannevar Bush (Bush V. (1945), “As we may think”, in The Atlantic Monthly). 7  Ricciardi M. (2011), Il testo (non) è mobile, su http://journals.oregondigital.org/hsda/article/view/2986 8  Delany P. - Landow G. (1991), Hypermedia and Literary Studies, MIT Press 41

scompaginazione del testo fisico come atto di liberazione dalla schiavitù della gabbia costruttiva


Capitolo 3

definizione di testo non-lineare

Visualizzazione e scrittura nello spazio

un artefatto senza vincoli direzionali, che siano preventivamente assegnati dall’autore. Le scritture sinsemiche, infatti, guadagnano, a confronto con le scritture monodimensionali, ulteriori dimensioni, nella componente spaziale, che conferiscono al testo percorsi di lettura potenzialmente illimitati. «Anche se il testo può essere letto e vocalizzato, non c’è un’unica possibilità di lettura; [...] le cose possono “accadere” simultaneamente e in maniera reciprocamente indipendente»9 guidate da un sistema di convenzioni per l’organizzazione degli elementi, purchè chiaramente formulato.

Le due dimensioni della pagina, unite a una terza dimensione, fornita dalle connessioni ipertestuali dei testi digitali origina un’enome potenzialità nello sviluppo di testi concepiti in maniera del tutto innovativa. Nel 1991, quando internet era un medium di recentissima introduzione, Ivan Illich, nel volume profetico In the vineyard of the text10, scrivendo: «oggi il libro non è più la metafora fondamentale dell’epoca; il suo posto è stato preso dallo schermo. (...) È il momento ideale per coltivare una molteplicità di approcci alla pagina che sotto il monopolio della lettura scolastica non hanno potuto fiorire», anticipava di gran lunga le intuizioni riguardo l’utilizzo in ambito digitale di testi sinotticamente organizzati, evidenziando le enormi prospettive che una ritrovata modalità di lettura a scansione rapida dei testi e la diffusione di contenuti permessa dalla rete avrebbero potuto rivelare.

3.3. Presentazione e visualizzazione: Information Is Beautiful Nel suo saggio L’arte funzionale, Alberto Cairo, studioso di information design e pluripremiato partecipante al concorso Malofiej11, oltre a effettuare un ammirato elogio alla nobile, e utile, arte della rappresentazione delle informazioni sotto forma di artefatti comunicativi, introduce alcune riflessioni riguardo l’utilizzo di terminologie differenti che fanno riferimento alle pratiche al centro della sua ricerca.

asse sinsemico y

Il primo importante concetto espresso è che la visualizzazione “esplorativa” sia una modalità

Stratificazione del testo sinsemico secondo i tre assi della disposizione spaziale delle informazioni

le x

ua

est ert

e ip

ass

asse sinsemico x

L’uso di elenchi telefonici, di indici e tabelle orarie, per esempio, non risulterebbe così semplice se il testo non fosse disposto accortamente nello spazio e se la modalità di consultazione avesse vincoli direzionali. L’ordine dato agli elementi non risulterebbe così funzionale se derivasse da mere operazioni di impaginazione delle informazioni e non dalla precisa volontà di comunicarne alcune, spesso non espresse con l’uso delle parole, attraverso la disposizione spaziale. Operazioni di questo tipo non sono accessorie, ma rilevanti tanto quanto le parole stesse, perché se trascurate, il testo perderebbe senso. È possibile ipotizzare, quindi, che se l’ipertestualità conferisce alla pagina tradizionale un’ulteriore dimensione, cioè quella della profondità, collegando una pagina all’altra tramite link che stratificano in grado di approfondimento dell’informazione, la non-linearità in senso spaziale sfrutta in maniera piena la bidimensionalità della pagina offrendo la possibilità di scegliere il percorso di lettura delle informazioni, al di là della scansione temporale imposta dalla scrittura alfabetica tradizionale. 10  Illich I. (1994), Nella vigna del testo. Per un’etologia della lettura, Raffaello Cortina 9 Perondi, op. cit.

11 http://www.malofiejgraphics.com/ 42

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A sinistra: Loren Munk, "Investigating the myth of Avant-garde" (2013) A destra: letteratura grafica del testo "Il Piccolo Principe", realizzata da Francesco Franchi per IL (2009)


Capitolo 3

Visualizzazione e scrittura nello spazio

di approccio a un artefatto sinsemico – o più in generale a un testo – differente dalla lettura di una “presentazione”, ma che queste appartengano allo stesso «continuum» tipologico.

esplorazione, interpretazione, apprendimento

Rappresentazioni come le infografiche e le visualizzazioni sono entrambe modalità con cui si mettono in luce informazioni, ma esse si prestano alla consultazione con un diverso grado di esplorazione: le prime permettono la presentazione di dati numerici e di informazioni qualitative con possibilità esplorative limitate; le altre assumono lo scopo di far “giocare” i lettori con quello che viene mostrato loro, grazie a un grado di esplorazione elevato, e quindi, attraverso l’osservazione, la visualizzazione e l’interpretazione, acquistano qualità di comprensione intellettualmente attive; inoltre, le informazioni presenti in una visualizzazione esprimono porzioni di reale con una configurazione molto spesso differente da come appaiono nella realtà, proprio perché, nella maggior parte dei casi, non descrivono fenomeni «naturalmente accessibili a occhio nudo» o «di natura visiva»12, ma che possono essere resi manifesti tramite artifici grafici e sistemi di segni, più o meno figurativi13. Supportato dalla tesi di Ben Shneiderman, esperto in computer science e interfacce, il quale nel 1999 affermava che lo scopo della visualizzazione fosse «l’intuizione, non le immagini»14, Cairo conferisce all’interpretazione di una rappresentazione, ad alto contenuto esplorativo, un’importanza fondamentale nei processi di comprensione. Anche nella fruizione di contenuti culturali in forma sinsemica, quindi, «raggiungiamo la saggezza quando arriviamo

Il "Codex Seraphinianus", libro scritto e illustrato con oltre mille disegni dall'artista italiano Luigi Serafini tra il 1976 e il 1978

a una comprensione approfondita della conoscenza acquisita; quando non solo “capiamo”, ma le nuove informazioni si fondono con l’esperienza pregressa in maniera tanto completa quanto da migliorare la nostra capacità di sapere che cosa fare in altre situazioni»15. Rappresentando, perciò, un processo tutt’altro che passivo, in cui la mente non è paragonata a un hard disk che registra informazioni, ma è descritta come una macchina intelligente capace di assorbire conoscenze e assimilare contenuti in maniera critica: «le menti sono modi molto evoluti di strutturare i frammenti di informazione che costituiscono la realtà. È questo ciò che intendiamo quando diciamo che una mente capisce: genera ordine»16. Per questo lo sforzo interpretativo nelle visualizzazioni, al contrario di ciò che le “presentazioni” – e le scritture interamente lineari – richiedono, diventa parte integrante dell’intento compositivo del progettista di una rappresentazione grafica. È come dire che i sistemi di segni, se ben manipolati dal graphic designer, devono «corrispondere alle tensioni e pressioni del contenuto»17 all’interno della pagina, o, più in generale, dello spazio compositivo in cui sono organizzate le informazioni. Quindi, attivare un processo di interpretazione e di deduzione inequivocabile diventa la vera sfida del progettista, in quanto, non rendendo esplicito ogni singolo dettaglio di come la decodifica di un artefatto sinsemico sia stata concepita, il lettore potrebbe trovarsi nella condizione in cui potrebbero esserci una pluralità di modi di interpretare la rappresentazione di un determinato fenomeno o di un particolare complesso di dati.

attivare il processo di interpretazione

Dick Higgins, "Intermedia Chart" (1995)

12  Costa J. (1998), La Esquemática: visualizar la informatión, Editorial Paidós 13  Come costruire un sistema di segni indipendentemente dalla corrispondenza mimetica tra reale e rappresentazione è uno degli argomenti trattati da Giovanni Anceschi in Anceschi G. (1981), Monogrammi e figure, La casa Usher. Un’altra lettura interessante a tal proposito è il testo di Deacon T. W. (1998), The symbolic Species: the co-evolution of language and brain, W.W. Norton & Company, in cui si parla di come le informazioni raccolte dai nostri sensi vengano trasformate in rappresentazioni semplici e gestibili, cioè simboli. 14  Card S., Mackinlay J. e Shneidermann B. (1999), Readings in information visualization: using vision to think, Academic Press 44

In definitiva, sembrerebbe che il legame tra comprensione e lettura o visualizzazione di un determinato prodotto grafico lineare o non-lineare sia fortemente influenzato dal livello di decodifica, e che nel primo caso, quello della lettura, l’apprendimento del messaggio da 15  Cairo A. (2013), L’arte funzionale. Infografica e visualizzazione delle informazioni, Pearson Editore 16  Kelly K. (2010), What technology wants, Penguin Group 17  El Lisitskij (1923), “Topographie der Typographie”, Merz, Editori Riuniti 45


Capitolo 3

Visualizzazione e scrittura nello spazio

che siano chiari, immediatamente e accuratamente rintracciabili, facilmente traducibili in azioni efficaci. Questo può voler dire, calato nel contesto, per esempio, del way finding design, progettare strumenti per mettere gli utenti nelle condizioni di trovare cognizione di uno spazio tridimensionale in maniera agevole e facile, esso sia lo spazio urbano o quello virtuale21. Per quest’ultimo motivo, infatti, l’information design trova importante applicazione anche nell’ambito dell’user interface design, come una precisa attenzione nel progettare le interazioni con strumenti informatici, che risultino il più possibile semplici e naturali e, magari, anche piacevoli, questione particolarmente importante nella progettazione delle interfacce uomo-computer.

information design: way finding, interface design e non solo

Sito internet del premio Kantar Information Is Beautiful

trasmettere sia in qualche modo più passivo, e quindi, meno efficace, rispetto alle situazioni espresse nella visualizzazione, in cui l’elaborazione cognitiva è stimolata dalla spinta interpretativa intrinseca dell’artefatto grafico ben articolato.

scrittura lineare e nonlineare: rivalità o mutuo vantaggio?

Obiettivo di questa tesi, però, non è quello di ribadire ed esasperare l’ormai storica contrapposizione tra scrittura e cultura visiva del testo non-lineare e di conseguenza schierarsi a favore dell’una o dell’altra modalità espressiva, piuttosto, l’intento dell’analisi che si sta conducendo è quello di riproporre l’integrazione tra le due modalità di elaborazione dell’informazione, con il fine di rendere l’esperienza della lettura più efficace e più rispondente, da un lato, alle esigenze di un lettore consapevole e attivo, e, dall’altro, avvantaggiarsi delle potenzialità comunicative offerte dalle tecnologie informatiche. L’integrazione tra scrittura tradizionale e cultura visiva, citando Rudolf Arnheim18, non rappresenta l’accostamento di due “tecnologie della conoscenza”, l’una intellettualmente più elevata dell’altra, ma occasione di riformulare l’esperienza dell’apprendimento in fase di lettura, allargando il campo della nostra percezione e cognizione.

3.4. Information Design L’information design è uno strumento indispensabile nella traduzione grafica della complessità. Esso riconosce la natura sistemica dei processi comunicativi e utilizza la natura interattiva della comunicazione per veicolare messaggi e aumentare la comprensione tra tutte le parti coinvolte in un’attività o un evento. Esso, in linea generale, viene definito come «l’arte e la scienza di preparare le informazioni in modo tale che queste possano essere utilizzate dagli esseri umani con efficienza e efficacia»19. Nelle varie accezioni che oggi il termine infodesign ha, è possibile individuare tra gli obiettivi principali uno scopo comune nel veicolare, tramite il linguaggio visuale e la stretta associazione tra parole, immagini e forme in una unità comunicativa integrata20, messaggi

L’information design però, in ambito editoriale e di knowledge management, si è sviluppato soprattutto con l’aumento della complessità e del volume di informazioni che le persone si trovano a dover processare, in particolare con l’avvento degli strumenti di conoscenza diffusi tramite le reti ed è quindi chiamato a risolvere un problema di information overload 22. Questo particolare ramo dell’information design può essere meglio definito come infographic design e consente di comunicare in modo comprensibile, semplice e divulgativo progetti e argomenti che uno scienziato, un tecnico, un ricercatore non sarebbe in grado di presentare con la stessa chiarezza. L’Istituto Internazionale di Information Design (2000) riconosce il carattere “interdisciplinare che combina grafica, scrittura, editing, illustrazione e fattori umani”. Alla base vi è il concetto di message design ovvero la progettazione del messaggio. In particolare il modello teorico di Pettersson23 esprime il concetto secondo cui la progettazione del messaggio è un tema multidisciplinare, multidimensionale e globale in cui confluiscono ambiti quali linguaggio, arte e estetica, scienze dell’informazione, comunicazione, comportamento sociale e discipline cognitive, così come tecnologie e logiche produttive dei media. Nel ricostruire la storia dell’information design e della sua professionalizzazione,

18  Arnheim R. (1969), Visual Thinking, University of California Press

21 Jacobson, op. cit.

19  Jacobson R. (1999), Information Design, The Mit Press

22  Albers M.J. - Mazur M.B. (2003), Content and Complexity: Information Design in Technical Communication, Routledge

20  Horn R.E. (1998), Visual Language: A Global Language for the 21st Century, http://library.mpib-berlin.mpg.de/toc/ze_2003_856.pdf

23  Pattersson R. (2002), Information Design. An introduction, John Benjamins

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Immagine coordinata e segnaletica per la metropolitana di Milano, Bob Noorda (1964)

message design


Capitolo 3

Visualizzazione e scrittura nello spazio

Jacobson24 individua alcuni “inventori”, tra cui William Playfair che usò grafici e diagrammi per rappresentare ai tempi della Rivoluzione Americana argomenti di natura politica e economica, e Florence Nightingale che utilizzò le rappresentazioni statistiche per la prima volta in un documento pubblico in ambito di politiche sanitarie durante la guerra di Crimea. Sebbene fosse stato Michael George Muhall il primo a inventare le pictorial statistics, è a Otto Neurath che si deve lo sviluppo di una metodologia Isotype per una efficace visualizzazione. David Sibbet ha elaborato successivamente una serie di tecniche per registrare graficamente le dinamiche dei gruppi durante le riunioni. James Beniger e Dorothy Robyn hanno stilato il primo elenco di inventori di diagrammi quantitative e H. G. Funkhouser ha riepilogato per la prima volta la storia dei grafici statistici. Lo stesso Jacobson nel suo libro sul linguaggio visuale ha dedicato un capitolo all’argomento. precetti dell'information design per Jacobson

Nella sua rassegna, Jacobson menziona alcuni autori che si sono occupati di sistematizzare e analizzare la conoscenza prodotta in quest’ambito. Jacques Bertin ha sviluppato un’analisi semiotica di grandissime proporzioni nel volume, più volte citato, Sémiologie Graphique. Gui Bonsiepe ha dimostrato le analogie con molti artifici retorici tradizionali, mentre Scott McCloudis e Will Eisneris quelle con i fumetti. William Bowman ha prodotto un’importante tassonomia della comunicazione grafica, mentre Michael Twyman25 ha analizzato la relazione tra information design statico e movimento dell’occhio, e lo stesso Jacobson ha analizzato le applicazioni agli ipertesti e alla scrittura. Jacobson cita anche un movimento sviluppatosi dopo la seconda guerra mondiale che invocava l’uso universale del linguaggio iconico; tra i rappresentanti figuravano Margaret Mead e Rudolf Modley e E. K. Bliss, il quale inventò

un linguaggio composto da più di dieci mila simboli «per liberare l’umanità dalla torre di Babele delle lingue parlate». In effetti poi il linguaggio iconico puro non ha attecchito se non nel settore dei trasporti e dei viaggi. Henry Dreyfus ha raccolto icone provenienti da diversi ambiti specialistici creando un’enciclopedia. Thompson e Davenport hanno costruito un dizionario visuale di immagini e metafore trovate nella pubblicità contemporanea. Robert McKim ha mostrato l’uso del linguaggio visuale non solo come forma artistica ma anche come mezzo per risolvere problemi in svariati ambiti professionali. Stephen Kosslynís ha pubblicato un pratico manuale di istruzioni per l’information design, così come Gene Zelazny ha fatto un lavoro analogo sulle business charts. L’introduzione di Gary Gloverís al nuovo ambito delle clip art ha consentito la popolarizzazione dell’information design. Molti autori si sono interessati invece all’aspetto estetico dell’information design, alla chiarezza e alla precisione. Edward Tufte elaborò il concetto di rapporto data-ink e quello di chartjunk stand dimostrando come la comunicazione possa essere esteticamente bella e al tempo stesso utile. I giornali e le riviste sono stati i principali protagonisti della diffusione dell’information design, tra gli altri Jacobson ricorda Stephen Bakerís descrive i metodi per rendere l’informazione attraente e persuasive a partire dalla esperienza pubblicitaria, e Nigel Holmes, art director al Time, è considerate un insigne maestro nell’ambito. Il contributo scientifico all’information design, invece, deriva da ambiti tra loro molto diversi, come comunicazione, educazione, apprendimento, fattori umani nella tecnologia, design delle interfacce e percezione, e tutti questi ambiti hanno sempre definito quest’area in modo differente. Pietre miliari sono gli studi di William Cleveland sulla comprensione dei grafici quantitative, la ricerca sulla scrittura strutturata (di cui la rassegna di Horn) e l’analisi sui diagrammi e i metodi per rappresentare l’informazione graficamente di Winn e Horton. La principale tensione che l’information design sperimenta nella sua storia è quella tra i designer grafici formati nelle accademie perseguendo gli ideali di stile, impatto e autoespressività, e i tecnici della comunicazione improntati agli ideali di chiarezza, precisione, intellegibilità e semplicità. Solo di recente la comunità dell’information design ha cominciato un processo di autoidentificazione, per quanto l’occupazione principale di un designer dell’informazione resti sempre un’altra (architetto, illustratore, giornalista, comunicatore). Inoltre, con l’avvento dei computer e dei software appositi, si è verificata una vera e propria democratizzazione dell’information design e così chiunque produca documenti si trova a sperimentare un minimo di information design. Di conseguenza, le tensioni identitarie non trovano facile risoluzione.

3.5. Data-visualization e data-art Un’ulteriore sostanziale precisazione su cosa sia una visualizzazione sinsemica possiamo dedurla partendo dalle riflessioni riguardo le differenze tra data-visualization e data-art, che è possibile individuare su due differenti livelli di analisi: lo scopo di una visualizzazione e la scelta consapevole del linguaggio utilizzato.

Semiologia grafica e studi statistici sulla popolazione francese, Jacques Bertin (1985) 24 Jacobson, op. cit.

Possiamo definire entrambe le due tipologie come forme di testo sinsemico, perché

25  Twyman M. (1975), The significance of Isotype, http://isotyperevisited.org/The%20significance%20of%20Isotype.pdf 48

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decorativismo vs. riduzionismo


Capitolo 3

Visualizzazione e scrittura nello spazio

concetto in maniera chiara ed efficiente e, come accennato in precedenza, utilizza gli artifici grafici per rendere il messaggio interpretabile e comprensibile. Lo scopo delle data-art, invece, non è principalmente quello indurre a compiere attività intellettive riguardo un testo, cioè di decodificare con precisione un informazione, ma quello di creare stupore nel lettore o di dare un’esperienza emozionale di fronte alla rappresentazione di un determinato fenomeno. Più nello specifico, possiamo affermare, con l’aiuto di Cairo26, che un testo sinsemico progettato efficacemente per la visualizzazione di informazioni, siano esse numeriche o concettuali, dovrebbe: ∙∙ presentare le diverse componenti in esame e le relative informazioni contenute;

comunicare vs. evocare

∙∙ permettere confronti tra le informazioni nelle varie componenti; ∙∙ guidare nella comprensione dell’organizzazione delle informazioni grazie all’uso delle variabili visive; ∙∙ suggerire correlazioni e rapporti, al fine di effettuare, se lo si desidera, una lettura più approfondita del testo stesso. Un artefatto di data-art, invece, non ha questi obiettivi, esso, mediante la rappresentazione grafica, consente al lettore di percepire un determinato fenomeno, altrimenti difficilmente percepibile, sollecitando il lettore più dal punto di vista emotivo che da quello di vista cognitivo. Le data-art, per questo, possono essere considerate un ottimo strumento per sensibilizzare a un determinato problema, attirare l’attenzione su un argomento e spingere il lettore ad approfondire la propria conoscenza con altri mezzi. Un nobile ruolo anche questo, sia chiaro.

conoscenza vs. emozione

Le differenze individuate riguardo gli obiettivi si riflettono, nelle migliori delle ipotesi, sul piano della forma, cioè del linguaggio che il progettista sceglie di applicare al suo testo: «l’utilità di un grafico (ndr. una visualizzazione, per esempio), può essere valutata solo nel contesto del tipo di dati, delle domande cui il suo autore vuole che i lettori rispondano, e della natura del suo pubblico»27: in altre parole a ogni differente scopo di un artefatto corrisponde un adeguato registro linguistico. Il “bello”, in ambito di visualizzazione, non è solo piacevolezza nella visione. È una questione intrinseca nell’atto della comunicazione stessa: se un’informazione è comunicata in maniera adeguata, è comprensibile e risponde alla propria funzione, essa è anche bella – Information is beautiful è anche il nome di un concorso annuale riservato alla infografiche, e il titolo delle relative pubblicazioni, curate dal data-journalist e information designer David McCandless28 ‒.

Stefanie Posavec, "Literary Organism" (2006)

spazialmente organizzate nella pagina e progettate col fine di configurare graficamente un messaggio da leggere in modo non-lineare e tramite l’interpretazione del sistema segnico utilizzato (icone, variabili visive, collegamenti e disposizione). Dal punto di vista dell’obiettivo, le due forme di visualizzazione, però, appaiono profondamente differenti: la data-visualization ha come intento quello di comunicare un 50

Un’artefatto sinsemico è il frutto di un’accurata progettazione, ed è «vincolato dalle funzioni della visualizzazione»29. È ovvio che un complesso di dati può assumere un gran numero 26  Cairo A. (2013), op. cit. 27  Kosslyn S. M. (2006), Graph Design for the Eye and Mind, Oxford University Press 28 http://www.davidmccandless.com/ 29  Cairo A. (2013), op. cit. 51

bello


Capitolo 3

Visualizzazione e scrittura nello spazio

di domini noti, attraverso un’associazione è guidata da principi di somiglianza diretta e/o evocativa. Non sarà questa l’occasione per approfondire la conoscenza sui concetti di iconicità primaria o secondaria, ma è interessante capire come la rappresentazione di fenomeni astratti o di dati in visualizzazione può assumere un linguaggio più figurativo o più convenzionale. Spesso è una decisione del progettista che non influisce sulla leggibilità del testo, ma, con le premesse finora fatte, il più delle volte, opererà scelte linguistiche subordinate alle esigenze di lettura di quel determinato testo. Il rischio di riempire lo spazio compositivo di “chartjunk”34, eccedere nel decorativismo, oppure, inserire in una visualizzazione troppi elementi, illustrazioni, icone leziose che semplificano i dati piuttosto che chiarirli, è un rischio che troppo facilmente compromette la funzionalità di un buon prodotto comunicativo.

3.6. Sinsemia, ovvero scritture nello spazio L’immagine è sempre stata una forma narrativa potente: la comprensione della sua grammatica, con alcune nozioni contestuali di base, è semplice e, il più delle volte, immediata, supera le barriere culturali e gli ostacoli linguistici. Nelle contemporanee modalità di scrittura digitale, l’immagine perde, finalmente, il suo status di mera illustrazione di appendice decorativa, di rinforzo comunicativo, acquista profondità e riacquisisce la dignità di scrittura primaria, affiancata a testi, a spezzoni audiovideo, a mappe e grafici.

European banks and government debt, Studio Accurat (2013)

di forme, in base all’ – mi si passi il termine – “estro creativo” del progettista in fase di configurazione dell’artefatto, ma se il suo scopo è quello di permettere al lettore di effettuare operazioni cognitive e ricavare significati al fine di trasformare l’informazione in conoscenza, esso non può assumere qualsiasi forma, perché la configurazione scelta non può essere basata solo su considerazioni estetiche o su gusti personali.

estetica minimalista della visualizzazione

«Rendere bella la visualizzazione dei dati in maniera che danneggi l’integrità di questi ultimi gioca sempre a nostro sfavore. Anche quando l’informazione non è compromessa, la bellezza può ugualmente giocare a nostro sfavore attirando l’attenzione sulla grafica della visualizzazione piuttosto che sull’informazione che cerca di comunicare. […] Lo scopo è dare lumi»30. Per concludere, sposando la tesi di Eward R. Tufte, un progetto di visual design, a prescidere dalla sua applicazione, è valido se comunica con poco31. Il caso delle data-art è differente: gli artifici grafici sono parte integrante del progetto poiché, se è vero che lo scopo di una visualizzazione artistica su base di dati è quella di trasmettere sensazioni e/o catturare l’attenzione, le scelte formali in fase progettuale possono favorire l’approccio empatico di un lettore a un testo.

il principio di analogia

Un’ulteriore questione, trasversale a entrambe le forme di visualizzazione, è quella della corrispondenza mimetica tra segni grafici e il loro significato. La rappresentazione iconica32 si origina da un processo cognitivo chiamato principio di analogia33 secondo il quale per generare una metafora grafica comprensibile si associano a membri di domini ignoti membri 30  Few S. (2012), “Should data visualization be beautiful?”, Perceptual Edge, www.perceptualedge.com/blog/?p1169

La metafora spaziale per la scrittura non è assolutamente un’invenzione recente. Per questo motivo, proprio a partire dall’analisi di una serie di casi particolarmente efficienti di narrazione in forma grafica, appare a un certo punto nella teoria della comunicazione visiva, la necessità di fornire strumenti progettuali per sfruttare le proprietà spaziali della scrittura. Con questo obiettivo nasce, a opera di un gruppo di designer e semiologi con sede presso l’ISIA di Urbino, la definizione di “sinsemia”. «Per sinsemia si intende la disposizione deliberata e consapevole di elementi di scrittura nello spazio con lo scopo di comunicare attraverso l’articolazione spaziale e le altre variabili visive, in modo ragionevolmente univoco e secondo regolarità. Queste regolarità possono essere valide soltanto per quel testo – ma coerenti, rigorose e interpretabili senza bisogno dell’aiuto dell’autore –, oppure definite da precisi schemi e abitudini di fruizione consolidate»35. Sinsemia non è dunque banalmente una pratica, un campo d’azione dell’agire del graphic designer, ma innazitutto una metodologia per information design, l’architettura di informazione, ma anche per il lavoro di giornalisti, scrittori ed editori. È possibile estrapolare da questa definizione l’intento di porre l’accento su quattro fondamenti della progettazione di artefatti comunicativi in forma sinsemica: 1. la disposizione spaziale,

i 4 fondamenti della sinsemia

2. l’uso di variabili visive consapevolmente applicate,

31  Tufte E. R. (1990), Envisioning Informations, Graphic Press 32  Si veda la distinzione di icona, indice e simboli di Charles Sanders Pierce nei prossimi paragrafi

34  Tufte E. R. (1990), op. cit.

33  Anceschi G. (1981), op. cit.

35 Perondi, op. cit. 52

definizione di scrittura sinsemia

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Capitolo 3

Visualizzazione e scrittura nello spazio

3. la corerenza (e le regolarità) stabilite dal metodo, 4. l’obiettivo primario di comunicare.

A causa di limiti tecnici, l’avvento della stampa ha esasperato la contrapposizione tra testo e libera disposizione di altre componenti, eliminando numerose forme di scrittura che, fin dalle origini, si sviluppavano tramite l’integrazione tra i segni e il loro posizionamento. Ciò che comunemente viene definito come scrittura, invece, può essere articolato su almeno due dimensioni spaziali. E la disposizione spaziale degli elementi non ha solo funzione evocativa, ma può generare «effetti di senso ben definiti e può denotare significati precisi»37, e, in linea con l’obiettivo di questo lavoro di ricerca, potrebbe consentire le evoluzioni più interessanti di scrittura e, conseguentemente, di lettura. In sostanza, sviluppare un testo in modo sinsemico equivale a distribuire elementi grafici e tipografici in relazione tra di loro e in relazione a uno spazio sinottico di scrittura, seguendo un metodo e un linguaggio correlati al messaggio e funzionali alla comprensione. Stefan Themerson, "Typologica topology" (1965)

A sinistra: Codex Mendoza (1529-1943) A destra: Andy Warhol, "Dance diagram" (1962)

3.6.1. La rottura della gabbia costruttiva di Gutemberg Per quanto riguarda la questione spaziale, occorre partire dal presupposto, già accennato precedentemente, della natura pluridimensionale della scrittura. Sebbene nella lettura tradizionale di libri, il lettore sia abituato a un testo disposto in righe e colonne, è bene notare come le tecniche di stampa, ottimizzate e piegate ai limiti della pagina, abbiano conferito al testo una seconda dimensione fittizia (ovvero lettera dopo lettera). In realtà, il testo lineare può essere ridotto a una sola dimensione, quella del “filo del discorso”: come nel linguaggio parlato, in un testo lineare le sillabe seguono alle sillabe, le parole alle parole, le righe ad altre righe fino a fine pagina, e a una pagina ne segue un’altra. La scrittura tipografica – non solo stampata – appare un indefinito allineamento di lettere a cui viene applicato a posteriori uno schema.

3.6.2. Le variabili visive e la Sémiologie Graphique di Bertin La questione delle variabili visive, ovvero le regolarità con le quali le scelte grafiche vengono effettuate in un testo sinsemico, si delinea con un indispensabile riferimento alla classificazione tassonomica, ovvero, alla selezione sistematica e alle reglole di combinazione degli attributi visivi nella semiologia grafica.

Il tipo di testo che ne risulta è rigidamente monodirezionale poiché, salvo poche eccezioni, costringe il lettore a seguire l’ordine unico stabilito in fase di scrittura e, di riflesso, ne consegue una scarsa flessibilità durante la di lettura, sia in termini di direzione, sia di ritmo, sia di andamento.

L’elaborato sinsemico è tessuto come un’interazione tra visualità, apparato, componenti e figuratività. Il tentativo di definire una grammatica per il comunicare in sinsemia, diventa il punto di partenza per iniziare a comprendere il significato stesso di comunicare e di costruire conoscenza attraverso la rappresentazione visiva, fondamento del “pictorial turn” teorizzato da William John Thomas Mitchell, studioso di media e cultura visuale38.

«Il libro progettato intorno all’intuizione di Gutenberg è solo un modo tra tanti di interazione con la pagina scritta. Un modo efficace – il più efficace – per molti aspetti. Inadatto per altri»36.

Jacques Bertin, autore di La sémiologie graphique, testo di riferimento per la grafica statistica, distingue due tipologie di variabili visive:

36  Larizza A. C. (2010), “Dal libro allo schermo: nuovi approcci alla pagina per riscrivere la lettura”, in Nòva, su http://www. ilsole24ore.com/art/tecnologie/2010-11-16/riscrivere-lettura-164606.shtml?uuid=AYx8BBkC 54

37 Perondi, op. cit. 38  Mitchell W. J. T. (2009), Pictorial Turn. Saggi di cultura visuale, :duepunti 55

Sémiologie Graphique di Bertin


Capitolo 3

Visualizzazione e scrittura nello spazio

∙∙ quelle riferite alle dimensioni spaziali: la disposizione nello spazio e la posizione reciproca degli elementi di un testo visivo; ∙∙ quelle riferite alla «variazione di intensità di energia luminosa»39, ovvero le variabili di “macchia”: attributi grafici come dimensione, forma, orientamento, colore, grana e tonalità, che conferiscono significato a un segno in base alla quantità di inchiostro che utilizzano in fase di stampa.

più volte con un diverso scopo comunicativo, facilmente potranno sorgere interferenze nella precezione del messaggio. Ciò non ha valore assoluto, ma soltanto nell’ambito di riferimento, cioè, in quel testo specifico, in quel particolare messaggio, in quella precisa mappa o diagramma, o in quel singolare libro redatto interamente dal medesimo autore. In un testo, quindi, si possono inserire regolarità valide localmente, attivate solo per un singolo artefatto grafico, o, addirittura, solo in una porzione di testo. In alcuni casi si rende necessaria la presenza di una legenda, ovvero, di uno specchietto riassuntivo delle variabili visive utilizzate e del significato che a ciascuna di esse viene associato. L’essenzialità e l’intuitività dell’interfaccia di lettura di un artefatto sinsemico sono fondamentali per la sua comprensione, occorre cioè evitare il ricorso a strumenti interpretativi differenti dal testo stesso, decodificabili senza ambiguità anche in assenza del autore della sinsemia. La regolarità e la costanza richieste nell’attribuzione delle variabili visive fissate nel principio di coerenza sono definite nella “teoria della pertinenza”41.

3.6.4. L’intento comunicativo: informazioni qualitative e dati quantitativi Se da un lato può sembrare ovvio che un testo abbia come obiettivo finale la trasmissione di un determinato messaggio, non è scontato presumere che lo scopo degli elaborati grafici, nei quali costantemente ci si imbatte in questo momento di fiorente sviluppo della cultura visuale, sia quello di fornire al lettore una porzione preziosa di conoscenza. Da ciò derivano i caratteri di discrezione tra la sinsemia e varie forme di arte figurativa, le quali, il più delle volte, pur avendo finalità comunicative, assumono funzione prevalentemente evocativa. Ecco perché nei prossimi paragrafi verrà effettuato il tentativo di distinguere i sistemi informativi progettati in meniera sinsemica da altre tipologie di artefatti visivi molto in voga negli ambiti della comunicazione. A sinistra: Jacques Bertin, tabella variabili visive applicate a punti, linee e aree (1967) A destra: esempi

Le variabili visive individuate non agiscono tutte allo stesso modo. Esse possono creare aggregati di elementi simili oppure permettere di distinguere un elemento da un altro, o, ancora, conferire un ordine gerarchico alla disposizione degni elementi in base al loro «peso percettivo»40.

3.6.3. La coerenza e il principio di regolarità Appare chiaro che l’attribuzione delle variabili visive debba seguire un metodo alquanto rigoroso al fine di evitare che la lettura, e la comprensione, di un testo sinsemico siano fuoriviate. Infatti, ogni volta che viene riconosciuto il valore cognitivo di un attributo grafico, la mente si predispone a utilizzare, in quel determinato contesto, quella specifica interpretazione del segno. In sostanza, se le aspettative che si sono create su una particolare variabile vengono disattese, per il fatto che quella determinata variabile visiva è stata attivata 39  Bertin J. (1967), Sémiologie grafique: les diagrammes, les réseaux, les cartes, Gauthiers-Villars & Mouton

A sinistra: information design applicato al way finding A destra: La più antica tavola periodica dei quattro elementi secondo il telefilm The Big Bang Theory

È importante specificare che pur partendo dai precetti della semiologia grafica, il cui campo di applicazione privilegiato è la grafica statistica dei dati di tipo quantitativo, la sinsemia 41  Sperber D. - Wilson D. (1986/95a), Relevance: Communication and cognition, Blackwell

40 Perondi, op. cit. 56

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Capitolo 3

Visualizzazione e scrittura nello spazio

può proporsi come imprescindibile ed efficace strumento per la progettazione di artefatti comunicativi a uso qualitativo – si vedano ad esempio le mappe concettuali, le mappe procedurali, i diagrammi narrativi, ecc.. L’organizzazione sinsemica, infatti, permette di mostrare le correlazioni tra gli elementi che costituiscono un testo e in particolare di rendere esplicite quelle relazioni che, per la loro complessità, sarebbe molto difficile evidenziare in forma lineare. In altri termini, consente la lettura sinottica di un problema. L’applicazione di variabili “di macchia” e variabili spaziali ha valore, evidentemente, non solo illustrativo o formale, ma euristico, e in quanto tale, permette di fare scoperte guidate dai processi deduttivi, attivati proprio dal principio di coerenza con in quale vengono effettuate le scelte grafico-spaziali.

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Capitolo 4. Verso una teoria della sinsemia: 6 lezioni di scrittura non-lineare In questo capitolo si intende fornire una panoramica di contributi teorici che, nel corso della storia della comunicazione visiva, sono stati forniti all’ambito dell’information graphics. Insomma, sono stati raccolti quegli apporti metodologici proposti, soprattutto nell’ultimo secolo, che possano concorrere alla formazione di un corpus di regole o indicazioni in attinenza con la metodologia sinsemica. È importante notare che la difficoltà nel segnalare dei metodi per una corretta attenzione ad aspetti spaziali e visivi della scrittura dipende proprio dall’assenza di una vera e propria formalizzazione “ufficiale” della disciplina, come nota Luciano Perondi1. Anzi, questa si trova tutt’ora allo stadio di «un guazzabuglio formativo di concetti, metodi e procedure, mutuati da diversi campi: princìpi del disegno delle mappe; linee guida su come presentare al meglio i dati in un grafico; regole sulle migliori procedure per l’uso dei caratteri, layout e tavolozza colori; princìpi di stile di scrittura e altro ancora, compresa una lunga serie di strumenti software»2. Con questo proposito sono state prese come riferimento alcune figure di rilievo, tra cui grafici, semiologi, filosofi, teorici dell’arte, al fine di dare supporto al nostro obiettivo. Per rendere il discorso più efficace nella costruzione di un senso logico, che parta dalle basi della semiologia grafica e porti man mano su temi più complessi, si è preferito a una presentazione dei contributi in ordine cronologico, una scansione di tipo tematico. Questa, quindi, partendo dalla definizione di segno grafico, arriva alla ridefinizione del ruolo del graphic designer, e infine del graphic design in rapporto con il pubblico.

4.1. Simbolo, indice, icona e l’uso dei segni grafici Nei precedenti capitoli, si è già fatto riferimento ai princìpi di analogia grafica che associano a un dominio ignoto della conoscenza, difficilmente rappresentabile, una struttura nota i tale che per analogia renda la prima comprensibile. Si genera, in parole più semplici, una metafora tra un modello che abbiamo a mente, e che è possibile tradurre graficamente, e uno che sfugge alla nostra conoscenza. Questo stratagemma cognitivo può essere applicato sia alla visualizzazione di interi modelli (si pensi alla metafora dell’albero per rappresentare un organigramma o la genealogia familiare), sia ai concetti elementari, ovvero ai “mattoncini” che compongono la visualizzazione. In questo caso si ricorre generalmente a segni. La questione della definizione di un segno è un argomento molto dibattuto in ambito semiologico – si può dire che sia l’argomento centrale delle speculazioni di questa disciplina. 1 Perondi, op. cit. 2  Cairo A. (2013), op. cit. 60

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metodologia sinsemica per sistematizzare il guazzabuglio formativo dell'information designer


Capitolo 4

Verso una teoria della sinsemia: 6 lezioni di scrittura non-lineare

In alto: risultati sunl motore di ricerca Google Immagini alla voce "atomo";

Tavola periodica degli elementi di Dmitrij Mendeleev (1869)

In basso: diagramma degli elementi James Joseph Sylvester (1878);

«Un segno è una cosa che, oltre alla specie inserita dai sensi, richiama, di per sé, alla mente qualche altra cosa»3, si tratta, cioè, di una relazione tra due relata, due elementi di natura differente, uno presente nella situazione del discorso (una parola pronunciata, una parola scritta, un’immagine), l’altro assente, al quale il primo fa riferimento. Questa doppia articolazione vede la sua teorizzazione, tra gli altri, di Ferdinand De Saussure, il quale chiama il primo relata “significante” e il secondo relata “significato”4, specificando che il primo è definito sul piano dell’espressione, cioè della formalizzazione del discorso, grafico, scritto o verbale che sia, e il secondo, di origine psichica, è un’immagine mentale, e, dunque, trova valore su un piano del contenuto. Ma la “funzione-segnica” trova differenti forme di applicazione della comunicazione, al punto che è necessario effettuare una distinzione tra i termini: segno, segnale, simbolo, indice, icona, allegoria (e ce ne sarebbero altri).

segno, oggetto, interpretante: la triade di Peirce

Charles Sanders Peirce ha dato un contributo fondamentale alla teoria del segno5 definendo una “triade”, secondo la quale, in estrema sintesi, un segno (1) sta per un’altra cosa, l’oggetto (2), passando attraverso un elemento di natura mentale, chiamato interpretante (3). Ma il rapporto tra il segno, cioè l’espressione dell’oggetto, e l’oggetto – e, di conseguenza, anche della sua immagine mentale – non è sempre dello stesso tipo e della stessa intensità. Peirce quindi individua tre fondamentali tipi di segno, distinti tra loro per la motivazione alla base

3  Sant’Agstino (1994), L’istruzione cristiana, Mondadori 4  De Saussure F. (2009), Corso di linguistica generale, Laterza 5  Carenzio G. (2006), Segno, Interpretante, Oggetto: la triade di Pierce e la sua attualità per la scienza della traduzione, su http:// win.trad.it/gio.pdf 62

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Capitolo 4

Verso una teoria della sinsemia: 6 lezioni di scrittura non-lineare

della relazione e per il diverso grado di arbitrarietà6: ∙∙ l’icona è una rappresentazione poco arbitraria dell’oggetto poiché le sue qualità assomigliano a quelle dell’oggetto stesso; ∙∙ l’indice è influenzato dall’oggetto, dal momento che porta alcune qualità dell’oggetto, ma la mente può contrastarlo; ∙∙ il simbolo è fisicamente legato all’oggetto in virtù di una legge, di una convenzione condivisa, di un’associazione mentale riconosciuta. Nel caso dell’espressione grafica di un oggetto referente, le icone sono definite come segni che possono significare un oggetto grazie a una mera somiglianza (per esempio la raffigurazione pittorica di un soggetto in un dipinto realista o lo schema del funzionamento di un macchinario). Gli indici hanno valore di segni “naturali” poiché in rapporto diretto con l’oggetto dal quale sono determinati (ad esempio un’impronta generata da qualcosa). I simboli infine sono collegati ai loro referenti grazie a prassi convenzionali e associazioni mentali condivise (il caso della raffigurazione dell’anello come simbolo dell’unione coniugale) ma non assomigliano necessariamente alla realtà di riferimento. Potremmo sintetizzare dicendo che la questione della somiglianza gioca un ruolo fondamentale nella definizione dei tre rapporti tra un oggetto e il suo “rappresentante” graficizzato. Peirce aggiunge: «esempio dell’uso della somiglianza è il bozzetto che un artista può tracciare di una statua, o di un quadro, o di un’architettura, o di una decorazione: studiandosi questo bozzetto l’artista può rendersi conto se l’opera progettata sarà bella e soddisfacente oppure no»7. Ma non sempre la verosimiglianza nella rappresentazione genera un effetto di comprensione nella comunicazione visiva. modalità di rappresentazione: tra mimesi e astrazione

preferire l'astrazione significa evitare distrazioni

Il rischio opposto è che l’opera di riduzione delle informazioni accessorie risulti estrema e che il lettore di una visualizzazione non abbia tutti gli strumenti necessari all’interpretazione degli elementi grafici in gioco. Lo scopo della metodologia sinsemica – c’è da ricordare – è quello di progettare artefatti testuali comunicativi che possano essere letti e compresi anche senza l’ausilio dell’autore. Ciò è possibile solo grazie a un adeguato dosaggio di figuratività e astrazione e all’uso in maniera ragionata di regolarità valide per quel testo specifico, e solo se inevitabile di strumenti interpretativi come le legende. Ulteriore elemento d’ausilio che la sinsemia contempla è la ponderata integrazione tra la scrittura “iconico-simbolica”, come i pittogrammi, e quella alfabetica. D’altronde il linguaggio alfabetico non è che una modalità di rappresentazione di concetti attraverso degli agglomerati di simboli visivi (le parole) composti da particelle (le lettere), associati a fonemi in modo del tutto convenzionale – un processo non del tutto dissimile dalla costruzione del linguaggio ideogrammatico delle lingue orientali. La metodologia sinsemica, occorre ribadirlo, non si pone in nessun modo in contrapposizione con la scrittura alfabetica, che sia lineare o non-lineare, anzi propone l’integrazione tra le due modalità d’espressione come strumento privilegiato per la rappresentazione di fenomeni altrimenti difficilmente comprensibili. «Combinando il numero più alto possibile di sistemi di scrittura si amplia di molto la possibilità di scrivere. Tutto sta nello sfruttare competenze che il lettore in parte già possiede e in parte può acquisire nel processo di lettura»8. Del ruolo del linguaggio segnico nell’educazione del lettore parleremo a fine capitolo, grazie al supporto offertoci dal pensiero di Otto Neurath e Rudolf Arnheim.

4.2. Teoria della percezione del segno grafico negli artefatti comunicativi

Infatti la scelta di una modalità di rappresentazione minuziosamente mimetica non comporta necessariamente un livello di leggibilità superiore a una rappresentazione di tipo convenzionale: se in alcuni casi la rappresentazione grafica di un oggetto in maniera figurativa dà l’idea più fedele di come quell’oggetto si presenta nella realtà, una significativa manipolazione concettuale della descrizione grafica di un fenomeno consente di cogliere aspetti essenziali della struttura di quel determinato fenomeno e di tralasciare elementi accessori che rischiano di creare rumore cognitivo e distrazione. È chiaro, dunque, che in alcuni casi sia inevitabile preferire l’uso di una illustrazione realistica, in altri sia necessario un certo grado di astrazione, innanzitutto per evitare di fornire informazioni non strumentali all’obiettivo prefissato in quella specifica rappresentazione, ma soprattutto per poter permettere all’autore di indicare gli elementi in rilievo ai quali prestare attenzione, fornendo, così, una gerarchia delle informazioni.

«Ci sono immagini che possono essere considerate inferenze»9 afferma il matematico Carlo Cellucci, attestando la propria fiducia nel valore delle immagini nel processo d’apprendimento della geometria. È ovvio che un’immagine adatta a descrivere un fenomeno astratto di questo tipo non può essere figurativa o far riferimento a una modalità di rappresentazione che ricalchi il reale. Scrivere sinsemicamente non è un processo elementare, soprattutto nella scelta del modo in cui rappresentare concetti del tutto impercettibili poiché, spesso, teorici. Per questo motivo si tende spesso a ricorrere all’uso di segni grafici del tutto convenzionali che nel corso della storia della comunicazione visiva si sono sedimentati nel repertorio intepretativo del lettore e hanno coltivato la capacità umana di cogliere i significati in maniera puntuale, lungi da ambiguità, quindi – si può dire – scientifica.

Quindi, grafici, diagrammi e infografiche seppure basino il proprio processo costruttivo sull’estrapolazione di entità in stretta connessione con la realtà, in quanto strumenti concettuali, è opportuno che, nell’elaborazione grafica, siano oggetto di consistente manipolazione, funzionale ad assolvere lo scopo di efficiente rappresentazione della realtà.

Scritture, come le notazioni chimiche per descrivere la struttura delle molecole e come le dimostrazioni grafiche per spiegare il significato di una formula matematica, fanno uso di un linguaggio innaturale, slegato da motivazioni di tipo mimetico, eppure chiaro ai più, o comunque di facile comprensione aiutato, magari, con qualche ausilio (una legenda, per esempio). Questo succede perché il tipo di legame posizionale e dimensionale tra gli elementi,

6  Peirce C.S. (2003), Opere, Bompiani

8 Perondi, op. cit.

7  ibidem

9  Cellucci C. (2003), Filosofia e matematica, Laterza 64

preferire riduzionismo significa rischiare incomprensione

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conoscenza pregressa e allenamento all'interpretazione dei testi visivi


Capitolo 4

Verso una teoria della sinsemia: 6 lezioni di scrittura non-lineare

l’uso di caratteristiche visive differenziate, fanno sì che le varie parti del testo in questione assumano un valore semantico e simbolico e attivino processi intellettivi che premettano la decodifica e l’apprendimento del messaggio, da un lato, e l’acquisizione delle competenze linguistiche necessarie, dall’altro, fornendo un supporto alla lettura di testi simili in futuro. Gran parte dei princìpi, con i quali gli artefatti sinsemici più efficaci vengono costruiti, assecondano l’applicazione in campo grafico della teoria della Gestalt, o teoria della “forma”, un corpus di regole convenzionali basate sulla percezione attiva di segni visuali (anche di oggetti reali, per esempio), così consolidate da essere condivisibili praticamente in ogni campo della progettazione visiva10.

princìpi della Gestalt nella percezione del segno grafico

I meccanismi di studiati dalla psicologia della Gestalt11 nei primi decenni del ventesimo secolo riguardano principalmente, ma non esclusivamente, le abilità interpretative preattentive, cioè la capacità del cervello umano di poter effettuare delle inferenze visive, e le relative deduzioni, in modo immediato, cioè non appena lo sguardo del lettore si posa su un artefatto grafico. È possibile, per esempio, da subito, cogliere differenze tra varie forme, raggruppare elementi per similarità o posizionamento nello spazio, cominciare a ragionare su come leggere un testo e scomporne la complessità.

Ai fini della presente trattazione, è possibile riassumere la teoria della Gestalt12 in alcuni semplici princìpi: ∙∙ somiglianza: l’individuazione di caratteristiche comuni tra i vari elementi portano al loro spontaneo raggruppamento, anche senza ulteriori artifici grafici che li identifichino come un insieme percettivo. Le differenze, invece, sono percepite come anomalie e attirano l’attenzione; ∙∙ prossimità: gli oggetti collocati l’uno accanto all’altro, o allineati secondo un asse verticale o orizzontale, sono percepiti come correlati, quindi, anch’essi, raggruppati; ∙∙ connessione: segni grafici come linee e archi che uniscano due o più elementi tra di loro permettono una correlazione molto più forte, rispetto alla prossimità, soprattutto quando posizionamento nello spazio e somiglianza non bastano per percepire correttamente le relazioni e l’organizzazione in insiemi; ∙∙ chiusura: l’uso di espedienti grafici come cerchi, aree, rettangoli nei quali chiudere gli oggetti esplicita in maniera inequivocabile e definitiva il loro raggruppamento, a patto che questo principio sia combinato con il principio di vicinanza; ∙∙ continuità di direzione e “destino comune”: il posizionamento di elementi secondo una curva “buona”, cioè con la medesima direzione o orientamento, vengono interpretati come parti di uno stesso insieme percettivo; ∙∙ pregnanza o buona forma: la scelta di elementi dalla forma quanto più stabile, armonica o simmetrica a livello percettivo genera equilibrio, quindi ordine; ∙∙ figura e sfondo: nell’analisi di un’immagine la tendenza del cervello è quella di individuare elementi in primo piano (figure) ed elementi di sfondo, la cui differenziazione dipende da un delicato equilibrio tra le caratteristiche visive degli uni e degli altri; ∙∙ esperienza passata: tutti questi princìpi se riconosciuti come validi una volta, rientrano in un “bagaglio” interpretativo che influenza i meccanismi percettivi che si innescano nelle successive situazioni di lettura di artefatti grafici. L’esperienza e le aspettative che ne derivano, però, agevolano la risoluzione di ambiguità e allo stesso tempo ne causano la generazione, in base all’interazione tra loro dei vari princìpi. L’aspetto più interessante di questa teoria, al fine di formulare una metodologia per la progettazione di artefatti sinsemici, è che i meccanismi pre-attentivi consentono di determinare delle leggi di organizzazione del testo. Esse, nello specifico, rappresentano un ausilio nella ricerca di diversi livelli di sintassi spaziale e nella definizione di relazioni che si instaurano tra le componenti in azione in un artefatto sinsemico.

In alto: i princìpi della Gestalt racchiusi in un unico esempio; In basso a sinistra: esempio dei princìpio di prossimità;

È possibile, infatti, individuare in qualsiasi visualizzazione una serie di elementi “atomici”, cioè microunità13 di significato, definirne il valore rispetto agli altri elementi e le relazione

In basso a destra: esempio di principio di chiusura sul logo del WWF, Peter Scott (1986)

10  Lumer L. - Zeki S. (2011), La bella e la Bestia: arte e neuroscienze, Laterza 11  Köhler W. (1961), La Psicologia della Gestalt, Feltrinelli

12  Wertheimer M., "Laws of organization in perceptual forms", in W.D. Ellis (1938), A source book of Gestalt psychology, Hartcourt, Brace and Co. 13 Perondi, op. cit.

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teoria della Gestalt: una lettura strumentale


Capitolo 4

Verso una teoria della sinsemia: 6 lezioni di scrittura non-lineare

instaurate, esplicitate dai metaelementi (linee, archi, frecce, sistema di riferimento), e circoscrivere gli aggregati di elementi, o macrounità. Sia le microunità, sia gli altri elementi grafici, tra cui metaelementi e gli “attrattori”, indispensabili per la costruzione di una corretta analogia grafica, concorrono all’inteleggibilità di una struttura gerarchica nella presentazione delle informazioni, fondamentale per l’orientamento del lettore nel testo, in fase pre-attentiva come in fase interpretativa. Seppur con un notevole apporto teorico utile alla comunicazione visiva e sinsemica, prevalentemente per ciò che riguarda la percezione di un’ordine compositivo nelle visualizzazioni, la psicologia Gestaltiana appare poco esplicativa e poco calata nelle prassi della progettazione grafica di artefatti informativi, per cui non si propone come autorevole linea guida nell’applicazione di stratagemmi grafici. Per questo motivo è il caso di approfondire la questione dell’attribuzione di caratteristiche grafiche, distinguendole per tipologia, e tentare di classificarne alcune in base all’efficacia comunicativa. Questo lavoro, sviluppato da Jacques Bertin, William Cleveland e Robert McGill, verrà approfondito nei prossimi paragrafi e capitoli.

4.3. Attributi grafici e semiologia delle “variabili visive” Avere a che fare oggi con mappe con valore non soltanto cartografico è cosa ovvia: quotidianamente ci troviamo di fronte alla presentazione di dati statistici localizzati su aree geografiche di riferimento per poter osservare le differenti dinamiche di determinati fenomeni. Ma quando nel 1967, Sémiologie Graphique14, del francese Jacques Bertin venne pubblicato, il ruolo conoscitivo della rappresentazione grafica dei dati non godeva di tale fiducia, tanto che l’idea di Bertin di «organizzare spazialmente i dati in modo da far apparire quello che, altrimenti, non si riusciva a vedere»15 risultò come qualcosa di veramente innovativo. I princìpi della semiologia grafica, applicata, come concepita da Bertin, alla grafica statistica, trovano spazio più in generale nella progettazione di artefatti informativi non anche di natura quantitativa, ad esempio, mappe concettuali, schemi, visualizzazioni di vario tipo. Infatti, il suo contributo più importante, e pratico, è quello di aver sistematizzato il processo di attribuzione di qualità grafiche attraverso l’individuazione di “variabili visive”, ovvero quelle caratteristiche visive che, alla base del gioco di analogie tra rappresentato e immagine mentale, permettono una lettura più chiara e disambigua della struttura del fenomeno in esame. attributi grafici e disposizione spaziale

Partendo dal presupposto che l’immagine «ha tre dimensioni visive percepibili immediatamente: le due dimensioni spaziali più una terza [...] data dalla “variazione di energia luminosa” in termini di tipologia o quantità»16, Bertin elenca i sei modi17 con cui l’energia luminosa in un piano (per esempio il rapporto tra quantità di bianco e la quantità di nero, da cui il nome “variabili di macchia”) può variare:

1. grandezza, ovvero la dimensione dell’elemento rispetto al piano e agli altri elementi 2. forma, ovvero la configurazione che l’elemento assume 3. orientamento nello spazio 4. colore della campitura di un’area, di una linea, di un simbolo 5. grana, ovvero la texture applicata a tale elemento 6. valore, cioè la tonalità con la quale un determinato colore è utilizzato. A shape 6 RETINAL VARIABLES

size SPATIAL DIMENSION VARIABLE

position on a plane

orientation

color value

A sinistra: schema delle sei variabili visive

texture

A destra: Studio Accurat, "Genius" (2002), dettaglio della visualizzazione a pagina seguente

color hue

Chiaramente a queste caratteristiche, che possono essere applicate a punti, linee ed zone, e ancora, a simboli, parole e icone, si aggiunge l’ultima variabile fondamentale, quella spaziale, alla base della scrittura sinsemica. Nella definizione di sinsemia fatta a inizio capitolo si è data grande rilevanza alla presenza di regolarità, che possono essere assimilate alle variabili a cui si fa riferimento nella semiologia grafica. Ma una precisazione è d’obbligo: la scelta del termine “regolarità” pone l’accento su un’esigenza, nell’uso delle variabili, di coerenza o pertinenza18, data per scontata anche da Bertin. Questo significa che una volta istituita una relazione tra il linguaggio dell’espressione, cioè la rappresentazione visiva, e l’elemento “psichico” del significato, e viene effettuata un’associazione tra variabile visiva e suo ruolo nella visualizzazione, questa resta valida per tutto l’artefatto, al fine di non tradire le aspettative del lettore. In sostanza, se una variabile visiva è associata a contenuti diversi all’interno di uno stesso artefatto, il grafico risulterà ambiguo19. Un altro aspetto utile da tenere in considerazione è che, per loro natura, queste variabili permettono delle inferenze riguardo il rapporto instaurato tra un elemento al quale è applicata una variabile e un altro al quale ne è applicata una diversa. Le variabili, per questo motivo, possono essere distinte in:

15  Weil F. (n.d.), La lettre n°34. Dans les centres et les services, su http://lettre.ehess.fr/987

∙∙ variabili associative: dato un numero di elementi, quelli che presentano delle caratteristiche grafiche in comune possono essere considerati parte di uno stesso insieme

16 Perondi, op. cit.

18  Sperber D. - Wilson D. (1986), Relevance: Communication and Cognition, Blackwell

17  Bertin J. (1981), La grafica e il trattamento grafico dell’informazione, ERI

19  Romei L. (2013), “Sémiologie graphique di Jacques Bertin”, Progetto Grafico, n. 24

14  Bertin J.(1967), op. cit.

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caratteristiche delle variabili visive


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L’uso ponderato di queste possibilità espressive può aiutare il lettore a districarsi all’interno di un tema complesso e, nell’elaborazione di un grafico contribuisce, contribuisce in maniera rilevante, alla ricerca, sia come strumento per processare le informazioni, sia come schema di raccolta delle documentazione. L’efficacia di un artefatto sta non solo nel rendere interpretabile l’organizzazione sistematica delle informazioni e far emergere nodi e connessioni, ma anche nel rendere intellegibile il metodo di costruzione di tale struttura e l’algoritmo di formulazione grafica utilizzato in fase di strutturazione del testo sinsemico20. L’opera di Jacques Bertin si proponeva con l’oneroso scopo di offrire un metodo per trasformare la comunicazione visiva, e la grafica statistica, in uno strumento a disposizione di tutti. Sua convinzione era che la grafica potesse essere un valido mezzo di comunicazione e, adottando opportuni accorgimenti, potesse assumere una dimensione potenzialmente universale. Egli dunque tentò di sopperire alla mancanza di fondamenti teorici introducendo gli strumenti della semiologia21. Sebbene, però, la comunicazione grafica abbia trovato nel contributo di Bertin uno slancio nell’universo delle comunicazioni visuali fortemente istituzionalizzato22, bisogna ammettere che il suo intento fosse a tratti gravoso. Bertin era convinto che la semiologia grafica potessero essere un linguaggio monosemico, i cui significati univoci, si contrappongono al linguaggio dell’immagine figurativa, per sua natura polisemica, essendo da sempre soggetta a continue speculazioni interpretative. Le formalizzazioni grafiche messe in evidenza da Bertin, insomma, hanno strutturato una base teorico-procedurale che possono trovare facile applicazione nella grafica statistica e nell’information design di tipo quantitativo, ma non possono rappresentare un punto di arrivo nella metodologia di progettazione di artefatti sinsemici.

dalla semiologia grafica alla rappresentazione di informazioni non quantitative

4.4. Architettura delle informazioni e criteri gerarchici

Studio Accurat, "Genius" (2002)

di elementi, e, in fase di lettura, possono essere mentalmente aggregati in un gruppo di livello superiore o macroelemento; ∙∙ variabili selettive: dato un numero di elementi, l’applicazione di variabili visive differenti permette di effettuare distinzione tra gli elementi, in base al “grado di selettività” di quella variabile (possiamo assumere con maggiore fermezza che due elementi con forma distinta possano essere considerati non associabili rispetto a due elementi con stessa forma ma con texture differente); ∙∙ variabili ordinabili: dato un numero di elementi, la semplice applicazione di una variabile visiva permetterebbe l’interpretazione di una gerarchia fra i suddetti elementi, se il loro peso percettivo non è costante ma varia in analogia alla grandezza che esprime. Non tutte le variabili visive si prestano all’ordinabilità. Tra queste in primis sono: dimensione e posizionamento nello spazio (soprattutto inserite in un sistema di riferimento), e in alcuni casi anche tonalità e grana. Infine, l’ordinamento di colore, forma e orientamento presuppone la formalizzazione di un codice che attribuisca un valore determinato a ciascuna variabile.

La questione delle gerarchie e dei livelli introduce il tema “dell’organizzazione delle informazioni”, altro aspetto fondamentale nel lavoro di progettazione di un artefatto sinsemico e per la formalizzazione di una metodologia della sinsemia. Un contributo importante in questo campo ci giunge da Richard Saul Wurman, architetto, studioso delle problematiche derivanti dalla gestione di grandi quantità di informazioni – dal cui connubio deriva l’espressione “information architect”23 –. Nel suo saggio, pubblicato nel1989, intitolato Information Anxiety24, proponeva la tesi secondo la quale fosse necessario ricercare sistemi di strutturazione delle informazioni riferibili a fenomeni complessi e di difficile interpretazione, che generano frustrazione in chi li osserva, ne progetta visualizzazioni sinsemiche, nonché, per facilitarne la lettura. D’altronde è una prassi naturale e quotidiana per l’uomo quella di provare a ordinare gli elementi di un sistema nel momento in cui si 20 Perondi, op. cit. 21 Romei, op. cit. 22  Eco U. (1975), Trattato di semiotica generale, Bompiani 23  Wurman R.S. - Bredford P. (1996), Information Architects, Graphis Press Corp 24  Wurman R.S. (1989), Information Anxiety, DoubleDay e Wurman R.S. (2000), Information Anxiety 2, Que

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knowledge management come rimedio all'information overload


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vuole fare chiarezza all’interno del sistema stesso: per dirla con le parole del neuroscienziato Antonio Damasio, «caratteristica distintiva dei cervelli come il nostro è la prodigiosa capacità di creare mappe»25 La soluzione che l’autore del saggio propone per la gestione della complessità consiste nell’organizzazione delle informazioni con l’ausilio di cinque criteri26: LATCH

∙∙ Location: cioè secondo la posizione geografica o secondo un riferimento spaziale non geografico, convenzionalmente stabilito; ∙∙ Alphabet: ovvero in sequenza alfabetica; ∙∙ Time: in ordine cronologico; ∙∙ Category: cioè secondo un ordine tematico tassonomico;

A sinistra: Jacques Bertin, "Network taxonomy" (1967)

∙∙ Hierarchy27: ovvero attraverso una gerarchia stabilita in base a una variabile, generalmente, misurabile, o di valore confrontabile.

A destra: Moses Harris, "natural system of colours" (1766) In basso: Florence Nightingale, "Diagram of causes of mortality" (1858)

A sinistra: William Playfair, "Denmark & Norway" (1786) A destra: Winifred Gossling, "A time chart of social history" (1970)

disposizione spaziale

Non esiste una preferenza a priori secondo Wurman nella scelta di uno dei metodi rispetto a un altro, ma è chiaro che ogni differente situazione richiede la valutazione di benefici e di rischi legati alla scelta di uno piuttosto che dell’altro metodo. L’organizzazione geografica, per esempio, è probabilmente la più naturale (mappe, guide turistiche, atlanti geografici) ma può funzionare quando effettivamente il riferimento spaziale ha un senso nell’organizzazione delle informazioni e quando la comprensione del messaggio della visualizzazione dipende saldamente da tale componente. In questo caso la cartografia statistica e la semiologia grafica 25  Damasio A. (2010), Self Comes to Mind: Constructing che Conscious of Brain, Pantheon Books 26  Questo sistema è spesso conosciuto anche come “five hat racks”, metafora dell’organizzazione quotidiana di qualsiasi oggetto con cui si ha a che fare: oggetti nei contenitori, parole su un foglio, numeri di telefono nella rubrica, etc. Il criterio dei “five hat racks” è inserito nel manuale Lidwell W., Holden K., Butler J. (2010), Universal Principles of design, Rockport Publishers Inc., del quale è possibile consultare un estratto (http://www.jedbrubaker.com/wp-content/uploads/2013/03/Day5-FiveHatRack.pdf ), una sintetica anteprima interattiva (https://www.safaribooksonline.com/library/view/universal-principles-of/9781592535873/) e una versione in motion design (https://www.youtube.com/watch?v=Tgi1JQGHENI) 27  In una prima versione questo metodo era definito “Continuum” ma nell’edizione successiva del libro è stato sostituito, permettendo così l’acronimo LATCH 72

di Bertin permette di avere delle linee guida fondamentali per la costruzione di mappe geografiche che presentino fenomeni localizzati paragonabili tra loro. Si tenga presente che l’organizzazione spaziale di una certa quantità di informazioni può essere effettuata anche su strutture di base convenzionali (su questo principio sono costruite le tavole anatomiche), o su sistemi di riferimento cartesiani a uno, due o più assi, a ognuno dei quali viene assegnato uno specifico significato. In questo caso si crea un incrocio tra l’organizzazione “geografica” metaforica e l’organizzazione tassonomica per categorie e gerarchie di valori secondo criteri selezionati. 73

sistema di riferimento


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Verso una teoria della sinsemia: 6 lezioni di scrittura non-lineare

ordine alfabetico

La sequenza alfabetica può essere molto utile nelle lunghe liste, soprattutto nella la ricerca di informazioni finalizzate (l’esempio più immediato è quello dell’elenco telefonico o del dizionario), e permette la lettura indipendentemente da quale sia la lingua con cui un testo è scritto e conosciuta dal lettore. Questo metodo però spesso non si dimostra il più adatto alla comprensione delle i relazioni esistenti tra gli elementi della visualizzazione, poiché, li allontana e li avvicina senza un criterio realmente legato a un senso logico – per esempio, la lettura di un glossario, testo in teoria sinsemicamente organizzato, che seppure riferibile a un determinato argomento, non consente l’apprendimento articolato di quell’argomento, ma facilita soltanto la ricerca delle singole voci e l’acquisizione di conoscenza limitata alla sola voce esaminata.

ordine cronologico

L’ordine cronologico è una forma di strutturazione classica per la gestione delle informazioni. Mediante le mappe temporali, ma anche flow chart o diagrammi di flusso, istruzioni step-by-step, notizie e feed, essa si presta benissimo per osservare le variazioni nel tempo di un determinato fenomeno e permette di scoprirne andamenti inattesi, può succedere, infatti, che nella fase di organizzazione dei dati, prima che in quella della progettazione, possano essere colti aspetti che il progettista non aveva previsto di dover evidenziare, tanto da influenzare fortemente le modalità di presentazione delle informazioni da visualizzare.

tassonomia e struttura gerarchica

Categorie e gerarchie sono indubbiamente gli strumenti più diffusi e i più versatili per la gestione e l’organizzazione delle informazioni, non solo perché essi si rendono adeguati alla comprensione di fenomeni secondo relazioni effettivamente rilevanti, altrimenti di difficile osservazione, ma anche perché il punto di vista, scelto arbitrariamente dal progettista, può essere differenziato e in base a esso si possono ottenere visualizzazioni secondo chiavi di lettura differenti, messe, magari, a paragone. Le categorie e le gerarchie ammettono, inoltre, la presenza di sottocategorie e sottogerarchie (come un insieme che sia sottoinsieme di un altro, o, anche, in intersezione con un altro), in modo tale da presentare l’informazione stratificata dal generale al dettagliato, con vari gradi di possibilità di approfondimento. Questa operazione risulta molto efficace su supporti stampati, se, per esempio, il testo sinsemico, strutturato in “sottocapitoli”, mostra approcci differenti, l’uno dopo l’altro, in una composizione per la quale appare comoda la comparazione delle informazioni. Ma su supporti digitali, che siano interattivi, il gioco diventa ancora più interessante: attraverso diverse modalità di interazione è possibile permettere al lettore di leggere la visualizzazione con punti di vista diversificati, scegliere di volta in volta l’approccio da assumere, le chiavi utilizzare, filtrare le informazione da attivare e quali di esse visualizzare contemporaneamente.

4.5. Scelta del linguaggio: la questione dell’efficienza e del riduzionismo Nel corso di quest’analisi sulla teoria degli artefatti sinsemici è stato già fatto riferimento all’uso di alcuni elementi espressivi in visualizzazioni che, sebbene a volte fungano da attrattori per il lettore restio all’esplorazione, il più delle volte concorrono a convogliare l’attenzione su alcuni componenti del grafico in questione anziché altri, ben più significativi: questi producono una sorta di rumore cognitivo che non permette una corretta lettura e interpretazione del testo sinsemico. La decorazione in fase di progettazione, cioè l’utilizzo di elementi stilistici non direttamente 74

connessi con la comprensione dell’artefatto, la tendenza all’illustrazione realistica rispetto alla raffigurazione iconico-simbolica e la ridondanza nella presentazione delle informazioni al fine di rafforzare il messaggio, non sono sempre scelte erronee di per sé, ma se non gestite bene, queste possono interferire con l’informazione. L’arbitrarietà nelle scelte di linguaggio è adeguatamente illustrata dallo schema a quattro assi realizzato da Joan Costa, designer spagnolo, e inserito nel saggio La Esquemática28, per guidare il progettista grafico nella realizzazione di una visualizzazione. Lo schema è così composto:

28  Costa J., op. cit. 75

In alto: Studio Accurat, "Picasso" (2013) In basso: George Maciunas, "Fluxus expanded arts diagram" (1966)


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la scelta del linguaggio secondo Costa

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∙∙ asse dell’astrazione vs. iconicità ∙∙ asse dell’informazione diretta vs. ridondanza ∙∙ asse dell’intellegibilità vs. complessità ∙∙ asse della semanticità vs. estetica. Ciascuna di queste vie espressive possono essere scelte arbitrariamente dal progettista dell’artefatto ma appare opportuno che ogni preferenza sia motivata da un’attenta analisi del contesto di riferimento e del destinatario ideale del testo. Molto più netta invece è la posizione sostenuta dal “guardiano” dell’information design dallo stile minimalista Edward Tufte. Il fondamento teorico alla base della progettazione di artefatti comunicativi di Tufte, però, è molto più profondo di come spesso è superficialmente interpretato.

matematica definita “rapporto dati-inchiostro”31, più che al minimalismo, è prossima al principio del good design di “Ramsiana” memoria, secondo il quale “il miglior design è il minor design possibile”, guidato inevitabilmente da metodo e buon senso. L’applicazione acritica della legge individuata da Tufte, infatti, porterebbe alla riduzione di elementi grafici tale che, pur conservando la visualizzazione leggibile (per esempio griglie, linee di costruzione di diagrammi, porzioni di grafici), ne renderebbe difficile la comprensione approfondita. Per questo è il caso di ammettere delle eccezioni alle linee guida poco flessibili individuate nei trattatati come Envisioning Information.

il miglior design è il minor design possibile

«Gran parte del fascino intrinseco dell’infografica sembra risiedere nel suo riduzionismo visuale delle informazioni complesse. Il riduzionismo non è di per sè intrinsecamente negativo […]. Il problema sorge quando l’atto di ridurre, in realtà, comincia, senza volere, a semplificare troppo, oscurare, o distorcere il filo narrativo che era nelle intenzioni dell’autore, invece di farvi confluire l’attenzione»32. Questa ottimizzazione delle risorse, in ottica di efficienza comunicativa, può essere attuata su due piani: dei contenuti e degli elementi grafici.

il miglior design è il minor design possibile

Heater Jones, " What Makes Health Care So Expensive?" (2013) In alto: E.J. Marey, "Train Schedule" (1880 circa)

Se è vero che, secondo Tufte, un buon progetto di visual design è valido se comunica con molto poco29 e che l’eccellenza grafica di una visualizzazione è ciò che «offre all’osservatore il numero maggiore di idee nel minor tempo, con la minor quantità di inchiostro e nello spazio più limitato»30, questa non deve essere perseguita attraverso una mera operazione di riduzionismo e semplificazione. La teoria di Tufte, sebbene sia espressa in modo perentorio da una specifica legge

Un equivoco molto comune, nell’interpretazione dell’opera di Tufte, è che le infografiche siano mezzi per semplificare la comunicazione delle informazioni. Ipotesi molto più realistica è, invece, che questi artefatti siano progettati per chiarire un messaggio difficilmente comprensibile, senza nulla togliere alla ricchezza dei contenuti alla quale il lettore è abituato nei lunghi testi lineari. La tendenza a ridurre gli elementi in gioco in fase di progettazione porta nella maggior parte dei casi all’impoverimento della qualità delle informazioni presentate. Ferma convinzione di Tufte era che chiarezza ed efficienza dovessero essere 31  Rapporto dati-inchiostro

29  Tufte E. (1990), op. cit.

32  Larsen R. (2012), This chart is a Lonely Hunter: the Narrative Eros of the Infographic, su http://www.themillions.com/2012/02/ this-chart-is-a-lonely-hunter-the-narrative-eros-of-the-infographic.html

30  Tufte E. (1983), op. cit. 76

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minimalismo non è riduzionismo


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l’arma migliore per comunicare idee complesse con precisione e permettere un’esplorazione approfondita dei dati in esame. Un modo per non sminuire le abilità del lettore: «lavorare come se i lettori fossero ottusi e incuranti» sarebbe disprezzare il proprio “pubblico”, capace invece di «gestire, le informazioni disponibili con più intelligenza di quelli che fabbricano la decorazione dei dati»33. Per ciò che riguarda l’utilizzo di elementi grafici nella visualizzazione, la critica di Tufte, è rivolta a quelle scelte progettuali effettuate esclusivamente nell’ottica di rendere “d’impatto” un determinato artefatto. L’espressione «una visualizzazione di dati dev’essere bella solo se la bellezza può per certi versi favorire la comprensione, senza comprometterla per altri»34 simboleggia l’adesione di molti progettisti contemporanei alla condanna del “churtjunk”, com’era stato definito da Tufte il ciarpame grafico il cui unico scopo era di ornare, decorare, vivacizzare quei grafici altrimenti noiosi. rapporto dati-inchiostro secondo Tufte

Il “rapporto dati-inchiostro” pone ancora una volta il progettista di fronte a una scelta critica alla quale è possibile rimediare solo attraverso professionalità e buon senso. In un testo sinsemico, infatti, si rende spesso necessaria la presenza di artifici grafici che permettano ad alcuni elementi di emergere rispetto ad altri, e, più in generale, di stabilire un’organizzazione gerarchica delle informazioni, fondamentale per la comprensione35. Questi elementi imprescindibili sono chiamati attrattori poiché guidano la lettura del testo (non in modalità monodirezionale) e concorrono a costruire quel sistema di riferimento sui cui si basa l’analogia grafica già descritta in questo capitolo.

4.6. Visualizzazioni come linguaggio universale: il ruolo del “trasformatore” Nel suo saggio del 1936, Gesammelte philosophische und metodologische Schriften, il filosofo ed economista viennese Otto Neurath, descrive la sua epoca (nei fatti non troppo lontana dalla nostra) “epoca dell’occhio”, cogliendo profeticamente nella società contemporanea una tendenza ad acquisire conoscenza tramite il “vedere attivo”. All’inizio del secolo Neurath non poteva, evidentemente, far riferimento alla cultura digitale, ma alla situazione mediatica del suo periodo, caratterizzata soprattutto dalla nascente cultura delle immagini in movimento del cinema. Egli individuava la necessità per progettisti e artisti di adeguarsi a un destinatario “viziato” dalla comunicazione visiva, in sostanza, confidava nella forza del manifesto per riuscire a condividere la conoscenza con il destinatario, con la stessa efficacia della comunicazione pedagogica e, contemporaneamente, con il carattere persuasivo della pubblicità: «se la statistica deve avere un carattere educativo ovverosia pubblicitario, bisogna senza indugi metter mano al più noto mezzo di propaganda e di insegnamento, e cioè l’immagine. Così come avviene che la merce sia promossa presso l’acquirente col mezzo di una buona réclame, ed è con questa promozione che egli si misura e viene a conoscenza della merce di cui si tratta, allo stesso modo, proprio come una buona réclame raggiunge sempre il suo effetto, anche la statistica dovrebbe acquisire una forma figurale»37. Neurath, insomma, anticipa Mitchell di poco meno di un secolo nella definizione di “pictorial turn”38, ovvero una rivoluzione in campo editoriale e mediatico che ha come risultato il ritorno a una cultura totalmente dominata dalle immagini, con i suoi pro e contro39. Entrambi quindi condividono l’esigenza di «definire una grammatica per il modo di comunicare del linguaggio iconico, rispetto ad esempio alla comunicazione verbale» come «punto di partenza per iniziare a comprendere il significato stesso del comunicare e costruire conoscenza attraverso la rappresentazione visiva»40.

la lettura nell' "epoca dell'occhio"

la statistica e il ruolo educativo

Ma la svolta iconica come strumento per la conoscenza non è fine a se stessa. Essa ha come obiettivo primario la diffusione dei contenuti in maniera «divulgativa e democratica»41. Così in Neurath l’efficacia comunicativa dimostra di essere di duplice natura: essa è affidata, da un lato, alla capacità del progettista e, dall’altro, alle conoscenze acquisite dal lettore e alla coltivata capacità di interpretare il nuovo linguaggio universale proposto.

A sinistra: Josh-Lewandowski, "Pointless Diagrams"(2013); A destra: SAS, "Data visualization" (2015);

La sfida del designer è quella di saper distinguere attrattori da “distrattori”. Il lavoro di William S. Cleveland e Robert McGill36 riguardo le attività percettive elementari, che verrà presentato nei prossimi capitoli, può essere un valido strumento per la scelta della forma grafica più adatta alla codifica dei dati in base alla funzione della rappresentazione.

Il progettista, in questo contesto, è visto come lo specialista dell’efficacia e dell’immediatezza comunicativa. A lui è affidato l’oneroso ruolo di “trasformatore”42, ovvero di responsabile della selezione del contenuto e della configurazione del discorso e di referente per la correttezza scientifica e la cultura visiva. Egli non è solo un disegnatore, un illustratore, 37  Neurath O.(1981), Gesammelte philosophische und metodologische Schriften, Verlag Hölder-Pichler-Tempsky 38 Mitchell, op. cit. 39  Visioni pessimistiche sono state espresse da Gunter Anders e Neil Postman

33  Tufte E. (1990), op. cit.

40 Mitchell, op. cit.

34  Few S. (2012), “Should data visualization be beautiful?”, Perceptual Edge, www.perceptualedge.com/blog/?p1169 35 Perondi, op. cit. 36  Cleveland W. S. - McGill R. (1984), “Graphical perception: theory, experimentation, and application to the development of graphical methods”, in Journal of the American Statistical Association, Taylor & Francis Group 78

41  Anceschi G. (2003), “Neurath, Isotype e la terza competenza”, su Progetto Grafico, n.2 42  Il termine “trasformatore” deriva dall’espressione «questo primo passo, dalle formulazioni scientifiche alle immagini, porta un nome particolare: trasformazione», che anticipa l’idea che il lavoro di progettazione grafico-comunicativa rappresenti una traduzione, presente in alcuni scritti di semiologia di metà del secolo scorso. 79

l'immediatezza comunicativa del nuovo linguaggio universale


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Il trasformatore, però, ha un altro gravoso ruolo: quello di educatore delle masse. L’«ostracismo», che accomuna la scrittura lineare e la statistica più criptica, causa del «timor panico che assale il lettore quando incontra tabelle e diagrammi»44, va assolutamente superato poiché figlio di una cultura esclusiva delle classi dominanti, un’élite culturale gelosa del diritto alla conoscenza. Il discorso socio-politico di Neurath si pone, quindi, in favore della diffusione di un linguaggio iconico, facilmente comprensibile ai più, che consenta, quindi, a un largo pubblico di accedere alla conoscenza, soprattutto in ambito scientifico e socioeconomico. Lo strumento più pratico che il progettista delle visualizzazioni ha nella sua impresa storica45 di rivoluzione culturale è il linguaggio Isotype, l’International System of Typographic Picture Education (precedentemente definito Vienna Method of Pictorial Statistics46). La proposta dell’Isotype, progettata insieme a sua moglie Marie e al suo collega grafico Gerd Arntz, rappresenta per Neurath innanzitutto un insieme di “unita visuali”47, cioè pittogrammi, strumentali alla configurazione di artefatti visivi coerenti tra loro e di elementare comprensione e un repertorio di regole e convenzioni riguardo la progettazione, la composizione, l’aggregazione. Queste regole metodologiche, sapientemente riassunte dallo studioso del design dell’informazione Thomas Rurik, possono riguardare:

In alto: Otto Neurath e Gerd Arntz, illustrazioni per International System of TYpographic Picture Education (1929) In basso: Philip Sargant Florence, "The world's merchant marine" (1964)

∙∙ «linee nette di contorno; ∙∙ sostituzione del rilievo con la planarità e del movimento con la staticità; ∙∙ proiezioni ortogonali vs. resa prospettica; ∙∙ presentazione, di norma, in bianco e nero; ∙∙ carattere della famiglia dei Grotesk (ad es. il Futura di Paul Renner); ∙∙ gerarchizzazione degli oggetti rappresentati attraverso la loro presentazione a tinta piatta o rispettivamente a contorno lineare; ∙∙ definizione della dimensione minima dei pittogrammi; ∙∙ impiego prioritario del rettangolo come formato dei pittogrammi; ∙∙ modalità lineare della rappresentazione»48. L’Isotype però rappresenta soprattutto l’opportunità di abituare il pubblico a leggere un 44  ibidem

o un visualizzatore. Egli è un “pedagogo visivo”, dotato di ciò che viene definita “terza competenza”, cioè la capacità di «inventare formazioni figurative, schemi, unità iconiche adatte, nonché metafore (ndr. quelle che abbiamo chiamato finora analogie grafiche) calzanti per il contenuto»43.

45  Zolo D. (1986), "Scienza e politica" in Otto Neurath. Una prospettiva postempirica, Feltrinelli 46  Franchi F. (2013), Designing news. Changing the world of editorial design and information graphics, Gestalten 47  Una raccolta è stata effettuata nei decenni successivi, consultabile su https://hyphenpress.co.uk/products/ books/978-0-907259-47-3 48  Rurik T. (1992), Die Konstruktion des Entwurfs Handelns. Dissertation Zur erlangung des Grades eines Doktors der Philosophie an der Universitat Bremen

43  Neurath (1981), op. cit. 80

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International System of Typographic Picture Education


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Verso una teoria della sinsemia: 6 lezioni di scrittura non-lineare

linguaggio internazionale e universale di “scrittura delle cose” e, dunque, il superamento della superiorità culturale di coloro i quali possono agevolmente accedere alle scritture tradizionali, lineari, grazie alle risorse a loro disposizione. Questa è un’occasione di riconoscere, anche a chi non ha ricevuto un’approfondita educazione, la possibilità di riscattarsi dalla propria condizione di ignoranza e di rendersi parte attiva della società dell’informazione. Neurath non voleva limitare la comunicazione scientifica ai suoi pari, egli proponeva un’istruzione di massa e «difendeva l’idea che il pensiero astratto e quello matematico potessero essere trasmessi chiaramente e facilmente alle persone a prescindere dal contesto sociale, culturale ed economico di provenienza»49: «l’istruzione deve competere con il divertimento […]. Sarebbe pericoloso se l’istruzione dovesse diventare una mera questione occupazionale e qualcosa di intrinsecamente noioso»50.

il progettista-trasformatore deve piuttosto fornire strumenti per rendere comprensibile un discorso complesso o un’informazione difficilmente decodificabile, senza rinunciare alla profondità e alla qualità, che il lettore sempre più spesso richiede. E il linguaggio visivo, sinsemico – possiamo dire – è il mezzo più immediato che la tecnologia digitale offre al progettista per soddisfare queste esigenze e, allo stesso tempo, permettere al lettore di apprendere contenuti culturali e capacità di interagire con testi non-lineari, con la presentazione di informazioni complesse e con l’utilizzo un nuovo linguaggio. Questa convinzione non accomuna solo i grandi maestri dei media studies, Neurath come Edward Tufte, Nigel Holmes o Rudolf Arnheim, ma anche i direttori di autorevoli giornali contemporanei: Steve Duenes del New York Times e Michael Robinson del Guardian.

Anceschi G. (2003), “Neurath Isotype e la terza competenza”, in Progetto Grafico 2, n. 2 Cairo A. (2013), L'arte funzionale. Infografica e visualizzazione delle informazioni, Pearson Editore Carenzio G. (2006), Segno, Interpretante, Oggetto: la triade di Pierce e la sua attualità per la scienza della traduzione, su http://win.trad.it/gio.pdf Cellucci C. (2003), Filosofia e matematica, Laterza Cleveland W. S. - McGill R. (1984), “Graphical perception: theory, experimentation, and application to the development of graphical methods“, in Journal of the American Statistical Association, Taylor & Francis Group Damasio A. (2010), Self Comes to Mind: Constructing che Conscious of Brain, Pantheon Books De Saussure F. (2009), Corso di linguistica generale, Laterza Eco U. (1975), Trattato di semiotica generale, Bompiani Ellis W.D. (1938), A source book of Gestalt psychology, Hartcourt, Brace and Co. Few S. (2012), “Should data visualization be beautiful?“, in Perceptual Edge, www.perceptualedge.com/blog/?p1169 Oglethorpe University, messaggi visivi incisi sul disco d'oro portato dalle sonde Voyager e spedite nello spazio (1940)

Franchi F. (2013), Designing News. Changing the World of Editorial Design and Information Graphics, Gestalten Köhler W. (1961), La Psicologia della Gestalt, Feltrinelli

Ancora una volta, però, comunicazione lineare e iconico-sinsemica, non sono indipendenti tra di loro e, tanto meno, si pongono in reciproca rivalità – anche se nello stesso Neurath si legge «i segni devono essere chiari per se stessi, senza l’aiuto di parole: devono essere, appunto, segni parlanti»51. Essi concorrono entrambi allo stesso obiettivo: la ricerca della chiarezza nella comunicazione. Chiarezza però non è sinonimo di semplificazione delle informazioni. Il graphic designer,

Larsen R. (2012), This chart is a Lonely Hunter: the Narrative Eros of the Infographic, su http://www.themillions. com/2012/02/this-chart-is-a-lonely-hunter-the-narrative-eros-of-theinfographic.html Lidwell W., Holden K., Butler J. (2010), Universal Principles of design, Rockport Publishers Inc. Lumer L. - Zeki S. (2011), La bella e la Bestia: arte e neuroscienze, Laterza Mitchell W. J. T. (2009), Pictorial Turn. Saggi di cultura visuale, :duepunti Neurath O.(1981), Gesammelte philosophische und metodologische Schriften, Verlag Hölder-Pichler-Tempsky Neurath O. (2010), From Hyerogliphic to Isotype: a visual autobiography, Hypen PressPeirce Peirce C.S. (2003), Opere, Bompiani

49  Cairo A, op. cit.

Perondi L. (2012), Sinsemie: scritture nello spazio, Stampa Alternativa & Graffiti

50  Neurath O. (2010), From Hieroglyphics to Isotype, Hyphen Press

Romei L. (2013), “Sémiologie graphique di Jacques Bertin”, in Progetto Grafico, n 24

51 Neurath, op. cit.

Romei L. (2015), Progettare la comunicazione, Stampa Alternativa & Graffiti 82

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Rurik T. (1992), Die Konstruktion des Entwurfs Handelns, Dissertation Zur erlangung des Grades eines Doktors der Philosophie an der Universitat Bremen Sant'Agostino (1994), L'istruzione cristiana, Mondadori Sperber D. - Wilson D. (1986/95a), Relevance: Communication and cognition, Blackwell

Capitolo 5. Testi sinsemici in ambiente digitale

Weil F. (n.d.), La lettre n°34. Dans les centres et les services, su http://lettre.ehess.fr/987 Wurman R. S. - Bredford P. (1996), Information Architects, Graphis Press Corp Wurman R.S. (1989), Information Anxiety, DoubleDay Wurman R.S. (2000), Information Anxiety 2, Que Zolo D. (1986), Scienza e politica in Otto Neurath. Una prospettiva postempirica, Feltrinelli

5.1. Campi d’applicazione per la sinsemia Nel secondo capitolo della presente tesi, citando il pensiero di studiosi autorevoli come Eco, Vandertorpe, Casati e Roncaglia, si è fatto riferimento al libro cartaceo come supporto perfetto e “imperfezionabile” per la lettura. Uno strumento, come molti, che è difficile da sostituire proprio a causa delle sue numerose utilità, sia dal punto di vista cognitivo che dal punto di vista ergonomico. Il libro è un’interfaccia perfetta, come il cucchiaio, il martello, la bici. Spesso si pensa all’avvento delle tecnologie digitali come una minaccia «apocalittica» per il futuro della lettura e per l’attuale conformazione del libro cartaceo, rimasta immutata per moltissimo tempo. Supposto che la cultura testuale è, e rimarrà, come già detto, un punto cardine della trasmissione della conoscenza e della cultura più in generale, abbiamo dovuto ammettere che queste tecnologie hanno scatenato una graduale ma profonda rivoluzione nel mondo dell’editoria e nei comportamenti del lettore, proprio per le molteplici e ancora non del tutto esplorate potenzialità che offrono. Dopo aver affrontato il tema degli ipertesti e dell’infinita disponibilità di contenuti offerti dai new media, l’aver introdotto, in questo lavoro di ricerca, il tema della scrittura sinsemica e dei testi non-lineari ha permesso di provare a rileggere le metamorfosi intervenute in campo testuale secondo un nuovo punto di vista: quello dell’integrazione di linguaggi lineari e spaziali, alfabetici e iconici, al fine di rendere i nuovi supporti di lettura, strumenti ottimali per l’accesso alla conoscenza. Ne risulta che la riscrittura in forma sinsemica, multimediale, aggiornabile, interattiva e ipertestuale può ricoprire un ruolo di fattore primario nella riprogettazione del sistema libro, come interfaccia per l’accesso facilitato a una conoscenza rizomorfa. C’è, dunque, come anticipato, da chiedersi non solo quale sia la configurazione da dare ai nuovi artefatti testuali, ma anche e soprattutto, quali siano i campi in cui convenga intervenire per la riprogettazione di interfacce delle forme testuali e nella selezione dei contenuti, e infine, quali dovranno essere le modalità di condivisione con il pubblico. Si potrebbe partire dall’analisi di riformulazione progettuale, dal punto di vista del design in chiave digitale, del formato saggio, per esempio, risulterebbe un’operazione molto interessante valutare i vantaggi che ne deriverebbero nella di lettura. Persino Roberto Casati1, ricercatore in ambito editoriale e fermo sostenitore della superiorità del cartaceo, ammette la possibilità per il saggio di aprirsi al formato elettronico. 1 Casati, op. cit.

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Capitolo 5

I vantaggi nell’interazione tra contenuto e lettore sono innegabili e ben evidenti: potrebbero proporsi, in punti di interesse relativo, dei brevi reassunti, in quelli di maggiore importanza scientifica suggerimenti di approfondiment; l’indice, una volta relegato a inizio o a fine libro, potrebbe diventare strumento attivo e utile per la navigazione nel testo; le note potrebbero essere nascoste, per non asfissiare il lettore, ed essere richiamate nei momenti più opportuni e potrebbero lasciare spazio a schemi, diagrammi, panoramiche e visualizzazioni; il testo collegato ad altri testi diventerebbe un libro-enciclopedia in continua interazione con il lettore e con l’ausilio di strumenti di realtà aumentata gli sviluppi possibili sarebbero tutti da immaginare. la rete della conoscenza e il saggio come nodo della rete

Il saggio «può essere visto come un “nodo” all’interno di una rete più ampia di contenuti culturali: può essere un punto di partenza o di arrivo o, molto più probabilmente, uno dei molti punti intermedi di un percorso più ampio»2 e la digitalizzazione profonda del formato comporta un aumento esponenziale della portata dei collegamenti, della facilità e velocità di accesso, e, soprattutto, una fruizione più metodica e consapevole.

mezzi tradizionali4. Scoprire dove un testo è stato citato in un’altra pubblicazione stampata può essere molto oneroso in termini di tempo. Questa operazione, fondamentale sia per le scelte di acquisto sulla base di preferenze di genere, sia per la strutturazione di bibliografie di riferimento per tesi di laurea, per esempio, è resa possibile solo grazie ai mezzi digitali e all’uso di database aggiornabili. I risultati della mappatura delle correlazioni bibliografiche di un testo con altri, cioè la visualizzazione dell’ipertestualità dei libri (anche cartacei), è presentata in forma sinsemica e interattiva, tramite l’uso di “organigrammi”. Modelli, ancora una volta, rizomorfi. Ma il saggio non è a mio avviso l’unica tipologia di testo che trarrebbe vantaggio dalla riorganizzazione digitale, per come l’abbiamo intesa finora. Per questo motivo la scelta di un campo di intervento, su cui focalizzare l’attenzione, è ricaduta fin dall’inizio su una vasta gamma di prodotti editoriali accomunati dall’obiettivo di informare/formare il pubblico in un determintato ambito del sapere. Nonostante precedentemente in questa tesi, si sia già sostenuto che un intervento di riprogettazione sui prodotti editoriali di stampo narrativo, i romanzi per esempio, possa risultare interessante almeno con valore sperimentale, credo che per gli obiettivi di questo lavoro di ricerca sia molto più utile focalizzarsi su prodotti scienticifi e divulgativi.

5.1.1. Sinsemia come strumento per la divulgazione La divulgazione scientifica è un particolare processo di pubblicazione dei risultati della ricerca svolta. Essa è il mezzo con il quale la comunità scientifica diffonde cultura, attraverso comunicazioni pubbliche “one-to-many”, a un pubblico non specialistico, senza alcun fine specificatamente formativo ma per favorire il radicamento della scienza nella società. A sinistra: sito web Two Reads, suggerisce le letture future in base alle letture passate A destra: funzionalità di aggiunta note su un eBook Amazon

Two Reads

Un caso esemplare è quello presentato dal progetto Two Reads3: una mappa interattiva mostra le connessioni tra libri “non-fiction”, per esplicitare influenze e riferimenti reciproci, aiutando il lettore a scoprire le prossime letture e a generare scelte in fase di approfondimento. Da un lato, Two Reads rende palesi tutte le connessioni già esistenti ma nascoste tra citazioni, note, bibliografia di libri diversi e, dall’altro, nella direzione opposta, traccia a ritroso le correlazioni tra i medesimi libri: non solo fornisce, associata a un ideale libro C, edito successivamente ai libri A e B, l’informazione: “il libro C cita il libro A e il libro B”; ma permette anche la segnalazione associata al libro B: “il libro B, che cita il libro A, è stato a sua volta citato nel libro C”. Simili informazioni non sarebbero accessibili con i

2 Ludovico, op. cit.

Il crescente interesse verso la scienza tra il XVII e il XVIII secolo portò alla pubblicazione di prodotti editoriali che delinearono un nuovo genere, la “divulgazione scientifica brillante”. Emblematici sono gli esempi di saggi come Éléments de la géométrie de l’Infini, scritto nel 1727 dal letterato francese Bernard le Bovier de Fontenelle, o Neutonianismo per le dame, scritto nel 1737 dallo scrittore italiano e studioso di astronomia Francesco Algarotti, in cui temi di una certa complessità scientifica venivano spiegati, attraverso una contaminazione di linguaggi, a un pubblico meno colto. Altrettanto degno di nota è il caso della longeva rubrica di Scientific American intitolata The Amateur Scientist che dal 1928 fino al 2001, ha rappresentato un punto di riferimento assoluto per una tipologia di lettore “dilettante scienziato”, cioè colui che «conduce uno studio per la sola soddisfazione di farlo» e che «non trae un utile materiale dai suoi sforzi»5. Lo scienziato dilettante è anche un libro del 1964 (edizione italiana nel 1966) a cura di C.L. 4  Per dare un’idea pratica di questa situazione consideriamo due testi rilevanti per la stesura di questa tesi: il primo è La lettera uccide di Giovanni Lussu (1999), il secondo è Sinsemie di Luciano Perondi (2012). Nella situazione attuale appare molto semplice leggendo il mio lavoro ricercare le informazioni nei testi di Lussu e Perondi, e leggendo Perondi trovare un riferimento al testo di Lussu. Impossibile, invece, è sapere, leggendo Lussu, che il testo, a distanza di un decennio, sia stato citato da Perondi e che sia Lussu che Perondi siano stati citati in questa tesi. 5  Vannevar in Strong C. L., a cura di (1966), Lo scienziato dilettante, Sansoni

3 http://www.tworeads.com/ 86

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il rapporto tra comunità scientifica e pubblico


Capitolo 5

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del genere meritava di avere, ma la Biblia Pauperum rappresentò uno dei prima passi della conoscenza, appartenente esclusivamente all’élite culturale del tempo, verso un ampliamento del proprio pubblico di riferimento. L’operazione di traduzione iconica dei passi della Bibbia per renderli noti alla popolazione, chiaramente, era tutt’altro che un’invenzione degli amanuensi che redassero la Biblia Pauperum: è il caso, ancora una volta, di citare Victor Hugo, il quale nel suo romanzo Notre-Dame de Paris faceva descrivere ai protagonisti le cattedrali come libri di pietra per il modo in cui, con un linguaggio fortemente simbolico, in affreschi e sculture raccontavano i precetti della cristianità, rappresentando un «vero e proprio catechismo»6. Oggi la divulgazione di argomenti avviene attraverso moltissimi canali differenti ed è rivolta non necessariamente a un pubblico di persone poco istruite (il “volgo”, come suggerisce l’etimologia della parola “divulgazione”), ma a chi si approccia a un particolare ambito della conoscenza, non solo scientifica, per il quale non ha le competenze necessarie. «Se si è tagliati fuori da certe conoscenze a causa di un linguaggio specialistico, si rischia di essere amputati di una parte importante della società di capire le infinite connessioni che, in particolare, la scienza (e la tecnologia) continuamente crea all’interno della società e della stessa cultura»7. Ma non sempre la semplificazione del linguaggio utilizzato risulta un metodo efficiente alla comprensione della complessità di un tema e all’educazione del lettore alla consultazione di testi informativi che permettano di creare una vera e propria situazione di apprendimento.

Scrittura sinsemica per la matematica

divulgazione e democratizzazione della conoscenza

In alto: Oliver Bryne, "The First Six Books of The Elements of Euclid" (1847) In alto a destra: "I Pitagorici" sito web di Luciano Porta, www.webalice.it/lucianoporta/

Stong, secondo e ultimo direttore della suddetta rubrica, nel quale si raccolgono le edizioni più interessanti, organizzati secondo capitoli tematici, ognuno dedicato a un ambito della scienza. la Biblia Paperum e la catechesi in forma visuale

Ma l’esempio che meglio si adatta alla discorso sulla divulgazione della cultura è quello del ruolo svolto nel XV secolo dalla Biblia Pauperum, la Bibbia per poveri. Essa raccoglieva numerose illustrazioni a foglio singolo che rappresentavano passaggi della Bibbia e riportavano pochi essenziali commenti in latino o in volgare. Nelle sue pagine, presentate in uno stile che oggi sarebbe descritto come “strisce a fumetti”, si tentava di ridurre la complessità del testo originale, traducendolo in una forma molto più popolare. Tecniche di produzione ancora non del tutto meccanizzate – il processo silografico non era ancora stato perfezionato – non hanno potuto permettere il successo che un’innovazione culturale 88

Gioachino da Fiore, tavola sulle virtù teologali tratta da "Liber figurarum’ (XIII sec.)

6  Lupi R. (2007), Simboli e segni cristiani. Nell’arte, nella liturgia, nel tempio, Edizioni Paoline 7  Piero Angela su Treccani, http://www.treccani.it/enciclopedia/le-vie-della-divulgazione-scientifica_(XXI-Secolo)/ 89


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5.1.2. Sinsemia e data journalism Un’ulteriore campo di applicazione per la sinsemia, oggi molto diffuso, riguarda l’uso che si fa, sempre crescente, di artefatti informativi visivi all’interno di riviste e giornali d’approfondimento. Il fenomeno, spesso definito Data Journalism, permette la presentazione di argomenti molto complessi ridotti a immagine. Il quesito, quindi, resta quello su come fare a conciliare l’immediatezza della comprensione delle nozioni di base e della struttura dell’argomento trattato con la possibilità on-demand, se si desidera, si poter approfondire con contenuti ulteriori. Nei prossimi paragrafi verranno

A sinistra: Fraser Lyness, "Solar system" sulla rivista Eureka (2012) In basso: Francesco Franchi, "Più veloce dell'aereo" sulla rivista IL (2009)

presentati degli esemplari casi di integrazione di testo lineare e forme di scrittura sinsemica, di differente grado di complessità, ognuno analizzato secondo configurazione, struttura, funzione e pubblico di riferimento: questi modelli ibridi di media digitali sono stati chiamati “nuovi sistemi di scrittura”.

In alto a sinistra e a destra: visualizzazioni interattive sulla versione web del quotidiano La Stampa e sulla rivista The Guardian In basso: MGMT,design, " 9/11 First responders NYPD" (2014) http://nymag.com/

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appare più oneroso e necessita di un’attenta analisi degli elementi presentati.

5.2. Sistemi di scrittura sinsemica oggi

Infine ci sono le visualizzazioni interattive che presentano una grande quantità di dati e messaggi, spesso nascosti, da scoprire, approfondire, richiedere tramite metodi on-demand.

dati quantitativi

ELENCHI, MAPPE, SCHEMI

informazione statica

INFOGRAFICA E VISUALIZZAZIONI

informazione statica

INFOGRAFICA IN MOTION DESIGN

informazione dinamica unidirezionale

grado di complessità

SISTEMI DI SCRITTURA SINSEMICA

informazioni qualitative

informazione dinamica interattiva

INFOGRAFICA INTERATTIVA

PRODOTTI EDITORIALI

classificazione delle possibili configurazioni dei sistemi di scrittura

Come più volte sostenuto in questo testo, le possibilità delle tecnologie digitali potenziate dal collegamento in rete hanno sensibilmente contribuito all’evoluzione degli artefatti informativi sinsemici e, parallelamente, incrementato le configurazioni, provocando una grande varietà nell’offerta dei prodotti “editoriali” che ne derivano. Appare interessante, quindi, tentare di effettuare una classificazioni dei sistemi di scrittura sinsemica maggiormente in uso. I criteri con i quali effettuare questa scansione del panorama attuale possono essere molteplici: ai fini di questa trattazione è stato scelto di organizzare i sistemi di scrittura secondo il grado di complessità con il quale essi risultano elaborati.

Una categoria a parte è quella che riguarda le visualizzazioni in movimento: in questo caso le informazioni vengono presentate in forma animata in un ordine prestabilito dal racconto dell’infografica attraverso l’uso delle tecnologie video. La configurazione più diffusa è quella che sfrutta la motion graphic, ma le tecniche e i linguaggi possono essere i più disparati.

app

eBook riviste on-line

È ovvio che il grado di complessità se da un lato rende la visualizzazione più densa di contenuti, quindi più difficile da leggere, dall’altro richiede che essa sia progettata secondo metodi rigorosi per poter offrire la grande quantità di dati e informazioni senza mettere a repentaglio la facilità di fruizione di quello stesso sistema informativo. In sostanza, mentre nelle prime la visualizzazione permette la comprensione di un determinato testo non-lineare almeno in gran parte al primo “colpo d’occhio”, nelle ultime il primo sguardo serve a cogliere una logica generale nell’organizzazione delle informazioni ma a questo, se l’interesse del lettore è vivo, consegue una più profonda lettura esplorativa della visualizzazione.

5.2.1. Elenchi, mappe e diagrammi 5.2.1.1. Gli elenchi, le liste, le tabelle

In una prima classe si collocano le forme più semplici di organizzazione spaziale delle informazioni, quelle alle quali storicamente e quotidianamente siamo più abituati, e sono gli schemi semplici: elenchi, mappe, diagrammi. Essi presentano un’organizzazione spaziale rigorosa, in base al sistema di riferimento scelto in fase di progettazione, ma l’informazione è statica: si presentano, infatti, sottoforma di immagini, che siano cartacee o digitali. Il grado di complessità immediatamente successivo è quello dell’infografica. Generalmente, sia dal punto di vista della quantità di informazioni presentate, sia per il modo in cui esse sono organizzate, lo sforzo cognitivo del lettore per attivare il processo di apprendimento 92

L’elenco è la forma più basilare di disposizione sinsemica di un testo ed è, probabilmente, anche la forma più primitiva e remota nella storia della scrittura: gli elenchi, o liste, hanno origine nelle attività commerciali, per poter registrare e archiviare gli scambi su pratiche tavolette di argilla. È emblematico, ma non inaspettato, che la necessità di disporre le informazioni in senso spaziale derivi da questo tipo di uso pratico per la contabilizzazione degli scambi commerciali, prima ancora che come strumento di registrazione del linguaggio orale per fini artistici, estetici, decorativi8.

8  Ong W.J. (1986), Oralità e scrittura. Tecnologie della parola, Il Mulino, p. 175 93

Density Design, "La ricerca in design: il mosaico delle aree disciplinari" (2008) Interfaccia di accensione del sistema operativo Windows 10


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Gli elenchi potevano presentarsi come parole in successione oppure con modalità di notazione molto più evolute, in colonne verticali, con simboli e disegni, e con rappresentazioni visive di operazioni matematiche come addizione e sottrazione di unità. Inoltre già dai primi esempi è possibile notare un’organizzazione spaziale dettata da criteri di coordinazione e subordinazione gerarchica9.

il testo nel senso prestabilito o nel senso contrario. Ben più articolate sono quelle classificazione tassonomiche che prevedono l’uso di categorie e sottocategorie, come gli elenchi articolati in tabelle, composte da colonne affiancate, ognuna contenente una tipologia differente di informazione. In questo caso la scelta della direzione di consultazione può procedere secondo l’ordine proposto dall’autore oppure seguendo un criterio tematico delle informazioni, variare in base alla tipologia di interesse di ciascun lettore e al senso di lettura più pertinente, dall’informazione dettagliata all’informazione generica e viceversa. Il vantaggio degli elenchi, insomma, sta nel racchiudere insieme un numero di elementi che siano accomunati tra loro da caratteristiche comuni e ordinati secondo un determinato criterio. Ciò che, invece, sembra essere un ostacolo nella consultazione è la carenza di visibili connessioni logiche tra gli elementi che impedisce al lettore la possibilità di raggiungere facilmente l’informazione che gli è necessaria, se non ha un’idea precisa di ciò che sta cercando, e lo costringe a scorrere la lista sperando in un risultato fortuito (esempio: in un elenco telefonico trovare il numero di un idraulico sarebbe problematico se l’elenco fosse organizzato solo secondo un ordine alfabetico e non per categorie professionali).

In alto: una fattura dell'utenza telefonica e una pagina dell'elenco telefonico In basso: lista di libri consigliati dal motore di ricerca di Amazon

elemento gerarchico negli elenchi

criterio di organizzazione dell'elenco

Appare conveniente, inoltre, valutare un’ulteriore elemento a disposizione del lettore offerto dalle tecnologie informatiche: gli elenchi, una volta statici, incisi sulla pietra, sul legno o sull’argilla, o stampati su carta, se inseriti in data base digitalizzati possono essere declinati all’interesse del lettore che, in alcuni casi, può scegliere di modificare l’ordine di esposizione delle voci dell’elenco in base al criterio scelto. Ma questa forma evoluta di lista può essere considerata assimilabile alle infografiche interattive delle quali si parla nei prossimi paragrafi.

In definitiva l’elenco, o la lista, è una forma di enumerazione di voci in correlazione tra di loro10, anche nei casi in cui un ordine numerico non viene reso esplicito ma è diretta conseguenza dell’esposizione degli elementi in successione. L’elenco, però, è soltanto una forma elementare delle ben più avanzate strategie di classificazioni tassonomiche oggi in uso, per esempio le tabelle: la lista, infatti, presentando una serie di elementi in successione, rende il testo più agevole da consultare grazie alla disposizione spaziale delle voci stesse, ma non muta la questione della linearità della scrittura. La direzione dello sviluppo del testo, seppure in configurazione sinsemica, rimane quindi unica, quella stabilita dall’autore, e il senso di lettura può variare al massimo da destra a sinistra e viceversa, o dall’alto in basso e viceversa, in base alle esigenze di ricerca: il grado di libertà più alto che è concesso al lettore nella consultazione di una lista è scegliere di scorrere 9  Bowker G.C. - Star S.L. (1999), Sorting Things Out: Classification and Its Consequences, The Mit Press. 10  Patrick Lambe, http://www.organisingknowledge.com/ 94

A sinistra: Density Design, "Minerva – Data visualization to support the interpretation of Kant’s work" (2013), dettaglio A destra: Gebrueder Thonet, Katalog (1904)

5.2.1.2. Le mappe, le reti Nell’uso comune della lingua il termine mappa indica la rappresentazione schematica, generalmente bisimensionale, di un luogo fisico. Per quanto sia rilevante ai fini dello studio su grafica e semiologia grafica l’elaborazione a carattere visivo della rappresentazione di un territorio, un appartamento, un oggetto in scala, possiamo considerarlo un argomento 95


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psicologo cognitivista inglese Tony Buzan11 negli anni ‘90 come strumento fondamentale nell’organizzazione della conoscenza, applicabile soprattutto alle tecniche di apprendimento e di memorizzazione, ma anche allo sviluppo di organigrammi e, iiù in generale, diagrammi per descrivere le relazioni umane (si pensi all’albero genealogico). La struttura di una mappa, mentale o concettuale, è molto elementare, sebbene trovi applicazioni ben più elaborate come nel caso della rete semantica di Quillian12, utilizzata per la programmazione di computer e per lo sviluppo, in seguito, degli ipertesti: gli elementi in gioco sono dei concetti, posizionati in corrispondenza di nodi, che vengono collegati tra loro tramite l’uso di archi. Le mappe mentali, inoltre, per come sono state concepite dalla scuola di Buzan si arricchiscono di colori e immagini, per uno scopo più che altro evocativo e decorativo, più che contestualmente simbolico. Le mappe sono concepite secondo due criteri fondamentali che permettono lo sviluppo bidimensionele di un testo lineare: ∙∙ ordinatio, disposizione logico-spaziale (relativa, oppure basata un sistema di riferimento)13;

costruzione di una mappa concettuale

∙∙ collocatio, associazione di un nodo a un altro e relativa definizione di un rapporto reciproco.

Richard Buckminster Fuller, mappa geodetica (1981)

A sinistra: mappa mentale realizzata da un allievo durante un workshop di Tony Buzan sul tema "Good Thinking" (2012);

Mappa della filosofia, Museum Britanicum (XII sec.)

A destra: Tony Buzan (2012); In basso: mappa mentale del sito di Tony Buzan;

coerente ma, poiché specifico, marginale allo sviluppo della presente trattazione. Ciò che invece preme tenere in considerazione è che le mappe possono essere utilizzate per rappresentare qualsiasi tipo di luogo, anche mentale e concettuale. Nonostante la mappa mentale sia una rappresentazione grafica molto diffusa nei secoli passati e ben radicata nella cultura visiva occidentale, la sua logica è stata teorizzata dallo 96

In assenza di un sistema di riferimento graduato (se ne parlerà nei prossimi paragrafi) ben dichiarato, è proprio il criterio di collocatio che conferisce alle mappe concettuali una chiave di lettura più profonda rispetto alla semplice esposizione di elementi poiché crea 11  Buzan, T. (1996), The Mind Map Book, Penguin Books 12  Sowa J. F. (2015), Semantic networks, http://www.jfsowa.com/pubs/semnet.htm 13  Quaggiotto M. (2008), Cartografie del sapere. Sistemi di riferimento e interfacce per gli spazi della conoscenza, tesi di PhD, Politecnico di Milano - Dipartimento INDACO 97


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un’organizzazione gerarchico-associativa. I rapporti tra gli elementi, indicati grazie alla disposizione spaziale reciproca, possono essere, inoltre, esplicitati tramite gli archi che originano connessioni di due tipi: ∙∙ gerarchiche (dette anche rami) che collegano ciascun elemento con quello che lo precede; ∙∙ associative (dette anche associazioni) che collegano elementi gerarchicamente disposti in punti diversi della mappa.

5.2.1.3. La scala, la linea temporale, i diagrammi cartesiani Il termine “scala” viene spesso considerato particolarmente «ambiguo e sovraccarico»14 in quanto in ambito di rappresentazione grafica, cartografia, grafica statistica esso descrive allo stesso tempo significati differenti. In cartografia, per esempio, la scala è un indispensabile strumento da rappresentare a margine di una mappa territoriale per consentire all’osserrvatore di rapportare l’unità di misura scelta in fase di progettazione alla estensione della raffigurazione stessa della mappa, ovvero «il rapporto tra le dimensioni della raffigurazione e le dimensioni della territorio raffigurato»15. Al di là della specifica applicazione in ambito cartografico, in generale una scala grafica è una successione di valori, in ordine crescente o decrescente, disposti in linea retta, spesso rappresentati da segmenti di dimensioni regolari e proporzionali al valore che essi esprimono. Una scala può assumere un significato differente a seconda del suo utilizzo che, per una

A sinistra: Mappa/orario della Cecoslovenká Letecká Spole (1933) A destra: Fineo, web application per la realizzazione di sankey diagrams, ideato da Density Design

La struttura di una mappa mentale è sempre gerarchica; le relazioni associative aiutano ad aumentarne l’espressività, evidenziando la presenza di legami trasversali. Essendo gerarchica, la mappa mentale presenta nella maggior parte dei casi una geometria radiale, che quindi dal centro si propaga verso l’esterno: all’elemento centrale vengono collegati gli elementi “subordinati” di primo livello, ciascuno dei quali può essere collegato a elementi di secondo livello e così via. In genere la disposizione grafica degli elementi è a raggiera, ma è possibile estendere queste considerazioni anche ad altre forme di connessione, come quella a spina di pesce oppure ad albero. Da ciò si evince che l’identificazione della configurazione strutturale di una mappa è imprescindibile per la sua corretta interpretazione: la disposizione appare radiale se il messaggio si sviluppa progressivamente a partire da un concetto centrale; verticale se le connessioni tra i nodi sono di tipo causale o subordinativo; reticolare se prevede la distribuzione non sequenziale degli elementi in gioco e interconnessioni con valore non gerarchico.

struttura ad albero

Appare chiaro che in questo caso la metafora sia sì spaziale ma più precisamente di natura botanica. Non è un caso che le mappe progettate secondo nodi e archi siano chiamate anche diagrammi ad albero, dal momento che la loro costruzione proceda con l’individuazione di un numero variabile di ramificazioni a partire da un nodo, efficace elaborazione grafica per rappresentare gerarchia e subordinazione di un elemento rispetto all’altro (rapporto padrefiglio). 98

In alto: Charles Joseph Minard, "Russian campaign of 1812" (1869) In basso: Density Design, "We will be here - Map of the Future" (2009) 14  Goodchild M.F. - Quattrochi D.A. (1997), Scale in remote sensing and GIS su http://www.gis.usu.edu/~doug/frws3710/readings/ ScaleInRemoteSensing.pdf 15  Montello D.R. (2013), “Scale in geography” in J.D. Wright, The international encyclopedia of social & behavioral sciences, Elsevier. 99


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proporazionali alla durata che rappresentano, poi collocare gli elementi in corrispondenza del momento a cui essi appartengono. Nonostante ciò sul web esistono numerosi strumenti software che aiutano all’elaborazione di timeline come Dipity.com, Timetoast.com, e TikiToki.com, che permette di realizzare anche di tridimensionali. La timeline, quindi, non è altro che un elenco di elementi ordinati secondo il criterio temporale prestabilito ma la disposizione spaziale, per la quale le posizioni dei singoli elementi e la loro reciproca vicinanza sono regolati in maniera proprorzionale dalla rappresentazione grafica del tempo, offre la possibilità di lettura del quadro complessivo e un’intuitiva comprensione delle relazioni tra gli elementi, dunque si presta efficacemente alla presentazione dei concetti più elementari e quelli più complessi: evoluzione del libro, ere geologiche, istruzioni per preparare un risotto, programma per la redazione di una tesi di dottorato, storia delle civiltà e delle produzioni artistiche, ecc. Nella maggior parte dei casi, però, una scala, metrica, tremporale o metaforica, non è sufficiente alla descrizione completa di un fenomeno e, come nel caso degli elenchi, la combinazione di più criteri di osservazione permette di ottenere una visualizzazione più esaustiva e ricca di informazioni.

A sinistra: Alfred Barr, "Cubism and Abstract Art" (1936) A destra: Studio Accurat, "Nobel, no degrees" (2013)

scala temporale o timeline

maggiore chiarezza, viene specificato a fianco della rappresentazione, e funge da sistema di riferimento per la disposizione spaziale di un certo numero di elementi in ordine crescente o decrescente rispetto al criterio che la stessa scala illustra. Si tratta ancora una volta di una metafora spaziale quella che si instaura tra la descrizione di un concetto astratto e la traduzione grafica di tale concetto, e può avvenire in maniera più o meno figurariva: nel caso di una mappa territoriale, infatti, ogni grado della scala rappresenta secondo un certo tipo di proporzione, ben definito da una legenda, un valore metrico spaziale (es. 1 cm del rappresentato, può corrispondere a 1 km della distanza reale); ma una scala può rappresentare, per esempio, una temperatura e a ogni semento della linea retta su cui vengono riportati i valori, può far corrispondere un incremento di temperatura (stratagemma grafico che viene riportato sui termometri analogici, ormai obsoleti, che consentono di associare la misurazione della dilatazione del mercurio contenuto in un tubo di vetro trasparente alla variazione di temperatura di un corpo o dell’aria da uno stato iniziale a uno stato finale); ma questo è solo un esempio.

Se combiniamo due scale tra di loro, infatti, otteniamo un diagramma cartesiano: disegnare un diagramma cartesiano equivale a dotare una visualizzazione di una struttura solida, un sistema di riferimento basato su assi ortogonali tra loro e graduate tramite l’unità di misura prestabilita. La disposizione spaziale degli elementi della visualizzazione è regolata contemporaneamente secondo i criteri di ordine attribuiti ai due, tre o n assi. Nonstante il richiamo a termini come ascisse, ordinate, di spazio cartesiano e/o euclideo evochi concetti relativi a matematica e geometria, è sconveniente limitare l’uso del diagramma cartesiano alla sola rappresentazioni quantitative. Esistono, e sono parecchio diffuse, alcuni diagrammi in cui uno dei due assi, o entrambi gli assi non sono costruiti secondo una valenza quantitativa, ma descrivono voci differenti per la rappresentazione del fenomeno in esame. Il Diagramma di Gantt, ad esempio, vede riportata su un asse la scalal temporale, e sull’altro una lista di attività scandite dal tempo, nell’ottica di applicare una determinata strategia e ottenere determinati risultati.

Un particolare ma molto comune utilizzo della scala deriva dall’attribuzione del valore temporale all’asse graduato, in cui a ogni grado linea è affidato il compito di rappresentare un determinato intervallo di tempo. Pur essendo un tipo di rappresentazione quasi totalmente non figurativa, il livello di astrazione richiesto non impedisce alla scala temporale di essere lo strumento più efficace per ordinare una serie di elementi visivamente e secondo un criterio cronologico. Applicata principalemente in ambito storico e storiografico la timeline permette di presentare in modo sinottico una serie di eventi e fatti (dalle guerre alle invenzioni, dalla nascita dei personaggi di rilievo all’evoluzione della morfologia di un territorio) avvenuti in periodi di tempo più o meno ampi.

A sinistra in alto e in basso: "La forma delle storie", diagrammi sintetici dei più famosi romanzi della letteratura internazionale (Cindarella e i romanzi di Kafka), Kurt Vonnegut (1947)

Costruire una scala temporale è molto semplice: basta tracciare su una linea retta, orizzontale o verticale, dei segmenti corrispondenti a una porzione di tempo di lunghezze 100

sistemi di riferimento a 2, 3, n assi

A destra: esempio di 4-way diagram 101


Capitolo 5

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Anche il quadrato semiotico o perceptual maps, utilizzato tanto in semiologia quanto nel marketing, è una forma di sistema di riferimento cartesiano a due assi, nel quale ai due assi vengono attribuiti due significati differenti e ai due poli di ciascun asse viene attribuito il valore opposto di quel determinato criterio. Un’altra visualizzazione ad assi, singolare e in voga in questi anni, è lo star plot o star graph. Questo non è altro che un diagramma cartesiano con un numero di assi scelto liberamente dall’autore, nel quale gli assi non sono posti perperndicolarmente tra loro ma con angolazione stabilita in base al loro numero (i 360° sono divisi in n sezioni tante quante sono gli assi). Il funzionamento è lo stesso: il valore attribuito a ogni asse viene rappresentato sulla lunghezza dell’asse stesso. Per esempio, dato un tema, vengono individuati n criteri di analisi A, B, C, D, E che lo descrivano e vengono disegnati n assi che partono da un unico punto di intersezione; di seguito si attribuisce un valore a ciascun criterio di analisi ed esso viene riportato sull’asse, rappresentato da una lunghezza proporzionale a tale valore; unendo tra loro i punti estremi dei segmenti disegnati, si ottiene la stella che rappresenta l’analisi del dato tema scelto secondo i criteri individuati; infine è possibile confrontare la stella ottenuta con le

stelle relative ad altri temi o allo stesso tema analizzato con criteri differenti. In generale possiamo concludere che il contributo della cartografia e della matematica statistica ereditato dal metodo sinsemico è la minuziosa e ragionata attenzione alla composizione di un testo visivo non alfabetico, un testo non linearmente disposto: «dati una serie di elementi, fatti, ragionamenti, la disposizio ordina, colloca, mette in fila gli argomenti per convincere (o commuovere) lo spettatore»16 che sia quello in questione uno spazio cartografico oppure uno spazio virtuale matematicamente costruito e astratto. In altre parole, appare opportuno sottolineare come dato uno spazio bidimensionale, un foglio di carta, un foglio elettronico, e stabilito un sistema di riferimento, conditio sine qua non per la progettazione sinsemica di un testo non-lineare, ogni scelta compositiva riguardo gli elementi in questione acquista un senso relativo al dato sistema di riferimeno e relativo alle posizioni reciproche degli elementi. «O si considera come “mettere ordine” (e non come un ordine vero e proprio), come un atto creativo di distribuzione delle materie, in una parola un lavoro, una strutturazione. Oppure si prende [il piano] al suo stato di prodotto, di struttura fissa e allora lo si collega all’opera, all’oratio»17. Con le parole di Barthes, appare ovvio che dato un numero di elementi appartenenti a un testo non-lineare, che sia il sistema di riferimento esplicitato graficamente o implicito, quindi reso invisibile, che sia predeterminato oppure indotto dalla disposizione stessa degli elementi, il caposaldo della visualizzazione sinsemicamente concepita è che la posizione sullo spazio bidimensionale (e, perché no, tridimensionale, che sia materico o virtuale) abbia criterio e partecipi alla costruzione del senso dell’intero artefatto comunicativo.

il senso della disposizione spaziale nelle visualizzazioni non quantitative

5.2.2. Infografiche e visualizzazioni All’interno del termine cappello “infografica” rientrano, spesso erroneamente, alcune forme di di visualizzazione molto in voga negli ultimi tempi per le quali cui sembra che tutto ciò che è notizia, dalla cronaca quotidiana alla divulgazione scientifica, sembra dover passare anche da un’elaborazione visuale anche, e spesso, a discapito della reale comprensione del testo. Oggi l’infografica è frequentemente utilizzata nei giornali, nelle riviste scientifiche, nei saggi, nei manuali d’istruzioni, nei libri di testo scolastici. È inoltre molto utilizzata come strumento da parte di matematici, statistici e informatici per semplificare i processi di sviluppo e comunicazione di informazioni astratte. Per interpretare correttamente il significato di questi grafici, il fruitore necessita di un corretto livello di conoscenza grafica (in inglese graphicacy). In molti casi, il livello di complessità richiede capacità di decodifica acquisite e non innate nell’individuo: a un livello basilare, un segno o un segnale deve essere decodificato prima che i sensi percepiscano l’insieme. Tuttavia, una conoscenza delle convenzioni per la configurazione e l’organizzazione dei vari componenti è necessaria per migliorare la comprensione.

In alto a sinistra: Diagramma di Gantt applicato a ricerche neuroscientifiche

Da un certo punto di vista alcuni degli esempi di infografiche che si presentano come

In alto a destra: Star Plot applicato a ricerche neuroscientifiche

16 Quaggiotto, op. cit.

In basso: Studio Accurat, "Life cycle of ideas" (2014)

17  Barthes R. (1972), La retorica antica, Bompiani 102

103

la graphicacy e il linguaggio chiaro ed efficente


Capitolo 5

Testi sinsemici in ambiente digitale

ambito di infografica in movimento, ovvero realizzata tramite motion graphics. Negli ultimi anni si è osservato un incremento nell’uso i video animati, ottenuti tramite differenti tecniche di costruzione (dalla grafica vettoriale al collage, all’animazione di distegni fatti a mano), nati con lo scopo di spiegare fenomeni complessi a un pubblico più o meno istruito. Naturale evoluzioni delle slideshows, una volta utilizzate per lo più in ambito commerciale, aziendale o didattico, le infografiche animate associano a una voce narrante, generalmente fuori campo, un supporto visivo per le informazioni sotto forma di immagini, schemi, grafici che avvalorino contenuto del messaggio che si sta trasmettendo oralmente e ne rendano più facile la comprensione. Questo metodo di comunicazione si è molto diffuso innanzitutto con l’incremento di piattaforme per lo streming video attraverso le quali è possibile condividere un messaggio rapido e accattivante, ma soprattutto con la consapevolezza che la narrazione di contenuti tramite il video, spesso chiamata storytelling, si presta come strumento per la divulgazione: associa a un linguaggio piuttosto comprensibile un susseguirsi di immagini didascaliche, esplicative e chiarificatrici corredate da giochi grafici in movimento più o meno superflui che richiamano l’attenzione dell’utente/spettatore e mantengono il ritmo della narrazione incalzante.

In alto a sinistra: Density Design, "Share Your Knowledge" (2011) In alto al centro: Jan Willem Tulp, " Our Crowded Cosmos" (2012) In alto a destra: Jane Pong, "Rain Patterns in Hong Kong" (2013) In basso: Nicolas Feltron, Annual Report (2012)

occasione per il designer di dare libero sfogo a formalismo e decorativismo sono da considerarsi strumenti di comunicazione efficaci poiché tramite stratagemmi grafici permettono all’autore di conquistare l’attenzione del lettore, per poi fornire l’informazione vera e propria. Su questo dualismo del linguaggio infografico si sviluppava il dibattito tra Edward Tufte e Nigel Holmes, riportato nel terzo capitolo di questo testo, che vedeva Tufte sostenitore di un’eccellenza grafica ottenuta con l’uso minimale degli elementi in gioco per comunicare una serie di informazioni. Per questo motivo nel suddetto capitolo si è tentato di effettuare una distinzione tra la pratica di infografica e visualizzazione, tra data-viz e data-art.

In alto a sinistra: Beautiful Lab, "20 di centrosinistra in 5 minuti" (2010) In alto a destra: NFL Infografic, "The Mind-Blogging Numbers Behind the Super Bowl" (2016)

5.2.3. Infografiche in motion design

In basso: vcrwda, "The best animated infographics of the world" (2013)

Ciò che avviene in ambito di infografica statica, può essere facilmente osservato anche in 104

105


Capitolo 5

Testi sinsemici in ambiente digitale

Questa commistione di immagini e narrazione orale se da un lato può provocare distrazione e confusione, dall’altro nasconde un altro pericolo: il fruitore, che si trasforma da lettore a spettatore, non deve far altro che seguire il filo del discorso proposto dagli autori della videoinfografica; viene istruito su determinati argomenti senza un grosso sforzo cognitivo, quello sforzo che spesso rappresenta la motivazione all’apprendimento; non permette la reale comprensione di un messaggio in maniera autonoma e critica, e rende il fruitore passivo e il testo, ancora una volta, lineare. Raccolta di videoinfografico a tema psicologico sul sito www.brainpickings.com

Un testo non-lineare interattivo infatti può essere “manipolato” tramite degli stratagemmi informatici, offerti, chiaramente, dalle tecnologie digitali, e modificato a seconda delle esigenze informative del lettore. Questi stratagemmi possono essere: criteri di ricerca, filtri, cambiamento di punto di vista, o anche semplicemente ingrandimento e rimpicciolimento di una visualizzazione per poter ottenere una visione complessiva oppure una più nel dettaglio. Nel testo “Interaction Design: Beyond Human-Computer Interaction” del 201118, le docenti universitarie del University of Maryland Human-Computer Interaction Lab, Yvonne Rogers, Helen Sharp e Jennifer Preece propongono una categorizzazione sugli stili di interazione tra il lettore e l’artefatto comunicativo interattivo, nel nostro caso le infografiche, individuandone quattro modelli, di seguito elencati secondo il grado crescente di possibilità di interazione: 1. Istruzione: l’utente richiede all’infografica delle informazioni e le ottiene schiacciando pulsanti, cliccando col mouse o digitando comandi; 2. Dialogo: l’utente ottiene, per ogni azione che svolge, un feedback tramite l’interfaccia, a prescindere da un’interazione tattile o fisica con essa; 3. Manipolazione: al lettore è concessa un’azione profonda sull’interfaccia, nell’aspetto e nella struttura, al fine di raggiungere i propri personali obiettivi;

interazione tra lettore e artefatto comunicativo interattivo

4. Esplorazione: l’utente ha la quasi totale di libertà di muoversi nell’ambiente informativo come fosse uno spazio virtuale (la metafora è quella dei giochi di ruolo in cui il giocatore esplora lo spazio tridimensionale in maniera esplorativa). Riccardo Mazza, ricercatore e docente presso il Dipartimento tecnologie innovative della SUPSI, invece, individua un’ulteriore categoria di rappresentazione grafica con la quale l’utente può trovarsi a interagire e che rappresenta la vera, auspicabile, essenza delle infografiche interattive: la trasformazione. Nel testo “La rappresentazione grafica delle informazioni”19, fa riferimento ai tipi di rappresentazione grafica dividendole in tre categorie: ∙∙ rappresentazioni statiche, dove l’utente non può svolgere interazioni; ∙∙ rappresentazioni manipolabili, quelle, in sostanza, in cui poter intervenire tramite istruzione, dialogo, manipolazione ed esplorazione; ∙∙ rappresentazioni trasformabili, nelle quali l’utente può agire direttamente sui dati che orginano le rappresentazioni.

5.2.4. Infografiche interattive Le infografiche interattive sembrano, al giorno d’oggi, gli artefatti informativi progettati sinsemicamente più stimolanti tra quelli in uso: essi, come gia anticipato, permettono un maggiore coinvolgimento dell’utente nel processo di comunicazione. Possiamo definirli come l’apoteosi delle potenzialità della non-linearità di un testo visivo poiché pur presentando le informazioni in forma grafica e sinottica su uno spazio bidimensionale o tridimensionale, prevedono che sia il fruitore a far luce su porzioni di testo che preferiscono e nel momento in cui lo richiedono. 106

Mazza, inoltre, illustra una rassegna di tipologie differenti di azione sull’interfaccia a seconda delle richieste dell’utente che vanno dal semplice scrolling, pratica resa quotidiana dalla consultazione delle pagine web, al “focus & context” che permette la visione simultanea del dato dettagliato e del quadro complessivo della rappresentazione. Le modalità attraverso le quali l’utente da istruzioni all’interfaccia, inoltre, sono state teorizzate dall’interaction 18  Preece J., Rogers Y., Sharp H. (2011), Interaction design. Beyond computer-human interaction, Wiley 19  Mazza R. (2007), La rappresentazione grafica delle informazioni, Apogeo 107

tipologie di rappresentazioni grafiche in digitale

tecniche di navigazione in un interfaccia digitale


Capitolo 5

Testi sinsemici in ambiente digitale

designer Jenifer Tidwell che, nel saggio “Designing Interfaces”20, identifica diverse tecniche di esplorazione e navigazione di un’interfaccia:

ruolo di co-autore di una determinata rappresentazione grafica. Queste azioni possono essere, nello specifico, svolte tramite differenti metodi che vanno dal semplice filtraggio dei dati in input alle query dinamiche, ovvero data base modificabili.

In conclusione di questa sommaria analisi sulle modalità di interazione con le infografiche interattive risulta interessante considerare un ulteriore punto di vista riguardo la metodologia sinsemica come guida alla progettazione di strumenti di conoscenza. Partendo dal presupposto che i supporti digitali per la diffusione delle informazioni necessitano di software per la consultazione dei testi progettati per la fruizione tramite devices digitali (che siano essi lineari o non-lineari), ciascuna delle interfacce, dalla più semplice alla più complessa, con la quale l’utente dialoga con il software, sarebbe da considerare come un perfetto campo di applicazione di criteri sinsemici come strumento per la progettazione ergonomica e cognitivamente efficace. Questa osservazione, però, seppur necessaria, meriterebbe una trattazione a sè, motivo per il quale per questo lavoro di tesi ci limitiamo a considerare, per il momento, soltanto la questione dei contenuti e non della progettazione tool per la consultazione, che siano hardware o software.

5.2.5. Nuova editoria: eBook, riviste, app Ciò che deriva dalla rassegna sulle tipologie di testi visivi ai quali risulta possibile applicare la metolodologia sinsemica in fase progettuale è che il panorama “editoriale” attuale appare un universo frastagliato e variegato, ma soprattutto ibrido poiché in continuo mutamento e, auspicabilmente, in sperimentazione. Oggi infatti è difficile poter realmente distinguere una rivista cartacea dalle proprie appendici multimediali digitali reperibili in rete, per esempio. È difficile distinguere i contenuti “extra” dai gadget e, spesso, anche l’offerta culturale dai prodotti in omaggio di natura software o hardware.

In alto: Mattew Block, Amanda Cox, Tom Giratikanon, "Mapping Segregation" (2015) In basso a sinistra: Alberto Cairo, "The master of clay takes aim at the fast courts" (2007) In basso a destra: Luigi Parisi, tavola periodica web app, su www.luigiparisi.com

∙∙ scorrimento e panning ∙∙ zoom in e zoom out ∙∙ apertura e chiusura (per esempio, di finestre) ∙∙ classifica e riordino (di una lista, di voci di una tabella, di una squanza di dati) ∙∙ ricerca e filtro. Le azioni di ricerca e di filtraggio, sono da considerarsi, insieme alla classifica e al riordino, quelle in cui l’utente ha maggiore influenza sulla visualizzazione finale, ricoprendo, così, il

Magazines come Vice, Wired, Moshi Mag fungono come esempi su come editoria tradizionale e contenuti non-lienari possano coesistere e, nei migliori dei casi, integrarsi e supportarsi, sia a livello di proposta informativa, sia a livello di vendite e successo tra il pubblico. La strategia più diffusa, e che ha generato maggiore successo, passa dalla differenziazione dell’offerta tra la versioni cartacea e quella digitale, del consolidamento dell’unità editoriale tramite un continuo rimando tra un supporto e l’altro, e una profonda consapevolezza del target di riferimento al quale il prodotto editoriale si rivolge. Non c’è, fortunatamente, nel panormama attuale un eBook non potenziato con contenuti informativi on-demand, link a pagine di approfondimento, testo non-lineare che serva a dar senso al testo lineare. Le tipiche componenti del mondo dell’editoria classica vengono suddivise continuamente, rimaneggiate e rieditate, parallelamente ai cambiamenti delle abitudini di lettura dei fruitori. Ma la necessità di adeguamento a nuove esigenze di fruizione non riguarda esclusivamente il minor tempo dedicato e la parcellizzazione delle occasioni in cui dedicarsi alla lettura; essa dipende anche, e sopratuttto, dal diverso grado di approfondimento richiesto dal prodotto

20  Tidwell J. (2005), Designing Interfaces, O’Reilly 108

109


Capitolo 5

Testi sinsemici in ambiente digitale

Quello che preme sottolineare è che le competenze necessarie all’utilizzo di questi utilissimi tool informatici non può essere data per scontata. Il rischio è che, come spesso accade, visualizzazione e information design vengano scambiati per giochi estetici e illustrazioni vezzose. Il tentativo di scongiurare questo rischio passa attraverso la consapevolezza di questi mezzi e, dunque, anche attraverso l’educazione all’uso e all’interpretazione di una tipologia di linguaggio visuale complesso come questo.

A sinistra: articolo con infografica sulla rivista digitale Vita nuova, 2013 A destra: app nativa android per le previsioni del tempo

Insomma bisogna abituare il lettore, oltre che il progettista, ad approcciarsi ai testi nonlineari sinsemicamente progettati come degli artefatti strumentali al raggiungimento di una conoscenza difficilmente acquisibile attraverso altri mezzi, più che come artefatti “retorici”, fatti cioè non per un fine pratico ma per mettere in scena un’idea persuasiva, politica o commerciale, ciò che precedentemente abbiamo chiamato data-art o illustrazione.

editoriale, dalla velocità con cui si possono ottenere le informazioni e dal criterio di rilevanza con cui esse vengono presentate, e, infine, dalla qualità dei contenuti stessi, dalla loro capacità di essere compresi e creare conoscenza: si parla, dunque, di una sorta si atomizzazione e, spesso, “autonomizzazione” delle unità di senso delle quali il lettore è alla ricerca21. Con queste premesse appare incontrovertibile l’importanza del ruolo che una visualizzazione, soprattutto se interattiva, può assumere nel processo di lettura di un qualsiasi tipo di prodotto editoriale: progettata come mezzo per offrire delle informazioni selezionate dall’autore, al contempo redattore e progettista visuale, la visualizzazione diventa occasione di interagire con la lettura che l’autore fa di un fenomeno, coglierne differenti punti di vista per poi calarla in un altro contesto e immettere dei nuovi dati: in sostanza l’autore, o, più spesso, il suo teamwork, fornisce contenuti, propone chiavi di lettura, progetta software per la fruizione, e disegna un’interfaccia grafica che risponda a criteri sinsemici per consentirne l’esaustiva comprensione, e il fruitore giova dell’offerta completa per ottenere le informazioni che lo interessano personalmente, e, magari, ne amplifica l’esperienza di apprendimento collegando il lavoro del progettista a un nuovo database.

5.3. Progettare sinsemicamente L’obiettivo di questa sezione è quello di considerare più nello specifico l’azione di scrivere un testo non-lineare, ovvero una visualizzazione, un’azione di progettazione, essendo questa tipologia di testi dei prodotti atti alla fruizione da parte di un pubblico, il lettore, più o meno competente all’intepretazione del messaggio in questione. Analizzati i contrubuti provenienti da differenti aree disciplinari (nei capitoli 2, 3 e 4), è il caso, in questi paragrafi, di porre le basi per la sistematizzazione di una metodologia sinsemica che guidi, come già detto, da un lato il progettista nell’opera di scrittura della visualizzazione e nella configurazione stessa, e dall’altro il fruitore a farne un uso più ponderato e a adatto alle proprie esigenze di lettura.

5.3.1. Il “buon design” sinsemico Si è evinto finora il fondamentale ruolo nella quotidiana diffusione delle informazioni della sinsemia come “disciplina” emergente. Tuttavia si può facilmente rilevare come essa appaia ancora come un guazzabuglio formativo di concetti, metodi, procedure non propriamente formalizzati al fine di fornire chiare indicazioni su come progettare un artefatto informativo in logica sinsemica. Piuttosto questi, come fatto notare nel quarto capitolo, questi precetti vengono mutuati da differenti campi come la grafica, la statistica, la cartografia, l’illustrazione, l’information design e wayfinding design, il giornalismo più evoluto. Appare necessario, quindi, codificare queste informazioni eterogenee e discontinue al fine di otterere delle linee guida per la progettazione di artefatti sinsemicamente comunicativi. Nello specifico, un fondamentale obiettivo di questa tesi è quello di fornire le basi per la formulazione di un corpus organico di indicazioni progettuali, che possa essere utile sia come metodologia per la produzione di tavole sinottiche, sia nell’analisi e nella valutazione di elaborati grafici già realizzati.

A sinistra: Interactive eBook Zanichelli, ideato da Chialab e gestita con BEdita CMS

Occorre anche considerare auspicabile che la metodologia di seguito descritta possa rappresentare un punto di partenza per un’opera di educazione al testo sinsemico anche per coloro, i lettori comuni, che non appartenendo all’ambito della comunicazione grafica si trovino a far fronte, quotidianamente, con la decodifica di informazioni presentate sotto

A destra: rivista digitale Bloomberg Businessweek, per tablet e mobile

21 Franchi, op. cit. 110

111


Semiology of graphics. Synsemia method and theory Capitolo 5

DESIGN PROCESS structured through 4 indispensable but non-sequential steps (unpublished and unauthorized scheme)

Luciano Perondi, graphic and typographic designer, teacher and ISIA Urbino director

Testi sinsemici in ambiente digitale

forma di visualizzazione e che spesso, per mancanza di allenamento, non riescono a fruire nel modo più efficace di questo potentissimo strumento di comunicazione dei nostri giorni.

3

identificate a reference system

5.3.1.1. Le quattro fasi della progettazione sinsemica La proposta di metodologia sinsemica per la progettazione di artefatti comunicativi, così com’è stata concepita dal gruppo di lavoro sviluppato negli ambienti dell’ISIA di Urbino e in occasione di vari altri laboratori sulla sinsemia, è articolata in quattro punti fondamentali e imprescindibili. Questi corrispondono a quattro step sequenziali ma non rigidamente ordinati, ovvero interscambiabili tra loro. Essi sono: i 4 step non sequenziali della metodologia sinsemica

∙∙ identificazione di un sistema di riferimento;

1

organize components in elements and elements aggregates

2

∙∙ individuazione degli elementi in gioco e distinzione tra elementi e aggregati di elementi;

recognize a hierarchy among elements and among aggregates

4

∙∙ strutturazione di una gerarchia tra gli elementi e tra gli aggregati;

finally, assign visual variables coherently with the elements organization, respecting the hierarchy and based on the reference system

∙∙ assegnazione delle variabili visive. Alcuni di questi punti fanno riferimento all’abilità di collocare gli elementi in un ordine spaziale funzionale al linguaggio della tavola sinottica e alla comunicazione di relazioni tra gli elementi grazie alla distribuzione spaziale, che può avvenire all’interno di un sistema di riferimento ben definito come, per esempio, degli assi cartesiani o una linea temporale, o implicito. In questo caso i rapporti, associativi, dissociativi, di subordinazione, etc, vengono stabiliti visivamente tramite il reciproco posizionamento degli elementi. Altre fasi della progettazione sinsemica, invece, presuppongono la corretta adozione di regole grafiche adoperate nella loro funzione simbolica per poter esprimere relazioni che, in alternativa, dovrebbero essere esplicitate a parole, in un testo (lineare) a margine della tavola sinottica. Per questo motivo l’attribuzione delle variabili visive è una delle fasi più delicate nella progettazione di visualizzazioni e mappe, poiché un uso incauto di proprietà visive degli elementi può far evincere associazioni e gerarchie illogiche, involontarie, scorrette. Inoltre, come spesso accennato, c’è da ricordare che l’assegnazione di simbologie ai concetti da comunicare dovrebbe quanto più è possibile prescindere dall’uso di legende, dal momento che obiettivo dei testi sinsemici è quello di comunicare con immediatezza ed permettere la corretta comprensione del testo, evitando ambiguità, senza l’intervento dell’autore.

traduzione grafica come conseguenza della metodologia

Per quanto riguarda l’ultimo punto dei quattro, infatti, è consigliabile che la traduzione grafica delle relazioni tra gli elementi, tramite l’attribuzione di variabili visive, avvenga come fase finale del lavoro di progettazione. Prerogativa dell’assegnazione delle variabili “di macchia”, come sono state più volte definite, è che essa rispetti le considerazioni effettuate in fase di elaborazione del messaggio e nella fase iniziale della progettazione: esse devono essere scelte coerentemente all’organizzazione degli elementi e degli aggregati individuati; devono rispettare la gerarchia delle informazioni, evitando così cattive interpretazioni delle relazioni esplicitate tre gli elementi; devono essere basate sul sistema di riferimento scelto in fase di elaborazione della visualizzazione.

112

graphic rules

+

spatial order

5.3.1.2. Aggregati, livelli e gerarchia Una fase prioritaria per la progettazione di un buon artefatto sinsemico è la costruzione di senso tramite la gerarchia degli elementi nella visualizzazione. Ogni testo non-lineare, infatti, è composto da una serie di elementi in relazione tra loro, ma la reale complessità di ciascuna visualizzazione scaturisce non solo dalla quantità di questi elementi ma anche dalla quantità e dalla tipologia di relazioni che è possibile instaurare tra questi. Ridefiniamo quindi le componenti essenziali di una visualizzazione: ∙∙ elementi semplici, le unità atomiche di senso dell’artefatto; ∙∙ aggregati di elementi, o macrounità, gruppi di elementi accomunati in rapporto associativo; ∙∙ livelli, relazioni di subordinazione reciproca tra elementi o tra aggregati di elementi; ∙∙ metaelementi, artefici grafici atti all’esplicitazione di realazioni di associazione o subordinazioni tra gli elementi (archi di relazione, frecce, simboli, e sistema di riferimento stesso): ∙∙ elementi attattori e pre-attentori accessori, che servono a richiamare l’attenzione del lettore. Sebbene sia stato affermato precedentemente che le fasi della metodologia sinsemica non siano elencate in un ordine prescrittivo è bene che il progettista ricordi che stabilire un ordine, anche solo mentale, tra gli elementi in gioco nella propria visualizzazione, guida nella comprensione profonda del modo in cui è più efficace organizzarne la disposizione, 113

le componenti della visualizzazione


Capitolo 5

Testi sinsemici in ambiente digitale

nell’individuazione delle relazioni che è necessario esplicitare, e, nelle fasi successive, nella traduzione grafica del messaggio e nelle scelte da effettuare nella configurazione della visualizzazione stessa.

∙∙ astrazione/raffigurazione ∙∙ funzionalità/decorazione ∙∙ densità/leggerezza

5.3.1.3. Attribuzione delle variabili visive

∙∙ multidimensionalità/unidimensionalità

La questione dell’attribuzione delle variabili visive è stata a lungo analizzata nel corso di questo lavoro di tesi poiché corrisponde alla fase in cui praticamente tutte le premesse, necessarie alla progettazione di un messaggio comprensibile al lettore, vengono messe in atto.

∙∙ originalità/familiarità ∙∙ novità/ridondanza.

Dalla scelta delle variabili visive, infatti, dipende la comprensione delle relazioni tra gli elementi, la loro associazione o dissociazione (variabili associative o selettive), la loro correlazione o subordinazione, ma anche la capacità di leggere i dati, di comprenderli, di mantenere l’attenzione sull’interpretazione del messaggio senza il rischio di distrazione. Per una più approfondita panoramica sull’uso delle variabili visive nella traduzione grafica dei dati è possibile far riferimento alle lezioni di semiologia grafica di Bertin, del quale si parla ampiamente nel quarto capitolo.

complex but in-depth informations

density

multi-dimensionality

functionality

originality

abstraction

newness

LANGUAGE ATTRIBUTES redundance

5.3.1.4. Ruota della visualizzazione La ruota della visualizzazione è un ottimo strumento per la progettazione e per la valutazione di una visualizzazione. Basata su una ruota analoga descritta da Joan Costa nel libro “La esquematica”, e modificata da Alberto Cairo nel, più volte citato saggio, “L’arte funzionale”, è essa stessa una visualizzazione, ovvero uno star graph composto da sei assi corrispondenti a sei criteri differenti, che si esprimono per polarità opposte, per valutare il linguaggio da utilizzare o utilizzato nell’artefatto preso in considerazione. Gli assi della ruota corrispondono agli aspetti principali da bilanciare quando si progetta un infografica: PRECISENESS DEGREE IN INFORMATION EVALUATION easy decoding difficult decoding

depiction

familiarity

decoration

one-dimensionality

lightness

clear but summary informations

La ruota è suddivisa così in due emisferi: nel primo la tendenza è quella di optare per un linguaggio più approfondito, ma allo stesso tempo più complesso; nel secondo il linguaggio è più comprensibile ma più superficiale. Scegliendo una tipologia di linguaggio come descritto dal primo emisfero, è possibile che il lettore si trovi di fronte a un livello di informazioni di maggiore accuratezza, ma che necessitano uno sforzo maggiore per poter essere interpretate; nel secondo caso la visualizzazione avrà un linguaggio sicuramente più facilmente comprensibile ma la qualità delle informazioni sarà meno approfondita, probabilmente più superficiale. Data un’infografica, o un’idea per un’infografica in fase di progettazione, l’utente può valutare il linguaggio utilizzato assegnando a ogni asse un valore che guida nella scelta “linguistica” da effettuare. In realtà, come gli stessi autori precisano, non è possibile utilizzare la ruota della visualizzazione per avere una valutazione quantitativa e obiettiva della visualizzazione, ma più che altro come sussidio alla progettazione e alla valutazione.

Le sette variabili visive di Bertin messe a confronto con la scala delle attività percettive di Cleveland e McGill

color hue

color saturation

density

volume

area

slope

ELEMENTARY GRAPHIC-PERCEPTION TASKS

114

angle

length

position on nonaligned scales

position along a common scale

115


Capitolo 5

Testi sinsemici in ambiente digitale

5.3.2. Applicazioni

Fase 3. Approfondimento bibliografico e iconografico

5.3.2.1. Progettazione di un artefatto sinsemico

L. Perondi, Sinsemie. Scritture nello spazio, 2012

Creare la versione non-lineare di un libro lineare. Il libro in questione è

principio dell’analogia: oggetto  rappresentazione (segno, simbolo, icona), tramite comuni attributi riconosciuti dallo stesso codice e nello stesso contesto di riferimento (regolarità locali)

Per sinsemia si intende

artefatti compositi: particelle elementari + le relazioni sinsemiche che intercorrono tra loro. Alcuni elementi sono “atomici”, altri sono “definitori” del sistema di riferimento, altri “aggreganti” e generano metaelementi (o aggregati)

Caso studio 1: Sinsemie di Luciano Perondi

..., Mappa/orario della Cecoslovenká Letecká Spole, 1933

la disposizione deliberata e consapevole di elementi di scrittura nello spazio con lo scopo di comunicare, attraverso l’articolazione spaziale,

inferenze visive: lettura delle immagini e deduzione

S. Cellucci, Le ragioni della logica, 2004

Queste regolarità possono essere valide soltanto per quel testo - ma coerenti, rigorose e interpretabili senza bisogno dell’aiuto dell’autore -,

Perondi L. (2013), Sinsemie. Scritture nello spazio, Stampa alternativa & graffiti.

oppure definite da precisi schemi e abitudini di fruizione consolidate.

sistema di riferimento: campo d’azione dell’analogia grafica - tabelle a entrata multipla - diagrammi narrativi - strutture diagrammatiche - ...

Fase 1. Individuazione del concetto cardine del libro strumenti informatici come possibili guide nella creazione di modelli sintattico-spaziali sofisticati

L. Perondi, Sinsemie. Scritture nello spazio, 2012

G. Anceschi, Monogrammi e figure, 1981

associazione tra domini ignoti e domini noti genera comprensione

in modo ragionevolmente univoco e secondo regolarità.

struttura: - forma sinottica e compatta - molteplicità dei livelli - organizzazione spaziale degli elementi in un sistema di riferimento - emancipazione dalla tipografia “gutemberghiana”

S. Themerson, Typographical topology, 1965

..., Mappa/orario della Cecoslovenká Letecká Spole, 1933

Per sinsemia si intende

J. Bertin, La semiologie graphique, Les diagrammes, les réseaux, les cartes, 1967

la disposizione deliberata e consapevole di elementi di scrittura nello spazio con lo scopo di comunicare, attraverso l’articolazione spaziale,

funzioni della rappresentazione grafica: - registrare l’informazione (inventario, memorizzazione...) - comunicare l’informazione (cogliere la complessità) - trattare l’informazione (categorizzazione e conseguente deduzione di nuove informazioni)

7 variabili visive: attributi degli elementi che permettono associazione tra loro. dimensione (taglia), forma, texture (grana), colore, tonalità (valore), orientamento e posizione su piano

modalità di lettura: lettura “tradizionale” sostituita da consultazione, esplorazione, alla ricerca dell’informazione e/o della comprensione complessiva

- variabili associative - variabili selettive - variabili ordinabili - variabili ordinate (gerarchia)

implantation: elementi primitivi/componenti del sistema artefatto, ovvero punti, linee e zone ai quali è possibile applicare le variabili

che tipo di informazione? non sono di dati quantitativi: les réseaux, creato a posteriori, a partire da elementi dati, elaborando le relazioni

J. Bertin, La semiologie graphique, Les diagrammes, les réseaux, les cartes, 1967

guida all’attenzione: - attrattori che guidino la lettura - artifici grafici e “sinsemici” che mettano in evidenza elementi e relazioni

in modo ragionevolmente univoco e secondo regolarità. processo di lettura: 1- identificazione esterna 2- identificazione interna 3- percezione delle corrispondenze originali

V. Turla, Grafici e schemi in testi divulgativi..., 2005

Queste regolarità possono essere valide

rumore cognitivo: buon design=minor design, l’uso eccessivo di variabili visive sugli elementi crea confusione

soltanto per quel testo - ma coerenti, rigorose e interpretabili senza bisogno dell’aiuto dell’autore -, oppure definite da precisi schemi e abitudini di fruizione consolidate. F. Franchi, Designing information, 2013

Fase 2. Estrapolazione di concetti che approfondiscano il concetto cardine e costruzione della rete di relazioni tra di essi

J. Bertin, La semiologie graphique, Les diagrammes, les réseaux, les cartes, 1967

S. Dehaene, I neuroni della lettura, 2009

J. Maeda, Le leggi della semplicità, 2006

Fase 4. Proposte di approfondimento di concetti extra-testuali L. Perondi, Sinsemie. Scritture nello spazio, 2012

L. Perondi, Sinsemie. Scritture nello spazio, 2012

Per sinsemia si intende

artefatti compositi: particelle elementari + le relazioni sinsemiche che intercorrono tra loro. Alcuni elementi sono “atomici”, altri sono “definitori” del sistema di riferimento, altri “aggreganti” e generano metaelementi (o aggregati)

con lo scopo di comunicare, attraverso l’articolazione spaziale,

inferenze visive: lettura delle immagini e deduzione

con lo scopo di comunicare, attraverso l’articolazione spaziale,

inferenze visive: lettura delle immagini e deduzione

S. Cellucci, Le ragioni della logica, 2004

Queste regolarità possono essere valide soltanto per quel testo - ma coerenti, rigorose e interpretabili senza bisogno dell’aiuto dell’autore -,

soltanto per quel testo - ma coerenti, rigorose e interpretabili senza bisogno dell’aiuto dell’autore -,

oppure definite da precisi schemi e abitudini di fruizione consolidate.

oppure definite da precisi schemi e abitudini di fruizione consolidate.

sistema di riferimento: campo d’azione dell’analogia grafica - tabelle a entrata multipla - diagrammi narrativi - strutture diagrammatiche - ...

strumenti informatici come possibili guide nella creazione di modelli sintattico-spaziali sofisticati

7 variabili visive: attributi degli elementi che permettono associazione tra loro. dimensione (taglia), forma, texture (grana), colore, tonalità (valore), orientamento e posizione su piano

modalità di lettura: lettura “tradizionale” sostituita da consultazione, esplorazione, alla ricerca dell’informazione e/o della comprensione complessiva

- variabili associative - variabili selettive - variabili ordinabili - variabili ordinate (gerarchia)

sistema di riferimento: campo d’azione dell’analogia grafica - tabelle a entrata multipla - diagrammi narrativi - strutture diagrammatiche - ...

strumenti informatici come possibili guide nella creazione di modelli sintattico-spaziali sofisticati S. Themerson, Typographical topology, 1965

implantation: elementi primitivi/componenti del sistema artefatto, ovvero punti, linee e zone ai quali è possibile applicare le variabili

J. Bertin, La semiologie graphique, Les diagrammes, les réseaux, les cartes, 1967

funzioni della rappresentazione grafica: - registrare l’informazione (inventario, memorizzazione...) - comunicare l’informazione (cogliere la complessità) - trattare l’informazione (categorizzazione e conseguente deduzione di nuove informazioni)

7 variabili visive: attributi degli elementi che permettono associazione tra loro. dimensione (taglia), forma, texture (grana), colore, tonalità (valore), orientamento e posizione su piano

modalità di lettura: lettura “tradizionale” sostituita da consultazione, esplorazione, alla ricerca dell’informazione e/o della comprensione complessiva

- variabili associative - variabili selettive - variabili ordinabili - variabili ordinate (gerarchia)

che tipo di informazione? non sono di dati quantitativi: les réseaux, creato a posteriori, a partire da elementi dati, elaborando le relazioni

che tipo di informazione? non sono di dati quantitativi: les réseaux, creato a posteriori, a partire da elementi dati, elaborando le relazioni

infografiche

processo di lettura: 1- identificazione esterna 2- identificazione interna 3- percezione delle corrispondenze originali

V. Turla, Grafici e schemi in testi divulgativi..., 2005

rumore cognitivo: buon design=minor design, l’uso eccessivo di variabili visive sugli elementi crea confusione

importanza della sinsemia nella ricerca scientifica rumore cognitivo: buon design=minor design, l’uso eccessivo di variabili visive sugli elementi crea confusione

F. Franchi, Designing information, 2013

J. Bertin, La semiologie graphique, Les diagrammes, les réseaux, les cartes, 1967

S. Dehaene, I neuroni della lettura, 2009

J. Maeda, Le leggi della semplicità, 2006

necessario benchmark principi di affordance

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implantation: elementi primitivi/componenti del sistema artefatto, ovvero punti, linee e zone ai quali è possibile applicare le variabili

J. Bertin, La semiologie graphique, Les diagrammes, les réseaux, les cartes, 1967

guida all’attenzione: - attrattori che guidino la lettura - artifici grafici e “sinsemici” che mettano in evidenza elementi e relazioni

guida all’attenzione: - attrattori che guidino la lettura - artifici grafici e “sinsemici” che mettano in evidenza elementi e relazioni processo di lettura: 1- identificazione esterna 2- identificazione interna 3- percezione delle corrispondenze originali

G. Anceschi, Monogrammi e figure, 1981

associazione tra domini ignoti e domini noti genera comprensione

in modo ragionevolmente univoco e secondo regolarità.

Queste regolarità possono essere valide

funzioni della rappresentazione grafica: - registrare l’informazione (inventario, memorizzazione...) - comunicare l’informazione (cogliere la complessità) - trattare l’informazione (categorizzazione e conseguente deduzione di nuove informazioni)

principio dell’analogia: oggetto  rappresentazione (segno, simbolo, icona), tramite comuni attributi riconosciuti dallo stesso codice e nello stesso contesto di riferimento (regolarità locali)

la disposizione deliberata e consapevole di elementi di scrittura nello spazio

struttura: - forma sinottica e compatta - molteplicità dei livelli - organizzazione spaziale degli elementi in un sistema di riferimento - emancipazione dalla tipografia “gutemberghiana”

associazione tra domini ignoti e domini noti genera comprensione

in modo ragionevolmente univoco e secondo regolarità.

Per sinsemia si intende

artefatti compositi: particelle elementari + le relazioni sinsemiche che intercorrono tra loro. Alcuni elementi sono “atomici”, altri sono “definitori” del sistema di riferimento, altri “aggreganti” e generano metaelementi (o aggregati)

principio dell’analogia: oggetto  rappresentazione (segno, simbolo, icona), tramite comuni attributi riconosciuti dallo stesso codice e nello stesso contesto di riferimento (regolarità locali)

la disposizione deliberata e consapevole di elementi di scrittura nello spazio

struttura: - forma sinottica e compatta - molteplicità dei livelli - organizzazione spaziale degli elementi in un sistema di riferimento - emancipazione dalla tipografia “gutemberghiana”

..., Mappa/orario della Cecoslovenká Letecká Spole, 1933

..., Mappa/orario della Cecoslovenká Letecká Spole, 1933

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principi della Gestalt

alfabetizzazione alla sinsemia: utile al rendere il professionista in grado di essere compreso dal non-professionista, e al non professionista e produrre artefatti coerenti senza l’aiuto del professionista


Capitolo 5

Testi sinsemici in ambiente digitale

Caso studio 2: Realizzazione di materiale infografico per la VQR Infografiche, icone e pittogrammi per la comunicazione dei risultati finali dell'indagine condotta dall'Agenzia Nazionale di Valutazione del Sistema Universitario e della Ricerca al fine di valutare la qualitĂ del sistema nazionale della ricerca. ANVUR che ha preso in esame 133 strutture e valutato 184.878 prodotti di ricerca. Quattrolinee, in collaborazione con Ruggero Blasi e Alessio Graglia, ne ha curato i documenti della relazione finale, realizzando grafiche, infografiche e un videoinfografiche. http://www.quattrolinee.it/it/works/14_Anvur-Vqr

A fianco: infografiche realizzate per ANVUR, in occasione della VQR In basso: dettagli dello stampato

In basso: frame estrapolati dalla videoinfografica, realizzata da Quattrolinee, che racconta il funzionemantro della VQR

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119


Capitolo 5

Testi sinsemici in ambiente digitale

5.3.2.2. Retro-design di un artefatto sinsemico Caso studio 1: How to ski by French method

Individuate le maggiori incongruenze per ciò che riguarda la metodologia sinsemica, viene reimpostato il sistema di riferimento e riconfigurati gli elementi, organizzandone in aggregati e metaelementi; infine si verifica che la struttura è coerente con i princìpi sinsemici.

Estratta un'illustrazione dal testo Allais E. (1947), How to ski by French method, Édition Flèche, ne viene analizzata la struttura, individuando il sistema di riferimento, organizzando le parti in elementi e aggregati.

Barthes R. (1972), La retorica antica, Bompiani Bowker G.C. - Star S.L. (1999), Sorting Things Out: Classification and Its Consequences, The Mit Press Buzan, T. (1996), The Mind Map Book, Penguin Books Casati R. (2013), Contro il colonialismo digitale. Istruzioni per continuare a leggere, Laterza, Bari Goodchild M.F. - Quattrochi D.A. (1997), Scale in remote sensing and GIS, su http://www.gis.usu.edu/~doug/frws3710/readings/ScaleInRemoteSensing.pdf Lupi R. (2007), Simboli e segni cristiani. Nell’arte, nella liturgia, nel tempio, Edizioni Paoline Lussu G. (1999), La Lettera uccide, Stampa Alternativa & Graffiti

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121


Preece J., Rogers Y., Sharp H. (2011), Interaction design. Beyond computer-human interaction, Wiley Mazza R. (2007), La rappresentazione grafica delle informazioni, Apogeo Ong W.J. (1986), Oralità e scrittura. Tecnologie della parola, Il Mulino Quaggiotto M. (2008), Cartografie del sapere. Sistemi di riferimento e interfacce per gli spazi della conoscenza, tesi di PhD, Politecnico di Milano - Dipartimento INDACO

Capitolo 6 S-I-N design pattern come una possibile applicazione

Tidwell J. (2005), Designing interfaces, O’Reilly Media Wright J.D. (2013), The international encyclopedia of social & behavioral sciences, Elsevier

6.1. Introduzione1 ll concept del software nasce da un’esigenza personale, sviluppata nel corso degli anni di studio e nelle successive esperienze professionali, e dal confronto con alcuni professionisti nel campo della comunicazione visiva, incontrati in occasione di un workshop sul design, con i quali si concordava sulla necessità di sistematizzare il processo produttivo di artefatti sinsemici, tavole sinottiche, mappe concettuali e infografiche e sull’inadeguatezza degli attuali strumenti informatici d’ausilio alla loro realizzazione, siano essi general purpose o di tipo “verticale”. In una cultura, come quella occidentale – e non solo -, così legata alla comunicazione in forma visuale e veicolata quasi esclusivamente dalle tecnologie digitali, sembra che i testi nonlineari rappresentino, spesso inconsapevolmente, uno strumento privilegiato del quotidiano scambio di informazioni e della trasmissione della conoscenza scientifica. Dato che i lettori sono abituati a confrontarsi tutti i giorni con queste forme di testo in fase di lettura, sarebbe auspicabile che le stesse persone siano anche in grado di cimentarsi nella loro produzione, per comunicare con maggiore consapevolezza mediante la scrittura nello spazio e per trarre vantaggio dalla forza comunicativa di visualizzare concetti dalla struttura a cono. Appare, quindi, opportuno considerare l’idea di avviare una sorta di “alfabetizzazione alla sinsemia”, ovvero, educare all’approccio al testo non-lineare sia in fase di lettura, sia in fase di produzione. Da qui l’idea di avviare un progetto che si propone l’obiettivo di sviluppare un software per assistere, nell’elaborazione di un testo non-lineare, spazialmente ben organizzato e visivamente coerente con i criteri sinsemici, il professionista grafico, ma adatto anche allo scienziato, all’insegnante, al divulgatore, al pubblicitario e a chiunque altro ne abbia necessità, seppur privo di competenze specifiche nel campo della comunicazione visiva e con limitate conoscenze nell’uso di programmi informatici specialistici. Per la loro natura, non subordinata alla distribuzione spaziale sequenziale e alle tecniche di produzione tipografica, riscontrabili per consuetudine nel libro stampato, gli artefatti sinsemici permettono di rappresentare contenuti complessi in forma sinottica e compatta, ma 1  La formalizzazione del concetto di “design pattern”, in ambito informatico, è attribuita alla cosiddetta “Gang of four” (brevemente GOF). La gang of four è costituita da Erich Gamma, Richard Helm, Ralph Johnson e John Vlissides [….]nel libro Design Patterns: elements of reusable object oriented software, 1994, ed. Addison-Wesley In informatica, nell’ambito dell’ingegneria del software, un design pattern (traducibile in lingua italiana come schema progettuale, schema di progettazione, schema architetturale), è un concetto che può essere definito “una soluzione progettuale generale a un problema ricorrente”. Si tratta di una descrizione o modello logico da applicare per la risoluzione di un problema che può presentarsi in diverse situazioni durante le fasi di progettazione e sviluppo del software, ancor prima della definizione dell’algoritmo risolutivo della parte computazionale. È un approccio spesso efficace nel contenere o ridurre il debito tecnico.

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Capitolo 6

S-I-N design pattern come una possibile applicazione

per le medesime ragioni, richiedono grande flessibilità organizzativa dovendo mescolare segni alfabetici, con funzione ideografica, segni iconici o indicali e ideogrammi, il tutto articolato in una sintassi “bidimensionale”, in cui lo spazio può avere sia un valore “topologico”, di semplice connessione tra gli elementi, sia un valore attribuibile a un “sistema di riferimento” o a un “campo”. I programmi per la scrittura e per la produzione di testi, apparentemente di grande flessibilità, sono, in realtà, ampie gabbie editoriali entro le quali ci si muove attraverso percorsi vincolati da schemi e strutture prefissate, da regole procedurali rigidamente formalizzate e da modelli preconfezionati che impongono stili e opzioni grafiche scarsamente modificabili. Se invece ci si orienta sui software verticali del settore della grafica comunicativa (produzione artefatti grafici, modellazione e ritocco fotografico), allora, l’apparente flessibilità, nella gestione degli spazi e nella ampia adattabilità alla creatività del utilizzatore, viene smorzata dalle elevate competenze tecniche richieste per il loro uso, sia di tipo grafico-visivo, nonché informatico, le quali richiedono la conoscenza approfondita di funzionalità che, a voler essere maliziosi, sembrerebbero essere state nascoste, inoltre si deve possedere un’abilità specifica per la loro applicazione. Non è un luogo comune affermare che l’utilizzatore medio di software sfrutta/conosce il 15/20% delle potenzialità del programma. Le basi ideologico-culturali del programma immaginato traggono origine, quindi, dalle competenze sviluppate nel vissuto quotidiano ed esperenziale di alcuni professionisti, nella realizzazione di testi non lineari sinsemici e, nel contempo, dall’analisi di artefatti, per la rappresentazione grafico-spaziale di informazioni, realizzati da artisti e grafici del passato, presi a modello per lo studio del processo di creazione e per quello, non meno importante, di lettura. In particolare, i lavori e, più specificamente, le regole teorizzate dal semiologocartografo Jaques Bertin, definite come variabili visive, nella sua opera La sémiologie graphique, les diagrammes, les réseaux, les cartes – 1967, costituiscono la base di partenza per la definizione delle caratteristiche funzionali del applicativo, relativamente alla composizione di oggetti grafici. Le sette variabili visive di Bertin e la relativa classificazione tassonomica sono, infatti, fondamentali per la lettura corretta e inequivoca di un prodotto grafico che ha finalità espressive di tipo quantitativo (ovvero, immagini che possono essere tradotte in matrici, cartine, reticoli a partire da dati quantitativi). Le cosiddette “variabili visive di macchia”, identificabili attraverso le differenti variazioni di energia luminosa (espresse con le texture, il colore, la tonalità, la forma), la dimensione e l’organizzazione spaziale degli oggetti graficotestuali, opportunamente disposti nell’artefatto sinsemico, possono diventare strumenti essenziali per la loro interpretazione. L’attribuzione di proprietà grafiche similari agli elementi della composizione grafica riescono ad evidenziare aggregazioni, classificazioni, associazioni, dissociazioni e livelli gerarchici, creare relazioni, definire intuitivamente ordini di grandezza. Lo strumento informatico che si sta teorizzando, perciò, prevede utility e funzioni, coerenti con le esigenze innanzi prospettate, per mezzo delle quali l’utente, a prescindere dalle competenze culturali e tecniche che detiene, potrà sviluppare mappe concettuali, tabelle e grafici, strutture grafiche e diagrammi di flusso e logici, ideogrammi, tavole sinottiche ed esprimere concetti con struttura a cono avvalendosi di librerie di oggetti (ideografici, forme, icone, oggetti geometrici), che potrà regolare agendo sulla modulazione delle delle proprietà ad essi attribuibili (identificate con le “variabili di macchia”), per amplificarne o ridimensionarne la percezione visiva in funzione: del peso gerarchico e dell’opportunità di 124

classificare, ordinare, associare, dissociare, enumerare e quantificare gli elementi. In definitiva, la sistematizzazione procedurale e produttiva dell’artificio grafico guiderà l’utilizzatore nello svolgimento di quattro step operativi: 1. individuazione di elementi e aggregati coerenti, relativamente al concetto di “associazione” tra elementi “accomunati” dall’aspetto e “associabili” anche dal punto di vista visivo; 2. definizione di un sistema di riferimento che valorizzi quantitativamente gli elementi in funzione dalla loro disposizione nello spazio; 3. definizione della gerarchia tra elementi singoli e tra gruppi di elementi; 4. definizione e assegnazione delle variabili visive. La sequenza operativa non avrà vincoli di ordine procedurale nei primi tre stadi, ma potrà sostenere aggiustamenti in parallelo, fino alla composizione finale dell’artefatto.

6.2. Caratteristiche generali del software e ambiente di utilizzo L’applicativo, di seguito descritto con la metodologia del “Design pattern”, proponendosi come software “general purpose”, in quanto destinato a utilizzatori specialisti nella produzione grafica e non, dovrà essere necessariamente: ∙∙ freeware – per consentire a chiunque ne abbia interesse il suo utilizzo. ∙∙ open source – per permettere nel suo sviluppo futuro l’adattamento a specifiche esigenze non previste nella fase progettuale e non prevedibili per la platea di potenziali utilizzatori a cui è rivolto ∙∙ multipiattaforma e fruibile in ambiente web e off line – per garantire la massima portabilità e la partecipazione collaborativa ai progetti. Simili premesse dovrebbero servire anche per cercare di far nascere intorno al programma una sorta di “comunità” costituita da stakeholder, i quali potrebbero dare il loro contributo alla crescita del software e al suo arricchimento con strumenti, funzionalità e utilità di uso più specifico e specialistico, librerie di ideogrammi, forme, pattern e texture, oggetti iconografici, simboli e quant’altro può servire alla produzione di artefatti sinsemici (sulla falsariga, per esempio dell’appicativo web Wordpress che nato come applicazione per l’implementazione di blog, grazie ai contributi della comunità, è diventato in poco tempo uno degli ambienti applicativi più affermati per la redazione di siti anche molto complessi).

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Capitolo 6

S-I-N design pattern come una possibile applicazione

6.2.2. Benchmark

DSABOARD

LEGENDA

Lista di (collaborative) websoftware per la creazione di artefatti sinsemici e per l’organizzazione non-lineare della ricerca

tipologia:

Brainstorming

interfaccia:

- websoftware ad accesso libero - necessaria la registrazione (di un tutor se minorenni)

-

- Area o.n.l.u.s. target: - studenti DSA scuola primaria e secondaria inferiore - “tutor” e figure di riferimento per l’istruzione dei bambini DSA -

componenti dell’artefatto

criticità

utilità per la sinsemia:

a cura di:

➔ GroupZap: permette di realizzare brainstorming grafici on line e in team tramite metafora della lavagna e del post-it; url: groupzap.com; ➔ Murally: permette di realizzare brainstorming e mind map on line e in team (utilizzando anche commenti, note e revisioni ordinate in maniera cronologica) tramite l’utilizzo di elementi grafici preimpostati ma parzialmente personalizzabili; url: mural.ly; ➔ Padlet; url: padlet.com; ➔ Popplet; url: popplet.com;

utilità sito

funzionalità sito

Strumento di studio per bambini affetti da Disturbi Specifici dell’Apprendimento

adatta al gioco (riferimenti ai videogames e ai giochi musicali) metafora della musica, ma sono nell’homepage non immediata, ma superata l’homepage migliora guida alla comprensione dell’interfaccia molto approfondita video introduttivo

possibile costruzione di mappe concettuali permessa solo la costruzione di mappe concettuali a nodi nessun’ausilio alla costruzione logica delle mappe impossibile modifica e annullamento azioni precedenti impossibile organizzazione gerarchica dei nodi difficile gestione dello spazio (difficile gestione della stampa) integrazione di link, immagini, testi e file audio impossibile personalizzazione grafica degli artefatti permessa l’esportazione degli artefatti e la condivisione possibile la consultazione di un archivio di artefatti prodotti da altri utenti

guida

Diagrammi ➔ Draw.io: permette di costruire manualmente diagrammi di vario genere (diagrammi di flusso e mockup, per esempio) a partire da elementi base parzialmente personalizzabili; url: draw.io; ➔ Creately: permette di costruire manualmente diagrammi a partire da elementi base parzialmente personalizzabili e di lavorare in team con commenti e note; url: creately.com; ➔ Cacoo; url: cacoo.com; ➔ Draw Anywhere; url: drawanywhere.com; ➔ Flowchart: permette di costruire manualemente diagrammi di flusso a partire da elementi base preimpostati; url: flowchart.com; ➔ Gliffy; permette di realizzare diagrammi di vario genere (flowchart, SWOT analysis, site map, per esempio); url: gliffy.com; ➔ Realtime Board: permette di realizzare diagrammi, brainstorming e mind map in team; url: realtimeboard.com; ➔ DataSeed: permette di realizzare data visualization interattive; url: getdataseed.com/

Mind Map

mappe concettuali > nuova mappa > apri mappa > salva mappa > esci ---> aggiungi nodo > elimina nodo > sposta nodo > inserisci link > inserisci audio > inserisci testo > stampa mappa

percorsi di studio > percorsi > apri percorso > nuovo percorso > ascolta una storia > ripeti e registra la tua voce > crea una mappa della storia

set up

navigatore

calcolare > calcolatrice > tavola pitagorica > operazioni in colonna

scrivere e leggere > riscrivi la frase > lettere volanti > puzzle > memory

INTERFACCIA ARTEFATTO SINSEMICO sistema di riferimento

archi di relazione

nodi (o elementi)

strumento non dedicato alla sinsemia

➔ Bubbl.us: permette di realizzare mind maps con procedura guidata e poche possibilità di intervento sulla resa grafica dell’artefatto; url: bubbl.us; ➔ SpiderScribe: permette di realizzare mind maps nelle quali inserire documenti, link, foto, ecc, con poche possibilità di intervento sulla resa grafica dell’artefatto; url: spiderscribe.net; ➔ DSAboard: permette di realizzare semplici mind maps (progettato per studenti con problemi di apprendimento); url: areato.org;

esercitarsi giocando > registratore vocale > sintesi vocale > traduttore (link a Google Translate)

contenuto extra (nascosto)

unica tipologia di sistema diagrammatico difficile organizzazione dello spazio (non c’è sistema di riferimento)

difficile gestione degli archi di relazione

impossibile strutturare la gerarchia

impossibile connotare la gerarchia difficile visualizzazione dei contenuti extra (appaiono solo cliccando sul nodo)

Infografiche (anche interattive) ➔ Piktochart: permette di realizzare infografiche a partire da alcuni template di diagrammi e temi grafici; url: piktochart.com; ➔ Kinzaa; url: kinzaa.com;

impossibile assegnare le variabili visive problematica la stampa (le mappe troppo grandi rischiano di essere tagliare ai bordi)

Alcuni di questi software sono stati analizzati approfonditamente e sono state realizzate delle schede descrittive.

126

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Capitolo 6

S-I-N design pattern come una possibile applicazione

INFOGR.AM

LEGENDA utilità sito

funzionalità sito

Software per la realizzazione di infografiche di diagrammi, e relativa community.

componenti dell’artefatto

vantaggi

criticità

MURAL.LY

LEGENDA utilità sito

funzionalità sito

Software collaborativo per la realizzazione di mappe concettuali e presentazioni.

componenti dell’artefatto

vantaggi

criticità

tipologia:

tipologia: - websoftware ad accesso libero - necessario il pagamento per il download delle infografiche - registrazione tramite facebook e twitter o email

- websoftware ad accesso libero - necessario il pagamento per il download dei prodotti - registrazione tramite facebook e twitter o email

utilità per la sinsemia: -

a cura di: - Infogr.am target: - utenti con abilità informatiche e nell’uso di diagrammi - capacità dell’uso di tabelle di dati - nessuna competenza grafica necessaria interfaccia: - semplice ed intuitiva - consigli introduttivi essenziali su come iniziare a lavorare - metafora della scrivania e del canvas con gli strumenti intorno

possibile solo costruzione di diagrammi ottimo assortimento di tamplate per la progettazione tipologia dei dati trattabili prettamente quantitativa possibile realizzazione di wordcloud (non quantitative) possibile organizzazione gerarchica delle wordcloud modifica delle azioni precedenti sempre possibile gestione dello spazio vincolata al verticale impossibile inserimento di link ipertestuali possibile integrazione con immagini e video, non audio personalizzazione grafica degli artefatti limitata dai theme permessa l’esportazione degli artefatti solo con account pro permessa la condivisione sui social network e sulla piattaforma

utilità per la sinsemia: -

a cura di: - Mural.ly target: - utenti con abilità informatiche e web 2.0 - nessuna competenza grafica necessaria interfaccia: - complessa perché ricca, ma intuitiva - consigli introduttivi minimu su come iniziare a lavorare - metafora della bacheca su cui fissare concetti e promemoria

possibile costruzione di schemi liberi e relative presentazioni possibile constuzione di tabelle a partire da template (limitati) gestione elementi con drag & drop anche da siti diversi impossibile inserimento di link ipertestuali, foto, video possibile organizzazione gerarchica possibile uso delle variabili visive (tra quelle predefinite) personalizzazione grafica degli artefatti limitata dai theme modifica delle azioni precedenti sempre possibile impossibile il salvataggio non automatico possibile organizzazione tematica della propria galleria permessa condivisione sui social network e sulla piattaforma permessa progettazione collaborativa, commenti e chat

utiliy > help > notifications > account

home condividi sul web

add chart > bar / column > pie > lines > area > scatter / bubble > pictorial > hierarchy > table > progress > wordcloud /treemap > financial

profile

home > create > themes > library > pro ($)

tools > text > title > text box > sticky notes > shapes > stickers > solid > full color > layout > business canvas > grid > calendar > ... > background

navigator

add map add text > headline > chart name > quote > bodytext > fact & figure > timer

library

content > mobile inbox > web content > image > documents (G.Drive) > Evernote

add photo add video (Vimeo o Youtube)

show > show

help

home > rooms > my mural > owned by others > murals > my mural > create new

pulsanti controllo interattività

preview setting > theme > style (colore) > width > share buttons > other

canvas > text > chart > map > photo /video > share buttons

gestione aggregati

mural properties > action > duplicate > move to... > archive > delete > mural name > send notification

collaborators > add comment > invite collaborators > online collaborators > outline > activity > chat

salvataggio automatico

INTERFACCIA

INTERFACCIA

ARTEFATTO SINSEMICO

ARTEFATTO SINSEMICO

sistema di riferimento

sistema di riferimento

mural manager > share > link > embed > download as... ($) > people > setting

titolo

elementi

archi di relazione (assenti)

contenuto extra (link, share buttons, ...)

contenuto extra (link, commenti, ...)

titolo

elementi

archi di relazione (assenti)

strumento non dedicato all’infografica e adatto alla sinsemia

strumento dedicato all’infografica

interattività nella scelta delle info da consultare (metafora dei fogli)

canvas verticale (mobile compatible)

tipologia di dati: quantitativi

impossibile di affiancare gli elementi (solo in successione)

unica tipologia non quantitativa: wordcloud

tipologia di informazioni: libera impossibile il download dell’artefatto se non tramite account pro ($)

disposizione libera degli elementi canvas libero e illimitato limitata scelta nei layout (sistemi di riferimento)

possibile creare presentazioni

scelta delle dimensioni del canvas: solo orizzontale

ampia possibilità di scelta nei diagrammi (sistemi di riferimento cartesiani)

limitate scelte grafico-stilistiche

salvataggio automatico nella libreria personale possibili successive modifiche delle azioni (dati, temi, layout, ...)

impossibile effettuare scelte grafico-stilistiche

impossibile il download dell’artefatto se non tramite account pro possibile solo condivisione tramite social network con free account account pro molto più completo

impossibile assegnare variabili visive (p.e. dimensione, posizione) impossibile inserire elementi non previsti dal template

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possibilità limitata di assegnare variabili visive (p.e. dimensione, posizione) facile gestione delle gerarchie tra elementi (p.e. dimensione, posizione, sovrapposizione)

progettazione collaborativa salvataggio automatico nella libreria personale impossibile salvataggio manuale possibili successive modifiche delle azioni (dati, temi, layout, ...)

possibile inserire elementi non previsti dal template

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Capitolo 6

S-I-N design pattern come una possibile applicazione

6.3. Nome del software e strutturazione dei moduli S-I-N – System for Information Notation – è composto di tre moduli principali denominati per semplicità M1, M2, M3: ∙∙ M1 – produzione di testi: gli artefatti sinsemici, pur trattando testi liberi da vincoli di sequenzialità tipografica, non prescindono e non escludono il testo lineare, che resta, inoltre, la modalità consuetudinaria per l’introduzione di contenuti, ∙∙ M2 – produzione di grafica sinsemica e di tabelle: in cui è raccolto il repertorio degli strumenti per la produzione di informazioni grafiche e delle utilità procedurali e operative di individuazione, aggregazione/associazione per assimilazione dei loro elementi qualitativi, (attributi di forma e grandezza), gestione di elementi/dati quantitativi per la loro classificazione gerarchica (attributi di grandezza e valore), per la definizione del sistema di riferimento spaziale (attributi di posizione e orientamento), per l’assegnazione a ciascun elemento compositivo dell’artefatto di variabili visive (attributi di colore, grana o texture) ∙∙ M3 – tools – consiste in un repertorio di collegamenti ad applicativi esterni, a facilities grafiche, a siti utili, piattaforme social, a filtri di importazione file prodotti con altri programmi e altre utilità, a filtri per l’esportazione e la conversione in formato file di uso e portabilità generali. In altre parole, il modulo rappresenta il collegamento al mondo digitale globale e il ponte ideale attraverso il quale si dovrebbe sviluppare la comunità SIN. Considerata la caratteristica di software general purpose e le differenze tecnico-culturali dei potenziali utilizzatori, l’interfaccia non può che essere user friendly, quindi, manterrà tratti peculiari classici dell’ambiente Windows, diventato ormai, uno standard di produzione degli applicativi. Il programma girerà in una finestra che conterrà oltre alle barre del titolo e dei menù, le icone degli strumenti di uso comune nei tre moduli (icone di salvataggio, di stampa, di ricerca, di sostituzione, di annullamento e di ripristino ultime operazioni, taglia, copia e incolla, visualizzazione caratteri non stampabili). Nella parte inferiore e laterale destra della finestra compaiono le barre di scorrimento, mentre, lungo il bordo superiore e laterale sinistro ci sono gli indispensabili righelli graduati, che oltre ad avere la naturale funzione di orientamento spaziale e di misurazione, hanno la caratteristica peculiare di essere i “regolatori della risoluzione nell’area di lavoro”. Inoltre, data la vocazione specialistica dell’applicativo, orientata alla produzione di sinsemie e riprendendo una citazione di Perondi, in cui l’autore sostiene: «gli strumenti informatici, se da un lato permettono una democratizzazione della produzione tipografica, dall’altro vincolano la scrittura entro rigidi binari. Chi ha provato a organizzare i propri appunti con un programma di scrittura per computer, si è reso conto che gli era impossibile disegnare rapidamente schemi e tabelle, a meno di seguire formati preconfezionati. La scrittura tipografica è diventata un indefinito allineamento di lettere a cui viene applicato a posteriori uno schema»2, è stata prevista l’introduzione di icone appropriate per la selezione degli strumenti di input alternativi alla tastiera e al mouse (penna digitale, tavoletta grafica, scanner, webcam, macchina fotografica), 2 Perondi, op. cit. 130

immaginando che può risultare utile, per esempio, utilizzare una “penna digitale” su di un monitor “touch screen” o su una tavoletta grafica, per produrre manualmente oggetti testuali o grafici e tabelle, proprio come dice l’autore innanzi citato, “ … a mo’ di appunti o disegnati rapidamente...”, salvo poi, mediante opportuni filtri, scegliere se convertirli in forme predefinite o in caratteri o lasciarli inalterati nell’artefatto. L’accesso ai moduli (M1, M2, M3) avviene mediante tre tag, la cui selezione permette di accedere alle specifiche aree di lavoro (M1, M2) e alle relative barre degli strumenti. La tag del terzo modulo (M3), in particolare, da l’accesso alla lista delle utility e dei link esterni.

6.4. Funzionalità specifiche del modulo M1 Sono quelle normalmente previste nei software di videoscrittura e di produzione di testi, ma limitatamente alla formattazione dei caratteri, dei paragrafi e alla definizione del layout di pagina. La peculiarità di questo modulo, resta comunque quella di avere un’area di lavoro in cui i singoli caratteri di una parola o le singole parole di una proposizione sono svincolati dall’allineamento rettilineo, ovvero, liberi dalla costrizione della sequenzialità sul rigo di scrittura e dal sottostare alla posizione di riga fissata dall’interlinea. In altre parole, il testo scorrerebbe in modo seriale ma non necessariamente lineare e ogni carattere occuperebbe una posizione identificata da coordinate cartesiane la cui scala di posizionamento dipenderà dalle scelte dell’utente, il quale regolerà la risoluzione delle scale “x,y”, come già accennato dai righelli orizzontale e verticale. Una simile scelta permetterà per esempio di scrivere parole e frasi disposte in forma sinusoidale, circolare o a spirale o in qualunque altra posizione spaziale, tradotte cioè, in forma sinsemica

6.5. Funzionalità specifiche del modulo M2 Anche in questo modulo si fa riferimento alle normali funzionalità delle applicazioni di grafica e di gestione delle immagini più diffuse e conosciute: accesso alle librerie di icone, forme, immagini e foto, clipart, linee e frecce, callout; assegnazione agli oggetti di bordi, sfondi, effetti 2D e 3D, effetti lente, ombre; strumenti di selezione di aree particolari e dettagli di immagini, foto, mappe; generazione di pulsanti di spunta e selezione, tendine a scorrimento, caselle di selezione; per ogni singolo oggetto è prevista la possibilità di modificarne la dimensione, l’orientamento ed posizionamento nello spazio di lavoro. Anche in questo caso, la posizione è gestita mediante coordinate cartesiane dipendenti dalla risoluzione fissata attraverso i righelli; a maggiore risoluzione corrisponderà maggiore precisione nella collocazione degli oggetti. Restano comunque escluse le utility più sofisticate proprie dei programmi “verticali” che possono essere gestite utilizzando i programmi esterni (dal modulo M3). Simile scelta è dettata dalla finalità progettuale di semplificare l’usabilità del programma. Particolare attenzione, invece, è data alla gestione dei colori, delle texture, delle forme perché come più volte ribadito, non hanno valenza estetica, ma devono corrispondere agli attributi sinsemici, poiché, dal loro utilizzo dipende il rispetto dei requisiti di coerenza 131


Capitolo 6

S-I-N design pattern come una possibile applicazione

dell’artefatto in lavorazione. Perciò, la gamma dei colori, delle tonalità e della luminosità sono state immaginate distinguibili in un numero limitato livelli, predefinibili in fase di progettazione dell’artefatto, piuttosto che in sfumature, nel rispetto delle regole fissate per le “visive di macchia”, Anche in questo modulo è prevista la modalità del disegno a mano libera (con pennetta digitale, mouse, su tavoletta grafica o su touch screen) che grazie a specifici tool conversione, potranno essere trasformati in disegni e forme geometrici regolari o restare tali e quali.

6.8. Simulazione funzionamento del software La simulazione del concept del software prevede la progettazione di un artefatto con metodologia sinsemica guidata dal software stesso. Nello specifico si è deciso di riconfigurare lo schema della "Teoria degli attanti" di una narrazione elaborata dal semiologo Algirdas Julien Greimas.

Lo stesso discorso vale per l’Inserimento tabelle e la realizzazione grafici, i comandi, le utilità e le opzioni restano quelle dei più noto programmi di videoscrittura, ma rispetto a questi ultimi hanno la caratteristica: di poter essere spostati/posizionati liberamente nello spazio di lavoro, le tabelle in particolare possono essere disegnate manualmente ed eventualmente convertite o lasciate tali e quali. Anche in questo caso, sia per i grafici che per le tabelle la gestione dei colori è vincolata dalle regole delle variabili “visive di macchia”.

6.6. Funzionalità specifiche del modulo M3 In questo modulo sono state previste quattro sezioni: la prima raccoglie tutte le facilities e i comandi per svolgere quelle operazioni che altrimenti risulterebbero ripetitive, se fatte manualmente. In particolare utilità per l’allineamento e il dimensionamento contemporaneo degli oggetti, il raggruppamento o la separazione di gruppi di oggetti (con possibilità di raggruppare anche aree occupate da testo libero e con oggetti grafici), l’attribuzione simultanea di medesimi livelli a più oggetti (per assegnare loro attributi sinsemici); la seconda raggruppa i filtri per l’importazione di file proprietari di altri software di grafica (i più significativi, per esempio: Corel Draw, Adobe Illustrator, Dreamweaver, Adobe Photoshop, Paint Shop Pro); La terza sezione (per sopperire all’assenza voluta, di funzionalità proprie e specifiche dei software verticali), propone collegamenti ai programmi esterni di grafica e per la produzione di mappe concettuali, che per coerenza con la filosofia progettuale dell’applicativo sono freeware, (a titolo esemplificativo se ne citano alcuni: CMAP – per la gestione delle mappe logiche -, The Gimp, Pixia, PhotoFiltre, Photo Plus, Paint.net, Sodipodi, Xara, Inkscape); la quarta sezione, in fine, cataloga i principali siti di interesse e il collegamento a piattaforme social, per rendere il programma aperto al mondo digitale e creare i presupposti per far nascere la comunità SIN.

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1. Apro un nuovo documento; creo a uno a uno gli elementi, attribuisco a ciascuno di essi un nome; li raggruppo per aggregati di elementi;

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Capitolo 6

S-I-N design pattern come una possibile applicazione

2. creato un aggragato, assegno un nome a questo e a tutti quelli che creo (A, B, C, D, E,...); assegno ciascun aggrgato a un livello gerarchico (1, 2, 3,...);

4. determinata la gerarchia dei livelli, stabilisco le relazioni tra gli elementi;

3. creo un'anteprima di visualizzazione nella quale tutti gli elementi sono temporaneamente sprovvisti di qualsiasi attributo grafico;

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Capitolo 6

S-I-N design pattern come una possibile applicazione

5. attribuisco le variabili visive di macchia a ciascun elemento che, in questo modo, appare visibile; attribuisco le variabili visive anche ai meta elementi (archi e frecce,...);

6. assegno un sistema di riferimento ad assi e gli attribuisco delle proprietĂ ; stabilisco la disposizione degli elementi in base al sistema di riferimento;

7. salvo il risultato ottenuto.

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Capitolo 7. Conclusioni

Obiettivo prioritario di questo lavoro di tesi, come anticipato precedentemente, era secondo il progetto iniziale quello di fornire un punto di partenza per la formulazione di una metodologia utile al designer per progettare artefatti informativi e, ormai, ambienti informativi concepiti con una consapevolezza profonda di come comunicare in maniera efficace e immediata. Il guazzabuglio di conoscenze che ruotano alla professione del graphic designer e dell’editorial designer hanno subito una prima sistematizzazione, quella proposta dalla presente tesi, che ha originato una proposta metodologica che, seppur ancora in fase embrionale, pone le basi per successive implementazioni di un importante strumento guida al servizio dell’autore di testi non-lineari, come sono stati chiamati fin qui. L’aver omesso, di proposito, la precisa definizione della figura dell’autore di questo tipo di testi lascia ampiamente aperta la possibilità di includere anche l’utente comune, senza specifiche competenze informatiche e grafiche: la metodologia sinsemica si propone, così, come uno strumento “universale” che renda capace chiunque abbia la necessità di comunicare attraverso una visualizzazione grafica concetti che, in alternativa, potrebbe solo descrivere tramite testi lineari. Questo risultato infine ha visto, descritta nel capitolo 6, una possibile applicazione nella teorizzazione di un software per la progettazione guidata di mappe, schemi e visualizzazioni elementari, tramite quei principi considerati imprescindibili per la metodologia sinsemica come, per esempio, l’articolazione nelle quattro fasi fondamentali della costruzione dell’artefatto. Ma nell’articolazione del discorso che ha portato a queste conclusioni, toccando differenti ambiti disciplinari contigui a quello centrale della comunicazione visiva, sono emerse alcune questioni collaterali ai temi in evidenza, che sono risultate di enorme rilevanza al fine di rendere completa la visione del problema della “progettazione sinsemica”. Queste ruotano attorno a tre concetti principali: 1. il designer; 2. la metodologia; 3. il lettore.

7.1 La figura del designer tra illustratore e autore di contenuti Lo sviluppo tecnologico dei new media e la conseguente rivoluzione nell’economia dell’informazione hanno profondamente influenzato e cambiato in innumerevoli modi 138

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Conclusioni

Capitolo 7

le pratiche legate alla comunicazione visiva e, di conseguenza, ruoli della disciplina e dei professionisti che quotidianamente lavorano linguaggi non “tradizionali” e non-lineari: prodotti editoriali di nuova generazione, visualizzazioni di vario genere, siti web, interfacce per dispositivi digitali, e altre tipologie di artefatti informativi di uso quotidiano, sono il risultato del lavoro di squadre molto eterogenee di professionisti al servizio del prodotto finale. In questi contesti il design e, nello specifico, il design della comunicazione si conferma un ambito professionale che integra tra loro linguaggi e approcci disciplinari differenti tra loro in una competenza visuale “multi dimensionale e ibrida”1. In altre parole, affermare che il designer all’interno di un gruppo di lavoro mette la propria esperienza al servizio di una collaborazione interdisciplinare con figure come atropologi, programmatori di software, scienziati, ingegneri, architetti e altri, non è solo occasione di celebrazione del ruolo del designer in un contesto economico consumistico in cui tutto ciò che viene paragonato al design attrae il consumatore. La centralità della figura del designer, infatti, trova un senso a due diversi livelli. Innanzitutto la multidisciplinarietà del design si traduce nella pratica nella consuetudine a svolgere all’interno della squadra incarichi spesso diversi tra loro e che dimostrano competenze differenziate: il designer, confuso con il disegnatore, l’illustratore, per motivi non solo legati all’erronea traduzione del termine anglosassone, si trova ad essere egli stesso autore, ideatore, promotore, ricercatore del testo stesso. Ma a un livello di responsabilità più ampio la figura del designer è simile a quella di una guida che, possedendo il know-how per navigare in campi tematici e problematici di diverso genere, è in grado di porsi al centro del crocevia tra le varie competenze che partecipano al lavoro di squadra. Il designer è innanzitutto un “organizer”: sostenuto dal proprio bagaglio culturale, dalle proprie abilità comunicative, e dall’integrità professionale, il designer si rende capace di indirizzare il progetto verso la ricerca di soluzioni logiche e estetiche tramite l’uso più adeguato di tecniche e strumenti2. E ciò avviene non perché il designer sia un genio, ma perché abituato a processi di progettazioni basati sull’uso del metodo.

7.2. La metodologia sinsemica e la sua progettazione Tra le numerose competenze del designer sopracitate, oggi come ieri, appare di enorme valore una certa attenzione non esclusiva per la progettazione di prodotti, che siano materiali o virtuali (oggetti, ambienti, servizi o comunicazione), ma che comprenda anche la pianificazione del processo di produzione e di progettazione stessa del prodotto. In linea con questo pensiero potremmo indicare come scopo del design, parallelamente alla risoluzione dei problemi, anche la proposta di metodi per la risoluzione di quegli stessi problemi: metodi che, partendo dalle particolari pratiche quotidiane del progetto, astraggono fino a diventare casi esemplari per la progettazione in un senso lato. Il presente lavoro di dottorato è, per l’appunto, un lavoro di questo tipo: da pratiche ormai 1 Franchi, op. cit.

consolidate ma senza un’organica metodologia, si estrapolano dei concetti guida e si tenta di formulare una teoria. Ed è proprio al designer che viene affidata la progettazione di questa metodologia poiché figura di mediazione tra vari ambiti disciplinari, e per la sua propensione alla ricerca di un metodo, dal momento che è sul metodo che si basa la progettazione stessa.

7.3. La fruizione, il lettore, l’educazione alla lettura La questione della capacità frutiva del lettore, cioè l’insieme delle caratteristiche che consentono al soggetto di fruire dell’unità comunicativa elaborata3, in relazione al contesto descritto in questo lavoro di ricerca, come più volte dichiarato, appare come un tema piuttosto delicato e rappresenta uno spunto di riflessione molto interessante. Più volte si è fatto riferimento a delle nuove modalità di lettura originatesi con la diffusione delle tecnologie digitali; si è parlato di parcellizzazione, di “atomizzazione” delle esperienze di lettura e di come le occasioni di fruizione di informazioni e di conoscenza non si siano solo banalmente ridotte nel tempo e nella durata. È vero che la richiesta di informazioni in questo contesto si sia trasformata e che la lettura pedissequa e silenziosa di lunghi testi stia man mano perdendo pubblico, ma è allo stesso modo vero che le informazioni richieste sono più puntuali e, spesso, anche più approfondite. Ciò che emerge è che il lettore comune non punta esclusivamente alla velocità di aggiornamento, come banalmente si potrebbe affermare, ma piuttosto alla qualità delle informazioni ricevute tramite giornali, libri, aggregatori e altre forme di diffusione della conoscenza. Nello specifico della cultura testuale non-lineare emergente, però si manifesta maggiormente la necessità da parte del lettore di una più adeguata competenza nell’interazione con gli artefatti comunicativi visuali. In sostanza, nonostante il linguaggio visuale sia stato definito, in questo testo e in molti altri testi ben più autorevoli, come un linguaggio potenzialmente universale, è bene ammettere che la possibilità di fruire al meglio delle potenzialità di diagrammi, schemi, visualizzazioni e infografiche, è ancora intaccata dal una scarsa capacità di leggere questa tipologia di testi soprattutto nella loro forma più elaborata. È ovvio che chiunque sia in grado di distinguere con meno difficoltà la toilette maschile da quella femminile se segnalate dalle opportune icone di riferimento, rispetto al caso in cui all’entrata sia riportata la scritta “uomini” o “donne”, soprattutto se il soggetto si trova all’estero e non conosce la lingua locale o, magari, ha una difficoltà più generica nella lettura delle parole. Diverso è il caso in cui il lettore trova di fronte a sè una mappa concettuale in un libro oppure un’infografica in una pagina di giornale. Per questo motivo, nella ricerca condotta, più volte si è fatto riferimento alla necessità di configurare una modalità attraverso la quale educare il pubblico alla lettura di testi non-lineari al fine di abituarlo a un approccio più consapevole a questo tipo di artefatti comunicativi e, perché no, diventarne esso stesso autore nel quotidiano. Una reale e profonda democratizzazione della conoscenza, insomma, non passa solo attraverso l’allargamento delle possibilità di accesso agli strumenti, ma anche, e sopratutto, attraverso l’educazione alla lettura e all’elaborazione critica. 3  Romei L. (2015), Progettare la comunicazione, Stampa alternativa

2  Munari B. (1966), Arte come mestiere, Laterza 140

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