RULE BRITANNIA ZINE ANNO 02 NUMERO 9
fanzine autoprodotta dal forum rulebritanniauk.forumfree.it
EDITORIALE Cari amici, quella che avete in mano o appena visualizzata sullo schermo del vostro computer, è la sinfonia numero 9 della nostra fanzine. Già, vi chiederete dove fosse finita, dato che l’ultimo numero è datato novembre. Scoperto il “buco nero” ho infatti voluto fortemente rimediare, da appassionato di calcio prima di tutto, e subito dopo di football d’oltremanica. Per me, è l’esordio alla scrittura dell’editoriale e alla cura di questo importante opuscolo informativo sulla storia e le radici a 360 gradi del calcio che più amiamo. Non posso che ringraziare gli amministratori del forum, che hanno accettato la proposta di sostituire il caro Hibees, bloccato (spero momentaneamente…) da vari impedimenti. Credo che tutti noi non potessimo restare orfani della nostra fanzine preferita, e ho messo in campo non tanto le mie doti di giornalista non professionista (un tantino esagerata come definizione…), ma semplicemente il mio diletto nello scrivere e nell’essere sempre stato in confidenza con il parlato, per poter mettere a frutto a beneficio di una “comunità” come la nostra un prodotto che fosse all’altezza dei numeri precedenti, e che potesse procedere sulla linea della continuità con gli altri splendidi capitoli di questo giornale. Ho scelto di ripartire da uno stadio mitico, Anfield, la prima cosa alla quale ho pensato per il nuovo numero. Sono di parte, lo so, per chi non lo sapesse è un luogo che amo molto, nonostante la mia fede calcistica sia tutt’altra. Vedrete le immagini della mia visita nel 2011, e la foto di copertina era ciò che più adatto ci fosse per rilanciare l’importanza della nostra fanzine. L’impostazione rimarrà comunque più o meno la stessa: oltre all’analisi di uno stadio in ogni numero, proporremo sempre grandi e piccole storie, personaggi, luoghi e report dai nostri “inviati” nei paesi anglosassoni (definizione più appropriata, così non scontentiamo nessuno: scozzesi, irlandesi, inglesi e persino gallesi del forum!) e l’immancabile tuffo nel passato, quello in bianco e nero, quello del “Per giocare avete bisogno solo di una maglia e di un paio di pantaloncini”, parafrasando sempre l’indimenticabile protagonista di copertina. Ora godetevi queste pagine. Che finalmente, e stabilmente, vi faranno compagnia anche nei mesi a venire.
Buona lettura
EnglishStyle
2
INDICE p. 4 p. 7 p. 11 p. 16 p. 18 p. 22 -
CHELSEA ‘70 THE MATTHEWS FINAL CLYDEBANK FC STADI: ANFIELD VIAGGI NELLE ISOLE BRITANNICHE: CARDIFF LIBRI: IO SONO IL CALCIATORE MISTERIOSO
3
CHELSEA ‘70 Donne, un affare di cuore. C’è chi afferma che ogni tanto gli zoccoli del cavallo di Re Carlo II riecheggiano solenni lungo King’s Road, la strada dell’elegante quartiere di Chelsea a cui lui ha dato il nome proprio perché l’attraversava spedito per andare a raggiungere la sua amante nel loro rifugio segreto. Nel XVII secolo questa via era solo una modesta strada di campagna, un piccolo villaggio di pescatori, che nei secoli si è trasformato diventando il quartiere simbolo dell'aristocrazia londinese. Poco più di due chilometri che separano il massimo della raffinatezza, dalle lunghe teorie delle case popolari londinesi. Per anni punto di riferimento di artisti, intellettuali e scrittori che trasformarono Chelsea in uno dei primi centri bohémienne europei. La lista dei residenti illustri è incredibilmente lunga, e citare ogni singolo nome sarebbe una follia, ma senza dubbio vale la pena ricordare che qui hanno vissuto personaggi come Oscar Wilde, George e T.S. Eliot, Agatha Christie, Johnatan Swift, e Mary Shelley. Qui, Mary Quant lanciò dal suo negozietto tutt'ora in loco la moda della minigonna. Qui, dove se volete iniziare una passeggiata vi conviene partire da Sloan Square, dalla famosa Venus Fountain. E scivolare accompagnati in sincronica sequenza dalla cortina di palazzi in mattoni rossi e stucco bianco, fra boutique trendy, caffè, ristoranti, e negozi di antiquariato. Alla fine troverete il vecchio Bridge, che tanto vecchio non appare più e nemmeno lo stesso di tanti anni fa. Oggi è uno stadio moderno, diverso, rivoluzionato, anche strutturalmente da quello degli anni settanta-ottanta territorio di caccia dei temibili “Headhunters” e sede del loro covo naturale di gradoni denominato “Shed”. Ovviamente non è nemmeno quello delle origini, quando rischiò addirittura di scomparire. Ovvero quando il Chelsea Football Club ebbe una genesi a dir poco singolare. In quel periodo i palazzinari Gus Mears e Joe Mears erano i proprietari dell'impianto, dove davano ospitalità al London Athletic Club in cui giocava un atleta di belle speranze che rispondeva al nome di Fred Parker, loro caro amico. Quando l'allora presidente del Fulham Henry Norris, si rifiutò di trasferire la sua squadra allo Stamford Bridge, i Mears riposero in soffitta l'idea di sfruttare a fini commerciali l'impianto sportivo. Manifestarono invece l'intenzione di cedere il terreno alla Great Western Railway, la quale, necessitava di uno spazio per costruire un deposito da utilizzare come rimessa di carbone. No, colpo di scena. Durante un animato incontro tra Gus Mears e Parker, in cui l'imprenditore avrebbe dovuto confermare i suoi propositi all'amico, accadde un episodio in apparenza sgradevole, ma che si dimostrò poi decisivo, per le future sorti dello Stamford Bridge. Il cane del costruttore, uno scotch terrier, non ci pensò due volte ad azzannare Parker.. “Morde prima di parlare”. Fu l'immediata giustificazione di Mears. L'atleta sembrò così colpito dalla rapidità e dalla sagacia dell'affermazione che dimenticò di colpo il dolore e si profuse in complimenti nei confronti del suo interlocutore, tanto da definirlo la persona di maggior fascino mai conosciuta fino allora. Un encomio che fece colpo su Mears, il quale non solo decise di salvare il Bridge, ma gli fornì anche un inquilino nuovo di zecca. Dal momento che di affittuari non se ne trovavano, tanto valeva farselo in proprio, il club di calcio. Fu così che nel marzo del 1905 i fratelli Mears, nel tuttora esistente pub Rising Sun fondarono il Chelsea. Un nome che fu preferito a Fc Kensington, Fc London e Stamford Bridge Fc. Il nuovo club in ogni caso disputò la sua prima partita ufficiale in trasferta contro lo Stockport, perdendo 1-0. Nel 1970, il Chelsea non aveva ancora vinto la FA Cup. Era diventato campione d’Inghilterra, è vero, sotto la guida di Ted Drake, ma quella magica coppa era sempre sfuggita, come tre anni addietro, nel 1967 quando nella “Cockney Cup Final” il Tottenham Hotspur si era imposto sui blues per 2-1. La finale del 1970 il Chelsea se l’era guadagnata proprio in casa degli Spurs, il 14 marzo, travolgendo per 5-1 il Watford con una doppietta di Peter Houseman, e i centri dell’ "east enders" David Webb, Peter Osgood e Ian Hutchinson. Quello era il Chelsea di
Dave Sexton, il Chelsea di quel meraviglioso e quasi commovente blu, privo di strisce e orpelli vari recante solo il nobile leone rampante con le sue stelline di contorno. Il Royal Blue dell’epoca fatto di capelli al vento, dall’aria sbarazzina, da qualche bagordo di troppo, e dai pantaloni a zampa d’elefante, graditissimi ai netturbini di turno. Sexton nativo di Islington, figlio di un pugile e cresciuto secondo educazione gesuita era subentrato a Tommy Docherty esattamente dopo la sconfitta di Wembley del 1967.
4
E si ritrovò fra le mani la patata bollente, vale a dire il George Best nato a Windsor, Peter Leslie Osgood. “The King of Stamford Bridge”. Qualcosa come 150 reti segnate in 380 incontri. Un predestinato, visto che, a 17 anni firma per la squadra giovanile del Chelsea, e al suo debutto in Coppa di Lega è subito decisivo realizzando due reti in una vittoria per 2 - 0. In 20 partite con la squadra giovanile, il futuro amatissimo calciatore dalle basette inconfondibili, realizza ben 30 goal stupendo praticamente tutti per le sue capacità. Geniale e imprevedibile tanto in campo quanto nella vita quotidiana, quando per esempio fece scalpore la T-shirt indossata all’epoca dalla star del cinema Raquel Welch con la scritta “I scored with Osgood”, a conferma che il buon vecchio “Wizard of Os” non ci sapeva fare solamente con il pallone. Quello con il manager fu un rapporto complicato, ma è certo che non era l’unico problemino per Sexton che doveva tenere a bada anche gli amichetti di Ossie, gente come Alan Hudson e Charlie Cook, assoluti maestri del controllo della sfera, ma anche eccezionali protagonisti di scorribande notturne. Ma alla fine, bevute, donne e auto veloci non riuscirono a rovinare del tutto lo stile di gioco di quella squadra, talvolta indolente ma capace di una buona organizzazione e di arrembanti manovre offensive. A difendere le “capienti” porte di Stamford Bridge, c’era Peter “The Cat” Bonetti, vent’anni al servizio della causa con 729 presenze totali. Approdò ai blues nel 1958 dopo che la madre inviò una lettera alla dirigenza del club chiedendo di valutare attentamente le qualità del proprio figlio e di concedergli almeno una chance. Di lui disse una volta Pelè: “I tre migliori portieri che abbia mai visto sono Gordon Banks, Lev Yaschin e Peter Bonetti”. Davanti la spina dorsale, formata dal difensore Ron "Chopper" Harris, uno rimasto sempre all'altezza del suo nome negli interventi, con in mezzo al campo Terry Venebles e John Hollins a creare le geometrie per quelli là davanti. Ci sarebbe da aggiungere che l’avversario di quel Chelsea nella finale di FA Cup di quella stagione era il Leeds United di Don Revie, altro gruppo di raccomandabili elementi che in semifinale avevano avuto bisogno di tre partite per avere la meglio sul Manchester United. Per pura nota di cronaca nessuno dei due club aveva mai vinto la coppa, il cui atto conclusivo, a causa del mondiale messicano alle porte, dove l’Inghilterra si sarebbe presentata da campione del mondo, la federazione decise di giocarlo in largo anticipo rispetto alle date classiche, fissando l’appuntamento per l’11 aprile. Fatto sta che il dolce manto erboso sotto le due torri si presentò in pessime condizioni a causa della presenza fino a qualche giorno prima dell'Horse of the Year Show noto anche come HOYS- manifestazione culmine degli eventi equestri britannici, che aveva reso il terreno una distesa sabbiosa, non certo usuale per l’evento più atteso della stagione inglese. Jack Charlton portò in vantaggio il Leeds con un colpo di testa, sul quale McCradie e Harris non riuscirono a intervenire sorpresi dal mancato rimbalzo della palla. Il pari del Chelsea avvenne in maniera altrettanto strampalata, allorché un tiro da fuori aerea di Houseman non venne trattenuto dal portiere Gary Sprake che si lasciò sfuggire la sfera per l’1-1. Finale incandescente con gli Yorkshiremen in vantaggio a sei dal termine grazie a Mick Jones, e definitivo pareggio di Hutchinson due minuti dopo. Un Wembley così disastrato non si era mai visto. Giocare la ripetizione poteva veramente creare grossi problemi, e così per la prima volta dal 1923 si decise che la finale di FA Cup si sarebbe dovuta disputare in uno stadio diverso. La scelta ricadde sull’Old Trafford di Manchester. E furono 26,49 i milioni di spettatori seduti davanti alla televisione il 29 aprile 1970 per assistere al replay tra Chelsea e Leeds, un risultato che ha fatto entrare l’evento nella top ten dei programmi più seguiti nella storia della BBC, dietro solamente alla finale di coppa del mondo del 1966. Ad arbitrare l’incontro, il 47 enne Eric Jennings da Stourbridge che anni dopo dichiarò che se quella partita si fosse giocata in tempi più moderni non sarebbero bastati sei cartellini rossi e venti gialli per arginare il gioco eccessivamente maschio profuso dalle due formazioni. Di quell’incontro al di là delle scintille in campo, del calcione di Ron Harris all’ ala scozzese Eddie Gray, di un rapido scambio di pugni fra Norman Hunter e Ian Hutchinson, si ricorda la serata buia di Manchester e le calze gialle che il Chelsea decise di indossare in quell’occasione. I bianchi di Leeds andarono in vantaggio per primi con Jones nel primo tempo, ma a poco meno di dieci dal termine un cross di Cooke imbeccò la testa di Osgood che in tuffo pareggiò il risultato della gara. Tempi supplementari quindi, dove spunta il personaggio che non ti aspetti, quel David Webb che talvolta appariva per caratteristiche caratteriali elemento fuori luogo nello spogliatoio dei blues. A innescarlo una rimessa laterale di Hutchinson al minuto 104, che la “giraffa” Charlton prolungò maldestramente, anticipando l’uscita di David Harvey, con la palla che colpita in qualche maniera dall’accorrente Webb, finisce in
5
rete regalando la prima coppa d’Inghilterra al Chelsea, alzata al cielo da capitan Harris nella gremitissima tribuna dell’Old Trafford. Mi fermo qui, ma a dirla tutta l’anno seguente la squadra di Dave Sexton conquisterà anche l’alloro europeo, vincendo la Coppa delle Coppe ad Atene contro il Real Madrid che sicuramente non era più quello di Alfredo De Stefano e del Colonello Puskas, ma pur sempre restava il club leggendario del continente. Anche in quell’occasione ci vollero due partite, anche in quell’occasione gli avversari in campo erano in bianco, anche in quell’occasione segnò Peter Osgood. Ma quella non era una novità.. Blue is the colour.
SirSimon
6
THE MATTHEWS FINAL
Giugno, 1947. Finita l’asprezza e le paure della guerra si ricomincia a vivere, a divertirsi. La classe operaia inglese si riversa sulle Blackpool Sands. Famiglie intere arrivate in treno, armate di paletta secchiello e cestino di cibo, sotto un sole che finge di essere tale, ma a loro basta, sopra una spiaggia dal nome ingannevole, perché la sabbia spesso qui non è altro che una distesa compatta di ciottoli e ghiaia su cui il mare d'Irlanda s’insinua formando una mezzaluna incantevole. Quella mattina, di tiepida, ma pur sempre estate britannica, i pini del litorale di Blackpool sembravano più verdi che mai. In lontananza, quasi impercettibile, si alzava il rumore metallico dei tram per le vie del centro, all’ombra “parigina” della Blackpool Tower, centocinquantotto metri d’altezza, liberamente ispirati alla più celebre cugina francese. Due uomini. Un manager, e un giocatore. O forse è il contrario. Forse, il giocatore potrebbe già fare il manager. Restiamo ai fatti: "Hai 32 anni ormai: te la senti di giocare un altro paio di stagioni?". Con queste parole Joe Smith, tecnico del Blackpool, si rivolse a Stanley Matthews. Non avrebbe potuto sapere che sarebbe passato ironicamente alla storia per questa frase. La rivolse a un uomo che diventerà una leggenda del calcio mondiale, un'istituzione per gli inglesi. Un uomo che in carriera però vinse solo una cosa: la FA Cup. E lo fece a Blackpool con indosso quella maglia arancione dovuta a un dirigente del club, un certo Albert Hargreaves, nonché arbitro internazionale, che se ne innamorò un giorno del 1923 durante la sua direzione di gara di un amichevole fra Olanda e Belgio. Restò talmente colpito dal colore di quelle divise che le volle ad ogni costo anche per i Seasiders, che da allora diventarono ovviamente anche Tangerines. Stanley Matthews era nato a Stoke nel 1915, tutto foruncoli e lentiggini, che presto lasceranno spazio a una faccia rugosa, una stempiatura inclemente e capelli pettinati all’indietro con la brillantina. Un’ala destra formidabile, dal dribbling secco e l'assist penetrante. Al punto che fu soprannominato “The Dribbling Wizard”. Stanley Matthews calcò i campi di gioco a partire dal primo febbraio del 1932, il giorno in cui fu assunto come riserva dei Potters a cinque sterline settimanali di stipendio. Stanley aveva allora solo 17 anni; suo padre, detto "il pugile barbiere", tirava di boxe per diletto al National Sporting Club. Al ragazzo, che per aiutare la famiglia aveva fatto
7
anche il garzone da un macellaio, parve di toccare il cielo con un dito. Non immaginava, allora, quale carriera lo attendesse. Tra il 1932 e il 1947 giocò come detto nella squadra della sua città natale, lo Stoke City. Poi il trasferimento al Blackpool. Nel club della cittadina balneare che affonda le sue radici originarie nel 1877, nella chiesa locale di St. John, ma che, nove anni dopo, abbandonò il proprio titolo confessionale per rigenerarsi nel più laico sodalizio denominato Blackpool Football Club.. Avrebbe dovuto, chiudere lì la carriera Matthews.. Invece, a Blackpool giocherà 15 anni, per un totale di 391 partite e 17 gol, tutti in Prima Divisione e scriverà le pagine più belle della storia dei Seasiders, compresa naturalmente quella storica finale di FA Cup contro il Bolton il 2 maggio 1953, quando a 38 anni suonati, Matthews giocò una partita passata alla storia addirittura col suo nome: la "finale di Matthews". Fino a quel momento il pur brillante Stanley non aveva mai vinto niente, anzi, quella coppa sembrava maledetta e irraggiungibile, soprattutto quando sia nel 1948, che nel 1951, era stato sconfitto in malo modo in due finali della prestigiosa competizione. La luce diafana di un pomeriggio di primavera londinese accolse sul verdissimo prato di Wembley, Bolton Wanderers e Blackpool. Sulle tribune oltre centomila persone. E dire “oltre”, non è la solita frase fatta, il solito enfatico regalo per alimentare la poesia. Il numero preciso di tifosi presenti quel giorno non lo saprà mai nessuno, ma secondo gli inglesi quella finale di FA Cup, resterà la partita con il maggior numero di spettatori che mai si sia giocata in Inghilterra. Un dato appare scontato. La massiccia presenza di pubblico era dovuta alla sua presenza, erano accorsi per lui. Per i suoi capelli impomatati, per i suoi calzettoni e calzoncini che sembravano enormi, e per quella stupenda maglia color mandarino su cui faceva bella mostra l’orgoglioso crest societario. Tutta l’Inghilterra avrebbe voluto una vittoria del Blackpool, non tanto per simpatia improvvisa verso questo club, quanto per omaggiare il giusto tributo a un icona del paese. Certamente non erano troppo d’accordo i sostenitori dei Trotters, meno che mai i giocatori del Bolton che incuranti dei romanticismi passarono in vantaggio quasi subito grazie a un destro del possente centravanti Nat Lofthouse da fuori area. Il portiere scozzese del Blackpool, George Farm, uno dalla faccia bella e maledetta da attore anni cinquanta, forse avrebbe potuto bloccare il tiro, ma fu tradito da un rimbalzo irregolare del pallone. Il Blackpool accusò il colpo, e i bianchi di Bolton incominciarono a prendere possesso dell’incontro. Al 18’esimo minuto ancora Lofthouse, lanciato dal capitano Willie Moir, si trovò a tu per tu con il portiere e lo superò colpendo in pieno il palo, sulla ribattuta arrivò spedito Bobby Langton per ribadire a botta sicura verso la porta, ma questa volta Farm sarà bravo a respingere. Dopo quest’episodio si infortunò il numero sei del Bolton, Eric Bell, ma siccome “a quel tempo” (senza allusioni evangeliche..) non esistevano ancora le sostituzioni, si usava spostare il giocatore acciaccato (naturalmente se in condizioni di poter restare sul terreno di gioco) in posizione di ala, dove per convinzione tattica e credenza popolare, sembrava potesse incidere in modo minore sull’assetto della squadra. L’infortunio, più grave del previsto costrinse in pratica il Bolton a giocare il resto della partita con un uomo in meno, con Bell, che a fatica si trascinava a stento per qualche metro di campo. Nel frattempo nel centrocampo del Blackpool Ernie Taylor, raffinato esteta della linea mediana, servì assist eccelsi ai compagni, in primo luogo all’ala sinistra sudafricana Bill Perry e chiaramente al mitico centravanti del Blackpool e della nazionale inglese di quel periodo Stan Mortensen. Sarà proprio quest’ultimo, l’autore del rinomato goal all’Italia a Torino nel 1948, a ricevere palla sulla trequarti, saltare due avversari e battere il portiere Hamson, (che ci metterà del suo per farsi sfuggire il pallone in rete) impattando la situazione. Non era proprio la giornata dei portieri. Cinque minuti dopo, un innocuo cross di Langton all’interno dell’area di rigore del Blackpool vide andare a vuoto contemporaneamente sia l’accorrente Moir che il portiere Farm, con la palla che placidamente si infilò in porta senza nessuna deviazione. Il primo tempo si chiuse così sul 2-1 per il Bolton.
8
Nella ripresa il Blackpool rientrò in campo bramando a tutti i costi il pareggio, ma in contropiede però successe l’inenarrabile: numero di classe di Doug Holden sul settore di destra, e traversone nell’area piccola dove ad aspettare c’è la testa vincente di Bell, proprio lui, lo zoppo, che vagava di li per caso e si trovò nel posto giusto al momento giusto. I compagni lo festeggiano increduli, sul 3-1 sembra proprio finita. E ancora una volta questa coppa per Matthews appariva stregata. E lui, la più famosa ala di tutti i tempi, “l’uomo capace di dribblare su una monetina da un penny”, non stava brillando per niente, sotto gli occhi della regina e di larga parte di quel pubblico ormai silenziosamente preoccupato in una connotazione triste di festa mancata. A un tratto, dopo uno scatto reso vano dall’intervento di un avversario più prestante, Stanley Matthews, si ferma boccheggiando con le mani sui fianchi, la faccia distorta in una smorfia di dolore, il busto piegato in avanti. Il tempo, e la stanchezza su quell’uomo di 38 anni, apparivano ora inesorabili e impietosi. Ma è qui che incredibilmente la partita esce dalla realtà razionale per entrare definitivamente nell’alveo della leggenda. Raccontano le cronache dei giornali e qualche filmato di repertorio, che a quel punto dell'incontro, quando tutto sembrava perduto per i tangerines, con Matthews fermo a bordo campo apparentemente ormai a corto di fiato, accada qualcosa. Qualcosa che assomiglia ad un miracolo. Dalle tribune stracolme di Wembley, si alzò debole un applauso, prima delicato, come di mani di bambini, poi più forte, più energico: è il tributo all’eroe, che ormai sembrava irrimediabilmente sconfitto. Il giovane terzino John Ball impegnato nella sua marcatura gli passa accanto e lo guarda. Vent’anni e quasi un moto di commozione. Mentre l’applauso si allarga a tutto lo stadio, Stanley Matthews raddrizza la schiena, la faccia dolorante sembra d’improvviso ringiovanita, negli occhi nessuna rassegnazione. Si passa le mani sui capelli, pettinandoli all’indietro come ha fatto altre mille altre volte, controlla le maniche della maglietta, i polsini, si aggiusta con cura i calzettoni appena sotto il ginocchio, poi, dopo la liturgia, pare rianimarsi. Prende il pallone passatogli da un compagno e, finalmente, mostra a tutti, compagni e avversari cosa sia ancora in grado di fare. Il mago era tornato sulla scena. Torna a saltare con naturalezza, poi parte a passi brevi, rapidi, evita un avversario, due, accelerando ad ogni tocco della sfera. Alza la testa per un lungo attimo, e mette in mezzo per il compagno Mortensen, che segna. E’ l’inizio della rimonta. Solo l’inizio. Matthews, sembra essere tornato leggero ed imprendibile come l’aria. Come il vento che batte d’inverno le spiagge di Blackpool. Galleggia all’ limite dell’area, nasconde la palla, (mago, spiegaci il trucco sembra chiedere la folla divertita, anzi no, tanto nessuno lo saprebbe rifare come lui) e il piede del terzino in preda alla confusione non può far altro che colpire nettamente le gambe di Stanley che rovina a terra. Il mestiere del difensore. L’esempio perfetto, del dadaismo, distruggere l’arte, con un'altra arte. L’arbitro il signor Griffiths di Newport, che ha avuto l’onore e la fortuna di dirigere questo storico match, concede la punizione dal limite, dalla quale Mortensen pareggerà i conti. Sulle tribune il pubblico è impazzito. Il piccolo grande uomo li ha nuovamente meravigliati, dal suo cilindro è uscita l’ennesima magia. La gente adesso attendeva solo i tempi supplementari, ma l’attesa dei centomila, si concluderà nella maniera più clamorosa, quando a pochi attimi dal termine Matthews strappò la palla a un avversario, la scambiò con un compagno e volò verso la porta avversaria. Stavolta non si allargò, puntò dritto verso l’obbiettivo, verso la gloria. La gente si alza in punta di piedi, in una sorta di crescente brusìo, che diventa urlo quando Matthews controlla l’ultima volta il pallone e poi lo cede al centro, dove Perry segna il gol del 4-3. E finita, nella maniera più rocambolesca e più epica. Quando Matthews sale sul palco reale a ritirare il trofeo dalle mani della giovane regina, i
9
calciatori del Bolton gli fanno ala applaudendolo. Visibilmente più meravigliati che dispiaciuti. Elisabetta di Windsor, gli consegna l’ambito trofeo e gli dice: “Grazie signor Matthews, non seguo molto il calcio, ma oggi lei mi ha proprio fatto divertire”. Mentre intanto alla destra di sua maestà un robusto signore in abiti eleganti, si avvicina togliendosi la bombetta e tenendo fra le dita un costoso sigaro spento. E Winston Churchill, ancora in carica come primo ministro, che con uno dei suoi rari sorrisi, gli sussurra: “Non ci credevo, ma avevano ragione, siete davvero un mago, Mr Matthews !”.. Sir Stanley Matthews è diventato un'istituzione. Nel 1965 a cinquant’anni, fu insignito del titolo di baronetto e disputò la sua ultima partita con la maglia dello Stoke City al Craven Cottage di Londra contro il Fulham, di fronte ancora una volta ad una folla entusiasta e commossa. L'età sembrava non aver lasciato nessun segno sul suo fisico asciutto. Con Matthews giocarono quel giorno le ombre dei grandi del calcio inglese: Lawton, Finney, Wright, Drake e tanti altri. I bambini avevano gli occhi lucidi, i vecchi lì avevano pieni di pianto. A gara finita tutti gli si fecero intorno applaudendolo. Il più giovane dei cottagers gli chiese di stringergli la mano e gli disse: “Mi dispiace signore, se sono stato falloso con lei”. In trentatré anni di carriera Matthews si è sempre allenato scrupolosamente. Anche quando era consigliere comunale a Blackpool, e si recava ogni mattina, due ore sulla spiaggia a correre e a calciare da solo. Stanley Matthews l’uomo che sconfisse il tempo. E in Inghilterra nessuno osa dubitarne.
SirSimon
10
CLYDEBANK FC Clydebank FC (1888-1895, 1899-1902)
Il primo club in città è stato fondato nel 1888, giocava le sue partite interne al Hamilton Park, hanno partecipato diverse volte alla Scottish Cup, la loro ultima apparizione è avvenuta nel 1893/94. In aggiunta sono stati membri della Scottish Federation (1891/1893). Il club nel 1895 è sparito, ma quattro anni più tardi è ritornato, giocando sempre al Hamilton Park. Ha mantenuto sempre l'adesione alla Scottish Federation, prima di sparire definitivamente nel 1902. Clydebank Juniors F.C. (1899–1964)
Il club junior era nato nel villaggio di Duntocher(ora nel distretto di Clydebank), nel 1899 con il nome di Duntocher FC.
Il club junior era nato nel villaggio di Duntocher(ora nel distretto di Clydebank), nel 1899 con il nome di Duntocher FC.
Questo è il risultato di una fuga di un altro club junior il Duntocher Hibernians, che hanno cambiato nome nel 1900, quando il Clydebank Juniors e si trasferì in città.
Giocavano al Kilbowie Park, prima della costruzione di un nuovo impianto spesso chiamato "New Kilbowie", nel 1939. In quegli anni era un club tosto nella Junior, vincendo nel 1942 la Scottish Junior Cup. Il club ha continuato la sua attività fino al 1964, quando ci fu una fusione tra mille polemiche con East Stirlingshire, portandolo nella Scottish Football League, per la prima volta. Nella stagione 1949/50 hanno vinto anche la West of Scotland Cup, con capitano il centrocampista Joe Gallagher
11
ALBO D'ORO
* Scottish Junior Cup: o Winners (1): 1941–42 * West of Scotland Cup: 1929–30, 1949–50 * Intermediate League: 1929–1930 * Central League: 1934–1935, 1940–1941, 1941–1942, 1944–1945, 1949–1950 * Glasgow Dryburgh Cup: 1929–1930, 1932–1933, 1934–1935 * Pompey Cup: 1951–52, 1960–61 * Evening Times Cup: 1934–35, 1940–41, 1941–42, 1944–45, 1949–50 Clydebank FC (1914-1931)
Il primo club a rappresentare Clydebank, durante il "boom" economico, in questo momento nel campionato senior c'era il Clydebank FC, di recente formazione eletto nella Division Two, 1914. Sfortunatamente per loro, l'anno dopo causa Prima Guerra Mondiale, la divisione chiuse, ma dopo due anni giocarono nella West League, ma la fortuna ha girato dalla loro parte e sono stati ripescati nella massima seria, causa a rinuncie da parte di alcuni club del nord-est, ma con costi elevanti per le trasferte L'impulso economico della guerra, che ha avuto ottimi effetti sui cantieri navali e fabbriche, sono state un vantaggio per il Clydebank FC. Il club rimase per cinque stagioni, prima di retrocedere nel 1922. Il purgatorio è durato solo un anno, sono ritornati in Division One, ma sono subito riscesi. La recessione economica, avvenuta a metà del 1920, ha avuto effetti anche sul club, nel 1929 ha dato le sue dimissioni dalla Football League. Hanno deciso di continuare, ma la situazione si faceva sempre più difficile e nel 1931 hanno deciso di chiudere. ALBO D'ORO
Scottish League Division Two: * Secondo posto (2): 1922–23 , 1924–25 East Stirlingshire Clydebank FC (1964-1965)
Nel 1964, i fratelli Steedman, proprietari dell'East Stirling, con molte polemiche hanno fuso il loro club con il Clydebank Juniors. Il nuovo club (il cui nome è stato abbreviato in ES Clydebank) ha eridato il posto dell'East Stirling in Division Two, giocava le partite casalinghe al Kilbowie. Dopo un anno, una sfida legale da parte dei tifosi dell'East Stirlingshire, hanno ottenuto di riportare il club allo vera identità e di ritornare soprattutto a casa a Falkirk. Gli Steedman, hanno deciso di rimanere a Clydebank per creare un nuovo grande club. Clydebank FC (1965-2002)
Il secondo Clydebank FC è stato costituito nel 1965 dai fratelli Steedman, facendo parte della Scottish Football League, convinti del potenziale presente in città, nonostante fosse fallita la fusione. Anche se era un piccola ripresa del Clydebank Juniors, tecnicamente si presentava un club nuovo di zecca. Per un anno ha dovuto giocare nella Combined Reserve League, affrontando Jordanhill Training College, Glasgow Corporation Transport, e il Third XI's of the Old Firm, prima di ritornare nel 1966 nella Scottish League. Nei 35 anni di Scottish Football League, sono notevoli i successi. Hanno trascorso tre stagioni in Premier League, diventando il primo club a giocatore in tutte le divisioni, dopo la riforma del
12
1975. Nel 1990, quando erano in Division One, hanno raggiunto la semifinale di Scottish Cup, persa contro il Celtic per 2-0. Sono stati il primo(ed ultimo club) del nazionale scozzese Davie Cooper, ha vestito anche le maglie di Rangers e Motherwell. Morì nel marzo del 1995, per emorragia celebrale era tornato a vestire per l'ultima volta la maglia dei Bankies. Tanti altri giocatori, poi avuto grossi successi, hanno iniziato con il Clydebank, possiamo ricordare Gary Teale dopo Ayr United, ha avuto fortuna in Inghilterra col Derby County. Altri famosi per aver ad un certo punto della loro carriera vestito la maglia del Clydebank sono l'attaccante irlandese Tommy Coyne(ex Celtic e Dundee United) e l'eroe del Partick Thistle Chic Charnley. Recentemente ex punta dei Rangers Alan Gow.
Declino e decaduta
Le fortune del club cominciarono a scendere, quando nel 1996, i fratelli Steedmans, vendettero il New Kilbowie, promettendo uno stadio nuovo, cosa mai avvenuta. Il Clydebank ha trascorso sei anni a giocare
in "casa" di altri, in primo momento fu Boghead Park, Dumbarton, poi Cappielow Park, Greenock, con l'inevitabile declino di pubblico. Durante il loro periodo al Boghead, i fratelli Steedmans, cedettero il club
al dottor John Hall, uomo d'affari con la sede legale nelle Bermuda. I soldi della cessione del New Kilbowie, sono stati investiti in America per la costruzione di scuole per lo sport. Gli sforzi combinati dell' United Supporters Clydebank, la Football Association of Ireland, la Scottish Football Association e la
Scottish Football League, hanno permesso che il club non venisse trasferiti a Dublino, i proprietari hanno cercato di cedere il club in franchigia a diverse città tra cui Galashiels e Carlisle. Nel 2002, ci fu la definitiva morte. Dopo la liquidazione dell'Airdrieonians FC, un gruppo guidati da Jim Ballantyne, presentavano domanda per il posto vacante in SFL, formando un club da zero, il nuovo Ardrie. L'affare non ebbe un buon esito, ma il nuovo club ha deciso di comprare i pochi beni del Clydebank e trasferire il club ad Ardrie, cosi nel 2002/02 nacque Ardrie United. ALBO D'ORO
Scottish Football League First Division: * Secondo Posto(2): 1976–77 , 1984–85
# Scottish Football League Second Division : * Vincitori (1): 1975-76
13
* Secondo Posto (1): 1997-98
# Spring Cup : * Secondo Posto (1): 1975–76 # Stirlingshire Cup: * Vincitori (2): 1978-79, 1979-80 Rinascita: il presente Clydebank FC (2003 -)
Durante la stagione 2003 i tifosi del Clydebank non avevano una squadra da seguire, la trasformazione dell'Ardrie United è avvenuta troppo vicino alla nuova stagione, non lasciando il tempo necessario per piani alternativi. Nei mesi seguiti la UCS, hanno deciso di rifondare il Clydebank FC, un campo fu trovato in condivisione con il Drumchapel Amateurs a Glenhead Park, Duntocher. Nel 2003/04 il Clydebank Football Club entra a far parte della West Region, Scottish Junior Football Association. Il club ha vinto subito ha vinto subito la Central Second Division, giocando davanti a 1,000 spettatori a partita, nel 2004/05 sono arrivati terzi in Division One, perdendo la promozione all'ultima giornata, per un solo punto. Nel 2005/06 l'entusiasmo era aumentato con una folla di 1,150 spettatori per la sfida in Scottish Junior Cup, contro il Tayport, finita 1-1, ma la sconfitta arrivò dal dischetto. Nel giugno 2008, i Bankies e il Drumchapel hanno deciso di interrompere il loro rapporto di condivisione, il Clydebank decise di ritornare in città dividendo con il Yorker Athletic, Holm Park. Il 2008/09 è stata la stagione migliore da quando fu rifondato. In Scottish Cup dopo aver eliminato squadre del calibro di Pollok e Petershill, arrivarono in finale contro il Auchinleck Talbot FC, purtroppo persero 2-1. Ma al Rugby Park di Kilmarnock ben 4,000 tifosi cercarono di spingere i Bankies alla vittoria. In totale ci furono 8,122 spettatori il secondo più grande risultato di presenze per la finale di Scottish Junior Cup nell'ultimo decennio.
14
ALBO D'ORO
* Central League Division Two: 2003–04 * Division One Secondo: 2006-07 * Sectional League Cup Finalista: 2006–07 * Scottish Junior Cup Finalista: 2008–09 Hibees1975
15
STADI: ANFIELD Per essere scritta, la storia ha bisogno di carta e calamaio. E soprattutto di luoghi. Che sono come libri da sfogliare, come album di foto ingiallite ma che non passano mai di moda. Che custodiscono il passato, che è fondamentale per capire il presente. Per gli appassionati di football, quelli viscerali, Anfield, la casa del Liverpool, è tutto questo. Non solo storia, ma memoria. Non solo un campo di calcio, ma una "church" del calcio d'oltremanica. E' nato addirittura prima della squadra che lo abita stabilmente dal 1892. Con 45.000 posti, una curva leggendaria ("The Kop", dal nome della collina sudafricana Spion Kop, dove perirono molti soldati originari di Liverpool nella guerra anglo-boera), e un museo mitico, che spazia tra modernità e tradizione, lo stadio a ridosso di Stanley Park, può raccontare mille gesta: dalle celebri "K" Keegan e Kennedy, da Re Dalglish e le sgroppate di Highway, dai trionfi di Pasley al simbolo di oggi, Steven Gerrard. E su tutti, colui che "rese felice la gente", come recita la frase incisa alla base della sua statua, appena fuori dalla Kop: Bill Shankly. Inizialmente utilizzato dall'Everton, dal 1884, diventa "red" 8 anni più tardi, quando il suo facoltoso proprietario, John Holding, impone ai "Toffees" un canone di affitto troppo elevato. Così, i blues migrano a Goodison, e lui fonda la squadra che su quel campo sarà leggenda. Shankly appone una targa all'ingresso in campo, sopra le teste dei giocatori: "This is Anfield". La motivazione, è chiara: "Per ricordare a noi dove giochiamo, e ricordare agli altri contro chi giocano". Nel 1982, un anno dopo la sua scomparsa, viene eretto e inaugurato lo "Shankly Gate", dove viene scolpito il celebre marchio di fabbrica Reds: "You'll never walk alone". Accanto, il memoriale per le vittime di Hillsborough, 15 aprile 1989. Demolita l'originaria Kop nel 1994 e ricostruita con soli posti a sedere come da istruzioni del rapporto Taylor, Anfield perde forse quel fascino del perenne movimento dietro una delle due porte, capace quasi di far risucchiare il pallone in rete, come se i "koppities" fossero il dodicesimo uomo in campo. "Essere parte della Kop è come far parte di una grande società", diceva ancora Shankly. Ma ancora oggi, l'aura mitica e solenne di questo impianto, resta inimitabile. Parole, frasi, targhe, memoriali. In una parola, tradizione. This is Anfield...
EnglishStyle
16
17
VIAGGI NELLE ISOLE BRITANNICHE: CARDIFF (Gennaio ’13) Dopo la magnifica gita in quel di Southend, e una vigilia di Natale passata tra colori, atmosfere e tradizioni tipicamente inglesi a Gillingham ospite di una famiglia inglese ( ovviamente fine serata a base di cyder che mi rende piuttosto difficile ed arduo il compito di trovare la stazione per ritornare a Londra ), decido quindi di passare tre giorni in Galles, e più precisamente a Cardiff, perchè è una terra che mi affascina e non è neanche tanto lontana da Londra. Fatti gli ultimi preparativi e dopo varie tazze di tea per smaltire il cyder della sera prima in eccesso,sono pronto per raggiungere Paddington, stazione di Londra da cui partono i treni per il Galles meridionale. La preoccupazione maggiore è il tempo metereologico, poichè nei giorni precedenti ha piovuto molto, allagando specialmente il sud-ovest dell'Inghilterra e parte del Galles. Per fortuna il mio treno non viene cancellato,e dopo aver pagato il mio ticket ( caro come tutti i treni britannici! ) salgo sù, scegliendo con accortezza il posto, poichè sarà lo stesso per le prossime due ore e voglio godermi appieno la campagna gallese.
Dopo aver passato Reading e Swindon, inizia a circolare per i vagoni un profumo oserei dire angelico che conferma, da buon intenditore quale sono diventato in questi mesi ,che stanno servendo la full english breakfast a bordo del treno! Non me lo lascio dir due volte, e facendo uno scatto degno del miglior Bolt, arrivo per primo al bancone del bar, dove con annesso fiatone ordino la mia colazione, che viene servita da una ragazza tipicamente inglese che colpisce il mio punto debole , ,mostrandomi i suoi meravigliosi capelli rossi in cui mi ci perdo per alcuni istanti, ma venendo subito svegliato dal suo forte accento inglese e dalla visione di quello splendido mix di robe “salutari” che è sul mio piatto. Finita la colazione e dispiaciuto del fatto che non servano nè birra nè tea a bordo (perchè mandare giù la full english breakfast con l'acqua in Britannia è reato,e fa anche schifo direi!) ho oltrepassato il confine e sono arrivato a Newport, città abbastanza industriale e sede del Newport County FC,club militante in Conference Premier. Le campagne gallesi anche se pesantemente allagate, sono qualcosa di fenomenale, perchè è un mescolarsi continuo di rosso e tutte le sfumature del verde,con colline morbide e ogni tanto qualche castello o fortezza e piccoli paesini nel mezzo del ben nulla,che rendono questa terra magica. Finalmente arrivo a Cardiff,anche se il treno continua la sua strada,direzione Swansea,e appena sceso noto con piacere che non fa freddo, anche se c'è una piacevole e tipica pioggerellina. Mi dirigo verso il mio hotel,praticamente a due minuti a piedi dal Millennium Stadium,casa della nazionale di rugby gallese,e incredibilmente in pieno centro,cosa che lo rende unico in tutto il mondo. Dopo aver fatto il check-in in hotel e sistemato il bagaglio,decido di scendere subito e visitare la città, che anche se non si espande per molti chilometri,poichè quasi tutte le attrazioni turistiche sono nel centro storico, ha tanto da offrire, a partire dal castello e parco enorme annesso, in cui ovviamente non mancano decine di campi di gioco da rugby,tradizionalmente lo sport più seguito e praticato in Galles. Parco che costeggia tutto il corso del fiume che taglia in due Cardiff,ovvero il Taff, e che ad un certo punto costeggia anche il Millennium Stadium, che data la sua particolare forma, sembra quasi un vascello
18
pronto a salpare e prendere il largo alla conquista di altre terre. Dopo aver girovagato per le strade illuminate a festa e per alcune gallerie davvero meravigliose come la castle arcade ,decido di concedermi la prima pinta,e ovviamente la scelta ricade sul The City Arms , storico pub di fronte al Millennium Stadium,che ospita da sempre i tifosi gallesi di rugby sprovvisti di biglietto nel giorno del match. La birra ovviamente è locale, e me la gusto in tranquillità seduto al bancone ,ascoltando di tanto in tanto alcuni discorsi in cymru, lingua gallese di origine celtica attualmente parlata da quasi o tutta la popolazione gallese,è che risuona davvero magica e di altri tempi nelle mie orecchie. Accanto nel vero senso della parola al Millennium Stadium c'è un altro stadio di rugby, ovvero l'Arms Parks ,sede storica dei Cardiff Blues,franchigia di rugby di Cardiff che milita nel RaboPro 12 , ex Celtic League e tutto questo non fà che confermare l'amore e la passione dei gallesi per il rugby,sottolineata anche da una bellissima citazione di Peter Robbins , ex nazionale inglese di rugny , che ho trovato in un libro sul rugby gallese in una libreria storica di Cardiff ed ovvero : “Gli inglesi praticano questo gioco perché l’hanno inventato. Gli irlandesi perchè detestano gli inglesi e adorano le risse. Gli scozzesi l’hanno adottato per la loro inimicizia storica nei confronti degli inglesi. I gallesi hanno un enorme vantaggio sui loro avversari: tutti i loro giocatori infatti sono nati su un campo di rugby o vi sono stati concepiti” È arrivata l'ora di dedicarmi al calcio, e non c'è migliore occasione visti i recenti risultati in Championship, di visitare lo stadio del Cardiff, appunto il Cardiff Stadium,abbastanza posizionato in periferia, poichè di recente costruzione, e come tutti gli stadi nuovi,con annesso mega super centro commerciale intorno (qualcuno ha detto Milton Keyns?!?! ). Lo stadio a prima vista è imponente, anche se per quanto mi riguarda visto da fuori è abbastanza anonimo,sembra più una scatola di clinex blu e grigia. Arrivato all'ingresso principale,mi si restringe lo stomaco vedendo il nuovo logo e il nuovo motto ( fire&passion) , degno dei migliori vigili del fuoco di Los Angeles ,che i nuovi proprietari indonesiani hanno cambiato appena arrivati, modificando anche il colore storico della prima maglia degli ex blubirds,ovvero da blu a rossa,tutto questo per ragioni di marketing e del dio soldo,sempre pronto soprattutto di questi tempi a distruggere o modificare il nostro caro e amato football. Purtroppo lo stadio è chiuso , come la club shop e club house e quindi decido di far rotta su un altro stadio a pochi metri dal Cardiff Stadium, e sede del Cardiff Harlequins, che partecipa alla division three (terzo livello della piramide del calcio gallese ) ma appena a pochi passi dall'impianto, mi accorgo che lo stadio è dotato di pista d'atletica,e profondamente disgustato, scappo via augurandomi di non vedere mai più
19
una cosa del genere in vita mia. Decisamente insoddisfatto del calcio a Cardiff,ho bisogno di rifocillarmi, e faccio strada verso il The Goat Major , dove dopo un paio di pinte di ottima birra cornovagliese,decido di mangiare finalmente il piatto tipico gallese,ovvero il lamb cawl,una specie di lesso di montone sbollito con verdura in un brodo arricchito di avena , che trovo ottimo e decido di fare il bis,susseguito da varie pinte perchè là fuori inizia a far freddo. In qualche modo riesco a tornare in hotel,e dopo una notte ristoratrice,decido di visitare la parte periferica, la zona meno turistica di Cardiff ma non per questo meno affascinante, dove gli odori, i colori,l'atmosfera cupa di tutto il contesto ti riportano indietro nel tempo,nel 18° secolo,quando tutto il Galles era al centro dell'Europa poichè primo importatore di carbone,e richiamava manodopera da tutte e due le isole britanniche e non solo. Il tradizionale Boxing Day è arrivato puntuale anche in Galles , e come tutti sanno nelle due isole britanniche questo è un giorno all'insegna dello sport, se non il giorno dello sport! Con il Cardiff City impegnato in casa contro il Crystal Palace ovviamente si registra il sold out,mentre rifiutandomi di andare a vedere il Cardiff Harlequins giocare in un campo d'atletica, decido di virare sul rugby, seconda mia passione un solo gradino sotto il football ma non per questo meno apprezzata o amata. La partita è di cartello,poichè va in scena il derby locale tra Cardiff Blues contro Newport Gwan Dragons di RaboDirect Pro 12 ( ex Celtic League ),ma questo non mi impedisce di comprare il biglietto rigorosamente settore terrace un ora prima del kick off, rigorosamente anche questo alle 2.05 PM come da tradizione. Dopo aver comprato il biglietto decido di andare al pub dove tradizionalmente tutti i tifosi di rugby vanno prima del KO, ovvero il City Arms, e accompagno con due guinness una deliziosa full welsh breakfast rigorosamente extra large, servitami da un'altra deliziosa ragazza redhead, il chè inizia a farmi ragionare su un mio probabile trasferimento da Londra verso Cardiff il più velocemente possibile. Liberata la mente ma anche qualche liquido di troppo causa guinness, decido di avviarmi verso l'Arms Park notando per prima cosa che l'atmosfera da stadio non differisce molto dal calcio che siamo abituati a raccontarvi qui su Londracalcistica, ovvero pinta prepartita, hot dog prepartita con annessa salsa di colore ambiguo e cipolle gustosissime ma di origine abbastanza dubbia,scelta del posto in cui visionare la partita calcota con costanti e formule matematiche a voi sconosciute e finalmente primo sbeffeggio al giocatore/arbitro di turno "leggermente" sovrappeso. L'uniche differenze sono che la classica pinta può essere bevuta anche sugli spalti, cosa vietatissima nel football . e che anche ai massimi livelli come nel caso di questa partita i tifosi di entrambe le squadre sono mescolati tra di loro, anche e soprattutto in un derby così sentito, mentre in non league dalla conference south e north a salire le tifoserie nelle terraces vengono divise. La partita scivola via sotto un acquazzone mai visto prima in vita mia, ma che non scompone di un centimetro i giocatori, che anzi sembrano dare di più sotto queste raffiche mixate di vento e pioggia. La partita finisce 12 a 10 per la squadra di casa,e io decido ovviamente di rifugiarmi con i tifosi dentro il pub,anche perchè fuori sta imperversando una bufera. Arriva il giorno del ritorno a Londra , e dopo una colazione “leggera” a base di uova fritte e sausages decido di andare a vedere la Cardiff Bay , ovvero la parte di Cardiff che dà sul mare . La zona è tipicamente caratteristica , con un porticciolo turistico e tantissimi moli con negozi e bar , in cui mi godo il miglior fish&chips che abbia mai mangiato in vita mia. Per ultimo decido di visitare la chiesa norvegese proprio all'estremità di un molo , dove fu battezzato lo scrittore Roald Dahl e che ospita oggi una galleria d’arte e una sala da tè e che sembra come voler ricordare quando i paesi scandinavi erano i re dei mari . La gita in Cardiff è finita , e decido di avviarmi verso la stazione , che dopo non pochi
20
problemi per cercare di capire quale sia il mio treno a causa di tabelloni elettrici solo in cymru , riesco a salire sul mio vagone , lasciando il Galles ed una terra che mi ha veramente colpito e del quale ne sono veramente innamorato . La sensazione di aver vissuto davvero bene e in un posto oserei dire “magico” per tre giorni si fa sentire ancora più forte quando appena arrivato a Londra e sceso dal treno pronto ad infilarmi nel solito “inferno” londinese , vorrei semplicemente voltarmi e ritornare su quel treno direzione Cardiff, direzione Wales. TheLions88
21
RECENSIONE LIBRO: IO SONO IL CALCIATORE MISTERIOSO
Il mondo del calcio come non l'avete mai visto. Come nessuno ha mai osato raccontarlo. Sulla reale identità dell'autore di queste pagine si sprecano ipotesi e riflessioni, ma in realtà di lui si sa molto poco: la sola certezza è che gioca in Premier League, contro alcuni dei maggiori campioni del calcio professionistico mondiale. Ha esordito come scrittore con una rubrica anonima sul Guardian, in cui - con la precisione di un giornalista d'inchiesta racconta il gioco più bello del mondo da una prospettiva inedita e intrigante, riscuotendo un successo strepitoso. E mentre il mistero sulla sua identità si infittisce, pubblica questo libro, una testimonianza coraggiosa. Perché si sa, in Italia come nel resto d'Europa, tutti al bar si trasformano in allenatori e il calcio è l'argomento di conversazione preferito di milioni di persone. "Il calciatore misterioso" svela retroscena, scandali e curiosità dall'interno degli spogliatoi, senza tralasciare lucide analisi e considerazioni sul ruolo di questo gioco nella nostra società. Nel farlo, coglie la vera essenza del calcio moderno dentro e fuori dal campo. Prefazione di Gianluca Vialli.
22
Questo viaggio nella storia del calcio Britannico e non solo e’ finito, vi ricordo di venirci a trovare sul nostro forum, ma di visitare anche i siti amici Quindi vi diamo tutti i nostri indirizzi http://rulebritanniauk.forumfree.it http://www.ukcalcio.com http://londracalcistica.blogspot.com http://rulebritannia.blogspot.com http://englishfootballstation.wordpress.com/ Arriverderci al prossimo mese
23