M90S Antologia testi di Giacomo Matteotti

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CONTROLLARE LE NOTE

GIACOMO MATTEOTTI ANTOLOGIA DI TESTI

1. Epistolario

2. Sul Riformismo

3. Scritti sul Fascismo 4. Sulla Scuola

5. Socialismo e Guerra

p. 2 p. 9 p. 21 p. 52 p. 60

L’intero programma delle celebrazioni matteottiane promosse dalla Fondazione Giacomo Matteotti e dalla Fondazione di Studi Storici Filippo Turati, comprese le iniziative per le scuole, si avvale dell’Alto Patronato della Presidenza della Repubblica e del patrocinio della Presidenza del Consiglio dei Ministri.


EPISTOLARIO* Giacomo Matteotti ai dirigenti del Partito Socialista Unitario Roma 16 aprile 1923 Caro Compagno,

Ti mando uno schema di opuscoletto di propaganda coi principi e le direttive del nostro Partito1.

Ti prego di esaminarlo con la massima pazienza e diligenzaproponendo per iscritto non le critiche generiche, ma le modifiche, aggiunte e varianti testuali, magari anche capitoletti intieri. Ci occorrerebbe possibilmente per la domenica prossima. In urgente attesa. Grazie.

Matteotti

* Da Epistolario, a cura di S. Caretti, 2012, Pisa, Ed. Nistri-Lischi, pp. 160-161, 174-175, 194-195, 213214, 240-242, 253. 1 Direttive del Partito Socialista Unitario Italiano, Biblioteca di Propaganda de “La Giustizia�.

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Giacomo Matteotti a Filippo Turati

Roma, 29 agosto 1923

Caro Turati, Per dare un indirizzo al Partito e per sospingerne l’azione, organizzeremo per la fine di settembre e per la prima metà di ottobre i convegni di Napoli, di Roma e infine quello riassuntivo più importante di Milano. Ma, secondo me, per avere un’efficacia positiva sui ceti e sulle persone colle quali soltanto può essere concordata una azione per la conquista della libertà, e per toccare l'opinione pubblica, occorre qualcos’altro, che abbia una eco più forte nella stampa e nel Paese. Questo dovrebbe essere un tuo discorso, da tenersi per esempio a Torino, assistendo tutto lo stato maggiore del partito, e con larghi inviti agli organizzati e simpatizzanti e alla stampa. Il discorso dovrebbe esporre sinteticamente il programma del Partito. In una prima parte riaffermare tutto ciò che vi è di vivo della dottrina socialista; nella seconda riconfermare la nostra avversione ai metodi che hanno discreditato il Partito nel dopo-guerra e a tutti gli eccessi negli scioperi, negli appetiti di categoria, nei servizi pubblici ecc .Nelle ultime due parti esposizione del nostro programma immediato: negativo da una parte per la riconquista della libertà-positivo dall’altra per la ricostruzione economica e morale del paese. Il discorso non ti dovrebbe affaticare né apportare alcun danno alla salute tua che ci è più che mai preziosa. Tu dovresti limitarlo al massimo di un’ora, e preparartelo tranquillamente quasi tutto scritto. Io credo che in questo modo soltanto sia possibile prepararci una piattaforma nuova ed a larga base, che abbia ripercussione non soltanto negli strati popolari, ma anche nei più colti e moderni della borghesia. Pensaci un po’ su, e sappimi dire. Io credo che questo potrà essere il lavoro più utile di tutti, e che per esso potresti abbandonare anche tutti gli altri. Ciao Tuo Matteotti

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Giacomo Matteotti a Filippo Turati

Roma, 12 dic.1923

Caro Turati. 1.Non ho ricevuto risposta alla mia. Frattanto, mentre noi dubitavamo, il “Mondo” si è forse accaparrato Giannini1, e resteremo senza, come si conviene alla gente che sempre rinvia. 2.Abbiamo urgenza assoluta della tessera, e perciò, lasciando procedere le ricerche per il contrassegno, avremmo stabilito di prendere quella con Giustizia e baionette leggermente modificata. Telegrafaci vostro consenso; perché altrimenti non possiamo uscire con le tessere che ci sono urgentemente richieste. Lunedì dobbiamo ordinarle. 3. Mandami un tuo ritratto abbastanza espressivo che cercherò frattanto di farne ritrarre uno simbolico. 4. Ti invio altri due cartoncini con campana e incudine (di Ortona), ma sono troppo quieti. 5.Aspetto urgentemente anche definitiva decisione per Torino. 6. L’opuscolo è pronto; ma è diventato un libro di 200 pagine. Puòmi pare-uscire ora per lo scioglimento Camera. Per unica prefazione metterei le parole qui accluse. Ti accludo anche il sommario. Targetti2 ne ha letta una gran parte e trova bene. Ciao Matteotti

Il Governo fascista giustifica la conquista del potere politico, l’uso della violenza e il rischio di una guerra civile, con la necessità urgente di ripristinare l’autorità della legge e dello Stato, e di restaurare l’economia e la finanza salvandole dal pericolo. I numeri, i fatti e i documenti raccolti in queste pagine, dimostrano invece che mai, come nell’anno fascista, l’arbitrio si è sostituito alla legge, lo Stato asservito alla fazione, e divisa la Nazione in due ordini, dominatori e sudditi. L’economia e la finanza italiana nel loro complesso hanno continuato a migliorare e ricostruir lentamente le devastazioni della guerra, ma ad opera delle energie sane del paese, non per gli eccessi o le stravaganze della dominazione fascista; alla quale una sola cosa è certamente dovuta: che i profitti della speculazione e del capitalismo sono aumentati di tanto, di quanto sono diminuiti i compensi e le piccole risorse della classe avoratrice e dei ceti intermedi, che hanno perduto insieme ogni libertà ed ogni dignità di cittadini.

_____________________ 1 Alberto Giannini(1885-1952), giornalista. Sfumata l’ipotesi matteottiana di una sua condirezione della “Giustizia”, Giannini diede vita nel gennaio 1924 al settimanale satirico “Il Becco giallo”. 2 Ferdinando Targetti (1881-1968), avvocato e deputato socialista nella XXVI legislatura.

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Giacomo Matteotti a Palmiro Togliatti1

Roma, 25 gennaio 1924

Ho ricevuto oggi la vostra lettera del 24 corr(ente) con allegata copia della deliberazione del vostro Comitato centrale già comunicata alla stampa. Voi ci proponete in sostanza un blocco elettorale ma con tre condizioni o pregiudiziali Colla prima e al disopra di tutte voi intendete che l’unione delle forze operaie adotti il programma di azione e l’indirizzo tattico comunista che ben sapete antitetico al nostro, come dimostrano le continue polemiche spesso offensive contro di noi. Colla seconda voi anzitutto approvaste di partecipare alla lotta elettorale in qualunque condizione e quindi veniste a rendere senz’altro impossibile astensione del blocco che più immediatamente e efficacemente esprimerebbe la protesta di tutto il proletariato contro il regime di dittatura fascista. Colla terza voi escludete apriori, come è detto testualmente nel vostro comunicato, “qualsiasi blocco di opposizione al fascismo e alla dittatura da esso instaurata che si proponga come scopo una restaurazione pura e semplice delle libertà statutarie”, magari anche coll’appoggio di elementi non appartenenti ai tre partiti di classe. Imporre tali condizioni pregiudiziali a una intesa-che secondo noi invece dovrebbe mirare avanti tutto in ogni modo alla conquista delle libertà politiche elementari e a trarre il proletariato dall’attuale tragica situazione- significa non solo rendere assolutamente impossibile l’intesa, ma anche vana ogni discussione. Se tale era il vostro scopo, lo avete indubbiamente raggiunto. Ma non vi sarà permessa la solita comoda manovra per caricare su di noi la responsabilità, che è vostra, di aver diviso e indebolito il proletariato italiano nel momento più grave di oppressione e pericolo. Quando ricordiate che la vostra precipitosa sconfessione di una nostra possibile astensione di protesta dalle elezioni è venuta a coincidere colle critiche e ingiurie della stampa e organi fascisti, non vi meravigliate neppure del tono preciso di questa nostra risposta. Il Segr. G. Matteotti

1 Palmiro Togliatti (1893-1964) era all’epoca membro della Direzione del Partito comunista.

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Giacomo Matteotti a Filippo Turati Caro Turati,

(Roma, marzo-aprile 1924)

Vorrei fermare un pensiero, nella tua rivista affinché non abbia neppure il sospetto di ripercussioni elettorali, e prima delle elezioni affinché non sembri più tardi conseguente ad un esisto qualsiasi delle medesime. L’esito darà la misura della violenza e del terrore, non del consenso dei singoli partiti. E vorrei fermarlo personalmente, non come segretario del Partito, tanto più che io sono deciso e spero, subito dopo le elezioni, che mi vorrete aiutare a liberarmi da un incarico che doveva essere provvisorio per due mesi e che si è prolungato invece per oltre un anno.

*** “Anzitutto è necessario prendere, rispetto alla Dittatura fascista, un atteggiamento diverso da quello tenuto fin qui; La nostra resistenza al regime dell’arbitrio deve essere più attiva; non cedere su nessun punto: non abbandonare nessuna posizione senza le più recise, le più alte proteste. Tutti i diritti cittadini devono essere rivendicati; lo stesso Codice riconosce la legittima difesa. Nessuno può lusingarsi che il fascismo dominante deponga le armi e restituisca spontaneamente all’Italia un regime di legalità e di libertà; tutto ciò che esso ottiene, lo sospinge a nuovi arbitrii a nuovi soprusi. E’ la sua essenza, la sua origine, la sua unica forza; ed è il temperamento stesso che lo dirige. Perciò un Partito di classe e di netta opposizione non può raccogliere che quelli i quali siano decisi a una resistenza senza limite, con una disciplina ferma, tutta diretta ad un fine, la libertà del popolo italiano. D’altro canto bisogna tornare a considerare la posizione del P(artito) S(ocialista) I(taliano). Purgato dai terzinternazionalisti e nettamente discorde da Mosca, ormai non è diviso da noi che da minori divergenze teoriche, più o meno equivoche o avveniristiche. Nella pratica e nel momento attuale non vi è poi alcuna differenza rilevante; e si potrebbe anzi dubitare se non sia minore la rigidezza e la combattività, in quelli che riparano sotto il pretesto formale che tutti i Governi borghesi sono eguali Ora, per tali divergenze tutte astratte o proiettate nel più lontano futuro, non è permesso tenere divisa la classe lavoratrice italiana, e toglierle tutte quel lievito di speranze, di ardimenti, di consensi, che soli possono permettere un’azione efficace, entusiastica e concorde nel momento attuale. 6


Il nemico è attualmente uno solo: il fascismo: complice involontario del fascismo è il comunismo. La violenza e la dittatura predicata dall’uno, diviene il pretesto e la giustificazione della violenza e della dittatura in atto dell’altro. I lavoratori italiani, ammaestrati dalle dure esperienze del dopoguerra, devono riunirsi concorsi contro il fascismo che opprime, e contro l’insidiosa discordia comunista; così nel campo dell’azione politica, come nella economica. I fatti del resto lo impongono, anche al di sopra delle nostre minori antipatie, risentimenti, ecc. Se non possono muoversi i Partiti ufficialmente, i socialisti dell’uno e dell’altro campo devono porre la questione e risolverla. Senza ritardo. Le cose non vengono da sé; ma ad opera degli uomini: Il ritardo serve soltanto a diffondere un più largo scetticismo nelle masse, e a lasciare quindi penetrare negli spiriti indeboliti i veleni più opposti. Le obiezioni sono facili e le sento; ma bisogna superale ad ogni costo, per agire rapidamente1. G. Matteotti

________________________ 1 L’articolo proposto da Matteotti non vide mai la luce. Sulla “Critica Sociale “(1-15 aprile) veniva invece pubblicato un commento di Turati contrario ad ogni ipotesi di riunificazione dei due partiti socialisti.

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Giacomo Matteotti a Luigi Lucchini Ill.mo Professore,

(Roma), Maggio 10, 1924

ritrovo qui la Sua lettera gentile e non so come ringraziarla delle espressioni a mio riguardo. Purtroppo non vedo prossimo il tempo nel quale ritornerò tranquillo agli studi abbandonati. Non solo la convinzione, ma il dovere oggi mi comanda di restare al posto più pericoloso, per rivendicare quelli che sono, secondo me, i presupposti di qualsiasi civiltà e nazione moderna. Ma quando io potrò dedicare ancora qualche tempo agli studi prediletti, ricorderò sempre la profferta e l’atto cortese che dal Maestro mi sono venuti nei momenti più difficili Dev.mo G. Matteotti

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SUL RIFORMISMO* COME INTENDIAMO IL RIFORMISMO Ecco una obiezione comune: - Come volete che la grande massa semplice primitiva, non solo oggi, ma anche fra 3 anni, comprenda una tattica così difficile e in apparenza almeno contraddittoria? Come volete farle capire che si potrà avere un ministro socialista con la monarchia essendo antimonarchici; che il socialismo andrà al governo borghese, per rovesciare il sistema borghese? Come volete educar gli animi del popolo alla fede operosa nel socialismo con tutte le sue mete ultime, mentre oggi transigete con l’ambiente attuale? Come volete insegnarli che c’è la lotta di classe quale legge fondamentale della storia e nel tempo stesso fargli fare anche della collaborazione di classe?

Obiezioni gravi e rispettabili, senza dubbio. Eppure noi siamo profondamente convinti (e gli intransigenti stessi sentono che la vita, la realtà, è proprio fatta di tali paradossi, di tali contraddizioni, e chi voglia trasformarla, deve applicarsi ad essa in tutte le sue sinuosità, deve risalirla per tutti i suoi meandri) siam convinti che, se non si voglia rinchiudersi nel puritanismo infecondo nell’intransigenza negativa, o tornar al sogno dell'arto miracoloso che scrolla il mondo borghese, è pur d’uopo accettar queste vie ardue e complesse, piene di svolte e d’insidie, ma le uniche che consentano quella ricostruzione evolutiva della società, che i socialisti si pongono come mezzo e fine, come via e meta della loro fede; a meno che nel fondo dell’anima loro non sonnecchi il vecchio sogno religioso-anarchico, o a meno che poi non sian dei demagoghi che non sanno resistere alla tentazione di carezzare le utopistiche e frettolose speranze delle folle.

Vero è invece che questo metodo penetrativo fatto di fermezza e di interesse fondamentale e di pieghevolezze e duttilità esteriori; fatto di transigenze formali e di intransigenza sostanziale; richiede nei capi, nei sotto-capi e nelle truppe una maturità, un’accortezza, un machiavellismo ed una onestà, una spregiudicatezza e una moralità, un’agilità ed una coscienza, che sono rarissimi a trovarsi insieme. Richiede un lavoro enorme, molteplice, vario; propaganda e organizzazione, revisione teorica e azione pratica, studio ed esperimento, preparazione tecnica per

* “La Lotta", Rovigo, a. XII, n. 34,26 agosto 1911, p. 1. non firmato.

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le riforme legislative, preparazione per l’opera amministrativa nei Comuni; facoltà di comprendere l’ideale e il reale, l’immediato e il lontano: da discernere il lecito dall’illecito; di conoscere l’anima popolare, di non titillarla demagogicamente, ma di non prenderla di fronte ed allontanarla da sé con atteggiamenti ad essa inaccessibili; di accostarla e piegarla, e educarla ad essere astuta ma insieme diritta, pratica e idealistica, socialista insomma: e non dovrebbe esserci bisogno di aggiunger altro!

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VERSO IL CONGRESSO SOCIALISTA * Nel prossimo settembre il partito socialista terrà il suo primo Congresso dopo la guerra1. L’aspettativa è grande; ancora una volta il maggior interesse sarà rivolto al cozzo tra le due tendenze: riformista e rivoluzionaria, o massimalista come oggi si ama dire. Eppure quel contrasto dovrebbe essere da lungo tempo superato, o dovrebbe essere meglio rivolto ad attuare tutte quelle tendenze e tutti quei metodi che meglio avvicinano al Socialismo. Poiché se il Partito rinunziasse all’uno o all’altro dei due mezzi di lotta, esso non farebbe che il gioco degli avversari, precludendosi una via. Mentre talora meglio conviene una riforma, tal’altra conviene uno sforzo violento, secondo ch’è più utile e più opportuno. Qual è infatti il rivoluzionario che, conquistato un Comune o instituita una Cooperativa, oserebbe rinunziarvi o rimanervi inerte nella aspettativa della più grande rivoluzione? Nessuno, spero, che abbia senso pratico delle cose. E allora perché, tante volte, invece di pensare ciascuno secondo il proprio temperamento o secondo le opportunità, ad avvicinare quelle riforme o quella rivoluzione che desidera, perché si perde tanto tempo a dilaniarci a vicenda? Perché, per esempio, al Gruppo Parlamentare (il quale non può certo in Parlamento esercitare altra azione che quella progressiva verso la migliore legge e il migliore Governo) si fanno tutte le accuse di tepidezza o di collaborazione con altre forze o altri partiti; salvo poi a coloro che più gridano, combinare nei propri paesetti, anche dove non ce n’e alcun bisogno, i più disgustosi pasticci? O se ciascuno nel proprio campo si limitasse invece ad attuare o preparare onestamente quel massimo di riforme socialiste o di rivoluzione che gli è possibile! L’errore principale poi è quello di considerare il metodo nostro d’azione non tanto in sé, quanto rispetto all’avversario da combattere; e, come una volta si dicevano transigenti coloro che avevano avvicinato qualche radicale rispettabile, e intransigenti coloro che non avevano trovato un cane col quale andare insieme, così oggi che la borghesia si e staccata più violentemente da noi perseguendo fini nazionalistici, si afferma senz’altro la necessità rivoluzionaria. E non si pensa che il socialismo esige non soltanto la lotta e la vittoria sopra la classe avversaria, ma anche e soprattutto la lotta e la vittoria sopra di noi stessi, sopra i lavoratori medesimi, per togliere i sentimenti egoistici e * “La Lotta”. Rovigo, a. XX, n. 20, 23 agosto 1919, p.l e n. 21, 30 agosto 1919, siglato "S.S.”. 1 Convocato inizialmente a Bologna nei giorni 25-28 settembre, il Congresso nazionale socialista si tenne poi nel capoluogo emiliano dal 5 all'8 ottobre 1919.

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prepararli al socialismo. Ora io domando: quanti che oggi gridano, e giustamente, contro la borghesia, per le sue colpe e il suo egoismo sfruttatore, quanti di essi sarebbero pronti a sacrificare se stessi o il loro piccolo bene, per la collettività? Quanti che gridano contro il proprietario borghese, se possedessero appena un campicello, farebbero altrettanto! E quanti che accusano la borghesia di non pagarsi la sua guerra, stentano a pagare le quote del proprio Partito, o non si sono ancora sforzati di istituire una Cooperativa, o non sanno intraprendere una affitanza collettiva per mancanza di fiducia tra gli stessi compagni di lavoro! E allora? Si pensa forse che la rivoluzione, cioè l’immediato abbattimento del Governo borghese, darà senz’altro alla massa, come per forza magica, quelle virtù che non ha? Se su 1000 lavoratori inscritti in una Lega perché ne aspettano l’aumento di salario, appena 20 hanno la coscienza o il coraggio di inscriversi al Circolo Socialista, si pensa forse che domani con la rivoluzione diventeranno tutti dei buoni socialisti? O non si dovrebbe temere che essi allora si convertirebbero al Socialismo, in quanto questo sia predominante e ne aspettino altri vantaggi materiali, senza capacità di contributo e di sacrificio proprio? E gli incapaci di gestire oggi onestamente una piccola affittanza in cooperativa, saranno domani senz’altro capaci di amministrare tutta la ricchezza na-zionale divenuta collettiva? Io credo veramente che compiere una rivoluzione sia piccola e facile cosa. Abbattere la borghesia è il meno. Il più è costruire e preparare il socialismo dentro di noi. Ora quando la massa sarà pronta ed educata al socialismo, la rivoluzione avverrà da sé, per forza di cose. Ma appunto per ciò noi dobbiamo compiere giorno per giorno quella più difficile ed aspra opera di preparazione, la quale non si riassume in un facile grido incomposto o in una momentanea ubriacatura, ma è la vera opera rivoluzionaria e socialista, fatta di coscienza e di sacrificio. Però oggi due fatti nuovi inducono a più celeri e decisive rivoluzioni. Sono essi la guerra e l’esperimento di Russia. *** I massimalisti al Congresso Nazionale del Partito

Si afferma dai sostenitori del massimalismo che i risultati della guerra segnano per l’Italia l’imminente crollo del regime borghese, e l’inizio del periodo rivoluzionario. Ma si esagera alquanto. La borghesia e gli altri regimi antichi hanno avuto tante guerre, tante distruzioni e con esse tanta miseria tanta carestia tante epidemie, che allora l’apertura del periodo rivoluzionario si sarebbe dovuta iniziare chi sa quante volte. E anche questa volta, se non fosse una inquietudine generale delle classi lavoratrici, che hanno acquistata una maggiore sensi-bilità, e se non si 12


rassegnano più supinamente, come una volta, alla guerra, alla peste, alla fame; se non fosse la reazione per il confronto tra la tortura della trincea e l’arricchimento sfacciato degli speculatori e degli imboscati; anche questa volta la borghesia su-pererebbe forse la crisi, sia pure con concessioni, con mutamenti, con riforme. Questo solo in sostanza vi è di più e di nuovo oggi - questo risveglio potente del proletariato. Ma è esso formato tutto di coscienza socialista, perché ci dia affidamento per una rivoluzione socialista? Io dubito molto: c’è ancora troppo egoismo, troppo individualismo, troppa invidia, troppa cupidigia nel suo fondo, per po-tercene affidare; e da un proletariato che ancora pochi anni fa non rispondeva allo sciopero contro l’impresa della Libia, o al quale bastava il tradimento di un volgare e venduto demagogo, per non sapersi più opporre all’intervento nella guerra europea - ancora troppo poco c’è da sperare. Ed è ancora demagogico, nel programma massimalista, “i sensi umanitari di profonda avversione alla guerra”, quando ci si propone di sostenere una ben più lunga guerra contro le borghesie interalleate; e dire che “i miliardi non saranno più dati a strumenti di morte ma alla educazione, al lavoro, alla vita” 2, quando tant’altra ricchezza dovrebbe esser distrutta in violenze nazionali e internazionali. Bisogna avere il coraggio di dire al proletariato che noi lo chiamiamo ai più grandi sforzi, ai più grandi sacrifici. *** Ma in Russia neppure - si dice - il proletariato era pronto ed educato. Eppure la rivoluzione trionfa e il regime socialista si rinsalda giorno per giorno. L’argomento è forse il migliore, perché è un argomento di fatto. Ma, anche a non dire dell’Ungheria, quanto conosciamo noi esattamente della rivoluzione russa? E vero che le terre sono ancora dei contadini individui e non della collettività? È vero che gli intellettuali, tanto spregiati dal demagogismo, prima maltrattati, furono poi richiamati? E vi si vive più delle ricchezze anteriori ac-cumulate e confiscate, che non delle ricchezze nuove prodotte? E quanto vi è di forza d’inerzia, di tolstoismo, di non resistenza, che permette alla vera Russia di continuare sopportando la guida intraprendente di pochi individui? Noi non sappiamo esattamente. Ed è invece soprattutto bene di intenderci intorno a un grande equivoco, quello che si può celare sotto la frase: dittatura del proletariato. S’intende con essa la prevalenza dei lavoratori sui capitalisti, e quindi l’azione del proletariato per privare la borghesia del potere e della proprietà? E noi siamo per quella, per quella noi sempre combattemmo. O non s’intende piuttosto una specie di potereautocratico che si istituisce, formato da pochi che comandano, in nome si del proletariato, ma senza la effettiva partecipazione cosciente 2 Le citazioni sono tratte dal Programma della frazione massimalista (“Avanti!", 19 agosto 1919, p. 2).

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di questo? E allora la “dittatura” non troppo differisce da quel Governo degli Czar illuminati che si posero contro la nobiltà feudale in favore dei lavoratori; e non troppo ci allontaneremmo dai pericoli che pochi anni fa scontammo col feticcio rivoluzionario mussoliniano. - Ma allora domanderà il più semplice dei nostri compagni - per codesti dubbi, per codeste difficoltà, per codesti pericoli, dobbiamo noi lasciare ancora il potere alla borghesia incapace che sfrutta i lavoratori e rovina la nazione? - No - rispondo - ma, per ciò, noi non abbiamo bisogno di cambiar nome, e diventar comunisti, né di confonderci con gli anarchici; bensì restiamo socialisti e vogliamo attuare il socialismo. Come - diremo al prossimo numero.

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RELAZIONE SU L’AZIONE ECONOMICA DEL PARTITO SOCIALISTA ITALIANO*1

Il rilievo enorme che negli ultimi anni hanno avuto la forza e l’intervento politico dello Stato, ha diminuito la considerazione dell'elemento economico; e anche il P.S.I., come quello russo, quello tedesco e altri, si sono trovati costretti a sopravalutare l’elemento politico e la conquista del potere (nei diversi modi della penetrazione, della partecipazione, dell’assalto). Eppure anche oggi l’elemento economico si può dire fondamentale; e come prima la grande guerra per es., fu determinata specialmente dalla concorrenza di due gruppi capitalisti, così oggi il fascismo può essere meno superficialmente considerato come un mezzo del capitalismo per risolvere in proprio favore la crisi economica e per sconvolgere le organizzazioni che ormai intaccavano il profitto capitalistico.

La situazione economica Sarebbe interessante una descrizione in cifre esatte dell’economia del nostro paese, in sé e nella sua situazione internazionale. Ma molti dati mancano; altri sarebbero considerati forse ingombranti agli scopi limitati di questa relazione.

Riassumiamo. La guerra ha danneggiato la Nazione in modo analogo a ogni belligerante (sospensione di attività e perdita di energie umane le più adatte al lavoro produttivo; consumo di ricchezza trasformata in materiale bellico o mantenimento dello stato di forza; devastazione di zone d’operazione e deperimenti). Valutata in oro la ricchezza nazionale è diminuita, e gravata di debito estero. Se senza la guerra oggi potremmo essere, poniamo a 10, per la guerra siamo invece appena a 7. La vittoria non ha avvantaggiato affatto la nostra situazione. I territori annessi all’Italia non le hanno apportato quelle ricchezze naturali o quelle materie prime di cui specialmente mancava; sono terre di cui il valore e certamente calcolabile in miliardi, ma poiché su di esse sta una corrispondente quantità di nuovi cittadini, di servizi da assolvere, di rovine da ricostruire, nulla si è aggiunto in proporzione. La prosperità commerciale del litorale sbocco marinaro austro-ungarico è anzi condannata a deperire, passando all'economia chiusa del nuovo Stato. La

* In Documenti pel Congresso (Milano 10-14 ottobre 1921). Relazioni e conclusioni, Milano, Società Editrice “Avanti!”, 1921, pp. 91-95. Il testo della relazione di Matteotti apparve anche sull"Avanti!" del 6 dicembre 1921. 1 Matteotti fa riferimento alla relazione per il Congresso nazionale socialista di Milano in due lettere alla moglie del 16 e 18 agosto: “sto compilando... la relazione economica per il Congresso”; "Ho finita la relazione] al Congr(esso) che mi pare riuscita bene" (G. Matteotti. Lettere a Velia, cit., pp. 359-360).

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vaga speranza delle indennità tedesche può realizzarsi solo a patto di eternare una oppressione francese sulla Germania, che è poi indirettamente la più perniciosa per noi. Anche la produttività, il reddito effettivo della nostra ricchezza, sono forse diminuiti. Dopo una o meno adatte al nostro paese; ora ritardata nella trasformazione, e nonabbonda di iniziative che valorizzino nuove energie o tentino di produrre l’utile nel modo più economico. Il commercio si è sviluppato parentesi di attività eccezionale succeduta alla guerra, per la necessità che ebbero molti, specialmente dei paesi bloccati, di rifornirsi di tante cose, e per l’inclinazione di altri a dilapidare ricchezze facilmente guadagnate (e quindi a qualsiasi prezzo!) è succeduta la crisi, l’arresto. L'agricoltura non ha ancora compensate le minori anticipazioni di fertilizzanti e di lavori durante la guerra. L'industria ha moltiplicati e ingranditi i suoi impianti, ma troppo spesso nelle specie più parassitarle o meno adatte al nostro paese; ora ritardata nella trasformazione, e non abbonda di iniziative che valorizzino nuove energie o tentino di produrre l’utile nel modo più economico. Il commercio si è sviluppato non tanto per ravvivare bisogni e produzione mettendoli in facile comunicazione, quanto piuttosto nel senso di moltiplicare gli anelli e gli ingombri, speculando sugli alti costi e sulle incertezze del mercato. Le categorie parassitane e intermediarie sono aumentate. La resa di lavoro degli uomini è, in genere, diminuita. L’emigrazione ridotta a pochissimo e spostati gli emigranti richiamati per la guerra. Conseguenze Così, mentre la forza apparente politica e militare d’Italia è cresciuta, costringendoci a mantenere tutto un apparato corrispondente, si è aggravata invece la sua deficienza e dipendenza economica, che annulla quella forza o la mette necessariamente al servizio di maggiori Potenze. La disoccupazione ha già toccato mezzo milione di lavoratori e ne costringe quasi altrettanti ai turni; la disoccupazione stagionale agricola aumenterà anche per la rottura violenta di alcuni patti che imponevano lavori e turni. Il reddito diminuito è consumato per la massima parte nei bisogni giornalieri transitori, e minimamente nella costituzione di nuove ricchezze che soddisfino ed elevino il tenore di vita (case, comunicazioni, istituti, ecc.). Gli Enti pubblici, lo Stato specialmente, per i loro bisogni ordinari di cassa assorbono una massa enorme di denaro che non s’investe più in nuove imprese produttive. Diminuisce l’importazione; ma l’esportazione è sempre più lontana dal compensarla vantaggiosamente, così che l’equilibrio con l’estero e stabilito mediante un consumo effettivo della ricchezza interna, un indebitamento, e quindi un immiserimento del paese. 16


Il cambio riflette cotesta situazione: i costi della vita rimangono alti; il potere d’acquisto della nostra moneta minimo, nonostante sia diminuita la circolazione cartacea e cessate altre pretestate cause. Quando la crisi del riassetto economico in Inghilterra ed in America precipitò i prezzi per risanare il mercato, parve per un momento che ne potessimo beneficiare anche noi; ma fu più forte la sfiducia all’Estero nella nostra situazione, e la speculazione all’interno che rinviò, aggravandola, la risoluzione della crisi. L'azione della classe capitalista Qual’è infatti l’atteggiamento del capitalismo nostrano nell’attuale condizione di cose? Esso segue nel suo complesso e apparentemente, la linea del minimo sforzo. Invece di ricercare con passione e con forza, le nuove forme economiche di produzione e di espansione, invece di affrettare la valorizzazione e l'utilizzazione delle energie, di sperimentare le industrie più adatte al nostro paese e di procurarsi i nuovi sbocchi all’Estero esso persegue codeste vie: a) il protezionismo doganale: che mantiene artificiosamente alti i prezzi, isola gli Stati, fa succedere alla guerra militare, una più disastrosa guerra economica, estingue i commerci, mantiene o sviluppa preferibilmente industrie inadatte, costose, parassitiche, ostacola il soddisfacimento dei bisogni migliori che creano, a loro volta, un ambiente di migliore ricchezza e civiltà. Esso corrisponde a quella stessa mentalità che ha moltiplicati gli staterelli di Europa, in eterna lite tra di loro e alle dipendenze delle potenze più forti. b) il parassitismo statale - per cui, quando non si investono addirittura i capitali negli inerti e abbondanti titoli di Stato, si chiedono continuamente allo Stato sussidi, privilegi, forniture, nella illusione, alimentata dalla guerra, di una facoltà di indebitamento senza fine, e a carico necessariamente di tutti gli altri cittadini. c) la disgregazione delle organizzazioni operaie e la riduzione dei salari. La disoccupazione, oltre che una conseguenza della economia capitalista, è anche desiderata per procurarsi una maggiore e più arrendevole e meno costosa offerta di mano d’opera. Il fascismo, che si orpella dappertutto di moventi politici e patriottici, non ha una base salda e durevole che là dove esso serve e può quindi essere alimentato a scopo di disgregazione dell’organizzazione; non l’osa troppo l’industria perché può irreggimentarlo solo fuori di se stessa e teme che le si rivolti, ma persevera l’agraria che può direttamente parteciparvi identificandolo nel suo interesse. II capitalismo italiano tenta di ritornare ancora al tempo nel quale, nonostante la sua minore capacità, sopportava la concorrenza straniera anche con la meschinità dei salari, e a prezzo della miseria generale della nazione. 17


L’azione della classe lavoratrice Quale può essere allora l’azione più utile della classe lavoratrice? Nel primo periodo postbellico per la urgenza del proselitismo, per la necessità di inseguire i rincari dei consumi, e per la stessa psicologia del momento, l’azione sindacale fu rivolta quasi esclusivamente alla irreggimentazione e alla richiesta di maggiori salari; la cooperazione parve facilmente profittevole nel crescere dei prezzi; e ciascuno volle faticare di meno. Oggi l’azione è assai più difficile e complessa. Conviene proporsi fini e mezzi precisi. Ma nello stesso tempo, come in politica, anche qui pensiamo che nessun mezzo deve essere, a priori scartato o indicato come l'unico. Quando la bussola direttiva resti fissa nell’interesse della classe lavoratrice e il fine nella socializzazione dei mezzi di produzione e di scambio, tutto può divenire utile nei diversi momenti, nelle diverse contingenze: perfino il sabotaggio, perfino la collaborazione. L’operaio può cessare di contribuire alla produzione, che è base del capitalismo, ma che è anche la sua vita, solo quando possa conseguirne immediatamente o rapidamente una sua conquista definitiva sulla classe capitalista. Quindi tutto bisogna prevedere e preparare, organicamente e tenacemente. Intanto conviene: 1) Rifiutare recisamente ogni complicità della classe lavoratrice con le richieste di dazi, protezioni, sussidi, privilegi statali del parassitismo capitalista. L’apparente momentaneo vantaggio di occupazione e di salario può rimandare all’indomani una precipitazione critica, ma ne peggiora di solito la gravità, e danneggia frattanto tutte le altre categorie di lavoratori, consumatori e contribuenti. Necessita anzi più particolarmente sollecitare e favorire i rapporti economici coi paesi vinti e con l’oriente, superare tutti gli egoismi delle nuove patrie, rinnegare tutti i pretesti politici territoriali e nazionalisti di discordia, anche per scuotere il doppio giogo del capitalismo occidentale, e preparare l’unione dei proletariati più maturi alla conquista. È in questa azione, la condizione assoluta per qualsiasi resurrezione eco-nomica, dopo il disastro della guerra. 2) Resistere alla diminuzione dei salari in tutti i modi, che possano dare una probabilità di vittoria. Gli alti salari, l’imposizione di occupazione, i sussidi per la disoccupazione sono, quasi più che una garanzia di vita per il proletariato, gli stimoli a che il capitalismo compia ancora una funzione utile di avanscoperta della migliore produzione. Ma appunto per questo la resistenza (come in tempi migliori, la conquista di un migliore salario) se può avere una generica utilità socialista per la diminuzione del profitto capitalista, non può essere sempre aprioristica e assoluta; ma intelligente e accorta, fino a consentire un eventuale sacrificio soltanto là dove possa controllare un reale e utile sforzo del capitale e assicurare la più sana e vitale produzione. 18


3) Anche a questo scopo, conviene curare nelle nostre organizzazioni, lo sviluppo e la capacità tecnica dei lavoratori, incitandone il miglioramento e l’interesse alla produzione. Non affinché il singolo esca dalla classe e divenga, a sua volta, uno sfruttatore; ma perché tutte le maggiori capacità si impieghino a profitto della classe; e non solo per aumentare la ricchezza generale, quanto più per controllare prima e sostituire poi la produzione privata con la collettiva. A tale scopo la cooperazione aperta è la palestra e lo strumento più adatto che va però utilmente e economicamente impiegato (non per salvare o mantenere industrie parassitiche, dove l’apparente minor prezzo è scontato poi da tutta la collettività); e che è solido soltanto dove la capacità tecnica del lavoratore e degli elementi che sa associarsi, raggiunga (come avviene già più facilmente nell’agricoltura) o sorpassi potenzialmente quella del capitalista. 4) Arrestare ogni ulteriore investimento di capitali privati in titoli e debiti dello Stato e di Enti locali, in quanto si vogliano consumare nelle necessità ordinarie di bilancio. E questo uno dei modi per i quali la Nazione immiserisce senza accorgersene, si consuma senza produrre, si anemizza l’industria e si mantiene il profitto capitalistico più inerte e gravoso. Conviene invece assicurare agli Enti locali un largo finanziamento (obbligando a contribuirvi anche le Casse o Banche locali e quei privati che ne beneficiano) per opere analoghe a quelle del capo seguente, e per il soddisfacimento di quei bisogni civili e sociali che si traducono in aumento di ricchezza collettiva (case, opere igieniche, ecc.). Anche la questione della circolazione cartacea va considerata, non più secondo pregiudiziali che il capitalismo viola appena gli fa comodo, ma secondo gli scopi da raggiungere e gli effetti reali nei diversi campi e categorie. 5) L’intervento dello Stato e delle sue eccezionali facoltà politiche e di finanziamento, può essere, con la massima prudenza, richiesto soltanto là dove la difesa della prima esistenza o di una transitoria deficienza di industrie e di Cooperative, assicuri uno sviluppo di lavoro e di produzione economicamente più utile. Deve essere invece sollecitato dove esso è quasi indispensabile per sospingere (con sanzioni di espropriazione) o sostituire l’iniziativa privata, nella messa in valore di grandi energie naturali e latenti. I lavori pubblici che oggi sono più urgentemente richiesti per ovviare alla disoccupazione, devono essere quelli che preparano, dentro un piano organico, nuove fonti di lavoro e di energia e gli sviluppi agricoli e industriali economicamente più adatti ai diversi paesi (bonifica idraulica e agraria; colonizzazioni e irrigazioni; rimboschimento e bacini idroelettrici; comunicazioni ed elettrificazioni) costringendo la proprietà inerte a contribuire a trasformarsi o a passare alle più attive associazioni aperte di lavoratori. 6) Per le eventuali eccedenze nel rapporto tra demografia e capacità produttiva del paese, conviene immediatamente preparare un 19


inquadramento delle schiere emigranti con capacità tecnica e di capitale, che sostituiscano alla emigrazione disorganizzata più soggetta allo sfruttamento del capitalismo straniero, la colonizzazione razionale e collettiva, e che, rarefacendo di conseguenza l’emigrazione individuale, la faccia ricercata anziché vietata, favorita anziché taglieggiata. 7) Infine i modi di azione normale e a sviluppo progressivo non devono far mai dimenticare quelli di necessità improvvisa o eventuale, o di maggiore conquista. L’organizzazione fin qui prevalentemente raccogliticcia, deve sapersi dare anche una disciplina d’azione di gruppi e di masse, sulla quale contare per ogni evenienza. Agli impulsi che disperdono energie inutili o che procurano danni e pericoli, bisogna sostituire la più rigorosa disciplina. Occorre coordinare, subordinare, preparare. Senza dimenticare che oltre il proletariato che difende se stesso nelle officine e sui campi, tutti gli organi dello Stato e della Società sono occupati da lavoratori. I lavoratori sono negli uffici dei ministeri come nelle fila dell’esercito: in tutti costoro occorre sostituire all’indifferenza o all’egoismo di categoria, la coscienza di classe e la capacità di cooperare come che sia o quando che sia alla conquista del potere politico e alla realizzazione del Socialismo.

* Da Sul Riformismo, a cura di S. Caretti, Ed. Nistri-Lischi, Pisa 1992, pp. 82-83, 155-159, 295-302.

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SCRITTI SUL FASCISMO* LA VIOLENZA FASCISTA

MATTEOTTI. Se il Gruppo parlamentare socialista ha indicato me per lo svolgimento della sua mozione1, non può essere a caso. Non sono abituato ai grandi discorsi politici, bensì ai discorsi tecnici; quindi il Gruppo, indicandomi, volle che fosse esposto, con la precisione di una cifra, con la schematicità di un sillogismo, il nostro pensiero, per trame da una parte e dall’altra il chiarimento della situazione e la norma della propria condotta. Nella nostra mozione nulla vi è di tutto ciò che è stato detto e che ci è stato attribuito dalla stampa. Noi non ci lagniamo della violenza fascista. Siamo un partito che non si restringe dentro una semplice competizione politica, che non aspira a successione di Ministeri, che vuole invece arrivare ad una grandiosa trasformazione sociale; e quindi prevede necessariamente le violenze, sa che, ledendo un’infinità di interessi, ne avrà delle reazioni più o meno violente; e non se ne duole. È stato detto che saremmo venuti qui a protestare, a lanciare invettive contro il fascismo che ci percuote, e così via. Neppur questo. Siamo i primi a riconoscere le origini storiche, e la necessità del fascismo, siamo i primi a interpretarne la giustificazione economica, a riconoscerne l’esistenza, quasi direi come necessità sociale di questo momento. Non ci dorremo dei delitti, né li racconteremo, né andremo ad investigare come si formano le schiere fasciste... Tutto questo non ha che una importanza assai accessoria. E se anche, qualche volta, dovremo accennarvi, sarà solamente per arrivare con maggior precisione alle nostre conclusioni. È stato detto, in fine, dall’onorevole Giolitti2, che noi qui parleremo in contrapposizione alla mozione presentata dalla destra parlamentare, perché ciascun Partito vuole il Governo al proprio servizio. L’onorevole Giolitti s’inganna completamente. Noi non abbiamo da invocare Governo alcuno a servizio nostro, non abbiamo nulla da chiedere, né al Governo né a nessuno. Qui non si * Da Scritti sul Fascismo, a cura di S. Caretti, 1983, Pisa, Ed. Nistri-Lischi pp. 44-60, 93-97, 300-301, 318-321, 375 Atti Parlamentari, Camera dei Deputati, Legislatura XXV, 1A sessione, Discussioni, tornata del 31 gennaio 1921, pp. 7164-7175. 1 Questa la mozione presentata dai deputati socialisti: «La Camera constatando che gli ultimi episodi di violenza organizzati in varie regioni d’Italia conducono inevitabilmente il Paese alla guerra civile, rilevando che il Governo e le autorità locali assistono impassibili alle minacce, alle violenze, agli incendi da parte di bande armate e pubblicamente organizzate a tal scopo, e le proteggono anche con l’impedire la difesa legittima delle persone, delle Amministrazioni e delle organizzazioni colpite, condanna la politica del Governo. 2 Giolitti aveva costituito il suo quinto ministero il 16 giugno 1920. Rimase in carica fino al 4 luglio 1921.

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tratta di quella abilità, di quelle schermaglie parlamentari, nelle quali l’onorevole Giolitti è certamente maestro. Si tratta semplicemente di chiarire la reciproca posizione in cui, da una parte egli, come rappresentante del Governo, e dall’altra i rappresentanti delle classi dirigenti si trovano, e in cui noi, in seguito alle vostre dichiarazioni, civerremo a trovare, quando andremo a portare ai nostri compagni, al Paese, l’impressione del risultato di questa discussione. Ma vediamo anzitutto e rapidamente la situazione di fatto. Sarebbe impossibile riassumerla in una sintesi, perché essa si sfalda in una quantità di episodi secondari, accessori e diversi; ed ogni episodio a sua volta è snaturato, deformato nel racconto. Si può dire che in questo momento di subbuglio, di violenza, nulla subisca maggiore violenza quanto la verità, quanto l’esposizione veritiera dei fatti. Sembra quasi che la stampa italiana si diletti a questo terribile giuoco di bambini, che l’uno all'altro rimproverano di essere stato il primo, di aver provocato per primo; e. le violenze frattanto continuano. Quando, una ventina di giorni fa. un fascista, di notte, a Rovigo, ferisce tre socialisti perfettamente inermi, come risulta dai rapporti delle autorità, e ferisce gravemente anche uno dei suoi stessi compagni, i giornali come raccontano l’episodio? Così: «Conflitto tra fascisti e socialisti a Rovigo». «Furono sparate (da chi? non si sa?) delle revolverate; rimasero feriti tre socialisti ed un fascista». E il lettore serba cosi impressioni perfettamente false della situazione di fatto. Quando domenica scorsa a Ferrara, le incursioni in camions dei fascisti armati nella campagna, danno questo bilancio preciso della giornata: quattro leghisti feriti di cui due gravemente, due locali di leghe distrutti ed incendiati, venti socialisti arrestati. nessun fascista ferito, nessun fascista arrestato, i giornali intitolano la faccenda così: «Nuovi agguati e nuove violenze dei socialisti ferraresi nelle campagne». È cosi che si racconta la verità! Quando nella notte a Ferrara (come risulta, anche questo, dai resoconti delle autorità e non dalla versione socialista) un gruppo di fornai, che abbandonato il lavoro percorreva cantarellando una strada, è improvvisamente colpito da una scarica di revolverate, una delle quali ferisce un fornaio, il "Giornale d’Italia” del 20 gennaio racconta il fatto così: «Un gruppo di fascisti è stato aggredito nella piazzetta comunale nella notte; furono (sempre indeterminato chi è stato? Non si sa!) furono sparati dei colpi di rivoltella, uno dei quali ferì un passante». E chi ha avuto, ha avuto. Ma quando per contro avviene, e dolorosamente avviene, che un fascista o più fascisti rimangono feriti e uccisi, allora la stampa, codesta parte per lo meno della stampa, muta completamente il tono. Allora sono i grandi caratteri; allora, mentre ancora l’autorità non sa nulla e sta investigando, a due ore di distanza si sa già che sono stati i socialisti a 22


compiere l’eccidio! Si sa che è stato un complotto socialista, organizzato dalla Camera del lavoro! Si sa già che responsabili sono quindi i capi socialisti, e in conseguenza, immediatamente dopo poche ore, si dà l’assalto alla Camera del lavoro, si aggrediscono le rappresentanze del Partito socialista, assessori. deputati, ecc.; allora la campagna giornalistica trascina per un mese un cadavere sulle sue colonne, facendone una speculazione illecita e immonda. Ma non mi voglio attardare sui fatti e sugli episodi, ognuno dei quali può essere a nostra posta, dalle nostre passioni di parte, contorto o deformato, diversamente da quella che è la verità. Io voglio essere più conservatore di quel che non siano oggi i rappresentanti delle altre parti, voglio aspettare i risultati delle inchieste delle autorità. Più ancora: ammetto senz’altro che in ogni partito, che in ogni massa, da ogni parte vi possano essere dei delinquenti, dei male intenzionati, dei violenti. Ma la questione sta più in là di questi episodi, sta più in là di questa ammissione. Il fatto nella sua precisione è questo: oggi in Italia esiste una organizzazione pubblicamente riconosciuta e nota nei suoi aderenti, nei suoi capi, nella sua composizione, nelle sue sedi, di bande armate, le quali dichiarano (hanno questo coraggio che io volentieri riconosco) dichiarano apertamente che si prefiggono atti di violenza, atti di rappresaglia, minacce, violenze, incendi, e li eseguono, non appena avvenga o si pretesti che avvenga alcun fatto commesso dai lavoratori a danno dei padroni o della classe borghese. È una perfetta organizzazione della giustizia privata; ciò è incontrovertibile. Se sui singoli fatti, quelli che ho esposto e quelli che non ho esposti, quelli che la Camera conosce e quelli che non conosce, si può dubitare, questa esistenza di una organizzazione di bande armate, con simili precisi scopi dentro lo Stato italiano, è un fatto, sul quale nessuno può opporre contestazioni. Documenti ne sono i loro stessi giornali che si intitolano come una volta si intitolavano i giornaletti anarchici: "La fiamma”, “L’assalto”, ”Il pugnale” e così via; che portano articoli intitolati: «La parola è alle rivoltelle»; che dicono: «Noi arriveremo anche alla guerra civile». Tutto ciò è detto pubblicamente e pubblicamente risulta da atti, per i quali noi riconosciamo al fascismo il coraggio di esporsi, mentre perdura nella gran maggioranza della società capitalistica del Paese la ipocrisia di non apertamente sostenerlo, la ipocrisia di attribuire le violenze di questi giorni alle più stupide provocazioni socialiste! Per le strade ci sono manifesti che dicono: «Occhio per occhio dente per dente». Nettamente, in manifesti, ih avvisi, in colloqui coi questori e coi prefetti si dichiara di volere abbattere «a tutti i costi» le amministrazioni che hanno testé raggiunto migliaia di voti di maggioranza contro la minoranza dei blocchi. Si afferma che si vogliono 23


abbattere le organizzazioni, si minacciano scomuniche o rappresaglie contro determinate persone: si intima a determinate persone di non frequentare determinate strade, determinati punti. Vorrei sentirmi obiettare dalla parte avversaria della Camera, 'che ciò non è vero; perché anche i vostri giornali dicono che non è vero, che siamo noi che provochiamo! Non è forse vero, per esempio, che nelle città di Modena, Ferrara, Bologna le vie sono percorse da gruppi armati, militarmente indrappellati, militarmente comandali, che hanno spesso le armi in pugno, i quali pretendono o affermano di volere ristabilire un ordine proprio, indipendentemente da quello che è l’ordine governativo, l’ordine dell’autorità? È vero che si va ai funerali oggi non più con la sola pietà, ma col pugnale tra i denti e le rivoltelle in mano; è vero o non è vero questo? È vero che nell’ora del passeggio, dalle città maggiori, per esempio Ferrara, davanti alla cattedrale, partono camions pieni di fascisti armati, qualcuno con due rivoltelle nelle mani, e sfilano allegramente per le strade, con canti di vendetta, senza che alcuna autorità si muova? E per chi ancora non credesse, per chi ritenesse che queste nostre parole siano esagerate, rileggerò quello che con magnifica e rara sincerità hanno affermato il “Giornale d’Italia”, organo della sopravvissuta reazione, e l’“Avvenire d’Italia”, organo dei cristiani di Bologna. (Interruzioni dei deputati Siciliani3 e Cappa4 - Scambio di apostrofi vivaci tra questi e il deputato Ferrari5 - Vivi richiami del Presidente). «Tutti i giorni partono delle spedizioni. Un camion carico di giovanotti (non c’è il ministro delle Finanze, per chiedergli se i camions non possono portare persone non addette allo scarico!) va al tale paese, si presenta al tale capolega. Si tratta prima; o il capolega cede, o la violenza terrà luogo della persuasione. Accade, quasi sempre, che le trattative raggiungono lo scopo, se no la parola è alle rivoltelle... I racconti, gli episodi e gli aneddoti delle spedizioni fioriscono durante la giornata. Le rivoltelle sono le compagne, le amiche legittime, oppure no. inseparabili dei racconti; occhieggiano e luccicano da ogni tasca. Ci si domanda con la maggiore naturalezza di questo mondo: quanti colpi hai? E si vuole sapere quante rivoltelle e di quali tipi... ». Tali sono in semplici linee gli aspetti della jacquerie borghese che nel ferrarese combatte una battaglia di portata nazionale. Tale è la descrizione sintetica e magnifica, che noi non potremmo fare con parole più precise, di quello che avviene e determina realmente in 3 Luigi Siciliani (1881-1925), eletto deputato nel 1919 per la lista dei combattenti, fu confermato nella XXVI e XXVII legislatura aderendo al gruppo parlamentare nazionalista e poi a quello fascista. 4 Paolo Cappa (1888-1956), deputato del Partito popolare nella XXV, XXVI e XXVII legislatura. Dopo il delitto Matteotti partecipò alla secessione aventiniana. 5 Enrico Ferrari (1887-1969), eletto deputato nel 1919 per il Partito socialista, aveva aderito nel gennaio 1921 al Partito comunista.

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quella regione la situazione attuale. Almeno i fascisti e codesti giornali reazionari e clericali hanno il coraggio di dirlo, mentre i manutengoli di quello stesso fascismo, tutti i giornali e partiti democratici che oggi si sono nascosti, per ripararsi dietro il fascismo, tacciono vigliaccamente e vigliaccamente adducono come scusanti le provocazioni socialiste! Ma allora che vale raccontare i singoli episodi di chi sia stato il primo a provocare, se il tale che non si levò il cappello o il tal altro che lanciò un’invettiva, quando c’è un’organizzazione premeditata di queste violenze, di questa giustizia privata, di questa rappresaglia? I funerali di Modena6 si svolgono tragicamente; ma già parecchie ore prima che avessero luogo gli incidenti, il prefetto di Modena era stato avvertito, e una staffetta partita da Bologna per Modena aveva annunziato che nella serata sarebbe avvenuto l’incendio della Camera del lavoro di Modena e della casa del collega Donati7! Certo è dunque che nelle violenze fasciste non è da vedersi una pura e semplice ritorsione o risposta a singole e occasionali violenze proletarie. Contro le violenze proletarie la classe borghese possiede una quantità di strumenti che sono stati spesso usati, e che sono ancora in uso; possiede leggi, carabinieri, carceri, manette, e, quando è stato il caso, li ha adoperati! Sono stati distribuiti anni di galera ai nostri, ai proletari, in molti casi, per violenze usate, e quando sulle piazze d'Italia la forza armata ha steso per terra dei proletari, nessuno di quella pane ha protestato. La sensibilità capitalista si è svegliata solamente quando, nell'ultimo tempo, anche sangue borghese è stato sparso. La verità è che la violenza e l’illegalità in cui si pone quella organizzazione armata, corrisponde, in questo momento, ad un supposto interesse della classe capitalistica. Il problema è tutto qui, onorevoli colleghi! Noi non protestiamo, ve l’ho detto fin da principio, non ci lagnamo, non lanciamo né invettive né offese a coloro che coraggiosamente adempiono la missione fascista. Ma domandiamo: quale partito, quale frazione assume qui dentro la responsabilità di questa organizzazione armata extra-legale, nel territorio dello Stato italiano? (Interruzioni). Sento che un interruttore ricorre a giustificazioni storiche; senza però osare di assumerne la responsabilità, e perciò le sue dichiarazioni sono meno coraggiose e meno simpatiche degli atti del fascismo. Neppure la mozione dell’onorevole Sarrocchi8 (che pur ha avuto spesso un simpatico coraggio reazionario alla Camera), arriva ad assumersi la paternità e la responsabilità della organizzazione fascista. 6 Il 22 gennaio era stato ucciso lo studente Mario Ruini, uno dei fondatori del Fascio di Modena. 7 Pio Donati (1881-1927), deputato socialista nella XXV e XXVI legislatura. Nel 1926. dopo aver subito ripetute violenze da parte dei fascisti, si rifugiò in Belgio.

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Questa mozione si limita a filosofare in materia, e dice... «Dall’altro lato questa situazione determinò l’istintivo bisogno di difesa e di reazione, ecc.». Si parla cioè di istinto, di bisogni istintivi, ma non si ha il coraggio di assumerne la responsabilità politica, proprio nello stesso momento in cui nei vostri giornali, nelle riunioni private, nelle vostre conventicole, fate l'apologia del fascismo, e deliberate di sussidiarlo, di garantirlo, di continuarne la vita. Non è coraggio civile codesto vostro, o col leghi. Ora questo è appunto il centro della discussione. Vi rivolgete al Partito socialista, e dite: «Voi socialisti dovete assumere la responsabilità di tutte le violenze che i proletari, socialisti o non socialisti, proletari comunque, lavoratori, hanno esercitato o esercitano in qualsiasi momento sulle piazze e sulle vie d’Italia». Voi domandate a noi, partito, di assumere la responsabilità anche di atti che non sono nostri, per il semplice fatto che sono provenienti da lavoratori, e che sono addebitati a socialisti. E noi, che siamo un partito di massa, e di organizzazione, neppure rinneghiamo alcuno degli errori della massa. Siamo anzi pronti a riconoscere che qualche volta possa essere avvenuto che la teorizzazione della violenza rivoluzionaria, che mira a sopprimere lo Stato borghese, e a sostituire lo Stato socialista, possa avere indotto alcuni nell’errore di azioni episodiche di violenza; ma altrettanto prontamente rivendichiamo al nostro partito il diritto di essere direttamente responsabile solo per ciò che esso vuole, e ordina alle sue organizzazioni. Nessun ordine da parte nostra è partito di esercitare atti episodici di violenza, perché noi tutti sappiamo che questi (e ciò è stato ripetuto infinite volte nelle nostre assise di partito, e nei nostri manifesti) non servono alla causa del socialismo, ma la danneggiano, come pure la causa del socialismo rivoluzionario, che vuole instaurare la immediata conquista del potere da parte del proletariato. Non solo, ma anche tutti i nostri giornali, e i manifesti delle nostre sezioni, Giunte, amministrazioni comunali, e Camere del lavoro, pubblicati ovunque si sono verificati questi casi, suonano quasi tutti allo stesso modo: «bisogna ritornare alla vita civile; la lotta di classe deve riprendersi sul terreno civile; gli episodi di violenza sono condannevoli perché non servono alla causa del socialismo». SARROCCHI. Vorrei conoscere la data di queste pubblicazioni. MATTEOTTI. Di tutte le date; e questi manifesti sono a sua disposizione. (Interruzione del deputato Storchi9).

8 Gino Sarrocchi (1870-1950). deputato nella XXIV, XXV, XXVI e XXVII legislatura. Aderì al gruppo parlamentare liberale e successivamente a quello fascista in rappresentanza della componente agraria. 9 Amilcare Storchi (1877-1944), deputato socialista nella XXV legislatura.

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L’amico onorevole Storchi mi chiarisce un’arguzia dell’onorevole Sarrocchi, che io non avevo udita. Egli argomenterebbe, pare, che noi siamo diventati agnelli da quando le prendiamo. (Si ride). Vuol dir questo? Ebbene non ci vuol molto a risponderle, e il collega Storchi, che mi ha suggerito il pensiero dell’onorevole Sarrocchi, mi suggerisce anche la risposta. II fascismo è andato a esercitarsi anche in quelle regioni, come Reggio Emilia, dove mai, mai una sola parola di violenza fu lanciata, neppure in tono generico, neppure riguardo alla rivoluzione sociale; mai! Ed anche nella mia provincia di Rovigo, che posso citare a titolo di onore, non si sono quasi mai manifestati, o in minima misura fatti di violenze, e quei pochi furono sempre repressi dalla nostra predicazione e dalla nostra azione. CORAZZIN10. Mio fratello però lo hanno bastonato! MATTEOTTI. Codesti non sono falli della mia provincia; non confonda. Gli onorevoli colleghi sanno che io in ogni comizio, in ogni riunione... (Interruzioni). Voci al centro. Lei sì, ma gli altri no! MATTEI GENTILI11. Infatti, senza il suo intervento, l’onorevole Merlin12 correva rischio d'essere ammazzato! MATTEOTTI. Ah! quando vi accomoda, io sono il rappresentante del socialismo rodigino; quando non vi accomoda, allora sono gli altri, quelli che razzolano male, i rappresentanti del socialismo rodigino! E notate ancora questo: i vostri giornali, il vostro "Corriere della Sera” or ora. a proposito del Congresso di Livorno, scriveva queste parole: «Il socialismo (lascio la responsabilità dell'interpretazione al “Corriere della Sera”) che ha trionfato a Livorno. si caratterizza nel ripudio della violenza come atto quotidiano di lotta, e come forza operante delle organizzazioni». Ora. proprio nel momento, onorevoli colleghi, in cui voi dite che il nostro partito non si mette sul terreno della violenza, voi esercitate la violenza! E ciò non è. per lo meno, coraggioso. La verità è. onorevoli colleghi, che codesta violenza è esercitata da voi per interesse di classe, per interessi economici lesi, e non contro fatti politici, o in risposta a provocazioni o a violenze singole di lavoratori. E allora se non assumete la responsabilità del fascismo, dimostrate ancora 10 Luigi Corazzin (1888-1946), esponente della cooperazione cristiana, deputato del Partito popolare nella XXV e XXVI legislatura. Perseguitato dai fascisti, fu in seguito costretto ad abbandonare ogni attività politica e sindacale. 11 Paolo Mattei Gentili (1874-1935). direttore del "Corriere d'Italia" e deputato del Partito popolare nella XXV e XXVI legislatura. Nel luglio 1923 fu espulso dal partito e successivamente rientrò alla Camera nella lista fascista. 12 Umberto Merlin ( 18X5-1964). esponente cattolico polesano. Deputato del Partito popolare nella XXV, XXVI e XXVII legislatura. Dopo il delitto Matteotti aderì all’Aventino.

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una volta il vostro poco coraggio, e soprattutto la vostra poca sincerità. (Interruzioni - Commenti al centro). Voi pretendete far assumere al socialismo la responsabilità degli atti che alcuni perversi, non socialisti, hanno potuto compiere a Casteldebole13, contro tutte le nostre direttive, e non volete poi assumere la responsabilità degli atti fascisti. Qui nella Camera, colleghi di tutte le parti, senza eccezione, protestano contro gli atti di violenza cui sia stato fatto segno un collega deputato. Miserabile commedia! Poiché immediatamente dopo, fuori, lanciate il dileggio sui colleghi che sono colpiti, e la vostra stampa miserabilmente li offende, e li chiama vigliacchi, se non oppongono resistenza, o li chiama provocatori se resistono. Perché è sempre così poi: se i socialisti resistono sono dei provocatori, se non resistono, se lasciano passare il nembo della violenza, sono dei vigliacchi che fuggono. Vedi “Giornale d’Italia” che scrive: «E per smentire le vanterie e le minacce che i socialisti fanno al prefetto, appunto perché non avvengano violenze, basti dire che quando i camion dei fascisti si recano in qualche paese, i socialisti spariscono come d’incanto e scappano». Ma a me preme dimostrare, soprattutto, che la violenza esercitata dal fascismo è una reazione, un mezzo, di cui la vostra classe vuol farsi arma per provvedere al proprio interesse. Il fascismo, onorevole Sarrocchi, per lei che corre dietro alle date, è antecedente ai fatti dei municipi di Milano e di Ferrara. Esso è una reazione non tanto contro gli atti di violenza deplorati, quanto contro le conquiste economiche del proletariato. Non sono io che lo dico. È il solito "Giornale d’Italia” che si associa all’’“Avvenire d’Italia” per rilevare che «dal vecchio tronco agrario, cioè da un interesse economico, spunta un nuovo virgulto, il fascismo». Le ragioni del fascismo, dicono i vostri giornali, sono da ricercarsi nella dittatura che il proletariato dei campi specialmente, esercitava in quelle regioni. Ora intendiamo bene in che cosa consisteva quella famosa dittatura. Una voce. Legga la relazione d’inchiesta! MATTEOTTI. Non ancora ho potuto leggerla, ma leggo soprattutto i vostri giornali che mi valgono più di tutte le relazioni, e poiché vivo in quei paesi, e ho le vostre testimonianze, non posso sbagliare. (Interruzioni - Commenti al centro). La dittatura del proletariato nelle campagne consiste essenzialmente in questo fatto. I contadini col patto del 1911. e anche più coll’ultimo patto del 1920. avevano raggiunto queste due conquiste fondamentali: 13 Il 22 gennaio a Casteldebole (Bologna) era stata uccisa la guardia regia Radames Pasquali.

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1) riconoscimento delle loro organizzazioni, e riconoscimento delle leghe di mestiere, con obbligo dei padroni di rivolgersi, non ai singoli individui, ma alle leghe dei mestieri per avere dei lavoratori; 2) imponibilità di mano d’opera. Cioè: poiché i proprietari nella stagione invernale lasciavano volentieri a casa tutti i contadini, e la disoccupazione batteva alle porte, e le agitazioni diventavano pericolose, cosi si stabilì un contingente fisso di mano d’opera che ciascuna unità colturale doveva impiegare; e i contadini si adattarono a che il poco lavoro invernale non fosse dato a vantaggio di una sola famiglia, mentre le altre dovevano morire di fame o emigrare, ma scambiato a turno fra le diverse famiglie dei lavoratori. Così si era arrivati a una maggiore giustizia, a una maggiore civiltà, distribuendo il poco lavoro fra la mano d’opera agricola. Ma questo l’Agraria più non volle; e. dopo aver firmato i patti, vuole infrangerli, perché non vuol sostenere il peso della mano d’opera agricola obbligatoria. Possono benissimo essere avvenuti degli abusi, ma ciò non dovrebbe avere importanza per negare l’essenza di quelle due conquiste civili. Gli abusi sono avvenuti per un fatto molto semplice: che si tratta di strumenti di civiltà perfezionata ai quali non è ancora perfettamente adatta una categoria di lavoratori, ancora purtroppo incolta, e da poco venuta al socialismo, attraverso gli orrori della guerra. Si è anche detto che con quegli istituti diminuiva la produzione. Affatto; la produzione non è diminuita per quegli istituti, sibbene per quei fatti generali economici e psicologici che non sono specifici delle nostre campagne, ma anche di tutte le industrie e di tutti i paesi dove si è avuta una diminuzione di produzione. Ammetto dunque tutti gli abusi e tutti gli inconvenienti; ma. in una società civile. si cerca di eliminarli con i migliori mezzi, e con l’educazione proletaria. L’Agraria, no! L’Agraria organizza la violenza, provoca la violenza, la più sfacciata violenza perché essa è costituita dalla più arretrata parte della borghesia, quella che. per salvare la sua borsa, sarebbe anche contenta di lasciar perire lo Stato, perché nulla le importa ali’infuori di quello che è il suo profitto, e il suo guadagno immediato. (Commenti Rumori al centro e a destra). Gli stessi boicottaggi, le stesse multe (delle quali specialmente si è fatto in questi giorni un can can, riproducendo delle lettere sui giornali che credono di troncare la questione), non vogliono dir nulla. Per i nostri patti agricoli un padrone ha l’obbligo di impiegare tanti contadini. Spesso contravviene e li respinge; allora la Lega giustamente domanda che sia pagato ugualmente, sotto forma di multa, ciò che il padrone non ha pagato ai contadini per il loro lavoro. È logico; è l’esecuzione di un contralto. (Interruzioni - Rumori). 29


La multa è la conseguenza della mancata esecuzione di un contratto privato stabilito tra le due parti con l'assistenza dei prefetti. E voi. organizzatori dell’ordine, voi costituzionali, vi rifiutate di pagare e per non pagare organizzate la violenza privata dentro lo Stato! E i boicottaggi? Anche questi possono essere stati qualche volta male usati, ma non sempre; non si fraintenda. Un padrone non osserva i patti, non impiega il numero dovuto di contadini. Che cosa delibera allora la Lega? Non vi darò più mano d’opera! Quest’i, di solito, il boicottaggio, giusto ed entro l’orbita della legge. (Interruzioni - Rumori - Commenti). Onorevoli colleghi, vent’anni fa il boicottaggio colpiva una famiglia di lavoratori, e quella famiglia era costretta a morire perché non poteva lavorare e vivere; venti anni fa i nostri lavoratori emigravano a torme dal Polesine, e andavano all’estero, perché le vostre Agrarie, arretrate in civiltà, in educazione e in produzione agricola, non li volevano impiegare; allora il boicottaggio era un’arma lecita, poiché la libertà economica dello Stato consentiva al padrone di negare salario e lavoro al contadino, ma non vuol oggi consentire al contadino di negare le sue braccia al padrone! (Applausi all’estrema sinistra). Le Agrarie di Rovigo e di Ferrara si sono riunite nei passati giorni (sempre per dimostrare il fondamento economico, e di classe, non la ritorsione e la violenza che è in queste agitazioni) per progettare come era possibile rompere il patto, e proclamare la serrata nel rodigino e nel ferrarese: e a questo scopo dovrebbe servire anzitutto l’intimidazione fascista, e l’organizzazione degli episodi violenti! Oggi si rinnova, onorevoli colleghi, sotto altro aspetto, più tangibile e immediato. la stessa lotta che ha fatto tremare le nostre campagne venti anni fa. Allora quello che noi domandavamo, e che ottenemmo, era il diritto potenziale di organizzazione. Anche allora, da parte capitalista si negava la facoltà del proletariato di organizzarsi, e in una battaglia appoggiata dall’onorevole Giolitti forse per manovra politica (perché non ho mai supposto in lui direttive in materia sociale) fu battezzato il diritto di libertà. Oggi è la stessa battaglia: allora per il diritto potenziale, oggi per l’esercizio reale del diritto di organizzazione. E siccome l’esercizio reale dell’organizzazione offende. intacca i profitti capitalistici, ecco più forte che mai l'insurrezione dell’Agraria ecco il movimento dei fasci. Lo Stato democratico ha proclamato che dentro le sue leggi, dentro la sua struttura costituzionale, ogni progresso delle classi lavoratrici è possibile. Questo si ripete ma sembra non essere più vero. Poiché c’è qualcuno che lo nega, c’è l’Agraria che lo nega; e mi giova citare qui le precise parole del “Giornale d’Italia": «nelle sfere ufficiali si è ancora alla concezione arcaica, ed insieme fra ideologica ed umanitaria. che dà ai lavoratori il diritto di organizzazione e di sciopero». 30


Questo è il punto, onorevoli colleghi. Non si combatte contro singoli episodi di violenza, non si reagisce contro l’atto di un mal pensante, di un delinquente, ma si vuole agire sullo Stato perché sia negato il diritto di organizzazione e di sciopero ai lavoratori! Quando la libertà economica giovava alla classe borghese perché il proletariato non era organizzato, allora si esaltava la libertà, e si diceva che era la panacea di tutti i mali: oggi che il proletariato, per mezzo della libertà e delle proprie forme di organizzazione. intacca i profitti capitalistici. la libertà viene negata e viene proclamata la violenza contro di essa. (Approvazioni a sinistra). Ed ecco come l’Agraria, assai più che l’industria (perché gli industriali si manifestano alquanto più furbi ed intelligenti degli agrari) ecco perché l’Agraria protegge il fascismo, ecco perché il fascismo nasce e si sviluppa nella zona dove il capitalismo viene intaccato. Il capitalismo aggredito nella borsa, diventa una bestia feroce! Ma non solo le conquiste della libertà di organizzazione; anche le conquiste amministrative e politiche del proletariato si vorrebbero annientare. «A Ferrara, a Rovigo e a Bologna il proletariato rivolge le proprie forze non solo alla conquista economica, ma anche alla conquista delle amministrazioni, dei mandati politici, delle opere pie» dice il “Giornale d’Italia”. Ecco un altro pericolo, ed un altro fondamento della jacquerie borghese di laggiù. Non si vuole che le amministrazioni socialiste funzionino. Basta che accada in una città il minimo fatto di violenza, anche ad opera di persone che non appartengono ad organizzazioni politiche, perchè l’Agraria e gli industriali insorgano a chiedere che le amministrazioni comunali si dimettano! Quelle amministrazioni che due mesi fa hanno avuto sette o ottomila voti di maggioranza sopra il blocco avversario, si dovrebbero immediatamente dimettere in nome della democrazia, del diritto di maggioranza, e dei vostri principi costituzionali. Ma perché si odiano tanto le amministrazioni comunali socialiste? Perché esse hanno anzitutto organizzati i consumatori contro gli esercenti e gli intermediari borghesi che speculavano. Perché le amministrazioni socialiste non somigliano per nulla alle amministrazioni borghesi della fine della guerra e ai vostri commissari regi, onorevole Corradini14, i quali saldavano indecentemente i bilanci comunali con debiti a carico dello Stato, con la vostra autorizzazione. Alla fine della guerra, quando tutta l’economia nazionale era sconvolta, e quando le entrate non coprivano più le spese, alle vostre 14 Camillo Corradini (1867-1928). deputato liberale nella XXV e XXVI legislatura. Era sottosegretario agli Interni.

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amministrazioni moribonde deste la facoltà di far debiti, cosicché tutto il peso ricadde sulle nuove elette. Or devono le amministrazioni socialiste provvedere a codesto sbilancio? E provvedono con tasse sui signori. Ma costoro preferiscono di armare il falsino, poiché pagare non vogliono! (Applausi all'estrema sinistra - Interruzioni – Rumori al centro). Avete ragione di protestare, voi popolari, che vi opponete perfino al vostro Governo quando emana gli ordini di disarmo; voi, cristiani, che dovreste presentare l’altra guancia, voi stessi sottoscrivete le mozioni contro il disarmo. Voi vedete che in quelle regioni la rivoltella è diventata il pane quotidiano, perfino dei bambini; ma voi insorgete contro il disarmo... Potremmo se mai, lagnarci noi del disarmo, perché sappiamo classisticamente che tutte le leggi sono applicate dalla borghesia a suo favore; perché voi avete l’organo applicatore delle leggi nelle vostre mani; perché sappiamo che resteranno armati gli ufficiali e gli exufficiali, i quali pur formano il grosso delle bande fasciste; perché al contadino, tolta l’arma che possiede, non gliene rimane altra, mentre ciascun fascista o agrario ha dietro di sé il rifornimento della forza pubblica e del regio esercito! Ma anziché noi, partito di rivoluzione, vi lagnate voi, partito di conservazione, e voi cristianissimi del centro. (Interruzioni - Commenti Rumori al centro). Ora. le responsabilità non le assumete; ma consigliate o provocate i fatti che accadono; badate a quello che fate! (Commenti). La sorpresa, la non abitudine delle nostre masse a codesta lotta malvagia e barbarica della violenza episodica (Rumori a destra), ha disorientato le nostre organizzazioni. Lo scompiglio di esse è proprio determinato dal fatto che ad esse manca l’abitudine della barbarie. (Approvazioni all’estrema sinistra - Rumori). Ma se voi continuerete, non voi avrete la conservazione, non noi la rivoluzione, ma si sarà, purtroppo, creata la guerra civile, e la dissoluzione del Paese. (Rumori - Interruzioni). E vengo alla seconda premessa del nostro sillogismo: l’azione del Governo. Il Governo presume di essere qualche cosa al di fuori e al disopra delle classi, tutelatore dell’ordine pubblico ecc. Noi invece affermiamo, in precise parole, che il Governo dell’onorevole Giolitti e dell’onorevole Corradini è complice di tutu codesti fatti di violenza. (Segni di diniego dell'onorevole presidente del Consiglio). LOLLINI15. Non è reo confesso, ma è reo convinto! GIOLITTI, presidente del Consiglio dei ministri, ministro dell’Interno. Non lo crede neanche lei! (Si ride). 15 Vittorio Lollini (1860-1924), deputato socialista nella XXI, XXV e XXVI legislatura. Nel gennaio 1922 rimase gravemente ferito a Capua in seguito ad un’aggressione fascista.

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LOLLINI. Non lo avrei detto se non lo credessi! MATTEOTTI. L'onorevole Giolitti l’altro giorno, alla presentazione della nostra mozione si è schermito, dicendo: qui non si tratta affatto di complicità del Governo. Si tratta che l’una e l’altra parte vuole asservirsi il Governo. No, onorevole Giolitti, in questo momento, l’abilità parlamentare è perfettamente inutile. Codesto vostro giuoco, in cui siete abilissimo e sperimentatissimo campione, non vale in questo momento. La questione è molto più semplice. Noi non vi domandiamo nulla! Anzitutto non ci fideremmo di un servitore come voi che sarebbe sempre infedele. Non chiediamo nulla. È la falsità giornalistica che va dicendo che noi chiediamo ali’onorevole Giolitti la protezione. (Interruzioni - Commenti a destra). Noi desideriamo soltanto di sapere con precisione da voi che dite di essere il rappresentante della legge uguale per tutti, il repressore di ogni violenza, se veramente lo siete e se potete esserlo. Noi vi dimostriamo a fatti che tale non siete e non potete essere. Ecco i fatti. Quando un atto di violenza è commesso dai lavoratori rossi, la repressione è immancabile. Per i fatti di Bologna e di Ferrara sono centinaia e centinaia di leghisti e socialisti arrestati. Voci a sinistra. E gli altri no? (Rumori all'estrema sinistra). MATTEOTTI. Sempre la solita storia. Ma voi assumete la responsabilità del fascismo? CODA16. Viva i fasci di combattimento! (Vivaci apostrofi, rumori alla estrema sinistra - Commenti). PRESIDENTE. Onorevole Coda, non interrompa. Facciano silenzio, onorevoli colleghi. MATTEOTTI. Finalmente abbiamo trovato uno che si dichiara responsabile delle bande armate, degli incendi, delle violenze. (Interruzioni a sinistra). CODA. Contro gli assassini ed i teppisti sì! (Rumori vivissimi alla estrema sinistra - Apostrofi del deputato Pagella17). PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, non interrompano! MATTEOTTI. Siamo lietissimi che finalmente si sia trovato qualcuno, che abbia il coraggio di rivendicare la responsabilità del fascismo, e speriamo altresì che i Gruppi, ai quali questi deputati appartengono, rivendicheranno anche la loro responsabilità collettiva con gli atti del fascismo. (Vivi rumori - Commenti al centro e a destra). CAPPA. Contro gli assassini, sempre! (Vivi rumori all'estrema sinistra). PRESIDENTE. Onorevole Cappa, la prego di non interrompere. 16 Valentino Coda (1881-1921), deputato nella XXV e XXVI legislatura. Si iscrisse al gruppo parlamentare di Rinnovamento e poi a quello fascista. 17 Vincenzo Pagella (1879-1944), deputato socialista nella XXV e XXVI legislatura.

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MATTEOTTI. Ritorno al Governo. Vi sono a Bologna ed a Ferrara centinaia di arrestati, mandati di cattura, perquisizioni contro i nostri compagni. Si tenta perfino dalla vostra magistratura e polizia di risalire, attraverso le vie più sottili e lontane di complicità, fino a responsabilità indirette inafferrabili, quando si tratta di violenze compiute da lavoratori. Ma quando si tratta dei propositi pubblicamente manifestati da quella organizzazione che vuole le bande armate, che predica la giustizia privata, che affigge manifestini annunzianti la morte del tale e del tal’altro, che minaccia le rappresaglie contro la tale e la tale altra organizzazione; quando si tratta di tutto questo, la vostra autorità non esiste. Non si vede un solo atto in Bologna, dopo parecchi mesi da che queste violenze si esercitano, contro codesta organizzazione. E noi non ve lo domandiamo, onorevole Giolitti; sappiamo che voi dovete esserne il complice inevitabile. Si arriva a fatti di questa specie: una ragazza porta un garofano rosso; è privata violentemente del garofano; essa risponde con un doveroso schiaffo sulla guancia del fascista; la questura si precipita ad arrestare la ragazza. (Rumori - Commenti). Ma se è minacciato o assalito quel miserabile essere che è un deputato socialista, allora nessuno si muove. Grande scorta d’onore: l’onorevole Corradini in queste cose è irreprensibile: trecento carabinieri! Trecento carabinieri, quando di là non ci sono che duecento giovincelli fascisti, contro i quali basterebbero poche guardie di buona volontà per disperderli e metterli a posto. Eppure in mezzo alla sua scorta d’onore il deputato socialista è percosso, bastonato; ma nessuno dei fascisti è arrestato, neanche momentaneamente; nessuno mai, onorevole Corradini! GIOLITTI, presidente del Consiglio dei ministri, ministro dell'Interno. Ma ve ne sono molti in carcere! MATTEOTTI. Ma non per questo, mai! Quelli che entrano alla Camera del lavoro di Ferrara sono perquisiti; quelli che entrano alla sede del fascio, mai! (Interruzioni). L’incendio della casa Donati e della Camera del lavoro di Modena era stato preannunziato al vostro prefetto di Modena parecchie ore prima che si compisse; e fu compiuto, assistendo la forza pubblica! All’incendio della Camera del lavoro di Bologna assistevano due tenenti colonnelli, carabinieri e guardie, in numero eccedente di gran lunga quello degli assalitori, onorevole Giolitti! Ma non si muovono. L’ordine è di non muoversi. Il portone della Camera del lavoro di Bologna impiega mezz’ora quasi a cedere, a cadere, prima che gli incendiari entrino; la forza pubblica assiste; assistono i tenenti colonnelli, assistono le guardie di pubblica sicurezza, ma nessun fascista, nessuno di coloro che vanno ad appiccare 34


l’incendio, è arrestato; onorevole Giolitti, smentite se potete! Poi vengono i pompieri; arrivano per spegnere l’incendio, opera d’umanità per le famiglie che stanno attorno; si inveisce; la forza pubblica, che pure è affollata nella piazza a cinque minuti di distanza, ancora non interviene. Onorevole Giolitti, smentite! Il “Messaggero” racconta che a Firenze «la valanga dei fascisti non si lascia intimorire dal maresciallo dei carabinieri che si trovava fin dal pomeriggio nella tipografia». È naturale. Può un maresciallo dei carabinieri intimorire i fascisti? E quando al questore di Bologna vanno gli addetti alla Camera del lavoro per denunziare i mobili mancanti, il questore risponde: «Sono ragazzate!». Nelle stanze della questura sta una macchina da scrivere, sorpresa nelle mani di coloro che hanno incendiata la Camera del lavoro: il questore restituisce la macchina ai proprietari, ma non sa, poverino, da chi sia stata consegnata! (Commenti). Quando da Ferrara partono dei camions di fascisti armati, nessuno li ferma per vedere se sono in regola col fisco, che vuole che i camions non portino persone. I camions scorrazzano, dicono tutti i giornali, non sono fermati. Li segue soltanto un compiacente seguito di camions di carabinieri: scorta d’onore! Regolarmente; lo dicono i vostri giornali. Io tutto questo lo posso documentare con i vostri giornali. Arrivano i fascisti nel paese, sparano per aria, lanciando grida e invettive. Qualche contadino stupido, perché questa è la parola che dobbiamo dire, risponde con un vecchio fucile alla follia di questa gente; e i carabinieri sono pronti allora a precipitarsi. e arrestano tutti i capo lega, i lavoratori del paese; poi entrano insieme, lo dice la "Gazzetta Ferrarese”, fascisti e carabinieri, insieme asportano registri, timbri, tavoli e oggetti, ci si trattengono insieme fino a tarda notte, e tutta la farsa o la tragedia si svolge nell’idilliaco consenso fra la forza pubblica e la violenza fascista. Così a Porta Zamboni, a Bologna, dove i carabinieri servirono per perquisire le case di coloro che si erano difesi. Lo stesso carabiniere che a Porta San Paolo di Ferrara, una sera sparò un colpo di rivoltella verso un gruppo di sei persone, che cantavano l’«Internazionale». lascia passare contemporaneamente un carro di fascisti, che, a lumi spenti, entra in città cantando l’inno della vendetta, della rappresaglia. Più ancora: ex-ufficiali ed ufficiali in divisa (non c’è, mi pare, il ministro della Guerra18), partecipano alle spedizioni fasciste regolarmente, continuamente. Vi sono dei vice-questori, che conosco di nome e di vista, e dei commissari che sono conosciuti come amabilissimi frequentatori dei 18 Ivanoe Bonomi.

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locali dove bande armate si organizzano. Il colonnello comandante del distretto militare di Ferrara è un ispiratore dei fascisti riconosciuto, e si presenta come tale. Dopo ogni atto di violenza, così come dopo l’incendio della Camera del lavoro di Bologna, si svolgono colloqui amichevoli tra i capi del fascismo, che si vantano di aver compiuti quegli atti, e le autorità, i questori e i prefetti. Io non accuso, racconto. Ho potuto vedere, e con me ha potuto vedere lo stesso segretario della Camera del lavoro di Bologna, agenti dell'ordine, ufficiali che andavano ad avvisare le organizzazioni fasciste di quello che da parte nostra si faceva, affinché si regolassero c iniziassero le rappresaglie, o andassero ad asportare quegli oggetti, che dovevano essere asportati. A Bologna, dopo l’incendio della Camera del lavoro, i dirigenti ed i segretari delle leghe si avviano alla vecchia Camera del lavoro per riprendere le file della loro organizzazione, e la trovano occupata militarmente, mentre coloro che hanno eseguito l’incendio si riuniscono c celebrano la festa dell’incendio pubblicamente. Alle vittime dell'incendio, ai padroni della casa, è proibito di rientrare nei loro locali. Ma di notte, assistendo la forza pubblica, possono entrare liberamente gli altri ad asportare quegli oggetti, che nella notte precedente non avevano potuto asportare! Mentre parte il vaporino Bazzano-Imola. i fascisti (raccontano sempre i giornali borghesi ). sparano contro quel vapore che contiene degli operai. Dodici carabinieri ed un maresciallo sono sul vapore; smontano, fingono di inseguire i fascisti i quali hanno ferito gravemente due operai, ma nessun fascista è arrestato e nessun procedimento è iniziato. Si diffondono foglietti, di cui ho qui qualche esemplare, senza indicazione di stamperia, ove si minaccia rappresaglia, morte e vendetta contro gli amministratori, contro il deputato tale, contro i leghisti, ecc. Sono distribuiti pubblicamente, nessun carabiniere, nessuna guardia ne impedisce la distribuzione, nessun agente dell’ordine cerca di riconoscere da dove vengano, nessuno s’interessa, e sui muri, sulle cantonate si predica la vendetta con manifesti, anche firmati, senza che le autorità intervengano in alcun modo. E cosi potrei continuare, egregi colleghi, per lungo tempo. Vi ho detto questi fatti, non per sollecitare alcuna protezione, alcun castigo, alcun rinforzo... Dio me ne guardi: sarebbe ridicolo e vano. Noi esponiamo lo stato di cose tale e quale le nostre popolazioni han potuto fin troppo rilevare. Può anche darsi (voglio momentaneamente ammetterlo) che voi siete impotenti a dare ordini alle vostre autorità. I vostri prefetti si mostrano a noi con la taccia del fantoccio impotente; ma i vostri agenti mostrano la faccia dei manutengoli più spudorati. (Approvazioni all'estrema sinistra). 36


Ora. badate! Il sillogismo si conclude. La classe che detiene il privilegio politico, la classe che detiene il privilegio economico, la classe che ha con sé la magistratura, la polizia, il Governo, l’esercito, ritiene sia giunto il momento in cui essa, per difendere il suo privilegio, esce dalla legalità e si amia contro il proletariato. Il Governo (come ò dimostrato dai fatti accennati) e soprattutto le sue autorità, assistono impassibili e complici allo scempio della legge. La giustizia privala funziona regolarmente, sostituendosi alla giustizia pubblica, ed è giustizia sommaria. Dopo mezz'ora d'un racconto magari inventato, si esercita la rappresaglia anche contro chi non è responsabile. È dunque una burla - pensano i lavoratori - Io Stato democratico che dovrebbe assidersi sulla definizione della legge per tutti. Non è dunque vero quello che i democratici hanno detto, che cioè dentro la costituzione è possibile qualunque sviluppo delle classi lavoratrici, qualunque sviluppo del proletariato! E i semi della violenza frutteranno; frutteranno largamente. Il lavoratore che ha vista incendiata la Camera del lavoro, cioè la casa che egli possiede in parte, che ha costruito in parte, pensate voi che possa, nella sua ignoranza e nella sua primitività, non coltivare un pensiero di vendetta verso la casa dei signori che hanno ordinato freddamente la distruzione della sua? Credete voi, onorevoli colleghi, e non vorrei che rispondeste coi soliti schemi, colle solite risa, ma consideraste seriamente lo stato delle cose, credete veramente che codesto seme diffuso largamente, non dovrà fruttare rappresaglie contro le bande armate e lanciate sulle vie d'Italia? Non pensate che questi lavoratori che si sono visti assaliti per le strade perché hanno un distintivo, perché appartengono alle leghe, coltiveranno un pensiero di vendetta contro il padrone che passa per la strada, che va alla sua casa, che circola per il paese? Pensateci, onorevoli rappresentanti della borghesia capitalista! Se l’Agraria imperversa oggi perché è inverno, perché avrebbe piacere della serrata, perché avrebbe piacere di non pagare più i contadini; se gli industriali medesimi pagherebbero volentieri qualche cosa per liberarsi di una parte degli operai in questo momento critico; pensate voi. che i lavoratori più umili e più ignoranti e per questo più rozzi, che sentono la conseguenza del sentimento represso, violato, pensate voi che non possano coltivare sentimenti di vendetta; per il momento in cui le messi biondeggeranno nei campi e il raccolto tornerà alle campagne? (Applausi all'estrema sinistra). Non pensate voi. onorevoli colleghi, non pensate voi classi dirigenti, parte più intelligente della classe borghese, che in questo momento la mina è posta, non alle organizzazioni dei lavoratori, ma alla produzione e alla stessa vita nazionale? 37


Potete pensare che l’organizzazione dei lavoratori che è un fatto immanente, fuori dei nostri sforzi, si possa distruggere cosi? Non avete pensato che tutta questa semente lanciata a piene mani dal fascismo, anche nelle province dove meno c’è stato esempio di violenza, avrà inevitabilmente i suoi frutti? Noi abbiamo lasciato pochi giorni fa quei paesi dopo aver riunite le nostre organizzazioni, dopo essere andati anche di notte, per sottrarci alla vigilanza delle vostre spie, onorevole Corradini, in mezzo alle organizzazioni. Noi abbiamo detto loro: state calmi; non rispondete alle violenze. Lo abbiamo ripetuto in tutti i toni. Ci siamo fatti offendere a sangue dai nostri laboratori. Abbiamo avuto accuse di viltà. Accuse che ci hanno offeso più che non quella della vostra stupida stampa. Ci hanno detto vigliacchi il giorno stesso in cui noi più di tutti avevamo sentito ribollire il nostro animo contro la violenza avversaria. Ma nonostante tutto, abbiamo detto: non bisogna reagire. E ci siamo imposti, anche con la violenza, ai nostri compagni. Abbiamo preso per le spalle qualcuno dei più violenti e dei più pronti alla rappresaglia e abbiamo detto: se qualcuno di voi si abbandona alla rappresaglia, sarà allontanato dalle organizzazioni. Noi andremo a Roma. Aspettate. Colà dovremo discutere civilmente di questo nostro stato di cose. Noi domanderemo in Parlamento conto di questi fatti, domanderemo se il capitalismo assuma la responsabilità del fascismo, domanderemo al Governo se assume la responsabilità completa delle sue autorità e dei suoi agenti. Ma se non ci si risponderà, se la risposta delle classi dirigenti sarà equivoca o insufficiente, o se, nonostante le parole di affidamento, continueranno i fatti, perché questa è la cosa più probabile e ciò sta avvenendo da troppo tempo, allora, se continueranno i fatti, e se continuerà codesta vostra piccola controrivoluzione, che prepara la guerra civile, io vi dico: badate che l’esasperazione è al colmo, badate che anche la nostra autorità sulle masse ha dei limiti, al di là dei quali non può andare. Non domandiamo nulla. Vi abbiamo descritta la situazione quale è laggiù, quale abbiamo visto, quale sentiamo profondamente. Credetemi, onorevoli colleghi, voi dite che amate la patria. Ebbene pensate se. per la irraggiungibile chimera degli agrari di distruggere le organizzazioni proletarie, voi non abbiate a lanciare il Paese nella guerra civile e nella miseria. Per conto nostro, mai come in questo momento abbiamo sentito che difendiamo insieme la causa del socialismo, la causa del nostro Paese e quella della civiltà. (Vivi. applausi all'estrema sinistra). 38


NEL POLESINE

Riprendere la storia documentata delle violenze agrario-fasciste nella Provincia di Rovigo, al punto in cui si fermarono i miei accenni del 10 marzo alla Camera1, non è cosa semplice. Poiché quello che fin allora sembrava ancora episodio staccato e singolare, per quanto ripetuto, doveva poi diventare la cronaca di ogni giorno e di ogni piccolo Comune, moltiplicandosi all'infinito nelle forme più fantastiche che il crudele medioevo o il più inumano regime coloniale abbiano potuto inventare. Nello stesso giorno in cui io mi avviavo tranquillamente con un cavallino a un convegno in Castelguglielmo. e trovavo invece allineati sulla piazza duecento armati che sparavano come pazzi e mi catturavano perché non consentivo a rinnegare né cose dette né pensieri, a Adria andavano invece a sfondare, alle tre di notte, la porta dell’abitazione del cav. Canilli. colpevole di aver adempiuto con zelo i suoi doveri di Segretario comunale anche con la nuova Amministrazione socialista. A forza, c mentre le rivoltelle incutevano il dovuto terrore alla moglie in istato delicato c alle piccole figlie, era caricato egli pure su di un camion, portato alla sede del Fascio di Padova, sequestrato colà per due giorni e poi abbandonato in piena campagna. Quasi nello stesso tempo anche a Contarina si comincia a forzare e invadere le case di notte, a perquisirle coll'intimidazione delle rivoltelle, caricando sul camion le persone (per esempio un certo Franzoso) c poi abbandonandole legate a qualche albero nella campagna. E da allora, borgata per borgata, passa la distruzione, la minaccia, il terrore per tutti i 60 piccoli Comuni del Polesine. A uno a uno. nel breve volgere di due o tre settimane, essi sono invasi di giorno da turbe di centinaia di forsennati, che bastonano chiunque è loro indicato come socialista dagli agrari locali, penetrano nei locali, distruggono il mobilio e asportano oggetti; di notte, a gruppi, con la maschera e i moschetti, sparano a mitraglia per le strade o lanciano bombe, entrano nelle case di chiunque faccia parte dell'Amministrazione comunale, di una Lega di resistenza, di una Cooperativa o simili e. tra il terrore indicibile delle donne e dei figli, minacciano, violentano, estorcono dichiarazioni, impongono cose vergognose, o costringono a fuggire disperatamente per la campagna. In tal modo le organizzazioni non possono più riunirsi, le Case del Popolo, gli Uffici di collocamento divengono inabitabili per il pericolo immediato di incendio e di morte. Le stesse riunioni imposte dalla legge Fascismo. Inchiesta socialista sulle gesta dei fascisti in Italia, Milano. Libreria Editrice Avanti!, 1922, pp. 1622 (seconda edizione aggiornata). 1 Cfr. Violenze nel Polesine.

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divengono oggetto di violenza: una Giunta comunale riunita è comodo pretesto per un gruppo di delinquenti per entrare nel Municipio a imporre dichiarazioni ignominiose, pena la violenza immediata sul posto o quando i radunati rincaseranno. Il Consiglio comunale di Ramodipalo, tranquillamente radunai») per deliberazioni ordinarie, vede invasa improvvisamente l'aula da forsennati sopravvenuti in camions. è forzato a sciogliersi, e i consiglieri devono passare ad uno ad uno tra la doppia fila degli energumeni bastonatoli. Gli Assessori di un Comune presso la Marina sono catturati in camions e portati, tra gli insulti c le minacce di morte, tino a duecento chilometri di distanza, sugli altipiani alpini! Degno ricambio alle violenze dei bolscevichi di Rovigo, che avevano inaugurato il loro Consiglio comunale regalando un mazzo di garofani bianchi alla minoranza assessoria. In un’ultima riunione quasi clandestina degli amministratori degli enti locali e dei dirigenti le organizzazioni dei contadini, io predico ancora una volta di non insorgere. di non resistere, di lasciarsi battere, per la civiltà. Ma invano, poiché un funerale, una bandiera, un nastrino, una cravatta, un gesto, una minima cosa è sufficiente pretesto per le cosiddette spedizioni punitive o per le esplosioni selvagge di violenza. Le autorità tutte, dal Prefetto alla P.S.. dai Comandanti dei Carabinieri ai Pro-curatori del re. assistono impassibili. Il Prefetto si dichiara impotente. Tutto passa impunito, e la legge vale esclusivamente contro l'ultimo contadino che. torturato, osi ribellarsi.

*** Distrutta così ogni tessitura di vita civile, isolato ogni Comune dall’altro, e ogni lavoratore dal suo vicino; la lotta agraria è anche perduta, i contadini chiedono a uno a uno il lavoro ai padroni, e la Camera del Lavoro di Rovigo, già invasa e distrutta nelle sue cose materiali, si scioglie nei primi giorni di aprile. Cessava quindi la ragione prima della violenza. Ma non bastava. Rimanevano ancora dei piccoli centri, nei quali, se la lotta economica era stata perduta, lo spirito era però rimasto fieramente allo; e anche tutti gli altri luoghi, se la massa era terrorizzata, rimaneva tuttavia profondamente fedele nell'anima al Partito che da più di trent'anni in quella terra aveva insegnata la conquista civile. Quindi contro i primi si organizza e si scaglia ancora la spedizione più feroce, accuratamente preparata c combinala eventualmente con i signori Comandanti i Reali Carabinieri. Nei secondi invece si costituisce e si arma, dopo la prima terrorizzazione generale, il gruppetto locale di agrari e di studentelli, che assolda un paio di delinquenti o disertori, indigeni o importati, e con questi alla testa mantiene lo stato di terrore e di schiavitù della popolazione, ripetendo quotidianamente la bastonatura, l’invasione domiciliare, la mascherata notturna, le sevizie. 40


Del primo tipo è per esempio l'assalto a Granzette, minuscola frazione a due chilometri da Rovigo. Prima, per alcuni giorni, ripetuti assaggi dei carabinieri, con perquisizioni ai lavoratori e alle loro case, invasioni di sorpresa alla Casa del Popolo, ecc. Poi i briganti: appuntamento notturno di tutte le squadre armate della Provincia, assalto combinato alla Lega c alle case private. Nessuno si sogna di resistere: ma il terrore c la violenza penetrano in ogni famiglia, presso ogni letto: c si bastona e si distraggono mobili, alimenti, bevande, lune le piccole ricchezze della comunità, e si appiccano incendi. Manca soltanto la vittima designata a coronare l’impresa: il capolega. Ah! quei vigliacchi di capilega non si lasciano più seviziare e uccidere in un letto, dormono randagi sotto un albero o in fondo a un arginello! Va bene, li sostituiranno i vicini di casa; spari contro la vecchia madre, che apre la finestra ma trema di aprire la porta; invasione, distruzione, bastonate al povero Masin che stava calzandosi e va a raggomitolarsi ferito sul letto. A rivoltellate lo finiscono. Vittoria! La moglie è inebetita, ammalata. Una bambina tenerissima è morta per lo spavento. Che importa? Sulle grida terrificanti con le quali i masnadieri chiamano le vittime e incitano se stessi a essere più barbari, e sui singhiozzi dei martoriati, sale ormai il grido della vittoria. Per la civiltà, eia, eia. A Bottrighe è invece un attacco combinato con la forza pubblica. A Porto Tolle, sull'estremo della riva del Po, una azione strategica: una puntata, finta ritirata, imboscata, assalto generale di carabinieri c fascisti riuniti, con emozionante caccia all’uomo e tiro al volo. A Bergantino conquista improvvisa della piazza, tra bombe e moschetti; il piccolo proprietario contadino vede la sua casa invasa, bruciata la rimessa, uccisi il bove e l'asino nella stalla, distrutto il mobilio, sfregiati i ritratti dei parenti morti. Qualcuno preavvisato, riesce a fuggire per le finestre; Stefanoni si rifugia nelle Valli veronesi, perviene nel Vicentino: trova un maresciallo, gli racconta di essere inseguito dai fascisti: quanto basta perché il maresciallo lo arresti, lo tenga in carcere otto giorni, e poi lo rimandi con foglio di via a Bergantino... a farsi massacrare dagli amici fascisti. Il disgraziato si rifugia a Padova; la figlia corre i raggiungerlo; ma dietro di casa il camion delle belve apprende il suo rifugio, supera i cento chilometri di distanza e, nella città medesima, all'angolo di una via. lo sorprendono. lo portano via. Ma peggio ancora dell'episodio straordinario è la vita vissuta quotidiana, divenuta ormai normale in ogni piccolo comune rurale. Il tipo più criminale del luogo è tenuto il despota. I socialisti, cioè i contadini e gli artigiani, cioè gli otto decimi .iella popolazione, sono gli schiavi. Contro di essi tutto è possibile, tutto l'immaginabile. specialmente in cene zone rivierasche del Po. Il gruppetto dei despoti può intimare di rientrare in casa alla tal'ora. di non farsi vedere in piazza, 41


di uscire da un negozio. di presentarsi anche dieci volle al giorno al Fascio, di girare con una corda al collo, di dipingervi la faccia, di firmare dichiarazioni obbrobriose, di non parlare con la data persona o di non salutarla. La consegna delle bandiere rosse (cosi come prima le dimissioni delle Amministrazioni comunali) è stata estorta con le sevizie e le torture più fantastiche, materiali e morali. Il salvacondotto della settimana rossa, o i lasciapassare di Bucco2, sono qui la norma, per esempio su tutta la via da Occhiobello a Ficarolo. E le sanzioni contro lo schiavo sono infinite: dalla privazione del lavoro e dalla fame, alla bastonatura a morte davanti alle donne e ai figli: dalla denudazione alla legatura al palo o al lancio nelle acque del Po. La vita cosi è divenuta nelle campagne un obbrobrio o un martirio. Sono centinaia i fuggiaschi costretti ad abbandonare le famiglie e a cercare requie e lavoro a Milano, a Venezia, sul Piave: alcuni tentano di imbarcarsi per l'America, maledicendo... Ad Ariano è rimasto invece Ermenegildo Fonsatti. operoso, buono, vero amico. Chiuso in se stesso, mutilato del polmone e mutilato dell'anima, dopo la distruzione dell'organizzazione e deH'amministrazione. Le belve andarono di notte, divise in gruppi, alle diverse case. Con le solite minacce d'incendio, fecero scendere lui sulla strada, conscio del martirio, perché non vedessero i figli. Lo bastonarono fin che tu morto. Dopo morto ancora gli spararono addosso. Così voleva accertare il medico dottor Sevesi. e allora anche il medico fu bastonato a sangue; mentre un altro gruppo sorprendeva, bastonava e lanciava nel Po un altro amico suo. il Celeghini. Quanti morti: e dei migliori! Quanti feriti o malmenati; forse quattro o cinquemila! Quante case devastate, incendiate: più di trecento! Quante altre perquisite o invase nel terrore delle famiglie; forse più di mille! Le donne stesse bastonate a sangue nelle loro case, come la signora Eletti, che all’onda prepotente degli invasori ripeteva intrepida: Viva il Socialismo! *** In tale regime di vita, mettete anche la lotta elettorale. Per i Partiti dell'ordine dovrà essere un trionfo. Sequestrata tutta la nostra stampa. Proibito alla tipografia di stampare il nostro settimanale. Intercettato l’’“Avanti!”, con minacce ai rivenditori 2 Ercole Bucco, deputato socialista nella XXV legislatura. Nel 1920, come segretario della Camera del lavoro di Bologna, si era distinto durante la vertenza agraria per la forte radicalizzazione impressa alle lotte bracciantili.

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o addirittura con imposizioni agli Uffici postali. Di comizi o manifesti non si parla. Pacchi di schede, spediti per ferrovia, per posta, per carretto, a mano, o in bicicletta sono tutti sequestrati. E sequestrati i portatori, come quei due giovani padovani. Menato e Zanovello. che tentano portare nel Polesine una valigetta di schede; perquisiti e sottoposti a interrogatori estenuanti, poscia caricati su un camion, trasportali di qua e di là nella notte, e chiusi per ultimo in una stanzetta di 2 x 3 metri, con gli occhi bendati notte e giorno, sulla paglia, mentre gli aguzzini si divertono ogni qual tratto a sparare loro accanto o a discutere di qual genere di tortura farli perire. Il Prefetto dopo quattro giorni rassicurava le famiglie che i giovanotti stavano bene. Perquisite tutte le case dei più noti socialisti per ritrovarvi le schede. Ridotti a letto a furia di bastonate Bellini, Ruzzante, Fintello, il mutilato Bonafin di Lendinara. e infiniti altri, affinché non si potessero muovere. Le notti del venerdì e sabato, bombe e spari a migliaia per terrorizzare. E decine e decine di nostri buoni compagni, banditi addirittura dalla Provincia per decreto dei Fasci, almeno fin dopo le elezioni. Impedite perfino le pratiche legali, sequestrato e minacciato il nostro coraggioso delegato della lista Belluco. Quasi tutti i nostri rappresentanti di seggio, intimati a non presentarsi o violentati, come il Lenoni e il Franchi. Un giovane ardimentoso, decorato al valore e mutilato. Germani3, che tentò per tre volte da Padova di entrare nel Polesine per compiervi le funzioni elettorali prescritte dalla legge, fu replicatamente fermato, impedito e bastonato, fra l’altro da un condannato per diserzione, che egli riconobbe e che pretendeva di insegnarli l’amor patrio! Ad Arella nella notte, tre compagni vanno a trovare i fratelli Ferlin. nascostamente. per avere la scheda socialista. Gli agrari se n’accorgono, circondano la casa; vogliono entrare a forza; uccidono con una rivoltella il Ferlin. Il fratello come un leone si difende con un coltello e ferisce due degli assalitori; il giorno dopo arrivano sul posto i camions della rappresaglia: case, bestiame, mobili dei contadini, tutto distrutto, ucciso, incendiato, in nome della produzione nazionale. Così almeno mi è stato riferito perché la stampa tace. Dopo le elezioni, lacera la violenza? Ah! no. La minaccia era questa: se nel paese si troveranno più di tanti voti socialisti, tutte le case dei colpevoli saranno messe a-ferro e a fuoco. E a Polesella, a Borsea ed altrove, sono a centinaia i bastonati, i martorizzati. i banditi dalle loro case, perché colà furono troppi i voti socialisti. Passano i giorni. Ma la schiavitù dei lavoratori nel Polesine deve continuare intera, perfetta. C’è qualche bandito che passa di paese in 3 Giuseppe Germani (1896-1978). medico. Nel 1932 venne condannato dal Tribunale Speciale per il tentato espatrio clandestino della vedova Matteotti e dei suoi tre tigli.

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paese a dare lezioni di delinquenza. E ancora ieri sera il piccolo Pozzati di Cà Vernier veniva legato mani e piedi ad un albero e bastonato. Le Autorità, il Governo, la Giustizia, assistono complici spudorati. E tutta la stampa vigliaccamente tace; non parla mai del Polesine, perché non vi può trovare neppur l’ombra della provocazione socialista o dell’agguato comunista.

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L’ORA DEI GIOVANI

E solo un consiglio va dato ai giovani. Quello di essere giovani - di non essere abili - di non diventare precocemente vecchi e prudenti! C'è già tanta gente prudentissima intorno, quando la prepotenza trionfa, che non v'è proprio bisogno di predicare la prudenza. Ci sono sempre tante schiene ricurve sotto il dominatore, che non v'è proprio bisogno di insegnare la pieghevolezza. Ah sì, è vero: quando i lavoratori tornarono dalla trincea, memori dei tormenti e delle promesse, e per le strade invidiarono i nuovi arricchiti, urlarono troppo, minacciarono troppo, esagerarono; fu necessaria la predica della misura, della moderazione. della calma. Ma la predica che continuava e persuadeva, mentre la reazione avversaria si scatenava accusando di viltà chi repugnava dalla guerra civile: la predica che continua dopo che la lezione dei fatti e l'espiazione troppo a lungo e duramente si sono infitte nella povera carne tormentala; quella predica non ha più ragione di insistere. Assomiglia troppo a quella forma di viltà, ch’è in uso oggi presso i rivoluzionarissimi, secondo la quale il Governo attuale è uguale a tutti gli altri governi borghesi... SI, noi dobbiamo riconoscere e ripetere: alle maggioranze liberamente esprèsse, il diritto di governare, di dettare leggi c di difendersi dalle minoranze faziose che tentassero sopraffarle. Stolta è la lusinga di redimere il proletariato con la conquista violenta e con la dittatura dei pochi che presumono averne la investitura. Ma. appunto in correlazione a tale riconoscimento, che per noi ò fondamento di vita civile, un'altra cosa oggi importa: il diritto delle minoranze all’esistenza e alla propaganda civile. La disconoscono i prepotenti armati di moschetto e digiuni di conoscenza e di civiltà, che oggi comandano. Non osano più di rivendicarlo gli oppressi, che temono per sé, per le loro famiglie, per il loro salario, per la loro tranquillità. Tocca ai giovani rivendicarlo, con energia, con dignità, con fierezza, con sacrificio, con pericolo! Sacrificio inutile - diranno i prudenti - perché i dominatori hanno gli strumenti della forza, e gli oppressi sono inermi. Sacrificio utile diciamo noi - perche tutte le grandi cause della civiltà hanno dovuto avere prima le loro vittime, i loro martiri, gli inutili eroi, che hanno aperto gli occhi c la strada agli altri. Conviene girare «abilmente» la posizione - dicono ancora i prudenti non prendere di fronte l'avversario formidabilmente armato, ma cercare di avvicinarlo, di rabbonirlo, magari di conquistarselo. “La Libertà”, Milano, a. 1. n.3, 1° febbraio 1924. p.1.

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No, no. i giovani no. non saranno mai «abili»! Essi sentono tutto lo schifo e l'obbrobrio di una situazione come quella italiana, nella quale tra i capi del pentolone fascista la lotta è scatenata... per conquistarsi l'anima di Mussolini; nella quale tra i capi delle democrazie, del liberalismo e del clericalismo, la lotta divampa... per essere benevolmente considerati come amici del fascismo. No, no, i giovani una cosa solo sentono oggi: che il respiro è stretto alla gola, perché non v’è più libertà - che non la scienza e la competenza domina, ma la brutalità del bastone. E i giovani odiano la prepotenza. Essi non tollerano che l'Italia debba essere sempre governata dal bastone: sia esso quello di Radetzky, sia esso quello di Mussolini. Essi sono convinti che anche il loro paese è un paese civile, e può essere governato come gli altri paesi civili. Essi non sopportano codesta stigmate di inferiorità nazionale. E tanto meno sopportano che in una Nazione moderna vi siano ancora due classi diverse di cittadini: i dominatori fascisti, con tutti i diritti, compreso quello dell'impunità per assassinio - e gli iloti che non possono né muoversi, né pensare. Anche se materialmente essi subiscono tale stato di cose la loro mente, il loro sentimento vi si ribellano. Anche se la violenza cessa dall'essere atto, essi sentono che è in continuo stato di potenza, e domina con la paura e col terrore. E per i primi, in prima linea, appena possono, come possono, vogliono rivendicare il diritto di vita, di pensiero, di parola, di cittadinanza. Vogliono essi, che sotto ogni altro riguardo sono disposti ad apprendere dagli altri, vogliono essi in questa materia dare a tutti l'esempio della dignità umana, che invincibilmente risorge e chiama intorno a sé tutti gli oppressi dal privilegio politico c dal privilegio economico.

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LA SITUAZIONI ELETTORALE

Il Partito socialista unitario ha presentato le sue liste, forse voterà, avrà magari dieci o dodici deputati nel futuro parlamento; ma non per questo accredita la finzione elettorale, cui guarda con sdegnata mortificazione. L'elezione vorrebbe essere il mezzo per conoscere ed attuare la sovranità del popolo, quindi il momento più alto della libertà e della dignità di una nazione. Invece il fascismo la dichiara come il più «trascurabile» e «sgradevole episodio». Esso rivendica continuamente anche nei discorsi del Capo del governo, di essersi costituito «al di fuori di tutti i partiti e del parlamento» e di non rinunciare mai a tale sua posizione. Esso dichiara - nei discorsi di Mussolini - di porre a vigilare i seggi elettorali la Milizia annata fascista, anche se essa è esclusa dalla legge, e promette «piombo» a chi volesse abolito quel corpo costituito senza una legge. Se qualunque altro partito o coalizione potesse per avventura raggiungere una maggioranza contro il fascismo, non avrebbe altro da fare che dimettersi immediatamente, come è avvenuto ad alcune poche amministrazioni comunali che sono state elette in contrasto col fascismo. Niuno ha assicurato con chiarezza agli elettori italiani la piena libertà del voto, ed il rispetto di quello, qualunque fosse per esserne, il risultato. Nessuno. Nessuno la garantisce, sebbene, a delta del fascismo, mai come ora lo Stato sia forte e temuto. Certo vi sono nel fascismo coloro che vorrebbero ritornare alla legalità. Ma sono in maggioranza coloro che la negano risolutamente, per principio e per netta affermazione antidemocratica. E tra i due rimane arbitro il presidente del Consiglio, il quale desidera che all’estero appaia una sembianza di legalità, ma che all'interno permanga se non la violenza in alto, una violenza potenziale, una minaccia «contro coloro che furono generosamente risparmiati dal fascismo nella marcia su Roma», perché solamente così il fascismo ha una maggioranza e può mantenere il potere, contro tutti i malcontenti. (Vedi "Gerarchia" fascista). Il ritornello ò questo: «La rivoluzione fascista è in alto - essa continua nei suoi sviluppi - guai a chi la tocca». Per ciò stesso il Partito socialista unitario non considera queste elezioni che come una fase della violenza fascista alla quale non è possibile resistere con l'arma legale del voto, che è a priori spezzata ed avvilita. *** È superfluo, al punto in cui siamo, documentare questa situazione. In

“La Giustizia”, a. XXXIX. n.78, 30 marzo 1924. p.1.

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molti luoghi i candidati (uno dei quali fu ucciso) non possono circolare nel collegio nonchè stabilmente dimorarvi. Da altri luoghi, chi vi abitava fu bandito. Parliamo degli unitari, e si può dire altrettanto degli altri partiti di opposizione. I comizi? Fa eccezione, tosto confermata... dalla regola, il discorso Turati a Torino; in espiazione. 8 giorni dopo Gonzales1 era impedito di parlare e percosso a Genova. Per il discorso Amendola, tenuto in breve cerchio d’amici, vi fu la mobilitazione delle camicie nere di Campania; Bonomi parlò in un banchetto privatissimo, e vigilato con cospicuo apparato di forze. Giornali? Manifesti? Taluni si stampano; non c’ò (e questo è il peggio) una legge proibitiva. Ogni gruppo locale può vietare, o bruciare, o «misurare» la stampa d'opposizione. D’altronde le tipografie rifiutano esse, per legittimo timore di danni, di stampare le nostre pubblicazioni, come gli attacchini professionali rifiutano affiggerle; come i proprietari di locali non li concedono ai comizi. Non parliamo della condizione dei singoli elettori, nelle campagne e nei piccoli centri; gran parte delle limitazioni ch’essi patiscono alle loro libertà, restano ignote perché essi hanno anche il dovere di tacerle dopo averle subite! Sarebbe ridicolo obiettare che anche in altri tempi vi furono violenze elettorali, e che anche oggi vi sono casi di violenze contro i fascisti. I pochi casi di vendetta personale, inutile e disperata, sono doppiamente puniti, dai tribunali dopo e dai fascisti prima, con rappresaglie, incendi e violenze al cento per uno: mentre i fascisti sono tutti impuniti, anzi esaltati. Violenze elettorali nel 1919? Il fatto è che nessun ricorso elettorale per violenze fu presentato nel 1919 contro i socialisti che pure erano in minoranza. Si ebbero solamente episodi tumultuari nei pubblici comizi, di indole affatto occasionale, non preorganizzati. L’unico che in quella occasione assoldò un corpo armato di legionari. fu Mussolini. E nel 1921. i soli che ebbero le elezioni invalidate e annullale per violenze, furono ancora alcuni deputati fascisti, che oggi il presidente del Consiglio rielegge. Ma oggi la violenza è «sistema» della fazione dominante, senza neppure la possibilità della denuncia e del ricorso, perché l'Autorità è al servizio del Partito che è anche Governo, e a la Giunta delle elezioni sarà in grande maggioranza fascista. E codesto «sistema» non è valso nemmeno a togliere di mezzo gli altri più miti e fraudolenti di Governi precedenti. F. per il meridione, meno accessibile alla violenza abbiamo visto in pochi giorni pubblicati tanti Decreti-Legge di Lavori Pubblici fino alla somma di un miliardo in dieci 1 Enrico Gonzales (1882-1965), deputato socialista unitario nella XXVI e XXVII legislatura.

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anni (vedi "Gazzetta Ufficiale", marzo 1924); per Roma vediamo il convegno dei Sindaci fascisti, a spese dei Comuni e delle Ferrovie dello Stato; per le Società Industriali commerciali c bancarie vediamo spontaneamente imposta là tassa del 2 per cento di capitale azionario a favore del fondo elettorale fascista; per i preti c i vescovi vediamo, in tempo elettorale, raddoppiate o quasi le rendite a carico dello Stato, da quello stesso Partilo fascista che ieri proclamava, in linea di principio. I'««abolizione delle mense vescovili come spesa parassitarla».

*** Quando noi concentriamo le nostre critiche su questa pregiudiziale della libertà, ci si risponde chiedendoci un programma. Il Partito socialista unitario non abbisogna di nuovi programmi. Per primo, tre anni fa. alla Camera l'on. Turati presentava un programma di ricostruzione economica dell'Italia2, che allora un giornale fascista chiamava mirabile: due anni fa il sottoscritto stendeva la Relazione al bilancio dell’entrata, con un dettagliato programma tributario; mentre Treves e Modigliani in numerose occasioni delineavano la nostra politica estera, ribadita nei convegni internazionali a difesa della pace e del nostro Paese; e mentre la Confederazione del lavoro elaborava il programma sindacale. Anche oggi noi riaffermiamo come pregiudiziale la necessità di un regime rappresentativo. espresso dalle libere maggioranze. Quindi anche oggi, ci proporremmo l'assoluto pareggio del bilancio fuor delle spese straordinarie di guerra, anche di contro ai pessimismi giolittiani; e vorremmo l'istruzione elementare e popolare assicurata a tutti gli italiani che oggi ne sono privi; un'istruzione media e superiore rigorosamente selezionatrici dei migliori, non dei più ricchi: una grande politica di lavori pubblici coordinala a lini nazionali di produzione agricola c industriale: una leva militare brevissima con istruzione post- e premilitare generale, e la difesi» del Paese fondata sulla preparazione economico- industriale; lo sviluppo dei liberi sin-dacati operai, fino ad avere capacità di assumere e condurre le aziende nell'interesse di tutta la Nazione, col controllo dei consumatori: il rafforzamento c completamento della Società delle Nazioni contro tutti gli imperialismi... Ma mette conto di esporre alcun programma di fronte a un Governo che professa di averne uno solo: tenere il potere; di fronte a un Partito che non ha altro pensiero che quello che sorge via via dalla mutevole mente del suo Capo? Che valgono i programmi, di fronte a un Partito al governo, che ieri diceva tassazione onerosa dell'eredità, e oggi l’abolisce: che ieri domandava la revisione dei contratti di guerra. e

2 Si riferisce al discorso pronunciato da Turali alla Camera il 26 giugno 1920. Pubblicato sulla "Critica Sociale”, il testo dell'intervento fu poi raccolto in un opuscolo col titolo Rifare l'Italia (Milano. Lega Nazionale delle Cooperative. 1920).

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subito poi l'ha soppressa? Di fronte a una parte che ti risponde: «Noi siamo la Nazione, tutti gli altri sono antinazionali, quindi noi soli abbiamo il diritto di comandare»? Che elezioni sono queste, dove i 390 candidati eletti da Mussolini, neppure vi sanno dire sicuramente se essi vorranno o no riformare la Costituzione, e mantenere o no le prerogative del Parlamento, ecc.? Codeste non sono le elezioni. Il Partito socialista unitario vi ha partecipato esclusivamente, perchè i suoi dirigenti non possono confondersi nella marea dei fuggiaschi e delle schiene ricurve davanti al dominatore. Ma non può parlare di una sua attività elettorale, non può parlare seriamente di elezioni. Unico logico atteggiamento, abbiamo già detto, sarebbe stata un’astensione generale. Ma fu primo il Partito comunista a rompere la possibilità di un accordo, e gli oscillanti massimalisti (osto lo seguirono. Il fascismo trova nel suo avversario, che gli somiglia, un naturale alleato. Se il Comunismo non ci fosse, il Fascismo lo inventerebbe, perché esso è il pretesto alla sua Violenza e alla sua Dittatura: esso è lo spettro, di fronte al quale le classi medie e produttrici subiscono la violenza c la dittatura attuali. I due sistemi oligarchici si giustificano e si «tengono» a vicenda fino a quando il popolo italiano lavoratore, come ogni altro popolo civile, non acquisterà dignità e forza sufficiente, per negare ad essi l’arbitrio di dominare e di opprimere, e per rivendicare a sé il proprio diritto di decisione, secondo la volontà delle maggioranze liberamente espresse.

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IL VIBRANTE SALUTO DEL SEGRETARIO DEL PARTITO SOCIALISTA UNITARIO*1 Salutiamo con viva solidarietà la gioventù italiana che leva la bandiera della libertà. Essa sola, nella purezza dell'ideale e nell'ingenuità dell’azione, può. deve resistere alla violenza organizzata a sistema. Essa non può tollerare che l’Italia, sola di tutte le grandi nazioni civili, sia ritenuta ancora incapace d'altro governo che quello della dittatura. Dalle Università che rivendicano la loro autonomia scientifica; dai Comuni di dove la tradizione italica ha cacciato il Commissario del dominatore, dai campi e dalle officine dove si tenta di ribadire l'antica schiavitù, raccoglietevi tutti, o giovani, in un solo pensiero. Non basta la casa e il pane. Il primo pane è la libertà. Ad ogni costo, o giovani, dobbiamo riconquistarla all'Italia.

* “Libertà". Milano, a. 1, n. 1. 1° gennaio 1924. p.2. 1 Messaggio di Matteotti al Comitato nazionale della federazione giovanile socialista unitaria.

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SULLA SCUOLA*

SPUNTI UNIVERSITARI!

Lo squilibrio della cultura italiana Poiché è stata sollevata su queste colonne la questione universitaria, 1 vorrei metterne in rilievo qualche aspetto diverso. Anzitutto vi è in Italia uno squilibrio troppo profondo tra l’alta e la minore cultura. A scendere specialmente nell’Italia meridionale, e a levarne via il gruppo intermedio dei sensali d’ogni commercio e dei parassiti che a biglietti di raccomandazione si disputano i piccoli impieghi pubblici, gli uomini sono o dottori o analfabeti. Le statistiche degli anni immediatamente precedenti alla guerra ci dicono che i professori d’Università (ordinari, straordinari e liberi) erano più di 3000, mentre le maestre d’Asilo infantile non arrivavano a 12.500. E, mentre i bambini italiani inscritti agli Asili infantili toccavano appena i 250.000, i giovani italiani inscritti alle Università o Istituti equivalenti salivano a 27 o 28 mila. Cioè una proporzione enorme e incredibile, più che da 100 a 1000; quale in nessuna nazione d’Europa, tranne forse la Spagna, può rinvenirsi. Né si dubiti che quella proporzione segni soltanto lo scarso sviluppo degli Asili. La sproporzionata quota degli studenti universitari ci è confermata anche da altri rapporti statistici: per ogni 100 iscritti alle Università non si hanno neppure 1000 bambini iscritti nelle tre classi elementari superiori dalle quali dovrebbero uscire i futuri uomini probabilmente non analfabeti; e non si hanno neppure 850 iscritti a tutte le scuole medie sommate insieme, Tecniche e Istituti Tecnici, Ginnasi e Licei, Complementari e Normali, Scuole Industriali e Artistiche, comunque comprendano anche otto anni di studio.2 Ciò significa che - di fronte alla massa prevalentemente analfabeta del popolo - la borghesia italiana, piccola e grande, ha finora pensato assai poco a fornirsi di quella media cultura che è necessaria per l’esercizio intelligente delle industrie, dei commerci, dell’agricoltura, cioè per lo sviluppo della ricchezza nazionale; preferendo spingere subito i suoi figli, bene o male, volenti o nolenti, alla laurea universitaria. “Critica Sociale”, a. XXIX, n. 11, 1-15 giugno 1919, pp. 138-139. 1 Il riferimento è a un articolo del prof. Vincenzo Manzini apparso, col titolo La riforma universitaria, sulla “Critica Sociale” del 16-31 ottobre 1918 (pp. 235-237). 2 I dati sono per i soli maschi, e sono dedotti dall’Annuario statistico 1915 e 1916, in riferimento al 1914 e 1915.1 confronti non sono rigorosi, per dati omogenei; converrebbe prendere un anno per ogni studio, ed in rapporto alla popolazione dell’età corrispondente. Ma il fenomeno è così imponente che bastano i dati grossolani [N.d.A.].

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Troppi Avvocati Ora la laurea universitaria è veramente quel segno d’alta cultura, dal quale possiamo aspettarci, nonostante lo squilibrio accennato, benefizi morali e utilità materiali per il Paese? Questo è il secondo punto importante. Per non assomigliare al calzolaio ateniese, limito le mie osservazioni alla Facoltà di scienze giuridiche, senza per questo soverchiamente restringere il campo d’indagine, se, su 4000 laureati annui, quasi il 40% è di laureati in giurisprudenza. E affermo che, da codesta esuberante sfornata annua di giurisperiti, l’Italia attende il minimo di utilità sociale; e vi ravvisa anche il minimo di sostanzialmente alta cultura. Minima utilità sociale; poiché la maggior parte di costoro o ha mirato al titolo più facile solo per mostra o per postulare cariche pubbliche o per concorrere a impieghi che hanno minima relazione con le conoscenze acquistate, o infine per andare a ingrossare le file parassitiche di quell’avvocateria italiana che vive sulla litigiosità di popolazioni arretrate e sulla teatralità retorica dei processi penali, quando non d’intrighi e mediazioni per ogni genere d’affari. Minima cultura; poiché il laureato in legge in Italia, se non ha avuto per suo conto una singolare volontà di apprendere, assomiglia a quegli specialisti di Multatuli,3 i quali, col pretesto delle poche conoscenze raggiunte in una materia speciale, si permettono di dimenticare o ignorare tutto il rimanente. Quindici giorni di esercitazioni mnemoniche sulle famigerate dispense del professore, ormai ripetute fonograficamente, e tre settimane di forbici e di colla per la tesi di laurea, sono sufficienti a fabbricare un avvocato, il quale andrà a portare per il mondo tutti i peccati dell’ignoranza pretensiosa e sofistica. Costì allora bisogna inferire il primo taglio. Lo studio delle leggi deve diventare uno studio serio, per lo meno quanto gli altri. Serio, profondo e difficile: per allontanare da sè tutti gli elementi inutili, per diminuire i parassiti sociali, per dare una vera cultura a chi per vocazione o per intelligenza vuole entrare nelle amministrazioni pubbliche, o difendere nei tribunali. In capo al primo triennio o biennio comune per tutti, un esame generale e accurato deve attestare nell’allievo la conoscenza sicura dei principi fondamentali delle scienze giuridiche e amministrative. Nel secondo biennio o triennio l’allievo frequenterebbe i corsi più convenienti alla sua futura carriera e, col sussidio di una sufficiente preparazione pratica nel quinto anno, dovrebbe affrontare la prova finale, una specie di esame di Stato, che garantisse la scienza, la capacità e la attitudine alla professione da esercitare. 3 Multatuli è lo pseudonimo dello scrittore olandese Eduard Douwes Dekker (1820-1887), autore tra l’altro di Mille e rotti capitoli sulle specialità.

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Del resto, a tutti in genere a tutti gli studi superiori non dovrebbe più essere ammesso alcuno che si trascini a stento per il curricolo delle classi. Chi sa e ha le attitudini necessarie, proceda; chi non sa dev’essere rimandato. La borghesia, che tiene ai titoli accademici e alle sinecure go-vernative come agli ordini cavallereschi o ai benefizi ecclesiastici del Medio-evo, piatisce ad ogni momento dal Ministero nuove sessioni di esami, nuove facilitazioni, in nome della guerra, 4 in nome del terremoto, in nome dell’epidemia e d’ogni altro santo. Così chiunque ha un pacco di cartelle del Prestito nazionale vuol essere sicuro che il figlio diventerà un dottore, e avrà un posto onorevole nella classe dirigente. Ma il proletariato deve esigere senz’altro che gli studi siano aperti solo a chi abbia intelligenza, attitudine e volontà, all’infuori di ogni considerazione economica. I ricchi devono pagare tasse sempre maggiori per tutto il corso degli studi, cessando lo scandalo dei certificati falsi per ottenere le esenzioni, e respingendosi al lavoro manuale quelli che non sanno o sanno poco e male. Per il popolo deve essere resa obbligatoria almeno la scuola elementare superiore; e gli deve esser facilitato, non solo senza aggravio ma anche senza danno all’economia famigliare, con agevolazioni di vitto, di orari, di trasporti e con premi, l’accesso a tutte le scuole integratrici, di preparazione all’esercizio intelligente delle arti e dei mestieri. Non basta più l’elargizione di qualche borsa di studio o il convitto per determinate categorie di persone: occorrono infine provvidenze sicure per ogni figliolo del popolo che dia eccezionali speranze di buona riuscita anche per gli studi di alta coltura.

Troppe Università Ultimo punto. Il numero delle Università è eccessivo. Le ventuno città d’Italia, che hanno, per lo meno, la Facoltà di giurisprudenza, sono anch’esse un incentivo al male; specialmente quando la clientela è assicurata con indulgenze plenarie e dispense da ogni... servizio. In ogni caso il numero va a danno della qualità; poiché non è possibile moltiplicare per venti i Gabinetti, gli impianti, i Musei, le macchine, i palazzi e le cattedre specializzate, che ormai tutti gli studi esigono.

4 Su questo punto si vedano anche gli interventi parlamentari del 22 novembre 1920 e del 10 maggio 1922: “Gli analfabeti sono anche all'Università... perché sotto gli auspici della Minerva, si sono fabbricati i dottori, gli avvocati più ignoranti che mai si possa immaginare; si sono concesse delle lauree soltanto in virtù della divisa militare e dell'onorato segno di aver combattuto in qualche fureria durante la guerra!”; “E già troppo abbondante la fabbrica di asini-professionisti che si è avuta in Italia in questo periodo: asini professori, asini dottori, asini avvocati, asini di tutte le Università e di tutte le scuole, promossi per merito di guerra e per ignoranza di pace. E una vergogna: noi subiremo per dieci, per venti, per trenta anni le conseguenze di questo periodo”.

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Vogliamo allora chiedere alle minori Università di scomparire per lasciare solo i più grandi alveari, ad uso Napoli? No, non vi è bisogno; le piccole città tranquille di provincia hanno particolari suggestioni per la quiete di alcuni studi; e a nessuna vorremmo domandare il sacrificio di una gloriosa tradizione o la rinunzia all’industria degli affittacamere, delle pensioni o dei bigliardi. Ma quando due o tre città di una stessa zona o regione hanno Università, perché rinunzierebbero ciascuna una o più Facoltà a vantaggio dell’altra, con mutuo compenso? Invece di avere numerose Facoltà della stessa specie e mediocri, ogni città potrebbe raggiungere singolare fama e splendore per alcuno studio particolare. A giovani di vent’anni poco importa se dovranno stare duecento invece di venti km. lontani da casa. E dei professori sarà leso forse l’interesse alla nicchia che alcuno si fosse creata; ma non l’interesse reale e morale se, avvicinati in un più grande Istituto e con maggiore ricchezza di strumenti, saranno incitati a gara sulle stesse materie, o se ne distribuiranno i diversi capitoli secondo la maggior competenza.

L’Università di Trieste Ma che andiamo parlando di riduzione delle Università, se Trieste già ne reclama una di più. E dovrà averla, a rivendicazione di quella cultura cui rendevano omaggio concorde tutti i socialisti dell’Austria contro la coalizione dei borghesi nazionalisti di razza diversa, che vi vedevano solo uno strumento di concorrenza e di dominio. Ma nella creazione della nuova Università è anzi la prima occasione per attuare le nostre idee. Si facciano innanzi le città d’Italia, e offrano ciascuna alla città sorella una Facoltà di studii; avanti Catania, Genova, Sassari, Ferrara, e invece di cortei e telegrammi offrano ciascuna un tangibile segno dell’affetto fraterno. E Trieste stessa sappia smentire la diceria che l’irredentismo coprisse gli interessi materiali della borghesia esclusa dagli uffici dello Stato straniero; non eriga una delle solite Università-omnibus, ne crei una tutta propria, che abbia gli studii e le cattedre corrispondenti alle peculiari sue condizioni etniche, geografiche, marittime, commerciali, alla quale possano accorrere tutti i figli d’Italia bramosi di eccellere in quelle singolari discipline, mentre dal Litorale scenderanno in ricambio per le diverse città d’Italia i giovani che in altri studii sappiano distinguersi.

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VARIAZIONI AL TESTO UNICO DELLE LEGGI SULL’ISTRUZIONE SUPERIORE PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole Matteotti, il quale ha presentato il seguente ordine del giorno, sottoscritto anche dall’onorevole Panebianco: 1 «La Camera invita il Governo a predisporre un riordinamento delle numerose Università italiane, per il quale, ridotte al minimo indispensabile le Università complete, si convertano le altre minori in scuole specializzate e quindi più seriamente organizzate e largamente dotate». MATTEOTTI. Il mio ordine del giorno non entra nel merito della legge, ma avrebbe dovuto forse procedere alla legge medesima, se non vi fossero esigenze inderogabili per cui la legge deve passare a qualunque costo. Senza perciò toccare la legge, io desidererei che la Camera coll’ordine del giorno che ho proposto, invitasse il Governo a preparare proposte per l’ordinamento e la sistemazione delle Università. Vi sono in Italia troppe Università. Esse non corrispondono ad una necessità, ma sono semplicemente il retaggio di una antica situazione storica che divideva il Paese in tanti piccoli Stati. Esse non rappresentano una utilità perché se le famiglie hanno facilità di coltivare più a buon mercato il futuro avvocato, il futuro impiegato dello Stato, il futuro spostato; d’altro canto esse sono l’una e l’altra di ostacolo economico, per uno sviluppo di laboratori, per una specializzazione di studi e per il miglioramento negli stipendi e per la selezione dei professori stessi. Io non intendo però di proporre l’abolizione di alcuna sede di Università; non desidero di offendere la tradizione di nessuna delle piccole città italiane, delle piccole meravigliose città del silenzio, che sono forse più adatte delle grandi città ad essere sedi di studio: e neppure desidero di accentrare tutto in alcune delle grandi città, come in immensi alveari di studio, uso Napoli, che non potrebbero certo essere citati come il migliore modello. A me sembra che tutte le esigenze, sia locali come quelle del miglioramento degli studi, si potrebbero contemperare con un nuovo ordinamento in cui, stabilite poche grandi Università generali complete in proporzione non maggiore almeno di quella di altri Stati assai più ricchi di noi, le altre Università minori venissero convertite in scuole specializzate, in Istituti di studi singoli, ciascuno possibilmente nella Atti Parlamentari, Camera dei Deputati, Legislatura XXVI, 1a sessione, Discussioni, 1a tornata del 14 giugno 1922, pp. 6124-6131. 1 Gino Panebianco (1880-1942), esponente socialista e deputato nella XXV e XXVI Legislatura.

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sede più adatta sotto l’aspetto geografico, economico, ecc. In tal modo sparirebbe l’attuale concorrenza per cui in ogni Università si vogliono moltiplicare e ripetere le stesse sezioni, gli stessi corsi riducendole a organismi polimorfi ma meschini, del tutto inadeguati ai veri bisogni dell’alta cultura. CIRINCIONE. È il regolamento che vuole così. MATTEOTTI. Purtroppo; ed è appunto un mutamento del regolamento che io domando. A me sembra che in questo modo si eviterebbe quella concorrenza della minore Università, che non si può più oltre tollerare, per cui alcune cercano di dare lauree col minor sforzo possibile ai più incapaci, per ottenere a questo prezzo maggior concorso di allievi a beneficio dei bottegai della città. In questo modo si eliminerebbe anche quella enorme fabbrica di spostati, che è attualmente la Facoltà di legge che,moltiplicata per tutta Italia in modo uniforme, fabbrica così i magistrati, come gli avvocati, come tutti gli impiegati statali, con una cultura che è tutta posticcia, formalistica, proceduristica, anziché cultura di amministrazione, di economia, di geografia, di tutto quello che occorre oggi nelle grandi amministrazioni pubbliche. Oggi siamo ridotti a questo che, per la pletora dei malamante laureati, agli impieghi in cui basterebbe un qualsiasi licenziato di scuola tecnica concorrono tanti laureati per modo che anche poi gli stipendi si devono adeguare al titolo, piuttosto che al servizio reso alla collettività, e si stabilisce una repugnanza tra l’impiegato e il lavoro che ogni giorno egli deve compiere. In questo modo anche i posti di professore potrebbero essere meglio ordinati e distribuiti in perfetta concordanza con le necessità generali degli studi e non sotto la spinta di immediati interessi di categoria e di interessi locali. A questo tende il mio ordine del giorno che io raccomando alla approvazione della Camera. [...] PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole ministro della pubblica istruzione. ANILE, ministro dell’istruzione pubblica. Come comprenderanno gli onorevoli Matteotti e i firmatari di questo ordine del giorno, non è possibile che io, in questo momento, affronti simile questione. L’ordine del giorno dell’onorevole Matteotti, investe tutto un nuovo riordinamento della coltura superiore, e non è possibile che io, su due piedi, risponda all’invito dell’onorevole Matteotti. Posso però assicurare che la questione della cultura superiore, anche per la discussione che è avvenuta oggi, è diventata una questione sulla quale noi dovremo presto ritornare. 57


Non solo, ma devo anche dire all’onorevole Matteotti che io non sono affatto contrario alla proposta che fa l’amico onorevole Cirincione, ossia di nominare una Commissione, la quale studi il modo come applicare questa legge e possa anche proporre dei provvedimenti riformatori. Quindi io, nella mia intenzione, sono completamente d’accordo con l’onorevole Matteotti, ma sono cose che si debbono fare a grado a grado e con una certa disposizione di tempo. PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare l’onorevole relatore per manifestare il parere della Commissione sull’ordine del giorno presentato dall’onorevole Matteotti. CAPORALI, relatore. Mi associo a quanto ha detto l’onorevole ministro. PRESIDENTE. Il quale non l'accetta... ANILE, ministro dell’istruzione pubblica. Sono disposto ad accettarlo come raccomandazione di studio. MATTEOTTI. Infatti, l'ho formulato come una raccomandazione. PRESIDENTE. Vuol dire che ella onorevole Matteotti emenda l'ordine del giorno nel senso di sostituire alle parole: «invita il Governo» le altre: «raccomanda al Governo»... MATTEOTTI. Perfettamente. PRESIDENTE. L’onorevole ministro l'accetta cosi emendato? ANILE, ministro dell’istruzione pubblica. L’accetto. PRESIDENTE. Metto a partito l’ordine del giorno dell'onorevole Matteotti, accettato dal Governo e dalla Commissione. (Dopo prova e controprova è approvato).

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QUADERNI BALILLA E PROVVEDITORI... PIAZZISTI Cara “Giustizia” A proposito del quaderno Balilla e della speculazione politicocommerciale sovr’esso inscenata, noi siamo in possesso della circolare emanata dal Provveditore di Perugia agli Ispettori e Direttori delle scuole di tutta la provincia, colla quale si raccomanda e anzi s’invitava senz’altro tutti costoro a far fornire i loro allievi di quei quaderni, e più precisamente “a intervenire con la loro autorità presso le scuole dipendenti a fine di fare adottare il Quaderno Balilla”. Ora si chiede: sono autorizzati i Provveditori agli studi a imporre una specie di quaderno, non secondo il suo tipo oggettivo, ma per il fatto che sono editi da una Casa, e con un particolare cartoncino? Sono autorizzati i Provveditori ad autorizzare e a sollecitare la propaganda per un partito, fatta sui quaderni scolastici? E in particolare il signor Provveditore agli studi di Perugia, e delle altre provincie che l’hanno imitato, da chi e come è stato indotto a quella propaganda ufficiale per i quaderni di una certa ditta e di una certa marca più o meno pulitamente politica? Sarà bene richiedere la risposta. Cordialmente.1

“La Giustizia”, Milano, a. XXXVIII, n. 249, 19 ottobre 1923, p. 2, siglato “G.M.”. 1 Sull’argomento Matteotti presentò il 29 novembre 1923 anche un’interrogazione parlamentare. * Da Sulla scuola, a cura di S. Caretti, 1990, Pisa, Ed. Nistri-Lischi pp. 125-130, 214-217, 222

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SOCIALISMO E GUERRA* NAZIONALISMO ITALIANO E NAZIONALISMO FRANCESE

1. Il dissidio non è tra Italia e Francia; ma tra nazionalismo italiano e nazionalismo francese. Il nazionalismo italiano è più recente e meno diffuso forse perché noi non abbiamo una tradizione militarista, forse per una naturale tendenza del popolo italiano a vedere le cose da un punto di vista astratto e di giustizia che da un punto di vista concreto. Ciò spiega in parte le simpatie italiane per il Belgio e la Francia all’inizio della guerra; mentre le delusioni della guerra spiegano il raffreddamento postbellico e l’acutizzarsi del nazionalismo italiano. Il nazionalismo francese è invece più radicato e tradizionale. Ma nonostante esso, la Francia era ancora avanti la guerra considerata da molta parte del popolo nostro con speranza e con simpatia, una nazione democratica sofferente della minaccia del militarismo tedesco e austriaco alleati alla nostra monarchia. Ora invece sta accadendo il contrario. L’Italia sta accodandosi alla Francia in una politica di armamenti; contro la Germania disarmata. Opprimendo la nuova Germania democratica, esse resusciteranno e faranno rimpiangere al popolo tedesco l’antico regime militarista e prussiano come quello che almeno incuteva rispetto ai nemici. La politica del nazionalismo francese in Polonia e in Jugoslavia anziché mirare alla pace e alla ripresa dei rapporti con la Russia e con l’Italia, attizza gli odi e provoca armamenti e sospetti di qua e di là dei confini. Il nazionalismo italiano profitta della tattica del nazionalismo francese, per ripeterne gli errori e i danni contro l’Europa lavoratrice che anela il ritorno della pace. In economia le pretese francesi a danno della Germania, sollecitano il movimento delle correnti italiane più retrive e protezioniste che sono specialmente dannose al popolo italiano privo di materie e ansioso di occupare la sua manodopera sia in casa sia all’Estero. Perciò, appunto perché amiamo la Francia, noi siamo contro il nazionalismo francese che ne domina e ne rovina la politica, così come siamo contro il nazionalismo italiano. E tutti i nostri auguri vanno alla nuova democrazia tedesca e alla resurrezione di una vera democrazia francese. Se questa non sorgerà in Francia, come è risorta in Germania, solo dopo le delusioni e le rovine del militarismo, sarà male per tutti. Di una cosa mi preme anche assicurarvi. Mentre i due nazionalismi trovano negli atteggiamenti opposti il pretesto per creare sempre nuovi

* Archivio Storico della Società Umanitaria, Carte Turati. Minuta con numerose correzioni. In margine di mano di Matteotti: «Risposta all’inviato del “Matin”. Roma, dicembre 1921».

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malintesi, sospetti e malumori, il nostro dovere diviene ormai quello di diffondere nelle classi lavoratrici una maggiore simpatia verso il popolo francese e auguriamo che i lavoratori francesi intendano la necessità reciproca in una comune volontà assoluta di pace. Perciò mentre si cercava di gonfiare gli episodi di Venezia e di Washington a opera di gruppi piÚ o meno responsabili, noi li abbiamo derisi e smontati come quelli che servono soltanto gli avversi militarismi.

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LA QUESTIONE DELLE RIPARAZIONI TEDESCHE*

Il problema delle riparazioni tedesche sarà una delle questioni essenziali che verranno discusse nel Congresso internazionale pacifista che si inaugurerà domani all’Aja; e formerà pure la base delle trattative preliminari del Convegno di Londra, nel quale le Potenze dell’Intesa dovranno definitivamente fissare la loro linea di condotta nei confronti della Germania insolvente. In cotesta questione delle riparazioni - che ora sta al centro di tutta la politica internazionale - abbiamo avuto più volte occasione di manifestare il nostro pensiero, sia nei riguardi del catastrofismo rivoluzionario - ancora ieri ribadito dall’“Avanti!” in una breve corrispondenza dall’Aja1 - come rispetto alle soluzioni intesiste, tutte più o meno ispirate alla politica della forza, anziché a quella della conciliazione da noi propugnata. Senza entrare nei dettagli tecnici del problema - esposti più volte negli scritti del Keynes, dello Hobson2, del Cassel3, del Vanderlip4, ecc. - ricorderemo qui che un deputato socialista, il Blum5, ha potuto dire recentemente alla Camera francese che la politica di violenza non aveva dato nulla, e che forse era troppo tardi perché la politica di conciliazione potesse dare ancora qualcosa. Parole terribili pei bilanci della Francia e del Belgio! E l’opinione del Blum è divisa da autorevoli uomini politici francesi, poiché il Loucheur, rispondendogli lungamente, ha dichiarato che, se la Francia non era più certa di essere pagata, doveva almeno prendere delle garanzie contro un ritorno offensivo della Germania annettendosi la Renania e il bacino della Ruhr. E il signor Poincaré6, come ieri abbiamo scritto7, non ha affatto respinto cotesta suggestione, conforme del resto all’idea politica accarezzata da lungo tempo negli ambienti reazionari francesi. La situazione attuale è veramente tragica; i socialisti l’hanno prevista da lungo tempo, si può dire fin dalla primitiva formulazione delle famigerate tavole di Versailles, che imposero all Europa la cosidetta pace

* “La Giustizia”, a. XXVII, n. 281, 9 dicembre 1922, p. 3, non firmato. 1 II Congresso mondiale per la pace, “Avanti! ”, 8 dicembre 1922. 2 John Atkinson Hobson (1858-1940), economista inglese. Considerato un precursore di Keynes, nel dopoguerra, oltre ad occuparsi della questione delle riparazioni tedesche, fu tra gli estensori delle tesi dell’Indipendent Labour Party sul «salario minimo». 3 Gustav Cassel (1866-1945), economista svedese. Nel 1920 fu incaricato dalla Lega delle Nazioni di redigere un Memorandum on thè World's Monetary Problems per la conferenza finanziaria internazionale di Bruxelles. 4 Frank Arthur Vanderlip (1864-1937), banchiere americano, autore nel 1919 di What Happened to Europe. 5 Léon Blum (1872-1950), autorevole esponente del socialismo francese. Nel corso del 1923 entrò in stretto rapporto con Matteotti per definire un programma comune di tutti i partiti socialisti sulla questione delle riparazioni tedesche e dei debiti interalleati. 6 Raymond Poincaré (1860-1934), presidente della Repubblica francese dal gennaio 1913 al febbraio 1920. Negli anni 1922-1924 fu presidente del Consiglio. 7 Cfr. Da Londra all’Aja, “La Giustizia”, 8 dicembre 1922.

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cartaginese e alla Germania - privata delle sue colonie, della sua flotta mercantile, dell’Alsazia-Lorena, della Sarre, della Slesia - indennità e riparazioni assolutamente sproporzioniate alla sua capacità economica. Coloro i quali con incosciente leggerezza affermano che la Germania può e deve pagare più di cento miliardi-oro in conto riparazioni, dimenticano che la guerra ha infuriato per essa come per gli Alleati durante 54 mesi; che essa è stata amputata, il suo bacino minerario della Sarre è sfruttato dai francesi, la sua bilancia commerciale è sempre in deficit; essa deve acquistare il suo nutrimento all’estero, la sua moneta corre verso l’abisso, il suo credito s’annulla, la sua prosperità industriale è fittizia, i salari degli operai bassissimi, il suo bilancio una vera botte delle Danaidi. E quello che è stato pagato é stato assorbito in gran parte dall’esercito di occupazione dei Paesi Renani e dalle Commissioni interalleate. Nelle sole spese della pazzesca e inutile occupazione militare della Renania, la Germania ha già pagato il doppio della indennità francese dopo la guerra del 1870! Poco a poco, il Reich scivola verso la situazione dell’Austria; la fame minaccia la popolazione; sommosse sono già scoppiate qua e là; il prossimo inverno si annuncia terribile. Venga la disoccu-pazione, e sarà la catastrofe; e la disoccupazione verrà se non si trova il mezzo di procurare del credito alla Germania per pagare all’estero il proprio nutrimento e acquistare le materie prime. Una rapida soluzione s’impone, adunque; ed essa, dopo l’esperienza fatta, non può essere che una soluzione conforme ai deliberati dell’Internazionale sindacale e socialista di Amsterdam. La Germania deve sapere, una volta per sempre, ciò che deve pagare; in modo fisso e inequivocabile; un grande popolo non può lavorare e uscire dalla miseria se vive nell’incertezza del domani. E la indennità deve essere ridotta alle capacità reali del Reich, in maniera che i pagamenti non durino al di là della presente generazione, poiché le generazioni future tenteranno, con qualsiasi mezzo, anche colla guerra, di disimpegnarsi da obblighi iniqui e totalmente estranei alle loro mentalità. Per ridurre il debito tedesco è indispensabile regolare i debiti esistenti tra gli Alleati. Questi non vogliono in Europa annullare i loro debiti reciproci poiché attendono il concorso degli Stati Uniti, ai quali devono circa 16 miliardi di dollari. E se nessuno si decide a compiere il gesto inevitabile? Non sarebbe più semplice cominciare, anzitutto, a regolare la faccenda tra gli Alleati d’Europa? Chi, del resto, crede che l’Europa sarà in grado di rimborsare l’America8? Fissato con giustizia e moderazione il debito complessivo della Germania - che non deve essere superiore, secondo economisti competenti, ai 40 miliardi franchi oro - bisogna accordare il tempo di pagare, poiché al presente non c’è alcunché da sperare, a meno che non si possa concludere un prestito internazionale, che la Francia fece fallire 63


l’estate scorsa, nella paura che esso avrebbe a suo danno mobilitato tutto il credito europeo. Secondo l’importanza di cotesto prestito, si vedrebbe ciò che potrebbe restare per la Francia, per l’Italia, per il Belgio, dopo aver preso ciò che è necessario per la stabilizzazione del marco, punto di partenza dell’intera operazione. Poi, occorrerà vedere sotto quale forma dovranno eseguirsi le riparazioni per le terre francesi devastate durante la guerra. Momentaneamente si è ricorsi alla consegna in natura; esse possono continuare nella misura nella quale non paralizzino l’industria dei paesi che ne beneficiano; non si è ricorsi alle riparazioni a mezzo della fornitura di mano d’opera; ci si potrà venire quind’innanzi, dato che tanto in Francia come nel Belgio, con una leggera ripresa degli affari, si mancherà di mano d’opera, mentre che il rialzo del marco provocherà senza dubbio una disoccupazione intensa, ma passeggera, in Germania. Ma tutto ciò non sarà sufficiente a creare un mutamento radicale della situazione se si persisterà a divorare una grossa parte dei versamenti in spese di occupazione, se si continuerà a dare incremento al militarismo conquistatore. Sfortunatamente, due grossi ostacoli si oppongono alla realizzazione di cotesti progetti approvati da tutti quelli che li hanno studiati spassionatamente. In Germania c’è una lotta sorda, implacabile tra le forze della democrazia e la reazione monarchica che cerca di riacciuffare il potere. Importa che i lavoratori del mondo intero diano il loro appoggio ai socialisti tedeschi, che sono i soli che abbiano riconosciuto le responsabilità del loro Paese nel cataclisma europeo, e perciò sono i più propensi a trattare equamente intorno alle riparazioni. In Francia, c’è il partito del reazionario Blocco nazionale che fa continuamente sentire il rumore delle sciabole e minaccia altre occupazioni militari apportatrici di nuove sventure. Tutti gli elementi di sinistra della vita politica francese, e specialmente i socialisti, hanno il preciso dovere di opporsi con tutte le forze a cotesta politica di avventure, di rovina e di odio, che non dà nulla per le riparazioni, e che prepara sicuramente la guerra per l’avvenire. I socialisti e gli organizzatori francesi che interverranno all’Aja avviseranno, insieme agli altri congressisti, ai mezzi migliori per combattere la politica poincarista e per realizzare la restaurazione economica dell’Europa; ma i loro sforzi devono essere assistiti dall’intera classe operaia che ora tenta di rifare la sua unità internazionale, per mostrare al mondo che solo nel socialismo si può trovare la grande formula della giustizia e della Pace.

8 In effetti dopo la crisi del ’29 i debiti interalleati furono prima congelati e poi definitivamente cancellati nel 1934 nonostante il parere contrario degli Stati Uniti.

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L’ANTINAZIONE?*

La Francia e il Belgio hanno preso pretesto dal non completo pagamento delle rate tedesche di riparazioni, per allargare la zona occupata di là dal Reno, e invadere con pochi ingegneri ma con molti soldati, auto-mitragliatrici e tanks il bacino della Ruhr; cioè il territorio che dava alla Germania quasi tutto il carbone necessario alle sue industrie ed ai suoi trasporti. Il nostro Partito ha già esposto, su la “Giustizia”, tutte le ragioni che ci fanno contrari alla nuova violenza perpetrata dal vincitore sul vinto. Per mezzo di essa nulla si otterrà di quelle indennità che dovrebbero servire alla ricostruzione delle terre devastate; ma si sperpereranno altri miliardi in occupazioni militari oltre i 6 che la Germania ha già dovuto pagare, si diminuirà la stessa efficienza produttiva ed esportativa di carbone, si indisporranno sempre di più i nostri creditori inglesi e americani. Per mezzo di essa sopratutto si accenderanno nuovi odi tra Nazione e Nazione, nuovi ostacoli all’equilibrio ed alla ricostruzione e nuovi pericoli di guerra. Concordi, anche tutti i Partiti socialisti di tutte le altre Nazioni di Europa hanno espresso la loro avversione all’avventura e alla violenza francese. Non diciamo solo dei tedeschi e degli inglesi; ma anche dei francesi, per bocca del deputato Léon Blum, così come i belgi per bocca dell’ex ministro socialista Vandervelde1, hanno protestato vivacissimamente contro l’infatuazione nazionalista dei loro stessi governi. Di codeste manifestazioni dell’Internazionale socialista noi ci siamo vivamente compiaciuti, come dei segni di una migliore coscienza anche se i fatti hanno così smentito la falsa malignità dell’“Avanti!” che sulla fede di un’Agenzia Regia si era affrettato ad accusare il socialdemocratico Vandervelde di complicità col suo Governo. Ce ne compiaciamo, perché esse dimostrano sempre più come i veri interessi di ciascuna Nazione coincidono coll’interesse internazionale. L’ubriacatura nazionalista francese e belga conduce le rispettive Nazioni a tentare l’avventura, che costerà molti sacrifici, nuovi dolori, nuovi disinganni e sempre maggiori ritardi nella ricostruzione e nella pacificazione europea. In Francia e in Belgio i gruppi affaristici, nazionalisti e clericali, sono tutti concordi nella nuova violenza; e accusano già i socialisti di essere l’Antinazione cioè di avversare l’interesse nazionale per fare l’interesse dello straniero; cosi come in * “La Brianza Lavoratrice”, Monza, a. XXVI, n. 3,19 gennaio 1923, p. 1. 1 Émile Vandervelde (1866-1938), ministro della Giustizia negli anni 1918-1921, aveva fatto parte della delegazione belga alla Conferenza della pace di Parigi.

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Italia ogni volta che i socialisti si sono manifestati contrari alle avventure coloniali o internazionali che hanno tanto danneggiato il nostro paese. In realtà invece se ci si ponga da un punto di vista oggettivo e sereno, si deve riconoscere che i socialisti francesi e belgi hanno meglio intuito, che non i loro Governi, il vero interesse della Nazione, il quale è contro la conquista violenta, per la effettiva ricostruzione economica delle regioni devastate dalla guerra. Quelli che oggi in Francia ed in Belgio sono accusati di essere l’Antinazione, non sono in realtà che coloro i quali hanno la più alta visione del più vero interesse nazionale e dei lavoratori, necessariamente coincidente coll’interesse dell’Internazionale di coloro che lavorano. Cosi in Italia, così dappertutto. Coloro che pretendono di avere il monopolio della Nazione sono più di solito gli esponenti di ristretti gruppi affaristici o militaristici, disposti a compromettere il vero interesse di tutti i lavoratori e i produttori del loro paese, pur di tentare in una avventura, a spese dello Stato, le loro fortune. E accusano tutti gli altri, tutti coloro che la pensino diversamente, che non sono asserviti a nessun capitalismo parassitario, di essere l’Antinazione, per negare loro magari anche i diritti di libertà, di discussione, di riunione, di esistenza che l’ultimo secolo aveva conquistato per tutti. Il Partito socialista sdegna la stolida accusa ed il pretesto malvagio; e raccoglie dalla esperienza di ogni giorno la conferma della propria dottrina che affratella i lavoratori di tutti i paesi.

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LA NAZIONE*

Ci accusano di essere contro la Patria. Da un lato la aspirazione internazionale del proletariato per la propria emancipazione di classe, dall’altro la avversione che spesso concepisce il lavoratore, l’emigrante verso la «Patria» che gli appare avara ed ingrata, perché egli la confonde col regime sociale che vi domina, hanno diffusa l’opinione di una indifferenza o di una avversione socialista alla Nazione. Codesta opinione si è accentuata per l’atteggiamento da noi tenuto verso la guerra: perché eravamo stati avversi alla guerra, si diede ad intendere che noi fossimo nemici della Patria e volessimo la sconfitta dell’Italia. La verità è che la Nazione è una realtà geografica e storica, economica e politica, entro cui tutti viviamo e cresciamo. Fingere di ignorarla o di essere indifferenti alle sue sorti, sarebbe come dire che ci è indifferente che il proletariato italiano viva in un paese a sviluppo capitalistico o nel centro dell’Africa; abbia cioè o non abbia le condizioni prime del suo domani socialista. Il socialismo, anche rispetto alla Nazione, vive in una situazione analoga in certo modo a quella in cui si trova rispetto al capitale. Deve nello stesso tempo operare a trasformare il regime, per trasferire sempre più il potere da una oligarchia di classe alla collettività lavoratrice; e deve operare e cooperare a mantenere e aumentare il patrimonio di prosperità, di sviluppo, di progresso della Nazione, perché ciò risponde non solo all’istinto di cittadini, ma anche all’interesse di socialisti. Anche in una guerra, in una crisi conseguente a una politica di cui non è nostra la responsabilità, noi siamo legati alla sorte della Nazione. Né vale il dire che poiché d’altri è la colpa, altri pensi a risolvere la crisi: la colpa è di altri, ma le conseguenze sono di tutti, sono anche nostre, e ricadono più spesso sulle spalle del proletariato. Quindi noi intendiamo operare per una pacifica convivenza tra le Nazioni, anzi per ottenere che la solidarietà e la forza dei lavoratori organizzati di tutto il mondo facciano cessare o impediscano definitivamente conflitti e guerre. Ma se, frattanto un esercito di rapinatori volesse valersi delle armi per togliere ai cittadini di una Nazione il frutto sudato del loro lavoro, o per sottoporli a un regime di schiavitù politica e economica, è indubitabile la necessità della resistenza di tutti i lavoratori, per non cadere nella doppia schiavitù del capitalismo nazionale e del capitalismo dello Stato invasore. Il caso della Germania e della invasione della Ruhr è ancora davanti ai nostri occhi. ***

* Da Socialismo e guerra, a cura di S. Caretti, 2013, Pisa, Ed. Nistri-Lischi pp. 169-170, 193-197, 207209, 243-246 In Direttive del Partito socialista Unitario Italiano, Milano, Biblioteca di Propaganda de “La Giustizia”, 1923, pp. 14-19.

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Ma ciò non importa, anzi esclude ogni complicità con gli opposti nazionalismi, e ogni adesione alle lotte tra i diversi capitalismi. Il nazionalismo infatti non si limita a promuovere lo sviluppo di una Nazione nella propria capacità di produzione o di coltura; ma assai più si fonda sulla forza materiale e sulla capacità di dominare altri popoli e di sfruttarli. Esso vuole arrecare ad altri un male da cui pur vuole difendere se stesso; e dal conseguente contrasto dei nazionalismi nemici sorge una continua cagione di armamenti offensivi e di guerre, le quali non hanno mai altro risultato che di creare una Nazione di oppressori e una di oppressi, e di distruggere periodicamente enormi ricchezze e vite umane. Il socialismo, al contrario, vuole la libertà di tutti i popoli e non può ammettere che la libertà e il benessere di una Nazione si fondino su la schiavitù e lo sfruttamento di un’altra. Se esso lotta contro lo sfruttamento tra cittadini di uno stesso Stato, tanto meno potrebbe consentire a quello esercitato da uno Stato contro i lavoratori di un’altro. Anzi, dal rilievo sperimentale e costante, che le cause vere dei conflitti tra le Nazioni sono quasi sempre le esagerazioni del nazionalismo, la degenerazione dello spirito di difesa in quello dell’aggressione, e il contrasto oscuro dei capitalismi, e le conseguenze sono un aumento di sofferenza e di impoverimento dei lavoratori vincitori e vinti, la perduta libertà dei vinti, la dittatura o la reazione nei vincitori, e la seminagione di nuove cause di conflitto - il Partito socialista trae motivo per una assidua azione internazionale avversa ai conflitti e alle guerre. L’azione internazionale è in perfetta relazione con l’amore dei socialisti italiani per il loro paese, in quanto l’Italia ha tutto da guadagnare dalla pace e dal ristabilimento dei rapporti economici; mentre assai pericolose e dannose alla Nazione sono certe unioni o alleanze più o meno manifeste tra Governi borghesi contro altri Governi, per costituire monopoli economici, preparare guerre, o togliere comunque la libertà ad altri popoli. Il capitalismo, che più si vanta di essere paladino della Patria, in realtà è stato il più sollecito a tessere rapporti con capitalismi esteri, quando gli parve utile, e talvolta raggiunse il risultato di promuovere il lavoro con i capitali delle Nazioni più ricche, tal’altra invece, assecondando scopi politici di asservimento e di odio nazionale, ebbe a sacrificare il lavoro anche alla speculazione straniera. L’Internazionale socialista mira invece a difendere e sostenere sempre la comune causa del lavoro, contro il parassitismo e la speculazione sfruttatrice dei diversi capitalismi. Dovrà quindi tentare o favorire ogni iniziativa che dirima i conflitti tra i popoli, li associ con vincoli pacifici, eviti o faccia cessare le opposte violenze e minacce. Dovrà favorire il formarsi di una vera Lega delle Nazioni, e più immediatamente degli Stati Uniti d'Europa, che si sostituiscano alla frammentazione nazionalista in infiniti piccoli Stati turbolenti e rivali. 68


Dovrà rafforzare i sentimenti di solidarietà tra i lavoratori di tutto il mondo, per modo che si aiutino scambievolmente nella comune opera di redenzione sociale; dovrà soprattutto sospingere in ogni nazione la classe lavoratrice al potere politico, per assicurare il suo massimo interesse alla pace universale e alla prosperità di tutti coloro che lavorano, e per preparare in un più lontano avvenire il regno universale del lavoro1.

1 Tutti i partiti socialisti del mondo si sono riuniti ad Amburgo nel maggio 1923 per la ricostituzione della Internazionale dei lavoratori socialisti, che era stata purtroppo spezzata dalla guerra europea. Ad Amsterdam continua ad avere sede la Internazionale dei Sindacati operai. L’internazionale di Mosca, che assunse arbitrariamente il nome di III Internazionale, è in realtà una Internazionale esclusivamente comunista, e ha subito dimostrato di rappresentare, più che una unione dei lavoratori delle varie Nazioni, uno strumento dell’attuale Dittatura russa [N.d.A.].

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