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EDITORIALE
Cari amici del calcio d'Oltremanica, Raggiungiamo il numero 11 del nostro giornale, 11 come la regola fondamentale del calcio, i giocatori in campo. Come al solito ci proponiamo di amalgamare al meglio possibile gli “ingredienti” che il football made in UK ci propone. Centocinquanta anni a disposizione sono decisamente un archivio più che sufficiente, e da tale memorabilia questo mese abbiamo deciso di dedicare la copertina ai bianconeri del Tyneside, il Newcastle che vince a Wembley la FA Cup, con il suo carico di storia e di protagonisti, dei quali parliamo approfonditamente con un occhio anche sulla città dei Magpies. Abbiamo recentemente appreso del saluto del santone scozzese Alex Ferguson, e in questo numero ci occupiamo anche di un personaggio che lo ricorda da vicino: il manager irlandese Pat Davlin. Da non perdere, per chi simpatizza Toffees, il focus sul giocatore “old” di questo mese, che è Dixie Dean, tanto importante per l’Everton da meritarsi una statua fuori Goodison Park. Voleremo poi a Glasgow, per quanto riguarda il capitolo viaggi, e avremo un interessante e grazioso impianto irlandese da mostrarvi per quanto riguarda gli stadi. Last but not least, vi sarete accorti di una novità colorata in copertina, ossia un nuovo logo per l’intestazione della fanzine. Mi sembrava opportuno dare più colore e un tocco esplicitamente britannico al tutto.
Suvvia stampate e distendetevi sul divano o all’aperto (tempo permettendo…) a gustarvi questo nuovo numero. Buona lettura
BritishStyle
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INDICE
p. 4 p. 9 p. 11 p. 14 p. 16 p. 20 -
UNA PINTA DI NEWCASTLE DIXIE DEAN, UN NOME UNA LEGGENDA LA STORIA DI PAT DAVLIN STADI: TERRYLAND PARK VIAGGI NELLE ISOLE BRITANNICHE: GLASGOW LIBRI: THE DAMNED UNITED
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UNA PINTA DI NEWCASTLE Partiamo con una curiosità. A Newcastle quando i mariti volevano uscire di casa la sera e farsi una bevuta al pub con gli amici, pare dicessero alla moglie: “I'am going to take the dog for a walk” (vado a portare a spasso il cane..). Questo perché in questa zona, la Brown Ale è chiamata familiarmente “dog”. Si tratta di una delle birre più bevute in Inghilterra; una sorta di cult, sopratutto tra i più giovani. La prima fu la Newcastle Brown: elegante, leggera, meno alcolica, termine di paragone da cui giudicare le discendenti. Figlie maliziose, scure e pastose, che tramano contro il trono, senza però minacciarne l'autorità. A lanciare il prodotto nel 1927 un birraio dal nome premonitore. Colonel Porter. La bottiglia poi è diventata un icona. Una stella nel marchio che incornicia una veduta del New Bridge, sul fiume Tyne. Newcastle Upon Tyne. Contea di Tyne and Wear. Ai piedi della Scozia, nel profondo nord inglese. Più nera di Manchester e scolpita nel carbone. Almeno secondo le parole di J.B. Priestley, commediografo e scrittore inglese dei primi del Novecento. Qui scorre copioso il famoso spirito Geordie. Gente dal linguaggio duro, pieno di vocaboli sconcertanti, ma dal carattere simpatico e accogliente. Qui è stato costruito il primo ponte ferroviario del mondo, dietro cui nei secoli scorsi spuntavano i cantieri navali più vecchi d’Inghilterra. Tante fabbriche e una selva di ciminiere che oscuravano il cielo con una fitta coltre di nebbia e fuliggine. Newcastle è stata a lungo uno dei centri industriali più prolifici ma anche socialmente più deprimenti dell' intera Gran Bretagna. Una piccola città operaia di duecentomila abitanti, con una sola vera ragione d’orgoglio: il Newcastle United. La squadra di calcio locale, le cui maglie bianco-nere hanno conquistato titoli nazionali e coppe in anni lontani, creando il mito di un club simile al panorama urbano circostante: tenace, privo di fronzoli, essenziale. Scolpito anche quello nel carbone. Come la città. Ma attenzione, oggi Newcastle, non è più una città sporca di fuliggine, non è più un luogo privo di interesse. Il fascino se lo è guadagnato. Le vecchie fabbriche e le loro ciminiere sono sparite, i vecchi ponti sul Tyne modernizzati con l’aiuto di celebri architetti di fama internazionale. Nel Quayside, sono stati restaurati i cantieri navali in disuso e trasformati in vivaci quartieri pieni di, caffè, ristoranti, musei, e locali-notturni. E soprattutto se alzate gli occhi al cielo, probabilmente lo troverete grigio, un solido lenzuolo grigio steso da orizzonte a orizzonte, ma per lo meno libero da tutti quei gas nocivi che 4
avvelenavano l'aria e i polmoni di intere generazioni. Ma torniamo al Newcastle F.C., torniamo innanzitutto al St. James's Park, pochi passi dalla stazione ferroviaria. Lo stadio fu inaugurato nel 1880. Chiamato "Paradiso" o "Il castello", oggi dopo le ultime ristrutturazioni e ampliamenti, a causa della forte pendenza delle tribune, le ultime file di posti sembra possano provocare nausea da vertigine, effetto dal quale deriva il terzo soprannome dello stadio: "Vertigo". Ho voluto deliberatamente parlare dello stadio, prima che del club e della sua fondazione perché nell'ultimo periodo è stato oggetto di numerose polemiche e diatribe. St. James's Park è cuore e anima del tifo magpies. Qui ruggisce la Toon Army, qui il Newcastle ha costruito la sua fama. E qui in modo particolare i tifosi considerano la propria squadra un bene intangibile, e non un legame sacrificabile agli interessi dei gruppi imprenditoriali che la possiedono. Quando il Newcastle scese in Championship qualche anno fa a fronte di un anno complicatissimo, la tifoseria si è trovata a lottare contro una proprietà ottusa e incapace, assolutamente inconsapevole della storia del sodalizio, e ha deciso di lanciare una campagna per l'acquisto del club da parte dei sostenitori, attraverso il loro Trust, il NUST. In questo modo hanno voluto caparbiamente far sentire la loro voce, pronti ad impegnarsi, economicamente, per sostenere questa squadra, la loro passione. Un movimento dal basso che restituisca il football a chi ne detiene la passione, mosso solamente dall'amore e dal rispetto per i propri colori, e non da frustrazioni da sfogare o potere da esercitare il sabato pomeriggio. La prova che questo movimento faceva bene a essere scettico sulla nuova proprietà è stata confermata allorché il patron Mike Ashley ha deciso di ribattezzare lo stadio Sports Direct Arena. Un insulto. Inaccettabile. Ma alla fine la società per problemi di debiti ha ceduto i diritti del nome. In attesa di recuperarlo. Almeno questo è quello auspicato dal NUST che in ogni caso mai e poi mai accetterà e pronuncerà quelle tre parole. Le origini del Newcastle United Football Club risalgono alla seconda metà del XIX secolo, e precisamente da due squadre locali, Newcastle Est End (Stanley & Rosewood) e Newcastle West End. Situate come si evince dal nome ai lati opposti della città, queste due squadre di pionieri si svilupparono inizialmente come umili formazioni di cricket durante i primi anni del 1880. Si creò anche una discreta rivalità tra le due fazioni per un certo numero di anni, ma alla fine del 1892 l’Est End diventò il club di maggiore spicco. Il West End si scontrò con problemi finanziari e gli Est Enders ne approfittarono muovendosi attraverso la città e andando a assorbire il West End e a “occupare”, il St James's Park. Cambiarono il nome in Newcastle United e cambiarono il colore delle maglie da biancorosso (tinta sportiva abbastanza tipica in questa zona d'Inghilterra) alle famose strisce verticali bianche e nere. Da allora a differenza di molte altre compagini, il Newcastle ha ininterrottamente vestito il bianconero. Esattamente dal 2 agosto 1894. Piuttosto misteriosa pare rimanga la scelta di questi nuovi colori. Sull’argomento si sono aperti numerosi tavoli di discussione, magari qualcuno anche nel celebre “Strawberry”, pub di culto proprio sotto lo stadio. Dove la Brown Ale è di casa insieme ad un ottimo fish and chips. Pavimento a scacchi bianconeri, sedie retrò, qualche divanetto, e quadri appesi alle pareti in legno che raccontano la storia del Newcastle. Ci sono molte congetture sulla faccenda dei colori come dicevamo, ma nessun riscontro ufficiale sui registri del club. Ovvio che tutto ciò lascia spazio alla leggenda avvolgendola in un alone di mistero e suggestione. Una delle teorie più gettonate ruota intorno a un certo Dalmatius Houtmann, un religioso olandese del monastero dei Frati Neri, a due passi dal St. James's Park. Padre Dalmatius è un sostenitore delle gazze nonché buon frequentatore del sodalizio, secondo alcuni nel momento di cercare un nuovo assetto cromatico alle divise del club si pensò a lui in segno di devozione e rispetto per il bianco e nero 5
dell’abito talare. Un altra versione non meno affascinante prende spunto da un paio di gazze che avevano fatto il nido nel vecchio Victorian Stand. La tradizione vuole che i giocatori del Newcastle si affezionarono così tanto alla loro presenza da riprenderne i colori per le nuove maglie e auto battezzarsi Magpies. Ma la versione più accreditata dagli appassionati della materia è però di genesi storica, e affonda le radici nella Guerra Civile che insanguinò l’Inghilterra del XVII secolo. All’epoca le regioni del Tyneside e del Northumberland erano sotto l’influenza di William Cavendish, duca di Newcastle ed erede di una famiglia di consolidata nobiltà. Nella zona i Cavendish possedevano terre e castelli. Un rapporto che forse portò lo stemma bianco e nero del casato a sposarsi duecento anni dopo con il Newcastle Football Club. Nel 1888 il club rifiuterà di prendere parte alla Football League, ma nel 1893 si iscriverà alla Second Division. Con l'arrivo dal Dundee di Frank Watt, i bianconeri iniziano ad emergere raggiungendo la First Divison. Nel 1905 il primo grande successo, il Newcastle United vince il campionato e raggiunge la finale di FA Cup: è il segnale che i bianconeri sono entrati a far parte del novero delle grandi d'Inghilterra. La coppa scappa anche nel 1906, persa 1-0 contro l'Everton, ma nel 1907 è di nuovo campione nazionale grazie anche al pieno di vittorie ottenuto nelle gare casalinghe. Per la coppa non c'è niente da fare sfuggirà di nuovo: terza finale e terza sconfitta. Il Wolverhampton vince 3-1. Si rifaranno presto conquistando nel 1909 il terzo titolo in cinque anni, nonostante la famosa sconfitta interna (1-9) contro gli odiati rivali del Sunderland. Il 1910 vede finalmente arrivare la coppa, alla quarta finale in sei anni i bianconeri riescono a trionfare. Poi si dovrà aspettare il 1924 prima di rivedere un trofeo ornare la bacheca del Newcastle United: 2-0 all'Aston Villa. La seconda finale giocata a Wembley dopo quella d'esordio nell'impianto del 1923. L'anno successivo arriva Hughie Gallacher. Un attaccante proveniente dagli scozzesi dell'Airdrie. Punta veloce dalla grande accelerazione e dal tiro fulminante. Con le sue caratteristiche riuscirà ad adattarsi al meglio alla nuova regola sul fuorigioco che prevedeva due difensori per determinarne l'attuazione. In cinque stagioni segnerà la bellezza di 160 reti portando nel 1926-27 il quarto titolo inglese. Gallacher scenderà a Londra, e nel 1932 il Newcastle se lo troverà contro con la maglia del Chelsea, una delle vittime sulla strada della terza FA Cup per i bianconeri. L'ultimo sussulto prima di un periodo buio dal quale la squadra si riprenderà solo dopo la Seconda Guerra Mondiale grazie a giocatori come Milburn (zio paterno di Bobby Charlton), Robledo, Mitchell e Brennan. John Edward Thompson "Jackie" Milburn, cresce nella cittadina mineraria di Ashington, nel Northumberland , 15 km a nord di Newcastle. Per i fan divenne noto anche come "Wor Jackie" in 6
riferimento alla sua fama mondiale, ("Wor" in dialetto geordie significa "nostro.."). Rimarrà il secondo capocannoniere di tutti i tempi di questo club, con un totale di 200 gol. Celebre il suo arrivo da ragazzo al St James's Park per i provini con un paio di scarpe da calcio prese in prestito avvolte in carta marrone, e il suo pranzo, fatto di un pezzo di torta e una gazzosa. Nel 1951, '52 e '55 arrivano altre tre coppe d'Inghilterra, ma dopo questi autentici lampi di gloria nel 1962 arriva la retrocessione in seconda divisione. Dopo che nel 1965 si festeggiò il nuovo ritorno nella massima serie, nel '68-69 ecco l'unica grande affermazione internazionale con la Coppa delle Fiere. Stella di quella squadra è il centrocampista Bob Moncur. Nato in Scozia a Perth nel 1945 sarà difensore e idolo assoluto delle folle di St. James's in quel periodo, e segnerà ben due goal nella finale del 1969 contro gli ungheresi dell'Ujpest. Ma da quel momento a oggi sono stati più gli uomini che le vittorie a fare la storia del Newcastle. Tre nomi agitano i miei ricordi, Malcom "SuperMac" MacDonald, Alan Shearer e Peter Beardsley.
McDonald arriva nel maggio del 1971 per 180 mila sterline, autentica cifra record per questo club. Nel Tyneside, diventò rapidamente l’idolo più grande dai tempi di Jackie Milburn. Forte, potente un autentico trascinatore, segnerà un totale di 138 gol in 258 presenze. Quando i Magpies raggiunsero la finale di FA Cup, nel 1974 (poi persa contro il Liverpool..), andò a rete in tutti i turni della competizione, e l’anno seguente eguagliò il record realizzativo individuale con l’Inghilterra infilando una cinquina al malcapitati undici di Cipro. L’intera città restò sbigottita, nell’agosto del 1976 quando per 333.333 sterline, lasciò St James’s Park per approdare ai londinesi dell’ Arsenal. Alan è il “local boy” uno di Gosforth, un sobborgo cittadino. Lo sguardo da duro, da "northern england", e un esultanza col braccio alzato che lo ha reso famoso al pari delle reti realizzate. Un bottino di 148 centri in dieci anni. All'ombra di queste icone vive il ricordo di un giocatore dalle pregevoli doti tecniche, che ha vinto tanto ma non con la maglia bianconera a dire la verità. Lo abbiamo già accennato. Beardsley. Faccia da bravo ragazzo dietro sorrisi malinconici. Uno di quelli che probabilmente in carriera non ha ricevuto il tributo che meritava. Peter nasce a Longbenton ed e' un prodotto del famigerato Wallsend Boys Club. Dopo brevi periodi col Carlisle, in Canada e col Manchester United, all'eta' di 21 anni (siamo nel 1983) viene acquistato dal Newcastle (a quel tempo in seconda divisione) per 150,000 sterline. Riuscì subito a dimostrare tutto il suo valore, segnando 61 gol in 4 stagioni che gli valsero la convocazione al campionato del mondo messicano del 1986 in cui segnò anche un gol, contro il Paraguay. Giocava al fianco di un certo Kevin Keegan e trascinerà la squadra alla promozione, mostrando già i colpi che lo renderanno famoso: passaggi taglia-difese, dribbling, tiro potente, e la predisposizione naturale a mettersi al servizio della squadra. Nel 1987 si trasferì al Liverpool per la cifra record di 1.9 milioni di sterline confermandosi goleador di razza, portandosi a casa campionati e coppe. Nel 1991, all'età di trent'anni, si trasferì all'altra squadra della mersey l'Everton, con cui rimase per due stagioni prima di tornare al Newcastle dove rimase sino al 1997. 7
Bisognerebbe menzionare un altro nome, uno che nel 1999 a Newcastle ha salvato la squadra da una retrocessione certa dopo gli scempi della gestione Gullit. Famoso resta il suo esordio sulla panchina delle gazze conclusosi con un 8-0 allo Sheffield Wednesday. Per questo ma non solo per questo oggi una statua di Bobby (la seconda in suo onore dopo quella di Ipswich) e' stata eretta qualche mese fa, a St. James's, nel punto dove era solito fare la coda per entrare allo stadio con suo padre quando era un giovane fan del club. Adesso l'imperativo per gli appassionati sostenitori del Newcastle è quello di tornare ai vertici, di riuscire a riportare nel museo un trofeo importante o forse, sopratutto, di riuscire a raccogliere i fondi necessari per l'acquisto della loro squadra. Ecco quella sarebbe la vittoria piÚ bella. Un giorno bellissimo. Come dice una canzone, uno di quei cinque o sei giorni per cui vale la pena vivere, il resto è solo contorno.
SirSimon
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DIXIE DEAN, UN NOME UNA LEGGENDA La storia di Dixie Dean è associata inevitabilmente alla serie di risultati conseguiti dai Toffees a cavallo tra gli anni 20 e 30,più precisamente dal 1928 al 1933. Dean contribuirà con i suoi gol al raggiungimento di 2 titoli inglesi,1 FA Cup e 2 Charity Shield e come detto al raggiungimento dello status di leggenda del club e del calcio di quell’epoca…ma partiamo dall’inizio. William Ralph Dean,detto Dixie nasce a Birkenhead,città inglese della penisola di Wirrall il 22 Gennaio 1907; le sue prime squadre furono la Laird Street School, la Moreton Bible Class,e la Heswell and Pensby United prima di passare all’età di 16 anni al Tranmere Rovers nell’autunno del 1923.Dixie fa il suo debutto nel 1924 realizzando 27 reti in 30 gare e lasciando intuire una grande confidenza con il gol,tanto da attirare l’ammirazione del club di Goodison Park,che decide poi di acquistarlo nel Marzo 1925 per la cifra di £ 3,000. Il suo debutto in maglia Everton risale al 21 Marzo 1925 ad Highbury contro l’Arsenal,per il suo primo sigillo bisognerà aspettare solo 7 giorni,infatti nella vittoria interna contro l’Aston Villa per 2-0 Dean sbloccherà l’equilibrio per il momentaneo 10,riuscendo poi a ripetersi nella sconfitta esterna sul campo del West Ham il 18 Aprile,chiudendo questo finale di campionato con 2 reti. Nella stagione successiva (1925-26) diventa il capocannoniere della squadra con 32 reti,impreziosite da quattro triplette (Burnley,Leeds e Newcastle sia all’andata che al ritorno) e due doppiette (Notts County e Sunderland).Nel suo libro “Who's Who of Everton”,Tony Mattews lo definì “Un immortale del calcio, potente, con un tiro di destro incredibilmente potente e una straordinaria capacità nel gioco aereo Dixie Dean fu, senza alcun dubbio, uno dei più grandi centrattacchi della sua epoca.” Prima dell’inizio della stagione 1926-27 si fratturò il cranio e la mascella a causa di un incidente motociclistico,dopo il quale i dottori sconsigliarono al giocatore di tornare a giocare temendo gli effetti negativi di una pallonata alla testa.Tutto ciò non ferma Dixie che salta le prime 13 giornate di campionato per rimettersi in sesto e poi, una volta tornato in campo riprende da dove aveva lasciato ovvero dal gol; alla fine della stagione saranno 23 (3 doppiette,4 reti contro il Sunderland).In quella stagione fece anche il suo esordio con la nazionale inglese; due gol nella prima contro il Galles,altri due contro la Scozia e due triplette contro Belgio e Lussemburgo. La stagione successiva (1927-28) segna la definitiva esplosione per il giocatore che mette a segno in campionato la cifra record di 60 gol in 39 partite e vince il suo primo titolo nazionale con i Blues; (5 gol contro il Man. Utd,4 contro il Burnley,5 triplette e 14 doppiette)…una vera e propria macchina da gol. Sir Matt Busby disse di lui: “Giocare contro Dixie Dean era allo stesso tempo un piacere ed un incubo. Era un perfetto esempio di atleta, meravigliosamente proporzionato, dotato di immensa forza, ancorato al terreno ma con straordinarie capacità nel gioco aereo. Per quanto lo tenessi d’occhio, il suo tempismo nello stacco era così incredibile che lui stava già ricadendo al suolo prima che ti ci potessi avvicinare, e colpiva la palla di testa con la stessa potenza e precisione con cui molti giocatori la calciano. Le difese andavano letteralmente nel panico ad ogni cross in area.. E, nonostante segnasse tantissimi goal di testa, era anche un giocatore altruista, 9
in quanto creava spesso e volentieri occasioni per i compagni di squadra. Al contrario dei grezzi e rigidi centro-attacchi della sua epoca, lui era incredibilmente elastico – e non riesco a pensare ad un centroattacco moderno che riesca a tenergli testa - ed era anche un grande uomo di sport.” L’anno dopo (1928-29) sono 26 gol in 29 presenze,ai quali va aggiunta la doppietta nella finale di Charity Shield vinta 2-0 contro il Blackburn. La stagione 1929-30 è quella più triste dall’arrivo di Dean visto che la squadra retrocede in Second Division nonostante le 23 reti in 25 presenze.L’anno seguente (1930-31) arriva l’immediato ritorno nella massima serie,e Dixie contribuisce con 39 gol in 37 presenze,andando a segno per 12 partite consecutive. L’anno seguente (1931-32) arriva il secondo titolo nazionale con i Toffees e il settimo titolo consecutivo di capocannoniere della squadra,45 gol in 38 partite; (5 reti allo Sheffield Wed.,5 al Chelsea,4 al Leicester,5 triplette e 3 doppiette).Altra chiamata in nazionale dove mette a segno un’altra rete,questa volta contro la Spagna; alla fine saranno 18 gol in 16 presenze con la maglia inglese. La stagione 1932-33 vede il club di Liverpool conquistare la Charity Shield e l’FA Cup,rispettivamente contro Newcastle (5-3 con 4 reti di Dean),e Man. City (3-0 Dean,Dunn,Stein i marcatori).In campionato sarà 11° posto con 24 gol di Dean. Nella stagione 1933-34 viene fermato da diversi problemi fisici e mette a segno 9 gol in 12 apparizioni. L’anno dopo (1934-35) segna 26 gol in 38 partite. Nella Stagione 1935-36 sono 17 gol su 29 presenze,24 su 36 nella stagione 1936-37 e 1 gol su 5 presenze nella sua ultima annata all’Everton (1937-38). Poi il trasferimento al Notts County (3 gol in 9 presenze),e infine lo Sligo Rovers (10 gol in 7 presenze).Altro "piccolo" record...non è mai stato ammonito o espulso. Dopo il suo ritiro gestisce un pub a Chester; scherzo del destino,muore il 1° Marzo 1980 all'interno di Goodison Park mentre assiste al derby Everton-Liverpool,colpito da un attacco cardiaco. Nel 2002 viene introdotto nella English Football Hall of Fame. In totale con la maglia dei Toffees tra campionato,FA Cup e Charity Shield realizza la bellezza di 383 gol in 433 presenze,di cui 19 reti nei derby contro il Liverpool divenendo appunto una leggenda dell’Everton e del calcio d‘oltremanica.
PaulMaiden88
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LA STORIA DI PAT DEVLIN, IL “SIR ALEX” DEL CALCIO IRLANDESE
Tutti conoscono la leggendaria carriera di Sir Alex Ferguson come manager del Manchester United. Molti conoscono l'avventura di Dario Gradi nel Crewe Alexandra. Nessuno, o comunque molti pochi, conoscono l'avventura di Pat Devlin nel Bray Wanderers, squadra attualmente in Premier Division Irlandese, ormai da 27 anni la seconda casa di questo manager, ma anche talent scout, direttore generale e non per ultimo allenatore dell'Irlanda B, un po' come l'Inghilterra C, la squadra nazionale della Non League Irlandese. Andiamo a conoscere meglio questo assoluto protagonista del calcio Irlandese. Nato nel 1950 a Sallynoggin, nell'area di Dun Laoghaire a sud di Dublino, Pat Devlin iniziaa giocare nei St.Josephs Boys, la squadra locale, oltre che una delle principali squadre giovanili dell'intera area dublinese. Con la squadra Under 17, di cui è capitano, vince la FAI Youth's Cup, la principale competizione di calcio giovanile in Irlanda. Iniziò curiosamente da portiere, ma dopo una partita contro il St.Bernard's in cui persero 0-10 e Sam Kelly, poi al Blackburn Rovers, segnò 8 goal, decise di cambiare ruolo per trasferirsi a centrocampo (questo avvenne a 13 anni). Nel 1970, a culmine della promettente carriera giovanile, arriva la convocazione con l'Under 21 Irlandese, in un'amichevole contro l'Irlanda del Nord, unica sua convocazione. La stagione dopo viene comprato dallo Shamrock Rovers, assieme ad altri 3 compagni del St.Josephs. Li però, una serie di incomprensioni con l'allenatore lo relegarono presto nella squadra riserva, e alla fine della stagione decise di abbandonare non solo i Rovers, ma anche il calcio giocato, seguendo il padre nella propria agenzia immobiliare. Dopo un'anno, torna a giocare a calcio a livello amatoriale con la T.E.K. United, squadra di Dun Laoghaire, dove gioca alternandosi al proprio lavoro. Dopo 5 anni da calciatore, iniziò a diventare player-manager, ottenendo risultati clamorosi, vincendo 3 Leinster Senior League e una Intermediate Cup, ossia il massimo che una squadra Dublinese possa vincere a livello di Non League, il tutto partendo addirittura dallo Step 5, quando Pat fu nominato player-manager. Nel 1975 la squadra arrivò addirittura ai quarti della FAI Cup, la massima competizione nazionale, eliminata dal Limerick, una delle squadra dominanti del panorama nazionale all'epoca. Nel 1978 torna ai St.Josephs, per concentrarsi sullo sviluppo del calcio giovanile, ritirandosi da calciatore: sorprendentemente nessuna squadra di Premier lo chiamò, così decise di tornare al suo local club dove resta 7 anni, quando, nel 1985, arriva la chiamata del Bray Wanderers, squadra storicamente legata ai St-Josephs (tuttora l'academy del St.Josephs è legata a quella del Bray) e appena promossa nella League of Ireland.
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La lunga storia d'amore con il Bray La squadra parte della First Division, e il primo anno è un successo clamoroso: promossa in Premier Division, perdendo solo una partita. Alla promozione suguì però subito una retrocessione in First Division, dove resteranno fino al 1990. La società non perde però la fiducia in Pat, che stava preparando una squadra giovane che avrebbe fatto la storia del calcio Irlandese: nel 1990 infatti la squadra domina la First Division e torna in Premier, ma soprattutto vince la FAI Cup, davanti a 35.000 persone al vecchio Lansdowne Road, contro il St.Francis: per la prima volta nella storia una squadra di First Division vinse la massima competizione nazionale. La stagione dopo fu quella dell'esordio in Europa in Coppa Coppe: arrivarono i turchi del Trabzonspor, e il Bray sfiorò l'impresa all'andata, pareggiando 1-1, per poi cadere 2-0 in Turchia. Fu una buona stagione in Premier, arrivando a metà classifica salvandosi senza troppi patemi. I Grandi risultati di Pat attirarono le attenzioni di grandi club locali, come Shamrock e Drogheda: in queste due squadre passerà quattro anni, i primi due come direttore tecnico ai Rovers, gli altri due come manager dell'emergente Drogheda. Nel 1995, però, Pat Devlin decise di tornare alla casa madre, ossia al Bray che era stato retrocesso in First Division ed era in difficoltà anche economiche. Al grande ritorno coincise subito la promozione in Premier Division, prima di iniziare uno yo-yo di promozione e retrocessioni consecutive finite nel 1999, quando la squadra, per la seconda volta, vince First Division e FAI Cup, battendo in una storica finale il Finn Harps per 1-0 dopo addirittura 3 replay. Il Piccolo Bray ormai si era consolidato ai piani alti del calcio Irlandese, e Pat Devlin affermatosi come uno dei migliori allenatori del panorama nazionale, bravo soprattutto a lanciare giovani di talento. La squadra gioca ancora in Europa, questa volta contro il Grassophers, e viene subito eliminata. Nel 2001 il Bray sogna addirittura il titolo, crollando nelle ultime giornate e arrivando comunque quarto, miglior risultato di sempre per i Seagulls. Nel 2003 la squadra retrocede di nuovo, per tornare subito su nel 2004. Nel 2006 Pat Devlin lascia la guida della squadra ad Eddie Gormley, suo pupillo ai tempi del St.Josephs e uno dei più forti attaccanti di sempre della League of Ireland, avendo vinto 3 titoli con il St.Patrick's. Pat Devlin divenne vice-presidente della League of Ireland, ed ebbe anche dei ruoli in federazione, ma rimase sempre legato al Bray, dove ricoprì la carica di supervisore e direttore tecnico. In questo periodo il Bray ottenne anche il Level of Excellence, il massimo grado che a livello di Club possa ottenere una squadra in Irlanda. Nel 2010 il Bray navigava in acque pessime, con soli 2 punti dopo 8 gare: la dirigenza cacciò Gormley, e a sorpresa richiamò Devlin, che pareva ormai ritirato dalla lunga carriera di manager. Con lui avvenne forse il miracolo più grande di sempre, la squadra cambiò letteralmente marcia e riuscì, con medie punti da quarto-quinto posto, a scavalcare il Drogheda e a giocarsi il playout salvezza contro il Monaghan, vinto ai rigori dopo una partita 12
pazzesca in cui i Mons segnaro al 119', il Bray pareggiò al 121', per poi vincere alla ottava serie di oltranza. La stagione successiva, sempre con Pat allenatore, fu la seconda migliore di sempre per il Bray, che arrivò sesto in classifica. Ad agosto annuncia, con una storica amichevole finita 1-1 contro il Liverpool, una collaborazione a livello giovanile con i Reds dell'amico Kenny Dalglish. L'attuale stagione vede Pat Devlin essere nominato Director of Football del Bray Wanderers, carica un po' particolare che alterna alla tradizionale funzione di manager, quella di responsabile di aree giovanili e tecniche. La leggenda di Pat Devlin, lunga 27 anni, è destinata a continuare, ancora...
Ghirarz
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STADI: TERRYLAND PARK, GALWAY UNITED Andiamo a conoscere lo stadio locale del Galway United, ossia il Terryland Park, chiamato anche da Aprile 2012 Eamon Deacy Park, in onore della leggenda locale morta a 54 anni dopo un'infarto, un giocatore campione d'Europa Con l'Aston Villa nel 1982, tornato nel pieno della carriera a Galway (1985) per sposare la causa della propria squadra locale che in quel momento stava vivendo il massimo del proprio splendore. La proprietà dello stadio, dopo il fallimento del Galway, è passato a pieno diritto alla Galway & District FA, che gestisce i vari campionati locali. Sede delle partite del Galway fin dalla nascita nel 1937, ha subito due rinnovamnenti nel 1993, con l'installazione dell'impianto di illuminazione, e nel 2007 con l'installazione di una nuova tribuna laterale. La capienza complessiva è di 5.000 posti di cui 3.300 a sedere. La nuova e moderna Tribuna centrale installata nel 2007
La tribuna opposta, con i tradizionale pali a reggere la struttura
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Una curiosa fila di seggiolini, dietro gli spogliatoi e la caratteristica Club House
Visione d'insieme del Ground
Ghirarz
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VIAGGI NELLE ISOLE BRITANNICHE: GLASGOW E’ passata quasi una settimana e solo ora riesco a riordinare i pensieri per scrivere quello che è stata questa trasferta. Non una qualunque, ma la trasferta del 5° anniversario di fondazione del nostro Supporters Club. Che poi definirlo “Supporters Club” ormai è riduttivo, diciamo che si tratta più di una grande famiglia felice. Tutto è iniziato con grande anticipo, a metà agosto ci stavamo già organizzando per scegliere la data. Scelta ricaduta sul weekend del 5-8 Ottobre 2012 per la partita interna contro gli Hearts Of Midlothian. Al 30 Agosto i primi temerari avevano già prenotato il biglietto aereo. Scelta pessima la nostro perché ciò non ha fatto altro che far salire alle stelle l’eccitazione per la partenza. Si chiudono le iscrizioni con un totale di 19 partecipanti, con i quali ci si dà appuntamento per le 16.00 di Venerdì 5 Ottobre all’aeroporto di Bergamo-Orio Al Serio. Non ci sarà il presidente Boretim purtroppo, così come altri amici bloccati da impegni lavorativi. Ma ci sarà Lui. Questa volta sì, questa volta è vero. Mario c’è. Finalmente tutti hanno prova della sua reale esistenza. Citando il vangelo secondo Noel81: “Io ho visto. Sì, io ho visto il cofondatore del forum, Supermariocast. Mi sento fortunato, perché ho visto e credo. Beati quelli che, pur non avendo visto, crederanno”. In aeroporto è il solito tripudio di baci, abbracci e strette di mano. Si salutano gli amici di mille battaglie e ci si presenta coi nuovi. A sorpresa vengono a salutare la nostra partenza anche Noel e Pierpiter, che purtroppo rientrano nella lista di coloro bloccati in Italia da impegni lavorativi. Finalmente arriva il momento dell’imbarco e del volo che sembra essere interminabile. Si atterra a Prestwick in perfetto orario alle 19.10 GMT, con l’entusiasmo che esplode tra gente che urla, piange e bacia il suolo Scozzese. Prima birretta di rito al pub dell’aeroporto e poi il treno fino a Glasgow Central. Sistemazione rapida in ostello e subito dritti a Gallowgate con sosta per la ‘cena’ da Bifteki, il nostro kebabbaro preferito, un turco-egiziano che canta le canzoni di Peppino Di Capri. Arriviamo a Gallowgate verso le 22.00 e tra lo sgomento generale i pub stanno già chiudendo. Riusciamo ad entrare all’Emerald Isle, grazie al proprietario che, dopo averci riconosciuto, ci fa entrare. “Are you the guys of The Italian Celts CSC?! Come on, get inside!”. Più tempo passa più veniamo trattati come dei veri VIP. All’interno c’è anche il suo socio, un Glasvegiano somigliante a McGeady 16
che si vanta dei suoi gas corporei, sicuramente uno da inserire nell’elenco dei personaggi mitologici conosciuti nel corso degli anni. Ci fermiamo giusto il tempo di una birra, godendoci l’ovazione che i baristi riservano al buon Mario nel momento in cui ordina una Coca-Cola. Pare non vendessero una bevanda analcolica dal 1997. Successivamente ci spostiamo di fronte, al Cabin, noto per essere il pub dove ogni giorno si radunano le persone più brutte di Scozia. Al suo interno le solite vecchie carampane circondate da adolescenti emo che cantano al karaoke e una new entry clamorosa: Gandalf in persona, direttamente dalla Terra Di Mezzo. Ma ovviamente c’è anche lui. Il vecchio di Aberdeen, che decide come al solito di darci il suo caloroso benvenuto. Completamente andato, si alza in piedi su un tavolo iniziando a urlarci contro “Fuckin Italians! Fuckin foreigners! Asadhfhhdagfhjgargflgjijfjjgrhjgk!”. Regaliamo al pubblico presente una doppia esibizione canora di cui sarebbe meglio non entrare troppo nel dettaglio e decidiamo quindi di uscire. Gigio sembra aver bevuto troppo e, quando qualcuno gli chiede quanto avesse bevuto, dice semplicemente “Ah ma io ho fatto l’amore!”. Con chi o cosa rimane tuttora un mistero. Successivamente ce ne torniamo in ostello. Il Sabato sarà un gran giorno. Ci svegliamo presto, l’eccitazione è troppa per dormire e alle 10.00 stiamo già svaligiando il Celtic Store in Argyle Street. Proseguiamo con lo shopping in altri negozi del centro prima di pranzare con degli ottimi hamburger di canguro presi a un banchetto etnico, poi si va a prendere, verso mezzogiorno, il treno per Kilmarnock. Arriviamo nella ridente cittadina del North Ayrshire relativamente presto, così abbiamo tempo per una pinta al Fanny By Gaslight, pub carino vicino alla stazione. Ci incamminiamo successivamente verso Rugby Park e, dopo aver ritirato i biglietti regalati dall’amico Manuel Pascali, entriamo durante la fase di riscaldamento. Il pubblico ancora poco numeroso e silenzioso si volta immediatamente non appena iniziamo a scaldare l’ambiente coi nostri cori, che dureranno per tutti i 90 minuti di una partita persa 3-1 dal Kilmarnock contro un Aberdeen in ottima forma. Dopo un’abbuffata di Killie Pie, nell’intervallo tutti i tifosi locali vogliono fare una foto con noi, in particolare i bambini, di cui diventiamo eroi incontrastati. Gira voce che i compagni di squadra di Pascali pensavano fossimo in 50 dal casino che abbiamo fatto. Eravamo solo 11 in realtà (in 8 sono andati a visitare Edimburgo). A fine partita scendiamo al pub dello stadio ad attendere l’arrivo di Capitan Pascali che accogliamo con cori e applausi a cui si uniscono tutti i presenti. Manuel si dimostra come sempre gentilissimo e disponibile, tanto che ci invita nella suite riservata ai giocatori e i loro famigliari a bere qualcosa e a scambiare quattro chiacchiere. Si parla soprattutto del sistema calcistico italiano e i racconti di Pascali ci fanno capire ancor di più quanto il calcio del nostro paese sia marcio nel profondo dell’anima. Si fa abbastanza tardi ed è ora di rientrare. Pascali decide che preferisce tornare a Glasgow con noi in treno piuttosto che col resto della squadra in macchina. Arriviamo a Glasgow Central e salutiamo il Capitano dei Killie prima di incamminarci ancora una volta verso Gallowgate per lo splendido sabato sera che ci si prospetta davanti. Cena neanche troppo veloce da Guido’s, un Fish&Chips lungo la strada. Poi inizia la festa. Ci buttiamo dentro al Bar ’67 dove stanno suonando musica live e dove conosciamo un gruppo abbastanza numeroso di irlandesi. Ci godiamo la serata tra birre, canzoni, cori e chicchere con la gente del posto che come al solito ci accoglie nel miglior modo possibile, facendoci sentire sempre più parte integrante della Celtic Family. Conosciamo 17
una ragazza irlandese, Danielle, che, pensando sia la nostra prima volta a Glasgow, ci consiglia di coprire tutte le cose verdi che abbiamo addosso prima di tornare in centro. Piccola ingenua, ormai siamo di casa. A fine serata mi fermo a parlare fuori dal locale con la proprietaria. Gli dico che a Maggio ho conosciuto suo marito Ziggy e lei per tutta risposta, come già fatto dal suo consorte l’anno precedente, invita me e il resto del gruppo a tornare il giorno seguente perché “se venite domani c’è anche mia figlia che è una bellissima ragazza”. Prima o poi sta ragazza la rifilano in sposa a qualcuno del gruppo. Sicuro. Si rientra alla base barcollando, trepidanti per la partita imminente. Ancora una volta sveglia presto, di dormire non c’è n’è bisogno. L’unica cosa di cui si ha bisogno è il Celtic. Sarà una giornata importante e dobbiamo incontrare due persone importanti allo stadio. La prima è Joanna Doyle, figlia del defunto John Doyle, l’uomo alla cui memoria è dedicato il nostro CSC. La seconda è…Manuel Pascali! Il capitato del Kilmarnock, ben camuffato e in incognito assisterà al match con noi. Ci mettiamo a preparare lo striscione per Doyle nella hall dell’ostello e poi ci mettiamo immediatamente in marcia. La strada è come al solito bella lunga. Facciamo, come ormai consuetudine, sosta da Ladbrokes per puntare sulla partita del Celtic. Optiamo per un 3-1 ben quotato e per Samaras primo marcatore. Il nostro percorso prosegue lungo Gallowgate dove ci si ferma a fare acquisti da Timland e al negozio affiliato con Cairde na hÉireann (organizzazione Repubblicana in Scozia). Arriviamo finalmente a Celtic Park e, dopo un veloce pranzo a base di hamburger e hot dog, ci mettiamo davanti all’ingresso principale. Arriva subito Manuel seguito dalla nostra amica Joanna a cui regaliamo lo striscione, dopo aver scattato qualche foto e chiamato un minuto di silenzio in onore del padre. Entriamo quindi allo stadio e prendiamo possesso dei nostri posti. Il match non è entusiasmante, ma riusciamo comunque a vincere 1-0 grazie a un gol di Samaras al 35°. A fine partita rimaniamo fuori dallo stadio in attesa che escano i giocatori. All’uscita di Samaras qualcuno dei nostri (non faccio nomi) si avvicina a lui sgomitando tra folla urlando “Giorgio ti amoooooooooo!”. Scattiamo le foto e in men che non si dica ci ritroviamo catapultati nuovamente nei pub di Gallowgate. Al Bairds Bar c’è Joanna Doyle ad attenderci insieme ad alcuni suoi amici. L’ambiente è bello carico e sta suonando live Podgie, il cantante degli Shebeen. Successivamente ci spostiamo un po’ più avanti all’Hoops Bar dove incontriamo anche Allan e Lesley, due amici di vecchia data. Dopo una buona dose di birra e musica verso le 18.30 ci spostiamo nel quartiere di Gorbals, al Brazen Head dove in serata, come a Maggio, suonerà dal vivo Gary Og. Anche questa volta ci fanno appendere il nostro striscione sul palco e a questo punto inizio ad avvisarvi che il racconto diventerà molto incompleto. Dopo circa 20 minuti di concerto conosco un tizio, tale Anthony, irlandese di Limerick che dopo avermi preso in simpatia inizia a offrirmi da bere una quantità indefinita di Guinness. Finisco la drinking session che sono totalmente cotto e a stomaco vuoto. Riesco comunque a sopravvivere e a tirare avanti chiacchierando con Allan che non fa altro che ripetermi “are you ok mate?”. Incontro nuovamente Danielle, la ragazza della sera prima e iniziamo a parlare. Vorrebbe che ci scambiassimo i contatti facebook ma le dico che non posso perché sono fidanzato e la mia ragazza è gelosa. Purtroppo non ho la lucidità mentale di presentarla al resto del gruppo che ci teneva a conoscerla. Per questo mi odieranno. Mentre parliamo sento qualcuno dei nostri imprecare una serie di cose che è meglio non riportare, aggiungendo poi “sei peggio di Preziosi!”. Solo dopo sono venuto a sapere che qualcuno aveva rovesciato la birra a Spaghetti che però con stile conclude dicendo “ma sì, era solo una birretta”. Questo è l’ultimo ricordo che ho della serata al Brazen Head, successivamente ricordo solo che siamo usciti e siamo andati a mangiare il kebab da Bifteki, cosa che ci ha salvato la vita dato che stavamo bevendo a stomaco vuoto dalle 15.00. La mattina seguente ci alziamo e notiamo un articolo-beffa sul Sun: “Pascali fan club silenced”. Parlano di 18
noi e della nostra presenza a Kilmarnock il sabato. E ovviamente, essendo il Sun, non può che essere un articolo finto e pieno di falsità. Cito solo una piccolo parte. “The skipper’s mate flew in from Milan wearing Killie jerseys and scarves and serenaded their ‘capitano’ loudly and long. However, they were left crying into their Peroni as their planned celebrations night turned into a wake”.
Qualche piccola precisazione:
1) Nessuno ha pianto. 2) La Peroni ci fa c****e. 3) La notte abbiamo festeggiato alla grande.
Dopo un’abbondante dose di insulti verso quella fogna che i britannici definiscono giornale ci incamminiamo per le vie del centro per le ultime ore di shopping, prima di pranzare al Crystal Palace (finalmente un pasto decente) e poi ancora shopping prima di prendere il treno che ci porterà in aeroporto. Si atterra in perfetto orario alle 22.50 e, dopo esserci salutati, si torna ancora una volta a casa con la consapevolezza di far parte di qualcosa di meraviglioso e che l’amore per il Celtic, i suoi colori e la sua gente va ben oltre a quanto un essere umano comune possa immaginare. E' stata la quinta volta per me a Glasgow, ma le emozioni sono sempre quelle della prima.
McGiro
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RECENSIONE LIBRO "THE DAMNED UNITED"
“The Damned United” è il romanzo di David Peace basato sul racconto dei famosi 44 giorni passati dal grande allenatore inglese Brian Clough alla guida del Leeds United Football Club nel 1974. Premetto che prima di aver letto questo bellissimo romanzo, non conoscevo nel dettaglio né la storia di Clough, né, in particolare, la storia di questi 44 giorni, e quindi non posso esprimere giudizi riguardanti la fedeltà di Peace nei confronti della realtà dei fatti nel descrivere certi episodi, certi aspetti del carattere di Clough, certi riferimenti a vari personaggi, tra cui calciatori famosi come Bremner, Giles e Mackay ed allenatori come Don Revie. Quello che so è che sono rimasto assolutamente affascinato dalla persona di Brian Clough, così come descritta nel libro, e dalla sua carriera da allenatore, oltre ad essere rimasto molto ben impressionato dal romanzo, che ho letto in pochi giorni con grandissima passione e curiosità. Non so come mai Peace abbia deciso di raccontare proprio quei 44 giorni in particolare, proprio i peggiori, dal punto di vista professionale dell’allenatore inglese, invece di raccontare i fantastici anni passati da Clough ad allenare il Nottingham Forest che ha guidato alla conquista del campionato inglese ed addirittura a vincere per due volte la Coppa dei Campioni, ma penso che lo abbia fatto proprio per cercare di capire cosa sia successo per fare in modo che il legame tra Brian ed il Leeds non potesse funzionare e per capire quali siano state le cause che hanno portato alle dimissioni del manager. Per un allenatore così bravo, che ha saputo portare ad importanti successi, piccoli club come Derby County ed, appunto, successivamente, il Forest, fu davvero strano il fatto che non riuscì a restare alla guida del Leeds che a quei tempi era la squadra campione inglese in carica, la squadra considerata più forte e con grandi campioni tra le sue file. Ma è stato interessante scoprire come un uomo di enorme successo abbia vissuto quei giorni nei quali i dirigenti ed i giocatori del Leeds non lo hanno saputo capire, ma soprattutto nei quali lui stesso per primo non era convinto dell’incarico che aveva accettato perché non sentiva sua quella squadra, non sentiva suoi quei giocatori, non sentiva suo il campionato appena vinto da Don Revie, l’allenatore che lo aveva preceduto e che aveva portato in alto il Leeds, non sentiva suoi quei tifosi, non sentiva suo quello stadio, non sentiva sua quella città. Nell’animo di Clough regnava l’incertezza ed il dolore per aver dovuto abbandonare il suo Derby County, i suoi giocatori, la sua gente, il suo titolo vinto. Solo a Derby si sentiva a casa. Inoltre a Leeds tutti erano rimasti attaccati al ricordo di Revie ed ogni confronto tra i due allenatori suscitava un certo sentimento di rabbia in Clough che di Revie non sopportava i metodi nell’affrontare le partite, i metodi “sporchi” secondo lui, di vincere le partite, e l’atteggiamento arrogante nei suoi confronti, dimostrato negli incontri infiniti tra il Derby ed il Leeds negli anni precedenti. Ogni sfida tra il suo Derby ed il Leeds era un’occasione per diventare una sfida personale tra lui e Revie, addirittura quando Clough ne prese il posto al Leeds volle cambiare tutto nel suo ufficio, dalla sedia alla scrivania, ma soprattutto i “dossier” su arbitri e squadre da affrontare; Clough voleva trasformare il Leeds in una squadra onesta, una squadra sì vincente, ma onesta e corretta, ma dentro di sé lo 20
considerava sempre lo “sporco Leeds” ed il continuo riferimento a Revie diventa quasi un’ossessione. Anche con i giocatori, troppo legati a Revie ed abituati ai suoi metodi, il rapporto fu sin dall’inizio difficile, tanto che Clough disse loro di dimenticare tutto quello che avevano vinto fino a quel momento, perché lo avevano vinto con l’imbroglio, e che il suo obiettivo era quello di vincere, ma secondo il suo stile e non secondo lo stile di Revie, il cui nome non doveva essere mai più pronunciato. Il romanzo racconta uno alla volta ogni singolo giorno dei 44 che Brian passò nella Società dello Yorkshire, in prima persona, infatti è proprio lui, Brian Clough, nell’immaginazione dell’autore ,che parla, che soffre, che si emoziona, che si racconta, che esterna le proprie paure e preoccupazioni, ma anche le sue gioie e le sue speranze. La particolarità del romanzo sta nel fatto che mentre vengono raccontati i giorni al Leeds, ci sono anche i ricordi di Clough, brutti, verso la fine prematura della sua carriera da calciatore ,comunque positiva con ben 251 gol in 274 partite, seppur in seconda divisione in squadre come Boro e Sunderland con il quale ottenne una promozione in prima divisione , a causa di un grave infortunio per il quale soffrì moltissimo, e belli, verso l’inizio della sua carriera da allenatore, cominciata molto presto all’Hartlepools e continuata con i successi alla guida del Derby County, nel quale non era solo un semplice allenatore, ma molto di più per la squadra e per la città, era un simbolo, era Cloughie. Quindi mentre ci si trova a leggere la sofferenza e l’insofferenza di Clough nei suoi giorni a Leeds, ci si immerge all’improvviso, invece, nei giorni dapprima felici in cui allenava il Derby e vinceva con il Derby e poi tristi nei giorni che seguirono il suo addio ai Rams. I ricordi di Clough al passato sono molto frequenti in quei 44 giorni e spesso i fatti narrati vengono collegati ad altri episodi riguardanti i tempi in cui era calciatore prima ed allenatore poi. Anche alcuni personaggi sono collegati al passato, come per esempio Stokoe che era in campo il giorno del brutto infortunio di Clough ed era in panchina ad allenare il Sunderland contro il suo Derby, il già citato Don Revie, e poi il costante riferimento a Peter Taylor, grande amico e collaboratore di Brian, compagno nei giorni ad Hartlepools, Derby e Brighton. Ma fu proprio quando Clough decise di lasciare il Brighton per accettare le offerte del Leeds che Peter decise di non seguirlo e di abbandonarlo. La scelta di Brian di lasciare dopo una sola stagione il Brighton sembrò infatti all’amico una decisione scorretta nei confronti del presidente Mike Bamber che aveva creduto in lui anche quando, dopo il licenziamento dal Derby County, la sua carriera da allenatore sembrava seriamente compromessa a causa anche di sue dichiarazioni in televisione contro la FA ed a causa delle voci messe in giro da Longson, presidente del Derby, circa il suo brutto carattere ed il suo modo di gestire la squadra. Anche la nazionale inglese sembrava snobbarlo per gli stessi motivi, tanto che quando Alf Ramsey venne licenziato, il nome di Clough, che in quel momento allenava il Brighton in terza divisione, non comparve nemmeno tra i possibili candidati alla successione, ma venne nominato, ancora lui, Don Revie. Il capitolo nazionale si collega al passato ed al difficile legame tra il “dannato” Clough e l’Inghilterra; così come non venne preso in considerazione per allenare la nazionale del suo paese, cosa che lo avrebbe riempito di orgoglio, non venne preso molto in considerazione nemmeno da calciatore. Non gli bastarono i tanti gol segnati. Ma i motivi di maggiore rimpianto per lui derivavano dall’abbandono di Peter, soprattutto nei giorni infelici a Leeds, un vero tormento per Clough che tentò anche di convincerlo a tornare con lui, ma inutilmente. Spesso in quei tristi giorni i ricordi di Brian vanno al vecchio amico fidato con il quale spesso si era anche scontrato, ma che alla fine rimaneva sempre il suo unico vero amico, compagno di mille battaglie, ma allo stesso tempo traditore. Un’altra figura importante nel romanzo è rappresentata dalla moglie di Brian: mai descritta nel dettaglio e mai protagonista, ma la sua presenza si sente ed anche molto in ogni decisione del marito, in ogni momento difficile, in ognuno di quei momenti, nella vita di un uomo, in cui l’unica persona che veramente si vorrebbe accanto è la persona che si ama, e la persona da cui ci si sente amati. Il libro ci aiuta a capire soprattutto l’aspetto umano, piuttosto che quello da allenatore, di Brian Clough, 21
un personaggio certamente importante nella storia del calcio inglese, uno che parlava in faccia a tutti, uno che ebbe il coraggio di definire “bastardi” i dirigenti e la squadra della Juventus che eliminò il suo Derby in semifinale di Coppa dei Campioni in modo quanto meno sospetto, viste certe decisioni arbitrali, uno che era diventato anche un opinionista televisivo, visto quanta era ormai la sua popolarità e visto quanto la gente lo ascoltava e lo seguiva. Per lui folle intere si muovevano in cortei di protesta quando venne licenziato dal Derby, per lui i suoi giocatori erano pronti a scioperare per riaverlo come allenatore, ma alla fine non bastò e quando decise di andare al Leeds solo la famiglia gli restò accanto, ma lui, in quella città, si sentiva maledettamente solo e contro tutto e tutti. Molti anni più tardi, purtroppo, ma questo non è nel libro, riuscì anche a riunire le tifoserie rivali di Forest e Derby che vollero dargli il proprio addio dopo la sua tragica morte. Secondo il mio modesto parere Clough è stato veramente uno dei più grandi personaggi del calcio, tanto da meritarsi statue e riconoscimenti a Middlesbrough, Derby e Nottingham, non soltanto per essere riuscito a portare successi importanti due club poco blasonati, ma anche per aver saputo sempre dire quello che pensava andando sempre contro, se ce n’era bisogno, e mantenendo un ideale di calcio pulito, onesto e sincero. Penso che a Leeds molti rimpiangano quei 44 giorni e che avrebbero voluto vedere Clough alla guida dello United per molto più tempo.Questo però è il destino di questo tipo di persone: persone che dicono quello che pensano senza preoccuparsi delle conseguenze, persone che pur di mantenere il proprio orgoglio sono disposte a rischiare, persone che amano il calcio vero, quello fatto di passione, lealtà ed impegno e che purtroppo, a volte, il calcio non capisce, così come successe in quei famosi 44 giorni.
ConorAdam
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Questo altro viaggio nella storia del calcio Britannico e non solo e’ finito, vi ricordo di venirci a trovare sul nostro forum, ma di visitare anche i siti amici Quindi vi diamo tutti i nostri indirizzi http://rulebritanniauk.forumfree.it http://www.ukcalcio.com http://londracalcistica.blogspot.com http://rulebritannia.blogspot.com http://englishfootballstation.wordpress.com/ Arrivederci al prossimo mese‌
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