TEMPO PRESENTE 400-402 apr-giu 2014

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TEMPO PRESENTE

N. 400-402 aprile-giugno 2014

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GIACOMO MATTEOTTI a novant’anni dalla morte 1924 - 2014

s. caretti p. gobetti g. matteotti a.g. sabatini f. turati Spedizione in abbonamento postale: comma 20, lett.B, art.2 legge 23 dicembre 1996, numero 662, Filiale di ROMA


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Angelo G. SABATINI

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TEMPO PRESENTE

Rivista mensile di cultura N. 400-402 aprile-giugno 2014

GIACOMO MATTEOTTI a novant’anni dalla morte 1924 - 2014

ANGELO G. SABATINI, Perché ricordare Giacomo Matteotti, p. 3 STEFANO CARETTI, Matteotti. Il mito, p. 9

GIACOMO MATTEOTTI, Il discorso del 30 maggio 1924, p. 16

FILIPPO TURATI, La commemorazione del 27 giugno 1924, p. 31 PIERO GOBETTI, Matteotti, p. 36

Cronologia di Giacomo Matteotti, p. 53


Le immagini riprodotte nelle pp. 5, 8, 13 e 37 fanno parte della "Collezione Gobettiana e Antifascista Massimiliano Tropeano" che ringraziamo

Le immagini riprodotte nelle pp. 10, 11 e 12 rappresentano le copertine di tre pubblicazioni della Collana “Opere di Giacomo Matteotti” a cura di Stefano Caretti (Edizioni Nistri-Lischi di Pisa)

L’edizione di questo numero di “Tempo Presente” è a cura di Salvatore Nasti


Angelo G. Sabatini

Perché ricordare Giacomo Matteotti Ricordare Matteotti in occasione della ricorrenza del novantesimo anno dalla morte è un dovere per chi crede alla democrazia, specialmente quando essa è sottoposta ad attacchi critici fino a mettere in dubbio che possa ancora valere come ancora di salvezza di fronte alla marea montante del relativismo politico. Così come vi credono gli amici che qui in occasione dei 90 anni dalla morte offrono qualche riflessione sul significato del sacrificio che il Martire antifascista offrì alle generazioni successive. E’ un dovere ricordare, specialmente alle nuove generazioni, che 90 anni fa Giacomo Matteotti veniva barbaramente ucciso dai nemici della democrazia e del socialismo. La logica della dittatura nascente, attraverso lo squadrismo, spingeva i nuovi barbari a compiere sull'altare della forza e della violenza il rito sacrificale di un nemico considerato un ostacolo all’affermazione piena di un regime che allo strumento della ragione ha preferito quello della violenza. Per questa via, che è estranea allo spirito della civiltà moderna ma che è dura a morire nella prassi istitutiva delle dittature di ogni tempo, si compiva il destino di uno degli uomini più puri e rappresentativi della democrazia, in generale, e del socialismo riformista, in particolare. Il suo martirio, il cui significato per la storia politica italiana va oltre ogni ambito più strettamente ideologico, è posto al crocevia delle diverse strade da cui è stato attraversato un Paese, come l'Italia, proiettato alla realizzazione, in chiave moderna, del compito civile e politico che il Risorgimento aveva affidato alle nuove generazioni. Un crocevia difficile, dove i problemi e le anomalie di un Paese, fortemente caratterizzato da spinte politiche contrastanti e da consistenti spinte anarcoidi, venivano ingigantiti ed esasperati dal clima di inconciliabile e incomprensibile diversità di cui si nutriva anche il socialismo italiano che si trovava a rappresentare la speranza e lo strumento di una trasformazione che si sarebbe forse potuta guidare e promuovere costruttivamente, qualora 3


sulla differenza avesse prevalso l’affermazione dell'unità e all'immagine di un socialismo tutto occupato a trovare nel proprio seno le motivazioni di conflitto ideologico e strategico si fosse sostituita quella di una forza politica organicamente strutturata e armonicamente proiettata verso la realizzazione di uno Stato moderno. Entro la vita di questo socialismo tormentato, matrice e sostegno dell’impegno del socialista Matteotti, si è consumata in Italia gran parte della vitalità pratica insita in una idea cosi carica di promesse, ma anche la più estrema scommessa tra due dei suoi figli diversi: Benito Mussolini e Giacomo Matteotti. Ironia della sorte: la storia della democrazia italiana trovava nel 1924 schierati in campo e combattenti a loro modo vigorosi, l'un contro l'altro armati, due figli del socialismo. A noi spetta il dovere di intendere appieno il significato politico della partecipazione di Matteotti alle vicende del movimento socialista e dei suoi contributi alla vita e ai problemi del nostro paese. Perciò noi dobbiamo restituire alla sua figura di combattente per la democrazia la dimensione storica che gli compete, facendo convergere il nostro sentimento di venerazione verso una puntuale ricostruzione del suo pensiero e delle sue azioni politiche. Ciò servirà a diffondere lo spirito etico della politica e il peso che lui ha avuto, in sede politica, nell’identificare lucidamente la natura reale del fascismo. Le vicende legate a questa lotta sono ormai note. Gli storici ci hanno fornito risultati soddisfacenti anche se ancora bisognosi di ulteriori approfondimenti. Risultati che ci consentono di superare il gusto pernicioso del revisionismo per accentrare l’attenzione sul valore simbolico di una vita dedita alla politica per depurarla di tutte le scorie che un presente tumultuoso ne inficiava il pregio gettandola nella palude di una confusa e tendenziosa corsa verso un nazionalismo sterile e conflittuale. Quel lavoro storiografico ha anche dato frutti preziosi nella comprensione della figura del più autorevole martire della violenza fascista. Cosicché l'immagine eroica di un Matteotti sacrificato e nobilitato dal martirio è andata acquistando contorni ben definiti, estendendosi il terreno della 4


sua ricchezza morale, politica e intellettuale in un'ampiezza che va oltre il ritratto agiografico che il lavoro storico dominato dalla passione politica tende a favorire. Forzati dalla tragedia della sua morte gli estimatori, politici o cittadini qualunque, hanno trasferito la orgogliosa personalità in un'aura di mito che ne offusca i contorni precisi, facendo, talora, dimenticare che Giacomo Matteotti era un uomo vissuto da uomo e morto da uomo. Oggi quel ritratto è più asciutto, purificato da quella elaborazione simbolica, il cui autentico valore sta nel contributo fornito a noi posteri per cogliere lo stato d’animo di un’opinione pubblica travolta dall’evento della morte del deputato polesano e propensa a trasferite la vita di lui nella regione del mito. Oggi la ricerca storica ha restituito a Matteotti l’identità di un “operaio” della politica, di un attivista intransigente destinatosi alla costruzione di una società equa e giusta, governata dal diritto contro le tentazioni autoritarie che ormai dominavano nei progetti e nell’opera un Paese disorientato e prostrato dopo il conflitto mondiale. Un Matteotti più vero ed abbiamo l’immagine di un uomo che, sospinto dall’ideale riformista, quell’ideale ha cercato di incarnarlo negli scritti e nell’azione. Alla politica indirizzò il suo interesse e la sua attività giovanissimo. attiratovi dalla viva sensibilità umana e dal fervido entusiasmo delle prospettive di rinnovamento dell'arretrata società contadina del suo Polesine, che agli inizi del secolo era afflitta da povertà estrema, con disoccupazione, analfabetismo e malattie carenziali a livelli oggi inimmaginabili. Organizzatore instancabile, ricco di fermenti e di idee, apostolo sempre a fianco dei poveri e degli sfruttati, traduceva in esperienza concreta gli ideali che il suo socialismo gli offriva. Temperamento battagliero (i suoi compagni lo chiamavano "Tempesta"), non si arrendeva mai non solo nel dibattito politico ma anche di fronte alla violenza allora alimento consistente dell’idea dalle mille teste del fascismo. Particolarmente coraggioso, intuì il grave pericolo dell'ascesa fascista e non esitò a combattere il partito di Mussolini a viso aperto, in Parlamento e nelle piazze, affrontando dimostrazioni ostili e violenze, la dialettica degli squadristi, con animo 5


indomito e senza tentennamenti. La sua morte fu il punto d’arrivo di un percorso costruito nel temperamento umano del politico integerrimo che sembrava con la sua azione volersi costruire un destino inevitabile, conseguenza di un sentimento morale che nella fedeltà a principi prescelti sublimava l’avversa sorta. La sua uccisione fu la conseguenza di un comportamento ispirato alla costanza con cui gestiva la sua missione e al martellamento degli interventi contro il fascismo dilagante. La sua azione non aveva tregua. Egli rappresentava quella categoria di politici che dedicavano la propria vita a individuare i problemi del Paese e a indicarne le soluzioni. L’impressione che si ricava dalla lettura e dall’analisi dei discorsi parlamentari di Matteotti è prima di tutto quella di un deputato fagocitato dalla conoscenza e da una mole imponente di attività. Appare perciò del tutto convincente l'immagine che di Matteotti ha tracciato Oddino Morgari su «Rinascita socialista» (Parigi 1-15 Maggio 1930): “Era un analizzatore ed un documentatore: specie rara in Italia... Passava ore ed ore nella biblioteca della Camera a sfogliare libri, relazioni, statistiche, da cui attingeva i dati che gli occorrevano per lottare, con la parola e con la penna, badando a restare sempre «fondato sulle cose». Credeva che il fare così fosse un debito di probità intellettuale verso se stesso ed anche verso le masse, le quali hanno diritto di pretendere che i loro condottieri non le illudano... Era un lavoratore instancabile onnipresente... Compulsava e sforbiciava libri, giornali, pubblicazioni ufficiali per ricavare il materiale da far servire alla lotta; scriveva lettere ed articoli, correggeva bozze di stampa. Diramava circolari; accorreva nascostamente nei luoghi dove più imperversava il fascismo; alla Camera parlava in riunioni, in commissioni e nell'aula...”. In Parlamento si impose dunque subito: forse ancor più che ai compagni, agli avversari nel Governo. I suoi discorsi erano sempre ascoltati e suscitavano contrasti e polemiche. Nelle questioni di finanza, di economia, di politica interna il suo impegno sembrava operare all'interno dello stato «borghese» liberale, perché la gestione della cosa pubblica fosse ispirata da criteri di rettitudine, di efficienza, di tutela dell'interesse della 6


collettività contro gli assalti avidi dei gruppi privati. Ma, in mezzo alle argomentazioni rigorosamente logiche e documentate fondate sullo studio e sulla padronanza della materia trattata, viene sempre allo scoperto l'animo del socialista, il senso profondo della lotta di classe, la sollecitudine, l'amore per le masse, per i contadini nel suo Polesine, il grido di ribellione contro la sopraffazione e l'ingiustizia. Il ritratto di un Matteotti più pragmatico che ideologo, grazie proprio agli approfondimenti e alle analisi degli orientamenti critici degli ultimi anni, si è arricchito di spessore e di consistenza. Nella storia della democrazia italiana e del socialismo riformista, nel bene e nel male, Matteotti si colloca come un preciso riferimento: per il socialismo rappresenta l'assertore costante, anche se a volte con qualche oscurità, della linea riformista; una collocazione che non abbandonerà mai, anche quando alcune situazioni particolari (per esempio l'esplodere della esasperazione delle masse popolari nell'immediato conflitto mondiale) lo avrebbero spinto in tale direzione. Per la democrazia italiana ha rappresentato di fatto, per una specie di felice paradosso, il punto critico del valore delle istituzioni democratiche. Queste sopportavano l'attacco maggiore in coincidenza con la morte di Matteotti; ma questo atto decisivo era anche l'emergere di un riferimento ideale insopprimibile. Entro il peso e la scorza di una realtà repressiva che mortificava le istituzioni democratiche quell'evento circolò come una tacita maledizione nel cuore del fascismo e come una implicita forza morale in quanti, nell'esilio e in patria, attendevano l'ora della ripresa. La morte di Matteotti diede vigore interiore a molti che la prepotenza del fascismo andava fiaccando. Si comprende, allora, la verità contenuta nelle affermazioni più volte riportate dagli studiosi di Matteotti, che furono di Roberto Bracco: “Il suo martirio ha salvato l'Italia“, e di Michele Saponaro: “La morte di un uomo che restituirà la vita spirituale ad una nazione”. Al di là dello spirito misticheggiante e forse retorico di tali affermazioni c'è la verità della fede in un valore supremo. Ricordare Matteotti oggi serve non solo per capire la statura 7


politica del personaggio, ma anche per fornire incitamento a coloro che ancora credono al riformismo come ad una formula di corretta organizzazione e di soddisfazione dei bisogni e dei diritti umani. Cosa possiamo oggi fare perché la memoria di questo grande antifascista non venga offuscata o offesa da atti poco nobili, come quello espresso da un sindaco fascista, di volergli togliere il nome da una piazza? Se si pensa a quale triste condizione di crisi ideale la politica oggi versa, guardare a Matteotti può significare la ripresa di un impegno forte verso la costruzione di una società autenticamente democratica. L’entusiasmo con cui oggi lo ricordiamo è il segnale di una disposizione palese in molti di noi a ricercare esempi nobili di uomini che agendo in Parlamento per la libertà e la democrazia hanno affrontato difficoltà e persecuzioni fino al martirio. E Matteotti è il capostipite di un gruppo molto ampio di coloro che offrendo la propria vita hanno contribuito a fare dell’Italia un Paese moderno e civile. Ad essi va la riconoscenza di tutti coloro che alla indifferenza per la politica e alla barbarie della dittatura preferiscono il progresso della civiltà nella libertà.

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Stefano Caretti

Introduzione a

Matteotti. Il mito *

Nel giugno del 1924 il rapimento e l'assassinio di Giacomo Matteotti suscitarono come è noto, sia per la forte personalità dell'ucciso che per l'efferatezza inaudita dell'evento delittuoso, sdegno e raccapriccio nelle coscienze della maggior parte degli italiani. Sul piano, infatti, della già agitata vita parlamentare, quel silenzio, imposto con brutale cinismo alla piu battagliera e irriducibile voce del dissenso antifascista, radicalizzò lo scontro politico e indusse le opposizioni a roventi condanne e quindi all' abbandono dell' aula di Montecitorio, da cui doveva generarsi l'Aventino; mentre, sul versante dell'opinione pubblica e dei sentimenti popolari, quel crimine, consumato proprio nei giorni del maggiore fervore intellettuale e morale della vittima, e selvaggiamente eseguito giusto all'ombra protettrice delle maggiori autorità governative, sconvolse gli animi di moltitudini di persone di ogni ceto e classe sociale e ne provocò subitanee reazioni di costernazione profonda e di rabbia impotente. Testimonianze di questo diffuso dolore sono rintracciabili oltre che negli interventi o memorie di autorevoli uomini politici, anche in innumerevoli forme private di protesta e di solidarietà, di commossa partecipazione al lutto della madre, della vedova e dei figli, di riconoscenza e di ammirazione per ciò che Matteotti aveva rappresentato durante tutta l'esistenza, come assertore inflessibile di libertà e di giustizia, e soprattutto per la sua ultima coraggiosa battaglia parlamentare culminata nella sfida aperta al regime e infine nel sacrificio della vita. Da questi accesi stati d' animo, dal fascino del personaggio d'eccezione, dai suoi ideali sociali e dal suo alto rigore etico, è nato allora il mito di Matteotti martire1 del suo carismatico olocausto. Di questa mitografia, largamente diffusa oralmente ma anche fissata in canti popolari e presente nel culto clandestino delle immagini, esiste una vasta documentazione cui avevo da tempo posto mano e che ho data ora alle stampe in questa raccolta organica di testi epistolari e di messaggi vari: un materiale che è rimasto sinora, per la più parte, * Matteotti. Il mito, a cura di Stefano Caretti, Nistri-Lischi, Pisa 1994, pp. 15-21. 9


sconosciuto2 e che merita sicuramente di essere tratto alla luce e adeguatamente presentato3. Ma restando per ora tra le testimonianze dei compagni di fede, e degli estimatori delle convinzioni e delle azioni matteottiane, varrà la pena di riesumarne almeno alcune tra le più significative, politicamente e storicamente, da allineare alle molte altre già conosciute, e ripetutamente divulgate, come la ormai famosa 'commemorazione' di Filippo Turati4. Da queste testimonianze, alcune immediatamente vicine al delitto ed altre invece piu tarde, emergono evidenti l'intensa emozione e lo sconcerto determinati dalla improvvisa e crudele scomparsa di Matteotti, l'indignazione per i modi stessi della sua feroce soppressione, la consapevolezza drammatica del grande vuoto politico da lui lasciato. Vi si confermano insomma l'eco grande che ebbe in Italia (e fuori d'ltalia, aggiungiamo) quell' avvenimento cruento e il segno indelebile che esso lasciò nei coetanei e nei più giovani conibattenti per la liberta, così come poi ancora, a distanza di tempo, negli antifascisti della generazione a lui successiva. In proposito si possono prendere le mosse dalla prontissima e risoluta denuncia di Piero Gobetti ("Ho conosciuto Matteotti al discorso Turati a Torino. Ci si intese subito nell'antifascismo. Anche lui lo sentiva d'istinto. Nella fronte corrugata a serietà, negli occhi fermi e pensosi, nelle labbra atteggiate a tagliente ironia avvertii un vero stile di oppositore. ll suo assassinio deve dunque far parte di un piano raffinato che non può non esser stato dettato dall'alto... Ci vuole un'intelligenza fredda e calcolatrice per scoprire l'avversario vero in Matteotti, l'oppositore più intelligente e più irriducibile"5), e quindi procedere con giudizi formulati gia in prospettiva storica da Pietro Nenni ("Di fronte al fascismo degli anni Venti Giacomo Matteotti era stato più preparato di altri nel capire che cosa era e da dove veniva ed era stato in ogni caso il più deciso a combatterlo ad ogni livello... Giacomo Matteotti era così prescelto non tanto dal destino quanto si potrebbe dire da una innata vocazione al sacrificio ad impersonare il delitto di Stato del 10 giugno 1924 che si inscriveva nella storia del paese come una svolta: la svolta del fascismo più o meno spontaneo in un regime dittatoriale"6), da 10


Rodolfo Morandi ("Risalgono alla memoria le giornate drammatiche e convulse, che seguirono l'annunzio dato al pubblico dello sciagurato evento, che macchiava il regime, fin dal suo sorgere, di vergogna incancellabile e mortificava la nazione... Chi vi parla, dopo giovanile milizia studentesca nell'antifascismo, fu attratto per ribellione al socialismo dall' assassinio di Matteotti. Tanti altri furono, sotto la suggestione di questa epica tragedia, come me, ad eleggere a disciplina della loro vita la milizia socialista"7) , da Lelio Basso con la perentoria definizione data al sacrificio di Matteotti come "momento selezionatore e catalizzatore nelle file dell'antfascismo", dopo il quale si fece chiaro "presso tutti gli spiriti migliori e presso la giovane generazione ... che ormai il terreno della Lotta doveva essere ricercato non entro la legalità del regime ma fuori e contro di essa"8 e infine da Ferruccio Parri che legava quel delitto allo spirito della Resistenza ("il sangue, il ricordo del sacrificio di Giacomo Matteotti, è all'origine della Lotta di liberazione nazionale"9). Accanto a queste testimonianze, già edite e sufficientemente conosciute insieme a molte altre10 saranno opportunamente da collocare alcuni documenti assai meno noti o pressoché dimenticati: uno è di mano di un uomo politico, altri invece sono dovuti a scrittori di diversa fama. L'uomo politico è Sandro Pertini, il quale all'indomani dell'assassinio scriveva all'avvocato Diana Crispi, segretario della federazione del Partito Socialista Unitario di Savona: "Ho la mano che mi trema, non so se per il gran dolore o per la troppa ira che oggi l'animo mio racchiude... La sacra data suonerà per me ammonimento e comando. E valga il presente dolore a purificare i nostri animi rendendoci maggiormente degni del domani, e la giusta ira a rafforzare la nostra fede, rendendoli maggiormente pronti per la lotta non lontana. Raccogliamoci nella memoria del grande Martire attendendo la nostra ora. Solo così vano non sarà tanto sacrificio"11. Gli scrittori sono il ligure Piero Jahier, il triestino Umberto Saba, lo spagnolo Miguel De Unamuno e il viennese Stefan Zweig, oltre il siciliano Leonardo Sciascia e il veneto Goffredo Parise. Jahier in una intervista ha avuto modo di rammentare un episodio della sua vita legato appunto ai giorni che immediatamente seguirono la morte di 11


Matteotti: "Dopo il delitto Matteotti avevamo organizzato una cerimonia di espiazione... io portavo una immensa corona di alloro, legata con nastro rosso, che avevo fabbricato nel giardinetto di un amico, e mi ero fatto bastonare dai fascisti che stavano lì di guardia. Costoro mi bloccarono e mi domandarono cos'ero venuto a fare; io, in risposta, gridai che ero lì per onorare il martire Giacomo Matteotti"12. Saba, dal canto suo, inserì nella sua Sesta fuga, che leggiamo nella raccolta sabiana Preludio e fughe, due versi ("Lo uccisor non v'è, né ucciso, e non torbida demenza") che egli stesso chiarì in seguito, crollata la dittatura, nel modo seguente: "... l'ucciso era Matteotti, l'uccisore Dumini, e torbida demenza il fascismo"13. Unamuno, il grande Unamuno, rivolgendosi a Turati evocò l'ombra di Matteotti e il suo sacrificio in un testo troppo a lungo dimenticato: "... Sereno e solo, in riva all'Atlantico sonante, Unamuno saluta la grande ombra di Matteotti! O mio fratello! insieme ci ergemmo contro l'ignominia. Tu irrorasti del tuo nobil sangue l'inaridito cuor del popol tuo: e da questo cuore, dal tuo sangue, adesso fioriscono i virgulti imperituri / Tu sei l'Italia, o mio grande fratello ... No! Tu sei molto più: sei la protesta dell'anima del mondo. Ave, fratello!"14. lnfine Stefan Zweig nel suo libro Il mondo di ieri, sollecitato a intervenire a favore di un medico italiano antifascista, Giuseppe Germani, condannato a dieci anni di reclusione per avere tentato di fare espatriare la famiglia Matteotti, così rievocò quell'episodio rimettendo in luce il "brutale assassinio di Matteotti" e la rivolta della coscienza mondiale contro il delitto: "Un giorno ricevetti un espresso da un amico di Parigi per annunciarmi che una signora italiana sarebbe venuta da me a Salisburgo per cosa di molta importanza e per pregarmi di riceverla subito. Essa venne infatti l'indomani e quel che mi raccontò mi fece molta impressione. Suo marito, eccellente medico venuto da famiglia povera, aveva potuto studiare per l'aiuto di Matteotti. La coscienza mondiale, ormai già molto stanca, si era ancora una volta scossa e ribellata contro un singolo delitto in occasione del brutale assassinio da parte dei fascisti di questo capo socialista. Tutta Europa era insorta con sdegno. Quel medico e fido amico [...] boicottato e minacciato, aveva lasciato l'Italia. Ma il destino della famiglia Matteotti non 12


gli dava pace: ricordando il benefattore, voleva riuscire a far passare all'estero i suoi figliuoli. Durante tale tentativo era caduto in mano di spie o di agenti provocatori ed era stato arrestato. Dato che il ricordo di Matteotti era pur sempre scabroso in Italia, un processo con quella motivazione non si sarebbe risolto troppo male per lui; ma il giudice istruttore aveva abilmente abbinato il suo caso ad un altro processo contemporaneo per la preparazione di un attentato contro Mussolini. Il medico, che si era meritato nell'altra guerra alte decorazioni, venne condannato a dieci anni di reclusione". In quelle circostanze, considerati inutili gli appelli degli intellettuali e riusciti vani i tentativi di trovare appoggio in amici italiani benevoli e influenti ("... vidi a quel punto che la paura aveva già corroso le anime. Bastava che nominassi quel nome, perché ognuno fosse imbarazzato"), Zweig decise di scrivere direttamente a Mussolini, mai da lui incontrato, e proprio per questa via ottenne la trasformazione del carcere in confino e più tardi addirittura la grazia15. Di minore rilievo, e tuttavia significative per quanto riguarda la persistenza del culto matteottiano, appaiono le testimonianze di Sciascia e di Parise. Il primo, rievocando i primi anni della sua infanzia, rammenta una "zia che si teneva il ritratto di Matteotti dentro un paniere in cui c'erano aghi, forbici, matassine di filo ... Ogni tanto mi mostrava il ritratto e mi diceva che l'aveva fatto ammazzare 'quello'. Non faceva mai il nome di Mussolini; ma io da Totina (si chiamava così la cameriera) sapevo bene chi fosse 'quello' "16. Il secondo nel suo Il prete bello fa riferimento ad un modo singolare ma probabilmente diffuso di tener vivo il ricordo di Matteotti da parte socialista: "Mi accorsi che vide in me, come un bagliore, il nipote di quello della custodia biciclette, un miserabile pericoloso socialista con i bottoni dei polsi che raffiguravano la testa di Matteotti"17. Di segno diverso è invece la testimonianza deducibile da alcune pagine del romanzo giovanile autobiografico di Elio Vittorini Il garofano rosso, dove c'è l'eco dei furori di giovani fascisti al tempo della marcia su Roma e del mito della violenza fisica come virtù virile, onde l'uccisione di Matteotti si venne per loro a identificare come una presunta affermazione rivoluzionaria nei confronti di un membro autorevole dei 13


partiti non violenti. Cosi scrive, del resto, lo stesso Vittorini nella prefazione alla prima edizione del romanzo apparsa solo nel 1948, superate le censure fasciste e quando lo scrittore aveva da tempo preso le distanze rispetto ai confusi sentimenti dell'adolescenza: "... Si parla del ricordo d'infanzia che viene, nelle prime pagine, attribuito al ragazzo protagonista. E ricordo d'un desiderio, conosciuto nella prima infanzia; di uccidere qualcuno... A sedici anni egli è ancora posseduto da una vaga impressione che, per affermare se stesso, 'entrare nella vita degli adulti', essere riconosciuto uomo, occorra 'forse' uccidere qualcuno o, comunque, versare sangue. Tutti i ragazzi intomo a lui si comportano come se fossero, tutti, posseduti più o meno vagamente, dalla stessa impressione. C'è in loro, verso il mondo costituito, una diffidenza che li accomuna e un atteggiamento di rivolta... per cui sono portati a credersi rivoluzionari e sono pronti a simpatizzare con qualunque movimento politico appaia loro rivoluzionario ... Sono i giorni del delitto Matteotti... Il fascismo ha ucciso Matteotti: vale a dire ha ucciso, come ciascuno di essi ha l'impressione d'aver bisogno di fare, qualcuno. Agli occhi di loro, che vedono gli altri partiti non uccidere, il fascismo è forza, e come forza è vita, e come vita è rivoluzionario"18. Ma questi giovani, così come il giovanissimo Vittorini, avevano anche sentito parlare di socialismo ed erano quindi indotti a mescolare fascismo e socialismo con una equivoca ma resistente ambivalenza, che si troverà piu tardi al fondo del così detto 'fascismo di sinistra' e che porterà molti di quei giovani, tra cui lo stesso scrittore, fuori dell'ideologia fascista verso il comunismo. A dimostrazione che la figura e il sacrificio di Matteotti agirono in qualche modo, se pur per iniziale contrasto, come efficace reagente anche nello spirito e nelle menti degli avversari primieramente piu riottosi. 1 In proposito cfr. almeno C. Treves, Luce di martirio, "Critica Sociale". a. XXXIV, n. 12, 16-30 giugno 1924, p. 178 ("...tu, Matteotti, per tutti noi, per il popolo tutto, sei andanto incontro al Martirio, il più orribile") e R. Mondolfo, in AA.VV., Giacomo Matteotti. Nel I Anniversario del suo martirio, a cura del Comitato Centrale delle Opposizioni, Roma, Morara,

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1925, p. 69 ("La coscienza collettiva, espressa nel linguaggio, ha consacrato col nome di martiri, testimoni, coloro che hanno voluto e saputo, col sacrificio supremo della loro stessa vita, dare testimonianza della sincerità e profondità di una fede veramente vissuta... E testimone fu anche Giacomo Matteotti: testimone della nobiltà del proprio spirito, testimone dell'altezza della sua idealità. Una fede, che sa inspirare il sacrificio supremo, ha in sé stessa una potenza immortale, e consacra all'immortalità i suoi martiri"). 2 Per una parziale anticipazione di alcuni di questi testi, cfr. ll delitto Matteotti sessant' anni dopo: il cordoglio negli inediti 1924-1929, a cura di S. Caretti, "Nuova Antologia", a. CXIX, fasc. 2151, luglio-settembre 1984, pp. 5-32. 3 "La vicenda politica dell' Aventino e sufficientemente nota. Non è stata invece mai tentata una ricerca, difficile ma possibile, sulle ripercussioni nella coscienza del paese dell'assassinio di Matteotti" (G. Arfè, Giacomo M atteotti uomo e politico, "Rivista Storica Italiana", a. LXXVIII, 1966, fasc. I, p. 101). 4 L'orazione di Turati, "Critica Sociale", a. XXXIV, n. 13, 1-15 luglio 1924, pp. 196-198. La commemorazione di Turati del 27 giugno 1924 fu poi raccolta in un opuscolo e ristampata in diverse edizioni. Fu inoltre inserita in un'antologia (Umanità Nuova), curata da Ferdinando Schiavetti nel suo esilio, e pubblicata a Zurigo nel 1933 per i figli dei lavoratori italiani in Svizzera (cfr. E. Signori-M. Tesoro, Il verde e il rosso, Firenze, Le Monnier, 1987, p. 379). 5 P. Gobetti, Matteotti, "Rivoluzione Liberale", a. Il, n. 25, 17 giugno 1924, p. 100 (ora con il titolo Ho conosciuto Matteotti, in P. Gobetti, Scritti politici, a cura di P. Spriano, Torino, Einaudi, 1960, p. 707). 6 P. Nenni, Dal delitto di Stato alla questione morale, "Avanti!", 9 giugno 1974. 7 R. Morandi, L'antesignano della resistenza, in AA.VV., Matteotti, pubblicazione edita sotto l'alto patronato dell'ANPPIA, Roma, 1957, pp. 311-312. 8 L. Basso, Dal delitto Matteotti alle leggi eccezionali del 1926, in AA.VV. , Trent'anni di storia italiana: 1915-1945, a cura di F. Antonicelli, Torino, Einaudi, 1961, pp. 85-86. 9 F. Parri, Scritti: 1915-1975, a cura di E. Collotti-G. Rochat-G. Solaro Pelazza-P. Speziale, Milano, Feltrinelli, 1976, pp. 485-486. 10 Da segnalare almeno quelle di Fausto Nitti ("Il fatto che più notevolmente influì su di me e segnò certamente l'inizio di una nuova turbinosa epoca della mia vita, fu 1'assassinio del deputato Giacomo Matteotti"; F.S. Nitti, Le nostre prigioni e la nostra evasione, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1946, p. 26), di Aldo Garosci ("...ad avviarmi sulla strada della opposizione fu, inizialmente, come per molti altri, il delitto Matteotti ... Il colpo che ricevetti, e che in generale si ripercosse nella mia famiglia come nell'opinione media, fu grandissimo, proporzionato alla gravità della tragedia, pur se la nostra era una famiglia di tradizioni mediamente liberali"; AA.VV., Carlo Levi, Roma, De Luca Editore, 1983, p. 6), di Gaetano Arfe ("Io sono stato educato al culto di Matteotti"; AA.VV., Matteotti dal Polesine a Montecitorio, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1990, p. 17), di Vittorio Foa ("Il discrimine politico della mia adolescenza fu... certamente l'assassinio di Giacomo Matteotti con tutti i suoi risvolti politici e umani... Attraverso la vicenda appassionata del delitto Matteotti il fascismo mi appariva adesso come la negazione assoluta della razionalità nella vita sociale. E quindi assoluta, incondizionata, doveva essere la nostra opposizione al fascismo"; V. Foa, II Cavallo e la Torre. Riflessioni su una vita, Torino, Einaudi, 1991, pp. 18-19). 11 "Idea Nuova'', 28 giugno 1924, p. 2. 12 In P. Briganti, Jahier, Firenze, La Nuova Italia, 1976, p. 5. 13 V. Saba, Prose, Milano, Mondadori, 1964, p. 559. 14 II testo integrale di Unamuno ("Idea Nuova", 12 luglio 1924, p. 1) reca in testa "Para la gran alma joven del anciano Turati, adalid del Socialismo Italiano y maestro de Jacobo Matteotti" e in calce la data Junio 1924. Giusto allora Unamuno era confinato nelle Canarie (a Fuerteventura) per la sua opposizione alla dittatura di Primo De Rivera. Questo omaggio a Matteotti non figura nelle Obras completas di Miguel De Unamuno, a cura di M.G. Blanco, Madrid, 1966-1968. 15 S. Zweig, Il mondo di ieri, Milano, Mondadori, 1980, pp. 349-352. Da notare che il frammento riportato non figura nella prima edizione italiana del libro di Stefan Zweig Il mondo di ieri. Ricordi di un europeo, Roma, De Carlo, 1945. 16 L. Sciascia, La Sicilia come metafora, a cura di M. Padovani, Milano, Mondadori 1979, p. 3. 17 G. Parise, Il prete bello, Milano, Mondadori, 1983, p. 24. 18 E. Vittorini, Il garofano rosso, Milano, Mondadori, 1989, p. 209.

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Il discorso di Giacomo Matteotti alla Camera dei deputati del 30 maggio 1924 (resoconto stenografico)

Presidente "Ha chiesto di parlare l'onorevole Matteotti. Ne ha facoltà".

Matteotti "Noi abbiamo avuto da parte della Giunta delle elezioni la proposta di convalida di numerosi colleghi. Nessuno certamente, degli appartenenti a questa Assemblea, all'infuori credo dei componenti la Giunta delle elezioni, saprebbe ridire l'elenco dei nomi letti per la convalida, nessuno, né della Camera né delle tribune della stampa (Vive interruzioni alla destra e al centro)". Lupi "È passato il tempo in cui si parlava per le tribune!".

Matteotti "Certo la pubblicità è per voi un'istituzione dello stupidissimo secolo XIX. (Vivi rumori. Interruzioni alla destra e al centro) Comunque, dicevo, in questo momento non esiste da parte dell'Assemblea una conoscenza esatta dell'oggetto sul quale si delibera. Soltanto per quei pochissimi nomi che abbiamo potuto afferrare alla lettura, possiamo immaginare che essi rappresentino una parte della maggioranza. Ora, contro la loro convalida noi presentiamo questa pura e semplice eccezione: cioè, che la lista di maggioranza governativa, la quale nominalmente ha ottenuto una votazione di quattro milioni e tanti voti... (Interruzioni)". Voci al centro "Ed anche più!".

Matteotti "... cotesta lista non li ha ottenuti, di fatto e liberamente, ed è dubitabile quindi se essa abbia ottenuto quel tanto di percentuale che è necessario (Interruzioni. Proteste) per conquistare, anche secondo la vostra legge, i due terzi dei posti che le sono stati attribuiti! Potrebbe darsi che i nomi letti dal Presidente sieno di quei capilista che resterebbero eletti anche se, invece del premio di maggioranza, si applicasse la proporzionale pura in ogni circoscrizione. Ma poiché nessuno ha udito i nomi, e non è stata premessa nessuna affermazione generica di tale 16


specie, probabilmente tali tutti non sono, e quindi contestiamo in questo luogo e in tronco la validità della elezione della maggioranza (Rumori vivissimi). Vorrei pregare almeno i colleghi, sulla elezione dei quali oggi si giudica, di astenersi per lo meno dai rumori, se non dal voto. (Vivi commenti - Proteste Interruzioni alla destra e al centro)". Maraviglia "In contestazione non c'è nessuno, diversamente si asterrebbe!". Matteotti "Noi contestiamo...".

Maraviglia "Allora contestate voi!".

Matteotti "Certo sarebbe maraviglia se contestasse lei! L'elezione, secondo noi, è essenzialmente non valida, e aggiungiamo che non è valida in tutte le circoscrizioni. In primo luogo abbiamo la dichiarazione fatta esplicitamente dal governo, ripetuta da tutti gli organi della stampa ufficiale, ripetuta dagli oratori fascisti in tutti i comizi, che le elezioni non avevano che un valore assai relativo, in quanto che il Governo non si sentiva soggetto al responso elettorale, ma che in ogni caso - come ha dichiarato replicatamente - avrebbe mantenuto il potere con la forza, anche se... (Vivaci interruzioni a destra e al centro Movimenti dell'onorevole presidente del Consiglio)". Voci a destra "Sì, sì! Noi abbiamo fatto la guerra! (Applausi alla destra e al centro)".

Matteotti "Codesti vostri applausi sono la conferma precisa della fondatezza dei mio ragionamento. Per vostra stessa conferma dunque nessun elettore italiano si è trovato libero di decidere con la sua volontà... (Rumori, proteste e interruzioni a destra) Nessun elettore si è trovato libero di fronte a questo quesito...". Maraviglia "Hanno votato otto milioni di italiani!".

Matteotti "... se cioè egli approvava o non approvava la politica o, per meglio dire, il regime del Governo fascista. Nessuno si è trovato libero, perché ciascun cittadino sapeva a priori che, se anche avesse osato affermare a maggioranza il contrario, c'era una forza a disposizione del Governo che avrebbe annullato il suo voto e il suo responso. (Rumori e interruzioni a destra)". 17


Una voce a destra "E i due milioni di voti che hanno preso le minoranze?". Farinacci "Potevate fare la rivoluzione!".

Maraviglia "Sarebbero stati due milioni di eroi!".

Matteotti "A rinforzare tale proposito del Governo, esiste una milizia armata... (Applausi vivissimi e prolungati a destra e grida di "Viva la milizia")". Voci a destra "Vi scotta la milizia!".

Matteotti "... esiste. una milizia armata... (Interruzioni a destra, rumori prolungati)". Voci "Basta! Basta!".

Presidente "Onorevole Matteotti, si attenga all'argomento".

Matteotti "Onorevole Presidente, forse ella non m'intende; ma io parlo di elezioni. Esiste una milizia armata... (Interruzioni a destra) la quale ha questo fondamentale e dichiarato scopo: di sostenere un determinato Capo del Governo bene indicato e nominato nel Capo del fascismo e non, a differenza dell'Esercito, il Capo dello Stato. (Interruzioni e rumori a destra)". Voci a destra "E le guardie rosse?".

Matteotti "Vi è una milizia armata, composta di cittadini di un solo Partito, la quale ha il compito dichiarato di sostenere un determinato Governo con la forza, anche se ad esso il consenso mancasse. (Commenti) In aggiunta e in particolare... (Interruzioni), mentre per la legge elettorale la milizia avrebbe dovuto astenersi, essendo in funzione o quando era in funzione, e mentre di fatto in tutta l'Italia specialmente rurale abbiamo constatato in quei giorni la presenza di militi nazionali in gran numero... (Interruzioni, rumori)". Farinacci "Erano i balilla!".

Matteotti "Ăˆ vero, on. Farinacci, in molti luoghi hanno votato anche i balilla! (Approvazioni all'estrema sinistra, rumori a destra e al centro)". 18


Voce al centro "Hanno votato i disertori per voi!". Gonzales "Spirito denaturato e rettificato!".

Matteotti "Dicevo dunque che, mentre abbiamo visto numerosi di questi militi in ogni città e più ancora nelle campagne (Interruzioni), gli elenchi degli obbligati alla astensione, depositati presso i Comuni, erano ridicolmente ridotti a tre o quattro persone per ogni città, per dare l'illusione dell'osservanza di una legge apertamente violata, conforme lo stesso pensiero espresso dal presidente del Consiglio che affidava al militi fascisti la custodia delle cabine (Rumori). A parte questo argomento del proposito del Governo di reggersi anche con la forza contro il consenso. e del fatto di una milizia a disposizione di un partito che impedisce all'inizio e fondamentalmente la libera espressione della sovranità popolare ed elettorale e che invalida in blocco l'ultima elezione in Italia, c'è poi una serie di fatti che successivamente ha viziate e annullate tutte le singole manifestazioni elettorali. (Interruzioni, commenti)". Voci a destra "Perché avete paura! Perché scappate!".

Matteotti "Forse al Messico si usano fare le elezioni non con le schede, ma col coraggio di fronte alle rivoltelle (Vivi rumori. Interruzioni, approvazioni all'estrema sinistra). E chiedo scusa al Messico, se non è vero! (Rumori prolungati) I fatti cui accenno si possono riassumere secondo i diversi momenti delle elezioni. La legge elettorale chiede... (Interruzioni, rumori)". Greco "È ora di finirla! Voi svalorizzate il Parlamento!". Matteotti "E allora sciogliete il Parlamento".

Greco "Voi non rispettate la maggioranza e non avete diritto di essere rispettati".

Matteotti "Ciascun partito doveva, secondo la legge elettorale, presentare la propria lista di candidati... (Vivi rumori)". Maraviglia "Ma parli sulla proposta dell'onorevole Presutti".

Matteotti "Richiami dunque lei all'ordine il Presidente! La presentazione delle liste - dicevo - deve avvenire in ogni circoscrizione mediante un documento notarile a cui vanno apposte dalle trecento alle cinquecento firme. Ebbene, onorevoli 19


colleghi, in sei circoscrizioni su quindici le operazioni notarili che si compiono privatamente nello studio di un notaio, fuori della vista pubblica e di quelle che voi chiamate "provocazioni", sono state impedite con violenza. (Rumori vivissimi)". Bastianini "Questo lo dice lei!".

Voci dalla destra "Non è vero, non è vero".

Matteotti "Volete i singoli fatti? Eccoli: ad Iglesias il collega Corsi stava raccogliendo le trecento firme e la sua casa è stata circondata... (Rumori)". Maraviglia "Non è vero. Lo inventa lei in questo momento".

Farinacci "Va a finire che faremo sul serio quello .che non abbiamo fatto!". Matteotti "Fareste il vostro mestiere!". Lussu "È la verità, è la verità!...".

Matteotti "A Melfi... (Rumori vivissimi - Interruzioni) a Melfi è stata impedita la raccolta delle firme con la violenza (Rumori). In Puglia fu bastonato perfino un notaio (Rumori vivissimi)". Aldi-Mai "Ma questo nei ricorsi non c'è! In nessuno dei ricorsi! Ho visto gli atti delle Puglie e in nessun ricorso è accennato il fatto di cui parla l'on. Matteotti".

Farinacci "Vi faremo cambiare sistema! E dire che sono quelli che vogliono la normalizzazione!". Matteotti "A Genova (Rumori vivissimi) i fogli con le firme già raccolte furono portati via dal tavolo su cui erano stati firmati". Voci "Perché erano falsi".

Matteotti "Se erano falsi, dovevate denunciarli ai magistrati!". Farinacci "Perché non ha fatto i reclami alla Giunta delle elezioni?". Matteotti "Ci sono".

Una voce dal banco delle commissioni "No, non ci sono, li inventa lei". 20


Presidente "La Giunta delle elezioni dovrebbe dare esempio di compostezza! I componenti della Giunta delle elezioni parleranno dopo. Onorevole Matteotti, continui".

Matteotti "Io espongo fatti che non dovrebbero provocare rumori. I fatti o sono veri o li dimostrate falsi. Non c'è offesa, non c'è ingiuria per nessuno in ciò che dico: c'è una descrizione di fatti". Teruzzi "Che non esistono!".

Matteotti "Da parte degli onorevoli componenti della Giunta delle elezioni si protesta che alcuni di questi fatti non sono dedotti o documentati presso la Giunta delle elezioni. Ma voi sapete benissimo come una situazione e un regime di violenza non solo determinino i fatti stessi, ma impediscano spesse volte la denuncia e il reclamo formale. Voi sapete che persone, le quali hanno dato il loro nome per attestare sopra un giornale o in un documento che un fatto era avvenuto, sono state immediatamente percosse e messe quindi nella impossibilità di confermare il fatto stesso. Già nelle elezioni del 1921, quando ottenni da questa Camera l'annullamento per violenze di una prima elezione fascista, molti di coloro che attestarono i fatti davanti alla Giunta delle elezioni, furono chiamati alla sede fascista, furono loro mostrate le copie degli atti esistenti presso la Giunta delle elezioni illecitamente comunicate, facendo ad essi un vero e proprio processo privato perché avevano attestato il vero o firmato i documenti! In seguito al processo fascista essi furono boicottati dal lavoro o percossi (Rumori, interruzioni)". Voci a destra "Lo provi".

Matteotti "La stessa Giunta delle elezioni ricevette allora le prove del fatto. Ed è per questo, onorevoli colleghi, che noi spesso siamo costretti a portare in questa Camera l'eco di quelle proteste che altrimenti nel Paese non possono avere alcun'altra voce ed espressione. (Applausi all'estrema sinistra) In sei circoscrizioni, abbiamo detto, le formalità notarili furono impedite colla violenza, e per arrivare in tempo si dovette supplire malamente e come si poté con nuove firme in altre provincie. A Reggio Calabria, per esempio, abbiamo dovuto provvedere con nuove firme per supplire quelle che in Basilicata erano state impedite". Una voce dal banco della giunta "Dove furono impedite?". 21


Matteotti "A Melfi, a Iglesias, in Puglia... devo ripetere? (Interruzioni, rumori) Presupposto essenziale di ogni elezione è che i candidati, cioè coloro che domandano al suffragio elettorale il voto, possano esporre, in contraddittorio con il programma del Governo, in pubblici comizi o anche in privati locali, le loro opinioni. In Italia, nella massima parte dei luoghi, anzi quasi da per tutto, questo non fu possibile". Una voce "Non è vero! Parli l'onorevole Mazzoni! (Rumori)".

Matteotti "Su ottomila comuni italiani, e su mille candidati delle minoranze, la possibilità è stata ridotta a un piccolissimo numero di casi, soltanto là dove il partito dominante ha consentito per alcune ragioni particolari o di luogo o di persona. (Interruzioni, rumori). Volete i fatti? La Camera ricorderà l'incidente occorso al collega Gonzales". Teruzzi "Noi ci ricordiamo del 1919, quando buttavate gli ufficiali nel Naviglio. lo, per un anno, sono andato a casa con la pena di morte sulla testa!".

Matteotti "Onorevoli colleghi, se voi volete contrapporci altre elezioni, ebbene io domando la testimonianza di un uomo che siede al banco del Governo, se nessuno possa dichiarare che ci sia stato un solo avversario che non abbia potuto parlare in contraddittorio con me nel 1919". Voci "Non è vero! non è vero!".

Finzi, sottosegretario di Stato per l'interno "Michele Bianchi! Proprio lei ha impedito di parlare a Michele Bianchi!".

Matteotti "Lei dice il falso! (Interruzioni, rumori) Il fatto è semplicemente questo, che l'onorevole Michele Bianchi con altri teneva un comizio a Badia Polesine. Alla fine del comizio che essi tennero. sono arrivato io e ho domandato la parola in contraddittorio. Essi rifiutarono e se ne andarono e io rimasi a parlare. (Rumori, interruzioni)". Finzi "Non è così!".

Matteotti "Porterò i giornali vostri che lo attestano".

Finzi "Lo domandi all'onorevole Merlin che è più vicino a lei! L'onorevole Merlin cristianamente deporrà". 22


Matteotti "L'on. Merlin ha avuto numerosi contraddittori con me, e nessuno fu impedito e stroncato. Ma lasciamo stare il passato. Non dovevate voi essere i rinnovatori del costume italiano? Non dovevate voi essere coloro che avrebbero portato un nuovo costume morale nelle elezioni? (Rumori) e, signori che mi interrompete, anche qui nell'assemblea? (Rumori a destra)". Teruzzi "È ora di finirla con queste falsità".

Matteotti "L'inizio della campagna elettorale del 1924 avvenne dunque a Genova, con una conferenza privata e per inviti da parte dell'onorevole Gonzales. Orbene, prima ancora che si iniziasse la conferenza, i fascisti invasero la sala e a furia di bastonate impedirono all'oratore di aprire nemmeno la bocca. (Rumori, interruzioni, apostrofi)". Una voce "Non è vero, non fu impedito niente (Rumori)".

Matteotti "Allora rettifico! Se l'onorevole Gonzales dovette passare 8 giorni a letto, vuol dire che si è ferito da solo, non fu bastonato. (Rumori, interruzioni) L'onorevole Gonzales, che è uno studioso di San Francesco, si è forse autoflagellato! (Si ride. Interruzioni) A Napoli doveva parlare... (Rumori vivissimi, scambio di apostrofi fra alcuni deputati che siedono all'estrema sinistra)".

Presidente "Onorevoli colleghi, io deploro quello che accade. Prendano posto e non turbino la discussione! Onorevole Matteotti, prosegua, sia breve, e concluda". 23


Matteotti "L'Assemblea deve tenere conto che io debbo parlare per improvvisazione, e che mi limito...". Voci "Si vede che improvvisa! E dice che porta dei fatti!". Gonzales "I fatti non sono improvvisati! (Rumori)".

Matteotti "Mi limito, dico, alla nuda e cruda esposizione di alcuni fatti. Ma se per tale forma di esposizione domando il compatimento dell'Assemblea... (Rumori) non comprendo come i fatti senza aggettivi e senza ingiurie possano sollevare urla e rumori. Dicevo dunque che ai candidati non fu lasciata nessuna libertĂ di esporre liberamente il loro pensiero in contraddittorio con quello del Governo fascista e accennavo al fatto dell'onorevole Gonzales, accennavo al fatto dell'onorevole Bentini a Napoli, alla conferenza che doveva tenere il capo dell'opposizione costituzionale, l'onorevole Amendola, e che fu impedita... (Oh, oh! - Rumori)".

Voci da destra "Ma che costituzionale! Sovversivo come voi! Siete d'accordo tutti!". Matteotti "Vuol dire dunque che il termine "sovversivo" ha molta elasticitĂ !".

Greco "Chiedo di parlare sulle affermazioni dell'onorevole Matteotti".

Matteotti "L'onorevole Amendola fu impedito di tenere la sua conferenza, per la mobilitazione, documentata, da parte di comandanti di corpi armati, i quali intervennero in cittĂ ...". Presutti "Dica bande armate, non corpi armati!".

Matteotti "Bande armate, le quali impedirono la pubblica e libera conferenza. (Rumori) Del resto, noi ci siamo trovati in queste condizioni: su 100 dei nostri candidati, circa 60 non potevano circolare liberamente nella loro circoscrizione!". Voci di destra "Per paura! Per paura! (Rumori - Commenti)".

Farinacci "Vi abbiamo invitati telegraficamente!".

Matteotti "Non credevamo che le elezioni dovessero svolgersi proprio come un saggio di resistenza inerme alle violenze fisiche dell'avversario, che è al Governo e dispone di tutte le forze 24


armate! (Rumori) Che non fosse paura, poi, lo dimostra il fatto che, per un contraddittorio, noi chiedemmo che ad esso solo gli avversari fossero presenti, e nessuno dei nostri; perché, altrimenti, voi sapete come è vostro costume dire che "qualcuno di noi ha provocato" e come "in seguito a provocazioni" i fascisti "dovettero" legittimamente ritorcere l'offesa, picchiando su tutta la linea! (Interruzioni)". Voci da destra "L'avete studiato bene!".

Pedrazzi "Come siete pratici di queste cose, voi!". Presidente "Onorevole Pedrazzi!".

Matteotti "Comunque, ripeto, i candidati erano nella impossibilità di circolare nelle loro circoscrizioni!". Voci a destra "Avevano paura!".

Turati Filippo "Paura! Sì, paura! Come nella Sila, quando c'erano i briganti, avevano paura (Vivi rumori a destra, approvazioni a sinistra)".

Una voce "Lei ha tenuto il contraddittorio con me ed è stato rispettato".

Turati Filippo "Ho avuto la vostra protezione a mia vergogna! (Applausi a sinistra, rumori a destra)". Presidente "Concluda, onorevole Matteotti. Non provochi incidenti!".

Matteotti "Io protesto! Se ella crede che non gli altri mi impediscano di parlare, ma che sia io a provocare incidenti, mi seggo e non parlo! (Approvazioni a sinistra - Rumori prolungati)".

Presidente "Ha finito? Allora ha facoltà di parlare l'onorevole Rossi...".

Matteotti "Ma che maniera è questa! Lei deve tutelare il mio diritto di parlare! lo non ho offeso nessuno! Riferisco soltanto dei fatti. Ho diritto di essere rispettato! (Rumori prolungati, Conversazioni)".

Casertano presidente della Giunta delle elezioni "Chiedo di parlare".

Presidente "Ha facoltà di parlare l'onorevole presidente della Giunta delle elezioni. C'è una proposta di rinvio degli atti alla Giunta". 25


Matteotti "Onorevole Presidente!...".

Presidente "Onorevole Matteotti, se ella vuoi parlare, ha facoltà di continuare, ma prudentemente".

Matteotti "Io chiedo di parlare non prudentemente, né imprudentemente, ma parlamentarmente!". Presidente "Parli, parli".

Matteotti "I candidati non avevano libera circolazione... (Rumori. Interruzioni)". Presidente "Facciano silenzio! Lascino parlare!".

Matteotti "Non solo non potevano circolare, ma molti di essi non potevano neppure risiedere nelle loro stesse abitazioni, nelle loro stesse città. Alcuno, che rimase al suo posto, ne vide poco dopo le conseguenze. Molti non accettarono la candidatura, perché sapevano che accettare la candidatura voleva dire non aver più lavoro l'indomani o dover abbandonare il proprio paese ed emigrare all'estero (Commenti)". Una voce "Erano disoccupati!".

Matteotti "No, lavorano tutti, e solo non lavorano, quando voi li boicottate". Voci da destra "E quando li boicottate voi?".

Farinacci "Lasciatelo parlare! Fate il loro giuoco!".

Matteotti "Uno dei candidati, l'onorevole Piccinini, al quale mando a nome del mio gruppo un saluto... (Rumori)". Voci "E Berta? Berta!".

Matteotti "... conobbe cosa voleva dire obbedire alla consegna del proprio partito. Fu assassinato nella sua casa, per avere accettata la candidatura nonostante prevedesse quale sarebbe stato per essere il destino suo all'indomani. (Rumori) Ma i candidati - voi avete ragione di urlarmi, onorevoli colleghi - i candidati devono sopportare la sorte della battaglia e devono prendere tutto quello che è nella lotta che oggi imperversa. lo accenno soltanto, non per domandare nulla, ma perché anche 26


questo è un fatto concorrente a dimostrare come si sono svolte le elezioni. (Approvazioni all'estrema sinistra) Un'altra delle garanzie più importanti per lo svolgimento di una libera elezione era quella della presenza e del controllo dei rappresentanti di ciascuna lista, in ciascun seggio. Voi sapete che, nella massima parte dei casi, sia per disposizione di legge, sia per interferenze di autorità, i seggi - anche in seguito a tutti gli scioglimenti di Consigli comunali imposti dal Governo e dal partito dominante - risultarono composti quasi totalmente di aderenti al partito dominante. Quindi l'unica garanzia possibile, l'ultima garanzia esistente per le minoranze, era quella della presenza del rappresentante di lista al seggio. Orbene, essa venne a mancare. Infatti, nel 90 per cento, e credo in qualche regione fino al 100 per cento dei casi, tutto il seggio era fascista e il rappresentante della lista di minoranza non poté presenziare le operazioni. Dove andò, meno in poche grandi città e in qualche rara provincia, esso subì le violenze che erano minacciate a chiunque avesse osato controllare dentro il seggio la maniera come si votava, la maniera come erano letti e constatati i risultati. Per constatare il fatto, non occorre nuovo reclamo e documento. Basta che la Giunta delle elezioni esamini i verbali di tutte le circoscrizioni, e controlli i registri. Quasi dappertutto le operazioni si sono svolte fuori della presenza di alcun rappresentante di lista. Veniva così a mancare l'unico controllo, l'unica garanzia, sopra la quale si può dire se le elezioni si sono svolte nelle dovute forme e colla dovuta legalità. Noi possiamo riconoscere che, in alcuni luoghi, in alcune poche città e in qualche provincia, il giorno delle elezioni vi è stata una certa libertà. Ma questa concessione limitata della libertà nello spazio e nel tempo - e l'onorevole Farinacci, che è molto aperto, me lo potrebbe ammettere - fu data ad uno scopo evidente: dimostrare, nei centri più controllati dall'opinione pubblica e in quei luoghi nei quali una più densa popolazione avrebbe reagito alla violenza con una evidente astensione controllabile da parte di tutti, che una certa libertà c'è stata. Ma, strana coincidenza, proprio in quei luoghi dove fu concessa a scopo dimostrativo quella libertà, le minoranze raccolsero una tale abbondanza di suffragi, da superare la maggioranza - con questa conseguenza però, che la violenza, che non si era avuta prima delle elezioni, si ebbe dopo le elezioni. E noi ricordiamo quello che è avvenuto specialmente nel Milanese e nel Genovesato ed in parecchi altri luoghi, dove le elezioni diedero risultati soddisfacenti in confronto alla lista fascista. Si ebbero distruzioni di giornali, devastazioni di locali, bastonature alle persone. Distruzioni che hanno portato milioni di danni... (Vivissimi rumori al centro e a destra)". 27


Una voce a destra "Ricordatevi delle devastazioni dei comunisti!".

Matteotti "Onorevoli colleghi, ad un comunista potrebbe essere lecito, secondo voi, di distruggere la ricchezza nazionale, ma non ai nazionalisti, né ai fascisti come vi vantate voi! Si sono avuti, dicevo, danni per parecchi milioni, tanto che persino un alto personaggio, che ha residenza in Roma, ha dovuto accorgersene, mandando la sua adeguata protesta e il soccorso economico. In che modo si votava? La votazione avvenne in tre maniere: l'Italia è una, ma ha ancora diversi costumi. Nella valle del Po, in Toscana e in altre regioni che furono citate all'ordine del giorno dal presidente del Consiglio per l'atto di fedeltà che diedero al Governo fascista, e nelle quali i contadini erano stati prima organizzati dal partito socialista, o dal partito popolare, gli elettori votavano sotto controllo del partito fascista con la "regola del tre". Ciò fu dichiarato e apertamente insegnato persino da un prefetto, dal prefetto di Bologna: i fascisti consegnavano agli elettori un bollettino contenente tre numeri o tre nomi, secondo i luoghi (Interruzioni), variamente alternati in maniera che tutte le combinazioni, cioè tutti gli elettori di ciascuna sezione, uno per uno, potessero essere controllati e riconosciuti personalmente nel loro voto. In moltissime provincie, a cominciare dalla mia, dalla provincia di Rovigo, questo metodo risultò eccellente". Finzi "Evidentemente lei non c'era! Questo metodo non fu usato!".

Matteotti "Onorevole Finzi, sono lieto che, con la sua negazione, ella venga implicitamente a deplorare il metodo che è stato usato". Finzi "Lo provi".

Matteotti "In queste regioni tutti gli elettori...".

Ciarlantini "Lei ha un trattato, perché non lo pubblica?".

Matteotti "Lo pubblicherò, quando mi si assicurerà che le tipografie del Regno sono indipendenti e sicure (Vivissimi rumori al centro e a destra); perché, come tutti sanno, anche durante le elezioni, i nostri opuscoli furono sequestrati, i giornali invasi, le tipografie devastate o diffidate di pubblicare le nostre cose. (Rumori)". Voci "No! No!".

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Matteotti "Nella massima parte dei casi però non vi fu bisogno delle sanzioni, perché i poveri contadini sapevano inutile ogni resistenza e dovevano subire la legge del più forte, la legge del padrone, votando, per tranquillità della famiglia, la terna assegnata a ciascuno dal dirigente locale del Sindacato fascista o dal fascio (Vivi rumori interruzioni)".

Suardo "L'onorevole Matteotti non insulta me rappresentante: insulta il popolo italiano ed io, per la mia dignità, esco dall'Aula. (Rumori Commenti) La mia città in ginocchio ha inneggiato al Duce Mussolini, sfido l'onorevole Matteotti a provare le sue affermazioni. Per la mia dignità di soldato, abbandono quest'Aula. (Applausi, commenti)".

Teruzzi "L'onorevole Suardo è medaglia d'oro! Si vergogni, on. Matteotti. (Rumori all'estrema sinistra)". Presidente "Facciano silenzio! Onorevole Matteotti, concluda!".

Matteotti "lo posso documentare e far nomi. In altri luoghi invece furono incettati i certificati elettorali, metodo che in realtà era stato usato in qualche piccola circoscrizione anche nell'Italia prefascista, ma che dall'Italia fascista ha avuto l'onore di essere esteso a larghissime zone del meridionale; incetta di certificati, per la quale, essendosi determinata una larga astensione degli elettori che non si ritenevano liberi di esprimere il loro pensiero, i certificati furono raccolti e affidati a gruppi di individui, i quali si recavano alle sezioni elettorali per votare con diverso nome, fino al punto che certuni votarono dieci o venti volte e che giovani di venti anni si presentarono ai seggi e votarono a nome di qualcheduno che aveva compiuto i 60 anni. (Commenti) Si trovarono solo in qualche seggio pochi, ma autorevoli magistrati, che, avendo rilevato il fatto, riuscirono ad impedirlo".

Torre Edoardo "Basta, la finisca! (Rumori, commenti) . Che cosa stiamo a fare qui? Dobbiamo tollerare che ci insulti? (Rumori - Alcuni deputati scendono nell'emiciclo). Per voi ci vuole il domicilio coatto e non il Parlamento! (Commenti - Rumori)". Voci "Vada in Russia!".

Presidente "Facciano silenzio! E lei, onorevole Matteotti, concluda!".

Matteotti "Coloro che ebbero la ventura di votare e di raggiungere le cabine, ebbero, dentro le cabine, in moltissimi 29


Comuni, specialmente della campagna, la visita di coloro che erano incaricati di controllare i loro voti. Se la Giunta delle elezioni volesse aprire i plichi e verificare i cumuli di schede che sono state votate, potrebbe trovare che molti voti di preferenza sono stati scritti sulle schede tutti dalla stessa mano, così come altri voti di lista furono cancellati, o addirittura letti al contrario. Non voglio dilungarmi a descrivere i molti altri sistemi impiegati per impedire la libera espressione della volontà popolare. Il fatto è che solo una piccola minoranza di cittadini ha potuto esprimere liberamente il suo voto: il più delle volte, quasi esclusivamente coloro che non potevano essere sospettati di essere socialisti. I nostri furono impediti dalla violenza; mentre riuscirono più facilmente a votare per noi persone nuove e indipendenti, le quali, non essendo credute socialiste, si sono sottratte al controllo e hanno esercitato il loro diritto liberamente. A queste nuove forze che manifestano la reazione della nuova Italia contro l'oppressione del nuovo regime, noi mandiamo il nostro ringraziamento. (Applausi all'estrema sinistra. Rumori dalle altre parti della Camera). Per tutte queste ragioni, e per le altre che di fronte alle vostre rumorose sollecitazioni rinunzio a svolgere, ma che voi ben conoscete perché ciascuno di voi ne è stato testimonio per lo meno (Rumori) ... per queste ragioni noi domandiamo l'annullamento in blocco della elezione di maggioranza". Voci alla destra "Accettiamo (Vivi applausi a destra e al centro)".

Matteotti "[...] Voi dichiarate ogni giorno di volere ristabilire l'autorità dello Stato e della legge. Fatelo, se siete ancora in tempo; altrimenti voi sì, veramente, rovinate quella che è l'intima essenza, la ragione morale della Nazione. Non continuate più oltre a tenere la Nazione divisa in padroni e sudditi, poiché questo sistema certamente provoca la licenza e la rivolta. Se invece la libertà è data, ci possono essere errori, eccessi momentanei, ma il popolo italiano, come ogni altro, ha dimostrato di saperseli correggere da sé medesimo. (Interruzioni a destra) Noi deploriamo invece che si voglia dimostrare che solo il nostro popolo nel mondo non sa reggersi da sé e deve essere governato con la forza. Ma il nostro popolo stava risollevandosi ed educandosi, anche con l'opera nostra. Voi volete ricacciarci indietro. Noi difendiamo la libera sovranità del popolo italiano al quale mandiamo il più alto saluto e crediamo di rivendicarne la dignità, domandando il rinvio delle elezioni inficiate dalla violenza alla Giunta delle elezioni. (Applausi all'estrema sinistra - Vivi rumori)". 30


Filippo Turati

La commemorazione di Giacomo Matteotti del 27 giugno 1924

Il 27 giugno del 1924 Filippo Turati pronunciò un commosso discorso durante la riunione delle opposizioni parlamentari, in ricordo dell'amico assassinato. Queste le parole dell'anziano leader socialista.

"Vorrei che a questa riunione non si desse il nome logoro, consunto - specialmente qui dentro - di "commemorazione". Noi non "commemoriamo". Noi siamo qui convenuti ad un rito, ad un rito religioso, che è il rito stesso della Patria. Il fratello, quegli che io non ho bisogno di nominare, perché il Suo nome è evocato in questo stesso momento da tutti gli uomini di cuore, al di qua e al di là dell'Alpe e dei mari, non è un morto, non è un vinto, non è neppure un assassinato. Egli vive, Egli è qui presente, e pugnante. Egli è un accusatore; Egli è un giudicatore; Egli è un vindice. Non il nostro vindice, o colleghi. Sarebbe troppo misera e futile cosa. Egli è qui il vindice della terra nativa; il vindice della Nazione che fu depressa e soppressa; il vindice di tutte le cose grandi, che Egli amò, che noi amammo, per le quali vivemmo, per le quali oggi più che mai abbiamo, anche se stanchi e sopraffatti dal disgusto, il dovere di vivere. E il dovere di vivere è anche, e soprattutto, il dovere di morire quando l'ora lo comanda. Di morire per rivivere; di morire perché tutto un popolo morto riviva; di morire perché il nostro sangue purifichi le zolle, le sacre zolle della Patria, che alla Patria - se le fecondi sudore di servi - procacciano messi avvelenate. E questo vivo, che è qui accanto a me, alla mia destra, ritto nella sua svelta figura di giovane arciere, di cui voi vedete il sorriso, di cui voi scorgete il cipiglio - perché non è un'allucinazione, perché li vedete, perché non vi inganno - questo vivo, questo superstite, questo ormai immortale e invulnerabile, fatto tale dai nemici nostri e d'Italia; questo vivo, nell'odierno rito, è trasfigurato. È Lui ed è tutti. È uno ed è l'universale. È un individuo ed è una gente. Invano gli avranno tagliato le membra, invano (come si narra) lo avranno assoggettato allo scempio più atroce, invano il suo viso, dolce e severo, sarà stato sfigurato. Le membra si sono ricomposte. Il miracolo di Galilea si è rinnovato. A che le vane 31


ricerche, o farisei d'ogni stirpe? A che gli idrovolanti sul lago, a che il perlustrare la macchia, il frugare nei forni? L'avello ci ha reso la salma. Il morto si leva. E parla. E ridice le parole sante, strozzategli nella gola, che furono da uno dei sicari tramandate alle genti, che son Sue quand'anche non le avesse pronunciate, che son vere se anche non fossero realtà, perché sono l'anima Sua; le parole che si incideranno nel bronzo sulla targa che mureremo qui o sul monumento che rizzeremo sulla piazza a monito dei futuri: "Uccidete me, ma l'idea che è in me non la ucciderete mai... La mia idea non muore... I miei bambini si glorieranno del loro padre... I lavoratori benediranno il mio cadavere... Viva il Socialismo!". È qui trasfigurato, o colleghi. E di ciò il mio egoismo si duole, il mio piccolo egoismo di individuo, di fratello maggiore, di anziano, di padre; ché Egli non è più soltanto il mio figliolo prediletto. L'uomo di parte, l'assertore nobile ed alto di un'idea nobilissima, quegli che fu, per noi socialisti, tutto in una volta, il filosofo, il finanziere, l'oratore, l'organizzatore, il commesso viaggiatore, l'animatore sovra tutto, il pensiero insomma e l'azione congiunti - anche l'azione più umile che altri sdegnava - l'unico, l'insostituibile; colui che, come già Leonida Bissolati pel Cremonese, travolto dalla sublime follia dell'amore dei suoi contadini, del suo proletariato polesano, per esso aveva rinunziato indifferente agli agi e alla tranquillità della vita, alla seduzione degli studi cari in cui più eccelleva, e di sé e della sua giovinezza poteva dire, col poeta della Versilia "e tutto ciò che facile allor promettono gli anni,/ io 'l diedi per un impeto lacrimoso di affanni,/ per un amplesso aereo in faccia all'avvenir" e per questa sua passione divorante, gelosa, era l'esule in patria, il bandito dalla sua terra, il maledetto dai parassiti della sua terra, il profugo eterno, sempre presente soltanto dove l'ora del periglio battesse la diana; quest'uomo, questa figura così staccata e viva su lo sfondo verde e bigio di questo singolare paesaggio politico, non sparisce, no, non scolora, ma si riaffaccia oggi in troppo più ampia cornice. Quello che era cosa nostra, è divenuto anche la cosa vostra, l'uomo di tutti, l'uomo della storia. E, ingrandito così, quasi è tolto a noi, come alla famiglia dolorante, perché è divenuto un simbolo. Il simbolo di un oltraggio che riassume ed eterna cento e cento mila altri oltraggi, tutti gli oltraggi fatti ad un popolo; la figura che compendia tutti gli altri trucidati e percossi per lo stesso fine, da Di Vagno a Piccinini, agli infiniti altri oscuri; il simbolo di una stirpe che si riscuote; il simbolo di un passato che si redime, di un presente che si ridesta, di un avvenire che si annunzia; della immortale democrazia, della indefettibile giustizia sociale, che si rimettono in cammino; dell'Italia che, dopo una parentesi di 32


spaventoso Medio Evo, risale nella luce dell'età moderna, rientra tra le genti civili. Il simbolo e la Nemesi: la Nemesi augusta, o signori, che è della storia. Cerchi il Magistrato le colpe e le ferocie secondarie e minori; incalzi gli esecutori codardi e i mandanti immediati; compito anche questo, altamente rispettabile e necessario. Frughi e tenti di sventare la congiura degli intrighi, di snodare il groviglio dei silenzi comprati o ricattati, le mendicate omertà, e il tagliaborse che si annida nell'assassino. Tutta questa è la cronaca. La Nemesi vola più alto. Essa addita il grande mandato; il mandato che erompe da più anni di violenze volute, di violenze inanellate alla frode, di consenso cercato ed irriso; dal sarcasmo di una pacificazione, proclamata a parole e impedita e violentata nei fatti; dall'incitamento perenne alla soppressione del pensiero libero e di chiunque lo incarni, la quale è soppressione della vita, della Patria, della civiltà. Addita il mandato che scese dall'istrionismo bifronte, che adesca insieme e minaccia, che offre il ramo d'olivo ed affila nell'ombra i pugnali. Addita il mandato che salì dalle viltà incommensurabili, dalle fughe abbiette, dagli obliqui fiancheggiamenti, dai silenzi complici, dalla corruzione demagogica esercitata su anime semplici, talvolta generose ed eroiche, persino di combattenti insigni od oscuri, i quali in buona fede hanno creduto che un regime di minaccia e di prepotenza potesse essere ricostruttore, che la più immonda curée potesse germogliare la rigenerazione del Paese, che gli errori e le colpe fugaci di una massa illusa (e non cerchiamo illusa da chi; e non domandiamoci se veramente esistano le colpe di un popolo) dovessero espiarsi, non col richiamo severo alla ragione, ma con la catena dei delitti, con la tregenda delle sopraffazioni esercitate su quel popolo; col dileggio di ogni umana dignità; con la tragedia del terrore, accoppiata alla coreografia di vetusti trionfi mal redivivi. Lo credettero in buona fede; alcuni - sempre più radi - lo credono ancora. Ma per poco, ormai. L'oscena leggenda è sfatata. Giacomo Matteotti l'ha dispersa; l'ha dispersa per sempre. L'edificio dell'iniquità e dell'ipocrisia crolla da ogni parte. Ah! sì. I masnadieri avevano bene scelto, avevano mirato giusto, sopprimendo il nostro migliore. Mirando al suo cuore, sapevano di mirare al nostro cuore. Ma ignoravano la sanzione inesorabile che fu sempre nelle vicende del mondo. Ignoravano - fu confessato - che il delitto era soprattutto un errore. Che la vittima sarebbe stata il giustiziere. Che la coscienza di un popolo, che ha millenni di storia e di gloria, si assopisce, si comprime, ma non si spegne. Che i morti non pesano soltanto, ma sopravvivono. Giacomo Matteotti vince morendo e ci accompagna e ci guida. Se commemorazione è questa, se questo è un lugubre rito, non è l'epicedio del suo tumulo ignorato, non è la riconsacrazione di 33


una salma che non può riapparire e che più è presente quanto più è assente e celata. Altro è oggi il funerale. Altri sono i morti. L'edificio dell'iniquità e dell'ipocrisia crolla da ogni parte. Neppure la speculazione ultima e più scaltra ed audace - quella sulla nostra speculazione - ha alito e ali per reggersi. Lo sguardo vitreo della vittima illumina un panorama d'infamia che i più non sospettavano ancora. Ove la sua ombra si leva, ivi si stende attorno la solennità del deserto. Noi parliamo da quest'aula parlamentare, mentre non vi è più un Parlamento. I soli eletti stanno sull'Aventino delle loro coscienze, donde nessun adescamento li rimove sinché il sole della libertà non albeggi, l'imperio della legge non sia restituito e cessi la rappresentanza del popolo di essere la beffa atroce a cui l'hanno ridotta. Le futili contese tacciono fra essi, e una grande unità si costituisce fra essi tutti e fra essi e l'anima della Nazione. Quella che fu la maggioranza, è ridotta a un reparto di milizia, cui è intimato di obbedire in silenzio, perché ogni sua parola la disgregherebbe. I due tronconi non si saldano. E i politici già si domandano se vi sia più un Governo, se vi possa essere più un Governo. Se vi è per l'Italia; se vi è per il resto del mondo. Ma un paese moderno non vive senza queste due cose che vennero meno: un Parlamento rispettato e libero; un Governo legale e non sospettato. Signori, dall'eccidio di Giacomo Matteotti la nuova storia d'Italia incomincia. A noi un solo compito: esserne degni. Eppure, neppure questo ci consola. Perché, se un eccidio, e il più brutale degli eccidii, era necessario, una cosa non era necessaria: che colpisse Lui. E, se parve, come ho detto, ch'egli fosse il più designato perché era il più forte e il più degno, dice l'effetto che non sempre è profetessa la malizia dei masnadieri. Lui giovane, Lui forte, Lui armato di tutte le armi civili, Lui temerario nel coraggio, Lui che si fece volontario della morte - questo fanciullo dagli occhi pieni di bontà, che tutti ci rimbrottava ed a tutti indulgeva, perché tutti sapeva comprendere e sapeva la inanità delle prediche contro la umana fralezza -; Lui, figlio di una madre antica, che geme; Lui, sposo di una sposa giovane, che paventa di smarrire il senno; Lui, padre di tre teneri bimbi, virgulti inconsci che un giorno metteranno le spine, verso i quali Egli aveva tenerezze di madre, come, nell'intimità della casa felice, pareva un figlio alla sposa. No! inferocire su questo idillio non era necessario! Altrove poteva la sorte cieca e maligna eleggere il suo strumento di pace e di giustizia. E questa vecchia carcassa di chi oggi vi parla, che la vita ha tutta ormai spesa e che il proprio inverno avrebbe barattato con gioia per salvarvi la primavera superba del nostro eroe, è oggi dilaniata dal rammarico, direi dal rimorso, di non averlo vigilato abbastanza, 34


di non essersi imposto, col peso della anzianità a cui forse Egli avrebbe obbedito, alle sue gagliarde imprudenze... Lasciate, o colleghi, ch'io cessi queste parole, così ìmpari, e che il singhiozzo minaccia di rompere; ch'io dimentichi dove siamo e donde parliamo; ch'io mi inginocchi idealmente accanto alla salma del figliuolo prediletto, e gli carezzi la fronte e gli chieda perdono della mia, della nostra indegnità e gli dica tutta la gratitudine nostra, la gratitudine di tutto un popolo. E gli giuri, a nome di voi tutti, che la Sua ombra, presto, sarà placata".

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Piero Gobetti

MATTEOTTI (*)

L'intransigente del "sovversivismo" Il 2 maggio 1915, tre giorni prima della sagra dannunziana di Quarto, ci fu a Rovigo un comizio contro la guerra, oratori il dottor Giacomo Matteotti e Aldo Parini che vi sostenne, esempio unico in una pubblica riunione, la tesi missiroliana della Germania democratica. Invece di un discorso si ebbe un dialogo con la folla, scontrosa e diffidente per gli oratori. Matteotti parlava contro la violenza con un linguaggio da cristiano: nella folla fremevano fascisticamente spiriti di dannunzianismo e di piccolo cinismo machiavellico. Matteotti parlò contra la guerra. Lo interrompevano in dialogo acre ma si dovevano riconoscere di fronte una fede invece di un progetto. Quel giorno Matteotti previde la guerra lunga, difficile, disastrosa anche per i vincitori; e portò la sua tesi in sede metafisica: inutilità della guerra, facendosi tollerare da una generazione nietzscheana per la severità della sua solitudine. Ripeté il suo discorso, quando non c'era più pacifista che * Riproduciamo integralmente l'opuscolo (uscito dopo l'assassinio di Matteotti da parte dei fascisti) di Piero Gobetti, Matteotti, Gobetti editore, Torino 1924, pp. 38; le ultime quattro pagine riportano dei cenni biografici su Matteotti, non scritti da Gobetti; al termine è infatti scritta una nota (che riproduciamo come nota) nella quale viene affermato che i "cenni" sono dovuti "alla cura di un compagno di lotta di Giacomo Matteotti" (p. 38 dell'opuscolo gobettiano). Secondo la ricostruzione di Marco Scavino i "cenni biografici" furono stesi da Aldo Parini in un primo momento per il saggio di Gobetti su Matteotti uscito ne "La rivoluzione liberale" n. 30 de! 22 luglio 1924; successivamente essi furono "ripresi e trasfusi anche nel fortunatissimo, omonimo pamphlet, che Gobetti volle far uscire subito, tra la fine di luglio e i primi di agosto" (cfr. Marco Scavino, Gobetti, Parini e il delitto Matteotti, in Aldo Parini, La vita di Giacomo Matteotti. Manoscritto inedito conservato presso ii Centro studi Piero Gobetti di Torino, a cura di Marco Scavino e Valentino Zaghi, con un intervento di Matteo Matteotti, Minelliana, Rovigo 1998, p. 38) [N.d.r.]. 36


parlasse, a guerra iniziata, al Consiglio Provinciale di Rovigo. Processato per disfattismo, condannato in ripetute istanze, trattò da sé la sua causa in modo radicale, senza rinnegare nulla del suo atto, anzi ostinandosi a farne riconoscere la legittimità. La protesta contra la guerra come violenza non era disfattismo, ma un atto di fede ideale: bisogna saper vedere in Matteotti, giurista, economista, amministratore, uomo pratico, queste pregiudiziali di disperata utopia, di assoluto idealismo, di reazione assurda contro la grettezza filistea dei falsi realisti. Sicuro come un apostolo, Matteotti si fece assolvere in Cassazione sostenendo la tesi dell'immunità dell'oratore in sede di Consiglio Provinciale. La protesta valse per qualche risultato: fecero attenzione a lui, che era riformato per la stessa causa di cui morirono giovanissimi i suoi due fratelli, e lo arruolarono per i servizi sedentari. Lo costrinsero alle fatiche del corso allievi ufficiali, rifiutandogli poi il grado per i suoi reati di disfattista. Comandato a Messina lo volevano spedire al fronte, nonostante l'infermità, in una di quelle compagnie di pregiudicati che si conducevano alla decimazione sotto la sorveglianza dei carabinieri. Rifiutò, protestando che sarebbe andato al fronte come soldato, non come delinquente al macello. Allora lo internarono a Campo Inglese dandogli compagno il figlio del brigante Varsalona che lo sorvegliasse. Tra la solitudine, il sospetto e le persecuzioni il carattere di Matteotti si rivela nella sua impassibilità. Assisteva alle conseguenze delle sue azioni come un buon logico. Conviene mettere a confronto l'esempio di Matteotti pacifista con la condotta degli uomini tipici del pacifismo italiano, pavidi e servili per non essere presi di mira, nascosti e silenziosi nei Comandi o negli impieghi, emuli dei nazionalisti nel rifugiarsi nei bassi servizi. Matteotti non disertava, non si nascondeva, accettava la logica del suo “sovversivismo”, le conseguenze dell'eresia e dell'impopolarità: era, contro la guerra, un “combattente” generoso.

L'aristocratico del "sovversivismo" Matteotti non fu mai popolare. Tra i compagni era tenuto in sospetto per la ricchezza: gli avversari lo odiavano come si odia 37


un transfuga. Invece Matteotti era un aristocratico di stile, non di famiglia. Il suo socialismo non è la ribellione avventurosa del conte Graziadei che abbandona una famiglia secolare e, rompendo le tradizioni, accetta la vita dello studente spostato con l'amante intellettuale che diventerà la moglie inquieta della famiglia piccolo-borghese, come succede ad ogni buon nihilista - fedele al programma demagogico di andare al popolo. lnvece Matteotti si iscrisse al Partito Socialista a 14 anni, probabilmente senza trovare grandi ostacoli in famiglia, forse anche ignorando la fortuna del padre - che del resto non era più che mediocre. Era socialista già il fratello Matteo, che lo precedette negli studi di legge e pare che lo iniziasse, con qualche influenza, nonostante la morte precoce, a trent'anni. Il padre, di una famiglia di calderai, era venuto a Fratta Polesine dal Trentino 50 anni fa, quasi povero. S'era data al risparmio con la costanza e il sacrificio di un emigrante. La signora Isabella lo secondava dietro il banco del piccolo negozio di commestibili. I guadagni venivano investiti in terreni con l'avidità del profugo che s'aggrappa alla terra per istinto come per incominciare delle tradizioni. La fortuna della famiglia Matteotti prima della guerra era valutata a 800.000 lire di beni immobili, tutti sparsi nella provincia, in piccoli lotti, comprati d'occasione d'anno in anno. Era il frutto di anni di lavoro assiduo, di speculazioni oculate. Bisogna tener conto di questa tenacia provinciale per spiegarsi il carattere del figlio. Giacomino crebbe con questo esempio, con l'opinione di non essere ricco, con l'istinto della lotta dura, con la dignità del sacrificio. Al ginnasio e al liceo bisognava essere tra i primi; non perder tempo, non dissipare. Su questo fondo solido di virtù conservatrici e protestanti nacque il sovversivismo di Matteotti e nacque aristocratico per la solitudine. Le sue preoccupazioni iniziali erano esclusivamente scientifiche: ai facili successi avvocateschi preferì subito gli aridi studi di procedura penale e benché già socialista militante seguiva con predilezione la scuola dell'on. Stoppato, uno degli uomini rappresentativi del clericalismo moderato. Procedeva nella propria educazione per esigenze interiori. In un partito che si ricorda dei paesi stranieri soltanto per la frettolosa rettorica dei congressi internazionali era tra i pochi che conoscessero la Francia, l'Inghilterra, !'Austria, la Svizzera, la Germania per viaggi di gioventù e aveva studiato l'inglese per leggere direttamente Shakespeare. Preso nella lotta politica, quasi nascondeva gelosamente questi istinti di filosofia che non erano troppo vicini allo stile dell'ambiente misoneista e grettamente parziale in cui gli toccava 38


agire. Ma il segreto della vitalità di Matteotti era proprio questo: che si poteva sentire in lui, al di là delle sue azioni, chi gli parlasse a lungo e per scrutarlo, una vita interiore di impulsi vari e profondi, non messa in gioco mai per le poste troppo piccole della vita quotidiana, ma perpetua e segreta ispiratrice. Onde quel suo agire con riserbo e con fredda energia che incuteva soggezione ai compagni. La maschera rigida di Matteotti in pubblico nascondeva pensieri deliberati in solitudine, già sottoposti a tutti i tormenti dialettici del suo intemperante individualismo: era naturale che egli sentisse di doverli far prevalere impassibilmente, quando si incontrava nell'atmosfera facile della demagogia dei congressi, dove c'è sempre un improvvisatore capace di escogitare tesi medie e concilianti. Matteotti cominciava a non essere conciliante per il suo sorriso beffardo e per la sua ironia perversa e spietata. Aveva sempre in mente delle conclusioni, non dei passaggi oratori o degli artifici di assemblea. Chi conosce in quale atmosfera di loquacità provinciale, di fiera della vanità e di consolazioni da desco piccolo-borghese, sia venuto crescendo il socialismo italiano, da Enrico Ferri a Bombacci, da Zanardi ad Arturino Vella, può veder chiaro come l'intransigenza di Matteotti - il quale in un'adunanza giunse a far sprangare le porte perché voleva che si terminasse la discussione prima che i convenuti se ne andassero a banchetto - doveva costituire un oltraggio ai tolleranti costumi dei buoni compagni e uno strappo a tutte le tradizioni sagraiole del tenero popolo italiano, felice e buontempone. E lo chiamarono "aristocratico" credendo di isolarlo.

La lotta agraria nel Polesine Una famiglia di risparmiatori inesorabili; una provincia tormentata con un'economia complessa e incerta, terra storica di esperimenti di sovversivismo, spesso piu servile che violento, sono toni sufficienti per determinare l'opera di un uomo. Nel Polesine la democrazia era stata viva, durante il Risorgimento, nelle forme più accese: anticlericalismo e garibaldinismo, Marin, Alberto Mario, Bernini, Piva. Nel 1882 vi si compie il primo sciopero di contadini d'Italia al grido esasperato la boie, e il governo per reprimerlo deve mascherare i suoi sentimenti di reazione e mandare i soldati a mietere il grano in luogo degli scioperanti. La situazione economica del territorio presenta tutte le varietà piu interessanti dalla cultura famigliare all'industrializzazione agricola delle terre bonificate; dal riso del basso Polesine alla canapa del Polesine settentrionale, al regime di piccola proprietà di Rovigo. Ci sono gli elementi obbiettivi per le soluzioni 39


politiche estreme. L'industriale della terra bonificata deve seguire la logica dei costi sempre più bassi con la naturale avidità favorita dalla miseria del proletariato; dove incontri il fittavolo o il piccolo conduttore di terre, trovi insieme all'arrivismo dello spostato il sistema di cultura di rapina, con la crudeltà che va oltre tutti gli esempi. Non bisogna dimenticare che lo schiavismo agrario dei fascisti nacque in Polesine con la complicità dei fittavoli. In queste condizioni, acuite dal dopo guerra, mentre i popolari furono subito il sostegno della piccola proprietà, i socialisti pensarono a difendere i lavoratori con le Cooperative di lavoro, con l'assistenza alla mano d'opera. In Polesine le agitazioni per l'aumento dei salari s'erano già da parecchi anni dimostrate insufficienti perche i conduttori di fondi aumentavano i salari e diminuivano le ore di lavoro. I problemi socialisti da risolvere erano: l'imponibilità della mano d'opera (ossia attribuzione di un carico di mano d'opera per ciascun fondo), e il collocamento, che si voleva libero dagli agrari e dai socialisti invece affidato agli uffici di collocamento. Intorno a questi problemi concreti la lotta fu incerta nel dopo guerra. Gli agrari tutti, nel 1920 - quando si riuscì a sostituire uno schema unico di patto agricolo, variabile solo nelle applicazioni, ai 70 prima vigenti nei 63 Comuni della provincia - reagirono con l'ostruzionismo e prepararono i fasci per dominare i lavoratori con la violenza. Matteotti è stato uno dei protagonisti di questa lotta. Egli cercò di regolare le direttive politiche sulla base di queste premesse economiche. Quindi l'ostilità contro tutti i declamatori del generico massimalismo. Ai cinquantamila lavoratori organizzati della provincia bisognava indicare dei passi progressivi, non dei programmi di inquietudine e di rivoluzionarismo inconcludente. Per dare il senso della lotta occorreva non compromettersi in una catastrofe. Era la tattica opposta, già allora, del sindacalismo isterico, da caffe concerto, di Michelina Bianchi che da Ferrara aveva esercitata la sua allegra influenza . . . rivoluzionaria anche in provincia di Rovigo. Gli elementi piu accesi della sinistra sindacalista ed anarchica, nemici di Matteotti sin dalla prima ora, da W. Mocchi a Enrico Meledandri al comm. Marinelli, che ora sarà al banco degli accusati per il suo omicidio, furono poi tutti a fianco degli agrari nella reazione fascista: essi avevano esercitato il sovversivismo come una specie di professione della malavita politica per trovare un posto a Montecitorio. Nell'odio per la società portavano soprattutto le loro delusioni di politicanti1. Il politicantismo faceva le sue pessime prove nel Polesine 1Un sindacalista rivoluzionario nel 1913, a Donada, arrivò a proclamare l'astensione del Sindacato

dalle urne per far votare sottomano a favore dei radicali che gli avevano dato i quattrini. Costui è ora nel partito fascista. Questi erano gli avversari di G. Matteotti nella lotta agraria! [N. di P. Gobetti]. 40


socialista soprattutto attraverso i Circoli (in buona parte massimalisti) e durante il periodo elettorale. Il mercato dei voti si praticava mediante i piu allegri banchetti. I deputati socialisti della provin cia, da Badaloni a Soglia, trescavano coi radicali: Gallani, medico, s'era addirittura fatto commesso viaggiatore di se stesso e in tempo di proporzionale percorreva in bicicletta le campagne offrendo specifici ed esortazioni: - Votate per me! L'opera di Matteotti trascurava quasi deliberatamente i Circoli e si svolgeva nelle Leghe. Consulenza alle Cooperative agricole, aiuto nella creazione delle Cooperative di consumo, tendenza a fare in tutte le sedi questioni pratiche di realizzazione. Le sue pre dilezioni per le scienze giuridiche ed economiche trovavano qui l'opportunita di inserirsi nella sua fede di socialista, e non fu solo il piu dotto dei socialisti che scrivessero d'economia e di finanza, ma il piu infaticabile nel lavoro quotidiano di assistenza ammini strativa. Dovendo fissare dei rapporti bisogna avvertire che l'intransi genza di Matteotti in Polesine, che fu accusata ora di estremismo ora di riformismo, era equidistante dal massimalismo anarchico e sindacalista come dall'opportunismo dei sindacali riformisti. La sua posizione nel '19 e chiara nel manifesto che citiamo, scritto da lui in occasione dei tumulti per il caroviveri. Senza rinunciare alla necessita della rivoluzione che dovd nascere dallo spirito di lotta di masse aristocratiche e differenziate, Matteotti trasportava la dis cussione su un terreno concreto di capacita e di iniziativa. 11 suo buon senso rivoluzionario sembra un atto di accusa contro il sovversivismo apolitico dei varii spostati tipo M. Bianchi, che allora provocavano tumulti per pescare nel torbido.

"Lavoratori! Noi non possiamo condannare la reazione del popolo contro gli esercenti e i rivenditori che si sono arricchiti speculando sulle vostre miserie nel tempo di guerra; e non potremmo condannare la imposizione punitiva di calmieri straordinari e di requisizioni. Ma vi avvertiamo che esse non sono che palliativi i quali si rivolgono a una sola categona di sfruttatori creando buone illusioni e lasciando anzi sussistere o aggravando forse le cause del caro-viveri". Le quali cause sono ben maggiori e profonde, e risalgono alla guerra anzitutto che ha distrutto ricchezze e caricato lo stato di debiti e di carta senza valore; allo stato di guerra che continua sottraendo i militari ai lavori produttivi della civiltà ; e alla societa borghese, che - frapponendo tra consumatore e produttore i capitalisti, i dazi, le dogane e tutti i parassiti intermediarii, che non producono e sfruttano - e ormai incapace di uscire dal viluppo in cui s'è cacciata e di sollecitare le energie produttive. 41


Quindi una agitazione socialista non può che rivolgersi alle cause prime; imponendo l’immediata smobilitazione e il disarmo, l'abolizione di tutti i dazi e le dogane, la conftsca totale dei profttti di guerra e I'espropriazione capitalista. E non può essere condotta che dai lavoratori organizzati e socialisti coscienti, ripugnando da ogni contatto con tutti coloro (borghesi, clericali, democratici e falsi apolitici) che a quelle cause hanno contribuito; e quando essi lavoratori avranno forza e capacità sufficienti per imporre la loro rivoluzione. Per ora una piccola cosa sola suggeriamo; ogni Comune costituisca Enti collettivi di consumatori per l'acquisto e rivendita delle merci al minimo prezzo di costo, boicottando ogni intermediario e requisendo i prodotti necessari al popolo e giustamente calmierati, specialmente dai grandi capitalisti agricoli che li sottraggano. Dimostrino intanto i lavoratori organizzati di saper fare questo. Poi indicheremo i passi progressivi conforme la loro capacità socialista. Rovigo, 9 luglio 1919.

La Federazione Provinciale Socialista. La Camera del Lavoro del Polesine. I Comuni Socialisti

II socialista persecutore di socialisti Eretico e oppositore nel Partito Socialista, poi tra gli unitari una specie di guardiano della rettitudine politica e della resistenza dei caratteri: sempre alle funzioni più ingrate e alle battaglie piu compromesse. Combatté tutta la vita il confusionismo dei blocchi, la massoneria, l'affarismo dei partiti popolari. Era implacabile critico dei dirigenti e si ricorda che giovanissimo in una riunione socialista, un nume del socialismo locale, aveva dovuto interromperlo: - Tasi ti che te ga le braghe curte!

In Polesine l'uomo di tutte le transazioni e di tutte le confusioni era Nicola Badaloni, che passava per il Prampolini della provincia, un vero santone del partito che rappresentò il collegio di Badia ininterrottamente dall' '82 al 1919. Era venuto dalle Marche, medico condotto, poi libero docente. Nella lotta contro la pellagra questo medico diligente e affaccendato fu scambiato per un apostolo. Chi non conosce il tipo del medico socialista umanitario che con l'assistenza e i consulti gratuiti ai 42


lavoratori si guadagna un collegio? Eppure non era detto che i massimalisti di Rovigo non si adattassero a ripresentare anche nel 1919 questo vecchio tipo di massone intrigante, neppure iscritto al Partito Socialista: lo dovette liquidare Matteotti minacciando di contrapporgli la candidatura di Turati! Nicola Badaloni, eroe di purezza, che volevano proclamare degno di Prampolini, sostenne poi nel '21 le candidature filofasciste e ne ebbe in premio da Giolitti il laticlavio. In questi esempi Matteotti imparava il suo ruolo di persecutore di socialisti! Per la sua energia eccessiva, invadente, per il suo spirito critico lo accettavano senza troppo entusiasmo; il suo disprezzo per il quieto vivere e per le abitudini di sopportazione gli alienava i tanti furbi che se ne sentivano umiliati: lo accusavano di ambizione, non lo capivano. Invece nel momenta dell'azione aveva il consenso di tutti, e riusciva a far sacrificare anche i più vili mostrando come sapeva sacrificare se stesso. Anche di questa apparente arroganza e severità la spiegazione è nella sua ascetica solitudine. La sua difficoltà di conoscere le persone e di essere conosciuto per quel che valeva rientrano in un austero culto del silenzio, in una ferrea sicurezza di sé. In lui era fondamentale la difficoltà di comunicare, il disagio di esprimersi proprio di tutte le anime fortemente religiose; che si traduceva in una indifferenza per le opinioni correnti, audace sino ad assalire le fame piu inconcusse. In realtà l'audacia della sua critica dissolvente era piuttosto indifferenza e impassibilità verso le contingenze. Nel 1916 al Congresso dei Comuni socialisti che lo rivelò a tutto il socialismo italiano, stupì per la sua completa mancanza del senso dell'opportunità cosi indispensabile per i mediocri e per le furbizie piccolo-borghesi! Matteotti ebbe la bella idea di smontare tutta la relazione Caldara, come dire i titoli di un professore universitario di Comuni socialisti, e di imporsi con tanta evidenza che il socialista milanese venuto per trovare i lauri dell'unanimità dovette salvarsi con un ordine del giorno di conciliazione. lnfatti Caldara aveva fondata tutta la sua costruzione, in materia di rapporti finanziari tra Stato e Comuni, sull'esperienza milanese: Matteotti in una deliberazione che riguardava i Comuni di tutta Italia portava la esperienza del piccolo Comune, i bisogni sorpresi nella sua opera di amministratore di almeno 10 piccoli Comuni del Polesine: era la rivoluzione federalista contro il pericolo dell'accentramento! Ma è facile dedurre da un tal gesto lo spavento e la diffidenza dei vari Bentini, Modigliani, Zanardi! Credo che soltanto Nino Mazzoni, Treves e Turati lo capissero e lo amassero seriamente; gli altri erano offesi della sua scortesia e della sua superiorità. 43


II nemico delle sagre Il Partito Socialista in Italia, durante trent'anni, continua gli storici costumi dei congressi, dei comizi, col culto del bell'oratore come Enrico Ferri, con l'abitudine ai convegni che terminano in una formidabile pappatoria. Era anch'esso italiano sebbene il freno naturale del proletariato e della stessa lotta intrapresa non lo lasciassero giungere mai, nemmeno quando lo guidò un romagnolo come Mussolini, alle raffinatezze e ai capolavori sagraioli di entusiasmo e di devozione gaudente che dovevano essere la caratteristica e l'essenza del movimento fascista. In realtà il tipo in cui si mostrò il nostro socialismo è più il tribuno che il politico, e ne venne una classe dirigente di avvocati penalisti, oratori facondi invece che dottori di diritto, accomodanti per vanità e per odio della politica. Formarono una specie di classe che esercitava professione di assistere il popolo e di "discutere la situazione" e perciò si scusava di non aver tempo di leggere libri e di farsi una cultura politica realistica. Dovevano rispondere alle lettere degli elettori e trovarsi a caffè per scambiarsi le impressioni e inventare nuove tendenze. Anche dopo che fu deputato, Matteotti repugnò sempre a questi compiti demagogici; rifiutava le raccomandazioni e tutti i casi personali che non implicassero questioni generali di ingiustizia dichiarando: - Per queste cose rivolgetevi a Gallani e a Beghi! Sino al '19 aveva data tutta la sua opera alle amministrazioni locali (era consigliere di una decina di Comuni, dove possedeva le sue terre disperse) e all'organizzazione di sindacati e di cooperative. Matteotti organizzatore: l'ossessione della semplicità, della chiarezza, della praticità. Esemplificava nei particolari, proponeva modelli di statuti, di regolamento, parlando coi contadini come uno dei loro. Trattandosi di fondare una Cooperativa pensava a tutto, consigliava, disponeva, dava l'esempio, dai modi di servire al banco alla contabilità dei registri. La sua severità di amministratore era addirittura paradossale in un socialista: sentivi in tanta rigidezza il padre conservatore. Cosi era diventato - pur senza mandati precisi, l'ispettore volontario di tutte le Cooperative e di tutte le Leghe, l'incubo degli amministratori per la sua implacabile incontentabilità di spulciatore di conti e di bilanci, il carabiniere dei facili e tolleranti impiegati. Così era il suo stile di giornalista, prima che scrivesse gli articoli magistrali su temi di bilancio nella "Critica sociale". lnfatti anche nella sua educazione economica non ebbe la disinvoltura italiana del progettista: prima di studiare 44


il bilancio dello Stato aveva lavorato per anni ai bilanci dei Comuni. Nella "Lotta" di Rovigo, diretta da Parini e da Zanella si possono scorgere le sue preferenze di scrittore: articoli brevi, facili, semplici. Un'idea sola, con dati precisi, con numeri evidenti, preferibilmente senza polemiche, senza scandali. Un giornale illeggibile per i pettegoli e per gli svagati che si dirigeva al senso pratico e alla pazienza del contadino. C’era infatti del contadino in questo signore che dovette assistere un giorno in Rovigo dopo un comizio a una manifestazione violenta dei cittaclini che gli gridavano: - Via da Rovigo! Va a Fratta! Anche i socialisti si lamentavano, a Rovigo e ad Adria, che egli non parlasse mai in città. Sembrava un insulto il fatto che egli avesse preferito parlare a pochi contadini invece di tenere una conferenza con ovazioni sicure al bel pubblico di città. Ma egli non voleva essere l'oratore delle grandi occasioni. Non si esaltava mai. Cominciava pedestremente. Poi l'argomento - preparato sempre con accuratezza su un foglietto di carta magari in ferrovia con la celebre matita che teneva appesa per una catenella all'occhiello della giacca - lo prendeva e la voce urtante, irritante, energica e rude squillava come per dominare. Allora parlava da padrone, come chi non improvvisa mai. Ma il suo posto era nei contraddittori. Si presentava, spesso solo, non preceduto da soffietti, alieno da ogni coreografia. Severamente elegante, senza distintivi, senza cravatte rosse al vento: Enrico Ferri trovava in lui il phisique du rôle del conservatore. Ma piuttosto appariva subito come il combattente pronto, energico, sempre a posto, ragionatore freddo e sicuro, sempre. Nessuno l'ha mai battuto in un contraddittorio. Era sempre l'ultimo a replicare. In Polesine ricordano ancora come smontò Pozzato, deputato repubblicano, principe di oratoria forense. Tra il 1919 e il 1921, con le masse insofferenti, Matteotti esigeva che si lasciasse libertà di parola a qualunque avversario, altrimenti non interloquiva, ritenendo che si fosse recata offesa a lui. A Lendinara, in un comizio essendosi levati i bastoni contro l'on. Merlin, Matteotti gli fu scudo e s'ebbe lui le legnate. Temevano tuttavia gli avversari la sua audacia dialettica e preferivano la fuga, come successe a Michelino Bianchi, candidato per gli agrari nel '19 per la circoscriziome di FerraraRovigo che rifiutò coraggiosamente il contraddittorio a Matteotti presentatosi solo in un comizio del blocco. Sdegnava le parate, la febbre degli scioperi. Ma a Boara durante uno sciopero, quando si decise contro il suo parere di cacciare i crumiri dell'Alto Veneto, ad affrontare la forza pubblica che li proteg geva non si videro più i rivoluzionari, ma primo tra tutti Matteotti, che pagava di persona anche in quel caso, disciplinato 45


e audace. Perciò la sua autorità fu sempre grande tra le masse che sentono d'istinto il valore del sacrificio. I contadini dei paesi sperduti che egli visitava la domenica invece di partecipare alle feste ed ai banchetti di città non se ne dimenticavano più. Gente semplice, ma che sa discernere dove si nasconde una serietà interiore e dove risuonano soltanto discorsi d'obbligo. Ripugnava alle sagre per quello stesso riserbo che portava in tutti gli atti della vita privata. Nel '19 a un organizzatore che voleva il suo ritratto di deputato mandava tranquillamente il ritratto d'un amico, che per poco non venne pubblicato: valga quale prova di come egli considerasse gli esibizionismi più consueti. Sapeva far rispettare la sua solitudine e pochi ebbero le sue confidenze o conobbero la sua vita intima. Si sapeva soltanto che era rigidissimo, sobrio, rettilineo, senza vizi - come dicono -: e cosi si rispettava la sua severità verso gli altri, il suo fanatismo protestante contro chiunque avesse avuto una debolezza colpevole. Questa sicurezza non era sostenuta da una credenza religiosa, ma solo da una fede di stampo austero e pessimistico, nei valori di individualismo e di libertà. Del suo rispetto di ateo per tutte le forme religiose si ha la prova nel cattolicismo fervido di sua moglie: e in questa repugnanza di laico moderno verso l'anticlericalismo grossolano dei primi socialisti si rivela una spiritualità conscia dei motivi più delicati di tolleranza e di autonomia.

II suo marxismo Non ostentava presunzioni teoriche: dichiarava candidamente di non aver tempo per risolvere i problemi filosofici perché doveva studiare bilanci e rivedere i conti degli amministratori socialisti. E così si risparmiava ogni sfoggio di cultura. Ma il suo marxismo non era ignaro di Hegel, né aveva trascurato Sorel e il bergsonismo. E’ soreliana la sua intransigenza. La concezione riformista di un sindacalismo graduale invece non era tanto teorica quanto suggeritagli dall'esperienza di ogni giorno in un paese servile che è difficile scuotere senza che si abbandoni a intemperanze penose. Egli fu forse il solo socialista italiano (preceduto nel decennio giolittiano da Gaetano Salvemini) per il quale riformismo non fosse sinonimo di opportunismo. Accettava da Marx l'imperativo di scuotere il proletariato per aprirgli il sogno di una vita libera e cosciente; e pur con riserve poco ortodosse non repudiava neppure il collettivismo. Ma la sua attenzione era poi tutta a un momento d'azione intermedio e realistico: formare tra i socialisti i nuclei della nuova società: il Comune, la scuola, la Cooperativa, la Lega. Così la rivoluzione avviene in quanto i 46


lavoratori imparano a gestire la cosa pubblica, non per un decreto o per una rivoluzione quarantottesca. La base della conquista del potere e della violenza ostetrica della nuova storia non sarebbe stata vitale senza questa preparazione. E del resto, troppo intento alla difesa presente dei lavoratori, Matteotti non aveva tempo per le profezie. Più gli premeva che operai e contadini si provassero come amministratori, affinché imparassero e perciò nei varii Consigli comunali soleva starsene come un consigliere di riserva, pronto a riparare gli errori, ma voleva i più umili allo sperimento delle cariche esecutive. Non ebbe mai in comune coi riformisti la complicità nel protezionismo, anzi non esitò a rimanere solo col vecchio Modigliani ostinato nelle battaglie liberiste, che per lui non erano soltanto una denuncia delle imprese speculative di sfruttatori del proletariato, ma anche una scuola di autonomia e di maturità politica concreta nella sua provincia. Così procede tutta la cultura e tutta l'azione di Matteotti, per esigenze federaliste, dalla periferia al centro, dalla cooperativa al Comune, dalla provincia allo Stato. Il suo socialismo fu sempre un socialismo applicato, una difesa economica dei lavoratori, sia che proponesse sulla "Lotta" di Rovigo o nella Lega dei Comuni socialisti dei passi progressivi, sia che parlasse dall' "Avanti!" o dalla "Giustizia" a tutto il proletariato italiano, sia che come relatore della Giunta di Bilancio portasse nella sede più drammatica e travolgente il suo processo alle dominanti oligarchie plutocratiche. Tanta si dimostrò la sua passione per il concreto, per il particolare, per i fatti che nel 1921 preferi esercitare la sua opera di assistenza e di difesa in una situazione difficilissima per il proletariato in provincia di Ferrara, piuttosto che andare a Livorno a raccogliere i successi rumorosi di una accademia di "tendenze" e di "frazioni".

II suo antifascismo Giacomo Matteotti vide nascere nel Polesine il movimento fascista come schiavismo agrario, come cortigianeria servile degli spostati verso chi li pagava; come medioevale crudeltà e torbido oscurantismo verso qualunque sforzo dei lavoratori volti a raggiungere la propria dignità e libertà. Con questa iniziazione infallibile Matteotti non poteva prendere sul serio le scherzose teorie dei vari nazionalfascisti, né i mediocri progetti machiavellici di Mussolini: c'era una questione più fondamentale di incompatibilità etica e di antitesi istintiva. Sentiva che per combattere utilmente il fascismo nel campo politico occorreva opporgli esempi di dignità con 47


resistenza tenace. Farne una questione di carattere, di intransigenza, di rigorismo. Così s'era condotto contro tutti i ministerialismi, senza piegarsi mai. Nel '21 al prefetto di Ferrara che lo chiamava in un momento critico della lotta agraria aveva risposto per telefono: "Qualunque colloquio tra noi è inutile. Se lei vuole conoscere le nostre intenzioni non ha bisogno di me perche ha le sue spie. E delle sue parole io non mi fido". Non fu mai visto cedere alle lusinghe degli uomini del potere costituito né salire volentieri le scale della prefettura. S'era così creata intorno a lui un'atmosfera di astio pauroso da parte degli agrari: mentre lo stimavano capivano che l'avrebbero avuto nemico implacabile. Il 12 marzo 1921 Matteotti doveva parlare a Castelguglielmo. La lotta si era fatta da alcuni mesi violentissima; s'era avuto in Polesine il primo assassinio. Quel sabato egli percorreva la strada in calesse e Stefano Stievano, di Pincara, sindaco, gli era compagno. Ciclisti gli si fanno incontro dal paese per metterlo in guardia: gli agrari hanno preparato un'imboscata. Matteotti vuole che lo Stievano torni indietro e compie da solo il cammino che avanza. A Castelguglielmo si nota infatti movimento insolito di fascisti assoldati; una folla armata. Alla sede della Lega lo aspettano i lavoratori e Matteotti parla pacatamente esortandoli alla resistenza: ad alcuni agrari che si presentano per il contraddittorio rifiuta; era di costoro una vecchia tattica quando volevano trovare un alibi per la propria violenza: parlare ingiuriosamente ai lavoratori per provocarne la reazione facendoli cadere nell'insidia. Matteotti si offre invece di seguirli solo e di parlare alla sede agraria: così resta convenuto e dai lavoratori riesce ad ottenere che non si muovano per evitare incidenti piu gravi. Non so se il coraggio e l'avvedutezza parvero provocazione. Certo non appena egli ebbe varcata la soglia padronale attraverso doppia fila di armati -, dimentichi del patto gli sono intorno furenti, le rivoltelle in mano, perché s'induca a ritrattare ciò che fece alla Camera e dichiari che lascerà il Polesine. - Ho una dichiarazione sola da farvi: che non vi faccio dichiarazioni -. Bastonato, sputacchiato non aggiunge sillaba, ostinato nella resistenza. Lo spingono a viva forza in un camion; sparando in alto tengono lontani i proletari accorsi in suo aiuto. I carabinieri rimanevano chiusi in caserma. Lo portano in giro per la campagna con la rivoltella spianata e tenendogli il ginocchio sul petto, sempre minacciandolo di morte se non promette di ritirarsi dalla vita politica. Visto inutile 48


ogni sforzo finalmente si decidono a buttarlo dal camion nella via. Matteotti percorre a piedi dieci chilometri e rientra a mezzanotte a Rovigo dove lo attendevano alla sede della Deputazione provinciale per la proroga del patto agricolo il cav. Pietro Mentasti, popolare, l'avvocato Altieri, fascista, in rappresentanza dei piccoli proprietari e dei fittavoli; Giovanni Franchi e Aldo Parini, rappresentanti dei lavoratori. Gli abiti un poco in disordine, ma sereno e tranquillo. Solo dopo che uscirono gli avversari, rirnproverato dai compagni per il ritardo, si scusò sorridendo: - I m'ha robà. Aveva riconosciuto alcuni dei suoi aggressori, tra gli altri un suo fittavolo a cui una volta aveva condonato l'affitto: ma non volle farne i nomi. Invece assicurò che mandanti dovevano essere il comm. Vittorio Pela di Castelguglielmo e i Finzi di Badia, parenti dell'ex sottosegretario di Mussolini. Poiché si parlò e si continua a parlare di violenze innominabili che Giacomo Matteotti avrebbe subito in questa occasione è giusto dichiarare con testimonianza definitiva che la sua serenità e impassibilità, di cui possono far testimonianza i nominati interlocutori di quella sera, ci consentono di escludere il fatto e di ridurlo ad una ignobile vanteria fascista. La storia di questo rapimento è tuttavia impressionante e perciò abbiamo voluto raccoglierne da testimonianze incontestabili tutti i particolari. Finché non ci sarà descritta l'aggressione di Roma il ricordo di questa prova può dirci con quale animo Matteotti andò incontro alla morte. Ne aveva il presentimento. A Torino il giorno della conferenza Turati, un profugo veneto gli chiese: - Non ti aspetti una spedizione punitiva da qualche Farinacci? Rispose testualmente cosi: - Se devo subire ancora una volta delle violenze saranno i sicari degli agrari del Polesine o la banda romana della Presidenza. Come segretario del Partito Socialista Unitario aveva condotto la lotta contro il fascismo con la più ferma intransigenza. Rimane il suo volume Un anno di dominazione fascista, un atto d'accusa completo, fatto alla luce dei bilanci, e insieme una rivolta della coscienza morale. E fu Matteotti a stroncare non appena se ne parlò ogni ipotesi collaborazionista della Confederazione del Lavoro: non si poteva collaborare col fascismo per una pregiudiziale di repugnanza morale, per la necessità di dimostrargli che restavano quelli che non si arrendono. Come segretario del partito pensava al collegamento, animava le iniziative locali, le coordinava intorno a questo 49


programma. Compariva dove il pericolo era piu grave, incognito suo malgrado, a dare l'esempio. Talvolta osò tornare in Polesine travestito, nonostante il bando, con pericolo di vita, a rincuorare i combattenti.

II volontario della morte Egli rimane come l'uomo che sapeva dare l'esempio. Era un ingegno politico quadrato, sicuro; ma non si può dire quel che avrebbe potuto fare domani come ministro degli interni o delle finanze: ormai è già nella leggenda. Ho una lettera di un lavoratore ferrarese, scritta il 16 giugno: «Come puoi figurarti qui non si parla d'altro e i giornali non fanno in tempo ad arrivare in piazza perché sono strappati ai rivenditori e letti avidamente. La deplorazione è unanime e il risveglio non più nascosto. Pare che l'incantesimo della paura sia infranto e la gente parla senza titubanze. La perdita però porterà i suoi frutti di libertà e di civiltà che renderanno allo spirito eletto del nostro Grande la pace e la gioia per il sacrificio compiuto. Matteotti era un uomo da affrontare la morte volontariamente se questo gli fosse sembrato il mezzo adatto per ridare al proletariato la !ibertà perduta». Non si può immaginare una commemorazione più spontanea e più generosa. Come se i lavoratori abbiano sentito in lui la parola d'ordine. Perché la generazione che noi dobbiamo creare è proprio questa, dei volontari della morte per ridare al proletariato la libertà perduta.

Cenni biografici Nacque a Fratta Polesine il 22 Maggio 1885 da farniglia di ricchi borghesi oriunda del Trentino. Studiò al ginnasio-liceo «Celio» di Rovigo poi all'Università di Bologna laureandosi in giurisprudenza. Continuò gli studi di diritto sotto la guida dell'onorevole Alessandro Stoppato del quale praticò lo studio legale. Pubblicò un grosso vohune (« La recidiva » - Saggio di revisione critica con dati statistici) e scrisse altri studi penali e di procedura su « La Rivista di diritto e procedura » diretta dall'on. Eugenio Florian, ed altrove. Era sua intenzione conseguire la libera docenza in diritto penale e stava preparandosi da lungo tempo, come le sue molteplici occupazioni gli consentivano, per sostenere la tesi per la docenza. Non esercitò mai l'avvocatura, però sostenne brillantemente le ragioni dell'on. Galileo Beghi presso la Giunta delle elezioni in contraddittorio con illustri avvocati del foro romano ottenendone la convalidazione a deputato per il collegio di Rovigo (Legislatura XXV) invece del comm. Maneo già 50


proclamato eletto. Fin da giovanetto si sentì attratto alla politica e si inscrisse nel partito socialista. Era già socialista il fratel suo maggiore dott. Matteo - uno studioso di problemi sociali, autore di opere sulla disoccupazione, ecc. - il quale, insieme a Tullio Maniezzo e ad Emilio Zanella lo iniziò alla vita politica ed ebbe su di lui qualche influenza. Giacomo Matteotti fondò Sindacati operai, Cooperative, Circoli socialisti, riorganizzò in diverse riprese la Camera del Lavoro del Polesine. La sua assistenza alle organizzazioni operaie fu assiduissima per oltre vent'anni. Giovanissimo, esordì come amministratore comunale a Villamarzana nelle funzioni di Sindaco e fu poi, prima e dopo la guerra, Consigliere comunale e Assessore a Fratta Polesine ed in un'altra decina di comuni della provincia: Rovigo, Lendinara, Badia, San Bellino, ecc. Partecipò assiduamente ai lavori del Consiglio Provinciale di Rovigo come Consigliere per il mandameuto di Occhiobello: leader della minoranza socialista. Ricoprì la carica di presidente della Deputazione provinciale nel breve periodo di amministrazione socialista nel 1914. Al Consiglio provinciale pronunciò un discorso contro la guerra il 5 giugno 1916 che gli valse la denunzia e la condanna per disfattismo. Fu poi assolto in Cassazione dove col patrocinio di G. Guarnieri-Ventimiglia sostenne la tesi della immunità dell'oratore in sede di Consiglio Provinciale. Escluso dal Consiglio provinciale per sopraggiunte sue incompatibilità, vi ritornò con le elezioni dell'autunno 1920 che diedero ai socialisti 38 seggi su 40. I problemi scolastici furono oggetto di suo assiduo studio. Opera diligente ed assidua diede in favore della scuola nel Consiglio provinciale scolastico di Rovigo. Il Congresso dei Comuni Socialisti - tenutosi in Bologna il 1617 Gennaio 1916 - gli diede occasione con due discorsi di farsi conoscere ai compagni di tutta Italia per la profonda competenza ed esperienza dei problemi amministrativi nelle Amministrazioni locali. Fu quindi nominato segretario del Comitato direttivo della Lega dei Comuni socialisti. Pubblicò parecchi saggi sulla finanza comunale, e un piano completo di riforma. La "Critica Sociale", "L'Avanti!", "La Giustizia", "La lotta", di Rovigo, lo ebbero a collaboratore assiduo. Durante la guerra fu per tre anni soldato semplice, perseguitato ed internato a Campo Inglese per i suoi precedenti politici. Nel 1920 egli istituì l'ufficio di consulenza legale e di ispezione 51


amministrativa per i 63 Comuni del Polesine allora tutti conquistati dai socialisti, facendone affidare la direzione al deputato provinciale Enea Ferraresi, già sindaco di Stienta, competentissimo in materia. Fu appassionato dei problemi della pubblica istruzione. La fondazione di biblioteche popolari e scolastiche, e il riordinamento delle scuole primarie dei comuni rurali del Polesine è precipua opera sua. Fu eletto deputato al Parlamento per la prima volta nel 1919 per il collegio di Ferrara-Rovigo e rieletto nel 1921 per il collegio di Padova-Rovigo. Nelle elezioni di quest'anno era stato eletto in due circoscrizioni (Veneto e Lazio). Alla Camera frequentò i lavori legislativi pronunciando apprezzati discorsi in materia finanziaria. Come membro della Giunta del Bilancio e della Commissione di Finanza stese parecchie relazioni. Rigido difensore dell'Erario in materia di spese e della libertà in materia doganale. Fu Segretario della Commissione per la riforma burocratica e relatore della minoranza contro la concessione dei pieni poteri al Governo di Mussolini. Fu tra i deputati più combattuti dal fascismo, oggetto di dimostrazioni ostili e di violenze a Ferrara nel gennaio 1921, quando in momenti difficili vi soggiornò per assistere quelle organizzazioni operaie e le Amministrazioni locali; a Castelguglielmo, a Siena, a Varazze, a Palermo, ecc. Gradualista, militò sempre nell'ala destra del partito socialista. Era Segretario del Partito Socialista Unitario fin dalla sua fondazione (Ottobre 1922). Come tale partecipò anche a Congressi internazionali a Berlino, a Bruxelles ecc. in rappresentanza dei socialisti italiani. L'on. Matteotti aveva sposato la signora Velia Titta, sorella del celebre baritono Titta Ruffo, ed era padre di tre bambini.

Questi cenni biografici sono stati aggiunti per opportunità e son dovuti alla cura di un compagno di lotta di Giacomo Matteotti. [nota di Piero Gobetti. Per una migliore comprensione di questa nota gobettiana cfr. quanto riportato supra, nella nota iniziale di questo saggio (n.d.r.)]. 52


CRONOLOGIA DI GIACOMO MATTEOTTI

22 maggio 1885 Nasce Giacomo Matteotti • Giacomo Matteotti nasce a Fratta Polesine, nel Rovigiano, una delle aree più povere d’Italia. Nell’inchiesta Jacini sulle condizioni della classe agricola in Italia, conclusa un mese prima, le case del Polesine sono definite «tane e topaie» dove «si piange la vacca morta e ci si rassegna per la moglie perduta». Il padre di Giacomo, Girolamo, 46enne originario del trentino, gestisce due grandi botteghe, dove vende di tutto: attrezzi per la campagna, casalinghi, pentolame, tessuti. Ha fatto fortuna comprando negli anni ’60 i terreni espropriati alle parrocchie, oggi è un possidente con 156 ettari di terreno frazionati in 12 comuni e guadagna bene prestando soldi ad interesse e con ipoteca. A Fratta lui e sua moglie, Elisabetta Garzarolo (ma tutti la chiamano Isabella), non sono amati: dicono che i due sono una coppia di usurai. Giacomo è il loro sesto figlio. Solo il primogenito, Matteo, 9 anni, è ancora vivo, gli altri sono tutti morti prima di compiere un anno. [Romanato 2011] anno 1887 Nasce Silvio Matteotti • Nasce Silvio Matteotti il fratello più piccolo di Matteo e Giacomo. [Romanato 2011] anno 1901 Giacomo Matteotti firma il suo primo articolo su La Lotta • «La proprietà è la cagione di tutti i mali» scrive il 16enne Giacomo Matteotti nel suo primo articolo su La Lotta, il periodico del socialismo polesano. Lo stile è didascalico, le idee chiare: il socialismo è l’unica speranza di cambiamento. È stato il fratello Matteo ad avvicinarlo alle idee socialiste, condivise, con meno passione, anche dal padre Girolamo. [Romanato 2011] anno 1902 Muore Girolamo Matteotti • Aveva 63 anni. Lascia la moglie Isabella, 50enne, e i tre figli Matteo, Giacomo e Silvio. giugno 1903 Giacomo Matteotti si diploma • Giacomo Matteotti ottiene la licenza classica al liceo Celio di Rovigo, con una votazione molto alta. Negli ultimi anni di studio ha vissuto a pigione presso una famiglia della città, frequentando la ben fornita biblioteca dell’Accademia dei Concordi, la più antica e rinomata istituzione culturale di Rovigo, fondata nel Cinquecento. Lo studente vuole percorrere la carriera umanistica. La madre accetta. Il padre, fosse ancora vivo, probabilmente non approverebbe. Aveva detto una volta: «Mi no so ’sti fioi. I vol tuti studiar economia politica. Xela na roba che se guadagna i bezzi?» (Io non so questi figli, vogliono studiare tutti economia politica. È una cosa che fa guadagnare i soldi?). [Romanato 2011] Giovedì 7 novembre 1907 Giacomo Matteotti si laurea • Giacomo Matteotti ottiene il voto di 110 e lode alla facoltà di Legge dell’Università di Bologna, la scuola giuridica più vivace del Paese. Il tema della tesi, scritta con il prof. Alessandro Stoppato, è la recidiva, cioè la ricaduta nel reato da parte di chi ha già subito una condanna. È uno dei temi più dibattuti di questi anni. Per realizzare la sua tesi ha viaggiato in Germania, Austria, Olanda, Belgio, Francia e Inghilterra. Il laureato parla bene francese, inglese e tedesco. A Bologna alloggiava all’hotel Baglioni. [Romanato 2011] Domenica 26 gennaio 1908 Giacomo Matteotti consigliere comunale • Alla sua prima candidatura, Matteotti è stato eletto con 86 voti per il consiglio di Fratta Polesine. [Romanato 2011] 53


Giovedì 18 marzo 1909 Muore Matteo Matteotti • Matteo Matteotti muore a Nervi, in Liguria, dov’era per curarsi dalla tubercolosi che lo aveva colpito l’anno precedente. [Romanato 2011]

anno 1910 Giacomo Matteotti pubblica La recidiva • Matteotti pubblica a Torino, con la casa editrice Fratelli Bocca, il volume La recidiva. Saggio di revisione critica con dati statistici. È il frutto della rielaborazione della sua tesi di laurea, dove sostiene che nella tendenza a ripetere il reato contano sia fattori innati che sociali. Il libro lascia perplesso Filippo Turati, guida dei socialisti riformisti, perché Matteotti non insiste a sufficienza sul «fattore sociale della criminalità». [Romanato 2011] Lunedì 8 agosto 1910 Giacomo Matteotti consigliere provinciale • Il Consiglio della Provincia di Rovigo respinge la richiesta di Matteotti di rinuncia all’incarico. È stato eletto a luglio, mentre è a Oxford per alcune sue ricerche sul sistema penale britannico. In crisi per la morte del fratello Matteo, aveva rinunciato alla campagna elettorale. Ha vinto lo stesso, perché la lotta fra socialisti e repubblicani ha fatto convergere sul suo nome gran parte degli elettori. Dalla Gran Bretagna aveva scritto al Consiglio che rinunciava alla sua elezione. [Romanato 2011] Sabato 24 dicembre 1910 Muore Silvio Matteotti • Nel giorno della vigilia di Natale muore Silvio Matteotti. Si trovava sul lago di Garda per curarsi dalla tubercolosi. Giacomo Matteotti a questo punto è figlio unico di madre vedova. Isabella Garzarolo, che parla solo dialetto, resta sola ad amministrare i negozi di famiglia e le proprietà a Fratta Polesine. [Romanato 2011] luglio 1912 Giacomo Matteotti si innamora • In vacanza a Boscolungo, nell’Abetone, Matteotti conosce Velia Titta, 22 anni. Abbandonata dal padre e orfana di madre, è la sorella del celebre baritono Ruffo Titta, in arte Titta Ruffo, grande interprete del Rigoletto di Verdi. Velia è molto religiosa, ha un’educazione raffinata e una fede profonda. In passato ha pensato anche di farsi suora. Nel 1908, diciottenne, ha pubblicato una sua raccolta di poesie, È l’alba. I due si innamorano e iniziano a scriversi lettere. [Romanato 2011] Mercoledì 10 luglio 1912 La scissione del Partito socialista • Al congresso nazionale socialista di Reggio Emilia su proposta di Benito Mussolini, direttore de L’Avanti, sono espulsi i rappresentanti della destra riformista guidati da Ivanoe Bonomi e Leonida Bissolati. Giacomo Matteotti, che si sente un riformista come il più esperto Turati, non segue i compagni espulsi e rimane nel Psi la cui guida è affidata a Costantino Lazzari, vecchia conoscenza della sua famiglia. All’interno del Psi la corrente socialista passa in minoranza a vantaggio dei massimalisti. [Romanato 2011] Giovedì 3 ottobre 1912 Giacomo Matteotti sindaco di Villamarzana • Alle elezioni amministrative, Matteotti ha ottenuto la guida del piccolo comune di Villamarzana. La legge elettorale, che permette di votare ed essere eletti in tutti i comuni dove si pagano le tasse, gli consente di entrare anche nei consigli comunali di Villanova del Ghebbo, Fratta Polesine (dove è anche vicesindaco), Frassinelle (dov’è assessore), San Bellino, Castelguglielmo, Lendinara, Badia Polesine, Fiesso Umbertiano, Pincara, Boara Polesine. [Romanato 2011] 54


agosto 1913 Giacomo Matteotti deluso da Courmayeur • Matteotti non trascorrerà le vacanze a Boscolungo, dove anche questa estate villeggerà Velia, ma a Courmayeur. Passa un mese all’hotel Union tra passeggiate, letture e riposi serali. Questa vita lo delude, la trova «oziosa e senza scopo». [Romanato 2011] anno 1914 Giacomo Matteotti prende la patente • Matteotti prende la licenza di guida, la diciottesima rilasciata nella provincia di Rovigo. Possiede anche un’automobile, un lusso che pochi hanno in città. [Romanato 2011] Sabato 24 gennaio 1914 Giacomo Matteotti preoccupato per la calvizie • «Tu non devi perdere i capelli così» gli scrive la fidanzata Velia, che consiglia al giovane Matteotti pomate e lozioni che il ragazzo si applica diligentemente e costantemente ma, sembra, con modesti risultati. [Romanato 2011] Martedì 7 luglio 1914 Gli elettori confermano Giacomo Matteotti • Alla nuova tornata di elezioni amministrative, Matteotti viene rieletto consigliere provinciale ad Occhiobello. Il Partito socialista conquista la maggioranza in 32 comuni, la metà della provincia. [Romanato 2011] Martedì 28 luglio 1914 Inizia la Prima guerra mondiale • L’Austria consegna la dichiarazione di guerra alla Serbia. Venerdì 2 ottobre 1914 Giacomo Matteotti leader del socialismo rovigiano • La prima seduta del Consiglio provinciale di Rovigo è infuocata per l’atteggiamento di intransigente neutralità del gruppo socialista, guidato da Giacomo Matteotti. È eletto presidente della deputazione provinciale ma si dimette subito perché, spiega, «con le forze con le quali è sorta questa amministrazione non potrò compiere il mio mandato». Il Consiglio è immediatamente sciolto. [Romanato 2011] Sabato 19 dicembre 1914 Giacomo Matteotti attaccato da Il Popolo • Il settimanale cattolico Il Popolo attacca il consigliere Giacomo Matteotti, che sta conducendo una campagna contro le Casse rurali. Nell’articolo titolato «Giacomino Matteotti! Il socialista impellicciato» il settimanale allude alle origini della sua ricchezza: «Quando voi ritirerete l’onesto frutto dei vostri numerosi crediti con o senza ipoteca, quanta compassione vi sorgerà in cuore se penserete ai miseri che un giorno dovevano lasciare la casetta, il campicello, la magra armenta, i pochi mobili di casa in mano di certi strozzini...». [Romanato 2011] anno 1915 Estate 1915: Giacomo Matteotti si ammala di tubercolosi • Un violento attacco tisico costringe Giacomo Mattetotti a letto per settimane. Si teme che possa morire. Il suo collaboratore Aldo Parini, che lo va a trovare, lo vede debolissimo, incapace di reggersi seduto sul letto. [Romanato 2011] Domenica 28 febbraio 1915 Giacomo Matteotti confermato consigliere • Viene eletto per la terza volta consigliere provinciale di Rovigo, sempre nel collegio di Occhiobello. Alla prima riunione Matteotti tiene una dura arringa contro tre consiglieri del blocco cattolico -libeale la cui elezione era ritenuta incompatibile coi loro incarichi nella esazione dei tributi nella provincia di Rovigo. Il consigliere cattolico Umberto Merlin, suo compagno di liceo, ricorda però che Matteotti è fideiussore della Banca del Polesine per 55


il servizio di esazione dei tributi nel comune di Badia Polesine, e quindi si trova nella stessa condizione dei tre inquisiti. Sia socialisti che cattolici presentano un ricorso contro l’elezione dei quattro consiglieri. [Dizionario Biografico degli italiani Treccani] aprile 1915 Velia Titta va a Fratta per conoscere Isabella Garzarolo • La fidanzata di Matteotti visita Isabella, sua futura suocera. La giovane borghese romana che scrive poesie e l’anziana commerciante di Fratta che parla solo in dialetto e veste sempre di nero si scoprono molto diverse. [Romanato 2011] Domenica 23 maggio 1915 L’Italia entra in guerra. Giacomo Matteotti non arruolato • L’Italia dichiara guerra all’Austria-Ungheria ed entra nel conflitto. Giacomo Matteotti può non andare al fronte, perché ha una congenita debolezza polmonare, confermata dalla morte dei fratelli Matteo e Silvio, ed è anche figlio unico di una madre vedova. [Romanato 2011] novembre 1915 Giacomo Matteotti guarisce • Va a Stresa per riprendersi dalla malattia. Le sue condizioni di salute migliorano. [Romanato 2011]

Sabato 8 gennaio 1916 Giacomo Matteotti e Velia Titta si sposano • La cerimonia avviene a Roma, in Campidoglio, alle 16, con il solo rito civile. Fino al giorno prima le nozze sono state a rischio, perché lei vuole il rito religioso e lui non è d’accordo. Sono a Roma entrambi, ma comunicano scrivendosi delle lettere. «È bene che ci lasciamo, il parroco ha avuto ragione» le scrive lui davanti all’evidente incompatibilità. Lei cede e all’una di notte gli risponde: «No, no, vieni, saremo felici lo stesso, tu continuerai la tua vita, e io non posso in questo giorno mentire e dirti cosa non vera o nascondendo il mio cuore. Sarò religiosa lo stesso, ci vorremo bene lo stesso, vivendo uniti in qualsiasi lotta». A Rovigo la notizia resta riservata. Il biglietto di partecipazione è stringato: «Il dottor Giacomo Matteotti e la Signorina Velia Titta partecipano il loro matrimonio. Roma-Villa Ruffo. 8 gennaio 1916». [Romanato 2011] Lunedì 5 giugno 1916 Giacomo Matteotti antimilitarista • Le truppe austriache stanno scendendo verso Vicenza. Il Consiglio provinciale di Rovigo invia un messaggio alla città in pericolo. Nell’occasione Giacomo Matteotti pronuncia un violento discorso antimilitarista. «A noi non importa che il nemico sia alle porte, siamo dei senza patria» dice, e agli avversari: «Siete degli assassini, dei barbari in confronto agli austriaci». Nell’aula piovono insulti, ne nasce un tafferuglio, la seduta viene sospesa. Il presidente chiede che le parole di Matteotti non siano messe a verbale perché inqualificabili. Il prefetto, presente in aula, chiede di arrestare il consigliere. La richiesta giunge al procuratore del Re, che però si rifiuta di arrestare Matteotti. [Romanato 2011] Mercoledì 9 agosto 1916 Giacomo Matteotti al “confino” • Le autorità militari richiamano alle armi Matteotti, nonostante il diritto all’esenzione dal servizio, e lo mandano il più lontano possibile dal fronte, per impedirgli di continuare nell’attività di sobillazione antibellicista. Scrivono nella motivazione dell’allontanamento dalla città che essendo Rovigo «in Stato di guerra» è «assolutamente pericoloso» che questo «pervicace, violento agitatore, capace di nuocere in ogni momento agli interessi nazionali» continui a rimanere in una zona tanto delicata. La pratica è stata aperta il 6 giugno, il giorno dopo il suo discorso sulla guerra. Lo mandano a Verona, poi a Cologna Veneta. Quindi a Messina, prima in città poi a Campo Inglese, sulle montagne. [Romanato 2011] 56


Lunedì 21 agosto 1916 Giacomo Matteotti decaduto da consigliere • La III sezione della Corte d’Appello di Venezia lo dichiara definitivamente decaduto dal suo incarico di consigliere provinciale dando ragione al ricorso dei cattolici per il suo doppio ruolo di esattore e consigliere. [Romanato 2011] gennaio 1917 Giacomo Matteotti a Messina • Velia Titta raggiunge il marito a Messina. Matteotti in Sicilia legge, studia, pubblica alcuni saggi sulla Rivista penale e la Rivista di diritto e procedura penale, tenta di fare scuola ai soldati analfabeti. Sta bene, ma non capisce i siciliani: «Peccato però perché sarebbero intelligenti e guidati bene potrebbero essere buoni». [Romanato 2011] Mercoledì 24 ottobre 1917 La disfatta di Caporetto • Tedeschi e austro-ungarici sfondano la linea italiana sull’Isonzo, fra Tolmino e Caporetto. Domenica 19 maggio 1918 Nasce Gian Carlo Matteotti • A Roma Velia partorisce il primogenito Gian Carlo. Matteotti è in Sicilia e non può muoversi. [Romanato 2011] Lunedì 11 novembre 1918 La guerra è finita • Gli Alleati e la Germania firmano l’armistizio. La guerra è finita. marzo 1919 Giacomo Matteotti ottiene la licenza • Le autorità militari consegnano a Matteotti un foglio di licenza illimitata col quale può tornare a Fratta. [Romanato 2011] Domenica 5 ottobre 1919 Matteotti “equilibrista” • Al congresso del Psi a Bologna, il partito è diviso tra l’ala massimalista rivoluzionaria e quella riformista. Giacomo Matteotti si allinea con le posizioni riformiste di Turati (che condanna la violenza e la voglia di dittatura del proletariato) ma nel suo intervento si sforza di non escludere i massimalisti dal partito, e quindi giustifica la violenza senza adottarla. Col risultato di scontentare tutti. [Romanato 2011] Domenica 16 novembre 1919 Giacomo Matteotti deputato • Alle elezioni politiche, le prime con il sistema proporzionale invece che il maggioritario, al collegio di Rovigo-Ferrara è un trionfo dei socialisti. Prendono il 70,1% dei voti, contro del 32,3% della media nazionale, mandando a Roma sei parlamentari. Il Polesine si rivela la provincia più rossa d’Italia. Matteotti, secondo nella graduatoria delle preferenze, entra in Parlamento. [Romanato 2011] Domenica 28 marzo 1920 L’on. Giacomo Matteotti contro il governo Nitti • A Montecitorio si discute la fiducia al governo Nitti, che punta a mettere assieme una maggioranza per poi disegnare un programma. I socialisti sono contrari. Interviene anche l’on. Matteotti, che parla per oltre un’ora, frequentemente interrotto dallo stesso Nitti, dal vecchio Giovanni Giolitti, dal ministro delle Finanze Carlo Schanzer. La spavalderia del giovane deputato proveniente da una provincia senza importanza stupisce molti colleghi. Matteotti parla già come un veterano, alterna ragionamenti e ironie, analisi delle cifre e battute. Dice della strategia di Nitti: «Codesta teoria e codesta tradizione sono conformi alla teoria di quel costruttore di cannoni che voleva prendere un buco e poi metterci attorno il bronzo». [Romanato 2011] 57


Sabato 26 giugno 1920 Matteotti rieletto consigliere provinciale • Il mandamento di Lendinara elegge nuovamente Giacomo Matteotti nel consiglio provinciale di Rovigo. [Romanato 2011] Domenica 27 giugno 1920 Giacomo Matteotti minaccia l’assalto della piazza • Colpisce l’aula di Montecitorio il minaccioso discorso con cui l’on. Matteotti attacca il nuovo presidente del Consiglio, Giovanni Giolitti, ormai ottantenne, a capo del suo quinto gabinetto. Parla per un’ora, in gran parte improvvisando, la sua è una filippica dai toni ciceroniani. Se la prende con Giolitti come massimo esponente della vecchia politica. Lo avverte che nel Paese potrebbe esplodere una rivoluzione: «Ma è a voi costituzionali che incombe in questo momento l’obbligo di conservare l’ultimo rimasuglio del Parlamento, l’ultima prerogativa costituzionale, che può difendere il vostro regime dall’assalto finale della piazza». [Romanato 2011] Venerdì 1 ottobre 1920 Giacomo Matteotti salva Merlin dalle bastonate • I socialisti, fuori da un seggio di Lendinara, bastonano il cattolico Umberto Merlin. Matteotti li vede ed interviene energicamente per fermarli. [Romanato 2011] Venerdì 15 ottobre 1920 Trionfo dei socialisti alle elezioni amministrative • Al rinnovo dei consigli locali, tutti i 63 comuni di Rovigo vanno ai socialisti, che in Provincia ottengono 38 seggi su 40. I cattolici denunciano violenze dei socialisti, che ai seggi avrebbero costretto gli elettori a deporre schede prevotate e pestato chi si ribellava. [Romanato 2011] Lunedì 22 novembre 1920 Matteotti a Benedetto Croce: «Voi non pensate a niente» • A Montecitorio discorso lunghissimo dell’onorevole Matteotti contro Benedetto Croce, il filosofo napoletano ministro della Pubblica Istruzione. Dice che le scuole sono abbandonate. «Ma invece di fare qualcosa, il ministro non fa nulla. Voi non pensate a niente, voi studiate i problemi dell’altro mondo, onorevole Croce, voi state speculando filosoficamente sulle nuvole». E ancora: «Qui non si viene con i libri di estetica, ma con dei programmi pratici, e questi si ha il dovere di assolvere quando si sta al banco del governo». Lunedì 20 dicembre 1920 Guerra a Ferrara • Scontri armati a Ferrara tra fascisti e socialisti. In una sparatoria muoiono il fascista ventunenne Franco Cozzi e l’infermiere socialista Giovanni Mirella. Le guardie rosse appostate sulla rocca Estense sparano sui fascisti e uccidono lo studente sedicenne Natalino Magnani e il bracciante venticinquenne Angelo Pagnoni. Un secondo socialista morirà, più tardi, in ospedale. [Franzinelli1] Martedì 11 gennaio 1921 Fascisti nel mirino nel Polesine • A Badia, nel Polesine, due rivoltellate (andate a vuoto) contro i fratelli Gagliardo, agricoltori fascisti. È il terzo episodio di attacchi ai fascisti in pochi giorni: il 31 dicembre scorso il diciassettenne Giuseppe Gianesini è stato ucciso con un coltello a Gavello, quattro giorni dopo coltellate, non mortali, a un certo Lionello Tamassia, fascista di Badia. Sabato 15 gennaio 1921 Il congresso di Livorno • Giacomo Matteotti va a Livorno, per partecipare, al Teatro Goldoni, al XVII congresso nazionale del Psi. Vuole combattere la corrente massimalista dei comunisti puri, guidata da Antonio Gramsci, Umberto Terracini e Amadeo Bordiga. 58


Martedì 18 gennaio 1921 Giacomo Matteotti aggredito a Ferrara • Mentre è ancora a Livorno, dove il congresso dei socialisti prosegue, gli comunicano che a Ferrara sono stati arrestati il sindaco socialista e il capo delle leghe rosse, in seguito agli incidenti avvenuti un mese fa, quando sono stati uccisi tre fascisti e un socialista. Si precipita in città per assumere in fretta e furia la direzione della Camera del Lavoro. Le camicie nere lo aspettano. Viene aggredito, insultato e coperto di sputi, si prende qualche schiaffo. Le forze del’ordine non intervengono. [Romanato 2011] Martedì 25 gennaio 1921 Fuoco e morte nel Polesine • Un centinaio di fascisti ferraresi bruciano a Pincara (Ro) la sede dell’ufficio di collocamento socialista, quindi si recano a Lendinara dove incendiano la Lega contadina, irrompono nell’abitazione del capolega Luigi Ghirardini e lo uccidono con due colpi di moschetto; nella notte tra il 25 e il 26 febbraio muore lo squadrista sedicenne Edmo Squarzanti, raggiunto dal fuoco incrociato dei suoi compagni durante le concitate fasi dell’assalto. [Franzinelli1] Lunedì 31 gennaio 1921 Giacomo Matteotti denuncia le violenze fasciste • Per la prima volta alla Camera l’onorevole Matteotti pronuncia un duro attacco contro le violenze fasciste. Prima riconosce che il Psi non teme la violenza in sé («Siamo un partito (...) che prevede necessariamente la violenza, sa che, ledendo un’infinità di interessi, avrà delle reazioni più o meno violente, e non se ne duole»); poi ammette che anche dalla sua parte ci sono stati episodi violenti («può essere avvenuto che la teorizzazione della violenza rivoluzionaria, che mira a sopprimere lo Stato borghese, e a sostituire lo Stato socialista, possa avere indotto taluni nell’errore di azioni episodiche di violenza»; e conclude con l’attacco al Partito fascista: «Oggi in Italia esiste un’organizzazione pubblicamente riconosciuta e nota nei suoi aderenti, nei suoi capi, nella sua composizione e nelle sue sedi, di bande armate, le quali dichiarano (hanno questo coraggio che io volentieri riconosco) dichiarano apertamente che si prefiggono atti di violenza, atti di rappresaglia, minacce, violenze, incendi, e li eseguono non appena avvenga o si pretesti che avvenga alcun fatto commesso dai lavoratori a danno dei padroni o della classe borghese. È una perfetta organizzazione della giustizia privata; ciò è incontrovertibile». Accusa il presidente Giolitti, che lo interrompe seccamente, di essere «complice di tutti questi fatti di violenza».

Giovedì 17 febbraio 1921 Nasce Matteo Matteotti • A Roma Velia partorisce il secondogenito Matteo. Il padre Giacomo è a Rovigo, al congresso delle leghe, impegnato in uno sforzo di mediazione per indurle a moderare le loro rivendicazioni nei confronti degli agrari. È da gennaio che si adopera perché le richieste dei contadini polesani «che pretendono ancora il doppio e capiscono nulla» non siano esorbitanti. [Romanato 2011] Giovedì 10 marzo 1921 Matteotti denuncia ancora le violenze fasciste • Alla Camera l’onorevole Matteotti tiene un altro lungo discorso contro le violenze fasciste nel Polesine. Cita tutti gli ultimi episodi, frazione per frazione, racconta come avvengono le cose: con i camion dei fascisti che, accompagnati dall’Agraria, arrivano alla casa del capolega, lo fanno scendere, lo sequestrano e lo torturano. Se non scende, lo avvertono, gli bruceranno la casa. [Romanato 2011] Sabato 12 marzo 1921 Giacomo Matteotti aggredito a Castelguglielmino • Matteotti va a Castelguglielmino, nel rovigiano, per una riunione con le leghe, accompagnato dal sindaco di Pincara. Lì si erano concentrati i fascisti della provincia, che impediscono la riunione e devastano l’ufficio della lega. 59


Matteotti viene portato nella sede dell’Agraria, trattenuto per molte ore, minacciato e insultato. Quindi caricato su un camion e portato in giro per le campagne, ripetutamente minacciato di morte. Forse stuprato. Lo rilasciano a Lendinara a tarda notte e lo obbligano a tornare a Rovigo a piedi. Gli dicono che se non vuole problemi maggiori è meglio che lasci la provincia. [Romanato 2011] Domenica 15 maggio 1921 Giacomo Matteotti eletto di nuovo deputato • Alle elezioni viene eletto di nuovo deputato nel collegio di PadovaRovigo. Con oltre ventimila preferenze è il primo degli eletti. Ma i socialisti hanno perso quasi due terzi dei voti che avevano ottenuto due anni fa, scendendo al 24,9%, addirittura sotto la media nazionale (al 25%). Il blocco supera la maggioranza assoluta (55%). Le amministrazioni rosse hanno perduto consensi, dicono gli osservatori, a causa del loro inconcludente massimalismo e delle violenze. [Romanato 2011] Lunedì 18 luglio 1921 Giacomo Matteotti possibilista sul governo Bonomi • In un discorso alla Camera, il deputato socialista dice che sarebbe quasi favorevole a votarlo, perché «almeno diventi meno ingiustamente complice dei fasci». [Romanato 2011] Domenica 8 gennaio 1922 Il sesto anniversario di Matteotti e Velia Titta • Nel sesto anniversario del loro matrimonio marito e moglie sono distanti. Giacomo Matteotti è a Verona, Velia Titta a Fratta. Le scrive a lui: «Sono passati alcuni anni e li abbiamo trovati spesso seminati più di dolore che di gioia. Quando abbiamo creduto di ritrovare la tranquillità di là da un giro di tempo, abbiamo trovato talvolta un nuovo sconvolgimento. I progetti migliori non si sono potuti attuare e quasi si teme di proporne alcuno nuovo. Ma, nonostante tutto, la speranza e l’amore non diminuiscono (...). Ed è forse questo sentimento profondo e spontaneo che allevia ogni più grave pensiero e aiuta a superare il presente». Ma sente che la moglie gli sfugge: «Forse in te non è così». [Romanato 2011] febbraio 1922 Giacomo Matteotti pone il veto su Giolitti • Condivide con don Sturzo il veto a Giolitti, che continua a considerare il rappresentante del peggio della vecchia politica italiana. [Romanato 2011] Giovedì 18 maggio 1922 Segni di crisi tra Velia Titta e Giacomo Matteotti • Velia Titta scrive al marito una lettera dura e amara. «Io dalle tue lettere vedo una vita priva di ogni luce, da qualunque parte essa venga; eppure penso che se in un momento manca da una parte c’è sempre dal’altra; dove cade una speranza ne sorge un’altra, più grande, più piccola, sia inconclusa sia irraggiungibile, sia pure vana. Veramente io ti perdo di vista o tu manchi di tenacia, o di qualche sostegno che io non so darti; ma anche qui io non so dire se io sia a non saperti dare, o la vita che hai creduto migliore e ti sei scelto. (...) Non ti ritrovo più come eri, non rispetto a me, ma alla vita e a te stesso». Il marito risponde difendendo le sue scelte. «Tu consideri la cosa dal punto di vista personale; ma allora dovrei propormi dei fini esclusivi di carriera, o di miglioramento economico, o di altri onori; e per questi dovrei battere sempre tutt’altra strada. Nella strada e nelle aspirazioni mie, che non dipendono da me ma da tutta una massa di persone e di avvenimenti, è tutta una rovina giorno per giorno più grave». [Romanato 2011] agosto 1922 Nasce Isabella Matteotti, la prima figlia • Nasce la primogenita di Giacomo e Velia Matteotti. La chiamano Isabella, scelgono il nome della nonna paterna. Velia è in villeggiatura a Varrazze. Scrive a Giacomo che è preoccupata: «Sono venuti in casa a dirci che se ritorni non garantiscono neanche de le famiglie più. Non so altro perché fuori non vado. Insultano su la strada come se fossimo la peggiore gente da spregio». [Romanato 2011] 60


Domenica 1 ottobre 1922 Giacomo Matteotti segretario del Psu • È tra i protagonisti del congresso socialista di Roma che sanziona il distacco della corrente riformista da quella massimalista e la nascita del Partito socialista unitario, del quale è nominato segretario. Lo scelgono perché occorre un uomo nuovo, non compromesso con le vecchie battaglia ma abbastanza rigido da garantire la compattezza del partito. Nel Psu convergono 61 deputati, circa la metà di quelli del Psi. [Romanato 2011] Martedì 10 ottobre 1922 La famiglia Matteotti trova una casa a Roma • Velia Titta e Giacomo Matteotti avranno finalmente una casa “loro” dove stare con i bambini. Lei spera che questo li aiuti a capirsi di più. «Povera vita anche la tua, e più che altro senza nessuna cara consuetudine, senza nessun conforto materiale, mai. Sei arrivato così all’età che hai, e neanche io ho potuto darti questo fin d’ora. Ma adesso finirà, saremo uniti per sempre anche se le cose ti dovessero fare assente, e avremo un letto nostro, un lume nostro, un angolo un po’ cado dove passare insieme un’ora di riposo e dove poter dire con serenità, ti ricordi?». [Romanato 2011] Sabato 28 ottobre 1922 La marcia su Roma • Alcune decine di migliaia di militanti fascisti sfilano per le vie di Roma come prova di forza per ottenere dal re Vittorio Emanuele III la nomina del segretario del partito fascista, Benito Mussolini, a presidente del Consiglio. Il re acconsente. Sabato 2 dicembre 1922 Giacomo Matteotti: «I fascisti sono bande criminali» • Altro duro discorso contro i fascisti alla Camera tenuto dall’onorevole Matteotti. A un certo punto li definisce «bande di criminali». Gli gridano di tacere. «Non ingiuriare» gli intima il fascista Cesare De Vecchi. «Credevo che ricordare ai professionisti la loro professione non fosse un’ingiuria» replica Matteotti, continuamente interrotto. [Romanato 2011] Domenica 3 dicembre 1922 Finzi: «Matteotti è inaffidabile» • Gli replica Aldo Finzi, suo coetaneo, polesano anche lui, ebreo, neodeputato fascista. Lo conosce bene. In Aula gli rinfaccia la sua inaffidabilità, perché lo definisce «ultracollaborazionista» a Montecitorio e «internazionalista e rivoluzionario in Polesine». Era stata proprio la sua «propaganda d’odio», dice, a fare esplodere il Polesine. [Romanato 2011] gennaio 1923 La famiglia Matteotti a Roma • Trovano una casa in via dei Mancini, dove può vivere anche Velia con i bambini, dato che fino ad oggi è rimasta sempre a Fratta. Giacomo Matteotti però è sempre in giro per l’Europa: a Londra, Berlino, Parigi. Ormai vive una vita semiclandestina [Romanato 2011] febbraio 1923 Ritirato il passaporto dell’on. Matteotti • La polizia ha ritirato il documento a Giacomo Matteotti con cui poteva recarsi all’estero. maggio 1923 Velia Titta e Giacomo Matteotti si dividono di nuovo • Velia Titta si trasferisce di nuovo a Fratta, con i bambini, dove deve andare a dare una mano alla suocera, donna sempre più anziana che da anni gestisce da sola il patrimonio della famiglia. Scrive al marito Giacomo Matteotti che non può durare: «Mamma pensa quasi con sicurezza che passiamo qui l’estate; ma se è come questi primi giorni non ci potrei resistere». [Romanato 2011] 61


Lunedì 2 luglio 1923 Giacomo Matteotti aggredito a Siena • Giacomo Matteotti è a Siena, dove conta di passare in incognito. Va a vedere il palio. Ma un gruppo di fascisti lo riconosce e inizia a malmenarlo. Il deputato socialista deve lasciare in tutta fretta la città. [Romanato 2011] Venerdì 25 gennaio 1924 Giacomo Matteotti rifiuta un’intesa con i comunisti • Al comunista Palmiro Togliatti, che gli propone un accordo per creare un «fronte unico di opposizione proletaria al fascista» in vista delle elezioni, ponendo però tra le condizioni l’esclusione di un ritorno alle «libertà statuarie» come obiettivo politico, Matteotti risponde sdegnato che la proposta è irricevibile, e che i comunisti hanno la responsabilità di avere «diviso e indebolito il proletariato italiano nei momenti di più grave oppressione e pericolo». [Romanato 2011] febbraio 1924 Il dossier di Giacomo Matteotti sul fascismo • Pubblica il dossier Un anno di dominazione fascista, stampato a Roma e distribuito in forma semiclandestina. Nel dossier scrive dei fallimenti del fascismo sul piano economico e finanziario, della restaurazione dell’ordine e dell’autorità dello Stato, accusa il governo di avere asservito lo Stato ad una fazione e di avere diviso il Paese in dominatori e sudditi. [Romanato 2011] marzo 1924 Giacomo Matteotti aggredito a Cefalù • Fra un mese si vota, Matteotti è in Sicilia per fare campagna elettorale. Mentre cena al ristorante Domina di Cefalù con alcuni socialisti, una squadra di fascisti inizia a urlare che se ne doveva andare. Qualche socialista esce per trattare, i fascisti sparano in aria. Arrivano i carabinieri, che consigliano a Matteotti di uscire dalla porta secondaria. Lui rifiuta: «Io non esco dalle porte secondarie, esco dalle porte principali». Così, mentre si dirige verso la stazione coi compagni socialisti, i fascisti li seguono e vicino al Calvario il camerata Giuseppe Miceli gli strappa il cappello. Il gesto di costringere qualcuno a “scappellarsi” è considerato gravissimo. [Pietro Saja, Rep. 4 marzo 2005] aprile 1924 Giacomo Matteotti esce clandestinamente dall’Italia • Giacomo Matteotti esce dall’Italia clandestinamente, passando dalla Svizzera. Viaggia in Belgio, Inghilterra e Francia. A Londra ottiene le informazioni che cerca riguardo alle compromissioni di uomini del regime nelle forniture di petrolio all’Italia. [Romanato 2011] Domenica 6 aprile 1924 Giacomo Matteotti rieletto deputato con il Psu • Con la legge Acerbo viene rieletto deputato nella lista del Psu, che ottiene il 5,9% dei voti e 24 deputati, superando il Psi, che ottiene il 5%, e i comunisti, con il 3,7%. Solo i popolari, tra i non fascisti, hanno fatto meglio, ottenendo un 9%. [Romanato 2011] Domenica 11 maggio 1924 Giacomo Matteotti ai funerali di Eleonora Duse • Giacomo partecipa ai funerali di Eleonora Duse ad Asolo. Per tornare a casa approfitta spavaldamente del passaggio su un camion di un gruppo di camicie nere, che non lo riconoscono. [Romanato 2011] Venerdì 30 maggio 1924 Mussolini: «Questo rompic... di Matteotti?» • È la prima riunione della nuova Camera, chiamata ad approvare il risultato delle elezioni. Il neopresidente, Alfredo Rocco, propone a sorpresa la convalida in blocco dei deputati eletti per la maggioranza. Le opposizioni sono spiazzate. Matteotti interviene a braccio, raccoglie le sue poche carte e chiede di parlare. Contesta la validità delle elezioni, dice che 62


si sono svolte sotto la minaccia «di una milizia armata» al servizio del capo del governo. Partono gli schiamazzi, le interruzioni, gli insulti. I deputati fascisti scendono dall’emiciclio, il presidente li fa sgombrare. «Va a finire che faremo sul serio quello che non abbiamo fatto» intima Roberto Farinacci a Matteotti. «Fareste il vostro mestiere», risponde lui. Conclude dopo un’ora, chiedendo di rinunciare alla violenza. A un collega che si congratula per l’efficacia del discorso replica amaro: «Però adesso preparatevi a fare la mia commemorazione funebre». E qualcuno ha sentito Mussolini dire: «Quando sarò liberato da questo rompic... di Matteotti?». [Romanato 2011] Domenica 1 giugno 1924 Giacomo Matteotti riottiene il passaporto • Matteotti richiede il passaporto e stavolta, a sorpresa, glielo danno. Gli serve per andare in Austria, alla Seconda internazionale. Ma rinuncia all’ultimo momento. Non vuole mancare alla discussione parlamentare sull’esercizio provvisorio, ha lungamente preparato il suo discorso, fissato per l’11 giugno, i compagni prevedono che sarà di fortissimo impatto. Vuole parlare delle concessioni che il regime sta facendo alla società petrolifera Sinclair Oil in cambio di finanziamenti. Una storia di tangenti che toccherebbe personalmente esponenti di primo piano del partito fascista. [Romanato 2011] Martedì 10 giugno 1924 L’assassinio di Giacomo Matteotti • Alle 4 e mezza del pomeriggio l’onorevole Giacomo Matteotti viene aggredito sul Lungotevere Arnaldo da Brescia mentre si reca da casa a Montecitorio. A colpirlo è un gruppo di cinque fascisti: lo statunitense Amerigo Dumini, che li guida, Albino Volpi, Giuseppe Viola, Augusto Malacria e Amleto Poveromo. Lo caricano su un’auto, una Lancia nera, che si allontana a forte velocità. Lui si difende disperatamente, getta dal finestrino la sua tessera di deputato. Non riuscendo a tenerlo fermo, Viola afferra un pugnale e colpisce Matteotti tra l’ascella e il torace, uccidendolo. L’auto col cadavere del deputato gira a lungo nelle campagne romane, finché il corpo non viene scaricato e sepolto in qualche modo nel comune di Riano, nel bosco della Quartarella. Venerdì 13 giugno 1924 Dimissione di 4 ministri dopo il rapimento Matteotti - Dimissioni dei ministri A. De Stefani (Finanze), Federzoni (Colonie), A. Oviglio (Giustizia e Affari di culto) e Gentile (Pubblica istruzione) per ottenere una «riconciliazione nazionale» a seguito del rapimento di Matteotti. Sabato 14 giugno 1924 Giacomo Matteotti è morto • «L’on. Matteotti non è stato ancora ritrovato, ma niun dubbio ormai sull’esecrato delitto» titola la Stampa. La speranza di ritrovare vivo Giacomo Matteotti è ormai svanita. Il presidente del Consiglio, Benito Mussolini, riceve la moglie e la madre della vittima. Dice loro che sta facendo di tutto per trovarlo, che teme che qualcuno voglia far fuori anche lui. Mussolini tiene poi un discorso alla Camera: «Solo un nemico che da lunghe notti avesse pensato a qualcosa di diabolico, poteva effettuare il delitto che oggi ci percuote d’orrore e ci strappa grida d’indignazione». [La Stampa, 14/06/1921; Stefano Lorenzetto, Gior. 29/8/98] Mercoledì 18 giugno 1924 Arrestato Marinelli per l’omicidio Matteotti • G. Marinelli, segretario amministrativo del Pnf, è arrestato in relazione alle indagini sul rapimento di Matteotti. A Milano è sciolta dal prefetto l’organizzazione degli arditi fascisti. luglio 1924 Isabella e Velia Matteotti dal cardinal Gasparri • La madre e la moglie del deputato chiedono un incontro al Papa. Pio XI le dirotta sul segretario di Stato cardinal Gasparri, per non correre il rischio che l’udienza potesse essere interpretata come un suo sbilanciamento a 63


favore dei socialisti. Isabella Matteotti, la madre, rifiuta sdegnata il rosario che le regala il Pontefice: «Ho già il mio – dice in dialetto –, non cosa farmene di quello del Papa». [Romanato 2011] Sabato 12 luglio 1924 Arrestato Amerigo Dumini • A due settimane dalla scomparsa viene arrestato lo squadrista Amerigo Dumini, 30 anni, nato a St. Louis da padre fiorentino e madre britannica. Stava cercando di prendere un treno dalla stazione Termini verso Nord. Giovedì 14 agosto 1924 Ritrovata la giacca di Giacomo Matteotti • Il cantoniere interprovinciale Alceo Canteri, perlustrando un trullo di strada tra Sacrofano e Riano, nel fossato che serve allo scolo delle acque trova una giacca a fondo grigio chiaro, macchiata di sangue e mancante della manica sinistra. Lo viene a sapere il capitano dei carabinieri Pallavicini, che sta cercando il corpo di Matteotti in quella zona. Interroga il cantoniere e si fa consegnare tutto. I suoi uomini trovano nei paraggi la manica mancante, macchiata di sangue. Mostrano tutto a Velia Matteotti, che conferma: è la giacca di suo marito. [Sta. 15 agosto 1924] Sabato 16 agosto 1924 Ritrovato il corpo di Giacomo Matteotti • Nei boschi della Quartarella, in provincia di Riano, nelle campagne romane, è stato trovato il cadavere di Giacomo Matteotti. Il corpo era già in avanzato stato di decomposizione, ridotto ormai a uno scheletro. Lo ha visto un carabiniere che faceva la ronda lungo la via Flaminia, è servita una perizia odontoiatrica per identificarlo. Mercoledì 20 agosto 1924 La salma di Matteotti arriva a Fratta • La cassa con i resti di Matteotti viene portata a Monterotondo, quindi caricata su un treno e trasferita a Fratta di notte, per impedire nelle stazioni ogni manifestazione di cordoglio popolare. La mattina del 20, viene deposta nella sala di ingresso dell’abitazione del parlamentare, a poche centinaia di metri dalla ferrovia. [Romanato 2011] Giovedì 21 agosto 1924 Il funerale di Giacomo Matteotti • Ai funerali di Matteotti, a Fratta Polesine, partecipano circa diecimila persone, cioè il triplo degli abitanti del paese. Tra loro anche duemila fascisti, ma non in camicia nera, come chiesto dalla vedova. Il corteo si compone con la corona del Partito socialista unitario, poi quella della Camera dei deputati, quella del Comune di Fratta e poi tutte le altre. Seguono i soldati del battaglione del 3° genio, poi il feretro, quindi la vedova. Al camposanto i contadini scavalcano le mura superando il blocco dei carabinieri. Gridano invettive contro il governo. La vedova li invita alla calma. Grida tra i socialisti: «Vendetta!... Viva Matteotti!...Viva il martire!...Viva la libertà!...». La vedova li manda a casa: «Andate a casa. Siate buoni, ed amatevi come insegnò Gesù Cristo».

(La Cronologia è a cura di Pietro Saccò che qui si ringrazia) 64




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