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Ruota degli Esposti (ex) - Montescudo
L’impianto castellano viene progressivamente superato a partire dal XVII secolo, per l’allargamento dell’abitato, le distruzioni delle mura a causa di incendi (testimoniata dal nome Via Bruciata alla strada tra le mura e la chiesa parrocchiale) e per la necessità di recuperare i materiali edili per i restauri alla chiesa e alla casa pubblica. Attualmente del castello restano brani della rampa di accesso che porta alla casa pubblica (diventata nel tempo scuola elementare e oggi abitazioni Iacp) e delle mura lato sud, sulla scarpata che da fine XIX secolo è stata rialzata per realizzare la strada provinciale 42. Un altro ricordo dell’antica cinta muraria è nel nome dialettale che identifica una precisa area a scarpata a nord: “sota la tora”, sotto la torre.
la Ròda di Urfanèl
la ruota dei bambini di Montescudo
Nell’antichità era abbastanza comune, in diverse popolazioni, abbandonare i neonati presso altre famiglie o nuclei familiari perché potessero dargli più speranza di vita di quante ne avessero insieme ai genitori naturali. Anche a Montescudo evidentemente non era una pratica sconosciuta, tanto che in via dell’Ospedale pare ci fosse una “ruota degli esposti”, una bussola girevole di forma cilindrica ma divisa in due parti chiuse da un unico sportello: questa strana conformazione serviva infatti a collocare, senza essere visti dall’interno, proprio i neonati abbandonati, gli “esposti”, poi, facendo girare la ruota, la parte esterna si scambiava con quella interna, permettendo di prelevare il bambino. Il luogo preciso si è perso nel corso del tempo: dalle testimonianze raccolte anni fa, si narra fosse infatti tra la prima e la seconda casa di via dell’Ospedale, ma gli edifici sono poi stati trasformati più volte dopo la Seconda Guerra Mondiale. Probabilmente erano presenti sia la classica campanella per avvisare dell’abbandono sia una feritoia per lasciare qualche offerta per il sostentamento dei neonati. Ma anche, non di rado, documenti o segni distintivi, nel caso in futuro se ne volesse attestare comunque la parentela. Dopo la guerra, però, la “ruota” di Montescudo cadde in disuso e i bambini abbandonati venivano portati direttamente a Rimini, dove proprio in quegli anni era stato allestito un servizio molto più organizzato.
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la Cisa d’Valién
Santuario e Museo di Valliano
Il complesso architettonico di Valliano si fonde visivamente agli ampi spazi verdi che lo circondano, ma questo connubio si rivela ancora più marcato a livello storico, essendo in questo luogo intrecciate sia la vita religiosa che quella legata alle attività rurali e alle tradizioni contadine: del resto, anche il Santuario e il Museo Etnografico condividono infatti uno spazio comune e si alimentano l’un l’altro, creando una sinergia unica nel suo genere, che unisce e rafforza la comunità locale, molto devota ma anche fortemente legata alle attività tradizionali, tanto da mantenerne in vita appunto un intero museo con tante iniziative collaterali. Molte di esse si svolgono all’esterno della Chiesa, che resta però il fulcro di tutte le attività, oggi come in passato: l’attuale struttura, infatti, è stata costruita nel XV secolo, ma prima di essa, anzi, sotto di essa, c’era già una chiesetta medioevale dedicata a Santa Maria Succurrente. Da tempo immemore, quindi, attorno a questo edificio di culto si ritrova la comunità locale, che ha anche potuto giovarsi, fin dalla fine del XV e per alcuni secoli, della presenza dei Padri Domenicani di San Cataldo.
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