UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI BRESCIA Dipartimento di Ingegneria Civile, Architettura, Territorio, Ambiente e Matematica – DICATAM CORSO DI LAUREA SPECIALISTICA A CICLO UNICO IN INGEGNERIA EDILE - ARCHITETTURA
TESI DI LAUREA
S, M, L, XL: STRATEGIE DI INTERVENTO PER LA RIQUALIFICAZIONE INTEGRATA DELLE CASE MARCOLINIANE. Progetto di rigenerazione del Villaggio Prealpino a Brescia.
Relatore: Arch. MARINA MONTUORI
Correlatori: Arch. PhD BARBARA ANGI Arch. PEDER DUELUND MORTENSEN
Laureanda: SARA BULLINI matricola 77234
ANNO ACCADEMICO 2014 – 2015
“If you can dream it, you can do it.� (Walt Disney) Alla mia famiglia, per avermi sempre lasciata libera di inseguire i miei sogni.
RINGRAZIAMENTI Ringrazio la Prof.ssa Arch. Marina Montuori per la grande disponibilità sempre mostrata nel seguirmi e guidarmi, non solo durante lo svolgimento dell’elaborato di tesi, bensì negli ultimi anni, grazie a diverse esperienze e collaborazioni insieme. Grazie per aver fatto nascere in me la curiosità e la passione per l’Architettura, quella con la A maiuscola, e per avermi dato la possibilità di svolgere una magnifica esperienza all’estero di ricerca e lavoro. Grazie per essere stata più di una semplice relatrice. Ringrazio l’Arch. PhD Barbara Angi per il supporto, i consigli, le preziose lezioni di architettura e le lezioni di vita dispensate negli ultimi anni e per aver trasformato l’esperienza di tesi in qualcosa di più completo e costruttivo; grazie per la disponibilità sempre dimostrata e per essermi venuta incontro in ogni occasione. Grazie per avermi insegnato che la vita non è un cronoprogramma, che l’imprevisto è dietro l’angolo e che spesso sono proprio gli imprevisti ad aprire nuove strade e a rendere la vita più interessante. Grazie per essere stata più di una semplice correlatrice. Ringrazio l’Arch. Peder Duelund Mortensen per l’appoggio e la supervisione durante la fase di ricerca svolta a Copenhagen presso la KADK, per avermi mostrato le incredibili potenzialità dell’architettura danese, a partire dai grandi maestri fino alle archistar odierne. Grazie per gli incontri e le piacevoli chiacchierate, per avermi fatto respirare l’Architettura tra le mura di una delle più prestigiose accademie di architettura europee. Ringrazio lo studio di architettura Atelier Lise Juel per avermi offerta la possibilità di svolgere sei mesi di internship in un ambiente positivo e formativo, per avermi permesso di partecipare attivamente nel processo progettuale sia approfondendo conoscenze e capacità già note sia acquisendo nuove competenze. Grazie per avermi mostrato cosa significa “fare Architettura”. Grazie.
INDICE
S, M, L, XL: strategie di intervento per la riqualificazione integrata delle case marcoliniane. Progetto di rigenerazione del Villaggio Prealpino a Brescia. Sara Bullini
INTRODUZIONE
p.4
1.
CAPITOLO 1; VILLAGGIO PREALPINO: ESEMPIO DI EDILIZIA SOCIALE A BRESCIA
p.7
1.1 Introduzione 1.2 Inquadramento geografico-urbanistico del Villaggio Prealpino
1.2.1. Servizi e mobilità 1.2.2. Popolazione
1.3 Inquadramento storico-urbanistico del Villaggio Prealpino
1.3.1. Ottorino Marcolini: cenni biografici 1.3.2 La realizzazione dei Villaggi Marcolini 1.3.3 Strade, parcheggi e spazi pubblici nei villaggi marcoliniani 1.3.4 Il Villaggio Prealpino – Belvedere: le tre fasi di realizzazione
1.4 Analisi dei tipi edilizi presenti nel Villaggio Prealpino 1.5 Analisi degli strumenti urbanistici di riferimento per il Villaggio Prealpino 1.6 ALLEGATI Capitolo 1
p.10 p.15 p.18 p.18 p.18 p.26 p.30 p.34 p.56 p.65
2.
CAPITOLO 2; L’ESPERIENZA A COPENHAGEN E LO STUDIO DEL MODELLO DANESE
p.81
2.1 Introduzione 2.2 Evoluzione urbanistica di Copenhagen e il “Piano delle cinque dita”
p.81 p.82
p.83
2.2.1. Lo sviluppo della città dal Medioevo alla fine del XIX secolo 2.2.2. La prima metà del XX secolo e l’elaborazione del “Piano delle cinque dita” 2.2.3. L’evoluzione urbanistica di Copenhagen nella seconda metà del XX secolo e il nuovo “Piano delle cinque dita”
p.84 p.92
2.3 Evoluzione storica della politica abitativa danese e della situazione nazionale riguardante gli alloggi
p.99
p.100
2.3.1. 1900-1945: fase di migrazione verso le grandi 1
p.7 p.8
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città 2.3.2. 1945-1966: fase di costruzione 2.3.3 1966-1980: fase di espansione 2.3.4. 1980-2001: fase di gestione e amministrazione 2.3.5 Dal 2001: crack nella politica delle abitazioni _ conversione o demolizione? 2.3.6 La situazione attuale del mercato immobiliare e della politica abitativa in Danimarca
2.4 Tipi edilizi: analisi delle caratteristiche sociali, demografiche, architettoniche dei vari tipi edilizi danesi
2.4.1. Case singole occupate dai proprietari 2.4.2. Alloggi privati in affitto 2.4.3. Alloggi di cooperative edilizie 2.4.4. Appartamenti “Freehold” 2.4.5. Social housing 2.4.6. Abitazioni per anziani
2.5 Copenhagen città sostenibile
2.5.1. Atlas of Copenhagen/s 2.5.2. Copenhagen, smart and green city
2.6 Rigenerazione urbana a Copenhagen
3.
2.6.1. Introduzione 2.6.2. Rigenerazione urbana e ristrutturazione edilizia 2.6.3. Rigenerazione urbana come riqualificazione di aree portuali degradate e conversione in zone residenziali 2.6.4. Rigenerazione urbana ed eco-quartieri: il caso di Ørestad 2.6.5. Analisi di progetti di rigenerazione urbana a Copenhagen e in Danimarca 2.6.6. Conclusioni
p.105 p.108 p.114 p.115 p.118 p.121 p.124 p.125 p.136 p.145 p.145 p.145 p.157 p.157 p.158 p.165 p.167 p.174 p.185
CAPITOLO 3; S, M, L, XL: PROGETTO E STRATEGIE DI INTERVENTO NEL VILLAGGIO PREALPINO
p.189
3.1 Introduzione 3.2 Il Cluster di progetto 3.3 Definizione di strategie di intervento e ambiti di applicazione 3.4 Abaco delle strategie di intervento e applicazione progettuale 3.5 Fasi di intervento 3.6 Masterplan di progetto e tipi edilizi approfonditi
p.189 p.190 p.194
2
p.102 p.103 p.104
p.200 p.288 p.293
S, M, L, XL: strategie di intervento per la riqualificazione integrata delle case marcoliniane. Progetto di rigenerazione del Villaggio Prealpino a Brescia. Sara Bullini
3.7
3.6.1. Tipo A 3.6.2. Tipo Q 3.6.3. Tipo R 3.6.4. Tipo B
4.
CAPITOLO 4; ANALISI ENERGETICA
Possibili scenari per il Villaggio Prealpino
p.314
4.1 Introduzione 4.2 Classificazione energetica dello stato di fatto
4.2.1. Termotrasmittanza di solai e copertura 4.2.2. Termotrasmittanza di pareti perimetrali e tramezzature 4.2.3. Classificazione energetica
4.3 Classificazione energetica del manufatto edilizio dopo l’intervento di progetto
p.314 p.317 p.317 p.320 p.321 p.332
4.3.1. Termotrasmittanza di solai e copertura 4.3.2. Termotrasmittanza di pareti perimetrali 4.3.3. Classificazione energetica
p.332 p.336 p.338
A.
APPENDICE: ANALISI STRUTTURALE
p.342
A.1 Edifici in muratura: grado di conoscenza A.2 L’edificio campione tipo R A.3 Analisi energetica dei carichi
A.3.1. Solai e copertura A.3.2. Pareti perimetrali e tramezzature
A.4 Verifica sismica tramite metodo semplificato A.5 Verifica della vulnerabilità sismica dell’edificio
A.5.1. Verifica al ribaltamento fuori piano di un setto murario A.5.2. Verifica della vulnerabilità dell’edificio con ribaltamento nel piano
p.342 p.344 p.347 p.347 p.349 p.351 p.353 p.354 p.359
CONCLUSIONI
p.363
BIBLIOGRAFIA
p.364
ALLEGATI FINALI (TASCA)
3
p.295 p.297 p.300 p.303 p.308
INTRODUZIONE
S, M, L, XL: strategie di intervento per la riqualificazione integrata delle case marcoliniane. Progetto di rigenerazione del Villaggio Prealpino a Brescia. Sara Bullini
Riqualificare = “dare una nuova e migliore qualifica; rendere qualitativamente più valido; risanare.”1 Il termine riqualificare viene oggigiorno utilizzato in vari ambiti, ad indicare l’azione di risanamento volta al raggiungimento di una condizione migliore. Nella società odierna, influenzata da modelli improntati al consumismo, spesso è difficile ragionare sulla possibilità di riusare un oggetto, trasformarlo e reinventarlo: la scelta più ovvia è sostituirlo con uno nuovo, più moderno e tecnologico. Nell’ambito architettonico e urbanistico questa tendenza non è così ovvia e scontata: la sostituzione di un manufatto edilizio infatti prevede la scelta tra due possibili atteggiamenti: demolire VS riqualificare. In passato veniva scelta la demolizione con successiva ricostruzione, oggi è preferibile la riqualificazione, per due principali motivi; il primo di natura economica: la demolizione implica la produzione di rifiuti, con successivi costi elevati di smaltimento, costi che non sussistono nel caso di riqualificazione dell’edificio; inoltre riqualificando è necessaria una minor quantità di materiale da costruzione, oltre ovviamente a comportare una minor produzione di rifiuti, scelta in chiave green più ecologica e sostenibile. L’altro motivo è di tipo storico-artistico: il patrimonio edilizio infatti, soprattutto in Italia, è testimonianza di importanti periodi storici e architettonici pertanto demolire comporterebbe l’eliminazione di ogni traccia del passato. La riqualificazione diventa pertanto un’arma fondamentale per il recupero del territorio urbano, per la progettazione architettonica e urbanistica. La maggior parte del patrimonio edilizio italiano fu costruita nel secondo dopoguerra, principalmente per soddisfare due importanti richieste: da un lato il bisogno di alloggi, dall’altro la volontà e la necessità di risollevare l’economia italiana dopo le devastazioni della guerra. Grazie a strumenti urbanistici mirati e formule di edilizia convenzionata tali richieste furono ben presto soddisfatte. La velocità di costruzione richiesta e i materiali economici utilizzati giocarono un ruolo vincente in quegli anni, ma oggi rappresentano elementi di deficit, soprattutto se associati ad una scarsa manutenzione del manufatto edilizio e se confrontati con le recenti normative energetiche e antisismiche. Pertanto la riqualificazione degli edifici ha innanzitutto come obiettivo l’adeguamento energetico e sismico, oltre a prevedere una reinvenzione degli spazi, sia esterni che interni, una modificazione del tipo edilizio e una maggior varietà di tipi, al fine di raggiungere una mixitè tipologica e sociale fondamentale per evitare il cosiddetto “effetto ghetto”. La riqualificazione architettonica svolge quindi il ruolo di motore per avviare un processo di riqualificazione urbana e sociale. Proprio l’integrazione e la collaborazione tra diverse discipline (“riqualificazione integrata”) permette di raggiungere un alto standard qualitativo, garantendo comfort abitativo all’utenza e migliorando la qualità di vita. Questo pertanto l’obiettivo di questo elaborato di tesi, ovvero la realizzazione di un progetto di riqualificazione integrata al fine di valorizzare il 1
Definizione dizionario online Treccani
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patrimonio esistente, ripensarlo e migliorarlo in chiave architettonica, urbana e sociale; l’ambito generale nel quale agisce la riqualificazione è l’ecosostenibilità, attraverso l’impiego di fonti energetiche rinnovabili e tecniche costruttive adattabili e poco invasive, come ad esempio la costruzione a secco. Il risultato della cooperazione tra tutti questi principi è un insieme di interventi mirati ed efficaci, la base di partenza è una conoscenza approfondita del manufatto edilizio relativamente a più parametri: la geometria, la struttura, le criticità presenti, le potenzialità da sottolineare, al fine di eliminare le problematiche ed indirizzare il progetto di intervento. L’area di studio è il Villaggio Prealpino, uno dei quattro principali villaggi marcoliniani, realizzati dalla carismatica figura di Padre Marcolini negli anni Cinquanta e Sessanta nelle aree periferiche di Brescia. In particolare il Villaggio Prealpino si trova sul confine dei due comuni di appartenenza, Brescia e Bovezzo. Questo è stato il principale pretesto alla base dell’elaborato di tesi, pretesto di natura normativa che rappresenta anche l’obiettivo finale: individuare un abaco di strategie di interventi compatibili con le norme del Piano di Governo del Territorio (PGT) di entrambe i comuni. L’approccio all’area di analisi avvenne nel settembre 2014 durante l’International Summer School organizzata presso l’Università degli studi di Brescia, workshop dal titolo Eu-topia Urban Scape: da qui scaturì l’idea di approfondire il tema in un elaborato di tesi in composizione architettonica. Il lavoro svolto non si limita alla sola composizione, bensì abbraccia diversi ambiti e, oltre a questa natura multidisciplinare, presenta la peculiarità di essere un lavoro svolto prevalentemente all’estero. Infatti la fase progettuale vera e propria è stata preceduta da un periodo di ricerca svolto presso la KADK di Copenhagen (The Royal Danish Academy of Fine Arts, Schools of Architecture, Design and Conservation) durante il quale sono state approfondite le dinamiche di rigenerazione urbana in Danimarca con l’analisi approfondita di alcuni casi esempio. Tali progetti sono stati mutuati come Best Practice e assunti poi come Reference per il progetto di riqualificazione del Villaggio Prealpino. Alla fase di ricerca ha poi seguito una fase più pratica, volta all’approfondimento di tecniche costruttive e della pratica progettuale, grazie all’internship presso il prestigioso studio di architettura Atelier Lise Juel. L’esperienza, oltre ad arricchire il bagaglio di conoscenze tecniche e culturali, mi ha permesso di venire a contatto con l’opera di uno dei più grandi architetti danesi: Jørn Utzon. Pertanto giungendo alla struttura dell’elaborato, questo lavoro di ricerca si apre con un capitolo dedicato all’inquadramento geografico, storico, urbanistico dell’area di studio, un’analisi dei tipi edilizi presenti e dei PGT vigenti. Segue il capitolo dedicato all’esperienza in Danimarca con una panoramica sulla politica urbanistica e abitativa danese e le schede di catalogazione dei progetti studiati. Il terzo capitolo è interamente dedicato al progetto, con la spiegazione dell’approccio progettuale e delle strategie elaborate, le schede redatte che costituiscono l’abaco di interventi. Il lavoro viene completato con un’analisi energetica approfondita dello Stato di fatto e successivamente dello Stato di progetto, al fine di evidenziare il miglioramento previsto dal punto di vista energetico. Tramite un software di calcolo specifico è stato possibile assegnare una classe energetica di appartenenza e calcolare le dispersioni termiche; il principale problema evidenziato 5
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è l’assenza di isolamento termico e la presenza di ponti termici diffusi. Grazie al miglioramento energetico è stato possibile ottenere un bonus volumetrico utilizzato per ampliare gli edifici e variare la declinazione tipologica. In appendice viene riportata anche l’analisi strutturale di un edificio tipo, per sottolineare le carenze strutturali più frequenti in questa tipologia di edifici. L’aspetto strutturale non è stato poi approfondito a livello di progetto, se non tramite l’indicazione di un possibile intervento migliorativo: ciò non significa comunque che le carenze strutturali siano trascurabili. I riferimenti architettonici provengono dalla tradizione architettonica danese e giapponese, entrambe approfondite durante il periodo di ricerca e lavoro a Copenhagen.
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CAPITOLO 1: VILLAGGIO PREALPINO, ESEMPIO DI EDILIZIA SOCIALE A BRESCIA
1.1 Introduzione In questo capitolo verrà presentata l’area di studio in modo da fornire un panorama completo e chiaro del Villaggio Prealpino; in particolare verranno toccati quegli aspetti che durante la fase di analisi sono stati ritenuti importanti e decisivi per la comprensione delle dinamiche del quartiere oggi, in passato e quali saranno quelle future. In primo luogo è stato effettuato un inquadramento geografico - urbanistico, con l’analisi della localizzazione dell’area, della mobilità e dei servizi, e l’interpretazione di alcuni dati demografici. Successivamente è stata condotta un’analisi di tipo storico – urbanistico, studiando la figura di Padre Marcolini (inventore e fautore dei “villaggi”), la sua filosofia costruttiva e la modalità di realizzazione dei villaggi marcoliniani in generale, per poi analizzare in particolare le fasi costruttive del Villaggio Prealpino. Il passo seguente è stata l’analisi dei tipi edilizi presenti nel Villaggio Prealpino, per poter creare un abaco di tipi esistenti, studiarne le caratteristiche ed le criticità, il tutto in funzione della fase di progetto. Da ultimo un’analisi di tipo normativo, effettuata considerando i Piani di Governo del Territorio (PGT) dei due comuni nei quali il Villaggio Prealpino ricade: Brescia e Bovezzo. E’ stato realizzata una lettura incrociata dei due PGT ed in particolare delle Norme Tecniche di Attuazione (NTA), al fine di capire quali erano gli interventi consentiti da entrambe (informazioni utili poi in fase di progetto per capire come agire nel costruito).
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1.2 Inquadramento geografico-urbanistico del Villaggio Prealpino
L’area di progetto di questo elaborato di tesi è il Villaggio Prealpino, uno dei quartieri della Circoscrizione Nord di Brescia (il quindicesimo dei trenta presenti sul suolo cittadino). Il villaggio include in realtà anche un’area residenziale (di minori dimensioni) appartenente al Comune di Bovezzo2.
Fig. 1.1: Inquadramento geografico del Villaggio Prealpino nel territorio bresciano 2
Sotto il profilo amministrativo il Villaggio Prealpino ricade per la maggior parte all’interno del Comune di Brescia ma un certo numero, se pur esiguo, di case marcoliniane venne costruita nell’area del Comune di Bovezzo: risulta perciò importante sottolineare questa duplice appartenenza ai fini dell’analisi del PGT, soprattutto per capire le azioni di intervento consentite da entrambi i PGT.
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Fig. 1.2: Inquadramento geografico: divisione del Villaggio Prealpino tra Brescia e Bovezzo
In termini urbanistici, risulta improprio definire quartiere il Villaggio Prealpino, in quanto il numero di abitanti ivi residenti risulta inferiore a 5.000 (4.396 abitanti nella porzione del Comune di Brescia3), ma verrà comunque di seguito utilizzato il termine quartiere poiché così risulta essere indicato dalle fonti contemporanee e storiche. Il villaggio Prealpino dista circa 8 km dal centro città e confina a nord con il comune di Bovezzo ed a nord-ovest con il comune di Concesio. E’ il quartiere più a nord di Brescia, situato a 180 m s.l.m., con coordinate geografiche 45°35ʹ06ʺN 10°14ʹ03ʺE. Dal punto di vista sismico, il Villaggio Prealpino è caratterizzato da pericolosità sismica bassa4, eventualmente soggetto a scuotimenti modesti. Dal punto di vista energetico, l’area di analisi appartiene alla zona climatica E5, contraddistinta da 2.410 gradi-giorno6.
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Statistiche fornite dal sito del Comune di Brescia, aggiornate all’anno 2014. P.C.M. n. 3274 20 marzo 2003, Primi elementi in materia di criteri generali per la classificazione sismica del territorio nazionale e di normative tecniche per le costruzioni in zona sismica 5 DPR 26 agosto 1993, Regolamento recante norme per la progettazione, l’installazione, l’esercizio e la manutenzione degli impianti termici degli edifici ai fini del contenimento dei consumi di energia, in attuazione dell’art. 4, comma 4, della L9 gennaio 1991, n. 10. 6 Art.1 c.z DPR 26 agosto 1993: per «gradi-giorno» di una località, la somma, estesa a tutti i giorni di un periodo annuale convenzionale di riscaldamento, delle sole differenze positive giornaliere tra la temperatura 4
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1.2.1. Servizi e Mobilità Il villaggio si trova in un punto strategico, allo snodo di due importanti arterie che collegano il comune di Brescia con i comuni più nord, ovvero nell’area tra la SS 237 “del Caffaro” e la SS 345 “della Val Trompia”, strade che delimitano di fatto il confine del villaggio. Data l’importanza di queste due vie di comunicazione, viene di seguito proposta la classificazione funzionale delle strade nell’area circostante al villaggio, al fine di poter comprendere la gerarchia stradale e quindi i principali flussi di circolazione nell’area.
Fig. 1.3: Classificazione funzionale delle strade, estratto mappa P.2.8b – S.2b Piano dei Servizi PGT Bovezzo7 ed estratto mappa ALall01b assetto mobilità PGT Brescia8
dell'ambiente, convenzionalmente fissata a 20 °C, e la temperatura media esterna giornaliera; l'unità di misura utilizzata è il grado-giorno (GG). 7 Per quanto riguarda il PGT di Bovezzo si farà sempre riferimento alla versione approvata in via definitiva con deliberazione di Consiglio Comunale n. 44, in data 23 settembre 2011, esecutiva ai sensi di legge, ed entrata in vigore a seguito della pubblicazione sul B.U. Regione Lombardia n. 51 del 21.12.2011. 8 Per quanto riguarda il PGT di Brescia si farà sempre riferimento alla Prima variante, adottata con Delibera n. 63/34868 P.G. del 08/04/2013, approvata con Delibera n. 144/100192 P.G. del 11/10/2013, pubblicata con BURL n.13 del 26/03/2014
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L’area è servita da un servizio di trasporto pubblico efficiente e completo: transitano le linee di autobus 7 (Caino - Roncadelle) e 10 (Bovezzo - Poncarale), e dal 2012 l’area è servita anche dalla metropolitana leggera della quale Prealpino rappresenta il capolinea nord.
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Fig. 1.4: Servizi di mobilità – mappa del trasporto pubblico a servizio del Villaggio Prealpino
E’ evidente quindi che il quartiere risulta ben collegato al centro cittadino e a tutti i servizi di principale interesse, sia grazie al trasporto su gomma, sia grazie alla linea di metropolitana (inaugurata nel marzo 2013). Da sottolineare l’importanza strategica per il quartiere della stazione Prealpino, in quanto costituisce un collegamento veloce, comodo e facilmente usufruibile. E’ stato introdotto un attraversamento pedonale semaforizzato sulla SS345 “della val Trompia” in corrispondenza della stazione, per facilitare e rendere più sicuro il transito dei pedoni e dei ciclisti; la stazione Prealpino è fornita anche di un grande parcheggio gratuito e del servizio di noleggio bici “Bicimia”. Per completare il panorama di inquadramento geografico e urbanistico del villaggio, vengono analizzati anche i servizi a disposizione dell’area, in particolare dividendo la parte di territorio che ricade nel Comune di Brescia da quella sotto il Comune di Bovezzo. Di seguito la localizzazione dei servizi, secondo il piano dei servizi dei due comuni.
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Fig. 1.5: Localizzazione dei servizi del Villaggio Prealpino, estratto mappa S.3°_0, PGT Bovezzo
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Fig. 1.6: Localizzazione dei servizi del Villaggio prealpino, estratto mappa PS01, PGT Brescia 14
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1.2.2. Popolazione La popolazione totale residente nel Villaggio Prealpino (la parte del comune di Brescia) è di 4.396 persone9. Vengono di seguiti proposti dei dati tabulati in relazione all’età, sesso e nazionalità della popolazione residente.
Fig. 1.7: Popolazione residente nel quartiere per classi di età, sesso e cittadinanza
Il villaggio Prealpino presenta oggi una composizione demografica varia per quanto riguarda le nazionalità (alto è il numero di stranieri che qui risiedono), meno varia dal punto di vista dell’età: infatti rispetto alla distribuzione di classi di età del Comune di Brescia (che presenta un picco nelle fasce tra i 35 e 55 anni), il Villaggio presenta in media una distribuzione più lineare, e piuttosto alta risulta la percentuale di popolazione anziana, come si evince dai due grafici seguenti.
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Dati provenienti dal portale web del Comune di Brescia, sezione quartieri
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Fig. 1.8: Piramide delle età per sesso e classi quinquennali del quartiere _ valori assoluti
Fig. 1.9: Piramide delle età per sesso e classi quinquennali del Comune di Brescia _ valori assoluti Questi dati, se analizzati in chiave demografica - urbanistica, incrociati con le informazioni relative al periodo di costruzione e sviluppo del villaggio, permettono di effettuare un’analisi a più livelli e forniscono informazioni importanti sui possibili sviluppi futuri, legati anche al tipo di servizi e mobilità utilizzati e da prevedere per il futuro. Infatti l’elevato numero di persone anziane è dovuto al fatto che le famiglie che vennero ad abitare in queste case negli anni di costruzione, sono oggi le stesse, ma le persone invecchiate, quindi basso è il numero di bambini e persone di media età: sta cominciando poco a poco da qualche anno un cambio generazionale che porterà nei prossimi anni all’aumento di persone giovani e quindi bambini, e alla diminuzione di persone anziane. Pertanto sarà importante prevedere nuove strutture e servizi adeguate a tale cambio 16
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demografico e prevedere strategie di ristrutturazione delle case volte a favorire le nuove classi di etĂ e la cambiata struttura familiare, o comunque sviluppare tipologie edilizie versatili.
Fig. 1.10: Giovani, adulti e anziani nel quartiere
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1.3 Inquadramento storico- urbanistico del Villaggio Prealpino
Il Villaggio Prealpino costituisce uno dei quattro principali interventi edilizi realizzati a Brescia dalla carismatica figura di Padre Marcolini (Villaggio Violino-Bresciana, Villaggio Badia, Villaggio Prealpino, Villaggio Sereno). Viene di seguito brevemente riassunta la storia di questo personaggio, il suo approccio al problema dell’abitazione nel dopoguerra e la filosofia portata avanti per dare una casa dignitosa ai lavoratori, in quanto tale nozioni risultano fondamentali per poter comprendere a fondo l’impianto dei villaggi marcoliniani, le loro caratteristiche e i tipi edilizi sviluppati in essi. 1.3.1. Ottorino Marcolini: cenni biografici Padre Ottorino Marcolini nacque il 9 marzo 1897 a Brescia in una famiglia dai forti principi cattolici. Da sempre dimostrò un’acuta intelligenza e una buona predisposizione allo studio. Dopo aver completato il periodo di formazione presso l'Istituto Tecnico Tartaglia, iniziò quindi gli studi presso la facoltà d’ingegneria al Politecnico di Milano ma, nel 1916, fu chiamato al servizio militare e l'anno successivo partì per la guerra. Si laureò nel 1920 al Politecnico. Il 15 giugno 1921 il comune di Brescia prese in gestione diretta l’officina del gas e Padre Marcolini fu scelto per dirigerla. Contemporaneamente ebbe l’opportunità di proseguire gli studi di matematica all'Università di Padova dove si laureò nel 1924. Maturò nel frattempo la decisione di diventare sacerdote, soprattutto grazie all’incontro con don Giovanni Battista Montini, e nel 1924, dopo la morte del fratello, confermò la sua decisione diventando sacerdote. Grazie all’esperienza di vita a stretto contatto con famiglie povere e disagiate, maturò l'idea dei cosiddetti “villaggi”. Durante la Seconda Guerra Mondiale fu deportato dai tedeschi in un lager, lo stalag 1b di Hohenstein, dove incontrò e condivise questa dolorosa esperienza con Mario Rigoni Stern. Liberato e terminato il conflitto mondiale, Padre Marcolini si fece carico dei due più gravi problemi del dopoguerra: il lavoro e la casa. Riteneva, infatti, che la gente dovesse avere diritto ad un lavoro, una casa e una famiglia che fossero il più dignitose possibile. Favorì il movimento cooperativo, fondando un’associazione di giovani muratori. Fu promotore dell'Unione Cristiana Imprenditori Dirigenti (UCID), fondò le B.I.M. (Brigate Irregolari Marcoliniane) e ricoprì un ruolo fondamentale all’interno dell’azienda bresciana OM. 1.3.2. La realizzazione dei Villaggi Marcolini Il sito: scelta e caratteristiche Uno dei primi problemi da affrontare nella realizzazione dei villaggi era la scelta del sito: il parametro principale da tenere in considerazione era quello economico con l’obiettivo di acquistare aree a prezzi bassi (al fine di minimizzare i costi delle abitazioni). La strategia adottata per raggiungere tale obiettivo può essere sintetizzata in alcuni punti fondamentali: 18
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- ricercare aree a bassa “attesa “insediativa, in quanto l’arma dell’esproprio delle aree per edilizia popolare non era ancora stata prevista negli anni Sessanta; - individuare aree omogenee per realizzare infrastrutture organiche e con dimensioni adeguate al fine di realizzare lotti e case secondo le tipologie edilizie progettate, contenendo le spese grazie alle economie di scala; - localizzare gli insediamenti non troppo lontano dal centro urbano, ma in zone prossime a stabilimenti industriali in modo da permettere agli abitanti di raggiungere facilmente i posti di lavoro. Il risultato è evidente: le aree individuate sono localizzate lungo le principali direttrici di espansione della città (l’unica che non ne risulta coinvolta è la direttrice est), in zone che ai tempi risultavano agricole e che grazie alla successiva trasformazione in aree edificabili acquisirono valore di mercato. Nonostante la vicinanza al tessuto urbano, i villaggi si configurano come quartieri caratterizzati da un proprio centro di vita e con un certo livello di autonomia, aspirando a un modello di “comunità autosufficiente”. Il modello operativo delle cooperative “La famiglia” Per favorire i rapporti con gli enti locali e l’amministrazione comunale, Padre Marcolini svolse il ruolo di promotore e mediatore nella gestione dei progetti, fondò la società cooperativa “La Famiglia” e costituì il “Centro Studi e Coordinamento Iniziative La Famiglia”, al fine di gestire l’organizzazione delle varie cooperative che intervenivano nella costruzione dei villaggi: le cooperative erano indipendenti dal punto di vista amministrativo, ma non lo erano per la progettazione e la fornitura dei materiali, gestita dal Centro Studi il quale curava e seguiva tutte le fasi del processo organizzativo e costruttivo. Venne elaborato un modello operativo che rimase inalterato nel tempo grazie all’utilizzo di tipi edilizi consolidati e un processo produttivo efficace; il modello operativo era diviso in due fasi: - fase promozionale e preparatoria all’iniziativa; - fase di realizzazione delle abitazioni.
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Fig. 1.11: Fase preparatoria; schema generale operativo delle cooperative “La Famiglia�.
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Fig. 1.12: Fase di realizzazione; schema generale operativo delle cooperative “La Famiglia”. Aspetti economico-finanziari La realizzazione dei villaggi costituì per Padre Marcolini una duplice sfida: una di carattere tecnicoprogettuale, in quanto gli alloggi dovevano soddisfare determinati requisiti edilizi, l’altra di carattere economico-finanziario poiché l’obiettivo era costruire abitazioni dignitose per i ceti meno abbienti ad un costo tale da poter permettere alle famiglie di pagare l’alloggio 21
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gradualmente e senza problemi ricorrendo solo al loro reddito; impresa da realizzarsi senza l’intervento di aiuti statali, pertanto la sfida consisteva anche nel trovare banche disposte a fornire finanziamenti “a rischio” poiché senza garanzie (soprattutto per la realizzazione dei primi villaggi). Il Padre ovviò brillantemente al problema economico, ottenendo per il primo villaggio (Villaggio Violino) un finanziamento dalla banca San Paolo di Brescia, e per i villaggi successivi ricorrendo anche all’intervento della Pia Opera Congrega di Carità Apostolica di Brescia. Nella fase di costruzione intervenivano le cooperative spesso fondate dallo stesso Padre (la prima denominata “La Famiglia”) e gli assegnatari degli alloggi erano spesso membri iscritti alla cooperativa stessa (operai, impiegati, artigiani ecc.): il pagamento dell’alloggio avveniva ratealmente per un terzo della spesa, un altro terzo poteva essere anticipato dal datore di lavoro e il rimanente pagato con mutuo ventennale versato alla Cassa di Risparmio delle Province Lombarde, poi Cariplo (presso cui il Padre aveva buone amicizie): nonostante i tassi agevolati, i mutui furono comunque remunerativi per le banche. I rapporti tra il socio e la cooperativa terminavano quando l’abitazione era conclusa e pagata (anche con mutuo intestato al socio). Padre Marcolini riuscì anche a contenere i costi di costruzione acquistando di persona il materiale al miglior prezzo, affidando i lavori a piccole imprese di muratori al fine di evitare speculazioni. Inoltre la realizzazione di case “in serie”, tutte uguali o comunque variegate all’interno però di un preciso abaco di tipi edilizi, permise un notevole risparmio sui costi di materiali e mano d’opera. Il guadagno che la cooperativa ricavava dall’utile sui prezzi di costruzione e dalla vendita dei negozi veniva reinvestito per la realizzazione degli edifici e degli spazi a carattere sociale e spirituale, aspetto fondamentale della vita nel villaggio, con particolare attenzione anche alle strutture sportive. Le opere di urbanizzazione primaria, ovvero fognature, condutture stradali per l’acqua potabile, impianto di illuminazione e strade, erano realizzate a carico del comune. Conclusa la realizzazione del villaggio, ciascun proprietario doveva personalmente provvedere alla manutenzione della propria casa e del relativo terreno, ma Padre Marcolini non rinunciava a visitare periodicamente i villaggi per verificarne l’effettivo buon funzionamento e la qualità degli alloggi, sempre nell’ottica di apportare miglioramenti nei villaggi successivi. La buona riuscita del primo villaggio e il successo dell’impresa finanziari agevolarono le iniziative successive del Padre. Prima dell’inizio dei lavori del primo villaggio si vollero si sperimentare 2 tipi edilizi (“A” e “B”) al fine di accertare i costi di costruzione e l’effettiva efficienza degli alloggi, al fine di apportare eventuali correzioni. Filosofia costruttiva La filosofia progettuale e costruttiva degli alloggi, che caratterizza tutti i tipi edilizi, è fortemente influenzata dall’educazione spirituale del Padre che consiste nella concezione della famiglia come caposaldo e base fondante della società; famiglia come unità minima del villaggio e della società, pertanto la “dimensione familiare” è una delle peculiarità delle abitazioni marcoliniane, sempre caratterizzate dalla presenza di un pezzetto di terra adibito ad orto o giardino, verde privato, 22
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ingressi indipendenti e adeguata distanza tra le varie abitazioni, spazi che soddisfano esigenze funzionali e permettono di godersi il tempo libero. Questa filosofia si traduce nella costruzione di case prevalentemente singole abbinate, a schiera, rifiutando l’idea di palazzoni ed edifici alveolari, privilegiando quindi un’edilizia di carattere estensivo, ispirata agli ideali della città giardino e riprendendo per alcuni aspetti l’edilizia americana del tempo. I pochi condomini realizzati (massimo 4 piani fuori terra) risolvono il problema economico di costi troppo elevati per determinate aree: normalmente presentano il piano terra adibito ad uso commerciale per soddisfare esigenze di prima necessità all’interno del villaggio (negozi, piccole botteghe ecc.). Procedure di realizzazione dei quattro principali villaggi marcoliniani e soggetti coinvolti
Villaggio Violino - Bresciana Nome villaggio Inizio lavori Situazione urbanistica precedente Strumenti urbanistici utilizzati Modalità di finanziamento Realizzazione delle infrastrutture
Violino - Bresciana 1953 Terreno agricolo (il Piano regolatore del 1941 non fu mai approvato) Concessione straordinaria per edificare La Banca San Paolo di Brescia anticipa la somma per l’acquisto dell’area Comune, A.S.M. e Curia (per la realizzazione della chiesa)
Il Villaggio Violino-Bresciana, il più piccolo per estensione e numero di alloggi, copre una superficie di 22,7 ettari con una rete stradale di circa 7,5 km di lunghezza e superficie di circa 4,8 ettari (ovvero pari al 21,3 % dell’area interessata dall’insediamento).
Fig. 1.13: Villaggio Violino-Bresciana; rielaborazione grafica della foto aerea
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Villaggio Badia Nome villaggio Inizio lavori Situazione urbanistica precedente Strumenti urbanistici utilizzati
Modalità di finanziamento Realizzazione delle infrastrutture
Badia 1955 Terreno agricolo (il Piano regolatore del 1941 non fu mai approvato) Concessione straordinaria per edificare. Nel 1954 il Comune aveva adottato un nuovo piano e aveva classificato l’area come residenziale La Banca San Paolo di Brescia anticipa la somma per l’acquisto dell’area Comune, A.S.M. e Curia (per la realizzazione della chiesa)
Il Villaggio badia ha un’estensione di 27,5 ettari con una rete stradale di 9,5 km di lunghezza e superficie di circa 5,1 ettari (pari al 18,7 % della superficie complessiva).
Fig. 1.14: Villaggio Badia; rielaborazione grafica della foto aerea
Villaggio Prealpino Nome villaggio Inizio lavori Situazione urbanistica precedente Strumenti urbanistici utilizzati
Modalità di finanziamento Realizzazione delle infrastrutture
Prealpino 1958 Terreno agricolo (il Piano regolatore del 1941 non fu mai approvato) Concessione straordinaria per edificare. Nel 1954 il Comune aveva adottato un nuovo piano e aveva classificato l’area come residenziale La Banca San Paolo di Brescia anticipa la somma per l’acquisto dell’area Comune, A.S.M. e Curia (per la realizzazione della chiesa) 24
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Il Villaggio Prealpino-Belvedere, di 44,4 ettari di superficie, ha una rete stradale di 11 km di lunghezza e superficie di circa 8,6 ettari (pari al 19,5 % della superficie complessiva).
Fig. 1.15: Villaggio Prealpino; rielaborazione grafica della foto aerea
Villaggio Sereno Nome villaggio Inizio lavori Situazione urbanistica precedente Strumenti urbanistici utilizzati
Modalità di finanziamento Realizzazione delle infrastrutture
Sereno 1960 Terreno agricolo (il Piano regolatore del 1941 non fu mai approvato) Concessione straordinaria per edificare. Due anni dopo l’inizio dei lavori entra in vigore il Piano regolatore Morini La Banca San Paolo di Brescia anticipa la somma per l’acquisto dell’area Comune, A.S.M. e Curia (per la realizzazione della chiesa)
Il Villaggio Sereno ha un’estensione di 87,6 ettari, una rete stradale di 16,5 km di lunghezza e superficie di circa 15,6 ettari (pari al 17,8 % della superficie complessiva).
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Fig. 1.16: Villaggio Sereno; rielaborazione grafica della foto aerea
Viene di seguito riportato un grafico riassuntivo relativo all’uso del suolo nei quattro principali villaggi (uso abitativo, uso pubblico escluse strade, uso stradale, uso produttivo-artigianale).
1.3.3. Strade, parcheggi e spazi pubblici nei villaggi marcoliniani
Il modello di ispirazione di Padre Marcolini per la realizzazione dei suoi villaggi fu il sistema di insediamenti americani suburbani “company towns”, che fu preso come riferimento non solo per i tipi edilizi, bensì anche per gli aspetti di pianificazione urbanistica, ricorrendo al procedimento di accostamento di analoghi moduli urbanistici (l’isolato): Padre Marcolini semplifica ulteriormente questo procedimento utilizzando una maglia stradale povera ed indifferenziata, al fine di limitare i costi di superficie e di infrastrutturazione e di ritagliare più spazio possibile ai giardini privati. Si 26
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tratta di una precisa filosofia, volta a privilegiare aspetti cari a Padre Marcolini, come la funzione socio-educativa del verde privato ed il valore della famiglia (frutto della sua formazione cattolica): questa scelta porta però a sacrificare e sottovalutare aspetti urbanistici importanti quali il ruolo di strade e piazze come zone di socializzazione (ruolo che egli affida all’ambiente della chiesa e dell’oratorio). La tipologia “casa + giardino” adottata da Padre Marcolini si è rivelata ottimale e lungimirante così come il rapporto tra spazi privati e pubblici: il rapporto tra strada e giardino privato, l’importanza del verde lungo le strade, le sezioni stradali ridotte, il numero limitato di accesso al villaggio, le dimensioni ridotte delle intersezioni stradali. Per quanto riguarda le caratteristiche tecniche della rete stradale, il modello viario più diffuso nei villaggi risulta essere un sistema regolare ortogonale costituito da poche vie di penetrazione ed un sottosistema di strade a sezione più ridotta, che delimitano gli isolati formati in genere da gruppi di 8-20 edifici abitativi. Generalmente le strade lungo l’asse est-ovest sono denominate “vie” mentre quelle lungo l’asse nord-sud sono denominate “traverse”. Il Villaggio Prealpino presenta eccezioni a causa delle preesistenza di alcune strade (Via Giuseppe Tovini e Via del Brolo), pertanto esso venne impostato su due assi convergenti verso ovest, con maglie di ampiezza molto ridotta. Risulta invece invariato il principio dei piccoli lotti ortogonali con doppia schiera di abitazioni dotate di una fitta rete stradale. A causa della presenza di una linea ad alta tensione in direzione diagonale al villaggio, il tracciato stradale del primo nucleo delimita un’area di forma triangolare. Nel 1971 la Cooperativa “Belvedere” realizzò un’estensione del Villaggio Prealpino in direzione sud, modificando il sistema stradale usato per tutti i precedenti villaggi: la nuova parte di quartiere è accessibile da un’unica strada ed è caratterizzata da un unico percorso stradale che collega tutte le abitazioni, collegato al resto del villaggio con percorsi pedonali. Criteri di progettazione stradale e riferimenti normativi Per quanto riguarda la progettazione stradale ed i riferimenti normativi, le leggi urbanistiche mutarono nei 25 anni che separano la costruzione del Villaggio Violino (1953) da quella del Villaggio Sereno (1978). Dal 1938 era in vigore a livello nazionale un testo unico di legge sulle disposizioni relative all’edilizia popolare ed economica, che obbligava il comune (art. 44) a provvedere alla realizzazione delle opere infrastrutturali di urbanizzazione primaria (strade, acquedotto, illuminazione, fognature) contemporaneamente alla costruzione degli edifici. Tale obbligo venne ribadito nella legge 167/1962, e nella successiva “Legge Ponte” del 1967 venne inoltre stabilita una dotazione minima di spazio pubblico per abitante di 18 mq/ab (art.3), estesa in Lombardia a 26,5 mq/ab con la legge 51/1975 (dei quali obbligatoriamente 3 mq/ab da destinarsi a parcheggio). Precedentemente al 1 luglio 1959, le norme che regolavano la tutela delle strade e la circolazione erano quelle indicate nel Regio Decreto 8/12/1933, n. 1740 e dalle leggi in materia successivamente emanate. Con l’entrata in vigore del Codice della strada nel 1959 la situazione 27
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cambia: la circolazione stradale è appunto regolata dal nuovo codice mentre per la tutela delle strade continua ad essere in vigore il Regio Decreto. Nel dicembre 1963 vengono pubblicate anche le norme CNR-UNI n. 10004 dal titolo “Costruzione e manutenzione delle strade-Progettazione delle strade urbane”, ritirate e poi sostituite dalle “Norme tecniche sulle caratteristiche geometriche e di traffico delle strade urbane”, Bollettino CNR 26/4/1978, n. 60, e dalle modificazioni ed integrazioni ad esso apportate con il Bollettino CNR del 15/12/1992, n.150, “Norme sull’arredo funzionale delle strade urbane”. Caratteristiche geometriche delle sezioni tipo stradali Le strade dei villaggi Marcolini presentano caratteristiche geometriche che ben rispondono alle funzioni previste, ovvero la circolazione, la sicurezza stradale e la sosta veicolare. Evidente risulta il carattere residenziale di queste strade, soprattutto grazie al facile e comodo accesso alle abitazioni e alla predilezione del movimento pedonale e ciclistico; gli spazi a lato della strada sono ampi e permettono spesso la sosta veicolare (nonostante le abitazioni Marcolini fossero comunque di norma dotate di garage). Nonostante l’essenzialità dell’arredo stradale e la povertà degli elementi utilizzati (sempre uguali in quasi tutti i villaggi), l’attenzione al dettaglio costruttivo e alle relative componenti infrastrutturali era molto elevata. A differenza degli altri villaggi (nei quali le strade principali hanno sezioni abbastanza ampie, da 12,50 m a 20,00 m), nel Villaggio Prealpino la rete di strade principali presenta larghezza non di molto superiore a quella delle strade trasversali, con una sezione complessiva di 10,00 m, comprendente due corsie di marcia da 3,50 m ciascuna e due marciapiedi laterali di 1,50 m. La rete di strade locali è caratterizzata da sezioni stradali ridotte, con dimensioni che variano però da villaggio a villaggio e anche all’interno dello stesso villaggio, dipendendo dalla fase di realizzazione. Grazie alle dimensioni contenute, le velocità massime raggiunte dai conducenti sono relativamente basse, costituendo un aspetto positivo dal punto di vista della sicurezza stradale, ulteriormente migliorata da eventuali veicoli in sosta che causano restringimenti locali determinando il cosiddetto “effetto chicane”. Anche il verde delle siepi e dei giardini circostanti ha lo scopo di restringere il campo visivo per invogliare a mantenere velocità di scorrimento ridotte. Le scelte progettuali originarie non avevano questo scopo ma in ogni caso hanno avuto effetti positivi sulla sicurezza stradale. Oggi purtroppo, a causa di automobili di maggior dimensioni, al continuo aumento di numero di veicoli per famiglia e al passaggio di mezzi pubblici nelle vie dei villaggi, tale scorrimento risulta difficoltoso e talvolta impossibile, pertanto spesso è necessario la modifica delle sezioni stradali.10 Vengono di seguito riportate alcune sezioni tipo stradali ricorrenti all’interno del Villaggio Prealpino (si è scelto di non riportare quelle degli altri villaggi in quanto non rappresentano l’oggetto principale di analisi di questo elaborato di tesi). 10
Questo tema verrà meglio trattato in fase di progetto, nel capitolo 3.
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Fig. 1.17: Sezioni stradali tipo del Villaggio Prealpino 29
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1.3.4. Il villaggio Prealpino-Belvedere: le tre fasi di realizzazione Il villaggio Prealpino-Belvedere venne realizzato dal 1958 al 1972 in tre fasi successive, ognuna caratterizzata dall’opera di una diversa cooperativa. Il villaggio si sviluppò lungo la direttrice Nord in direzione di Gardone Val Trompia, nell’area compresa tra la SS 237 “del Caffaro” e la SS 345 “della Val Trompia”. I tipi edilizi presenti nel villaggio sono vari e numerosi: le abitazioni di prima costruzione ricalcano i tipi già utilizzati nei villaggi precedenti, mentre nelle fasi successive si assiste alla sperimentazione di nuovi tipi, soprattutto per far fronte a una diversa domanda abitativa ed economica. Anche l’impianto urbanistico del villaggio riprende il modello già utilizzato nei precedenti, soprattutto nella prima fase di realizzazione.
Fig. 1.18: Villaggio Prealpino-Belvedere; fasi di realizzazione
Le diverse fasi di realizzazione non rappresentano solo diverse tappe temporali in cui operano le varie Cooperative, bensì sono caratterizzate da differenti filosofie di occupazione del territorio e da esigenze in trasformazione, che vanno evolvendosi analogamente al cambio di domanda del mercato edilizio: con il passare degli anni aumenta lo sfruttamento in verticale del lotto attraverso il ricorso a case a schiera a più piani e a diversi condomini.
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Questo cambiamento si deve principalmente all’aumento dei costi delle aree, che a causa dell’intensa opera di edificazione, non si configurano più come aree di campagna, bensì come aree urbane. Nonostante ciò, l’edilizia del villaggio continua ad avere nel tempo una connotazione prevalentemente estensiva, con la ricerca e la sperimentazione di nuovi tipi al fine di raggiungere una maggiore qualità degli ambienti interni ed esterni. I^ FASE: Cooperativa Prealpina, 1958-1965 La prima fase (1958-1965) è caratterizzata dalla realizzazione di numerose abitazioni grazie all’opera della Cooperativa Prealpina; in questo periodo è stata edificata gran parte dell’area del villaggio. I tipi edilizi realizzati sono: “A”, “B”, “Art”, “Campagnola”, “F”, “M”, “P”, “Q”, “R”, “U”, “S”, “TS”, “a”, “b”, “g”, “3”, alcuni già sperimentati, altri di nuova concezione (“Art”, “F”, “S”, “TS”, a”, “b”, “g”, “3”). L’impianto urbanistico che caratterizza questa fase segue il modello già sperimentato nei villaggi di precedente realizzazione, ma risulta meno regolare in quanto il tracciamento dei lotti è stato influenzato dalla presenza di una linea elettrica ad alta tensione che attraversa l’area in diagonale.
Fig. 1.19: Villaggio Prealpino-Belvedere; I fase realizzativa 31
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II^ FASE: Cooperativa Prealpina 2^, 1965-1970 La seconda fase (1965-1970) è caratterizzata dall’espansione del nucleo originario in direzione est e sud-est, soprattutto con la costruzione di case bifamiliari, a schiera ed alcuni condomini, realizzati dalla Cooperativa Prealpina 2^. Vengono riproposti tipi edilizi già sperimentati a fianco di un nuovo tipo di casa a schiera (tipo “H”) a tre piani.
Fig. 1.20: Villaggio Prealpino-Belvedere; II fase realizzativa III^ FASE: Cooperativa Belvedere, 1970-1973 La terza fase (1970-1973) ha come protagonista la Cooperativa Belvedere che intervenne a sud dell’area già edificata, con la costruzione di casa a schiera tipo “H” già sperimentate e con la realizzazione di un condominio e di nuovi tipi edilizi ( “N”, “P”, “D”, “e”).
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Fig. 1.21: Villaggio Prealpino-Belvedere; III fase realizzativa Vengono di seguito riportati i principali parametri urbanistici del villaggio: Cooperativa Prealpina Cooperativa Prealpina 2^ Cooperativa Belvedere
rf
mf
rt
mt
0,2 0,3 0,2
1,3 1,9 1,8
0,14 0,15 0,14
0,9 1,4 1,3
- rf = superficie coperta / area fondiaria (mq/mq) - rt = superficie coperta / area urbanizzata (mq/mq) - mf = indice di fabbricazione fondiario = volume totale / area fondiaria (m3/mq) - mt = indice di fabbricazione territoriale = volume totale / area urbanizzata (m3/mq) 33
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1.4. Analisi dei tipi edilizi presenti nel Villaggio Prealpino
Risulta evidente, anche ad un primo sguardo, una certa ripetitività voluta e non casuale delle tipologie edilizie proposte all’interno del Villaggio Prealpino, ed una forte analogia tra queste e le case costruite negli altri villaggi marcoliniani. Padre Marcolini aveva infatti intuito che il mezzo migliore per minimizzare i costi di progettazione e costruzione e velocizzare la realizzazione delle abitazioni era appunto quello di studiare e testare dei tipi edilizi funzionali e funzionanti da riproporre sempre uguali nei villaggi. Pertanto Padre Marcolini nel 1953 (ovvero per la realizzazione del primo insediamento, Villaggio Violino) si ispirò agli insediamenti americani “company towns”, basati su un’attenta differenziazione tra le reti stradali e gli spazi verdi e caratterizzati da una grande rapidità di realizzazione: in un’ intervista rilasciata alla rivista “La voce democratica della OM”, egli confermò di aver avuto l’idea dei suoi villaggi dalla visione di alcuni documentari americani riguardanti la costruzione di nuove villette. L’obiettivo consisteva quindi nell’offrire una dignitosa abitazione in proprietà al maggior numero di famiglie possibile ad un prezzo accessibile, preferendo alloggi autonomi e indipendenti (prevalentemente case mono e bifamiliari). La rete viaria veniva ridotta al minimo in modo da destinare più spazio alle abitazioni e al giardino. Requisito fondamentale di tutte gli alloggi era un alto comfort abitativo e accessi privati. Laddove per vari motivi si rendeva necessaria la costruzione di condomini, si destinava il piano terra alla funzione di negozi di prima necessità, in modo da fornire al villaggio i servizi di quotidiana frequenza. Padre Marcolini elaborò i primi tipi edilizi per il Villaggio Violino, tipi che poi ripropose negli altri villaggi con eventuali cambiamenti e migliorie. Nel tempo aggiunse ovviamente nuovi tipi per far fronte alle mutate necessità e richieste, fino ad ottenere 42 tipi edilizi differenti: alcuni completamente diversi l’uno dall’altro, altri simili, altri identici ma semplicemente aumentati in dimensioni. All’interno del Villaggio Prealpino risultano essere presenti quasi tutti (è il villaggio con la più alta incidenza di tipi edilizi) anche se i più ricorrenti sono pochi e verranno successivamente approfonditi. Per avere un’idea della varietà tipologica raggiunta, pur mantenendo contenuti i costi, di seguito viene proposto un collage delle planimetrie di tutti i tipi edilizi marcoliniani elaborati negli anni.
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Fig. 1.22: Abaco dei tipi edilizi marcoliniani sviluppati nel tempo 35
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Il Villaggio Prelapino presenta un’ampia varietà di tipi edilizi, soprattutto dovuta all’azione di varie cooperative in tre diverse fasi: nella seguente mappa viene proposta una distinzione cromatica delle varie tipologie di case che è possibile riscontrare.
Fig. 1.23: Localizzazione dei vari tipi edilizi nel Villaggio Prealpino 36
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Nonostante la grande varietà di tipologie abitative riscontrate, è possibile individuare quattro macrogruppi principali ai quali appartengono i vari tipi edilizi; ogni macrogruppo presenta determinate caratteristiche che ricorrono anche nei sottotipi edilizi di appartenenza. I quattro gruppi principali sono: - case monofamiliari - case bifamiliari - case a schiera - edifici multipiano (condomini)
Fig. 1.24: Legenda dei quattro macrogruppi principali 37
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Vengono di seguito analizzati i tipi edilizi piÚ ricorrenti nel Villaggio Prealpino: nella tabella sottostante sono riportate le caratteristiche principali di ogni tipo, con l’indicazione della fase e periodo di realizzazione, con il macrogruppo di appartenenza, il numero di piani, di alloggi, la superficie pavimentata e di giardino di ogni abitazione.
A seguire le schede di analisi dei tipi edilizi piĂš ricorrenti nel Villaggio Prealpino.
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Fig. 1.25: Tipo “A semplificato� 39
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Fig. 1.26: Tipo “A composto� 40
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Fig. 1.27: Tipo “Campagnola� 41
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Fig. 1.28: Tipo “M1� 42
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Fig. 1.29: Tipo “B� 43
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Fig. 1.30: Tipo “B� 44
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Fig. 1.31: Tipo “U� 45
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Fig. 1.32: Tipo “U�
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Fig. 1.33: Tipo “P� 47
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Fig. 1.34: Tipo “P� 48
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Fig. 1.35: Tipo “R� 49
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Fig. 1.36: Tipo “R� 50
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Fig. 1.37: Tipo “Q� 51
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Fig. 1.38: Tipo “a” o “alfa” 52
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Fig. 1.39: Tipo “a” o “alfa” 53
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Fig. 1.40: Tipo “H� 54
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Fig. 1.41: Tipo “H� 55
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1.5. Analisi degli strumenti urbanistici di riferimento per il Villaggio Prealpino Per quanto riguarda la normativa urbanistica italiana in tema di edilizia economico-popolare si rimanda alla lettura del capitolo 1 del testo: Padre Marcolini, dalla casa per la famiglia alla costruzione della città, a cura di Roberto Busi; per l’analisi critica di alcuni strumenti urbanistici comunali generali vigenti in Brescia al tempo dell’opera di Padre Marcolini si rimanda al capitolo 2 dello medesimo testo.11 Nel presente paragrafo verranno invece analizzati gli attuali strumenti urbanistici vigenti in Brescia e in Bovezzo: infatti come già evidenziato precedentemente, il territorio del Villaggio Prealpino presenta la singolarità di ricadere in due differenti comuni, Brescia e Bovezzo appunto. Lo scopo di questa analisi è quello di capire gli interventi che è possibile concretamente realizzare oggi nel villaggio, sia a scala urbanistica che a scala di edificio; infatti la normativa è cambiata rispetto al periodo di costruzione del villaggio e pertanto questa analisi si rende necessaria al fine di guidare e indirizzare le scelte progettuali per l’intervento di rigenerazione integrata. L’analisi è stata condotta tramite l’attento studio dei PGT di Brescia e Bovezzo, con particolare attenzione a alla sezione delle Norme Tecniche di Attuazione (NTA), ovvero la parte specifica relativa alla regolamentazione degli interventi sul territorio comunale. Sono stati principalmente considerati quegli aspetti che saranno soggetti a modifiche in fase di progetto (superfici, volumetria, distanza dai confini, altezze massime ecc.): dal confronto critico tra i due PGT emergeranno quindi gli standard ed i valori urbanistici da utilizzare in progetto compatibili ai due PGT, in modo da poter creare un unico abaco di interventi che soddisfi tutte le regole imposte da entrambe i PGT. La zona del Villaggio Prealpino appartenente al comune di Brescia viene classificata come tessuto a prevalente destinazione residenziale (NTA Art. 62-a), mentre la parte appartenente al comune di Bovezzo viene classificata come ambito residenziale di impianto unitario di classe 1.
11
Si ritengono utili tali rimandi in quanto fondamentali per capire il background normativo ed il contesto di realizzazione dei villaggi
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VILLAGGIO PREALPINO _ PGT BRESCIA
Fig. 1.42: Estratto tavola PR01-2, Piano delle Regole, PGT BRESCIA 57
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VILLAGGIO PREALPINO _ PGT BOVEZZO
= Ambiti residenziali di impianto unitario _ classe 1 Fig. 1.43: Estratto tavola 1.2, Piano delle Regole, PGT BOVEZZO Di seguito viene proposta la tabella di confronto relativa ai principali articoli di interesse in riferimento agli elementi e standard urbanistici da prendere in considerazione in fase progettuale. Sono stati divisi per temi gli aspetti studiati in modo da rendere semplice ed immediato il confronto tra i due PGT. Oltre alla tabella riassuntiva, vengono allegati per intero a fine capitolo gli articoli di riferimento per l’analisi condotta. 58
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Villaggio Prealpino
Brescia
Bovezzo
Classificazione ambito
Ambito della città di più recente formazione. La città di recente formazione: la ricostruzione, gli anni del boom economico e la città consolidata. È la città sviluppatasi a partire dal secondo dopoguerra fino alla fine del XX secolo, dove a Brescia - come in tutt'Italia - ha luogo la fase più intensa di trasformazione. Il paese tradizionalmente agricolo diviene uno dei maggiori paesi industrializzati al mondo e i cambiamenti conseguenti si evidenziano maggiormente negli agglomerati urbani (Art. 59, NTA). Nell’ambito della città di più recente formazione sono ammessi interventi di manutenzione ordinaria, straordinaria, ristrutturazione edilizia; sono altresì ammessi interventi di demolizione/ricostruzione oppure nuova costruzione, ampliamento, nel rispetto dei parametri previsti per l’ambito. Negli edifici di valore storicoarchitettonico e paesaggistico esistenti nell’ ambito e individuati nella tav. PR01, sono consentiti solamente gli interventi previsti all’art. 60 e, per quanto riguarda le modalità di intervento sugli edifici e sugli spazi aperti e le modalità di presentazione dei progetti, si applicano le norme di cui agli art. 60 e 61. Per tali edifici sono ammessi interventi in applicazione delle disposizioni inerenti il recupero abitativo dei sottotetti esistenti, ai sensi della L.R. N.12/2005 e s.m.i., solo nel caso non comportino alterazioni delle altezze di colmo e gronda esistenti nei diversi punti dell’edificio (Art. 62, NTA).
Ambito residenziale di impianto unitario di classe 1. Comprendono gli ambiti urbani, realizzati secondo il modello del quartiere operaio degli anni ’50, con tipi edilizi a schiera o bifamiliari con giardino (villaggio Padre Marcolini). 2. Norme edilizie e parametri urbanistici: - Uf = pari all’esistente; - Hmax = pari all’esistente; - Vp = come definito da art. 1.12. Modalità d’intervento: manutenzione ordinaria, manutenzione straordinaria, risanamento conservativo, ristrutturazione edilizia, demolizione e fedele ricostruzione. Gli interventi edilizi che riguardino le facciate esterne nonché le coperture degli edifici dovranno essere omogenei per ciascun fabbricato costituente corpo unico, indipendentemente dal frazionamento delle proprietà. E’ demandata al parere della commissione per il paesaggio la valutazione della compatibilità alla norma di tali interventi nonché l’indicazione dei materiali di finitura delle facciate. All’interno degli ambiti residenziali di impianto unitario – classe 1, è consentita la realizzazione di un fabbricato di servizio ad uso autorimessadeposito, secondo gli schemi e le modalità di cui all’allegato 1 alle presenti norme, anche in deroga alla percentuale minima di Vp prescritto per le zone residenziali ma comunque sempre nel rispetto delle prescrizioni del D.I. 1444/1968. E’ ammesso il recupero a scopo abitativo dei sottotetti esistenti, secondo quanto previsto dalla L.R. 12/2005 (Titolo IV, capo I) e s. m. e i., nel rispetto assoluto delle altezze di gronda e di colmo esistenti. In tale
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caso non si applica quanto prescritto dal comma 1 dell’articolo 1.15 delle presenti norme (Art. 4.10, NTA). Incentivi volti al risparmio energetico
Per le nuove costruzioni o ampliamenti devono essere garantiti i seguenti parametri: - Distanza confine non inferiore a mt. 5. - Distacco dagli edifici non inferiore a mt.10. Salvo diversi arretramenti o allineamenti indicati dalle tavole di Piano, può essere consentito il mantenimento di allineamenti preesistenti. Il Regolamento Edilizio potrà aumentare tali distacchi in funzione di obiettivi prestazionali in materia di efficienza energetica (con particolare riferimento a parametri di soleggiamento/ombreggiamento delle facciate degli edifici) e/o di confort ambientale (Art. 62, NTA).
Muri perimetrali portanti e di tamponamento di nuove costruzioni e di ristrutturazioni che rispondono al rispetto dei limiti di fabbisogno di energia primaria o di trasmittanza termica, previsti dalle disposizioni regionali in materia di risparmio energetico, non sono considerati nei computi per la determinazione della Slp o del volume rispetto ai valori limite previsti dalle disposizioni regionali sopra richiamate (Art. 1.13 NTA).
Mutamenti di destinazioni d’uso con opere
Salvo specifica diversa disposizione della disciplina di ciascun ambito, la ristrutturazione di edifici esistenti è ammessa a condizione che la destinazione prevista nel progetto sia ammissibile in base alla disciplina di ambito (Art. 23, NTA). Gli interventi di recupero ad uso abitativo dei sottotetti ai sensi della L.R. N.12/2005 sono consentiti solo quando non comportino modifiche delle altezze di colmo e gronda esistenti nei diversi punti dell’edificio, fatta salva la disciplina di ciascun ambito (Art. 29, NTA).
I mutamenti di destinazione d'uso connessi alla realizzazione di opere edilizie sono sottoposti al medesimo provvedimento a cui sono sottoposte le relative opere, ai sensi degli artt. 51 e 52 della L.R. 12/2005 e s. m. e i. (Art. 1.20 NTA).
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Distanza dai confini di proprietà
Fatta salva la disciplina dei diversi ambiti, per le nuove costruzioni e/o gli ampliamenti deve essere mantenuta una distanza dai confini pari ad almeno 5 mt. rispetto alle aree esterne al perimetro del lotto e sempre fatto salvo il rispetto dei distacchi tra edifici. La distanza dal confine è derogabile, previo consenso del vicino, formalizzato con atto registrato e trascritto. Salvo diversa indicazione nella disciplina specifica di ciascun ambito, la distanza dal confine minima indicata per i diversi ambiti deve essere mantenuta anche rispetto ai limiti che separano gli ambiti del tessuto urbano consolidato dagli altri ambiti (ambiti non urbanizzati, aree per servizi (S, V e P) e aree destinate ad attrezzature ed infrastrutture per la mobilità), indipendentemente dal regime proprietario. Tale distanza minima non è derogabile (Art. 15, NTA).
La distanza minima del fabbricato dai confini di proprietà (Dc), per gli interventi di nuova costruzione, ampliamento e nei casi di interventi di ristrutturazione con demolizione e ricostruzione totale, deve essere pari alla metà dell’altezza H dei fabbricati prospicienti i confini stessi, con un minimo assoluto di mt. 5,00. La distanza minima di cui sopra può essere ridotta o annullata se è intercorso un accordo tra i proprietari confinanti, recepito con atto registrato e trascritto, o se preesiste una costruzione legittimamente assentita, con pareti in confine, nel limite dell’ingombro della sagoma della stessa (Art. 1.717, NTA).
Distacco tra i fabbricati
Per le nuove costruzioni e/o gli ampliamenti deve essere mantenuto un distacco tra gli edifici pari ad almeno 10 metri. Nell'ambito dei Piani Attuativi possono essere previste distanze inferiori ai sensi dell'art. 9 del D.M. 2.4.1968 n.1444. Nelle case plurifamiliari a patio o a corte, la distanza tra pareti finestrate sarà almeno pari all'altezza della parete più alta. Ove non espressamente vietato, è sempre consentita l'edificazione in aderenza; il nuovo edificio o il sopralzo potrà superare di un piano l'edificio contiguo salvo maggiori altezze acconsentite dal vicino con atto registrato e trascritto (Art. 14, NTA).
La distanza minima tra due pareti prospicienti è pari all’altezza del fabbricato più alto, con un minimo assoluto di mt. 10,00 nel caso in cui una o entrambe le pareti siano finestrate, anche parzialmente, e di mt. 7,00 nel caso di pareti non finestrate. Sono comunque fatte salve le prescrizioni del D.I. 1444/68. (Art. 1.7-18, NTA).
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Distanza dalle strade
E' la distanza minima, misurata in proiezione orizzontale, della superficie edificata fuori terra dalla strada. Sono computabili, ai fini del raggiungimento delle distanze minime, gli spazi pedonali e di parcheggio di proprietà privata, di cui sia convenzionata la cessione gratuita all'Amministrazione Comunale. Devono altresì essere rispettate le distanze previste dalla disciplina del Codice della Strada (Art. 16, NTA).
Il limite di distanza dalle strade è definito dal P.G.T. in applicazione del Nuovo Codice della Strada. Le distanze minime lasciano salvi gli eventuali diversi arretramenti o allineamenti stabiliti in sede di piano attuativo o di progetto esecutivo delle nuove strade. E’ possibile autorizzare deroghe o il mantenimento degli allineamenti esistenti previo parere favorevole della Giunta Comunale su proposta del Responsabile del Servizio. L’arretramento del fabbricato dalle strade (Ds) destinate a traffico veicolare deve essere di almeno: - 5,00 m per strade di larghezza inferiore a 7 m; - 7,50 m per strade di larghezza compresa fra 7 m e 15 m; - 10, 00 m per strade di larghezza superiore a 15 m. Sono computati ai fini del raggiungimento della distanza minima come sopra definita, gli spazi di proprietà privata di cui sia convenzionata la cessione gratuita al comune. Per i manufatti interrati e le rampe di accesso ai garage interrati, l’arretramento è ridotto a 3,00 m. (Art. 1.7-19, NTA).
Volumi accessori e pertinenze
…. Potrà essere ammesso il superamento delle sagome di cui ai precedenti commi solo per i volumi tecnici di limitata entità purchè non superino i mt. 3 o maggiori altezze obbligatorie in base a norme legislative in materia, a partire dall'intradosso dell'ultimo solaio orizzontale. Detti volumi debbono essere progettati in modo coerente con la concezione architettonica dell'intera costruzione (Art. 13, NTA).
Secondo le indicazioni e le limitazioni del comma 7 dell’art. 1.7 delle presenti norme, i volumi accessori o pertinenze non sono computati ai fini del calcolo della s.l.p. ammissibile; gli stessi possono essere costruiti in deroga alle distanze minime dai confini prescritte per i diversi ambiti individuati dal Piano delle Regole ad esclusione della distanza dalle strade che deve sempre essere rispettata. Dovranno comunque essere osservate le distanze minime previste dal Codice Civile e dal D.I. 1444/1968, fatti salvi accordi diversi fra i confinanti che dovranno essere prodotti in sede di richiesta di titolo
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edificatorio o autorizzazione edilizia relativi alle sole prescrizioni del Codice Civile (Art. 1.23, NTA). Fasce di rispetto, di salvaguardia e arretramento dell’edificazione - Norma speciale per espropri di suoli edificabili
Quando la realizzazione di lavori ed opere pubbliche preveda l’acquisizione di suoli edificabili, la capacità edificatoria riferita all’area oggetto di esproprio può essere traslata a favore della quota rimanente di area privata, a condizione che la stessa mantenga le concrete possibilità edificatorie preesistenti. E’ fatta, comunque, salva la facoltà del privato rinunciare a tale possibilità richiedendo l’indennità di esproprio corrispondente (Art. 51, NTA).
Tracciati pedonali e ciclabili
In tutti gli ambiti del PGT è consentito adeguare e ampliare le strade esistenti in base alle caratteristiche, nonché migliorare e adeguare le intersezioni tra di esse. Le indicazioni relative a viabilità, piste ciclabili e percorso della linea leggera del trasporto pubblico contenute nelle tavole del Piano hanno valore indicativo e possono essere precisate, integrate o modificate in sede di piano urbanistico esecutivo o di progetto preliminare dell'opera. Senza necessità di preventiva variante al Piano, in sede di progettazione esecutiva delle opere è possibile discostarsi dalle previsioni di cui alle tavole di Piano entro i seguenti limiti: − adeguamenti delle strade esistenti 63
Il P.G.T. prescrive fasce di rispetto o di arretramento all’edificazione che producono limitazioni all’utilizzo delle aree edificabili. Gli edifici eventualmente esistenti all'interno di tali zone in contrasto con le prescrizioni di seguito riportate possono essere oggetto solo di interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria, senza incremento di s.l.p., salvo che per gli adeguamenti igienici e tecnologici. In caso di comprovata necessità e di interesse pubblico, previa autorizzazione, se richiesta, degli enti competenti, può essere concessa la costruzione di: - piste ciclabili; - parcheggi pubblici con relative corsie di accesso; - cabine di trasformazione della rete elettrica e del gas; - nuove strade; - ampliamenti ed adeguamenti stradali (Art. 1.25, NTA). Il Comune può prescrivere: il ripristino di tali percorrenze qualora non più rinvenibili in loco ovvero qualora le stesse fossero state inglobate all’interno di recinzioni a delimitazione di proprietà private, l’arretramento delle recinzioni anche per consentire il ripristino e la riqualificazione dei tracciati esistenti o l’apertura e realizzazione di nuovi percorsi pedonali e ciclabili. Su tutta la rete viabile esistente il comune ha facoltà, previa approvazione di progetti definitivi nel rispetto del d.lgs. 163/2006 e s. m. e i., di introdurre modifiche alle previsioni grafiche del P.G.T. finalizzate al miglioramento delle infrastrutture viarie (piste ciclabili, marciapiedi, sedi viarie), senza che ciò comporti variante al PGT stesso (Art. 3.13,
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mt. 5 per lato; NTA). − nuove strade mt.10 per lato; Nell’ambito della proiezione della linea del metrobus e delle sue fasce di rispetto, come determinate dalla procedura d’esproprio, i progetti relativi alle trasformazioni dovranno essere sottoposti all’ente proprietario della linea allo scopo di verificare la non compromissione della struttura (Art. 55, NTA). Pertanto riassumendo, gli interventi consentiti da entrambe i PGT, per gli articoli considerati sono: - gli interventi di recupero ad uso abitativo dei sottotetti ai sensi della L.R. N.12/2005 sono consentiti solo quando non comportino modifiche delle altezze di colmo e gronda esistenti nei diversi punti dell’edificio, fatta salva la disciplina di ciascun ambito ; - la distanza minima del fabbricato dai confini di proprietà deve essere pari alla metà dell’altezza H dei fabbricati prospicienti i confini stessi, con un minimo assoluto di mt. 5,00. La distanza minima di cui sopra può essere ridotta o annullata se è intercorso un accordo tra i proprietari confinanti, recepito con atto registrato e trascritto; - se non espressamente vietato, è sempre consentita l'edificazione in aderenza; il nuovo edificio o il sopralzo potrà superare di un piano l'edificio contiguo salvo maggiori altezze acconsentite dal vicino con atto registrato e trascritto; - il limite di distanza dalle strade è definito dal P.G.T. in applicazione del Nuovo Codice della Strada. Le distanze minime lasciano salvi gli eventuali diversi arretramenti o allineamenti stabiliti in sede di piano attuativo o di progetto esecutivo delle nuove strade. E’ possibile autorizzare deroghe o il mantenimento degli allineamenti esistenti previo parere favorevole della Giunta Comunale su proposta del Responsabile del Servizio. Sono computati ai fini del raggiungimento della distanza minima, gli spazi di proprietà privata di cui sia convenzionata la cessione gratuita al comune; - potrà essere ammesso il superamento delle sagome solo per i volumi accessori tecnici di limitata entità purché non superino i mt. 3 o maggiori altezze obbligatorie in base a norme legislative in materia, a partire dall'intradosso dell'ultimo solaio orizzontale; i volumi accessori non sono computati ai fini del calcolo della s.l.p.; - in tutti gli ambiti del PGT è consentito adeguare e ampliare le strade esistenti in base alle caratteristiche, nonché migliorare e adeguare le intersezioni tra di esse.
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1.6 ALLEGATI Capitolo 1
ALLEGATO A: Norme tecniche di attuazione, PGT BRESCIA vigente, Principali articoli analizzati •
Art. 12. Volume
Viene determinato considerando tutti i volumi entro e fuori terra relativi agli spazi che costituiscono la slp. (V = Slp x H di interpiano escludendo nel calcolo l’altezza delle solette). •
Art. 13. Altezza dei fabbricati (H)
È la distanza in verticale misurata a partire dal punto di spiccato più basso dal suolo, fino alla quota dell'intradosso dell'ultimo solaio orizzontale di copertura dei locali utilizzabili posti più in alto. Al fine della definizione della quota più bassa del suolo, non si considerano le rampe e le corsie di accesso ai box, alle cantine o ai volumi tecnici ricavati, a seguito di scavo, a quota inferiore a quella del suolo naturale o stradale precedente alla costruzione. Qualora l'ultimo solaio non sia orizzontale, l'altezza è riferita al punto medio del solaio stesso al suo intradosso tra l'imposta e il colmo. Qualora le falde del tetto siano impostate a più di cm. 50 rispetto all'intradosso dell'ultimo solaio orizzontale, o abbiano pendenza superiore al 40%, l'altezza va riferita al punto medio delle falde stesse al loro intradosso tra l'imposta e il colmo, nel caso che il sottotetto risulti in qualsiasi modo utilizzabile. Nel caso di suolo non orizzontale, l'altezza, agli effetti del calcolo delle distanze e dei distacchi, è la media di quelle misurate agli estremi del fronte o delle singole porzioni di altezze diverse. Negli edifici con copertura piana non si computano i parapetti e i coronamenti che non superino i m. 1,20 dalla quota finita della pavimentazione dell’ultimo solaio, o di altezza superiore se realizzati a mascheramento di impianti tecnologici. Potrà essere ammesso il superamento delle sagome di cui ai precedenti commi solo per i volumi tecnici di limitata entità purchè non superino i mt. 3 o maggiori altezze obbligatorie in base a norme legislative in materia, a partire dall'intradosso dell'ultimo solaio orizzontale. Detti volumi debbono essere progettati in modo coerente con la concezione architettonica dell'intera costruzione. Laddove l’altezza, minima, obbligata o massima, sia espressa in numero di piani si applicano le seguenti disposizioni. L’altezza interpiano misura in ml. la distanza rispettiva tra le quote di calpestio dei piani di un edificio. L’altezza dell’interpiano è stimata, ai fini del calcolo dell’altezza massima dell’edificio, pari a 3,50 m. L’altezza dell’interpiano tra piano terra, qualora questo ospiti attività commerciali, ed il primo piano di calpestio è di 4,50 m. Il piano di calpestio del piano terra, qualora destinato alla residenza, può essere rialzato di 1,50 m. rispetto la quota del terreno. Il numero dei piani include l’eventuale piano sottotetto. •
Art. 14. Distacco dagli edifici (De)
E' la distanza minima, misurata a squadra (non a raggio) in proiezione orizzontale, tra le proiezioni sul piano orizzontale del massimo ingombro delle costruzioni fuori terra. Ai fini del distacco rilevano balconi, terrazzi, poggioli, scale esterne, pensiline con esclusione dei normali aggetti con funzione meramente ornamentale, di rifinitura od accessoria. Non vengono considerati distacchi i rientri nello stesso corpo di fabbrica se la loro profondità non supera i 2/3 della larghezza e comunque non sia superiore a m. 4 (anche in senso verticale). Fatta salva la disciplina dei diversi ambiti, per le nuove costruzioni e/o gli ampliamenti deve essere mantenuto un distacco tra gli edifici pari ad almeno 10 metri. Nell'ambito dei Piani Attuativi possono essere previste distanze 65
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inferiori ai sensi dell'art. 9 del D.M. 2.4.1968 n.1444. Nelle case plurifamiliari a patio o a corte, la distanza tra pareti finestrate sarà almeno pari all'altezza della parete più alta. Ove non espressamente vietato, è sempre consentita l'edificazione in aderenza, nel qual caso il nuovo edificio o il sopralzo potrà superare di un piano l'edificio contiguo salvo maggiori altezze acconsentite dal vicino con atto registrato e trascritto. E’ in ogni caso vietata la costruzione in aderenza ad edifici appartenenti all’ambito della città storica o ad edifici di valore storico architettonico e paesaggistico, con esclusione degli edifici costruiti trasformati in maniera rilevante ed irreversibile in epoca recente (e comunque successivamente al 1945), fatti salvi gli interventi di ristrutturazione attraverso demolizione e fedele ricostruzione. Per interventi a carattere unitario e solo per edifici ricadenti nel medesimo intervento, si consente un distacco minimo di m. 5 nel caso in cui entrambe le pareti fronteggianti siano cieche o munite unicamente di luci. Il distacco previsto dalle presenti norme non si applica tra pareti, anche finestrate, che delimitino patii appartenenti alla medesima unità immobiliare, per le quali si continuano ad applicare le norme del Codice Civile. Il distacco tra i fabbricati non è derogabile. •
Art. 15. Distanza dai confini (Dc)
E' la distanza minima in proiezione orizzontale, della costruzione fuori terra, dai confini del lotto edificabile. Ai fini della distanza rilevano balconi, terrazzi, poggioli, scale esterne, pensiline con esclusione dei normali aggetti con funzione meramente ornamentale, di rifinitura od accessoria. Fatta salva la disciplina dei diversi ambiti, per le nuove costruzioni e/o gli ampliamenti deve essere mantenuta una distanza dai confini pari ad almeno 5 mt. rispetto alle aree esterne al perimetro del lotto e sempre fatto salvo il rispetto dei distacchi tra edifici. Al fine di perseguire un miglioramento della situazione preesistente, nell'ambito dei Piani attuativi, possono essere previsti interventi di demolizione e di ricostruzione, con distanze, rispetto al confine con aree esterne al perimetro del Piano, inferiori a quelle indicate nelle norme di ambito, sempre che la distanza sia maggiore e/o l'altezza del nuovo edificio inferiore rispetto a prima dell'intervento. La distanza dal confine è derogabile, previo consenso del vicino, formalizzato con atto registrato e trascritto. Salvo diversa indicazione nella disciplina specifica di ciascun ambito, la distanza dal confine minima indicata per i diversi ambiti deve essere mantenuta anche rispetto ai limiti che separano gli ambiti del tessuto urbano consolidato dagli altri ambiti (ambiti non urbanizzati, aree per servizi (S, V e P) e aree destinate ad attrezzature ed infrastrutture per la mobilità), indipendentemente dal regime proprietario. Tale distanza minima non è derogabile. •
Art. 16. Arretramento dalle strade
E' la distanza minima, misurata in proiezione orizzontale, della superficie edificata fuori terra dalla strada. Sono computabili, ai fini del raggiungimento delle distanze minime, gli spazi pedonali e di parcheggio di proprietà privata, di cui sia convenzionata la cessione gratuita all'Amministrazione Comunale. Le distanze, eventualmente indicate per ciascun ambito negli articoli seguenti, lasciano salvi gli eventuali diversi arretramenti o allineamenti indicati graficamente nelle tavole di PR o quelli stabiliti in sede di piano urbanistico. Laddove le norme o le tavole non diano prescrizioni diverse, é possibile autorizzare il mantenimento degli allineamenti esistenti. Devono altresì essere rispettate le distanze previste dalla disciplina del Codice della Strada. •
Art. 17. Allineamento e fronte obbligato 66
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L’allineamento rappresenta il riferimento per la linea in proiezione in pianta di una facciata di uno o più edifici; rispetto ad esso sono possibili arretramenti parziali ma non sono ammessi sbalzi, ad eccezione dei normali aggetti. Il fronte obbligato rappresenta il riferimento per la linea di proiezione in pianta di una facciata di un edificio e la sua dimensione senza soluzione di continuità; rispetto ad esso non sono possibili arretramenti. •
Art. 22. Definizioni degli interventi edilizi
Gli interventi edilizi sono definiti dall'art.3 del D.P.R. 6.6.2001 n.380 T.U. e specificate dall’art.27 della L.R. 12/2005. •
Art. 23. Norme particolari per le ristrutturazioni
Salvo specifica diversa disposizione della disciplina di ciascun ambito, la ristrutturazione di edifici esistenti è sempre ammessa a condizione che la destinazione prevista nel progetto sia ammissibile in base alla disciplina di ambito. Nell’ambito di tali interventi la slp interrata e/o seminterrata e quella costituita dai vani scala potrà essere traslata solo per utilizzazioni analoghe, fatta salva la possibilità di solettare i vani scala esistenti qualora questi non siano sostituiti da altri vani scala e sempre che ciò non comporti modifica della sagoma. E’ consentita la realizzazione di nuova slp all’interno degli edifici, nel rispetto dell’eventuale indice di edificabilità; nel caso di realizzazione di nuova maggiore slp deve essere assicurata la relativa dotazione di parcheggi pertinenziali; è consentito il tamponamento di logge e di porticati solo nel caso in cui tali parti dell’edificio siano state computate nell’indice edificatorio della norma in vigore all’epoca di realizzazione del fabbricato. •
Art. 29. Ambiti di esclusione dal recupero ai fini abitativi dei sottotetti esistenti
Il recupero ai fini abitativi dei sottotetti esistenti ai sensi della L.R. N.12/2005 , e s.m.i. non è ammesso, nell’ambito della città in trasformazione di cui all’art. 63, punti a), b) e c) (anche successivamente all’avvenuta trasformazione salvo diversa disposizione del Piano Attuativo che regola la trasformazione stessa). Nell’ambito della città storica di cui all’art 60, negli ambiti di cui al successivo art. 66 lettere b), c) e d), nonché negli edifici storici e in quelli di valore storico, architettonico e paesaggistico, individuati nella tav. PR01, gli interventi di recupero ad uso abitativo dei sottotetti ai sensi della L.R. N.12/2005 sono consentiti solo quando non comportino modifiche delle altezze di colmo e gronda esistenti nei diversi punti dell’edificio, fatta salva la disciplina specifica di ciascun ambito. • Art. 51. Norma speciale per espropri di suoli edificabili Quando la realizzazione di lavori ed opere pubbliche preveda l’acquisizione di suoli edificabili, la capacità edificatoria riferita all’area oggetto di esproprio può essere traslata a favore della quota rimanente di area privata, a condizione che la stessa mantenga le concrete possibilità edificatorie preesistenti. E’ fatta, comunque, salva la facoltà del privato rinunciare a tale possibilità richiedendo l’indennità di esproprio corrispondente. 67
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Art. 57. Finalità, ambito di applicazione, elaborati (art. 10 della L.R. n.12/2005 e s.m.i.)
Obiettivo fondamentale della disciplina del PIANO DELLE REGOLE (PR) è quello di accompagnare i processi di conservazione e trasformazione della città esistente, compatibilmente con i suoi caratteri storici, tipologici, morfologici e di destinazione d’uso, nonché con le necessità di riqualificazione e rigenerazione urbana. Il PR disciplina le trasformazioni urbanistiche, le opere edilizie nonché i mutamenti di destinazione d‘uso con o senza opere, per le quali, in base alla vigente legislazione statale e regionale, risulti necessario un titolo abilitativo edilizio (Permesso di Costruire, D.I.A., S.C.I.A. o altri strumenti). L’ambito di applicazione del Piano delle Regole è definito dall’art.10 della L.R. 12/05 ed è individuato nella tav. PR01 “Azioni di Piano”. Il PR recepisce le prescrizioni paesaggistiche cogenti e immediatamente prevalenti, si conforma agli indirizzi e agli obiettivi di qualità paesaggistica e introduce previsioni confermative di maggior definizione e detta ulteriori regole di salvaguardia, valorizzazione e ricomposizione paesaggistica di specifiche aree. Tali disposizioni possiedono la medesima efficacia delle disposizioni in materia urbanistico-edilizia. Gli elaborati del Piano delle Regole che producono effetti giuridici sono: Tav. PR01 - Azioni di Piano Tav. PR02 - Regole morfologiche Tav. PR03 - Classi di sensibilità paesaggistica Tav. PR04 - Elementi e componenti del paesaggio Tav. PR05 - Tavole dei vincoli amministrativi Tav. PR06 - Tavole dei vincoli per la difesa del suolo Tav. PR07 - Tavole dei vincoli di tutela e salvaguardia Tav. PR08 - Reticolo idrico Tav. PR09 - Classi di fattibilità geologica • Art. 59. Classificazione degli ambiti Il territorio comunale è suddiviso nei seguenti ambiti: AMBITI DEL TESSUTO URBANO CONSOLIDATO 1. La città storica: i nuclei di antica formazione e la città della prima metà del XX sec. Tale ambito include: - il nucleo antico della città, ricompreso nella cerchia muraria; - i nuclei storici di Caionvico, Fiumicello, Folzano, Fornaci, Mompiano, Sant'Eufemia, Urago Mella e gli altri minori localizzati in corrispondenza delle vie di comunicazione, quali via Milano, via Trento, via Mantova; - i numerosi complessi storici isolati legati originariamente all'uso agricolo del territorio; - la città del primo sviluppo industriale che si amplia urbanizzando le aree esterne al perimetro dell’antica cerchia muraria; - l’edificato dei primi decenni del XX secolo: la città del liberty e dell’esperienza razionalista del Ventennio fascista. 2. La città di recente formazione: la ricostruzione, gli anni del boom economico e la città consolidata. È la città sviluppatasi a partire dal secondo dopoguerra fino alla fine del XX secolo, dove a Brescia - come in tutt'Italia - ha luogo la fase più intensa di trasformazione. Il paese tradizionalmente agricolo diviene uno dei maggiori paesi industrializzati al mondo e i cambiamenti conseguenti si evidenziano maggiormente negli agglomerati urbani. 68
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3. La città in corso di formazione: è la città edificata nell’ultimo decennio, caratterizzata da importanti interventi di rinnovamento urbano ed ampliamento, in parte ancora in corso di completamento. AMBITI DEL TERRITORIO NON URBANIZZATO: 4 Ambito agricolo di pianura: ambiti caratterizzati da un uso agricolo del suolo, per lo più seminativi o incolti, privi di peculiarità paesaggistiche, valore agricolo alto, o altri caratteri di pregio; sono luoghi circoscritti costituiti da aree di un sistema agricolo di pianura di tipo residuale, dotate di modeste connotazioni arboree, irrigue e fondiarie e sono caratterizzati da presenza di elementi percettivi del paesaggio agrario (siepi campestri, filari interpoderali e cortine arboree).. 5 Ambito di valore paesaggistico-ambientale ed ecologico: ambiti caratterizzati dalla presenza di aree ad alta valenza paesaggistica, caratterizzate dalla presenza di paesaggi antropici di valenza storico culturale, di paesaggi semiantropici di qualità e integrità agricola o di paesaggi fisico naturali. Sono gli ambiti collinari e pedecollinari, le zone fluviali quindi corridoi ripariali, aree naturali di pregio botanico, aree con elevato grado di naturalità, zone di valore ecosistemico, ecotoni, aree e corridoi della rete ecologica, alcune aree di pianura destinate prevalentemente all’attività agricola, ma caratterizzate da integrità paesaggistica, da alta valenza e vocazionalità, da elementi propri del bagaglio storico artistico culturale. Spesso tale ambito è caratterizzato dalla presenza di edificato diffuso puntiforme di valore storico architettonico. 6 Ambiti non soggetti a trasformazione urbanistica: ambiti caratterizzati da elementi di eccellenza geologica, morfologica, idrologica, agricola, vegetazionale culturale-identitario, percettiva ed ecologica, e gli ambiti, seppur limitati, potenzialmente assimilabili a questi; ambiti che rientrano nel progetto di rete ecologica, aree di mitigazione, aree di verde urbano (parchi urbani e giardini pubblici o di uso pubblico). Includono altresì le aree di mitigazione delle infrastrutture e di rinaturalizzazione ecologica, nonché gli ambiti per i quali il PGT prevede la realizzazione di nuovi luoghi di naturalità e dal sistema delle connessioni verdi (lineari, areali,...). 7 Ambito per attività estrattive: aree interessate dalla presenza di attività estrattiva in disuso o in via di dismissione, caratterizzate da un’intensa opera di antropizzazione, esaurita o quasi, e da un’altrettanto forte rinaturalizzazione, fonte di ricomposizione del paesaggio naturale ed agricolo, in alcuni casi di notevole interesse e pregio, come ne testimonia la comparsa di nuovi biotopi, biocenosi ed endemismi. In tali ambiti, l’Amministrazione potrà richiedere specifici approfondimenti di carattere agronomico e paesaggistico, a seconda delle peculiarità del contesto o delle trasformazioni proposte. Art. 62. Ambito della città di più recente formazione - Finalità Per tale ambito, il PR individua specifiche politiche al fine di garantire il miglioramento della qualità urbana e architettonica, dei requisiti tecnologici e funzionali della generalità del patrimonio edilizio, della sicurezza delle costruzioni, da perseguire anche attraverso sostituzioni parziali o totali, nella presenza equilibrata di attività tra loro compatibili e complementari. - Interventi ammessi e modalità •
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Nell’ambito della città di più recente formazione sono ammessi interventi di manutenzione ordinaria, straordinaria, ristrutturazione edilizia; sono altresì ammessi interventi di demolizione/ricostruzione oppure nuova costruzione, ampliamento, nel rispetto dei parametri previsti per l’ambito. Le nuove costruzioni e gli ampliamenti ove ammessi devono rispettare gli indici fondiari di cui alla tav. PR01 e le regole morfologiche di cui al successivo art. 64. Per le costruzioni esistenti non individuate nella tav. PR01 quali edifici di valore storico-architettonico e paesaggistico, che eccedono l’indice fondiario, sono altresì consentiti interventi di demolizione e ricostruzione, anche parziale, senza aumento della slp, con modifica della sagoma preesistente, fino ad un massimo del 20% della slp esistente purchè legittima, fermo restando che la slp interrata e/o seminterrata potrà essere ricostruita solo per utilizzazioni egualmente interrate e/o seminterrate e che la slp costituita dalle scale parimenti non potrà essere traslata se non per utilizzazioni analoghe. L’intervento è classificato come nuova costruzione ed è condizionato ad un miglioramento dell’efficienza energetica e al rispetto delle regole morfologiche di cui al successivo art. 64. Nelle costruzioni di cui sopra è altresì consentita la realizzazione dell’ascensore finalizzato al superamento delle barriere architettoniche (qualora risultasse impossibile realizzarlo all’interno dell’edificio) anche in deroga al rapporto di copertura indicato per il lotto. Per le nuove costruzioni o ampliamenti devono essere garantiti i seguenti parametri: - Distanza confine non inferiore a mt. 5. - Distacco dagli edifici non inferiore a mt.10. Salvo diversi arretramenti o allineamenti indicati dalle tavole di Piano, può essere consentito il mantenimento di allineamenti preesistenti. Il Regolamento Edilizio potrà aumentare tali distacchi in funzione di obiettivi prestazionali in materia di efficienza energetica (con particolare riferimento a parametri di soleggiamento/ombreggiamento delle facciate degli edifici) e/o di confort ambientale. Negli edifici di valore storico-architettonico e paesaggistico esistenti nell’ ambito e individuati nella tav. PR01, sono consentiti solamente gli interventi previsti all’art. 60 e, per quanto riguarda le modalità di intervento sugli edifici e sugli spazi aperti e le modalità di presentazione dei progetti, si applicano le norme di cui agli art. 60 e 61. Per tali edifici sono ammessi interventi in applicazione delle disposizioni inerenti il recupero abitativo dei sottotetti esistenti, ai sensi della L.R. N.12/2005 e s.m.i., solo nel caso non comportino alterazioni delle altezze di colmo e gronda esistenti nei diversi punti dell’edificio . All’interno dell’ambito della città di più recente formazione si distinguono i tessuti in funzione della destinazione d’uso specializzata prevalente: a) tessuto a prevalente destinazione residenziale La destinazione d'uso principale è la residenza. Sono altresì ammesse le "Attività terziarie" (T), il commercio (con esclusione di media e grande struttura di vendita) e i servizi (con esclusione dei servizi tecnologici) le attrezzature per la mobilità (con esclusione dei distributori di carburante). Sono escluse le"Attività agricole" (A), le "Attività industriali e artigianali" (I), le medie e grandi strutture di vendita, i servizi tecnologici e i distributori di carburante. Per i servizi non esplicitamente previsti dal Piano dei Servizi si rimanda comunque alle disposizioni di cui all’art.46. In tali tessuti, in caso di nuova costruzione o ampliamento il rapporto di copertura non può superare 0,35mq/mq. Deve essere garantita una percentuale di superficie permeabile pari almeno al 60% delle aree comprese nel lotto edificabile (Se) esterne all’edificio. Almeno il 20% della superficie permeabile dovrà essere trattato a verde.
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Art. 55. Classificazione delle strade
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La classificazione stradale compete all’ente proprietario della strada. La rete viaria comunale è classificata secondo quando previsto dall'art. 2 del Codice della Strada, secondo il D.M. del 5 novembre 2001 "Norme funzionali e geometriche per la costruzione delle strade", dalle “Direttive per la redazione, adozione ed attuazione dei piani urbani del traffico” (Art. 36 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285. Nuovo codice della strada)”, dalla DGR 27/09/2006 n. 8/3219 “elementi tecnici puntuali inerenti ai criteri delle caratteristiche funzionali e geometriche per la costruzione dei nuovi tronchi viari e per l’ammodernamento ed il potenziamento dei tronchi viari esistenti” La classificazione suddivide le strade in due ambiti - urbano ed extraurbano - suddivisi in sottoambiti: Ambito urbano Strade di scorrimento tipo D Strade di interquartiere tipo E Strade di quartiere tipo E Strade interzonali tipo F Strade locali tipo F Itinerari ciclopedonali tipo Fbis Ambito extraurbano Autostrade tipo A Strade extraurbane principali tipo B Strade extraurbane secondarie tipo C Strade extraurbane locali tipo F a traffico sostenuto tipo F1 a traffico normale tipo F2 strade vicinali tipo F2 Itinerari ciclopedonali tipo Fbis Ogni categoria viene normata dal Regolamento Viario che definisce i criteri per la progettazione degli aspetti funzionali, degli elementi geometrici delle strade e ne definisce l’uso. In tutti gli ambiti del PGT è consentito adeguare e ampliare le strade esistenti in base alle caratteristiche, nonché migliorare e adeguare le intersezioni tra di esse. Le indicazioni relative a viabilità, piste ciclabili e percorso della linea leggera del trasporto pubblico contenute nelle tavole del Piano hanno valore indicativo e possono essere precisate, integrate o modificate in sede di piano urbanistico esecutivo o di progetto preliminare dell'opera. Senza necessità di preventiva variante al Piano, in sede di progettazione esecutiva delle opere è possibile discostarsi dalle previsioni di cui alle tavole di Piano entro i seguenti limiti: − adeguamenti delle strade esistenti mt. 5 per lato; − nuove strade mt.10 per lato; Nell’ambito della proiezione della linea del metrobus e delle sue fasce di rispetto, come determinate dalla procedura d’esproprio, i progetti relativi alle trasformazioni dovranno essere sottoposti all’ente proprietario della linea allo scopo di verificare la non compromissione della struttura.
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ALLEGATO B: Norme tecniche di attuazione, PGT BOVEZZO vigente, Principali articoli analizzati •
Articolo 1.13 – Incentivi volti al risparmio energetico
1. È fatta salva la possibilità di applicare i criteri di cui alla L.R. n. 26/1995 e s. m. e i., in base ai quali i muri perimetrali portanti e di tamponamento di nuove costruzioni e di ristrutturazioni che rispondono al rispetto dei limiti di fabbisogno di energia primaria o di trasmittanza termica, previsti dalle disposizioni regionali in materia di risparmio energetico, non sono considerati nei computi per la determinazione della Slp o del volume rispetto ai valori limite previsti dalle disposizioni regionali sopra richiamate. 2. L’incentivazione di cui al precedente comma dovrà essere obbligatoriamente documentata e certificata da tecnico abilitato che ne assuma le responsabilità agli effetti di legge. 3. Qualora, al termine dei lavori, quanto dichiarato per poter beneficiare dell’incremento edificatorio non fosse stato realizzato o non risultasse veritiero, la quota di edificio realizzata beneficiando dell’incremento stesso sarà considerata a tutti gli effetti, secondo i casi, variazione essenziale o parziale difformità dal permesso di costruire e sanzionata in base alle leggi vigenti. 4. La Giunta Comunale, con specifica deliberazione ed anche in base ai contenuti del Regolamento Edilizio Comunale, potrà prevedere anche misure di incentivazione, riducendo gli oneri di urbanizzazione, finalizzate al risparmio energetico per gli interventi di ristrutturazione e per nuove costruzioni. •
Articolo 1.15 – Dimensione minima degli alloggi
1. Ogni intervento di ristrutturazione edilizia e urbanistica, di cambio di destinazione d’uso con o senza opere, di ampliamento e nuova costruzione con destinazione anche parzialmente residenziale, realizzato con Piani Attuativi, Permessi di Costruire singoli e convenzionati, denuncia di inizio attività o segnalazione certificata di inizio attività, in qualsiasi zona del territorio comunale, dovrà prevedere una quota minima di alloggi, pari all’ 80 % del totale degli stessi, con superficie utile non inferiore a 65 mq., da arrotondare in difetto. 2. La superficie utile (Su) è calcolata secondo il D.M. 801/77 e s. m. e i., specificazioni ed interpretazioni emanate dagli Organi competenti. 3. La presente norma non si applica agli interventi di edilizia convenzionata, come definita ai sensi della vigente legislazione in materia. •
Articolo 1.19 – Mutamenti di destinazioni d’uso senza opere
1. I mutamenti di destinazione d'uso di immobili o parti di essi non comportanti opere edilizie, sono normati degli artt. 51 e 52 della L.R. 12/2005 e s. m. e i. 12
12 Art. 52 L.R. 12/2005: Mutamenti di destinazione d’uso con e senza opere edilizie
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2. Ogni qualvolta la normativa vigente preveda per la nuova destinazione d’uso una dotazione di servizi pubblici e di interesse pubblico o generale superiore rispetto alla destinazione d’uso esistente, è condizione di ammissibilità il reperimento della quota dovuta per aree per servizi pubblici e di interesse pubblico o generale per la quota eccedente generata dalla nuova destinazione, ovvero la monetizzazione della quota stessa. •
Articolo 1.20 – Mutamenti di destinazioni d’uso con opere
1. I mutamenti di destinazione d'uso connessi alla realizzazione di opere edilizie sono sottoposti al medesimo provvedimento (permesso di costruire, denuncia di inizio attività, o segnalazione certificata di inizio attività, permesso di costruire convenzionato o piano attuativo) a cui sono sottoposte le relative opere, ai sensi degli artt. 51 e 52 della L.R. 12/2005 e s. m. e i. 2. Ogni qualvolta la normativa vigente preveda per la nuova destinazione d’uso una dotazione di servizi pubblici e di interesse pubblico o generale superiore rispetto alla destinazione d’uso esistente, è condizione di ammissibilità del mutamento di destinazione d’uso il rispetto di quanto di seguito indicato: - se all’interno dei nuclei di antica formazione, nel caso di dimostrata impossibilità di reperire in loco lo standard urbanistico, lo stesso potrà essere interamente monetizzato. In questo caso però il mutamento di destinazione d’uso non potrà riguardare SLP maggiori di mq 400; - se in zone diverse dai nuclei di antica formazione, dovrà essere reperita in loco almeno la quota di parcheggi, mentre per lo standard rimanente il comune potrà di volta in volta indicare le modalità per il reperimento o la monetizzazione in conformità dell’art. 46 comma 1 lettera a) della L.R. 12/2005 e s. m e i.; in casi di comprovata impossibilità di reperimento della quota dovuta di parcheggi pubblici e valutato l’interesse generale, strategico e/o sociale dell’intervento proposto, è possibile concedere la monetizzazione di tale quota in base a specifica delibera di giunta comunale, previa relazione del responsabile del servizio relativa alla compatibilità di quanto proposto con il Piano dei Servizi. •
Articolo 1.21 - Attuazione delle previsioni relative alla viabilità
1. Le indicazioni relative alla viabilità contenute nelle tavole del P.G.T. hanno valore indicativo e possono essere precisate, integrate o modificate in sede di progetto esecutivo dell'opera, di piano urbanistico attuativo o di permesso di costruire convenzionato, pur mantenendosi all'interno delle fasce d’arretramento e di rispetto stradale qualora individuate. Dalla sede definitiva della strada si computeranno, comunque, gli arretramenti dell’edificazione previsti dalla legislazione vigente e dalle presenti norme. 2. Per quanto attiene alla progettazione ed alla realizzazione di spazi pedonali, marciapiedi, attraversamenti pedonali, scale e rampe pubbliche, arredo urbano, parcheggi, circolazione e sosta di veicoli al servizio di persone disabili, nonché tutta l’edilizia pubblica e di interesse pubblico, 1. I mutamenti di destinazione d’uso, conformi alle previsioni urbanistiche comunali, connessi alla realizzazione di opere edilizie, non mutano la qualificazione dell’intervento e sono ammessi anche nell’ambito di piani attuativi in corso di esecuzione.
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dovrà essere rigorosamente rispettata la normativa in materia d’abbattimento delle barriere architettoniche. •
Articolo 1.7 - Definizione degli indici e dei parametri urbanistici ed edilizi
17. Distanza dai confini di proprietà (Dc): distanza minima, espressa in mt., della superficie coperta, come definita al precedente comma 5 del presente articolo, dai confini del lotto di pertinenza, misurata ortogonalmente alle linee dei confini medesimi. La distanza minima del fabbricato dai confini di proprietà (Dc), per gli interventi di nuova costruzione, ampliamento e nei casi di interventi di ristrutturazione con demolizione e ricostruzione totale, deve essere pari alla metà dell’altezza H dei fabbricati prospicienti i confini stessi, con un minimo assoluto di mt. 5,00. La distanza minima di cui sopra può essere ridotta o annullata se è intercorso un accordo tra i proprietari confinanti, recepito con atto registrato e trascritto, o se preesiste una costruzione legittimamente assentita, con pareti in confine, nel limite dell’ingombro della sagoma della stessa. Dovranno comunque essere rispettate le norme del codice civile, del D.I. 1444/68 e le distanze minime di cui ai successivi commi 18 e 19. Non sono considerati nella determinazione dei distacchi dai confini le cabine elettriche, del gas e telefoniche esistenti e tutte le costruzioni completamente interrate. 18. Distacco fra fabbricati (Df): Distanza minima, espressa in mt., tra una nuova costruzione, con esclusione dei normali aggetti sino a 1,50 m., e un fabbricato esistente, misurata ortogonalmente (non a raggio) ai fronti di quest’ultimo. Nei nuclei di antica formazione, in caso di nuova costruzione, demolizione e ricostruzione ed ampliamento, le distanze minime tra i fabbricati devono essere maggiori o uguali a quelle intercorrenti tra i fabbricati preesistenti, computati senza tener conto di costruzioni aggiuntive di epoca recente e prive di valore storico, artistico o ambientale, comunque con un distacco minimo tra pareti prospicienti non inferiore a 5,00 metri. In tutte le altre zone, la distanza minima tra due pareti prospicienti è pari all’altezza del fabbricato più alto, con un minimo assoluto di mt. 10,00 nel caso in cui una o entrambe le pareti siano finestrate, anche parzialmente, e di mt. 7,00 nel caso di pareti non finestrate. Una parete è considerata finestrata quando in essa sono praticate aperture atte alla illuminazione e alla aerazione dei locali, anche quando non siano soddisfatti i rapporti aeroilluminanti prescritti dal Regolamento Edilizio. Nell’ambito di piani attuativi possono essere previste distanze inferiori ai sensi del comma 3 dell’art. 9 del D.I. 1444/68. Non viene considerato distacco fra i fabbricati il rientro nello stesso corpo di fabbrica se la profondità non supera i 2/3 della larghezza e comunque se superiore a ml. 5,00. Sono comunque fatte salve le prescrizioni del D.I. 1444/68. 19. Distanza dalle strade (Ds): è la distanza minima della superficie edificata entro e fuori terra, calcolata senza considerare balconi, pensiline, gronde o scale aperte con sporgenze sino a 1,50 m., misurata in proiezione orizzontale, dal ciglio stradale. Si definisce ciglio stradale il limite degli spazi pubblici o di uso pubblico, esistenti, risultanti dagli atti di acquisizione o definiti in base alle fasce di esproprio del progetto approvato, comprendenti quindi oltre alla sede veicolare gli eventuali marciapiedi ed i fossi (anche intubati da privati). Il limite di distanza dalle strade è definito dal P.G.T. in applicazione del Nuovo Codice della Strada. Le distanze minime lasciano salvi gli eventuali diversi arretramenti o allineamenti stabiliti in sede di piano attuativo o di progetto esecutivo delle nuove strade. E’ possibile autorizzare deroghe o il mantenimento degli allineamenti esistenti previo parere favorevole della Giunta Comunale su proposta del Responsabile del Servizio. L’arretramento del fabbricato dalle strade (Ds) destinate a traffico veicolare deve essere di almeno: 74
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- 5,00 m per strade di larghezza inferiore a 7 m; - 7,50 m per strade di larghezza compresa fra 7 m e 15 m; - 10, 00 m per strade di larghezza superiore a 15 m. Sono computati ai fini del raggiungimento della distanza minima come sopra definita, gli spazi di proprietà privata di cui sia convenzionata la cessione gratuita al comune. Per i manufatti interrati e le rampe di accesso ai garage interrati, l’arretramento è ridotto a 3,00 m. 20. Modalità di misurazione distanze Df, Dc e Ds: Le distanze Df, Dc e Ds si misurano a partire dalla sagoma dei fabbricati determinata dalla superficie coperta, così come precedentemente definita. È fatta salva l’applicazione delle deroghe previste dall’art. 11 del D.Lgs 115/2008, in merito a: - distanza minime fra edifici; - distanze minime di protezione dalla sede stradale; - altezze massime degli edifici.
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Articolo 1.23 – Volumi accessori o pertinenze
1. Per volumi accessori o pertinenze s’intendono quei vani, aperti o chiusi, a stretto servizio dell’edificio non abitabili e che non abbiano caratteristiche di abitabilità, privi cioè di impianti tecnologici di tipo residenziale ad esclusione dell’impianto elettrico, realizzati sia esternamente all’edificio principale che allo stesso aderenti, con destinazione esclusiva quali ad esempio: box auto, ripostigli, legnaia e deposito attrezzi da giardino. 2. Secondo le indicazioni e le limitazioni del comma 7 dell’art. 1.7 delle presenti norme, i volumi accessori o pertinenze non sono computati ai fini del calcolo della s.l.p. ammissibile; gli stessi possono essere costruiti in deroga alle distanze minime dai confini prescritte per i diversi ambiti individuati dal Piano delle Regole ad esclusione della distanza dalle strade che deve sempre essere rispettata. Dovranno comunque essere osservate le distanze minime previste dal Codice Civile e dal D.I. 1444/1968, fatti salvi accordi diversi fra i confinanti che dovranno essere prodotti in sede di richiesta di titolo edificatorio o autorizzazione edilizia relativi alle sole prescrizioni del Codice Civile. 3. I volumi accessori o pertinenze devono essere inquadrati architettonicamente in modo armonioso con il contesto edilizio di riferimento ed essere rifiniti decorosamente con gli stessi materiali della costruzione principale o con questi compatibili. 4. Fatta salva la normativa specifica per ogni singolo ambito, non è ammessa la costruzione di volumi accessori o pertinenze all’interno dei seguenti ambiti individuati dal Piano delle Regole: nuclei di antica formazione, ambiti pedecollinari di salvaguardia ambientale, ambiti collinari di tutela paesistico-ambientale, ambiti agricoli produttivi. •
Articolo 1.25 - Fasce di rispetto, di salvaguardia e arretramento dell’edificazione
1. Il P.G.T. prescrive fasce di rispetto o di arretramento all’edificazione che producono limitazioni all’utilizzo delle aree edificabili in relazione a: 75
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- infrastrutture della viabilità; - cimiteri; - pozzi e/o sorgenti per acqua ad uso idropotabile; - reticolo idrico; - elettrodotti; - impianti radio-ricetrasmittenti e ripetitori per telecomunicazioni; - depuratori. Le aree inedificate, ricomprese in tali fasce, dovranno essere sistemate preferibilmente a verde con messa a dimora di essenze di alto fusto quale intervento di mitigazione ambientale. Qualora tali fasce di rispetto interessassero zone edificabili, la relativa superficie è computata ai fini del calcolo dell'edificabilità ammessa. È ammessa l’attività agricola, così come disciplinata dalle presenti norme. 2. Gli edifici eventualmente esistenti all'interno di tali zone in contrasto con le prescrizioni di seguito riportate possono essere oggetto solo di interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria, senza incremento di s.l.p., salvo che per gli adeguamenti igienici e tecnologici. In caso di comprovata necessità e di interesse pubblico, previa autorizzazione, se richiesta, degli enti competenti, può essere concessa la costruzione di: - piste ciclabili; - parcheggi pubblici con relative corsie di accesso; - cabine di trasformazione della rete elettrica e del gas; - nuove strade; - ampliamenti ed adeguamenti stradali. 3. Infrastrutture viarie: devono essere rispettate le distanze previste dal Codice della Strada e dal Regolamento Viario dell’assessorato ai lavori pubblici e viabilità della provincia di Brescia, così come riportate graficamente nelle tavole del P.G.T. In tali fasce non è consentita alcuna nuova edificazione nè fuori nè sotto terra. All’interno del perimetro del Centro Abitato le distanze dal confine stradale da rispettare per interventi di nuova costruzione, ristrutturazione ed ampliamento sono quelle previste dal P.G.T. È fatto salvo quanto previsto dal Codice della Strada. 4. Cimitero: all’interno degli ambiti perimetrati sulle tavole grafiche del P.G.T. e dal Piano Cimiteriale da redigere ai sensi della vigente legislazione in materia e dei relativi regolamenti regionali, non è consentita alcuna nuova edificazione né fuori né sotto terra, fatti salvi: - gli ampliamenti delle strutture cimiteriali; - i chioschi a carattere provvisorio per le attività di servizio al cimitero, anche commerciali, previa apposita autorizzazione; - i volumi tecnici senza presenza di persone; - opere di urbanizzazione necessarie all’accesso e alla sosta pedonale e veicolare. 76
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Per gli edifici esistenti collocati all’interno della fascia cimiteriale sono ammessi, ai sensi dell’art. 338 del Testo Unico delle leggi sanitarie così come modificato dall’art. 28 della Legge 166/02, interventi di adeguamento e recupero, nonché di ampliamento nella percentuale massima del 10% della s.l.p. esistente. 5. Pozzi e sorgenti per acqua ad uso idropotabile Si rimanda al successivo art. 1.26. 6. Reticolo idrico. Si rimanda alla normativa dello studio del Reticolo Idrico Minore. 7. Elettrodotti. Devono essere rispettate le distanze previste dalla L. 36/2001, dal Dpcm 8/07/2003 e DM 29/05/2008. 8. Impianti radio-ricetrasmittenti e ripetitori per telecomunicazioni: per tali interventi si dovranno rispettare i criteri dettati dal PTPR e a quanto indicato dalla Dgr 11/12/2001 n. VII/7351. L’eventuale installazione di tali impianti è ammessa esclusivamente ove previsto dalla cartografia di piano. 9. Depuratori. Le distanze, misurate dal confine dell’impianto, sono disciplinate dalla deliberazione del 4/02/1977 del Comitato Ministeriale per la tutela delle acque e dell’inquinamento, così come riportate graficamente nelle tavole grafiche del P.G.T. In tali aree sono ammesse le opere preordinate alla manutenzione, ristrutturazione o ampliamento degli impianti. •
Articolo 3.13 - Tracciati pedonali e ciclabili
1. In tutte le zone del territorio comunale l’edificazione deve rispettare i tracciati e percorsi pedonali e ciclabili esistenti e/o previsti dagli elaborati grafici del P.G.T., in zone urbane ed extraurbane anche se non più rintracciabili in loco. Le percorrenze di proprietà pubblica e/o di uso pubblico, desumibili dalle mappe catastali anche qualora non espressamente individuate dalla cartografia di piano, costituiscono il sistema di relazioni fisiche finalizzato alla fruizione dell’intero territorio comunale. Il Comune può prescrivere: il ripristino di tali percorrenze qualora non più rinvenibili in loco ovvero qualora le stesse fossero state inglobate all’interno di recinzioni a delimitazione di proprietà private, l’arretramento delle recinzioni anche per consentire il ripristino e la riqualificazione dei tracciati esistenti o l’apertura e realizzazione di nuovi percorsi pedonali e ciclabili. 2. La realizzazione ovvero il ripristino di tali percorsi sarà oggetto, eventualmente, d’appositi progetti approvati dagli organi competenti. Costituendo tali tracciati elementi di rilevanza ambientale e paesistica, i progetti dovranno prevedere: - la conservazione e/o il ripristino delle pavimentazioni originarie nonché la loro integrazione attraverso l’impiego di materiali coerenti; - la dotazione di adeguati spazi di sosta; - il rispetto della legislazione vigente in materia d’abbattimento delle barriere architettoniche ove tecnicamente possibile. 3. Su tutta la rete viabile esistente il comune ha facoltà, previa approvazione di progetti definitivi nel rispetto del d.lgs. 163/2006 e s. m. e i., di introdurre modifiche alle previsioni grafiche del
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P.G.T. finalizzate al miglioramento delle infrastrutture viarie (piste ciclabili, marciapiedi, sedi viarie), senza che ciò comporti variante al PGT stesso. •
Articolo 3.14 – Aree per l’edilizia residenziale pubblica (E.R.P.)
1. Il Piano dei Servizi ha individuato un’area adibita ad Edilizia Residenziale Pubblica, denominata “ex Residence Prealpino”. Per tale ambito valgono le norme e le prescrizioni contenute nel Piano di Recupero di iniziativa pubblica, ai sensi della legge 457/1978, approvato con Del. C.C. n. 46/2007 e i contenuti dell’accordo di programma stipulato in data 08/04/2009 tra Regione Lombardia, Comune di Brescia, Comune di Bovezzo e ALER Brescia. •
Articolo 4.9 - Ambiti residenziali di impianto unitario
1. Gli ambiti residenziali di impianto unitario comprendono il tessuto urbanizzato prevalentemente residenziale realizzati sulla base di piani o progetti urbanistici unitari e pertanto caratterizzati da regole tipologiche ed insediative omogenee che si vuole mantenere, al fine di preservare l’immagine unitaria e l’identità del tessuto stesso. 2. Gli ambiti residenziali di impianto unitario sono suddivisi, in relazione alle caratteristiche insediative, nei seguenti sottoambiti: - ambiti residenziali di impianto unitario – classe 1; - ambiti residenziali di impianto unitario – classe 2. 3. Destinazioni d’uso ammesse: la destinazione principale ammessa è la funzione residenziale così come disciplinata dal precedente art. 1.18. Sono ammesse, nella misura massima del 40% della s.l.p. totale o ammissibile salvo deroghe motivate da esigenze di carattere pubblico da sancire con delibera di giunta comunale, anche le seguenti attività terziarie compatibili con la residenza: - attività commerciali (esercizi di vicinato, media struttura di vendita non alimentare); - artigianato di servizio, botteghe artigiane ed artistiche; - attività ricettive, ad eccezione dei campeggi; - pubblici esercizi, ad eccezione di locali per il pubblico spettacolo, locali notturni e discoteche; - attività direzionali (uffici privati, studi professionali, agenzie bancarie, centri di ricerca, terziario diffuso); E’ sempre ammessa la destinazione strutture e servizi pubblici e di interesse pubblico o generale e per il tempo libero senza limitazioni percentuali sulla s.l.p. totale o ammissibile. Sono escluse le attività agricole, le attività produttive, le attività terziarie diverse da quelle stabilite dal presente articolo, gli impianti e le stazioni radio base. 4. Nel caso di intervento tramite piano attuativo o permesso di costruire convenzionato, così come previsto ai precedenti artt. 1.14 e 4.3, la dotazione minima di aree per servizi pubblici e di interesse pubblico o generale è disciplinata ai sensi del precedente art. 3.6. Tali dotazioni sono da considerarsi aggiuntive a quanto previsto dalla vigente normativa in materia di parcheggi 78
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pertinenziali (legge 122/89), dal capo II del Titolo IV della l.r.12/2005 e s. m. e i. e dall’art. 1.22 delle presenti norme. 5. Il Comune, fatta salva l’applicazione di normativa specifica di settore, ha facoltà di chiedere la monetizzazione della quota dovuta di aree per servizi pubblici e di interesse pubblico o generale, ai sensi dell’art. 46 comma 1 lettera a) della l.r. 12/2005 e s. m. e i. e secondo le indicazioni e le prescrizioni di cui ai commi 2 e 3 del precedente art. 1.22, qualora non ritenga congruo e funzionale il reperimento in sito di tali aree.0020 6. Per le quantità a parcheggio pertinenziale privato si rimanda al precedente articolo 1.22. 7. Norme generali e parametri urbanistici per gli ambiti residenziali di impianto unitario: - Df: 10 m. ovvero pari all’altezza del fronte dell’edificio più alto; è fatto salvo quanto previsto dall’art. 9 del D.I. 1444/68. Il distacco previsto dalle norme non si applica nel caso in cui entrambe le pareti fronteggianti siano cieche o siano munite unicamente di luci; in tal caso si dovrà, comunque, mantenere una distanza minima di ml. 7,00. Sono sempre fatte salve le prescrizioni del D.I. 1444/68; - Dc: 5 ml. e pari, almeno, alla metà dell’altezza dell’edificio più alto prospiciente. La distanza minima di cui sopra può essere ridotta o annullata se è intercorso un accordo tra i proprietari confinanti, recepito con atto registrato e trascritto, o se preesiste una costruzione legittimamente assentita, con pareti in confine, nel limite dell’ingombro della sagoma della stessa. Dovranno comunque essere rispettate le norme del codice civile, del D.I. 1444/68 e le distanze minime dalle strade e tra fabbricati. E' sempre consentita la possibilità di costruire in aderenza nel caso di costruzioni a cortina continua. Non sono considerati nella determinazione dei distacchi dai confini le cabine elettriche, del gas e telefoniche esistenti e tutte le costruzioni completamente interrate. - Ds: - 5,00 m per strade di larghezza inferiore a 7 m; - 7,50 m per strade di larghezza compresa fra 7 m e 15 m; - 10,00 m per strade di larghezza superiore a 15 m. È fatto salvo il rispetto di tutte le distanze previste dal Codice della Strada. •
Articolo 4.10 - Ambiti residenziali di impianto unitario – classe 1
1. Comprendono gli ambiti urbani, realizzati secondo il modello del quartiere operaio degli anni ’50, con tipi edilizi a schiera o bifamiliari con giardino (villaggio Padre Marcolini). 2. Norme edilizie e parametri urbanistici: - Uf = pari all’esistente; - Hmax = pari all’esistente; - Vp = come definito dal precedente art. 1.12. 3. Modalità d’intervento: manutenzione ordinaria, manutenzione straordinaria, risanamento conservativo, ristrutturazione edilizia, demolizione e fedele ricostruzione. Gli interventi edilizi che 79
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riguardino le facciate esterne nonché le coperture degli edifici dovranno essere omogenei per ciascun fabbricato costituente corpo unico, indipendentemente dal frazionamento delle proprietà. E’ demandata al parere della commissione per il paesaggio la valutazione della compatibilità alla norma di tali interventi nonché l’indicazione dei materiali di finitura delle facciate. La realizzazione di nuove scale esterne per l’accesso ad unità abitative poste al primo piano, è ammessa solamente qualora le stesse siano aderenti alla facciata. Nel caso di frazionamento di unità abitative esistenti, i parametri di cui al comma 1 dell’articolo 1.15 sono da arrotondare in eccesso. 4. Tipologie edilizie ammesse: esistenti. 5. All’interno degli ambiti residenziali di impianto unitario – classe 1, è consentita la realizzazione di un fabbricato di servizio ad uso autorimessa-deposito, secondo gli schemi e le modalità di cui all’allegato 1 alle presenti norme, anche in deroga alla percentuale minima di Vp prescritto per le zone residenziali ma comunque sempre nel rispetto delle prescrizioni del D.I. 1444/1968. In caso di impossibilità a localizzare i fabbricati di servizio coerentemente agli schemi planimetrici di cui all’allegato 1 alle presenti norme, è ammessa la possibilità di costruire i fabbricati medesimi in posizione differente, fermo restando l’utilizzo delle tipologie edilizie ivi individuate nonché il rispetto delle distanze minime dai confini e tra i fabbricati prescritte dalle presenti norme. 6. E’ ammesso il recupero a scopo abitativo dei sottotetti esistenti, secondo quanto previsto dalla L.R. 12/2005 (Titolo IV, capo I) e s. m. e i., nel rispetto assoluto delle altezze di gronda e di colmo esistenti. In tale caso non si applica quanto prescritto dal comma 1 dell’articolo 1.15 delle presenti norme.
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CAPITOLO 2: L’ESPERIENZA A COPENHAGEN E LO STUDIO DEL MODELLO DANESE
2.1 Introduzione Cosa pone in relazione il Villaggio Prealpino di Brescia con una capitale europea come Copenhagen? Perché studiare i meccanismi alla base della pianificazione urbanistica danese e la politica abitativa di questa nazione? La prima volta in cui in Italia si parlò concretamente della Danimarca in campo architettonico (ed in particolare urbanistico) risale al 1997, con un numero monografico della rivista “Controspazio” interamente dedicato a questa nazione così lontana dalle tradizioni italiane e mediterranee. La monografia aprì la strada ad una serie di analisi ed articoli riguardanti l’architettura e la produzione danese, pubblicati in riviste di rilievo, come “Domus”, “Abitare” e “Area”, che rivolsero la loro attenzione in particolare alla zona della “Grande Copenhagen”, soprattutto per i piani urbanistici e i nuovi originali assetti che caratterizzavano quell’area. Dal 1996 infatti (anno nel quale Copenhagen fu nominata Capitale della Cultura europea), la città venne interessata da un periodo di attivo fermento architettonico e sviluppo che la portò a trasformarsi in un cantiere di confronti e sperimentazioni, terreno fertile per nuove strategie e proposte. La sperimentazione, la ricerca e l’integrazione tra le varie discipline, soprattutto architettura, ecologia ed economia, hanno reso la Danimarca una nazione pioniera per quanto riguarda i piani urbanistici, le politiche ambientali ed abitative, da guardare come modello e imitare intelligentemente. Il periodo di ricerca e lavoro svolto a Copenhagen ha proprio avuto lo scopo di indagare approfonditamente i meccanismi che stanno alla base del processo normativo e progettuale danese, in modo da poterlo comprendere a fondo e trarne le strategie di successo, da poter poi rielaborare ed adattare nel progetto di rigenerazione del Villaggio Prealpino. Il presente capitolo riguarda il percorso di ricerca svolta durante il soggiorno in Danimarca ed i risultati ottenuti: viene innanzitutto presentata l’evoluzione urbanistica di Copenhagen ed il famoso “Piano delle cinque dita” per analizzare poi l’evoluzione storica della politica danese riguardante le abitazioni e la situazione nazionale degli alloggi, importante per capire il funzionamento del mercato immobiliare strettamente legato alla Housing Policy; successivamente verranno illustrati i principali tipi edilizi danesi per poter comprendere l’offerta abitativa all’interno del panorama danese. Infine l’attenzione verrà concentrata su Copenhagen come città sostenibile, con un focus sulla recente politica Carbon neutral e gli obiettivi da raggiungere entro il 2025; a seguire la parte più importante e cospicua della ricerca svolta, ovvero la schedatura di tutti i progetti di rigenerazione urbana studiati, con un’analisi focalizzata soprattutto sugli aspetti energetici, strutturali ed urbanistici, e con un riassunto degli aspetti chiave dei progetti.
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2.2 Evoluzione urbanistica di Copenhagen e il ”Piano delle Cinque Dita”
Fig. 2.1: Inquadramento geografico della città di Copenhagen
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Viene di seguito ripercorso l’iter urbanistico della città a partire dal Medioevo, riassumendo il periodo precedente al XX secolo, e dedicando invece maggiore attenzione al secondo dopoguerra, soprattutto analizzando approfonditamente il famoso “Piano delle Cinque Dita”. 2.2.1. Lo sviluppo della città dal Medioevo fino alla fine del XIX secolo Copenhagen, il cui nome significa “porto dei mercanti”, è situata in una posizione strategica, all’imbocco meridionale del’Øresund, da sempre un crocevia per le rotte e gli scambi commerciali, il traffico marittimo e di fondamentale importanza per i collegamenti con la Svezia. Il centro medievale sorge sull’isola di Strandholm e rappresenta il nucleo originario, dal quale successivamente si sviluppò la città, proprio a partire dal Medioevo. L’impronta mercantile che caratterizzava la città influenzò il primo grande piano di espansione, commissionato nel 1617 da Cristiano IV (1588-1648) ad un architetto olandese: quest’ultimo dapprima propose un impianto rinascimentale radiocentrico, ma si trovò costretto a cambiarlo, assecondando le esigenze pratiche dei mercanti; il risultato fu una maglia regolare, con strade parallele che delimitavano lotti rettangolari, tagliati da canali. Furono così realizzati molti nuovi quartieri (la superficie urbana venne quasi raddoppiata), tra cui Christianshavn sull'isola di Amager, Nyboder (il quartiere dei marinai) e venne costruita la seconda cinta muraria, che costituì il limite topografico della città fino al XIX secolo. A causa di due terribili incendi, avvenuti nel 1728 il primo e nel 1795 il secondo, venne introdotto l’obbligo di costruire in muratura, con la diffusione dei tipici edifici a blocco con facciata continua, prevalentemente disegnati da Eigtyed, architetto di corte. Sorse in questo periodo, durante il regno di Federico V, il quartiere di Frederikstaden, famoso per ospitare la Fredrikskirke (chiesa di marmo) e Amalienborg, la piazza ottagonale progettata secondo i modelli urbanistici francesi in voga al tempo, con sbocco sul porto, e con un curioso gioco di prospettive geometriche, enfatizzato oggi dal progetto dell’Opera House firmato Henning Larsen Architects: l’edificio si colloca a chiusura dell’asse prospettico che parte dalla Frederikskirke e attraversa tutta Amalienborg.
Fig. 2.2 : Asse prospettico tra la Frederikskirke, Amalienborg e l’Opera House
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Nel 1852 furono distrutte le fortificazioni e cominciò l’espansione della città secondo anelli concentrici, con la costruzione di edifici multipiano, eretti secondo il nuovo regolamento edilizio; i bastioni vennero demoliti e trasformati in giardini e boulevard.
Fig. 2.3: Schema delle varie fasi di espansione della città
2.2.2. La prima metà del XX secolo e l’elaborazione del “Piano delle Cinque Dita” All’inizio del XX secolo vennero ampliati i confini amministrativi (precisamente tra il 1901 e il 1903), si cominciò a riflettere sul futuro ampliamento della città e sul modello urbanistico da adottare, proponendo un bando sul piano di espansione. Nel 1928 fu creato un Comitato per lo studio del piano regionale, su iniziativa dell’Istituto Danese di Pianificazione Urbanistica (Dansk Byplanlaboratorium), un organo non ufficiale simile all’Istituto Britannico di Pianificazione Urbana. Il Comitato era presieduto dal professor Steen Eiler Rasmussen (1898-1990), e composto da rappresentanti di ognuna delle 29 municipalità (la legge infatti demandava ai singoli comuni la stesura dei piani regolatori generali), rappresentanti di Ministeri, Organi dei Trasporti, enti vari, urbanisti, architetti. Il Comitato era nato per elaborare una proposta alternativa al Piano del Traffico del 1926, ma di fatto si occupava di problematiche varie, realizzando report ed analisi.
Fig. 2.4: A sinistra, individuazione delle aree tutelate (1936); a destra, piano di conservazione, disegno approvato nel 1938 84
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Tra le problematiche affrontate, in primo piano vi era sempre la questione ambientale, tanto che nel 1936 il Forchhammer, membro del Comitato, propose un sistema di tutela del verde con l’individuazione di aree ad alto valore paesaggistico ed aree ricreative, approvato poi nel 1938. Nel 1938 fu approvata dal Parlamento una nuova legge (Town Planning Act), secondo la quale venivano lasciati alle municipalità pieni poteri riguardo la progettazione urbanistica, anche se il Ministero degli Interni avrebbe poi dovuto approvare tali piani. Le autorità locali con più di mille abitanti si trovavano pertanto costrette a preparare un piano entro cinque anni dall’approvazione della legge. Il Town Planning Act migliorava le condizioni urbanistiche e rappresentava un utile strumento nelle mani delle autorità locali. Nonostante ciò presentava dei difetti: risultava infatti difficile evitare la costruzione indesiderata di edifici in aree agricole, e non favoriva la cooperazione urbanistica tra le diverse municipalità o qualsiasi altra forma di piano a scala regionale. Si capì quindi che era sempre più necessario sviluppare un piano per l’espansione e lo sviluppo dell’area di Copenhagen: nel 1943 lo Stato sostenne l’elaborazione di un piano a livello regionale, che riordinasse tutti i piani precedentemente proposti e permettesse di offrire lavoro in modo da ridurre la disoccupazione determinata dalla guerra. Gli obiettivi di tale piano erano i seguenti: pianificare lo sviluppo della regione e la sua suddivisione in varie aree specifiche, individuare la migliore localizzazione per gli Istituti pubblici, i servizi e le aree di svago, proporre un piano del traffico e sviluppare una nuova rete di trasporti. Furono quindi concessi al Comitato i fondi necessari (metà dalla Cassa del Tesoro, metà dalle municipalità) per istituire un proprio ufficio tecnico, l’Ufficio Urbanistico Regionale, sotto la direzione dell’architetto Peter Breddorff. Questo organo cominciò subito a preparare un piano preliminare, con varie ipotesi di lavoro, basandosi su tutto il materiale raccolto dal 1928. Fu inoltre costituito un Comitato di 19 membri presieduto da Rasmussen, con il compito di dialogare e controllare l’operato dell’Ufficio tecnico. La difficoltà maggiore era rappresentata dal fatto che non si conosceva la dimensione finale che Copenhagen avrebbe assunto negli anni: erano necessarie lunghe ed approfondite indagini che in parte esulavano dal compito del Comitato. Copenhagen ospitava circa un quarto dell’intera popolazione danese, e molte persone, soprattutto quelle che vivevano fuori dalla capitale, pensavano fosse troppo. Le statistiche affermavano che nell’area della Grande Copenhagen vivevano 1,1 milioni di persone e che non si sarebbe superata la cifra di 1,5 milioni negli anni a venire. Era pertanto consigliabile progettare in riferimento non solo a cifre del presente e del futuro, bensì anche a cifre intermedie: furono individuate due fasi, una con una popolazione di 1,3 milioni e una con 1,5 milioni di persone. Un’altra questione importante da decidere riguardava quale fosse la tipologia di schema più conveniente da applicare alla città; si era certi che nessuna città poteva cambiare radicalmente da uno schema ad un altro, se non per ragioni estremamente eccezionali. Il cambiamento poteva essere lungo e non necessariamente portare benefici alle future generazioni. Generalmente è più favorevole continuare lo sviluppo dello schema esistente, al fine di favorire la crescita avviata e trarne vantaggi.
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Fig. 2.5: Studio dei principi guida per gli insediamenti, “Piano delle Cinque Dita”, 1947
Copenhagen si presentava secondo la tipica configurazione di città europea con schema centralizzato; la parte medievale era il cuore economico ed amministrativo con una forte concentrazione di uffici e luoghi di lavoro in generale (nel 1948 circa il 40% del totale). 200.000 persone si spostavano in centro tutti i giorni per andare al lavoro e poi tornare a casa la sera, creando congestione e traffico due volte al giorno. La prima fascia immediatamente successiva al centro era costituita da appartamenti costruiti alla fine del XIX secolo, con una densità abitativa molto alta; le abitazioni si alternavano con industrie ed edifici lavorativi. I successivi layers più esterni erano tipicamente zone suburbane a bassa densità abitativa, con case singole, senza edifici lavorativi e con scarsa presenza di negozi, mentre l’ultima fascia era costituita da terreni agricoli e parcelle incomplete. Lo sviluppo era avvenuto nella direzione delle arterie principali. Inoltre, non bisognava trascurare la questione relativa al porto della città, che aveva le caratteristiche di un porto fluviale, con una configurazione quasi radiale rispetto al costruito, risultato di un conflitto tra l’intersezione del traffico terreno e marittimo. Un’altra caratteristica locale, tipica della zona di Copenhagen e molto importante è che tutti gli alberi, laghi, colline, valli, spiagge migliori e tutti i luoghi naturali di ricreazione e svago per la popolazione erano localizzati al nord, mentre la parte occidentale della regione formava un unico largo fertile campo senza alberi. D’altronde, uno dei principali vantaggi era la compattezza della città, che rendeva possibile trarne il massimo vantaggio: una vasta offerta abitativa e la libertà di scegliere dove insediarsi. I cittadini avevano un ampio range di possibilità di scelta riguardante il posto e tipo di lavoro, il luogo e tipo di abitazione, le attività di svago e tempo libero. Questa compattezza era dovuta al fatto che circa il 75% degli abitanti viveva in appartamenti e solo il 25% in case singole di loro proprietà, proporzione che si ipotizzava sarebbe cresciuta fino al 35%. Inoltre è da sottolineare una caratteristica peculiare dello stile di vita di Copenhagen: l’abitudine di avere due abitazioni, una per l’estate e una per l’inverno. Inizialmente era un privilegio di poche persone, ma intorno al 1948 era diventata prerogativa di molti. Circa 150.000 persone, ovvero il 20% delle persone che vivevano in appartamenti, avevano una sorta di residenza estiva. Gli urbanisti notarono inoltre che lo sviluppo della città era avvenuto principalmente verso nord lasciando uno spazio relativamente libero a ovest: su questo potenziale terreno edilizio, avevano libera possibilità di realizzare la futura espansione della città. In una distanza contenuta in 30-50 Km massimo, erano situate cinque cittadine, e la crescita di ognuna doveva essere contenuta a causa della loro vicinanza alla capitale. Inoltre si capì che era necessario fermare la crescita della città secondo layers concentrici successivi, in quanto gli studi dimostravano che era già stata raggiunta la dimensione massima possibile: il percorso in tram più lungo dal centro della città durava 45 minuti. 86
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La proposta di piano fu emanata nel 1948, e prende il nome di “Piano delle Cinque Dita”, dalla caratteristica forma a mano aperta, derivante dal modello di sviluppo compatto, in cui il centro della città, servito dai tram, rappresentava il palmo, mentre le estensioni a dita costituivano il sistema radiale di ferrovie elettriche suburbane. Poiché gli studi avevano dimostrato che il 95% della popolazione del tempo abitava all’interno dell’isocrona dei 45 minuti, si scelse di far terminare il palmo della mano proprio a questo limite, e proseguire oltre solo attraverso l’espansione a “dita”. Venne quindi mantenuto inalterato il tessuto urbano esistente cresciuto secondo uno schema concentrico intorno al centro medievale della città, innestandovi tre linee ferroviarie elettriche che avrebbero collegato il centro alla campagna, aggiungendosi alle due già esistenti, costruite a nord prima del 1948.
Fig. 2.6: Linee ferroviarie esistenti, proposte e principio guida del piano
Le prime due linee ferroviarie furono realizzate in breve tempo: nel 1949 quella che consentiva il collegamento a Ballerup, e nel 1953 quella verso Glostrup. Quella meridionale lungo la baia di Køge dovette attendere più tempo. Secondo quanto stabilito dal piano, intorno alle stazioni di queste linee sarebbero sorti spontaneamente centri locali con negozi e istituzioni, e ci sarebbero state frequenti e convenienti connessioni dirette al centro della città. Non venne quindi aumentata la durata del viaggio verso la città, considerando già la distanza di 45 minuti come la massima: pertanto la zona semicircolare servita dai tram avrebbe avuto un raggio di 8-9 Km, mentre il servizio offerto dalle ferrovie elettriche si sarebbero esteso su una superficie di raggio 17-18 Km dal centro. Tra le diverse dita ci sarebbero stati dei corridoi verdi, ovvero lembi di terra libera estesi fino alle aree costruite servite dai tram. Fu proposto di avviare l’espansione principalmente verso la direzione ovest, piantando alberi e realizzando stazioni balneari per rendere la zona più attrattiva, e di stoppare la crescita delle zone residenziali a nord e sull’isola di Amager, dove era consigliabile limitare l’espansione a causa dell’intersezione tra traffico terrestre e marittimo. Ai cittadini veniva lasciata la libertà di spostarsi nelle nuove aree.
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Oltre alla tematica fondamentale relativa al modello da applicare per la futura espansione della città, un’altra questione di primaria importanza era lo sviluppo del sistema del traffico interno globale. Parallelamente allo sviluppo della rete di comunicazione pubblica, era stata prevista una crescita del traffico su quattro ruote. Per assicurare a questa tipologia di traffico buone condizioni di movimento dentro la città, e per sfruttarne al meglio le sue caratteristiche tecniche, fu pianificato un sistema globale di strade, privo di intersezioni con strade minori locali, e la possibilità di estendersi fino al centro della città. Per quanto riguardava la localizzazione delle nuove aree industriali, era necessario innanzitutto studiare la posizione di quelle già esistenti: la vecchia zona industriale di Copenhagen era principalmente situata in un anello attorno all’area densamente costruita, lungo una linea di strade che lì correva. Queste aree erano ben collegate con le arterie principali e situate molto vicino alle aree residenziali. Inoltre era sempre facile raggiungere i posti di lavoro dai quartieri residenziali. Similmente le industrie dovevano poter usufruire di una ampio bacino di lavoratori ed essere localizzate in posizioni che consentissero di raggiungere facilmente treni, strade e porto. In accordo con la nuova proposta, le nuove aree industriali dovevano essere localizzate in un anello lungo una strada principale anulare e preferibilmente all’intersezione con le linee ferroviarie elettriche, all’inizio delle dita. Quindi, distribuendosi tra le varie sezioni della città, le aree industriali avrebbero usufruito della migliore connessione possibile e di un facile accesso alla nuova area portuale prevista a sud. Nella distribuzione delle industrie si cercò di ottenere un certo equilibrio, soprattutto nei quartieri più grandi della città, tra le persone che lì vivevano e lavoravano. Vennero quindi effettuati vari studi per cercare di determinare l’unità di vicinato ideale che avrebbe permesso di ottenere tale equilibrio tra abitanti, abitazioni, servizi e aree produttive. Per quanto riguardava la suddivisione della città, era necessario innanzitutto prestare attenzione alla struttura dei nuclei familiari del 1948, differenti dai 50-100 anni precedenti: infatti nel 1948, il 40% delle casalinghe lavoravano anche fuori casa. Questo era il risultato di uno sviluppo tecnico ed economico che non poteva essere arrestato o cambiato, pertanto era uno dei compiti degli urbanisti quello di rendere possibile alle donne di lavorare fuori casa. L’unità individuata (Forstad) era un sobborgo di raggio 1.600 metri e con 10.000 abitanti così distribuiti: un nucleo centrale di 35 ha con maggiore densità abitativa (150 persone per ettaro) popolato da 5.200 persone e prevalentemente costituito da edilizia chiusa e blocchi, una zona esterna più estesa (120 ha) che ospitava 4.800 abitanti, quindi con una minore densità abitativa (44 persone per ettaro); sarebbero poi stati dedicati 25 ha alle attività di ricreazione (attività sportive e culturali). Le piccole aree industriali andavano a collocarsi tra un Forstad e l’altro, mentre alla base delle dita, in corrispondenza delle intersezioni tra le linee ferroviarie elettriche e le grandi strade di scorrimento, sarebbero state collocate le grandi aree industriali.
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Fig. 2.7: Prima versione del “Piano delle Cinque Dita” (1947) e schematizzazione degli schemi di sviluppo: Forstad, Finger e le due fasi di realizzazione Per certi aspetti, il “Piano delle Cinque Dita” ricordava il modello proposto per la Greater London da Patrick Abercrombie nel 1945: le unità di vicinato presentavano molte analogie con le città satellite inglesi, e non stupirà il fatto che lo stesso Rasmussen fosse un convinto sostenitore di quel modello. Vengono riassunti e schematizzati di seguito i principi guida del “Piano delle Cinque Dita” del 1947.
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Fig. 2.8: Il “Piano delle Cinque Dita” in sintesi _ viabilità 90
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Fig. 2.9: Il “Piano delle Cinque Dita� in sintesi _ zone verdi
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2.2.3. L’evoluzione urbanistica di Copenhagen nella seconda metà del XX secolo e il nuovo “Piano delle Cinque Dita” Purtroppo venne presto constatato che le previsioni fatte relativamente alla crescita demografica della popolazione erano errate e si rese necessaria una revisione del piano. Furono vagliate varie proposte negli anni dal 1951 al 1963 e alla fine si optò per un’ulteriore estensione delle due dita sud-occidentali. Il nuovo piano strategico fu reso pubblico nel 1963 ed era pilotato ancora dall’ufficio urbanistico regionale, un organo che ebbe vita fino al 1989, quando fu sciolto: le competenze vennero quindi nuovamente suddivise, suddividendo l’intera area (3.000 Kmq) in cinque regioni e cinquanta comuni, con l’eccezione di Copenhagen, che è contemporaneamente comune e regione. Tra gli anni Settanta e Novanta lo sviluppo urbano subì un arresto a causa della crisi economica, dell’interesse pubblico e della mobilitazione dei movimenti ambientalisti. Nel 1989 vene proposto un nuovo piano basato sul principio proximity to station, che consisteva nella collocazione delle nuove aziende proprio in vicinanza di nuove stazioni, dove le linee ferroviarie incrociavano le strade di scorrimento per automobili; questo principio diventò la base di molti dei successivi piani locali e regionali, come ad esempio per Ørestad. Negli anni dal 1973 al 2005 vennero elaborati una serie di piani regionali, ma dal 2007 una nuova riforma del settore pubblico e della struttura governativa cambiò la pianificazione urbanistica a scala locale, regionale e nazionale.
Fig. 2.10: Schema relativo a tutti i piani regionali emanati fino al 2005 92
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La riforma del governo locale proposta nel 2005 entrò in vigore in data 1 gennaio 2007: tale riforma aboliva le contee e creava cinque consigli regionali eletti dal popolo. I precedenti 271 comuni furono amalgamati in 98 comuni responsabili di quasi tutti i compiti di assistenza sociale, in quanto principale accesso al settore pubblico per i cittadini e per le aziende.
Fig. 2.11: Indicazione delle 5 regioni e dei 7 centri specializzati individuati dal Ministero dell’Ambiente Questa riforma cambiò radicalmente il sistema di pianificazione in Danimarca. Il nuovo Planning Act delegava la responsabilità della pianificazione territoriale al Ministero dell’Ambiente, ai cinque consigli regionali e ai 98 comuni: questa legge si basava sui principi della riforma della legislazione urbanistica degli anni Settanta, riguardante il decentramento decisionale delle autorità e la promozione della partecipazione dei cittadini nel processo di pianificazione. I comuni diventavano così responsabili della pianificazione sia della zona urbana che di quella rurale, pertanto i piani comunali assumevano un nuovo ruolo in quanto linee guida per lo sviluppo e l’uso del territorio. Venne inoltre rafforzata la pianificazione nazionale: lo Stato era responsabile di favorire la pianificazione a scala nazionale negli interessi di una pianificazione decentrata, e di gestire le complesse questioni riguardanti l’ambiente e la natura. I consigli regionali dovevano poi elaborare dei nuovi tipi di piano che consistevano in una pianificazione di sviluppo del territorio a scala 93
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regionale. Il Ministero dell’Ambiente creò sette centri specializzati per amministrare i nuovi compiti assunti con la riforma, al fine di gestire e controllare meglio l’effettivo funzionamento della legislazione nelle aree locali.
Fig. 2.12: Schematizzazione del sistema di pianificazione territoriale in Danimarca dopo la riforma del 2007 Il Planning Act inoltre includeva una serie di norme speciali riguardanti la pianificazione dell’Area della Greater Copenhagen (Grande Copenhagen), le aree costiere e il commercio al dettaglio. L’area della Grande Copenhagen, che comprende 34 municipalità, era nata grazie all’espansione determinata dalla prima versione del “Piano delle Cinque Dita” del 1947. In seguito alla riforma del 2007 venne elaborata una seconda versione del piano, entrato in vigore nell’Agosto 2007: per la prima volta il Ministro dell’Ambiente stabilì le regole del piano per la Grande Copenhagen attraverso direttive di pianificazione nazionali. Questo nuovo piano stabiliva la struttura per il futuro sviluppo urbano dell’area della Grande Copenhagen, in stretta connessione con le infrastrutture e i servizi di trasporto. Una delle nuove caratteristiche principali del “Piano delle Cinque Dita” del 2007 è inoltre quella di favorire la localizzazione di determinate struttura vicino alle stazioni. Ad esempio i grandi complessi con uffici che superano i 1.500 mq di superficie dovevano generalmente essere situati ad una distanza non superiore ai 600 m a piedi dalla stazione più vicina. Infatti gli studi dimostravano che tale scelta avrebbe indotto le persone ad utilizzare molto di più i mezzi pubblici rispetto alla propria auto. Questo principio aveva il doppio vantaggio di ridurre il trasporto con mezzi propri, ridurre l’impatto ambientale così come le emissioni di anidride carbonica. A differenza dei precedenti piani elaborati a livello regionale, questo non definiva quantità specifiche, bensì forniva linee guida alle municipalità in base alla posizione di intervento, prevedendo la distinzione di quattro zone geografiche con diverse opportunità di pianificazione: 94
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- nel nucleo della regione urbana (il palmo della mano), lo sviluppo urbano e la rigenerazione si sarebbero svolti all’interno di zone urbane già esistenti, potenziando i servizi di trasporto pubblico; - nella regione urbana periferica (le dita), lo sviluppo e le nuove funzioni urbane sarebbero state posizionate tenendo conto di quelle già esistenti, mirando ad un potenziamento delle infrastrutture e del sistema di trasporto pubblico; - i corridoi verdi tra le dita non potevano essere convertiti in zone urbane, né utilizzati come strutture ricreative; - nella parte restante della Grande Copenhagen, lo sviluppo urbano sarebbe stato locale e si sarebbe svolto in stretto collegamento con i centri municipali o con altre comunità urbane.
Fig. 2.13: “Piano delle Cinque Dita”_ Confronto tra le due versioni, 1947 e 2007
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Il Ministero dell’Ambiente preparò una direttiva di pianificazione nazionale, continuamente aggiornata al fine di attuare i principi e stabilire inoltre la designazione complessiva dei terreni alle infrastrutture dei trasporti, agli impianti tecnici e simili, per garantire lo sviluppo della regione nel complesso. La strategia proposta nel nuovo “Piano delle Cinque Dita” si trasformò concretamente in un Piano Municipale nel 2009, che sostituiva i vecchi piani municipali e regionali del 2005, e che prevedeva di raggiungere l’obiettivo sintetizzato in questi quattro punti: - città compatta; - città salutare; - città verde; - città blu. Inoltre, veniva posto come obiettivo primario il raggiungimento di una forte integrazione tra Copenhagen e Malmö, al fine di creare un’unica grande metropoli: tutti gli obiettivi e linee guida alla base del “Piano delle Cinque Dita” del 2007 sono state recepite nel quadro normativo attualmente vigente: il Piano Comunale del 2011. Un’altra visione per lo sviluppo dell’area metropolitana di Copenhagen, dentro e fuori alla Danimarca, è il progetto Loop City presentato da Bjarke Ingels Group (BIG) alla Biennale di Venezia del 2010: viene proposta la realizzazione di un’unica città che comprenda i due lati dell’Øresund, danese e svedese. L’attenzione principale è posta sulla rivisitazione delle aree residenziali e industriali a ovest e al centro di Copenhagen, nate appunto in conformità al “Piano delle Cinque Dita”. Loop City propone per l’area della Grande Copenhagen di centralizzare l’urbanizzazione intorno a un sistema di metropolitana leggera che entrerebbe a far parte di un sistema più ampio di trasporto e sviluppo esteso alla totalità della Regione dell’ Øresund. Il piano riguarda una superficie di dimensioni pari al centro di Copenhagen, con un profilo urbano simile, trasformando le aree con densità urbana del 25% in aree più simili al centro, dove la densità è pari al 200%, fornendo alloggi a oltre 325.000 nuovi residenti e creando 280.000 posti lavori. Inoltre Loop City propone l’utilizzo di tecnologie moderne, mai impiegate prima su scala così ampia e massiccia, un’occasione unica e importante per la crescita di una delle città più verdi al mondo. Così come è stata pensata la progettazione a scala regionale, BIG ha anche elaborato piani molto più specifici per le singole aree di sviluppo attorno ad ogni stazione ferroviaria; piani di zona che trattano vari aspetti, dal “Green Waterfront” alla “Science City”, basata sulla fama mondiale della Danish Technical University (DTU). Tutte le aree incorporano concetti all’avanguardia come tetti verdi, celle fotovoltaiche e auto elettriche.
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Fig. 2.14: Alcune delle slides elaborate da BIG per la proposta Loop City
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Loop City non è poi così distante dallo scenario attuale di Copenhagen: i progetti urbanistici degli ultimi anni hanno mirato alla creazione di un’unica grande regione metropolitana che comprenda città situate su entrambe le coste dell’Øresund: Malmö, Lund e Elsingborg sulla costa svedese, Elsinore e Copenhagen su quella danese, con Copenhagen in posizione centrale. Dal luglio del 2000 il ponte dell'Øresund, un'opera colossale che richiese un lungo periodo di progettazione e quattro anni di costruzione, collega Copenhagen a Malmö. Il ponte, ad accesso automobilistico e ferroviario, si sviluppa per circa 8 km sul braccio di mare che divide la Danimarca dalla Svezia, prosegue sull'isola artificiale di Teberholm e termina con un tunnel di 4 km che lo collega alla capitale danese. Un ulteriore miglioramento del servizio di trasporto avverrà con la costruzione della linea di metropolitana leggera Ring 3 , la cui costruzione comincerà nel 2016, mentre la fine dei lavori e l’apertura ufficiale è prevista nel 2020. La metropolitana leggera attraverserà le cinque dita al di fuori dell’area centrale di Copenhagen, collegando una serie di linee S ferroviarie urbane esistenti.
Fig. 2.15: Progetto della linea di metropolitana leggera
Ha inoltre preso avvio dal 1996 una nuova estensione urbana a sud del centro della città, denominata Ørestad, nella parte occidentale dell’isola di Amager. Il masterplan definitivo (proposto dallo studio finlandese ARKKI, vincitore del concorso indetto) fu approvato nel 1995 dalla Ørestadsselskabet I/S, e prevedeva la futura realizzazione di edifici residenziali, uffici, servizi, spazi verdi, strettamente connessi all’omonima fermata della nuova linea della metro. Il progetto di Ørestad verrà approfondito successivamente nelle schede di analisi degli ecoquartieri. 98
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2.3 Evoluzione storica della politica abitativa danese e della situazione nazionale riguardante gli alloggi Durante la fase di transizione da una società di tipo agricolo ad una industriale, avvenuta alla metà del XIX secolo, molte persone si trasferirono in città più grandi, in particolare a Copenhagen, con un conseguente aumento della richiesta di abitazioni in tali aree. La regolamentazione delle attività costruttive in Danimarca risale al 1856. Nel 1834, 119.292 persone vivevano a Copenhagen e nel 1890 la popolazione era più che raddoppiata, arrivando alla cifra di 312.859; nel 1930 si registravano 612.424 persone nella capitale. I residenti ad Aarhus, seconda città più grande danese, erano pari a 11.000 (nel 1830), 50.000 (nel 1900) e 100.000 (nel 1935). Questo sviluppo era simile nelle città minori, ma con ritmi di crescita ad una scala più ridotta. Attualmente13 circa 1,2 milioni di persone vivono a Copenhagen, ovvero il 22% della popolazione danese. Considerando però l’area della cosiddetta “The Greater Copenhagen”, si arriva a 1,95 milioni di residenti, mentre Aarhus conta 256.000 abitanti; oggi in Danimarca sono sei le città con una popolazione maggiore di 100.00 persone14. Durante il XX secolo si svilupparono gradualmente in Danimarca un discreto interesse pubblico e un’attiva responsabilità sociale per fornire un’abitazione a tutti, attraverso associazioni di costruttori e cooperative edilizie, grazie a piani di supporto per la costruzione di case per le famiglie con molti bambini, sovvenzionando l’edilizia sociale e, in molte parti del Paese, creando appositi consigli per i gruppi particolarmente vulnerabili. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, il coinvolgimento del settore pubblico venne esteso a coprire tutti i settori riguardanti le abitazioni, indipendentemente dal tipo di proprietà, attraverso norme fiscali, schemi di finanziamenti, politiche dell’abitazione e sociali in generale. Tuttavia, le autorità locali potevano assegnare abitazioni solo per quanto riguardava il settore dell’edilizia sociale. Alla fine della Seconda Guerra Mondiale, la Danimarca era ancora un paese prevalentemente agricolo e quasi il 50% della popolazione viveva in aree rurali. Nei successivi decenni, l’occupazione nel settore industriale ebbe un vertiginoso aumento e la conseguenza fu una rapida urbanizzazione. Le città si ingrandirono molto velocemente soprattutto tra il 1960 e il 1980. Intorno alle città furono costruite vaste aree suburbane con case monofamiliari. Erano anche molto attive organizzazioni no-profit che si impegnavano per la costruzione di grandi e moderni complessi edilizi in cemento armato. Gli standard abitativi migliorarono notevolmente in quegli anni, sia nelle nuove case monofamiliari, sia nelle nuove unità abitative in affitto. Nel periodo tra il 1975 e il 2000, fu avviata e portata a termine una serie di progetti di rigenerazione urbana a larga scala, tanto da migliorare anche gli standard delle abitazioni più vecchie. Nonostante il continuo aumento sul mercato del prezzo delle abitazioni, è ancora considerevole il numero di nuovi edifici realizzati. La politica danese relativa alle abitazioni ha attraversato diverse fasi durante il XX secolo, soprattutto nei 70 anni trascorsi dalla fine della guerra. Di seguito verranno analizzate in dettaglio le varie fasi così suddivise: - 1900-1945: fase di migrazione verso le grandi città 13 14
I dati raccolti risalgono al 2013 Fonti: statistiche danesi e del Comune di Copenhagen
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- 1945-1966: fase di costruzione; - 1966-1980: fase di espansione; - 1980-2001: fase di gestione e amministrazione; - dal 2001: crack nella politica delle abitazioni _ conversione o demolizione? - la situazione attuale del mercato immobiliare e della politica abitativa in Danimarca 2.3.1. 1900-1945: fase di migrazione verso le grandi città All’inizio del XX secolo, la costruzione di abitazioni nel settore privato era diffusa nelle aree urbane: si trattava di complessi residenziali e condomini, attrezzati con le “recenti” dotazioni, come l’acqua corrente, i sistemi di scarico in fognatura, l’illuminazione elettrica, e così via. Tuttavia non erano dotati di riscaldamento centralizzato e servizi igienici. A Copenhagen, anche gli appartamenti dei complessi residenziali nelle parti principali della città, spesso non erano dotati di bagno privato: i bagni comuni erano collocati nei sotterranei o in locali appositi sul retro del vano scala. Per un certo periodo, durante il primo decennio del secolo, c’erano abitazioni vacanti, ma dallo scoppio della Prima Guerra Mondiale, si assistette ad una carenza diffusa di alloggi nelle principali città. L’aumento dei prezzi e l’incertezza riguardo ai finanziamenti posero fine alla costruzione di abitazioni nel settore privato. Fino al 1916, non c’erano in Danimarca specifiche restrizioni legali sul diritto di stabilire liberamente le condizioni per i contratti di locazione degli alloggi residenziali. La locazione era regolamentata solo attraverso un accordo individuale tra le parti interessate. La ragione per cui non vi era stata fino a quel momento alcuna necessità politica di regolamentare questi contratti fu probabilmente che non c’erano carenza di alloggi, aumento dei prezzi o altre circostanze tali da creare un urgente bisogno di tutelare le parti negli accordi di affitto. Il primo regolamento legislativo riguardante i rapporti di locazione fu introdotto nel 1916, come risultato del desiderio di accogliere un forte aumento di numero di locazioni causato dalla crescente corsa alle proprietà più vantaggiose, determinata dallo scoppio della Prima Guerra Mondiale. La regolamentazione degli affitti, che imponeva prezzi massimi, in combinazione con l’aumento dei prezzi al dettaglio e l’aumento dei salari, che rese le abitazioni più economiche in certi termini, determinò una crescente domanda di abitazioni in affitto. Continuava inoltre la migrazione dalle aree rurali verso le città, in particolare Copenhagen. Il risultato fu che la presenza di alloggi vacanti precedente allo scoppio della guerra si trasformò, dopo il 1916, nella mancanza di alloggi, soprattutto nelle grandi città. All’inizio degli anni Venti, in seguito ad una serie di fattori favorevoli, riprese la costruzione di alloggi. Già nel 1917 aveva preso avvio a Copenhagen la costruzione di piccoli appartamenti e, dopo la fine della guerra, questo processo accelerò. In altre parti del paese la domanda di alloggi non era così alta. In secondo luogo, la Banca Nazionale (Danmarks Nationalbank) abbassò in molti casi i tassi di interesse, ed il governo istituì un fondo immobiliare, che offrì finanziamenti per nuove costruzioni nel 1922. Al posto dei precedenti sussidi alle persone meno ricche, offerti in 100
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forma di sovvenzioni e aiuti in denaro, il fondo immobiliare forniva prestiti in forma di obbligazioni. Queste iniziative sviluppate nella prima metà degli anni Venti, aiutarono a ridurre la carenza di alloggi. Inoltre, in aggiunta all’alto livello dell’attività edilizia, la crescita della popolazione e la migrazione di persone dalle zone rurali era inferiore ai decenni precedenti. Alla metà degli anni Venti si era raggiunta una situazione di equilibrio tra prezzi, affitti e costi di costruzione, e il consumo era in aumento. Questo significava che la regolamentazione riguardante gli affitti poteva essere liberalizzata. L’aumento nella costruzione di alloggi dalla metà in quel periodo si verificò soprattutto nel settore privato dell’edilizia, dal momento che le autorità locali ed il settore del social housing svolgevano tuttavia un modesto ruolo come clienti. Dopo la “depressione”, la crescita nella costruzione di abitazioni prese avvio all’inizio degli anni ’30, convertendosi in un boom edilizio; tuttavia, questo boom ebbe breve durata, terminando già alla fine del decennio stesso, in seguito ad una crisi economica globale. L’espansione avvenuta all’inizio del decennio era il risultato di una svolta tecnologica e della conseguente possibilità di costruire edifici applicando le nuove tecnologie sviluppate. Grazie al riscaldamento centralizzato e ai bagni con acqua calda corrente era necessario occupare meno superficie, a parità di alloggi costruiti. Riapparvero nuovamente alloggi vacanti nelle aree urbane, non era perciò possibile applicare quanto prescritto dalla normativa vigente relativa agli affitti, soprattutto per le vecchie abitazioni, per le quali risultava difficile trovare inquilini. Di conseguenza, la politica abitativa di quel periodo non si concentrò sulla regolamentazione degli affitti per motivi socio-politici, bensì promosse l’attività edilizia. Dopo un periodo durante il quale i costruttori non avevano avuto la possibilità di ottenere aiuti dal settore pubblico, finalmente divenne nuovamente possibile ottenere un prestito dal Governo per costruire edifici in affitto. La prima vera legge sugli affitti, “Rent Act”, entrò in vigore nel 1937. A causa dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale, la regolamentazione degli affitti entrò nuovamente al centro dell’attenzione per motivi socio-politici: l’intento era quello di evitare l’aumento dei prezzi di affitto dovuto alla carenza di alloggi, che era stata causata dallo stop nell’attività edilizia, dall’aumento dei prezzi ecc. Come risultato, quando nel 1939 cominciò la Seconda Guerra Mondiale, le abitazioni in Danimarca furono razionate, gli affitti congelati e venne introdotto il controllo dei contratti di locazione. Negli anni della guerra, la domanda di abitazioni superava l’offerta e i prezzi delle case aumentarono. Le autorità locali erano sotto pressione per fornire case di edilizia sociale e nacquero delle “Housing Associations” in tutte le maggiori città e paesi: i consigli cittadini giocavano spesso un ruolo fondamentale all’interno di queste nuove iniziative e associazioni. La combinazione di due fattori, ovvero alloggi con bassi livelli di standard abitativi e l’elevato tasso di crescita della popolazione durante gli anni Quaranta, determinò una carenza di alloggi. Pertanto, a partire dal 1945, con la fine della Seconda Guerra Mondiale, si diffuse l’idea, che trovava consenso in campo politico, che fosse necessario costruire un grande numero di alloggi a basso costo. 101
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2.3.2. 1945-1966: fase di costruzione Dopo la guerra, non arrivò mai il tanto atteso ed anticipato crollo dei prezzi delle case. Politicamente non vi era alcuna volontà di porre fine al controllo sugli affitti, dal momento che non si attendeva un aumento della disoccupazione e delle tensioni sociali. Nel 1945 il Ministero degli Interni stimava che la mancanza totale di abitazioni si aggirava intorno al numero di 50-60 mila case. Tra le 4-5 mila famiglie erano senza alloggio e le autorità locali fornirono loro una dimora. I Socialdemocratici portarono avanti la causa per ottenere migliori piani e un adeguato controllo al fine di risolvere il problema delle alloggi, e nel 1947 fu creato un apposito Ministero delle abitazioni. L’ “Housing Subsidy Act” del 1946 concedeva prestiti per tutti i tipi di abitazione, ma furono soprattutto le associazioni e le compagnie di edilizia sociale ad essere favorite nella costruzione di nuove case, arrivando a ricoprire un ruolo importante dal momento che si trovavano nella miglior posizione per risolvere effettivamente il problema sociale delle abitazioni. L’obiettivo principale alla base di questa nuova legge era quello di garantire che i costi delle abitazioni relative alle nuove costruzioni realizzate non fossero eccessivamente alti rispetto alle vecchie abitazioni. Uno degli strumenti principali utilizzati era quello di offrire prestiti con condizioni favorevoli (anche per abitazioni di proprietà), attraverso bassi tassi di interesse. Negli anni successivi si assistette alla ripresa del settore edilizio, con la costruzione di abitazioni, in particolare di case unifamiliari, grazie alla rinascita del settore economico in generale. Nel 1951 il “Rent Act” ampliò le precedenti disposizioni regolamentari degli affitti, e il divieto già esistente a dare disdetta agli inquilini fu esteso a coprire l’intero alloggio. Una delle conseguenze dei molti anni con un regime di affitti a basso prezzo fu che le vecchie strutture di proprietà privata date in affitto vennero trasformate in baraccopoli, portando alla richiesta o di rinnovare o di dichiarare inagibili le peggiori abitazioni. Negli anni Sessanta e Settanta, i residenti (per lo più giovani studenti universitari e gruppi di persone con basso reddito) si trovarono in disaccordo con questa politica. La ricchezza generale e i salari crebbero vertiginosamente negli anni Sessanta e sempre più persone potevano permettersi di migliorare la propria situazione abitativa, comprando case di proprietà. Molti ricchi salariati cominciarono a lasciare i loro appartamenti in affitto, tanto che iniziò ad essere difficile trovare inquilini per i nuovi complessi costruiti di edilizia sociale; gran parte delle case costruite negli anni Sessanta è infatti costituita da abitazioni monofamiliari. Il diritto alla detrazione del pagamento degli interessi dal reddito imponibile fu una sovvenzione indiretta. La continua inflazione, le basse tasse sulla proprietà e l’aumentare delle aliquote marginali resero finanziariamente vantaggioso, per le persone con redditi fissi , possedere una propria casa. Prima del 1940 non c’era un vantaggio finanziario associato a possedere una casa piuttosto che affittarla, ma negli anni Sessanta e Settanta, comprare una casa era il miglior investimento che si potesse fare. Fino a quando c’era un aumento dei prezzi, l’inflazione e un tasso di interesse realmente negativo, gli affari non sarebbero potuti andar male per i proprietari di case, anche se il loro capitale di acconto era basso, l’interesse nominale era alto. Questa tendenza proseguì 102
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relativamente immutata fino a metà degli anni Settanta, quando una recessione economica sulla scia della prima crisi petrolifera portò ad aumento della disoccupazione, alla stagnazione dei prezzi delle case, all’esproprio e a un calo nel numero delle nuove case costruite. A partire dalla fine degli anni Sessanta, la mancanza di case non rimase molto a lungo in cima all’agenda della politica delle abitazioni in Danimarca. Le nuove importanti idee chiave furono, e lo sono tuttora, il prezzo delle case e l’assegnazione di sussidi per le abitazioni. I problemi centrali in questo dibattito erano i seguenti: chi dovesse beneficiare da una possibile eliminazione della regolamentazione degli affitti; se i sussidi alle abitazioni, diretti e indiretti, dovessero venire assegnati in modo equo, e se essi dovessero essere eliminati, aboliti o ridistribuiti. Nel 1966 fu firmato un accordo relativo alle case, “Housing Regulation Act”, con ampio sostegno politico. Secondo l’accordo, il mercato delle abitazioni in affitto doveva essere normalizzato su un periodo di otto anni. Fu introdotto un processo schematico di sussidi per gli alloggi al fine di risarcire gli inquilini che non potevano permettersi affitti più alti. Inoltre divenne possibile suddividere le vecchie abitazioni di proprietà privata date in affitto, e venderle singolarmente come appartamenti liberi, registrandoli come separati, il che comportava la possibilità da parte degli inquilini di comprare le proprie abitazioni e beneficiare di un futuro aumento nel loro valore. 2.3.3. 1966-1980: fase di espansione I presupposti alla base dell’accordo del 1966 relativo alle case si dimostrarono sbagliati: i tassi di interesse non diminuirono, i prezzi dei terreni e di costruzione aumentarono, gli alloggi non vennero distribuiti uniformemente in termini geografici e non furono nemmeno sperimentati nuovi tipi edilizi. La vendita di abitazioni affittate in vecchie proprietà in affitto come liberi appartamenti fu molto criticata poiché la conseguenza fu l’aumento del valore della proprietà a vantaggio dei loro proprietari. Nel 1972 si pose fine alla possibilità di dividere le vecchie proprietà in appartamenti e venderle singolarmente. Nonostante questi problemi, il periodo tra il 1966 e il 1975 fu quello nel quale vennero costruite più case in assoluto, come mai prima era successo. Le nuove abitazioni realizzate erano sia private, occupate dai proprietari (principalmente case monofamiliari), sia di edilizia sociale. Anche se i complessi di edilizia sociale erano (e sono tuttora) di gran lunga quelli meglio attrezzati mai prima realizzati, risultò difficile trovare inquilini per le nuove abitazioni alla periferia della città, e si rese pertanto necessario il sostegno finanziario degli istituti di credito ipotecario, delle autorità locali e dello Stato. Le persone preferivano le case monofamiliari, e si trattava non solo della classe borghese, bensì anche di persone di estrazione sociale modesta, alcuni esponenti della classe operaia. In Danimarca ampie zone intorno a piccole e grandi città furono occupate da case monofamiliari, a tal punto che i critici parlavano dello spargersi di “una lava di abitazioni per singole famiglie”, intaccando il paesaggio. Nel 1975 sei partiti politici del parlamento danese proposero un accordo quadriennale sulle case che andasse a sostituire quello del 1966. La proposta consisteva nel garantire la costruzione di 40.000 nuove abitazioni ogni anno, comprese 8.000 di edilizia sociale. Il nuovo accordo era stato influenzato dal periodo di recessione e recente disoccupazione seguito alla crisi petrolifera del 1973. L’accordo inoltre consentiva ai gruppi di residenti di affittare i complessi edilizi nel settore 103
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privato, così come consentiva agli inquilini di istituire associazioni di cooperative edilizie per acquistare la proprietà al prezzo offerto come futuri acquirenti non residenti, nei casi in cui il proprietario avesse voluto vendere la proprietà. Questo diritto di prelazione e il supporto alle nuove associazioni di cooperative edilizie, che fu introdotto agli inizi degli anni Ottanta, comportò un aumento nel numero di associazioni di cooperative edilizie private. Fino alla fine degli anni Settanta, il rinnovo di quartieri della città con vecchie proprietà in affitto veniva tipicamente realizzato attraverso la demolizione in massa di intere aree e la costruzione di nuovi edifici. Questo atteggiamento cambiò alla fine degli anni Settanta, grazie all’aumento dell’opposizione della popolazione. Il nuovo approccio si poneva l’obiettivo di preservare gli edifici e favorire la rigenerazione urbana. Nonostante ciò, la rigenerazione urbana, che di fatto era intesa come riqualificazione delle abitazioni, non prese avvio seriamente fino al 1983, con l’adozione di un nuova legge ad hoc. Inizialmente la maggior parte dei progetti erano localizzati fuori dall’area della “Grande Copenhagen”; il quartiere Vesterbro dovette aspettare fino alla metà degli anni Novanta per essere interessato dal suo primo progetto di rigenerazione urbana. Le famiglie a basso reddito, spesso costituite da un’unica persona o da genitori single, cominciarono a dilagare nei complessi di edilizia sociale, insieme a persone socialmente emarginate, rifugiati e immigrati, mentre le famiglie che lavoravano, con bambini, appartenenti alle classi medie e lavoratrici si erano trasferite nelle case monofamiliari. 2.3.4. 1980-2001: fase di gestione e amministrazione La situazione dei complessi di edilizia sociale, caratterizzati da appartamenti vuoti a metà degli anni Settanta, non si stabilizzò. Nei primi anni Ottanta, non solo era difficile trovare inquilini, ma una gran quantità di edifici erano danneggiati, con forte degrado e problemi sociali. A ciò bisogna aggiungere la segregazione che diventò sempre più caratteristica nel mercato edilizio. Il primo passo per cambiare questa tendenza consistette nelle iniziative volte a eliminare i danni agli edifici e il declino della situazione finanziaria delle cooperative edilizie. Tuttavia, dopo alcuni anni, si rese evidente la necessità di misure supplementari per i complessi di edilizia sociale più degradati. Il mix di persone che qui vivevano non favoriva la situazione, i problemi sociali erano evidenti e numerose erano le lamentele per rumore e criminalità. Nel 1993 un comitato interministeriale, il “Comitato Città”, emanò un piano di azione caratterizzato da trenta punti, per combattere problemi finanziari, fisici e sociali da applicare in più di cinquecento complessi residenziali, entro il 1998. Questo piano, che comprendeva anche la riduzione degli affitti, frenò la tendenza negativa, senza però invertirla. Nel 1986 furono modificate le norme fiscali in modo che fosse ridotto il valore di trattenuta sull’interesse a disposizione dei proprietari di case. Allo stesso tempo furono adottate una serie di misure, soprannominate “the Potato Diet” (“la dieta di patate”), con conseguenti prescrizioni più severe verso le casse di acquirenti di proprietà e mutuatari. L’effetto di queste misure rigorose si manifestò seriamente nel 1987, quando la domanda nel mercato immobiliare scese drasticamente, e il calo dei prezzi, i fallimenti e l’esproprio portarono il settore della costruzioni di alloggi ad una battuta di arresto. Questa situazione durò fino al 1993, quando diminuì il tasso di 104
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interesse e diventò più facile prendere in prestito denaro, avendo come garanzia la proprietà di abitazioni dal 1945. Da allora il prezzo delle case ha cominciato ad aumentare, dapprima più lentamente, poi con maggior velocità: l’incremento è stato molto cospicuo nelle grandi città, mentre più modesto nelle parti più periferiche del Paese. 2.3.5 Dal 2001: crack nella politica delle abitazioni _ conversione o demolizione? Nel 2000 la politica abitativa danese si trovava in un momento di incertezza riguardo a problemi e sfide da affrontare. La maggior parte del lavoro fatto, finalizzato all’abolizione della regolamentazione degli affitti, non aveva portato ad alcun risultato positivo. Molti sottolineavano che continuare a sovvenzionare tutte le tipologie abitative non poteva essere una politica praticabile. Il Governo Socialdemocratico voleva maggiori finanziamenti privati per i progetti di rigenerazione urbana. Un nuovo governo liberal-conservatore pose fine al Ministero delle abitazioni e degli Affari Urbani nel novembre 2001, in seguito ad una campagna elettorale nella quale entrambi, Liberali e Socialdemocratici, promisero di non toccare il canone degli affitti delle abitazioni. I settori di competenza del Ministero cancellato furono trasferiti ad un certo numero di altri Ministeri. La regolamentazione delle abitazioni e del settore edilizio risultava organizzata in maniera molto simile a come era prima che fosse creato nel 1947 il primo Ministero delle abitazioni. Il Governo affermava che avrebbe proposto una riforma che avrebbe permesso ai residenti in alloggi di edilizia sociale di comprare la loro casa sia come appartamenti in piena proprietà sia come parte di un sistema di una cooperativa edilizia. Questo nuovo sistema venne sperimentato nel periodo 2005-2007. La collaborazione e le periodiche trattative che avevano avuto luogo tra l’Associazione Nazionale delle Società Edilizie e il Governo centrale arrivarono ad un punto morto a causa del cambiamento di Governo nel 2001 e non ripresero fino al 2006, anno di inizio della crisi finanziaria. Non è ben chiaro se tale crisi abbia avuto effetti negativi nel mercato immobiliare degli alloggi in affitto, ma si registrò nel periodo 2005-2008 un aumento nella costruzione di case singole e a schiera per privati, aumentarono i prezzi così come il ritmo di costruzione e la richiesta di materiali edilizi per soddisfare la domanda. Di seguito vengono riportati alcuni dati per fornire un’idea della dimensione di tale fenomeno.
anno
2000
2005
2006
2007
2008
2009
2010
2013
case
5.331
7.639
8.999
9.772
9.371
6.629
4.463
3.434
Numero di case unifamiliari costruite nel periodo 2000-2013
anno
2000
2005
2006
2007
2008
2009
2010
2013
condomini
4.877
9.509
9.478
11.875
7.949
5.423
3.454
5.561
Numero di condomini costruiti nel periodo 2000-2013
105
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Molte delle abitazioni costruite non sono state vendute, pertanto fanno parte del mercato affittuario. A seguito della crisi finanziaria e dell’emissione di prestiti ad alto rischio, molte cooperative edilizie hanno avuto problemi economici in anni recenti, che hanno portato allo scioglimento di una serie di cooperative. Queste proprietà sono quindi diventate nuovamente proprietà private date in affitto, proprio in seguito alla dissoluzione delle cooperative edilizie. Ciò ha portato ad un leggero aumento nel numero di abitazioni private in affitto, numero ulteriormente incrementato dagli appartamenti troppo cari rimasti invenduti, costruiti alla metà degli anni 2000. Viene proposta di seguito una tabella riassuntiva relativa all’evoluzione della legislazione danese riguardante il regime di affitto, per fornire una panoramica completa, ma sintetica, di tale percorso normativo. REGIME DI AFFITTO LEGISLAZIONE
DATA
NUMERO APPROSSIMATIVO DI ABITAZIONI “Value of the The Rent Act 1939 e Tutte le abitazioni 55.200 nel 2003 rented dwelling” or Lejeloven suc private in affitto (OECD 2006) “value of the costruite prima tenancy” del 1991, a meno Det lejedes værdi che sia in vigore in (DLV) quel comune l’ ”Housing Regulation Law” Cost-based rents Housing Regulation 1975 Edifici con più di 6 191.400 nel 2003 (Affitto basato sul Law unità costruite (OECD 2006) costo) Boligreguleingsloven prima del 1991. Omkostningbestemt Modulo husleje predefinito di regolamento solo per edifici in affitto in grandi comuni (con più di 20.000n abitanti), anche se le autorità locali possono decidere di non applicare questa legge. Small Buildings Housing Regulation 1975 Nei comuni non 142.000 nel 2003 (Piccoli edifici) Law regolamentati vale (OECD 2006) småhuse Boligreguleingsloven il Rent Act. In quelli The Rent Act regolamentati vale Lejeloven il Rent Act se gli edifici hanno 1-6 unità, ma di fatto 106
DA APPLICARE A
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Renovated dwellings (Abitazioni rinnovate)
Paragrafo 5.2 dell’ 1996 Housing Regulation Law Boligreguleingsloven
New buildings (Nuovi edifici)
1991
Penthouses (Attici)
2004
gli affitti sono determinati dal’ “Housing Regulation Law” Abitazioni in precedenza soggette a canoni di locazioni in funzione dei costi, che sono state oggetto di importanti miglioramenti (quelli che costano di più DKK 241.506 in totale, circa 31.800 euro, o DKK 2.112/mq, circa 292 euro/mq; il prezzo della superficie viene aggiornato annualmente) Gli edifici costruiti dopo il 1991 non sono soggetti alla regolazione degli affitti, se così è specificato nel contratto di locazione Nuovi appartamenti costruiti sul tetto di edifici in regime di affitto
12.500 nel 2003 (OECD)
17.400 nel 2003 (OECD)
Non si hanno informazioni
Fonti: Tenancy Law and Housing Policy in Multi-level Europe, National Report for Denmark, 2014; Jakob Juul-Sandberg
Diverse misure politiche negli ultimi anni, tra cui aumenti di sussidi al settore pubblico, hanno portato alla costruzione di nuovi alloggi di edilizia sociale (basati su sovvenzioni per definizione), ed un rilevante programma di manutenzione e rinnovamento è stato portato a termine nell’ambito del social housing esistente. Ciò significa che, ancora una volta, è diventato appetibile vivere in questo tipo di proprietà. Gli ultimi decenni sono stati caratterizzati anche da un continuo peggioramento dei problemi di segregazione, soprattutto etnica, nel settore dell’edilizia sociale e dalla crescente domanda di abitazioni di proprietà (occupate dai proprietari) nei dintorni delle grandi città. 107
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2.3.6 La situazione attuale del mercato immobiliare e della politica abitativa in Danimarca Attualmente, non c’è carenza generale di abitazioni in Danimarca. Nelle grandi aree urbane, soprattutto Copenhagen, vi è una forte domanda di alloggi in affitto a basso costo, ma l’offerta è sufficiente per soddisfare tale domanda. Gli studi affermano che in alcune zone ci potrebbe essere un aumento della domanda di alloggi in affitto da parte delle persone anziane che necessitano questo tipo di abitazione. Inoltre, la crescente domanda di alloggi in affitto è dovuta anche al fatto che i giovani lasciano prima la casa dei genitori, e in generale vi è una tendenza ad uno stile di vita da single. Il risultato futuro sarà probabilmente l’aumento della domanda di alloggi in affitto, ulteriormente incentivata anche dal calo dell’attività edilizia. Circa 542.738 immigrati e figli di immigrati vivono in Danimarca, ovvero il 9,8% della popolazione totale (2010). Le previsioni dicono che la popolazione crescerà da 5,8 milioni attuali a 6,1 milioni nel 205015. Fondamentalmente, quando l’economia danese è forte, l’acquisto di immobili risulta un’alternativa attraente all’affitto. In qualità di possessori di una proprietà, è possibile (se i prezzi sono in aumento) conseguire un profitto esentasse sulla vendita di una proprietà. Inoltre, il valore “tax-free” che insorge quando il valore della proprietà supera l’importo relativo a cui era stato acquistato, può essere ipotecato, permettendo al proprietario della casa di ottenere denaro. Un inquilino non può avere questo vantaggio e, d’altra parte, non potrebbe prendere in prestito grandi quantità di denaro da una banca o società di ipoteca, quindi sarebbe soggetto a un minimo rischio finanziario. Per i contratti di locazione che sono coperti dalla legislazione di affitto, compresa l’edilizia sociale, la crisi ha avuto un effetto molto limitato, in quanto gli affitti non sono impostati sui meccanismi che regolano il mercato; per quanto riguarda quelle tipologie di contratto che invece dipendono dei livelli di mercato, fortunatamente la crisi non ha avuto troppa influenza. Di seguito vengono meglio descritti i compiti degli attori governativi in materia di politica abitativa e vengono date alcune precisazioni per quanto riguarda la determinazione della qualità degli alloggi, secondo l’attuale normativa. Il regolamento adottato dal Parlamento stabilisce il quadro giuridico della politica abitativa danese. Il Parlamento danese è responsabile della progettazione della politica delle abitazioni che dovrà poi essere svolta a tutti i livelli governativi. Ad un grado inferiore, le autorità locali in alcune aree hanno la competenza di prendere decisioni politiche riguardanti la costruzione di alloggi sociali. Tuttavia, queste decisioni devono essere prese all’interno del quadro legislativo adottato dal Parlamento. Le singole autorità locali sono responsabili quindi dell’assegnazione di sussidi per l’alloggio (le modifiche all’entità di sussidi forniti devono comunque essere approvate dal Parlamento). 15 Statistica Danimarca: http://www.dst.dk/da/Statistik/emner/befolkning-ogbefolkningsfremskrivning/ befolkningsfremskrivning.aspx.
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Né la costituzione danese né obblighi internazionali hanno avuto un ruolo significativo nella creazione delle norme vigenti in materia di affitti, mentre gioca un ruolo molto importante la legislazione nazionale di tutela dei consumatori, che è caratterizzata da leggi obbligatorie. Pertanto gli accordi di locazione dovranno rientrare nell’ambito normativo di tale legislazione. Non esistono politiche abitative dirette a livello regionale. Le autorità locali possono decidere di sviluppare le loro aree (ad esempio rendendo la terra disponibile per la costruzione di case), purché ciò non sia in conflitto con la legge nazionale in materia di sviluppo. Alcune zone della Danimarca hanno una bassa densità abitativa e, soprattutto nel 2007, queste aree hanno sofferto particolari problemi economici, nel settore industriale soprattutto, causando la migrazione di persone da queste aree. I prezzi delle proprietà in tali zone sono generalmente più bassi rispetto ad altre parti del paese con una più alta densità abitativa, più vicine alle città principali e con un sistema di infrastrutture migliore. Indirettamente questo fenomeno influenza il mercato affittuario. Attraverso varie iniziative legislative si è cercato di combattere questa tendenza: non è stato sovvenzionato direttamente il mercato immobiliare, bensì si è ricorso ad altre strategie, ad esempio i privati hanno ottenuto agevolazioni sui trasporti per recarsi al lavoro da queste aree periferiche, e sono state avviate una serie di iniziative per incoraggiare la crescita di queste aree. Viene richiesto ad ogni autorità locale e regionale del paese di delineare politiche per lo sviluppo in questi settori. Dal 2006 è diventato possibile vendere alloggi sociali, con il risultato che questi immobili in affitto potevano essere convertiti in abitazioni di proprietà. Tuttavia questa possibilità è stata utilizzata solo in alcuni casi. Inoltre, fu ridotta l’opportunità di destinare alloggi vacanti di tipo sociale ad aree residenziali con un’alta proporzione di residenti senza occupazione. Per cercare di ampliare la gamma di persone che vivevano in queste zone, le organizzazioni edilizie acquisirono il diritto di non assegnare contratti di affitto ai richiedenti senza lavoro o che erano altrimenti in lista di attesa. Nel 2010, fu stabilito un nuovo accordo politico, in base al quale un notevole finanziamento veniva assegnato alla rigenerazione di aree di edilizia sociale con l’obiettivo di migliorare la loro competitività, alleviando i problemi incontrati nelle aree ghetto e combattendo le nuove tendenze verso la ghettizzazione. La “gentrification”16 esiste solo in misura limitata in Danimarca, pertanto questo fenomeno non ha creato alcun bisogno di introdurre una normativa speciale. Per quanto riguarda invece la determinazione della qualità degli alloggi, vengono analizzati di seguito i parametri ed eventuali standard che devono essere presi in considerazione. Si trovano requisiti qualitativi misurabili relativi agli standard di proprietà affittate solo in relazione alla locazione, ai sensi dell’articolo 5, comma 2, dell’ “Housing Regolation Act”: affinché un una proprietà possa essere data in affitto deve soddisfare i parametri ivi indicati, e devono essere stati effettuati miglioramenti con un valore di DKK 241.506 (circa 31.800 euro) o DKK 2.112/mq (circa 292 euro/mq). Non c’è nessun requisito che stabilisca che i miglioramenti debbano essere applicati solo alla proprietà in affitto in questione: può anche essere inclusa una percentuale di miglioramenti comuni. Quando si parla di miglioramenti apportati all’interno di una proprietà affittata si intendono, ad esempio, una cucina nuova, un nuovo bagno (spesso 16
Il termine “gentrification” (derivante da “gentry”, ovvero la piccola nobiltà inglese ed in seguito la borghesia) indica l’insieme dei cambiamenti urbanistici e socio-culturali di un’area urbana, tradizionalmente popolare o abitata da classe operaia, risultante dall’acquisto di immobili da parte di popolazione benestante.
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anche più ampio), nuovi servizi igienici, nuovi pavimenti e nuovi elettrodomestici. All’esterno invece i miglioramenti potrebbero riguardare la sicurezza antincendio, l’efficienza energetica ecc. Non è di facile interpretazione l’espressione secondo la quale l’oggetto di locazione deve essere “ampiamente migliorato”. Non è necessario comunque che gli interventi riguardino tutti i locali dell’alloggio, ma in generale deve essere migliorata la qualità complessiva. Dal 1 luglio 2014 è stato introdotto un nuovo requisito secondo il quale l’intera proprietà deve raggiungere una certa classificazione energetica prima di essere data in affitto. Se l’appartamento soddisfa tutti i requisiti ai sensi dell’articolo 5, comma 2, l’affitto può essere impostato ad un prezzo superiore rispetto a quello precedente alla realizzazione dei miglioramenti. Ciò rappresenta un incentivo sia per il padrone di casa, sia per l’inquilino che pagherà di più per usufruire del migliore standard qualitativo dell’appartamento. Negli ultimi 10-15 anni, il dibattito pubblico (e in qualche modo anche il dibattito politico) riguardante temi abitativi si è concentrato quasi esclusivamente su due questioni: l’aumento dei prezzi degli alloggi e la tendenza alla segregazione sociale ed etnica. In molti dibattiti riguardanti l’aumento dei prezzi degli immobili, il punto di partenza è la situazione nel 1993. Da allora, il prezzo medio delle case unifamiliari è salito costantemente. L’incremento registrato fino al 2007 era pari al 153%, con un tasso di aumento che dal 2000 al 2007 è arrivato al 20-30% e talvolta la 40%. Se però si prende in considerazione la media dell’aumento senza tener conto dello sviluppo generale dei prezzi, si può notare come in realtà la tendenza sia stata meno drammatica. Infatti, dal 2000 al 2005, quando si ebbe il maggior aumento, la media dell’incremento dei prezzi reali era solo del 30%. Tuttavia, tale percentuale non riflette l’enorme differenza che in realtà esiste tra le diverse regioni. Nella zone della Grande Copenhagen, la media dell’incremento era vicina al 45% (in alcuni luoghi anche di più), mentre non c’era un reale aumento in alcune zone sperdute del paese, dove in realtà i prezzi erano addirittura diminuiti. E’ quindi evidente che esiste una grande varietà per quanto riguarda i prezzi delle case unifamiliari nelle varie zone. Effettivamente il 1993 fu un anno molto particolare, nel quale i prezzi degli immobili raggiunsero il valore minimo dopo 6 anni di continuo calo. Se si prende in considerazione la situazione di quelle persone che hanno acquistato casa prima del 1993, i guadagni ottenuti variano molto poiché nel corso dei 30-40 anni precedenti i prezzi cambiavano spesso, con aumenti e diminuzioni altalenanti, ma i guadagni ottenuti sono decisamente inferiori a quelli delle persone che hanno acquistato casa dopo il 1993. Il guadagno delle persone che hanno acquistato casa nel 1970 è solo del 2% all’anno. Ciò equivale ad un valore di guadagno sull’investimento a lungo termine minore di quello che si sarebbe potuto ottenere investendo in azioni o altri titoli. Pertanto coloro che beneficiarono maggiormente dall’acquisto di una casa furono le persone che la comprarono nel 1993 in una delle aree in via di sviluppo. L’altro tema centrale nel dibattito è la segregazione sociale ed etnica, che purtroppo è diventata un problema in alcuni complessi di edilizia sociale. La percezione generale è che questo sia particolarmente vero ed accentuato in quei grandi edifici multipiano costruiti tra il 1965 e il 1979, tipici del periodo dell’industrializzazione, poiché sono le abitazioni di molti immigrati e non, con problemi finanziari e sociali. Le statistiche dei residenti confermano sostanzialmente questa percezione. Solo a Copenhagen e Frederiksberg la concentrazione dei residenti disoccupati è più alta negli edifici multipiano costruiti in un diverso periodo storico rispetto agli anni 1965-1979. Al contrario infatti, vivono in edifici realizzati dal 1980 che, tuttavia, sono molto simili agli edifici degli anni Sessanta e Settanta in termini di architettura e qualità. Per un certo numero di anni, 110
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sono stati fatti enormi sforzi per migliorare la situazione in questi complessi residenziali: rinnovamento, sostegno sociale, programmi di attività e , su base temporanea, riduzioni dei prezzi di affitto per convincere le persone a rimanere anche dopo che la loro situazione finanziaria poteva permettere il trasferimento in altre aree. Si scoprì che le iniziative di carattere organizzativo, sociale e finanziario combinate con la riduzione degli affitti avevano successo nel frenare la tendenza negativa nel mix di residenti, ma non ci furono esempi di inversione totale di tale fenomeno, non arrivando mai ad un processo di gentrification vero e proprio. Per fare ciò, sono necessarie più risorse ed iniziative sociali a lungo termine nei complessi residenziali in questione, combinati con iniziative di formazione e di occupazione rivolte ai molti residenti senza lavoro ed educazione.
Fig. 2.16: Grafico relativo al tipo di proprietà delle abitazioni Case occupate dai proprietari
1.309.409
Case in affitto
1.283.007
Case non registrate
234.386
Case non occupate
163.436
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Fig. 2.17: Grafico relativo al numero di stanze presenti nelle abitazioni danesi
Fig. 2.18: Grafico relativo alla tipologia di abitazione e anno di costruzione
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Fig. 2.19: Grafico relativo all’andamento nella costruzione dei vari tipi edilizi
Fig. 2.20: Grafico relativo all’andamento nella costruzione delle abitazioni, in base al tipo di proprietĂ
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2.4 Tipi edilizi: analisi delle caratteristiche sociali, demografiche e architettoniche dei differenti tipi edilizi in Danimarca L’offerta abitativa del mercato immobiliare danese può essere suddivisa in varie categorie, a seconda del criterio utilizzato. Di seguito, la categorizzazione principale viene fatta secondo il tipo di proprietà (singola proprietà, proprietà di una cooperativa edilizia, proprietà di un privato, in affitto da una compagnia di edilizia sociale). Nel corso dell’analisi, il criterio basato sul tipo di proprietà verrà combinato con quello relativo alle caratteristiche compositive dell’abitazione, ad esempio casa monofamiliare, casa a schiera e appartamenti in edifici multipiano. Le varie condizioni organizzative e finanziarie dei diversi tipi di proprietà hanno avuto un grande impatto sulla composizione sociale e demografica dei residenti. Precedentemente, nelle grandi città, solo gruppi relativamente benestanti potevano permettersi di possedere le case in cui vivevano, mentre le persone appartenenti a classi a basso e medio reddito erano normalmente inquilini in affitto. Questo panorama è cambiato negli ultimi 60-70 anni, durante i quali una grande parte dei lavoratori dei ceti medi è diventata proprietaria. Nelle aree rurali, invece, le case di proprietà sono sempre state prevalenti. È evidente che il tipo di proprietà ha un forte impatto sulla situazione finanziaria, sui risparmi, sugli schemi di mobilità e lo stile di vita dei residenti, tanto che spesso nel dibattito politico danese si afferma che le persone abbiano sviluppato una speciale “mentalità della proprietà”, un termine a volte usato in senso positivo, talvolta con accezione negativa. La scelta del tipo di proprietà influenza così il comportamento e le condizioni del residente, tanto quanto la posizione finanziaria e gli atteggiamenti generali influenzano la scelta di proprietà. Anche il mercato svolge un ruolo fondamentale, in particolare per il settore delle abitazioni occupate dai proprietari, dove il valore dell’immobile è determinato da fattori del mercato. Di seguito vengono elencati i cinque principali tipi di proprietà e tipologie edilizie: - case singole (monofamiliare o bifamiliari, occupate dai proprietari); - alloggi privati affittati; - alloggi di cooperative edilizie; - appartamenti “freehold”; - Social Housing. Infine è stata inserita un’analisi anche per quanto riguarda le abitazioni per anziani.
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2.4.1. Case singole occupate dai proprietari Storia delle case unifamiliari Come suggerisce il nome, una casa monofamiliare è un edificio per una singola famiglia circondato da un giardino. Le prime case monofamiliari, come noi le intendiamo oggi, furono realizzate alla fine del XIX secolo come case per gli stabilimenti alla periferia della città. A quel tempo, nelle città più grandi operai e borghesi vivevano generalmente in abitazioni in affitto di proprietà privata. Le case unifamiliari divennero presto un tipo edilizio molto popolare, anche se spesso irraggiungibile. Dopo la Prima Guerra Mondiale, le aree caratterizzate da case unifamiliari aumentarono sia nella capitale, sia nelle altre piccole e grandi città di tutto il paese, grazie a prestiti statali a basso interesse offerti nel tentativo di combattere la carenza di alloggi di quel tempo. Un terzo delle case unifamiliari che esistono oggi furono costruite prima del 1940. La vera grande ondata di costruzione di case unifamiliari arrivò nel 1960 e proseguì nel 1970. I redditi crescevano costantemente e il diritto a detrarre il pagamento degli interessi, combinato con un tasso di inflazione relativamente alto e un tasso di interesse reale negativo, permise agli operai e ai borghesi di acquistare la propria casa. Quando l’attività edilizia era ai suoi massimi livelli, alla fine degli Sessanta e all’inizio degli anni Settanta, venivano costruite circa 40.000 nuove case unifamiliari ogni anno. Da allora in poi la crescita annuale è andata diminuendo sempre più: il picco minimo è stato toccato nel 1993, con la costruzione di sole 1.400 nuove case unifamiliari. Nel primo decennio del XXI secolo venivano costruite circa 8.000 case monofamiliari ogni anno, mentre le case esistenti venivano ampliate o rinnovate. Nei cinque anni dal 2000 a l 2004, la nuova attività edificatoria aggiunse circa 2,9 milioni di mq al mercato edilizio delle case unifamiliari. Durante lo stesso periodo, il mercato già esistente crebbe di quasi lo stesso numero di mq (2,7 milioni) come risultato di ampliamenti di case esistenti. Le case unifamiliari sono la tipologia più comune in Danimarca: oggigiorno sono 1,1 milioni su un totale di 2,6 milioni abitazioni. Un terzo delle case unifamiliari vennero costruite prima della Seconda Guerra Mondiale, mentre circa il 50% nel periodo dal 1940 al 1980, e solo il 13% dopo il 1980. In media la superficie pavimentata occupata da una casa monofamiliare è 139 mq, ma le dimensioni dipendono dall’anno di costruzione: quelle realizzate all’inizio del XX secolo occupano 100 mq, laddove quelle realizzate tra il 1960 e il 1980 sono vicine ai 139 mq; le case costruite negli ultimi decenni hanno una superficie pavimentata di 150-160 mq e le dimensioni continuano ad aumentare. L’architettura delle case unifamiliari danesi presenta una grande varietà, ma all’interno di questa gamma si possono ritrovare un certo numero di tipi ricorrenti che hanno caratterizzato vari periodi: la classica villa, il bungalow, la casa “da lavoratore”. Tali case si trovano in tutte le città in Danimarca, ma generalmente una o due prevalgono in ciascuna zona, poiché la costruzione avveniva per aree compatte, in un breve arco di anni, durante il quale era in voga una specifica tendenza architettonica. Circa tre milioni di persone vive in case unifamiliari in Danimarca. In media le famiglie sono composte da 2,5 persone, di cui 0,6 sono bambini. I due terzi delle persone che vivono in case 115
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unifamiliari sono coppie sposate o comunque coppie. Si scopre sorprendentemente che ci sono bambini solo in un terzo di queste case, dato che riflette il profilo di età del gruppo di persone che vivono in case unifamiliari, e l’età media delle persone sta continuamente aumentando negli ultimi decenni. La tipica situazione che si riscontra è quella di una coppia sposata i cui figli sono andati a vivere fuori casa. Il numero di persone giovani intorno ai 30-35 anni che vive in case monofamiliari è andato diminuendo. Molte famiglie non possono realizzare il loro sogno di comprare casa fino a quando il capofamiglia non raggiunge i 40 anni. Un prerequisito per essere in grado di acquistare una casa unifamiliare è generalmente che gli acquirenti siano impiegati. Quasi l’80% di tutti i proprietari di una casa unifamiliare sono lavoratori, e una grande parte del restante 20% sono pensionati. Le uniche eccezioni in questo panorama si hanno in alcune aree periferiche del paese, dove le case unifamiliari sono così a buon mercato da risultare accessibili anche alle finanze di persone disoccupate o che vivono di sussidi sociali. Un altro criterio per analizzare il target di persone che vive generalmente in case monofamiliari, è capire chi non vive in esse. In primo luogo persone sotto i 30 anni di età. In Danimarca le persone lasciano casa molto giovani. Circa il 50% di tutti i ventenni ha lasciato casa, e all’età di 25 anni la percentuale raggiunge il 90%. Le persone giovani di solito si trasferiscono in case in affitto. Meno del 20% va subito a vivere in una casa di proprietà propria, e la maggior parte di essi in appartamenti di piena proprietà. La proporzione aumenta a circa il 33% quando questi giovani sono coppie, che per la maggior parte optano per una casa monofamiliare. Queste cifre riflettono la media nazionale che è fortemente influenzata dal fatto che è molto più facile acquistare una casa unifamiliare fuori dalle due più grandi città del paese, Copenhagen e Aarhus. Un altro gruppo di persone che raramente vive in case unifamiliari è quello degli anziani single: due terzi delle coppie sopra i 60 anni vive in case unifamiliari, mentre solo un terzo delle vedove e vedovi nella stessa fascia di età lo fanno, e anche un minor numero di persone anziane non sposate o divorziate. Infine, solo pochi immigrati vivono in case monofamiliari, anche se in genere con tanti figli, ovvero il tipo di famiglia che normalmente sceglierebbe una casa monofamiliare. Dal 1993, il costo delle case unifamiliari è cresciuto continuamente nella maggior parte del paese, soprattutto a Copenhagen, Aarhus e in altre città a est dello Jutland. Durante lo stesso periodo, i tassi di interesse sono diminuiti, compensando in un certo modo l’aumento dei prezzi, e sempre negli stessi anni i redditi reali sono aumentati del 2-3% l’anno. Nonostante tutti questi fattori, è diventato più caro per gli acquirenti comprare per la prima volta una casa monofamiliare nelle zone sopra citate. La media annuale del costo di acquisizione per un nuovo acquirente di un’abitazione nel 2006 in Danimarca era di 190.000 DKK (circa 25.675 euro). Questa media nasconde molte differenze regionali: nell’area della Grande Copenhagen il costo era di 200.000-300.000 DKK (27.000-40.500 euro), mentre nelle piccole città e nel resto del paese il costo è circa la metà, ovvero 100.000150.000 DKK (13.500-20.000 euro circa). Se si prendono in considerazione le differenze tra le spese degli alloggi e il reddito familiare, ci sono grandi disparità regionali in termini di possibilità di stabilirsi nella casa dei propri sogni. Una coppia con due redditi medi in genere raggiunge un reddito familiare lordo di DKK 500.000700.000 (67.500-94.500 euro circa). Se non possiedono un capitale derivato dalla vendita di 116
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un’altra abitazione o di un eredità, essi saranno in grado di acquistare un’abitazione che costa intorno ai due milioni di DKK (270.300 euro circa) se vogliono condurre uno stile di vita relativamente normale. Nell’area della grande Copenhagen, con questa cifra si possono comprare due-tre stanze di un appartamento, ma non una casa. Nelle zone meno interessanti di questa regione, i prezzi delle case cominciano a circa tre milioni di DKK, mentre i prezzi nelle zone più attraenti sono 4,5-5.000.000 DKK (608.000-675.700 euro circa) per case che hanno già 25-30 anni e con una superficie di 120-130 mq. I nuovi proprietari di queste case pagheranno tra 200.000 e 300.000 DKK all’anno (27.000-40.500 euro) per le loro case. Nelle piccole città al di fuori di Copenhagen, i livelli di reddito non differiscono molto dai livelli della Grande Copenhagen, ma il costo delle abitazioni si: il prezzo tipico di un’abitazione fuori da questa area è compreso tra uno e due milioni di corone, ovvero una spesa annua per l’alloggio che è circa la metà del prezzo pagato nella zona della Grande Copenhagen. Fuori Copenhagen, anche le persone a basso reddito possono possedere una casa propria. L’andamento dei prezzi nella zona della Grande Copenhagen ha causato preoccupazione riguardo una possibile futura carenza di alloggi attraenti per i gruppi a medio reddito. Il dibattito sugli alloggi si è spesso concentrato sui problemi riguardanti categorie lavorative quali i poliziotti e gli infermieri: se vogliono una casa di loro proprietà, devono allontanarsi 60-70 km dalla capitale per trovare case ad un prezzo accessibile, con il risultato di doversi poi spostare tutti i giorni, mattina e sera per raggiungere il posto di lavoro. Data questa situazione, alcune persone scelgono di cercarsi un lavoro locale, e per questo motivo nell’area della grande Copenhagen alcuni servizi pubblici del settore terziario hanno difficoltà nel reclutamento di nuovi dipendenti. Nella zona di Aarhus e nelle città immediatamente a sud, i livelli dei salari sono in gran parte gli stessi di quelli della Grande Copenhagen, ma i prezzi delle case sono 20-30% più bassi. Se le persone sono disposte ad aggiungere una distanza pari a 30 minuti di viaggio, possono trovare casa ad un ulteriore 20-30% in meno del costo. Quindi il problema non è così grave in quelle zone del paese. Futuro delle case unifamiliari Tutto sembra far pensare che le case unifamiliari rimarranno la tipologia più comune in Danimarca. Questa tipologia è quella dove le persone hanno il massimo grado di libertà, dal momento che, a differenza di altri tipi di alloggio, le case unifamiliari presentano pochi vincoli in termini di come le persone possono decorare e utilizzare le loro case. Per molte persone, la casa unifamiliare diventa un elemento chiave nel loro progetto di vita, una sorta di quadretto familiare personalizzabile ricco di ricordi. A parte queste considerazioni, non esiste un unico scenario futuro per le case unifamiliari. Le prospettive degli anni a venire dipendono dalla posizione delle abitazioni: è molto probabile che la domanda e di conseguenza i prezzi saliranno nelle aeree in espansione. E’ molto probabile che molte nuove case unifamiliari saranno costruite in quelle aree, e che diventeranno sempre più grandi. La dimensione media delle nuove case unifamiliari è ora 160 mq circa: la superficie media è infatti aumentata di circa 6 mq ogni dieci anni. Le zone più remote non interessate dall’espansione subiranno probabilmente una stagnazione o un calo della domanda. Tuttavia questa situazione può cambiare in alcune conurbazioni se la tendenza verso l’acquisto di una seconda casa continua e se diventa possibile convertire zone con case unifamiliari (che normalmente vengono utilizzate tutto l’anno) in case per week-end e vacanze. Le 117
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generazioni nate nell’immediato dopoguerra sono ormai in pensione o si stanno avvicinando e più della metà vivono in case monofamiliari e continueranno a farlo fino a tarda età. Una delle ragioni è che questa generazione ha regimi pensionistici privati (oltre che alla pensione statale generale) e pertanto gode di una buona posizione finanziari nella vecchiaia. Un’altra ragione è che le persone che possiedono una loro casa possono risparmiare per prendere una seconda casa. In questo modo la loro situazione finanziaria generale sarà ancora migliore nella vecchiaia. Ad oggi, quasi tutte le persone anziane che possono permetterselo preferiscono rimanere nelle loro case, almeno fino a quando il coniuge. Una spiegazione della bassa percentuale di persone che si muovono fuori dalle loro case a questa età è sicuramente il fatto che non è facile passare da una casa di 140 mq ad una unità di 70 mq, un altro motivo è che è difficile staccarsi da luoghi, mobili e soprammobili che rappresentano i ricordi di un’intera vita. Tuttavia dal 2020 in poi, un gran numero di case unifamiliari attualmente di proprietà di anziani verrà immesso sul mercato. Nel periodo successivo si assisterà molto probabilmente ad un elevato grado di rimodellamento ed estensione di queste abitazioni, una volta che i nuovi proprietari avranno preso il sopravvento. Quando una giovane famiglia subentra ad una coppia di anziani e non appena può permetterselo, comincia di solito una serie di lavori di conversione e rinnovamento dell’immobile, partendo dalla sostituzione della cucina. Spesso cambiano anche la disposizione e l’organizzazione delle stanze, modificando la cucina e la zona cottura, unendo le piccole camere dei bambini per ottenere stanze più grandi, convertendo i seminterrati in uffici domestici. Successivamente, vengono aggiunte le estensioni, tipicamente 30-50 mq. Già nel 2007, il grado di conversione, ristrutturazione e manutenzione delle case unifamiliari in Danimarca era quasi pari alla portata delle nuove attività edilizie e questa tendenza è maggiore oggi e lo sarà ancora di più nei prossimi 5 anni grazie al cambio generazionale: le case unifamiliari del futuro saranno quindi case unifamiliari del presente, ampliate e modernizzate. 2.4.2. Alloggi privati in affitto Storia del settore abitativo privato delle case in affitto Il settore abitativo privato delle case in affitto come lo conosciamo oggi risale alla seconda metà del XIX secolo quando l’industrializzazione portò ad una rapida urbanizzazione. Questo settore comprende sia le piccole ed economiche abitazioni per la classe lavoratrice, con una superficie di 20-30 mq senza le moderne comodità, sia i grandi e ben equipaggiati appartamenti di 150-250 mq per le persone alto-locate. La costruzione di abitazioni in affitto appartenenti al settore abitativo privato continuò per tutto il XX secolo, sebbene con alti e bassi che dipendevano dalle tendenze economiche e dalla redditività della costruzione di questo tipo di case. Per lunghi periodi di tempo, durante e dopo la Prima e Seconda Guerra Mondiale, la regolazione degli affitti rendeva poco attraente costruire e dare in affitto case, e fu durante questo periodo che prese il sopravvento il Social Housing no-profit. Nel periodo dopo la Seconda Guerra Mondiale, quasi il 40% del mercato immobiliare era rappresentato dal settore privato di case in affitto. Il picco venne raggiunto alla metà degli anni Sessanta, quando c’erano più di 0,5 milioni di unità abitative private in affitto. Queste abitazioni 118
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erano ben lontane dall’essere tutte uguali, variando da condizioni di qualità scarse e prezzi economici ad appartamenti ampi, in vetta al mercato immobiliare. Da allora il numero di case in affitto del settore privato è stato ridotto per due ragioni, nonostante la costruzione di case continuasse in questo settore: innanzitutto molti ampi appartamenti vennero venduti suddivisi come liberi appartamenti dopo l’accordo politico sulle abitazioni del 1966 e, successivamente, molti appartamenti furono venduti alle associazioni di cooperative edilizie dopo l’accordo del 1975. Il settore abitativo privato sta cambiando la sua immagine, passando dall’essere conosciuto come un settore con appartamenti basso-mediocri ed economici ad un settore che può offrire le migliori abitazioni sul mercato. Una delle ragioni di questo cambiamento è l’intensa rigenerazione urbana avvenuta dal 1970 al 2000, che si concentrò soprattutto sulle zone più abbandonate degli alloggi di questo settore. Queste iniziative hanno aumentato considerevolmente la qualità e le condizioni delle case in affitto del settore privato. Intorno al 2006 erano 454.000 le unità abitative in affitto nel settore privato, ovvero il 17% dell’offerta immobiliare totale, numero in continuo aumento. Più della metà furono costruite prima del 1940, mentre solo il 15% dopo il 1980. La dimensione media di un abitazione del settore privato è 87 mq, ovvero più ampi sia delle unità abitative delle cooperative edilizie sia di quelle del Social Housing no-profit. Tuttavia, il range all’interno del quale si colloca la media è molto ampio; c’è infatti una grande differenza nelle abitazioni per quanto riguarda le superfici occupate: ci sono case veramente piccole (il 17% ha una superficie pavimentata inferiore a 50 mq) ed alloggi molto grandi ( il 18% occupa più di 110 mq). Le abitazioni più ampie affittate appartengono proprio al settore privato, dove l’11% ha una superficie maggiore di 130 mq. La maggior parte delle case in affitto del settore privato si trova in edifici multipiano. La diffusione geografica è molto simile a quella del Social Housing, ovvero una distribuzione uniforme in tutto il paese. Anche se ci sono due eccezioni: nella città di Copenhagen e nel Comune di Fredriksberg c’è una percentuale relativamente alta di case in affitto del settore privato (un po’ meno di un terzo di tutte le unità abitative di quelle zone), considerando che tali sobborghi di Copenhagen che furono costruiti negli anni Sessanta e Settanta sono decisamente poco interessati dalla presenza di case in affitto del settore privato (mentre sono ampiamente presenti alloggi di Social Housing no-profit). Per quanto riguarda gli aspetti architettonici, c’è una grande varietà di offerta nel settore privato delle abitazioni. Gran parte di queste interessanti varianti si può notare nei tre quarti delle unità abitative collocate in edifici multipiano. Questi edifici hanno in comune molte caratteristiche architettoniche con quelli di edilizia sociale, a parte le discrepanze dovute alle differenze di età tra gli edifici dei due settori: infatti più della metà delle unità del settore privato furono costruite prima del 1940, che rappresenta il caso di solo il 2% degli edifici di edilizia sociale. La dimensione media delle famiglie che vivono in questa tipologia di alloggio è di 1,6 persone, e il 15% delle famiglie ha anche bambini. La percentuale di residenti attiva nel settore lavorativo è il 59%, leggermente più alta rispetto a quella delle persone del Social Housing no-profit e circa uguale a quella delle cooperative edilizie. Il profilo di reddito delle famiglie che vivono in affitto in 119
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abitazioni del settore privato è molto simile a quello delle famiglie che vivono in unità di Social Housing no-profit, mentre i livelli di reddito sono leggermente inferiori rispetto a quelli delle famiglie che vivono in abitazioni di cooperative edilizie e molto inferiori rispetto al reddito dei residenti in abitazioni occupate dai proprietari. Il profilo è influenzato dal fatto che ci sono molte famiglie costituite da unica persona nel settore privato, come nel caso degli alloggi di edilizia sociale. Il costo medio dell’affitto delle abitazioni nel settore privato era nel 2007 DKK 820/mq/anno. Considerando la dimensione media di una alloggio pari a 87 mq, il costo annuale dell’affitto era DKK 71.000. Tuttavia, sono presenti delle differenze tra i livelli di affitto della Grande Copenhagen e il resto del paese. A Copenhagen il costo annuale dell’affitto di un’abitazione media del settore privato era circa 80.000, ed attualmente il prezzo è maggiore ed in aumento. Analizzando i costi di affitto degli ultimi vent’anni, si può notare una tendenza interessante: mentre l’affitto medio delle vecchie case del settore privato era precedentemente del 30-40% al di sotto di quello delle unità simili di Social Housing, oggi i prezzi di affitto nei due settori sono uguali. Gli affitti di unità abitative relativamente nuove del settore privato, che di solito avevano lo stesso prezzo di affitto di unità abitative simili nel Social Housing, oggi sono notevolmente più alti. In sintesi, è ancora possibile trovare le abitazioni più economiche in affitto nel settore privato, in quanto ci sono ancora piccoli appartamenti che non sono stati tuttavia modernizzati. Nonostante ciò, sta diventando sempre più difficili trovarli, sia perché la rigenerazione urbana ha aumentato considerevolmente la qualità e le condizioni abitative, sia perché la modernizzazione degli altri vecchi tipi edilizi sta influenzando questo settore nella stessa direzione. A questo va aggiunto l’aumentare negli ultimi anni del numero di grandi e lussuosi appartamenti in affitto. Di conseguenza, l’offerta abitativa in questo settore sta cambiando radicalmente. Il futuro delle case in affitto del settore privato Fino a pochi anni fa, le unità abitative del settore privato si stavano lentamente avvicinando all’estinzione: il loro numero diminuì bruscamente, non risultando più attrattive per gli investitori. Questa situazione è cambiata. Alcuni partiti politici (liberali) espressero un chiaro desiderio che questo settore continuasse ad esistere e, in aggiunta, le fluttuazioni dell’economia, combinate con una vasta gamma di nuovi e vecchi (ma modernizzati) interessanti appartamenti, crearono una rinnovata domanda delle unità abitative in affitto. Al momento, il principale rivale di questo settore non è il Social Housing no-profit, e nemmeno le cooperative edilizie, bensì il settore delle abitazioni occupate dai proprietari, che offre alloggi ad un costo annuale maggiore, ma la prospettiva di redditi di capitale a lungo termine riduce notevolmente il costo effettivo. Tuttavia l’accesso ad un appartamento di piena proprietà richiede avere un capitale accumulato o comunque un credito elevato. Il vantaggio competitivo di un’unità abitativa in affitto è che gli inquilini devono solo essere in grado di pagare l’affitto mensile. Il motivo per cui il Social Housing non è un serio concorrente, nonostante gli affitti più bassi, è 120
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l’immagine problematica del settore, che è ancora associato alla responsabilità sociale di fornire un’abitazione ai gruppi più disagiati. Alcuni inquilini sono disposti a pagare un affitto più elevato pur di non vivere in un complesso residenziale dove problemi sociali, psicologici ed etnici fanno parte della vita quotidiana. 2.4.3. Alloggi di cooperative edilizie Storia delle cooperative edilizie Il concetto di cooperativa edilizia risale alle fine del XIX secolo, quando alcuni dei progetti di Social Housing del tempo furono organizzati in un sistema di cooperative edilizie, di solito sulla base di un’iscrizione alla cooperativa, e finanziati attraverso un continuo accumulo di risparmi in un’associazione edilizia; tali risparmi venivano poi utilizzati per la costruzione delle abitazioni e per la loro successiva assegnazione ai membri, nell’ambito di un regime di proprietà collettiva. Il termine è stato utilizzato, seppure in misura limitata, anche nel XX secolo, sia all’interno che all’esterno del settore del Social Housing. Il periodo d’oro delle cooperative edilizie è stato immediatamente dopo l’adozione dell’accordo sulle abitazioni del 1975. Secondo l’accordo, tutte le proprietà abitative del settore privato che venivano messe in vendita, dovevano essere offerte prima ai residenti. Se la maggioranza dei residenti poteva accettare di istituire una cooperativa edilizia e pagare il prezzo di mercato della proprietà, allora potevano comprarla. Allo stesso tempo fu introdotto un nuovo sistema di sussidi per le cooperative edilizie di nuova creazione, e offrendo continui contributi al pagamento degli interessi e alle rate sui mutui, le associazioni potevano pagare la proprietà. Grazie a questi modelli, le cooperative edilizie di nuova costruzione furono il tipo di alloggio più sovvenzionato in Danimarca per molti anni. Le sovvenzioni sono state eliminate dal 2000 al 2004. Ci sono attualmente circa 200.000 alloggi di cooperative edilizie in Danimarca. Le unità abitative di questo tipo sono le più vecchie rispetto alle altre categorie: circa il 60% di queste unità venne costruito prima del 1940, mentre il 30% dopo il 1980. La dimensione media di un alloggio è di 81 mq, leggermente più grande rispetto alle unità del Social Housing, ma considerevolmente inferiore rispetto alla superficie occupata da una casa unifamiliare. La maggior parte delle unità abitative (due terzi) ha una superficie pavimentata di 50-90 mq; solo l’8% invece supera i 110 mq. Proprio come gli alloggi del Social Housing e le case in affitto del settore privato, anche le cooperative edilizie hanno abitazioni prevalentemente collocate in edifici multipiano. Più del 70% di tutte le unità abitative di questo settore in Danimarca si trovano nell’area della Grande Copenhagen, e dominano il mercato immobiliare, soprattutto nella città di Copenhagen e nel Comune di Freideriksberg, dove rappresentano circa un terzo dell’offerta abitativa. Nelle cittadine fuori dall’area della Grande Copenhagen, la percentuale è meno del 3-4%. Non ci sono caratteristiche architettoniche comuni che caratterizzano le cooperative edilizie, così come non c’è una tipica architettura delle cooperative edilizie: la maggior parte degli alloggi era in 121
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origine appartenente al settore privato delle case in affitto costruite prima della Seconda Guerra Mondiale e di conseguenza riflette lo stile architettonico che è tipico di quella tipologia. Le abitazioni delle nuove cooperative edilizie costruite nel periodo dal 1980 alla fine degli anni ’90 hanno generalmente le stesse caratteristiche architettoniche degli alloggi Social Housing no-profit costruiti nello stesso periodo, ad esempio bassa densità abitativa. Alcuni complessi residenziali sono a regime misto, ovvero Social Housing e cooperative edilizie convivono uno accanto all’altro. Le persone che vivono in unità abitative di cooperative edilizie sono in totale 350.000 circa e in media ogni unità è abitata da 1,7 persone. Le famiglie sono prevalentemente coppie o persone single senza figli (solo il 14% delle famiglie ha bambini). In questo settore, i residenti attivi nel mercato lavorativo sono circa il 60% mentre il 40% sono persone che non lavorano o vivono di sussidi. Il reddito delle famiglie di questo settore è alquanto più elevato rispetto a quello delle famiglie che vivono in case in affitto del settore privato o in unità di Social Housing, ma considerevolmente inferiore rispetto al reddito delle persone che vivono in case di loro proprietà. A giudicare dalle attività lavorative dei residenti, non c’è stato nessun netto cambiamento nel mix delle persone qui residenti negli ultimi decenni. Quando una persona va a vivere in un’unità abitativa delle cooperative edilizie, essa paga una quota di proprietà e successivamente pagherà ”l’affitto” all’associazione della cooperativa edilizia. Il denaro viene utilizzato per il pagamento delle rate sui prestiti comuni contratti sulla proprietà e per le operazioni di manutenzione comune. Fino al 2000, il prezzo tipico di una quota nella vecchia cooperative edilizia era di DKK 100.000-300.000 (13.500-40.550 euro), e il valore dell’abitazione era pari al prezzo di acquisto originale più il costo dei miglioramenti apportati. La maggior parte delle associazioni cooperative controllava l’assegnazione delle unità abitative in modo da evitare che i soldi passassero sotto banco dal nuovo al vecchio proprietario. Purtroppo alcune persone approfittavano della situazione, e i nuovi proprietari dovevano pagare considerevoli somme di denaro per piccoli lavori o modifiche fatte dai vecchi proprietari. Oggi, tre diversi principi si applicano alla valutazione di un’unità abitativa di cooperative edilizie: il prezzo originale di acquisto, la più recente valutazione pubblica della proprietà e la valutazione di un perito del prezzo di mercato. La distribuzione ponderata tra i tre principi è la seguente: rispettivamente il 21%, 54% e 20%. Le associazioni di cooperative edilizie che hanno scelto di lasciare che il valore delle loro quote segua l’andamento dei prezzi del mercato ordinario, per gli appartamenti occupati dai loro proprietari (i cui prezzi sono stati determinati da un perito di valutazione) hanno beneficiato di aumenti di prezzo del 150% negli anni dal 2002 al 2007. Questo è un drammatico aumento, ma i prezzi non ancora raggiunto il livello delle abitazioni occupate dai proprietari. Anche le associazioni nelle quali il valore delle azioni viene regolato sulla base di valutazioni pubbliche, hanno visto aumenti relativamente alti dei prezzi negli ultimi anni. Il costo degli alloggi per un proprietario che aveva acquistato un’unità abitativa di cooperative edilizie prima che il valore di tali unità cominciasse ad aumentare notevolmente, dipenderà ovviamente dall’età, dalle dimensioni e dalla posizione della proprietà. Tuttavia, alla fine del primo decennio del XXI secolo, il costo mensile di un alloggio per un tipico vecchio appartamento con due-tre stanze a Copenhagen o a Freiderksberg, con una superficie pavimentata di 60-70 mq e un prezzo originale di acquisto di DKK 200.000-300.000 (27.000-40.550 euro), sarà di DKK 2.000122
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3.000 (270-400 euro) più gli interessi e le rate sulla quota, ovvero un ulteriore aggiunta di DKK 1.500-2.000 (200-270 euro) al mese. Il costo totale sarà dunque di DKK 40.000-60.000 (5.4008.100 euro), che è lo stesso di un simile appartamento in un complesso di edilizia sociale. Il futuro delle cooperative edilizie Per alcuni decenni, le nuove cooperative edilizie sono state il tipo di alloggio più massicciamente sovvenzionato in Danimarca. Per le persone in cerca di una casa, le cooperative offrivano il miglior rapporto qualità-prezzo; questa situazione è oggi cambiata. Le cooperative edilizie saranno probabilmente in grado di attrarre quelle persone (anziani) che prima hanno avuto una casa o un appartamento proprio, e che possono guadagnare una buona quantità netta di denaro quando li vendono, e dovranno utilizzarne solo una piccola parte per il pagamento dell’unità abitative della cooperative edilizia. Tuttavia, il vantaggio finanziario a lungo termine delle cooperative edilizie (soprattutto per i nuovi insediamenti) non è così certo. Questo è il motivo per cui alcuni complessi di nuova costruzione destinati originariamente a cooperative edilizie, sono stati finanziati e messi in vendita come alloggi di piena proprietà abitati dai proprietari. In certi casi, a parità di caratteristiche dell’unità abitativa, è persino meno costoso del 10% acquistare alloggi a condizioni standard di proprietà. Molte associazioni di cooperative edilizie discutono riguardo i principi per la valutazione del valore economico delle unità abitative di cooperative edilizie. La scelta tra i tre principi di valutazione spesso dipende dal mix di persone che risiedono nell’associazione edilizia. Nelle associazioni in cui la maggioranza dei residenti intendono rimanere (dove i residenti supportano l’idea originale che la cooperative edilizia è un tipo di abitazione no-profit che associava il meglio del sistema di case in affitto e delle case occupate dai loro proprietari), i residenti preferiscono in genere la valutazione sulla base del prezzo di acquisto originale; in queste associazioni ci sono spesso molte persone anziane. Nelle associazioni dove la maggioranza intende passare ad una dimora più grande e costosa, i residenti saranno generalmente favorevoli alla valutazione eseguita da un perito, basata sul prezzo di mercato. Tale approccio renderà possibile ai residenti attuali di trasferirsi in nuove e migliori abitazioni, ma le abitazioni risulteranno poco appetibili per i nuovi potenziali residenti senza risparmi. In alcune delle associazioni che hanno optato per questo approccio, la maggior parte dei residenti è costituita da giovani coppie consapevoli del fatto che la superficie media di 81 mq non sarà sufficiente quando avranno dei figli. Infine c’è un terzo principio di valutazione, adottato dalla maggior parte delle associazioni. Secondo questo principio, il valore delle singole azioni della proprietà segue la regolare pubblica valutazione della proprietà. Questo principio rappresenta la via di mezzo tra i due precedenti e può essere considerato il compromesso scelto nelle associazioni di cooperative edilizie quando vi è disaccordo riguardo quale principio usare. Il futuro delle cooperative edilizie risulta incerto dal punto di vista politico. Le idee originali alla base di questo tipo di alloggio e i trattamenti preferenziali finanziari ricevuti sono diventati rari e di poco valore. Nel momento in cui spariranno le differenze di prezzo e di possibili guadagni finanziari tra nuove unità di cooperative edilizie (e vecchie unità rinnovate) e case occupate dai 123
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proprietari, potrebbe diventare difficile difendere il principio di sovvenzionare le cooperative edilizie. 2.4.4. Appartamenti Freehold Storia degli appartamenti “freehold” Gli appartamenti detti “freehold” (ovvero quelli definiti anche come abitati dai loro proprietari) erano un nuovo tipo di casa che nacque dopo l’accordo sulle abitazioni stipulato nel 1966, che permetteva di vendere singolarmente gli appartamenti (o parti di esso) situati in edifici multipiano. Nei primi anni dopo l’adozione della nuova normativa, non c’erano restrizioni sul tipo di proprietà che poteva essere venduta con questo metodo: il risultato fu che molte proprietà in cattive condizioni furono vendute a prezzi di gran lunga superiore a quello che normalmente avrebbero avuto. A causa di molte estreme manovre speculative, la legge fu modificata nel 1972, in modo che le proprietà costruite prima del 1966 non sarebbero più state potute vendere come singoli appartamenti. Oggi quasi nessun vecchio immobile viene più venduto come singolo appartamento, ma alcuni nuovi alloggi in costruzione vengono già predisposti nell’ottica di venderli singolarmente. Nel 2007 gli appartamenti “freehold” erano 202.000, ovvero l’8% del patrimonio abitativo totale. Un terzo degli appartamenti sono stati costruiti prima del 1940, e solo il 20% dopo il 1980. La superficie media di questi appartamenti è 79 mq, quasi la stessa delle unità abitative delle cooperative edilizie, leggermente maggiore delle abitazioni del Social Housing e leggermente inferiore rispetto alla superficie media delle case in affitto del settore privato. Quasi tutti gli appartamenti “freehold” sono in edifici multipiano (89%); la restante parte si trova in genere in grandi case unifamiliari che sono state suddivise in due-tre appartamenti singoli. Per quanto riguarda gli aspetti architettonici, la maggior parte degli edifici multipiano nei quali si trovano gli appartamenti “freehold”, è simile agli edifici con case in affitto del settore privato. Tuttavia, ci sono una serie di interessanti eccezioni contemporanee, come alcuni edifici con sperimentazioni architettoniche costruiti recentemente, situati in zone attrattive della città, e progettati come appartamenti occupati dai proprietari. Può stupire il fatto che in realtà, solo il 50% di questi appartamenti sono occupati dai loro veri proprietari; non meno del 42% sono affittati. Tra i proprietari che effettivamente vivono attualmente nel loro appartamento, il 62% lavorano, l’11% sono studenti, e il 19% non lavorano più, tra cui molte sono le persone anziane. La cospicua percentuale di studenti riflette l’attuale fenomeno molto discusso dei genitori che comprano un appartamento per i loro figli che stanno studiando, usufruendo così di benefici fiscali. La conseguenza è l’aumento dei prezzi dei piccoli appartamenti “freehold” nelle città con molti istituti per l’educazione. In media, il livello dei prezzi per gli appartamenti “freehold” è superiore del 50-60% rispetto al livello dei prezzi per le case unifamiliari in termini di prezzo al mq. Tuttavia, poiché generalmente la superficie degli appartamenti “freehold” è solo circa la metà di quella delle case unifamiliari, il 124
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costo medio di un appartamento “freehold” non è così alto come il costo medio di una casa unifamiliare. Il futuro degli appartamenti “freehold” Il boom nel mercato immobiliare negli ultimi 8-10 anni ha portato ad un aumento del numero di nuovi appartamenti “freehold”. La maggior parte dei nuovi appartamenti sono piuttosto lussuosi e in buone posizioni, simili alle case unifamiliari in termini di apparecchiature e confort, con la sola differenza di essere più piccoli. Questi appartamenti si rivolgono ai gruppi più ricchi della popolazione. Si presume che un grande numero di acquirenti provenga da case unifamiliari vendute poiché i loro figli hanno lasciato casa. Questo mercato sembra essere vicino alla completa saturazione, ma molti appartamenti freehold, sia nuovi che vecchi, meno esclusivi, vengono ancora venduti a persone single o a persone che per la prima volta comprano casa. Le prospettive per gli appartamenti “freehold” sono positive. In primo luogo, una grande percentuale di persone in cerca di alloggio vuole comprare un appartamento per avere “beneficio dall’investimento”, in quanto ciò accrescerebbe le loro future possibilità di salire nella scala delle proprietà immobiliari, rispetto alle opportunità offerte rimanendo in un’abitazione in affitto. In secondo luogo, i metodi di accesso agli appartamenti “freehold” sono trasparenti, dal momento che le abitazioni sono negoziate in un mercato aperto. Ciò è in netto contrasto con le vie di accesso alle abitazioni economicamente più attraenti delle case in affitto nel settore privato, dove sono necessari “buoni contatti”, come d'altronde servono anche per entrare in una cooperativa edilizia. Inoltre è più difficile ottenere un appartamento in confortevoli complessi residenziali di Social Housing no-profit: a Copenhagen e Aarhus le persone possono rimanere in lista di attesa anche per 30 anni. 2.4.5. Social Housing Storia del Social Housing no-profit A metà del XIX secolo emerse l’idea di fornire alloggi di buone condizioni ai gruppi di persone deboli della società (servi, operai e persone meno abbienti). Una delle ragioni fu l’epidemia di colera che imperversava al tempo a causa di una combinazione di fattori non favorevoli, quali la scarsa qualità degli alloggi e delle condizioni igienico-sanitarie. Si formarono un certo numero di società filantropiche per organizzare la costruzione di complessi residenziali più piccoli, ma con spazi comuni e all’aperto più ampi, rispetto agli alti edifici del settore privato caratterizzati da massiccia densità abitativa, tipici del tempo. Inoltre c’erano numerose cooperative edilizie costituite da sindacati e datori di lavoro che costruivano alloggi meno densamente abitati per i loro membri. Nel periodo tra le due guerre mondiali, le associazioni edilizie, le cooperative e le società filantropiche erano rimaste le uniche a fornire alloggi sociali. Nel 1933 fu adottata la prima legge danese sui sussidi per associazioni edilizie no-profit al fine di fornire alloggi ai gruppi a basso reddito della popolazione. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, il tema delle abitazioni divenne la questione politica fondamentale in stretto legame con la costruzione dello stato sociale del 125
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benessere, e nel 1946 vennero stanziate delle organizzazioni e sovvenzioni molto simili al sistema attuale di Social Housing. Il numero di associazioni edilizie no-profit crebbe nei decenni successivi a causa della necessità urgente di fornire alloggi e per il desiderio sempre più grande delle autorità locali di avere un certo numero di unità abitative da utilizzare per risolvere i problemi sociali. La costruzione ed il funzionamento dei complessi di edilizia sociale sono di responsabilità di piccoli uffici di dipartimento, che sono in linea di principio unità finanziarie autonome. Il settore dell’edilizia sociale ha avuto il periodo di suo massimo splendore negli anni Sessanta e Settanta. In quegli anni, circa 10.000 nuove unità abitative venivano costruite annualmente, ed erano le più grandi e meglio attrezzate abitazioni mai costruite prima. Normalmente occupavano 110-120 mq di superficie, avevano quattro-cinque stanze, due bagni e ampi balconi. Il problema degli edifici di quel periodo è il fatto di essere delle grandi proprietà immobiliari in cui il mix di residenti è diventato problematico dal punto di vista sociale ed etnico, soprattutto negli ultimi decenni. Il settore dell’edilizia sociale conta oggi17 7.500 dipartimenti, organizzati in 700 associazioni edilizie in tutto il paese, ognuna basata su criteri no-profit. Ogni dipartimento ha un consiglio eletto dai residenti e responsabile del buon funzionamento del reparto. La maggior parte dei dipartimenti sono uniti in associazione edilizie che effettuano gran parte del lavoro amministrativo. Anche le associazioni edilizie sono gestite da un consiglio eletto dai residenti. In Danimarca ci sono in totale 595.000 unità abitative di edilizia sociale, ovvero il 20% dell’offerta abitativa totale danese, che conta circa 2,7 milioni di alloggi. Di queste, 490.000 sono abitazioni sociali per famiglie (82% del totale di abitazioni sociali), 75.000 sono alloggi sociali per anziani (12% del totale di abitazioni sociali) e 30.000 sono per giovani persone (6% del totale di abitazioni sociali). In media, le abitazioni del Social Housing sono la tipologia più recente presente sul mercato immobiliare danese: più della metà furono costruite dopo il 1970, mentre solo il 2% prima della seconda Guerra Mondiale. Un ‘unità abitativa di edilizia sociale ha mediamente una superficie pavimentata di 77 mq, minore quindi rispetto alla superficie media degli altri tipi edilizi. Solo il 4% di tutte le abitazioni di Social Housing presenta una superficie pavimentata superiore a 110 mq. La maggior parte delle unità abitative più ampie di edilizia sociale furono realizzate tra la fine degli anni ’60 e gli inizi degli anni ’70. In quel periodo, il Social Housing era in competizione con le case unifamiliari per stabilire quale fosse la tipologia abitativa ideale per una famiglia. Tre quarti di tutte le unità abitative Social Housing in Danimarca sono all’interno di edifici multipiano, mentre la maggior parte delle restanti unità sono case a schiera, complessi o case bifamiliari (solo il 2% sono case unifamiliari). Gli edifici multipiano erano predominanti nel Social Housing dal 1945 al 1975. Nel primo decennio dopo la guerra, gli edifici erano costruiti in muratura tradizionale, disposti in blocchi singoli o paralleli di appartamenti. Nei successivi 15-20 17
Dati relativi al 2014, fonte: Relazione riassuntiva ministeriale sul settore del Social Housing danese, Ministero danese delle Abitazioni e degli Affari Urbani e Rurali
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anni, la costruzione di alloggi di edilizia sociale fu pesantemente industrializzata su iniziativa del Ministero delle abitazioni di quel tempo. Furono costruiti moltissimi grandi complessi, con 1.0002.000 unità abitative, gli edifici diventarono incredibilmente alti e lunghi. Gli ideali architettonici del tempo favorivano uno stile industriale grezzo e minimal, in cui predominava l’uso del cemento. Negli anni Settanta arrivò la reazione allo stile di questo periodo: da allora si preferirono edifici a bassa densità abitativa. Più del 50% delle unità Social Housing costruite dal 1980 sono case a schiera o clusters. Anche il recente Social Housing è caratterizzato da bassa densità abitativa, anche se negli ultimi anni sono state realizzate molte varianti di edifici multipiano nell’area della Grande Copenhagen e nelle maggiori città del paese. Circa 935.000 persone vivono in unità abitative di Social Housing e in media ogni unità accoglie 1,8 persone, leggermente inferiore alla media di tutti gli altri tipi edilizi danesi (2,2 persone per unità). La tipologia principale di persone residenti in unità di Social Housing sono persone single senza bambini, che rappresentano il 54% dei residenti. Solo circa un terzo sono coppie, e meno della metà di queste coppie ha bambini, mentre l’11% dei residenti sono genitori single. Se confrontiamo questo target di persone con il contesto in cui originariamente era nata la filosofia del Social Housing, ovvero di fornire case comode e salutari a normali famiglie della classe operaia, è ovvio che la situazione è cambiata da allora. Nel 1970, quando il settore del Social Housing no-profit ebbe il periodo di suo maggior sviluppo, il mix di residenti che lo caratterizzava era pressappoco uguale a quello dell’intera offerta abitativa. Nei decenni intermedi, la maggior parte delle coppie si spostarono in case unifamiliari di loro proprietà. I modelli di famiglia sono però cambiati, e ora ci sono molte più persone single di allora: nel 1970 solo il 28% delle famiglie era costituito da persone single, percentuale che ora arriva al 44%. Ci sono altre caratteristiche da considerare in questo settore in termini di mix di residenti. Innanzitutto, vi è una buona presenza di persone anziane (con età maggiore di 67 anni), mentre una netta minoranza di persone in età lavorativa. Inoltre il settore è interessato per buona parte da immigrati e dai loro figli. In Danimarca, gli immigrati e i loro discendenti rappresentano nel complesso l’8% della popolazione, mentre costituiscono il 23% dei residenti in unità Social Housing, soprattutto concentrati nei grandi complessi industriali realizzati dagli anni Sessanta e Settanta. In alcuni di questi, la percentuale di immigrati è quasi del 100%, ma sono rare eccezioni. Infine, c’è normalmente una selezione nel mercato immobiliare dell’edilizia sociale, il che significa che il Social Housing è generalmente caratterizzato da residenti che sono disoccupati, o vivono di sussidi, o che si sono ritirati dall’attività lavorativa. Questi gruppi di persone rappresentano insieme più del 50% di tutti i residenti del settore del Social Housing, ma solo poco più di un terzo della popolazione nel complesso. Tra questi, molto rilevante è la presenza di persone che vivono di sussidi. Il prezzo di affitto nel Social Housing è in media di 600 DKK/mq/anno (circa 81 euro7mq/anno), pertanto considerando la superficie media di 77 mq, il costo annuale di unità abitativa è 46.000 DKK (circa 6.215 euro). Non vi sono grandi differenze nel prezzo di affitto tra l’area della Grande Copenhagen ed il resto del paese. 127
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Il paragone che nasce ovvio fare è con il prezzo di affitto delle case del settore edilizio privato: in questo settore la media annuale del costo al mq è circa superiore del 37%. Inoltre, dal momento che le unità abitative del settore edilizio privato sono generalmente più ampie rispetto a quelle del Social Housing, il prezzo di locazione è di fatto più alto del 50%: ciò dovrebbe determinare una maggiore attrazione del Social Housing sulle persone alla ricerca di un alloggio. In realtà questo non accade e la ragione è la cattiva immagine che si ha nella mentalità comune circa queste abitazioni, che vengono concepite come case per immigrati, perdenti ed emarginati, oltre al fatto che esistono ancora sul mercato abitazioni economiche affittate del settore privato. Il Social Housing rappresenta un quinto di tutte le unità abitative danesi. Questa porzione è considerevolmente cresciuta fino all’inizio del XXI secolo, ma questa tendenza si è poi stoppata. Proprio per la grande quantità di abitazioni Social Housing presenti all’interno del panorama dell’offerta abitativa in Danimarca, esso rappresenta un punto fondamentale dell’attenzione e del controllo politico. Questo settore è organizzato nei minimi dettagli, proprio perché il Social Housing è ancora in parte dipendente dagli aiuti e sussidi ricevuti dal governo locale e centrale per la costruzione dei complessi edilizi e per il pagamento degli interessi dei mutui ipotecari. Questa forma di controllo e regolazione esterna è rimasta praticamente immutata per decenni. Tuttavia, recentemente si sono verificate delle eccezioni in questo modello. Nel 2001 il Governo prima guidato dai Social-democratici è stato sostituito da un governo liberale. Per ragioni ideologiche, il nuovo Governo voleva vendere ai residenti alcune unità abitative del Social Housing, come era stato fatto anche nel Regno Unito negli anni Ottanta e nei Paesi Bassi negli anni Novanta. Questa manovra, oltre a far parte dell’ideologia del nuovo Governo, avrebbe garantito anche una maggiore variazione nel mix di residenti, come ci si aspettava risultasse in un mix di varie tipologie di proprietà. Grazie alla forte opposizione sia delle associazioni di edilizia sociale sia delle autorità locali, questo piano finì nella sperimentazione di uno schema pilota che non ebbe effetti considerevoli. Da allora, una relazione ministeriale ha suggerito un dibattito riguardo i principi per governare la futura organizzazione e i finanziamenti del settore Social Housing. La relazione sottolineava l’esistenza di tre possibili scenari: un settore Social Housing che rimanesse controllato da regole e norme e nel quale il Governo mantenesse il controllo; Social Housing liberalizzato controllato da forze di mercato; obiettivi e accordi gestiti da un’organizzazione Social Housing, nel quale le autorità locali determinassero gli obiettivi e il contesto consultando le associazioni di edilizia sociale. Sia le autorità locali che le associazioni di edilizia sociale preferiscono chiaramente l’ultimo scenario. Il Social Housing danese oggi Il quadro normativo riguardante il settore del Social Housing Danese è sostanzialmente basato su due leggi, ovvero il “Consolidation Act on Social Housing” e il “Consolidation Act on the Social Dwellings”, oltre ad un certo numero di regole esecutive. Il Social housing è costruito e gestito dalle organizzazioni di edilizia sociale; per le persone anziane può tuttavia essere gestito dalle municipalità danesi, dalle regioni e dalle organizzazioni indipendenti. Il termine “Social housing” indica tre differenti tipi di abitazioni: alloggi sociali per 128
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famiglie, alloggi sociali per anziani ed abitazioni sociali per persone giovani. Quei complessi residenziali per anziani in cui le aree di assistenza e servizio sono incluse, vengono chiamati case di cura. Gli alloggi sociali per famiglie o per persone anziane possono essere realizzate ed organizzate secondo modalità di case condivise. Le organizzazioni abitative sono soggette al controllo municipale e ad una serie di regolamentazioni riguardanti i tipi di attività che tali organizzazioni possono intraprendere. Il loro principale obiettivo è quello di costruire, affittare, gestire, mantenere e modernizzare le abitazioni sociali con servizi comuni ausiliari; inoltre queste organizzazioni sono in grado di portare a termine più da vicino determinate attività. Dal 1 gennaio 2010 la gestione nella costruzione del Social Housing è cambiata ed è ora basata su un modello di target e contratto di gestione. L’aspetto centrale di questo modello è il dialogo e la collaborazione tra il consiglio locale e l’organizzazione abitativa, con particolare attenzione alla risoluzione dei problemi e allo sviluppo a lungo termine. Inoltre, il modello consente una maggiore possibilità di soluzioni adeguate a livello locale, che è essenziale, per via delle grandi variazioni tra i mercati immobiliari locali. Gli elementi principali nella gestione del modello sono i seguenti: • Obiettivi e traguardi di gestione L’obiettivo generale del settore del Social Housing danese è quello di risolvere urgentemente i problemi sociali delle abitazioni. Questo obiettivo è implementato nelle clausole della sezione 6.1 del “Consolidation Act on Social Housing”, dove si stabilisce che il principale obiettivo delle organizzazioni di edilizia sociale è quello di fornire un alloggio appropriato per coloro che lo necessitano ad un prezzo di affitto accessibile. Di seguito vengono proposti una serie di traguardi di gestione che sono stati disposti per le organizzazioni Social Housing: - le organizzazioni abitative devono garantire una gestione efficiente e responsabile, anche delle loro divisioni; - i complessi del Social Housing devono funzionare bene economicamente e socialmente e avere un aspetto moderno e ben curato; - gli edifici devono avere alta qualità, e le organizzazioni abitative dovrebbero sforzarsi di ottenere il valore più alto possibile per i fondi investiti. Le spese e gli affitti devono essere mantenuti ad un livello tale da consentire alle abitazioni di rimanere in linea agli obiettivi stabiliti; - quando le abitazioni vengono lasciate, le organizzazioni abitative devono favorire quei gruppi che hanno difficoltà nell’acquistare case alle condizioni di mercato generali. Inoltre, le organizzazioni abitative devono promuovere una composizione varia delle persone residenti; - la gestione delle organizzazioni abitative deve esercitare una buona etica della gestione e del lavoro per favorire la partecipazione efficiente dei residenti. Da ultimo, la legge stabilisce che le organizzazioni abitative e i consigli locali siano vincolati a lavorare insieme per implementare gli obiettivi e i traguardi stabiliti. • Dialogo sulla gestione Si è constatato essere necessario stabilire un quadro per un controllo basato su un dialogo più proattivo, che possa più facilmente inserire lo sviluppo locale all’interno della politica abitativa. Il consiglio comunale è quindi ora tenuto a dialogare con le singole organizzazioni abitative 129
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attraverso incontri annuali circa le attività da esse svolte, tra cui lo sviluppo delle divisioni abitative individuali (dialogo di gestione): le organizzazioni, una volta all’anno, devono preparare e presentare al consiglio comunale una relazione sulle proprie attività, che costituisce la base delle riunioni annuali. Inoltre, il consiglio comunale deve pubblicare sul sito web del Comune una relazione relativa al dialogo e alla gestione adottata. Il consiglio locale può emettere ordini ritenuti necessari per garantire il corretto funzionamento di un’organizzazione di edilizia sociale e delle sue divisioni. Inoltre, il consiglio comunale può nominare un manager, incaricato di gestire l’amministrazione di un’organizzazione abitativa nel caso in cui le norme vigenti siano state violate. • Accordi; una crescente attenzione sull’utilizzo di accordi tra i consigli locali e le organizzazioni abitative, per una mutua coordinazione, decisioni riguardo costi eccezionali. • Politica fai da te; la politica fai da te delle organizzazioni abitative deve essere rafforzata, includendo le verifiche della gestione e i controlli di qualità. Questo contribuirà a spostare l’attenzione del controllo municipale da problemi interni delle organizzazioni abitative a problemi più generali e interdisciplinari delle organizzazioni abitative o nell’intero settore abitativo. • Documentazione; deve essere migliorata la documentazione delle operazioni e dei risultati delle organizzazioni abitative al fine di utilizzarla nella gestione del dialogo con i consigli locali. La riforma è stata gradualmente introdotta durante il 2010. Oltre all’aspetto normativo, bisogna considerare anche la gestione finanziaria che caratterizza queste associazioni. Le divisioni delle organizzazioni abitative sono alla base delle operazioni delle organizzazioni abitative e sono generalmente gestite dall’organizzazione abitativa alla quale appartengono, ma sono indipendenti dal punto di vista finanziario sia dalle altre divisioni, sia dall’organizzazione che la gestisce. Pertanto ogni divisione è un’unità economicamente indipendente, e ciò significa che i suoi guadagni (provenienti dagli affitti) devono coprire tutte le sue spese. Nel corso degli anni, l’edilizia sociale è stata finanziata in modi diversi, e la quantità di finanziamenti erogati da parte dello Stato, dalle autorità locali e dagli inquilini ha variato. Una caratteristica ricorrente ed importante è che i comuni hanno fornito sia una sovvenzione diretta sia sussidi di rimborso al prestito. Dal 2008, il prezzo di acquisto di alloggi Social Housing, alla quale l’amministrazione comunale si è impegnata a concedere aiuti per il rimborso dei prestiti, è stato finanziato come segue: - premi di locazione per gli inquilini: 2% - patrimonio comunale di base: 14% - mutui: 84% Ulteriori sovvenzioni sono state fornite agli alloggi Social Housing al fine di tenere bassi i prezzi di affitto. Alle aree di servizio in relazione agli alloggi per gli anziani, lo Stato fornisce sovvenzioni per un importo di 40.000 DKK (5.400 euro circa) per abitazione. I premi di locazione sono a carico degli inquilini al momento di prendere la residenza, e vengono a loro rimborsati a fine locazione; il premio di locazione non è regolato. 130
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I prestiti di capitale di base sono forniti dal comune in cui le abitazioni sono destinate ad essere realizzate. I prestiti sono privi di interesse, anche nei successivi 50 anni dal momento di occupazione della proprietà, e coprono il 14% del prezzo di acquisto delle abitazioni. Come regola generale, i comuni non possono aumentare i loro prestiti per finanziare il capitale di base. Per quanto riguarda i mutui ipotecari, il tipo di prestito che può essere utilizzato per finanziare le nuove costruzioni è specificato dal Ministro per gli Affari Sociali, in collaborazione con il Ministro dell’Economia e del Commercio, in modo che i mutui possano rapidamente e flessibilmente essere adattati alle condizioni di mercato, al fine di ridurre al minimo le spese statali. Attualmente le nuove abitazioni devono essere ipotecate con 30 anni di mutuo a tasso variabile, ed il saldo rimanente viene rifinanziato annualmente. Come requisito, il Comune deve fornire una garanzia per i prestiti ipotecari. Come regola generale, i pagamenti dei residenti ammontano al 2,8% annuo del prezzo di acquisizione della proprietà, più contributi attuali ai mutui, pari complessivamente al 3% del prezzo di acquisto di proprietà. I pagamenti devono essere effettuati inizialmente a tre mesi dalla data di inizio del prestito e sono adeguati ogni anno per 45 anni; per i primi 20 anni sono sottoposti all’intero aumento dell’indice del prezzo di consumo netto e, successivamente, al 75% dell’aumento. Il primo adeguamento viene effettuato un anno dopo il primo pagamento. La differenza tra i pagamenti dei residenti e il pagamento complessivo del prestito è pagata dallo Stato. Se i pagamenti dei residenti superano i pagamenti totali per il prestito entro i 40 anni dalla data di assunzione, l’importo in eccesso sarà trasferito a Nybyggerifonden (un nuovo fondo di costruzione). Dal momento che i prestiti hanno scadenza dopo 30 anni, lo Stato guadagna un notevole credito tra il trentesimo e quarantesimo anno dalla data di indebitamento. Dopo il quarantesimo anno, i costi dell’affitto non vengono abbassati; invece i fondi sono trasferiti al Fondo Nazionale Danese per la Costruzione (Landsbyggefonden), al Fondo di Disposizione per le organizzazioni abitative e al Nybyggerifonden, un terzo ciascuno. L’affitto per l’edilizia sociale è fissato sulla base di un principio di equilibrio, il che significa che il reddito dell’organizzazione abitativa deve coprire tutte le spese. Oltre alle spese di capitale (circa il 3% del prezzo di acquisto della proprietà), l’affitto copre tutte le spese operative, quali la manutenzione, straordinaria e ordinaria, ristrutturazioni, imposte e tasse, amministrazione ecc. Il principio alla base dell’assegnazione alle famiglie di abitazioni sociali rispetta una lista di attesa basata sull’ anzianità. Al fine di assicurare un uso appropriato del patrimonio edilizio, alcuni gruppi di persone hanno priorità rispetto ad altri nella lista di attesa: - gli anziani e i portatori di handicap hanno la precedenza su quelle abitazioni attrezzate ed adatte alle loro necessità; - le persone che già risiedono in una delle abitazioni delle organizzazioni abitative hanno la priorità su candidati esterni (diritto di avanzamento); - possono essere stretti accordi tra le organizzazione abitative e le autorità locali al fine di garantire un alloggio di adeguate dimensioni alle famiglie con bambini. Al fine di risolvere gli urgenti problemi sociali, tipicamente i senzatetto, l’amministrazione comunale può decidere di esercitare il proprio diritto di assegnare a loro un quarto delle abitazioni vacanti destinate normalmente alle famiglie e ai giovani, e di estendere tale nomina fino ad includere il 100% delle abitazioni vacanti in caso di bisogno. La nomina prende pertanto il sopravvento sulla lista di attesa. Inoltre, quando il comune nomina un inquilino, garantisce a pagare per le riparazioni alla dimora in cui l’inquilino disdice i locali. 131
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L’uso di liste di attesa, comprese le norme sul diritto di avanzamento, è stato fissato per legge nel 1992 per creare un sistema trasparente, equo e semplice di regole di affitto. Tuttavia, ha creato anche un sistema più rigido, che ha lasciato poco spazio per influenzare la composizione dei residenti. Per questo motivo, sono state apportate alcune modifiche per consentire maggiore flessibilità al sistema delle liste di attesa. Con un sistema flessibile di regole per l’assegnazione degli alloggi, il consiglio locale e le organizzazioni abitative possono accettare di assegnare abitazioni sociali per famiglie, sulla base di criteri di selezione. Non ci sono limitazioni sui criteri che possono essere utilizzati, essendo soggetti alle condizioni locali. Nei complessi di edilizia sociali meno privilegiati possono essere presi accordi per dare priorità in lista di attesa ai gruppi selezionati, ad esempio studenti o pendolari che lavorano in comune. Nelle divisioni meglio funzionati, d’altra parte, può essere utile prendere accordi per dare precedenza ai gruppi svantaggiati in lista di attesa. Inoltre, dove le divisioni hanno un elevato numero di residenti senza impiego, i comuni hanno avuto la possibilità di eliminare quei candidati che avevano ricevuto sussidi o assegni sociali a partire da sei mesi consecutivi. I comuni possono lasciare le abitazioni vuote fino a sei mesi, se dimostrano di lavorare assiduamente per attirare nuovi inquilini. Quando ciò accade, l’organizzazione abitativa e il consiglio locale prendono accordi per il rimborso delle perdite di reddito dell’affitto, in modo che tale perdita non gravi sulla divisione dell’organizzazione abitativa. Infine, le organizzazioni abitative e i comuni possono affittare abitazioni attraverso la pubblicità, ignorando la lista di attesa. Questo apparato funziona grazie ad un cospicuo sistema di fondi del settore pubblico; i mezzi sono raccolti dal settore dell’edilizia sociale e posti in numerosi fondi, con lo scopo di aumentare l’autofinanziamento del settore e risolvere i problemi in alloggi esistenti. La raccolta di mezzi si svolge sia a livello locale (nel Fondo di Disposizione individuale per le organizzazioni abitative), sia a livello centrale (nel Fondo Nazionale di Costruzione). I fondi di disposizioni appartengono ai singoli enti di alloggio e funzionano come ammortizzatori finanziari locali. I fondi sono finanziati dalle singole divisioni abitative, dove i contributi ai fondi vengono raccolti attraverso l’affitto, fino a quando il fondo ha raggiunto una certa dimensione minima. Attualmente vengono raccolti 227 DKK (31 euro circa) per abitazione all’anno, fino a quando il capitale totale del fondo ammonta a 4.391 DKK (594 euro circa) per abitazione (dati del 2011). Il Fondo Nazionale di Costruzione fu istituito nel 1967 con lo scopo di fornire sostegno finanziario ed assistenza qualificata alle organizzazioni di edilizia sociale. Tale fondo è finanziato attraverso i pagamenti delle divisioni di edilizia sociale in forma di contributi obbligatori versati dagli inquilini delle divisioni e stabiliti prima del 1970, così come attraverso il rimborso dei mutui ipotecari. I contributi obbligatori ammontano ad un totale annuale di 827 milioni di DKK (112 milioni di euro circa; dati del 2011). La maggior parte dei contributi vengono adeguati in base ad un indice normativo per l’edilizia abitativa. Uno dei principi fondamentali del settore Social Housing danese è quello che il pagamento dell’affitto,che copre le spese dei mutui di una divisione abitativa, continua anche dopo che il mutuo è stato ripagato. I complessi edilizi finanziati prima del 1 gennaio 1999, versano due terzi delle disponibilità liquide che sono state guadagnate come prestiti rimborsati al Fondo Nazionale di Costruzione. Il restante terzo rimane nel Fondo di Disposizione delle organizzazioni abitative e funziona come un ammortizzatore finanziario locale. 132
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Per gli alloggi finanziati dopo il 31 dicembre 1998, le disponibilità liquide vengono allo stesso modo divise in un terzo al Fondo di Disposizione e due terzi al Fondo Nazionale di Costruzione, che ne trasferisce metà al Landsdispositionsfonden (un fondo di disposizione centrale) e metà al Nybyggerifonden (un nuovo fondo di costruzione delle abitazioni). Nel 2008, i pagamenti al Fondo Nazionale di Costruzione derivanti dal rimborso dei prestiti ammontavano a 343 milioni di DKK (46 milioni di euro circa). Tali pagamenti aumenteranno e sono state stimate cifre pari a 2.520 milioni di DKK nel 2020 (340 milioni di euro circa). I mezzi raccolti dal Fondo Nazionale di Costruzione sono nuovamente riassegnati al settore dell’edilizia sociale attraverso i tre seguenti meccanismi: • Diritto di prelievo Un’organizzazione edilizia ha diritto a sovvenzioni pari al 60% dei suoi contributi obbligatori. Tali sovvenzioni possono essere ottenute per la costruzione, le conversioni, gli ampliamenti, la modernizzazione e il miglioramento di alloggi sociali. • Landsdispositionsfonden (Fondo di Disposizione centrale) Il restante 40% dei contributi obbligatori sono trasferiti al Landsdispositionsfonden, come lo sono i due terzi delle liquidità raccolte da alloggi finanziati prima del 1999, e così come un terzo delle liquidità provenienti da alloggi finanziati dopo il 1998. Le disponibilità liquide possono essere usate nei seguenti modi: - sovvenzioni per la ristrutturazione; - misure sociali e preventive; - finanziamenti per la demolizione; - cambiamenti alle infrastrutture; - sovvenzioni per nuove costruzioni • Nybyggerifonden (Fondo per la costruzione di case) Il Nybyggerifonden raccoglie le entrate provenienti da abitazioni finanziate dopo il 1998. In primo luogo queste divisioni versano al Nybyggerifonden tutti gli utili che possono ottenere nel corso dei primi 35 anni successivi al finanziamento. Tali utili rappresentano un guadagno se i pagamenti dei residenti per il mutuo superano i rimborsi dei mutui, a causa del rifinanziamento ipotecario annuale (mutui a tasso variabile). In secondo luogo queste divisioni delle organizzazioni abitative versano un terzo della liquidità acquisita dopo il trentacinquesimo anno successivo al finanziamento. Il risultato è che potrebbero volerci fino a 30 anni prima che Nybyggerifonden guadagni somme considerevoli. Le risorse del fondo devono essere utilizzate come contributi di rimborso del finanziamento per la costruzione di alloggi sociali. • Byggerskadefonden (Fondo per i difetti di Costruzione) Oltre alla Landsbyggefonden, per le abitazioni finanziate dopo il 30 giungo 1986, è stato istituito un fondo per i difetti di costruzione, ovvero per coprire eventuali spese di queste divisioni verso difetti registrati o comunque per la garanzia di qualità in generale (ispezioni dopo un anno e dopo cinque anni dalla costruzione). Il fondo comprende tutti gli alloggi di edilizia sociale e tutte le cooperative edilizie private sovvenzionate, istituiti dopo il 30 giugno 1986. I costi del fondo sono coperti da sovvenzioni pari all’1% dei costi iniziali di costruzione da ogni schema di abitazioni. Di 133
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conseguenza il fondo funziona come una sorta di regime di assicurazione. Il fondo copre il 95% del costo di eventuali riparazioni, e il resto viene pagato dai residenti. Dal 1 luglio 2011, il fondo ora copre i danni subiti a seguito di lavori di ristrutturazione di alloggi di edilizia sociale e altri alloggi. Ciò serve in parte per proteggere gli inquilini contro l’aumento indesiderato degli affitti a causa di danni subiti durante i lavori di ristrutturazione, in parte per evitare i danni e per aumentare la qualità dei lavori di ristrutturazione nel settore dell’edilizia sociale. Da ultimo viene presa in considerazione la questione sociale relativa alla problematica dei quartieri ghetto. La politica danese relativa ai quartieri ghetto dispone grandi sforzi verso quei grandi complessi residenziali, tipicamente di edilizia sociale, che sono caratterizzati da disoccupazione di massa, da un gran numero di bambini e da una grave presenza di minoranze etniche. La politica dei ghetto è stata messa in atto per considerare entrambe i seguenti aspetti: - i residenti: società parallele creano vincoli piuttosto che opportunità, hanno un effetto negativo in materia di immigrazione, contrastano gli sforzi fatti in materia di benessere sociale, occupazione lavorativa e integrazione, e lasciano i bambini e le persone giovani con prospettive di educazione e lavoro misere; - le comunità: insediamenti geograficamente e socialmente isolati dalla comunità circostante creano condizioni favorevoli per la nascita di società parallele, con norme devianti di comportamento e valori, e costituiscono una minaccia democratica per la coesione sociale. Dal 2002, la politica del ghetto è stata presentata in una serie di proposte di governo, più di recente in “Denmark 2020”, il programma politico del governo danese a partire da febbraio 2011. In questo programma , il governo danese ha promosso di elaborare una strategia globale di ghetto, introdotta nell’autunno 2010 con il nome di “Bringing the ghetto back to the community _ breaking away from parallel societies in Denmark” (“Riortare il ghetto alla communità _ rompere con le società parallele in Danimarca”). La logica di questa strategia è che alcuni complessi residenziali si tagliano fuori dalla comunità circostante, ed i loro residenti rimangono più profondamente legati al loro paese di origine. I ghetti pertanto devono essere trasformati per diventare parte integrante della società danese. Sono state individuate un totale di 29 aree, tutte caratterizzate da un elevato numero di residenti disoccupati, un numero relativamente elevato di criminali e molti immigrati. La strategia si concentra su cinque punti principali: - complessi residenziali più attraenti, attraverso demolizioni e cessione di immobili per cambiare l’apparenza di queste aree; - una composizione più equilibrata dei residenti. L’afflusso di residenti deve essere controllato attraverso una battuta d’arresto nell’assegnazione di alloggi a fuggiaschi e a persone provenienti da paesi extraeuropei; - un maggiore sforzo da parte di bambini e giovani, i quali devono migliorare le loro competenze ed imparare a leggere in danese. Ciò deve essere raggiunto attraverso la modifica dei dipartimenti scolastici e di quartiere, ad esempio combinando attività scolastica e programmi doposcuola. Inoltre, sono stati introdotti obbligatoriamente un’assistenza quotidiana pubblica ai bambini bilingue ed una maggiore responsabilizzazione dei genitori;
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- un aiuto per uscire dalla situazione di disoccupazione. Dovrebbero essere stabiliti dei centri di lavoro nelle zone ghetto per aiutare i residenti nel mondo del lavoro o nell’istruzione. La regola danese delle 450 ore deve essere rigorosamente rispettata, ovvero entrambi i partner di una coppia sposata devono documentare di aver lavorato 450 ore in un posto di lavoro regolare non sovvenzionato negli ultimi due anni, al fine di ottenere i loro assegni di benessere, e i sussidi per l’alloggio devono essere ridotti dove si verifica una mancanza di responsabilità genitoriale; - lotta contro la frode sociale e la criminalità. Uno sforzo da parte della polizia su scala nazionale, nonché un maggior coordinamento degli sforzi per combattere lo sfruttamento dei sussidi di disoccupazione, l’assistenza sociale e i benefici per il prepensionamento dovrebbero ripristinare un senso di rispetto verso la legge danese. La strategia comprende un totale di 32 iniziative e un’alleanza strategica ampliata con i 17 comuni danesi nei quali si trovano le zone ghetto. L’obiettivo di questa alleanza strategica è per il ministro degli Affari Sociali quello di concordare iniziative con ciascuno dei comuni coinvolti. Il futuro del Social Housing Il futuro non è determinato solo dalla politica delle abitazioni, bensì anche dagli sviluppi nel mercato immobiliare e nelle preferenze abitative delle persone. Riguardo ciò, il settore del Social Housing presenta maggiori problemi, poiché come è ben noto le abitazioni di edilizia sociale sono per la maggior parte occupate dai gruppi più deboli della società dal punto di vista sociale ed economico, e le autorità locali usano questa problematica come parte delle loro iniziative e politiche sociali. Per questo motivo, le persone sono riluttanti ad andare a vivere in abitazioni di tipo Social Housing, soprattutto in quelle parti del paese dove il prezzo delle abitazioni di piena proprietà sono talmente bassi da risultare accessibili alle finanze anche di persone a basso reddito. Nelle aree di Copenhagen e Aarhus, la pressione sul mercato edilizio è talmente alta che non ci sono problemi a trovare residenti per le unità di Social Housing, anche per le nuove unità in cui il prezzo di affitto è generalmente superiore alla media. La principale spiegazione a ciò è che il settore dell’edilizia privata è ancora più costoso, tanto da rendere quasi impossibile avere un’abitazione in associazioni di cooperative edilizie senza avere strette relazioni; inoltre il prezzo degli appartamenti e case di piena proprietà è talmente alto che una famiglia con medio reddito non può tuttavia permetterselo. Il declino dello stato sociale delle abitazioni di edilizia sociale negli ultimi 35-40 anni ha alimentato una certa impressione negativa di questo settore nel complesso sulle persone che cercano un’abitazione, anche a Copenhagen e Aarhus. Di conseguenza l’unità abitativa Social Housing verrà spesso considerata come una tappa durante il percorso di vita di una persona, che non appena raggiunge le possibilità economiche per farlo, si sposterà tipicamente in una casa unifamiliare di proprietà propria. Questa scelta di non stare in abitazioni Social Housing è rinforzata dalla tendenza generale tipica dei giorni nostri di considerare la propria abitazione e la sua personalizzazione come espressione della propria individualità. Riguardo a ciò, le abitazioni di piena proprietà (soprattutto le case monofamiliari) offrono alle persone molte maggiori opportunità di arredo e modifica degli spazi, a seconda delle necessità e requisiti. Nel complesso, il settore del Social Housing rischia di essere considerato solo come un settore adatto alla permanenza di gruppi socialmente deboli. Ciò manterrà ed anzi aumenterà la 135
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segregazione nel mercato edilizio, che già è presente al giorno d’oggi. La risposta a queste problematiche deve essere portata avanti dal settore stesso, aumentando la competitività di offerta attraverso migliori standard abitativi. Questo è il motivo per cui si suggerisce, nei prossimi vent’anni, che venga implementata una massiccia opera di rinnovamento e conversione al fine di rendere adatte le unità abitative del Social Housing ai futuri usi e funzioni, e quindi contrastare la tendenza tipica a vedere il Social Housing solo come un settore adatto a gruppi socialmente deboli. 2.4.6. Abitazioni per anziani Nel 2006 circa 1,1 milioni di persone in Danimarca avevano più di sessant’anni, ovvero il 20% dell’intera popolazione. Questa percentuale è destinata ad aumentare nei prossimi decenni, ed entro il 2020 raggiungerà il 30%. Quasi tutte le persone anziane vivono in abitazioni standard ordinarie: case unifamiliari, edilizia sociale, case in affitto del settore privato ecc. Solo una piccola parte (8%) vive in abitazioni che in un modo o nell’altro sono state appositamente progettate per soddisfare le loro esigenze. Di questo 8%, il 3% vive in alloggi di pensione sociale o case di riposo, e il 5% vive in case di cura con particolari attenzioni. Le case di riposo sono un genere di alloggi senza scopo di lucro, particolarmente adatte alle persone anziane in termini di ubicazione e attrezzature, ma senza assistenza e sostegno sul posto. Le case di cura invece offrono vari livelli di aiuto e assistenza in loco. In sintesi, la maggioranza delle persone anziane rimangono nella loro casa fino alla morte. Tuttavia, è in aumento il numero di persone anziane che si trasferisce in case di cura: nel segmento di popolazione con più di 90 anni circa, un terzo delle persone vive in case di cura, porzione che supera il 50% nelle persone con più di 95 anni. E’ comunque più corretto affermare che in Danimarca la tipica dimora per anziani è la casa ordinaria, senza caratteristiche specifiche. La maggior parte delle persone anziane vive in case uni o bifamiliari che possiedono (47%); il 36% vive in alloggi in affitto, prevalentemente di edilizia sociale. Negli ultimi decenni la tendenza notata è un aumento di persone anziane che vivono in case unifamiliari e abitazioni di cooperative, mentre vi è stato un calo di persone che vivono in affitto in abitazioni del settore privato. Una spiegazione importante del motivo per cui la maggior parte delle persone anziane in Danimarca preferisce rimanere nelle case dove hanno sempre vissuto, è che possono ricevere assistenza a casa nel momento in cui diventassero fragili o malati. E’ l’autorità locale che sovvenziona gli aiuti sulla base dei bisogni e delle esigenze di ogni singola persona anziana, indipendentemente dal tipo di alloggio. Sono attualmente due le tipologie di alloggio appositamente progettate per le esigenze delle persone anziane: gli alloggi di pensione sociale e le case di cura. Alloggi di pensione sociale e case di riposo Gli alloggi no-profit di pensione sociale sono molto simili alle normali piccole residenze di edilizia sociale no-profit. In media hanno una superficie pavimentata di 65 mq, massimo 85 mq. Sono 136
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dotati di bagni relativamente ampi e cucine adatte anche per persone in sedia a rotelle e sono ovviamente facilmente accessibili ai disabili. L’amministrazione sociale delle autorità locali competenti assegna questo tipo di abitazione alle persone anziane candidate (di solito single, vedovi e vedove). Dopo che alla persona è stata assegnata un’abitazione, viene firmato un ordinario contratto di locazione con la cooperative edilizia che gestisce il complesso residenziale in questione. Qualsiasi aiuto domestico e cura necessaria verranno forniti dall’amministrazione sociale dell’ente locale indipendentemente dal tipo di unità abitativa occupata dal richiedente. Prima dell’introduzione del sistema attuale di abitazioni di pensione sociale, diverse autorità locali provvedevano alla realizzazione ci case per anziani vicino alle case di cura (attualmente le convertendo in abitazioni di pensione sociale). Case di cura con particolari attenzioni Precedentemente, le case per anziani e in particolar modo le case di cura, erano organizzate come istituti che sembravano ospedali. Alcuni vecchi istituti sono stati ammodernati e convertiti in case di cura più moderne, ma ce ne sono ancora vari in vecchio stile. Le case di cura moderne, sono organizzate come unità indipendenti con una piccola cucina e un bagno. Oltre alle abitazioni individuali, c’è un salone per gli incontri di gruppo e in molti casi anche una grande sala comune con cucina, a servizio di tutti i residenti. Il personale è a disposizione per pulire, servire cibo, fornire cure personali e sostegno ai residenti. Queste abitazioni sono affidate dai servizi sociali alle autorità locali e successivamente assegnate ad ogni singolo inquilino a condizioni ordinarie, stabilite in un contratto di locazione. I criteri di assegnazione delle abitazioni sono molto rigidi nella maggior parte degli enti locali. Le persone anziane devono essere molto deboli fisicamente o mentalmente per essere considerati possibili candidati all’assegnazione di un’unità in case di cura di questo tipo. Quando si parla di criteri rigidi si fa riferimento al fatto che normalmente il periodo medio in cui un anziano vive in queste case di cura prima di morire è solo uno o due anni. L’alto tasso di mortalità rispecchia indirettamente il fatto che solo 45.000 persone vivono nelle 47.000 unità abitative a disposizione in case di cura di questo tipo, il che significa che almeno 2.000 sono disponibili per l’affitto. Cohousing per le persone anziane Il Cohousing per gli anziani è normalmente organizzato secondo uno dei tre sistemi abitativi seguenti: alloggi no-profit, cooperative edilizie e case occupate dai loro proprietari. La caratteristica comune ai tre schemi è quella di essere alloggi predisposti da un gruppo di anziani che vogliono vivere in una comunità sociale intima più ristretta rispetto a quella che normalmente troverebbero in un’area residenziale. I tre sistemi rappresentano gradi di comunità diversi, ma tipicamente comprenderanno, pasti comuni, incontri di gruppo, varie attività ed esercizi per praticare tutti gli interessi e le passioni. I residenti spesso si aspettano che la comunità fornisca in qualche modo aiuto e sostegno nei momenti di malattia e fragilità. In pratica, tali comunità non sono in grado di fornire assistenza a lungo termine, perciò, come è consuetudine in Danimarca, tali sevizi sono invece forniti da professionisti, colf e infermieri di distretto. Ci sono 137
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attualmente circa 3.500 abitazioni con 5.000 residenti in sistemi di cohousing per le persone anziane. A confronto, più di un milione di persone sopra i 60 anni di età ha scelto di rimanere a vivere nelle proprie case ordinarie. A conclusione di questa tema, viene inserita di seguito una tabella riassuntiva delle principali caratteristiche relative alle tipologie di abitazione prima descritte, mentre nelle pagine successive vengono proposte delle schede con due progetti esempio per ciascun tipo edilizio.
Case singole
Case Cooperative Appartamenti settore edilizie “freehold” privato in affitto 454.000 200.000 202.000
Social Housing
N. unità abitative A % unità abitative B rispetto al totale I Prima % unità del T A abitative per 1939 periodo di 1940Z costruzione 1959 I 1960O 1979 Dopo N il 1980 I Superficie media unità abitative A N. residenti B N. membri in media per I famiglia % di famiglie con T bambini A % residenti lavoratori N % residenti non T lavoratori
1,1 milioni 42%
17%
7%
8%
20%
34%
54%
59%
2%
13%
12%
40%
19%
9% 4%
42% 11% 33%
38%
13%
15%
28%
14%
36%
139 mq
87 mq
81 mq
79 mq
77 mq
3 milioni 760.000 2,5 1,6
350.000 1,7
340.000 1,7
36%
15%
14%
13%
23%
79% 21%
59% 41%
63% 37%
78% 22%
49% 51%
595.000
24%
935.000 1,8
I C O S T O
1.366 Costo medio al mq/anno DKK (185 euro) 190.000 Costo per unità abitativa DKK media all’anno (25.675 euro)
820 DKK 490-740 (110 DKK (66euro) 100 euro) 71.000 DKK (9.600 euro)
138
2.340 DKK 597 DKK (315 euro) (80 euro)
40.000185.000 DKK 46.000 60.000 DKK (25.000 euro) DKK (5.400(6.215 8.100 euro) euro)
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2.5 Copenhagen città sostenibile 2.5.1. Atlas of Copenhagen/s
Da sempre Copenhagen è annoverata tra le città più ecologiche e green d’Europa, ma negli ultimi anni si è affermata a livello internazionale come città leader in quanto a sostenibilità, tanto da meritare soprannomi quali “Città più vivibile del mondo”, “Capitale verde d’Europa”, “Ecometropoli mondiale”, ecc. Proprio da queste designazioni attribuite alla città è nata l’idea di una collaborazione tra professori e studenti della KADK (The Royal Danish Academy of Fine Arts, School of Architecture) per portare avanti un progetto che indagasse a fondo gli indici e le statistiche utilizzati nel caso della città di Copenahgen per redigere le classifiche internazionali; infatti la capitale danese, oltre ad aver meritato quella serie di soprannomi, si è piazzata in testa a classifiche mondiali quali il Monocloe’s World’s Most Liveable City Index (2008 e 2013), il Siemens European Green City (2009), il Tree Hugger’s Best City for Cyclists (2010). Il progetto durato due anni fu presentato nel 2013 dalla rivista Abitare (Abitare 535, settembre 2013) ed è poi sfociato nella pubblicazione del libro Atlas of Copenhagens nel 2014. Le due principali questioni affrontate nel progetto riguardano i confini territoriali della città e i criteri da considerare quando si parla di sostenibilità, ovvero la risposta alle due domande: Qual è la città di Copenhagen? Cosa si intende con il termine sostenibilità? L’analisi di seguito svolta prende spunto dai quesiti presentati all’interno di Atlas of Copenhagens, senza ripercorrere lo studio portato avanti nel progetto, bensì utilizzandolo solo come punto di partenza per trattare il tema della sostenibilità. La risposta al primo quesito prende in considerazione il fatto che ormai non si possa più parlare della sola Copenhagen, bensì della Greater Copenhagen: non verrà qui approfondita questa tematica in quanto parzialmente già trattata nei paragrafi precedenti in relazione all’espansione urbanistica della città. Per quanto riguarda invece il secondo quesito, la risposta verrà data analizzando le strategie e i piani proposti e adottati dalla città per raggiungere l’obiettivo della sostenibilità, analizzando quindi i criteri ed i fattori che contribuiscono a renderla un modello a livello mondiale. 2.5.2. Copenhagen, smart and green city Un pianeta sostenibile inizia da città sostenibili: più del 50% della popolazione mondiale risiede nelle città e questa percentuale è in continuo aumento; ciò rappresenta un segnale d’allarme in quanto i residenti in città, oltre a creare ricchezza e benessere, sono responsabili di circa il 75% delle emissioni di CO2. Ridurre le emissioni di anidride carbonica è solo uno degli strumenti che consentono di raggiungere l’obiettivo della sostenibilità, ma è ormai di fatto diventato improrogabile: costituisce quindi una condizione necessaria ma non sufficiente per poter parlare di Sustainable City.
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Copenhagen vuole diventare entro il 2025 la prima città al mondo zero-emissiva: un obiettivo ambizioso e difficile da raggiungere, che richiede un’attenta pianificazione e iniziative a lungo termine, ma non impossibile dal momento che la capitale danese nel 2011 aveva già ridotto l’emissione di CO2 del 21% rispetto al 2005. Un preciso piano d’azione è stato elaborato a questo fine, CPH 2025 Climate Plan, e le principali iniziative proposte appartengono a quattro macro-ambiti principali: - mobilità - consumo di energia - produzione di energia - amministrazione urbana
Il CPH 2025 Climate Plan è un piano globale in cui gli sforzi per ridurre il consumo di energia sono strettamente connessi alla sua produzione e trasmissione, legame favorito dal forte grado di integrazione e dalla collaborazione tra settore energetico e dei trasporti. Gli investimenti dell’amministrazione sono indirizzati al miglioramento e sviluppo delle aree verdi, al fine di favorire la mobilità dolce e le iniziative sociali, oltre che all’innovazione tecnologica per sviluppare nuove soluzioni che consentano di produrre “energia pulita”. Verranno di seguite analizzate in dettaglio le iniziative promosse e adottate dalla città all’interno dei quattro macro-ambiti principali. MOBILITA’ •
Bicicletta
Muoversi in bicicletta è sempre stata una tradizione danese, ma Copenhagen si è dimostrata un passo avanti rispetto alle altre città, inglobando le piste ciclabili e la mobilità dolce nella pianificazione urbana, facendone peraltro uno dei suoi punti forza. La maggior parte degli abitanti a Copenhagen predilige infatti muoversi con il sistema più economico, veloce, comodo e conveniente: la bicicletta appunto. I numeri parlano chiaro: le statistiche dimostrano infatti che dal 2011 al 2015 si ha avuto un notevole incremento degli utenti che ne fanno uso per andare al lavoro o raggiungere il luogo di studi, passando dal 35% al 50%.
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Le principali soluzioni adottate per favorire l’utilizzo della bicicletta sono innanzitutto il ruolo centrale che le infrastrutture per ciclisti hanno nella pianificazione urbana e nel design dei percorsi, cospicui investimenti per realizzare piste ciclabili ininterrotte che connettano tutta la città, un design ottimale delle intersezioni tra i vari percorsi, un’attenta manutenzione delle piste, un facile intercambio di mezzi per il passaggio dalla bicicletta all’uso di servizi di trasporto pubblico, predisposizione di ampi e comodi parcheggi appositi, costruzione di ponti ciclo-pedonali, campagne che incentivino all’utilizzo della bicicletta e una particolare attenzione alla sicurezza sulle due ruote. Inoltre sono state predisposte le cosiddette “Green waves” lungo alcune delle arterie cittadine principali di scorrimento che favoriscono le biciclette grazie ad un sistema specifico di semafori che consente ai ciclisti di viaggiare a 20 Km/h senza mai fermarsi. I benefici riscontrati sono notevoli: una riduzione del livello di rumore e delle emissioni di CO2 e inquinamento, maggiore salute dei cittadini, un sistema di infrastrutture low-cost, brevi tempi di spostamento e diminuzione della congestione da traffico e un miglioramento generale della vita urbana.
Fig. 2.20: Immagini tratte da “Copenhagen, solutions for sustainable cities”, Copenhagen Municipality
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Trasporto pubblico integrato
Come in molte altre importanti città, anche a Copenhagen la crescita economica avvenuta in passato aveva causato un aumento nell’utilizzo dei mezzi di trasporto privati e di conseguenza congestione nel traffico cittadino, situazione oggi brillantemente risolta grazie ad investimenti indirizzati al miglioramento della rete di trasporti pubblici al fine di renderli efficienti, veloci e integrati, tanto che oggi Copenhagen è una delle città al mondo con il miglior livello di servizio pubblico di trasporti e livelli di inquinamento ampiamente al di sotto delle medie internazionali. Le principali soluzioni adottate per raggiungere questo obiettivo sono state innanzitutto cospicui investimenti nel miglioramento delle infrastrutture, lo sviluppo concreto e una gestione online tra i servizi di bus, treni e metro in modo da consentire agli utenti di programmare con anticipo gli spostamenti controllando poi i tempi di viaggio online, e favorire un trasporto pubblico integrato tra i vari sistemi. I benefici derivati sono stati una forte diminuzione nell’utilizzo del mezzo privato e quindi una riduzione nelle emissioni di CO2, un’alta qualità di vita e la riduzione del traffico cittadino con conseguente risparmio di denaro e tempo.
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Fig. 2.21: Immagini tratte da “Copenhagen, solutions for sustainable cities�, Copenhagen Municipality 148
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Aree portuali vivibili
Una decina di anni fa l’idea di poter nuotare nelle aree portuali di Copenhagen sarebbe stata impossibile poiché innumerevoli canali scaricavano le acque reflue nei porti rendendo l’acqua fortemente inquinata. Il problema è stato risolto investendo nella modernizzazione dei sistemi fognari, migliorando la qualità delle acque a tal punto da poter rendere le zone portuali balneari: oggi i porti sono tra le zone più frequentate e alla moda di Copenhagen, con feste, barbecue e locali, frequentati da studenti, famiglie e gente di affari che nuotano nelle acque dei porti della capitale. e azioni concrete svolte fanno parte di un programma di pulizia che comprendeva la modernizzazione delle infrastrutture di scarico, la raccolta delle acque piovane e la pianificazione di un design urbano per la rigenerazione degli spazi portuali. I vantaggi conseguenti sono innumerevoli: un aumento del valore degli immobili, miglioramento nella qualità di vita e del turismo, rivitalizzazione del business locale e aumento dei posti di lavoro, una maggiore qualità delle aree portuali con una grande varietà di flora e fauna e una maggiore vivibilità degli spazi e dei percorsi.
Fig. 2.22: Immagini tratte da “Copenhagen, solutions for sustainable cities”, Copenhagen Municipality 149
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Acqua potabile
Copenhagen è una delle poche capitali in cui è possibile bere acqua di alta qualità direttamente dal rubinetto e dal momento che la città continua a crescere, è alto il rischio che la domanda di acqua possa superare l’offerta delle acque sotterranee. La principale sfida futura consiste nel mantenere un alta qualità dell’acqua potabile del rubinetto; infatti a causa della mancanza di fonti di acqua nella zona di Copenhagen e a causa della contaminazione delle fonti immediatamente nelle vicinanze, l’acqua deve essere condotta in città attraverso tubi per lunghe distanze. Grazie all’adozione di nuove innovative tecnologie e strategie mirate, è stato possibile preservare le risorse idriche sotterranee, limitando le perdite nell’offerta di acqua potabile. Sono state inoltre incentivate la purificazione delle acque, la protezione e modellamento delle condutture sotterranee, il conteggio individuale del consumo e il controllo dei meccanismi di tariffazione. I benefici derivanti non hanno solo riguardato la qualità delle acque, bensì è stato registrata una riduzione nel consumo di acqua del 26% e una diminuzione dell’8% nelle perdite.
Fig. 2.23: Immagini tratte da “Copenhagen, solutions for sustainable cities”, Copenhagen Municipality ENERGIA •
Energia eolica
Nonostante le risorse eoliche non siano eccezionali, il 22% del consumo totale di elettricità in Danimarca è prodotto da turbine eoliche, percentuale più alta nel mondo. A Copenhagen le infrastrutture per l’energia rinnovabile sono state introdotte grazie ad una collaborazione unica basata sulla proprietà locale. Come molte altre città, anche Copenhagen affronta la sfida della produzione di energia eolica: spazi limitati per produrre energia eolica a larga scala all’interno dell’ambiente urbano, turbine
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eoliche troppo costose da costruire e resistenza da parte della popolazione alla quale non piace l’impatto visivo e sonoro che le turbine hanno sul paesaggio. La soluzione è stata incoraggiare il sostegno pubblico per l’energia eolica con la creazione di impianti di proprietà delle comunità e utilizzando competenze locali, un alto livello tecnologico delle infrastrutture e una propaganda mirata. Nel primo parco eolico di Middelgrunden nel porto di Copenhagen furono progettate specifiche fondazioni per far fronte al ghiaccio degli inverni rigidi e adottati appositi accorgimenti contro i movimenti delle maree, il carico delle onde, i ghiacci, lo sforzo e l’aggressività dell’ambiente marino sui cavi sottomarini. Le lezioni apprese da questo parco eolico sono state poi utilizzate per le successive esperienze, replicando il modello. I vantaggi sono stati significativi in direzione del raggiungimento dell’obiettivo di riduzione delle emissioni di CO2, con la creazione inoltre di nuovi posti lavoro e l’incentivazione della cosiddetta Green Economy.
Fig. 2.24: Immagini tratte da “Copenhagen, solutions for sustainable cities”, Copenhagen Municipality
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Rifiuti
Grazie alla messa in atto per molti anni di un programma integrato di gestione dei rifiuti, Copenhagen ora manda solo meno del 2% dell’immondizia in discarica; quasi il 60% dei rifiuti viene riciclato e la parte rimanente viene utilizzata per produrre calore da fornire al sistema di riscaldamento urbano. Nel 1988 più del 40% dei rifiuti della città veniva mandato in discarica poiché c’era la preoccupazione che bruciare i rifiuti dentro i confini cittadini potesse incrementare pericolosamente l’inquinamento dell’aria. Una legislazione nazionale ha quindi provveduto a
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fornire una soluzione (un insieme di strategie, politiche e investimenti) che assicura un alto tasso di riciclo e immondizia per la produzione di energia. La gestione dei rifiuti risulta un importante elemento per la sostenibilità e l’ambiente, fondamentale per creare una Sustainable Community e una Green Economy, in quanto può aiutare ad ottimizzare l’utilizzo di risorse favorendo il riuso e il riciclo, oltre a rappresentare una fonte rinnovabile di energia. Determinante risulta pertanto un’adeguata propaganda ambientale per sensibilizzare la popolazione e incentivare la raccolta differenziata. In dettaglio, i rifiuti possono essere utilizzati o come “prodotti biologici” che possono facilmente tornare al ciclo organico ambientale o come “prodotti tecnici” per alimentare il ciclo industriale.
Fig. 2.25: Immagini tratte da “Copenhagen, solutions for sustainable cities”, Copenhagen Municipality •
Riscaldamento
Il teleriscaldamento è uno dei metodi più efficienti e flessibili di produrre e fornire energia localmente, eliminando gran parte dei rifiuti associati alla produzione di energia elettrica centralizzata. Grazie all’introduzione di nuove tipologie di energia rinnovabile come la biomassa, l’energia eolica immagazzinata, l’energia geotermica, è stata ottenuta un’ulteriore diminuzione delle emissioni di CO2. Il sistema di teleriscaldamento fu introdotto per la prima volta negli anni Venti e fu poi sviluppato intensamente negli anni Settanta al fine di proteggere i cittadini e l’economia dal drammatico incremento dei prezzi dei combustibili fossili. Le tecnologie oggi utilizzate, come ad esempio il Combined heat and Power (CPH), catturano e riusano l’energia che viene normalmente persa nella produzione di energia elettrica, e grazie ad una efficiente rete forniscono energia al sistema di teleriscaldamento. I benefici riguardano la riduzione di emissioni di CO2, una migliore qualità dell’aria, creazione di posti lavoro, riduzione dei costi di riscaldamento del 45% a persona rispetto all’utilizzo della caldaia individuale.
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Fig. 2.26: Immagini tratte da “Copenhagen, solutions for sustainable cities”, Copenhagen Municipality •
Aria condizionata
La crescente domanda di aria condizionata e sistemi di raffreddamento ha portato ad un maggior consumo di energia elettrica in molte città. Copenhagen ha deciso quindi di realizzare i primi due sistemi di tele raffreddamento, basati sull’astrazione gratuita di frescura dall’acqua marina, insieme ad un sistema che utilizza l’eccesso di calore del teleriscaldamento combinato con un sistema di refrigeratori a compressione. Il progetto dovrebbe consentire di risparmiare 14.000 tonnellate di diossido di carbonio all’anno. Le temperature massime estive registrate a Copenhagen possono sfiorare i 35 gradi centigradi ed è previsto un aumento del 2-3% entro il 2050, così come è previsto una crescita della temperatura media giornaliera. Di conseguenza, si avrà una maggiore domanda di aria condizionata tradizionale, e quindi un possibile aumento di consumo di energia elettrica. I sistemi tradizionali di aria condizionata sono cari, rumorosi e occupano molto spazio. La soluzione proposta è quella di realizzare un sistema di teleraffreddamento abbinato al teleriscaldamento che ottimizzi il calore in eccesso riutilizzandolo e rinfrescandolo parzialmente grazie all’uso dell’acqua marina: l’aria viene distribuita attraverso tubature sotterranee isolate e fornita direttamente a strutture commerciali o industriali. I benefici conseguenti sono la riduzione di emissione di CO2 , riduzione di inquinamento acustico e del consumo di energia importata, tutto ciò senza rovinare il panorama, la vista architettonica e lo skyline della città.
Fig. 2.27: Immagini tratte da “Copenhagen, solutions for sustainable cities”, Copenhagen Municipality 153
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AMMINISTRAZIONE URBANA •
Retrofitting e ristrutturazione edifici
La collaborazione tra istituzioni, architetti, ingegneri e partners del settore pubblico e privato ha portato alla creazione di soluzioni innovative e originali, soluzioni che migliorano tanto la qualità della vita delle persone che vivono e lavorano negli edifici quanto l’impressione generale della città e della sua architettura. Le soluzioni tecniche per ottenere edifici sostenibili e per il retrofitting sono orma ben consolidate: enormi sono i risparmi e l’ottimizzazione del comportamento energetico, a tal punto da rendere possibile recuperare gli investimenti fatti in questo campo in poco tempo. Raggiungere l’efficienza energetica lungo tutto il ciclo di vita di un edificio è l’obiettivo più importante dell’architettura sostenibile e del retrofitting dei vecchi edifici. Anche se le nuove tecnologie vengono costantemente perfezionate al fine di migliorare le pratiche attuali di sostenibilità, l’obiettivo principale è quello di progettare edifici green per ridurre l’impatto globale che il patrimonio costruito può avere sulla salute e sull’ambiente.
Fig. 2.28: Immagini tratte da “Copenhagen, solutions for sustainable cities”, Copenhagen Municipality Gli edifici sostenibili sono per definizione ecologicamente responsabili ed efficienti in tuta la vita dello stesso: dalla scelta del luogo di costruzione, al progetto, dalla realizzazione alla manutenzione. Ciò richiede una stretta collaborazione tra il design team, gli architetti, gli ingegneri, gli utenti, le autorità e i clienti. La Green Building Practice amplia e completa il concetto tradizionale di progetto, prendendo in considerazione l’economia, la durabilità, l’architettura e il 154
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comfort. Con il termine retrofitting si intende la modernizzazione di un edificio con lo scopo di migliorare il comportamento energetico senza perdere di vista l’estetica dello stesso. Il retrofitting ha un impatto significativo e tangibile sui consumi energetici e sull’ambiente interno degli edifici; le previsioni per Copenhagen delineano un panorama chiaro: dal 2010 al 2025 si avranno il 10% in meno nei consumi di elettricità e 20% in meno per il riscaldamento, solo grazie al retrofitting. A tal proposito, come in molti altri paesi europei, è stato elaborato un sistema di certificazione energetica e norme che prende in considerazione tutti i fattori in gioco che contribuiscono al raggiungimento di una Sustainable Practice. DGNB Denmark è il sistema di certificazione danese per la sostenibilità, che fornisce una serie di criteri e obiettivi per la pianificazione e progettazione sostenibile.
Fig. 2.29: Schema del processo di certificazione DGNB 155
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Pianificazione urbana
Copenhagen è conosciuta come città green e famosa per le biciclette, ma ciò che non è a tutti noto sono i benefici economici e sociali che derivano dall’ approccio della città alla pianificazione urbana. Le strategie di successo adottate riguardano piani municipali di azione e norme di pianificazione incentrate sullo sviluppo urbano, collaborazioni tra enti vari per il raggiungimento di soluzioni sostenibili e innovative e la predisposizione di siti strategici per finanziare lo sviluppo di nuovi insediamenti. I vantaggi economici riguardano innanzitutto l’aumento di valore dei terreni generato dalla costruzione di nuove efficienti infrastrutture e dalla successiva regolarizzazione dell’uso dei terreni e del paesaggio; in secondo luogo le aree urbane di alta qualità esercitano una forte attrazione per i residenti, il business e i turisti. I vantaggi sociali sono strettamente legati all’alta qualità ambientale conseguente alla progettazione sostenibile ed intelligente: aree urbane attrattive e ben disegnate, facile accesso alle aree verdi grazie ad un sistema di trasporti efficiente, innumerevoli parchi per attività sportive e di ricreazione, canali e zone portuali vivibili grazie alla qualità delle acque. L’esempio più famoso di questa pianificazione intelligente e sostenibile è rappresentato dal caso di Ørestad, insediamento urbano sviluppatosi negli ultimi 10 anni e ancora in fase di espansione: il progetto verrà illustrato e studiato successivamente in relazione alle schede di analisi dei progetti di Eco-quartieri.
Fig. 2.30: Immagini tratte da “Copenhagen, solutions for sustainable cities”, Copenhagen Municipality 156
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2.6 Rigenerazione urbana a Copenhagen 2.6.1. Introduzione
Il termine “rigenerazione” viene utilizzato in varie discipline per indicare18 l’azione del rigenerare ovvero del “ricostituire, riprodurre, rendere di nuovo efficiente, rinnovare o riportare allo stato iniziale”. Nella disciplina urbanistica e architettonica, questo termine ha assunto un’ accezione particolare, ed è oggi molto utilizzato in riferimento a progetti per il recupero di aree dismesse o da rinnovare. Il termine “rigenerazione” è più completo ed esaustivo rispetto al concetto di “riqualificazione” precedentemente usato per designare tali progetti: “riqualificazione” è un concetto più semplice, assimilabile a quello inglese di renewal, incentrato più sull’aspetto fisico dell’intervento; “rigenerazione” rappresenta l’evoluzione di tale concetto, più complesso ed esaustivo, in quanto racchiude al suo interno molteplici sfaccettature e fattori da considerare, tra i quali la qualità degli spazi pubblici, la modernizzazione delle infrastrutture, l’uso intelligente del suolo, l’efficienza energetica, e primo tra tutti il principio della sostenibilità. Il cambiamento nella denominazione del processo non indica un semplice fatto linguistico, bensì l’evoluzione in atto in campo urbanistico: il rilancio delle aree urbane considera la rigenerazione come un’azione di policy integrata ed interdisciplinare, attuata dal settore pubblico e privato, con l’obiettivo principale di un recupero ambientale, strutturale, sociale, economico e fisico a lungo termine , complessivo ed efficace19. Pertanto la “rigenerazione urbana” rappresenta la strategia di azione nel panorama del climate change, attraverso attive azioni sociali, ambientali ed economiche, che tengano conto dei cambiamenti climatici in atto e della stretta relazione tra urbanistica, economia ed ecologia per raggiungere uno sviluppo più maturo ed intelligente dei tessuti urbani. Questa strategia è stata adottata o comunque presa seriamente in considerazione da molti paesi europei, che hanno ormai introdotto nei sistemi di pianificazione strumenti multidisciplinari legati allo sostenibilità per integrare politiche ambientali e azioni di governo; le tappe fondamentali a livello europeo sono state la Nuova carta di Aalborg nel 2004 e la Carta di Lipsia sulle città sostenibili nel 2007. Purtroppo in Italia l’importanza di tali strategie non è stata colta ed approfondita come invece è successo in altri paesi europei, tra i quali la Danimarca: nel seguente paragrafo verrà presentata la situazione danese relativa alla rigenerazione urbana, uno tra i migliori esempi di policy a livello europeo e mondiale. Per maggiore chiarezza e completezza, l’analisi verrà suddivisa in tre parti, in modo da considerare tutte le sfaccettature e i significati del termine “rigenerazione”: - rigenerazione urbana e ristrutturazione edilizia; - rigenerazione urbana, riqualificazione e conversione di aree dismesse; - rigenerazione urbana ed eco-quartieri. 18 19
Definizione dal Vocabolario Treccani. Francesco Musco, Rigenerazione urbana e sostenibilità, Milano, 2009
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Dopo la panoramica relativa alla situazione danese relazionata alla rigenerazione urbana, verranno presentate le schede di analisi dei progetti studiati, organizzate e suddivise secondo le tre tipologie di rigenerazione sopra elencate. 2.6.2. Rigenerazione urbana e ristrutturazione edilizia Durante la seconda metà del XX secolo, la Danimarca si dimostrò sempre all’avanguardia rispetto alle altre nazioni europee riguardo alla tematica della pianificazione urbana e salvaguardia di aree verdi: infatti gli altri stati cominciarono ad interessarsi approfonditamente al tema solo dalla Conferenza di Stoccolma del 1972, interrogandosi sulla necessità della programmazione, della cooperazione internazionale e dello sviluppo sostenibile. Da quel momento in Europa diventò fondamentale il rapporto tra l’economia e l’ecologia, e le problematiche ambientali acquisirono importanza a causa della consapevolezza della durata a termine delle risorse energetiche: questi concetti furono percepiti dalle varie nazioni e tradotti in pratica con diversi gradi di priorità, mentre nelle regioni scandinave fin dagli anni Trenta l’edilizia era strettamente legata a corrette strategie insediative, con una particolare attenzione alla dimensione qualitativa. Il rispetto per l’ambiente e l’ecocompatibilità sono ormai concetti assodati nello stile di vita danese, grazie anche alla costante pubblicazione di periodici di informazione divulgati al fine di sensibilizzare l’opinione pubblica. Così come la Danimarca fu tra le prime nazioni ad interessarsi al problema ambientale, allo stesso modo fu pioniera nella realizzazione di una serie di progetti di rigenerazione urbana, che avevano lo scopo di riqualificare i quartieri, ristrutturare gli edifici residenziali adeguandoli ai nuovi standard abitativi, rinnovare gli appartamenti per risolvere il problema delle abitazioni, evitando la formazione di quartieri ghetto e promuovendo il mix sociale. Uno dei primi esperimenti riguardò il progetto pilota realizzato negli anni Novanta a Copenhagen, lungo la Hedebygade20, nel quartiere Vesterbro, una zona ai tempi povera costruita durante l’epoca dell’industrializzazione. Il principio portato avanti riguardava minime operazioni di demolizioni e sventramenti per non sconvolgere il tessuto edilizio urbano consolidato e per riutilizzare l’esistente attraverso il recupero urbano globale, evacuando di volta in volta i fabbricati (normalmente edifici a corte), e restaurando gli immobili con tecnologie innovative ed avanzate. Si intervenne principalmente sulle facciate interne, preservando la cortine edilizie esterne, attraverso l’applicazione e talvolta sperimentazione di nuovi sistemi energetici e tecnologici ecocompatibili: vennero realizzati a Hedebygade dodici progetti campione, costantemente controllati dal Danish Building and Urban Research e dal Danish Centre for Urban Ecology. Due sono gli strumenti fondamentali in Danimarca che consentono di raggiungere gli obiettivi di sostenibilità ambientale legati all’edilizia: l’attuale politica di management ambientale, supportata da un solido sistema legislativo e da uno Stato di forte natura assistenziale. Lo scopo di questa ricerca non è analizzare la normativa edilizia danese, che pertanto non verrà approfondita di seguito, quanto piuttosto evidenziare alcuni aspetti e strumenti utili al fine di 20
Il progetto verrà meglio approfondito successivamente, nelle schede di analisi allegate.
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individuare un modello o una strategia efficace da applicare nei progetti di rigenerazione urbana, nel mio caso per il progetto di riqualificazione del quartiere Prealpino a Brescia. Di seguito vengono pertanto illustrati alcune iniziative e strategie utili applicate in Danimarca e soprattutto a Copenhagen riguardo al rinnovamento di quartieri e ristrutturazione di edifici. Danish Urban renewal (Rinnovamento urbano in Danimarca) Il Danish Urban Renewal viene regolato all’interno de Act on Urban Renewal and Urban Development. Questa legge fornisce un sussidio finanziario a due tipologie di attività finalizzate al rinnovamento urbano: building renewal (rinnovamento degli edifici) e area-based renewal (rinnovamento di aree). L’organizzazione e il regime di sovvenzioni è gestito dalle autorità locali, che devono decidere se concedere o meno il fondo per rinnovamento edilizio, qualora il proprietario di un immobile ne faccia richiesta, e nel caso succeda, decidere l’ammontare del fondo concesso. Nel regime di sovvenzioni per il rinnovamento di edifici, i fondi sono concessi a: - Immobili in affitto, non ancora dotate di riscaldamento, toilette o vasca da bagno; o per le case in affitto costruiti prima del 1950, che sono notevolmente degradate; - Case di proprietà o di cooperative edilizie non ancora dotate di riscaldamento, toilette o vasca da bagno, o occupati dai proprietari o in cooperative costruite prima del 1950, che sono notevolmente degradate; - Ricostruzione di imprese private per l’affitto di proprietà, se l'attività è stata chiusa. Il regime di sovvenzioni per il rinnovamento di aree è un sussidio pubblico per vaste zone di intervento in aree urbane degradate. Le autorità locali possono chiedere sussidi per rinnovarle, sia in città grandi che piccole o in nuove aree abitative con enormi problemi sociali. Le sovvenzioni possono essere utilizzate per sistemare le strade, rinnovare vie e piazze, per avviare attività sociali e culturali. Inoltre, i governi locali ricevono sussidi per la pianificazione, la gestione e l’organizzazione nel momento in cui intraprendono un progetto di trasformazione di vecchie aree commerciali e portuali. I sussidi sono subordinati all'inserimento degli attori locali nella pianificazione e attuazione dell'iniziativa. Il Dipartimento di pianificazione urbana (UDD, Urban Design Department) gestisce lo schema di rinnovamento di edifici, ed ha a disposizione due strumenti chiave per promuovere misure di risparmio energetico negli edifici: 1_ Incentivando la richiesta per i sussidi di ristrutturazione che includano misure di risparmio energetico, e formulando raccomandazioni e richieste specifiche in linea ai regolamenti edilizi del 2010 (BR10) e alle norme della città nel regolamento edilizio comunale in modo che i candidati possano sviluppare ulteriormente tali misure al fine di massimizzare il risparmio energetico complessivo;
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2_ Sostenendo progetti dimostrativi innovativi che promuovano 'intelligenti' ristrutturazioni energetiche complete e integrate. I progetti di dimostrazione consentono un dialogo con i proprietari di edifici e gli appaltatori nelle fasi iniziali di sviluppo del progetto. Nel 2009 il Parlamento danese adottò una modifica della legge sulla riqualificazione urbana e sullo sviluppo urbano che permetteva ai consigli comunali di non tener conto dei criteri di ammissibilità al regime di rinnovamento edilizio e ai sussidi per progetti di ristrutturazione energetica se i richiedenti avevano già certificazioni energetiche. Edifici più grandi di 2.000 mq devono avere un certificato energetico con le informazioni relative allo stato di fatto dell’impianto energetico della casa, e il certificato deve raccomandare investimenti specifici al fine di migliorare tali impianti. Nello stesso anno (2009), il Consiglio Comunale di Copenaghen adottò una nuova strategia per la riqualificazione urbana sostenibile, con un focus specifico sull’ integrazione di soluzioni ad alta efficienza energetica in progetti di ristrutturazione. Al fine di raggiungere gli obiettivi della strategia e del Climate Plan, la città rivendica i certificati energetici come parte importante di ogni richiesta di sovvenzioni. In questo modo la città può formulare e imporre i requisiti adeguati per ottenere misure di miglioramento dell'efficienza energetica nei futuri progetti di rinnovamento urbano. L’iniziativa Kvarterløft Tra il 1997 e il 2007, l’iniziativa Kvarterløft (che si traduce in “Riqualificazione urbana integrata”)ha avuto un grande successo in Danimarca ed un risvolto positivo, trasformando molti complessi residenziali pubblici degli anni Sessanta. Grazie ad un programma federale guidato dal Ministero dell’Immigrazione dell’Integrazione, i progetti Kvarterløft erano intrapresi in quartieri che tendevano ad avere una popolazione costituita per gran parte da immigrati, e che subivano sempre più segregazione sociale, culturale ed economica da parte della società danese. Un totale di dodici quartieri diffusi in tutta la Danimarca, che ospitavano circa 110.000 residenti hanno preso parte al programma: ogni quartiere era un distinto “laboratorio di rigenerazione urbana”, dove venivano realizzati una serie di progetti coordinati portati a termine grazie ad un processo di cooperazione. Mentre ogni quartiere aveva diverse problematiche e obiettivi specifici, lo scopo centrale del programma è stato quello di affrontare e tentare di rimediare al declino sociale ed economico nelle zone in difficoltà, per costruire una società più equa ed integrata. Il modello Kvarterløft sollecita il coinvolgimento dei cittadini, favorisce soluzioni integrate e la collaborazione tra settore pubblico e privato. Al fine di raggiungere i gruppi di residenti più isolati ed esposti, comprese le minoranze etniche, il processo viene suddiviso in tre fasi: la partecipazione, l’interazione e quindi l'integrazione. I progetti Kvarterløft richiedono la collaborazione efficace tra varie agenzie a diversi livelli di governo. In ogni quartiere Kvarterløft, viene stabilita una segreteria con il compito di trovare e coordinare soluzioni che funzionino a livello locale. La lotta che il modello Kvarterløft propone è un processo difficile e lungo. Per cambiare gradualmente una zona con immagine negativa, è necessario sviluppare una strategia di branding 160
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a lungo termine, che arrivi efficacemente alle persone e comunichi positive modifiche ad un pubblico locale e regionale. Il messaggio viene diffuso attraverso siti web, newsletter e riviste di quartiere, e molti dei progetti Kvarterløft assumono persone locali per creare i propri media, al fine di celebrare e pubblicizzare le iniziative di successo, incoraggiare l’organizzazione sociale di quartiere e per costruire l'identità locale. Alcuni quartieri Kvarterløft hanno sottolineato l'uso di segnaletica, annunci, comunicati stampa realizzati per attirare la copertura mediatica, e alcuni hanno organizzato grandi eventi culturali. I lavori di ristrutturazione per rinnovare gli alloggi e gli ambienti interni, e la riqualificazione del paesaggio nel quartiere hanno ovviamente un grande impatto sull’immagine positiva del quartiere.
Fig. 2.31: Progetti Kvarterløft realizzati in Danimarca
Integrated Urban Renewal in Copenhagen Integrated Urban Renewal è un’iniziativa che concentra la sua attenzione su specifici distretti ben definiti e caratterizzati da una serie di sfide e problematiche da risolvere. Lo scopo del rinnovamento urbano integrato è quello di promuovere un nuovo, positivo sviluppo nei distretti, con migliori aspetti fisici, sociali, culturali e ambientali. La particolarità di questa iniziativa è che i 161
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desideri e gli sforzi dei residenti stessi determinano il corso del progetto. Le risorse locali vengono coinvolte attivamente in tutte le fasi dello sviluppo. Di conseguenza, vengono rafforzati l’impegno e i sentimenti di appartenenza al quartiere tra i residenti e gli utenti, tanto che il reciproco aiuto e alcune iniziative proseguono anche dopo che è trascorso il periodo di progetto. Fino al 2010, gli sforzi di rinnovamento urbano a Copenaghen venivano designati con vari nomi: il “rinnovo di quartiere”, “progetti in associazione”, ma oggi, tali sforzi sono noti come Integrated Urban Renewal. L'ambizione della città di Copenaghen è quella di avviare uno o due nuovi progetti di rinnovamento urbano integrato ogni anno. I problemi e le soluzioni da analizzare verranno decisi dialogando con i residenti, le associazioni, le istituzioni e le imprese locali. Le aree scelte per il rinnovamento urbano integrato sono distretti che già possiedono notevoli potenzialità e qualità, caratterizzati da un elevato percentuale di piccoli appartamenti obsoleti privi di impianti, servizi relativamente poveri e degradati, problemi di integrazione e un gran numero di residenti occupati. Pianificazione fisica e sociale sono elementi gli elementi chiave per la riqualificazione urbana integrata. Sono soprattutto i risultati fisici ad essere notati dai residenti e visibili al pubblico in generale. I progetti che intervengono fisicamente sono anche quelli che attirano maggiormente l'attenzione dei residenti quando vengono scelti i gruppi di lavoro e quando vengono realizzate le riunioni e i dialoghi tra i cittadini. Per quanto riguarda le iniziative sociali, il rinnovamento urbano integrato si concentra sulla costruzione di relazioni e collaborazioni al fine di ottenere un buon funzionamento del quartiere. Quasi tutte le attività hanno tra gli obiettivi quello rafforzare le relazioni sociali del distretto. In concreto, il rinnovamento urbano integrato è un'iniziativa finanziata pubblicamente in cui lo Stato paga 1/3 e la Municipalità di Copenhagen 2/3 del costo totale; è quindi caratterizzato da un modello di finanziamento congiunto in cui i contributi vengono ricevuti parte dallo Stato, dal Comune, da fondazioni private, da proprietari privati, da imprese e associazioni. Il rinnovamento urbano integrato è costituito da tre diverse fasi. La prima fase è la fase di startup, in cui avvengono le prime attività di coinvolgimento dei cittadini e vengono nominati gruppi di lavoro, che successivamente elaborano un piano di quartiere in collaborazione con i dipartimenti comunali. Il piano di quartiere è il programma su cui si basa il rinnovamento della zona durante il periodo del progetto. Esso contiene una descrizione delle potenzialità e delle sfide dell’area e propone progetti specifici e visioni più generali per il rinnovo zona. Il piano di quartiere viene poi discusso e approvato all'interno del sistema politico. La seconda fase è la fase di attuazione in cui vengono meglio definite le idee per i numerosi progetti in programma, e attuate, quando possibile. La fase finale di ancoraggio viene utilizzata per determinare il futuro delle varie attività e dei progetti fisici che sono stati implementati: consiste nel garantire concretamente che i progetti realizzati possano essere mantenuti e che le attività e le iniziative messe in atto siano in grado di continuare. La città di Copenhagen considera il rinnovamento urbano integrato come un’importante iniziativa di per i cittadini e la città nel suo complesso. Negli ultimi anni, Copenhagen è stata interessata da una crescita positiva in vari ambiti, che ha trasformato la città fisicamente, socialmente ed 162
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economicamente. Questi sviluppi positivi hanno cambiato molte esigenze della città e le zone svantaggiate ora richiedono un diverso tipo di attenzione. In linea con il cambiamento di tali esigenze, è cambiato anche il quadro di iniziative distrettuali. Nei precedenti progetti di rinnovamento urbano venivano investite più risorse finanziarie rispetto a quanto avviene oggi. Il Comune di Copenhagen lavora quindi strategicamente assicurando che le aree svantaggiate della città possano sviluppare e utilizzare nel miglior modo possibile le risorse che già possiedono. Prima che la domanda sia presentata al Ministero delle Abitazioni, degli Affari Urbani e Rurali, il processo è in corso già da quasi un anno. Il processo inizia quando il dipartimento tecnico e ambientale esegue uno screening della città riguardo alle condizioni fisiche e socio-economiche. Nel 2010, l’Amministrazione tecnica e ambientale ha elaborato una nuova mappa di tutta la città di Copenhagen (Socio-Economic Map of Copenhagen, SØK) che ora viene utilizzata per svolgere la fase preliminare. Di conseguenza la città può essere sottoposta a successivi screening per un maggior numero di parametri. SØK è una mappa web del tessuto urbano e del sistema socio-economico di Copenaghen. La mappa contiene una serie di indicatori che aiutano il tecnico e l'amministrazione ambientale a determinare quali parti della città devono affrontare sfide particolari in materia di alloggi e parametri socioeconomici. Tra le altre cose, la carta sarà utilizzata per selezionare nuove aree di rinnovamento urbano integrato e per analizzare singoli distretti così che gli sforzi possano essere indirizzati e programmati per risolvere meglio i problemi presenti nell'area. Gli indicatori nella mappa sono di natura sia fisica che sociale. Per quanto riguarda gli indicatori fisici, la mappa può identificare/analizzare le aree con un'alta percentuale di: - piccoli appartamenti (sotto 60 mq); - appartamenti nei quali mancano impianti fondamentali (WC / bagno / riscaldamento centralizzato); - i residenti che vivono in pochi mq. Per quanto riguarda gli indicatori socio-economici, la mappa identifica le aree con un'alta percentuale di: - residenti al di fuori della forza lavoro; - i residenti con una breve background formativo; - residenti a basso reddito. Sulla base di questo screening, vengono selezionati una serie di settori in cui le sfide fisiche e sociali sono più altamente concentrate e che soddisfano gli altri criteri stabiliti dal Ministero delle Abitazioni, degli Affari Urbani e Rurali. La Direzione Tecnica e Ambientale poi esegue ulteriori analisi basate su osservazioni dirette ed interviste con i gruppi di interesse locali. I settori che hanno maggiormente bisogno di rinnovamento vengono poi selezionati dopo le discussioni che coinvolgono diversi dipartimenti comunali. La selezione viene presentata al Comitato tecnico e 163
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ambientale, che presenta la scelta delle zone al Consiglio Comunale per l'approvazione. Il Consiglio Comunale poi decide se la domanda deve essere inviata al Ministero delle Abitazioni, Affari Urbani e Rurali per l’ottenimento del finanziamento. Se il Ministero approva l'applicazione, inizia l'ampio processo di coinvolgimento locale dei cittadini, la nomina di un comitato direttivo, l'assunzione di un progetto pilota e la ricerca di un luogo adatto per la segreteria. L'Amministrazione tecnica e ambientale è responsabile del processo iniziale. Attività di valutazione nella città di Copenaghen vengono effettuate in parte per le valutazioni di processi in corso, che si concentrano sull’organizzazione interfunzionale, la cooperazione e il progresso in iniziative e progetti, e in parte come una valutazione finale, che documenta i risultati del rinnovamento urbano integrato in relazione ai suoi obiettivi. La valutazione contribuisce a garantire la raccolta delle conoscenze e dell'apprendimento nel corso del processo e costituisce una parte importante di apprendimento collettivo tra le varie iniziative distrettuali nella città di Copenaghen. L’amministrazione tecnica e ambientale e esegue quindi una serie di attività di valutazione, concentrandosi sui tre temi generali seguenti: - Processo, organizzazione e cooperazione; - Progressi in relazione agli obiettivi posti dal piano di quartiere; - Attrazione di investimenti aggiuntivi. Analisi dei progetti di rigenerazione urbana legata alla ristrutturazione edilizia Dopo aver fornito una panoramica sulla situazione danese relativa alla rigenerazione urbana legata alla ristrutturazione edilizia di abitazioni, l’attenzione è stata posta sullo studio di progetti esempio: tale schede di analisi sono riportate nel paragrafo 2.6.5, dedicato appunto alla schedatura di tutti i progetti di rigenerazione urbana in Danimarca21.
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Ad eccezione di pochi progetti non danesi, ma comunque realizzati in paesi scandinavi.
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Fig. 2.32: Mappa di alcuni esempi di progetti di rinnovamento urbano integrato a Copenhagen
2.6.3. Rigenerazione urbana come riqualificazione di aree portuali degradate e conversione in zone residenziali Port of Copenhagen S.r.l. è la società responsabile della gestione a Copenhagen di un porto commerciale e dello sviluppo urbano riguardante l’area portuale, secondo quanto stabilito dalla relativa normativa nel 1992. Dal 2001 le attività nel porto commerciale sono state gestite congiuntamente da Port of Copenaghen S.r.l. e Malmö Hamn A / B attraverso la società Copenhagen Malmö Port AB (CMP). L'istituzione di questa cooperazione determinò un doppio beneficio: da un lato la creazione di un porto danese-svedese per la regione Øresund e dall’altro un punto di partenza per i trasporti e la logistica in Scandinavia e nel Baltico. Dalla metà degli anni Ottanta, le attività portuali commerciali sono state concentrate a Nordhavnen e a Prøvestenen in Østhavnen. Una delle principali cause che hanno determinato un radicale cambiamento nel traffico portuale di Copenhagen è sicuramente lo sviluppo avvenuto nel settore dei trasporti. L’utilizzo dei container portò ad una nuova gestione del porto, con la modifica delle esigenze ambientali. Il moderno Port management ha quindi reso vecchi moli e magazzini superflui, ma ha contemporaneamente aperto nuove possibilità alla città di Copenhagen di creare quartieri urbani grazie alla conversione di zone portuali in aree residenziali; particolarmente attraente era l’idea di riqualificare e trasformare i waterfront cittadini in zone di ricreazione a fruizione di tutti, idea che è stata rapidamente sviluppata e messa in pratica negli ultimi dieci anni. 165
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Fig. 2.33: Piano generale per la riqualificazione e conversione delle aree portuali di Copenhagen Port of Copenaghen S.r.l. ha contribuito attivamente alla rigenerazione e realizzazione di molti nuovi ambienti che si sono moltiplicati lungo il waterfront della città, a partire dalla metà circa degli anni Novanta. Lo sviluppo ha determinato la creazione sia di aree residenziali, sia di ambienti di lavoro, oltre che a zone ricreative. Il piano generale per le zone portuali della città di Copenahgen fu stabilito nel 1999, con la cooperazione tra Port of Copenhagen S.r.l., la Città di Copenaghen, il Ministero dell'Ambiente e dell'Energia e Freja Ejendomme A / S. Lo scopo del piano generale era di preservare i servizi e le possibilità offerte dal porto e di proteggere le particolari caratteristiche peculiari delle singole aree. Il preciso oggetto della cooperazione è stato 166
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quello di definire le linee guida per lo sviluppo del porto di Copenaghen, e in questo modo garantire l’alta qualità della futura conversione in distretti urbani e residenziali. Il piano si è fortemente ispirato e basato sull'esperienza europea raccolta da altri luoghi analoghi, quali Parigi, Amburgo e soprattutto Amsterdam. Particolare attenzione è stata dedicata all’incontro tra acqua e terra, alla possibilità di fornire accesso pubblico al porto, e alla creazione di ampie passerelle e passeggiate ben progettate lungo i canali. Analisi dei progetti di rigenerazione urbana legati alla riqualificazione di aree portuali o degradate tramite conversione in zone residenziali La tematica della rigenerazione di aree portuali non verrà ulteriormente approfondita, in quanto l’argomento, se pur molto interessante, esula dallo scopo di questa trattazione; l’attenzione verrà invece dedicata agli edifici e complessi residenziali realizzati in tali aree portuali o in zone degradate della città, poi riqualificate: le relative schede di analisi sono riportate nel paragrafo 2.6.5, dedicato appunto alla schedatura di tutti i progetti di rigenerazione urbana in Danimarca. 2.6.4. Rigenerazione urbana ed eco-quartieri: il caso di Ørestad In questo paragrafo verrà analizzato uno dei più famosi eco-quartieri danesi, la cui importanza è nota a livello mondiale: Ørestad. Verranno tralasciati gli aspetti storici-evolutivi e normativi, concentrandosi invece sulle peculiarità che ne determinano il carattere ecofriendly. Ørestad nacque come ampliamento della città sull’isola di Amager, a sud-est del centro storico di Copenhagen, e rappresenta a livello mondiale uno dei migliori modelli urbani realizzati: le caratteristiche principali e salienti che ne determinano l’eccellenza e che verranno di seguito trattate, riguardano principalmente la mobilità, l’accessibilità, il sapiente uso delle risorse energetiche, la pianificazione di aree verdi, residenziali e dei servizi, e il collegamento con il centro della città, facilitato dalla linea di metro che consente di raggiungere il Central Business District in soli dieci minuti e l’aeroporto di Kastrup in soli sei minuti. L’idea di Ørestad si fece strada circa venticinque anni fa, quando l’economia danese subì un forte cambiamento, passando da una produzione di tipo industriale ad un economia basata principalmente sul settore terziario, fortemente incentrata su un’efficiente rete di servizi ed amministrazioni. Nel 1992 la legge Act on Ørestad sancì la nascita del nuovo quartiere e l’anno successivo la Municipalità di Copenahgen creò un’apposita istituzione, responsabile della vendita dei terreni e dello sviluppo di Ørestad: la Ørestad Development Corporation.
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Fig. 2.34: In rosso viene evidenziata l’area individuata per l’espansione di Ørestad
Nel 1994 fu indetto un concorso di idee per la pianificazione di Ørestad, aperto solo agli studi di architettura degli allora dodici paesi appartenenti all’UE più le nazioni scandinave, per un totale di 119 progetti: tra questi ne vennero selezionati quattro, ed infine venne scelto quello dello studio finlandese ARKKI, un progetto incentrato sulla relazione ed interazione tra città e paesaggio; il principale dibattito nato dal concorso proponeva l’opposizione di due tipologie di modelli urbani: da un lato, una struttura urbanistica classica e gerarchica, dall’altro una struttura moderna ed aperta. I punti chiave del masterplan definitivo presentato nel 1995 furono i seguenti: - la suddivisione in quattro quartieri principali, con funzioni diverse e da realizzarsi in tempi differenti: Ørestad Syd, Ørestad City, Amager Fælled e Amager Nord;
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Fig. 2.35: Sviluppo di Ørestad e suddivisione dei quartieri
- la realizzazione di un canale d’acqua lungo l’asse nord-sud, che andasse a confluire in un bacino a sud adibito ad attività ricreative; - la realizzazione della linea metropolitana in posizione centrale, fulcro e punto di partenza per l’espansione e sviluppo di tutto il quartiere, e identificata come carattere più significativo di Ørestad; - predisposizione di sei fermate della linea metropolitana nel quartiere e sopraelevazione del tracciato per evitare barriere architettoniche e visive; - suddivisione delle funzioni da insediare con le seguenti proporzioni: 20% residenze, 20% attività commerciali, 60% uffici. Nel 1996 vennero approvate le prime linee guida comunali ed i piani locali e nel 1997 cominciò la costruzione della metropolitana e la vendita dei lotti. Le fasi successive, che riguardano la costruzione e lo sviluppo di Ørestad, non verranno analizzate in dettaglio poiché non rappresentano lo scopo di questa trattazione; verranno invece studiati quegli aspetti che rendono unico questo insediamento e che permettono di poterlo definire eco-quartiere.
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Fig. 2.36: Sezione tipo della strada principale, con i diversi livelli associati alla viabilità •
INFRASTRUTTURE, TRASPORTI E MOBILITA’
La metropolitana rappresenta il fulcro di tutto il progetto di Ørestad: ad oggi sono due le linee funzionanti (M1 e M2) sviluppate prevalentemente lungo l’asse est-ovest cittadino, ma altre due (M3 e M4) sono in fase di costruzione, al fine di realizzare una rete più capillare, e verranno terminate entro il 2018 indicativamente. La linea M1 finisce proprio ad Ørestad con la fermata Vestamager, mentre la M2 consente il collegamento tra città ed aeroporto.
Fig. 2.37: Mappa delle linee esistenti e nuove della metropolitana di Copenhagen 170
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La metropolitana di Copenhagen è stata la prima al mondo ad essere automatica e pilotata da remoto, scelta poiché ritenuta migliore rispetto al tram e al treno leggero. Si caratterizza inoltre poiché ha una sede sempre dedicata, per consentire un servizio sicuro, breve, frequente e preferibile rispetto al traffico veicolare. Nella zona di Ørestad la metropolitana è rialzata e corre lungo un tragitto sorretto da una struttura in piloni di calcestruzzo armato, che ben si integrano nel paesaggio, non costituendo quindi una barriere visiva, né architettonica, anzi costituendo un interessante elemento di landmark e dialogo con gli edifici. I mezzi sono costituiti da tre carrozze comunicanti con capacità di 300 persone, la velocità media è di 40 Km/h. I binari sono paralleli e distanziati di una larghezza pari alla dimensione della stazione. Oltre al livello rialzato della metropolitana, sono presenti i livelli inferiori dell’autostrada e della ferrovia, a completare il sistema di trasporto: l’autostrada rappresenta la più importante infrastruttura a livello nazionale, grazie al collegamento che offre alla Svezia tramite il ponte dell’ Øresund, inaugurato nel 2000. La strada principale del quartiere è Ørestad Boulevard, lungo l’asse nord-sud, parallelo alla linea della metropolitana: prevede solo una corsia per senso di marcia ed un tragitto rettilineo per evitare congestionamenti, un marciapiede per lato ed una pista ciclabile. I percorsi ciclabili sono stati progettati ponendo in primo piano la sicurezza del ciclista: le piste hanno sedi dedicate e tutti gli incroci con le arterie veicolari sono a raso. Allo stesso modo anche i percorsi pedonali hanno sede propria rialzata rispetto al livello carrabile ed incroci a raso ben segnalati. •
AREE VERDI, ZONE ATTREZZATE E GESTIONE DELLE ACQUE
I due polmoni verdi principali di tutta Ørestad sono Amager Fælled e Kalvebod Fælled; oltre a questi, l’area risulta costellata di zone verdi e attrezzate, con campi da basket, da calcio, piste da pattinaggio, zone fitness, aree relax e attracco per le canoe. Tra le zone verdi vengono annoverati anche i corsi d’acqua, elemento peculiare ed unico nel progetto di Ørestad: i canali hanno la duplice funzione di contribuire all’equilibrio ed alla salute dell’ecosistema e di configurarsi come bacino di raccolta per le acque piovane, provenienti dalle coperture degli edifici e dal terreno circostante. Destino diverso spetta alle acque reflue degli edifici, che vengono convogliate in un impianto di depurazione, separato dai canali di raccolta delle acque piovane.
Fig. 2.38: Canali d’acqua e zone verdi ad Ørestad 171
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Risulta importante sottolineare che circa un terzo del territorio di Ørestad è riservato ad aree naturali, con bacini e corsi d’acqua, stagni e prati abitati da specie animali protette. Inoltre i parcheggi sono stati progettati con grande cura, ricoprendo non solo la funzione propria pratica, bensì costituendo veri e propri elementi di design, in cui la loro funzione viene rivoluzionata sostituendosi alle piazze e diventando essi stessi luogo di incontro e di socialità. Un’ulteriore caratteristica di questi parcheggi è rappresentata dal materiale utilizzato per la finitura: non asfalto, bensì lasciati a terreno naturale; ciò permette di renderli permeabili all’acqua piovana che passa attraverso il terreno, viene raccolta da canali di scolo e va ad alimentare il canale aperto principale. •
SERVIZI PUBBLICI
Ørestad offre ai suoi abitanti tutti i servizi e le attrezzature necessarie: numerosi e ben distribuiti sono gli asili nidi e le scuole materne, le sedi e le residenze universitarie; gli edifici dell’Università sono concentrati in Ørestad Nord, come previsto dal masterplan, con l’eccezione del collegio situato ad Ørestad Syd. Ben distribuiti risultano anche i bar, i ristoranti, le caffetterie e le altre attività aperte al pubblico, come supermercati, centri fitness, golf club, negozi di biciclette, agenzie immobiliari ed hotel; numerosi anche gli uffici e le sedi di aziende danesi importanti. •
RESIDENZE
Gli edifici residenziali portano tutti la firma di importanti studi di architettura e si caratterizzano per una grande variabilità e flessibilità delle piante, per poter ben adattarsi alle esigenze degli utenti, anche se prevalentemente riconducibili a due tipi: piccoli appartamenti e residenze più grandi, rispondendo alle esigenze della città in espansione e richiamando nuove persone nel quartiere; generalmente le abitazioni affacciano tutte su zone verdi. Tutti gli edifici presenti rientrano nella tipologia di edificio in linea o a grandi blocchi, di grandi dimensioni, con altezze medie di otto piani e con una grande attenzione per gli spazi collettivi; inoltre ogni edificio è stato progettato con caratteristiche peculiari che lo caratterizzano rispetto agli altri. Questi edifici verranno studiati in dettaglio nel successivo paragrafo tramite le schede di analisi redatte. •
I QUATTRO QUARTIERI PRINCIPALI
I quattro quartieri sono accomunati dalla presenza (o futura presenza) di tre elementi principali: i parcheggi in testata, larghi marciapiedi (in Ørestad Syd il marciapiede che collega la fermata della metropolitana con gli edifici è largo circa 15 m) e lo spazio pubblico.
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Ørestad Syd si sviluppa a sud dell’autostrada Øresund fino al limite meridionale della città, Kalvebod Fælled, ed è strutturata in modo da creare un chiaro confine tra la città e l’area protetta di 2000 ettari che circonda il quartiere: un grande spazio aperto che offre diverse varietà di specie animali e vegetali. È un quartiere con diverse funzioni: la zona a nord è principalmente riservata alle attività commerciali, mentre la zona più a sud si divide in una parte riservata alle residenze e una alle attività commerciali, caratterizzata dalla presenza di tre grandi zone chiamate “La foresta”, “Il parco” e “Il canale” attorno alle quali si sviluppano tutti gli edifici. Ørestad City rappresenta il cuore commerciale di Ørestad, caratterizzato dall’alta densità e concentrazione delle principali attività commerciali e direzionali poste in edifici di grandi dimensioni in cui lavorano principalmente gli abitanti stessi di Ørestad. È in realtà un’area mista, in cui non appaiono anche edifici residenziali, ben integrati con la funzione direzionale e commerciale. Amager Fælled è la zona di ultima realizzazione, a causa della prossimità alla riserva naturale, che richiede pertanto un’attenta pianificazione. Ørestad Nord è il quartiere più vicino al centro della città, e pertanto è diventato polo delle arti, della cultura e dei media; rappresenta il confine ed il passaggio dalla vecchia alla nuova città e per questo accoglie anche molte sedi universitarie. •
ASPETTI ECOLOGICI
Nella pianificazione di Ørestad e nella progettazione dei suoi edifici è stata dedicata particolare attenzione agli aspetti ecologici e al rapporto tra verde e costruito, adottando tecnologie e sistemi costruttivi innovativi come pareti e coperture verdi, circolazione interna affiancata da piantumazioni di vario tipo, ecc. L’elemento fondamentale che caratterizza l’isola di Amager è l’acqua; Ørestad infatti sorge su una zona paludosa bonificata nel 1964, pertanto canali e bacini d’acqua sono da sempre elementi caratterizzanti il paesaggio. Tale aspetto venne colto ed enfatizzato nel masterplan definitivo che propone l’uso di un sistema di acque aperte in stretta relazione con il quartiere ed il costruito, che consente di vivere non solo vicino all’acqua bensì con essa. Fondamentale è il sistema di raccolta e gestione delle acque piovane ed il sistema di restrizioni di sicurezza, quest’ ultimo realizzato prima che vi si insediasse la popolazione. Per ovviare al problema della scarsità d’acqua nei periodi di siccità, l’alimentazione della rete di canali può essere integrata con le acque di scarico delle aree di sviluppo circostanti. La portata massima dei sistemi idrici è stimata essere intono ai 178.000 m3 d’acqua. L’impianto di depurazione utilizzato sfrutta un sistema innovativo chiamato “Dual Porosity Filtration” (DPF), composto da diversi strati di materiali filtranti costituiti da reti di nylon ad alta porosità e spessore di pochi millimetri, separati tra loro da materassini di filtraggio di 1 cm di spessore realizzati con materiale calcareo: tale stratigrafia consente all’acqua di scorrere attraverso le reti in nylon, mentre impedisce il passaggio ai solidi in essa sospesi che vengono 173
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pertanto accumulati sul materassino di materiale calcareo. Una volta terminate le piogge, l’aerazione consente la mineralizzazione ed il degrado delle sostanze organiche; l’intasamento dell’impianto è evitato in quanto le particelle vengono raccolte in un comparto diverso da quello del flusso primario e l’intera capacità di ritenzione del filtro può essere sostituita o rigenerata prima del successivo utilizzo. Oltre a questo rilevante vantaggio, il sistema DPF permette di evitare di utilizzare energia in quanto l’intero processo funziona grazie alle forze gravitazionali e di utilizzare sostanze chimiche per la depurazione dell’acqua creando così un filtro con elevato profilo ambientale. Anche per quanto riguarda l’aspetto energetico, Ørestad propone fonti di energia pulita, quali pannelli fotovoltaici e pale eoliche, disseminati in tutto il quartiere e al di fuori di esso, e l’utilizzo di materiali ecosostenibili o a basso impatto ambientale. Analisi dei progetti di rigenerazione urbana legati ai cosiddetti eco-quartieri La tematica della rigenerazione urbana legata ai cosiddetti eco-quartieri è un tema attuale ed in fase di sviluppo poiché rappresenta il modo di progettare del futuro: si è scelto di analizzare approfonditamente solo il caso di Ørestad poiché rappresenta l’esempio emblematico legato a questo tema; l’argomento verrà poi approfondito nel paragrafo 2.6.5 attraverso lo studio di progetti relativi ai più famosi eco-district realizzati in Danimarca e nei paesi Scandinavi. 2.6.5. Analisi di progetti di rigenerazione urbana a Copenhagen e in Danimarca In questo paragrafo verranno presentati tutti i progetti di rigenerazione urbana studiati durante il periodo di ricerca effettuato a Copenhagen; essi sono stati catalogati secondo un format fornito dalla docente prof.ssa Montuori, già utilizzato da miei colleghi per lo studio e l’analisi di progetti di rigenerazione urbana in altri Stati Europei (Francia, Paesi Bassi, Germania, ecc.). Pertanto il lavoro di schedatura e analisi effettuato si inserisce in un filone di ricerca da tempo avviato e ormai ben consolidato, con lo scopo di mappare i cosiddetti best cases e trarre da questi le migliori caratteristiche, gli input e gli output necessari ad intraprendere poi il progetto di riqualificazione del Villaggio Prealpino. Di seguito la lista dei progetti studiati22, suddivisi in tre gruppi principali, secondo le accezioni e sfaccettature del termine “rigenerazione urbana”, già individuate e presentate precedentemente: 1. Rigenerazione urbana e ristrutturazione edilizia 2. Rigenerazione urbana, riqualificazione e conversione di aree dismesse 3. Rigenerazione urbana ed eco-quartieri 22
La lista di progetti studiati, così come le schede di analisi stesse, sono state redatte in inglese in quanto questa la lingua utilizzata per comunicare con il tutor danese Prof. Peder Duelund Mortensen che ha seguito e coordinato il mio lavoro di ricerca durante il soggiorno a Copenhagen.
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1. RENEWAL & REGENERATION 1.1 Vesterbro District (Hedebygade Block), Copenhagen, Denmark 1.2 Gyldenrisparken, Copenhagen, Denmark 1.3 Albertslund Nord, Copenhagen, Denmark 1.4 Albertslund Syd, Copenhagen, Denmark 1.5 Urbanplanen, Copenhagen, Denmark 1.6 Torpedohallen, Copenhagen, Denmark 1.7 Ellebo Garden room, Copenhagen, Denmark 1.8 Grønby Strand, Copenhagen, Denmark 1.9 Gemini Residence, Island Brygge, Copenhagen, Denmark 1.10 Siloetten, Løgten, Denmark 1.11 Kamhusene, Valby, Denmark 1.12 Milestedet, Rødovre, Denmark 1.13 Gadekæret, Ishøj, Denmark 1.14 Skovbakken, Frederiksværk, Denmark 1.15 Høje Kolstrup, Aabenraa, Denmark 1.16 Sprotoften, Nyborg, Denmark 1.17 Skelagergårdene, Aalborg, Denmark 1.18 Varbergparken, Haderslev, Denmark 2. SUSTAINABLE & NEW HOUSING PROJECTS 2.1 Emaljehaven, Copenhagen, Denmark 2.2 Charlottehaven, Copenhagen, Denmark 2.3 Nordlyset, Copenhagen, Denmark 2.4 Øbro 105, Copenhagen, Denmark 2.5 Sluseholmen , Copenhagen, Denmark 2.6 Havneholmen Residences, Copenhagen, Denmark 2.7 Sømærk, Copenhagen, Denmark 2.8 Tuborg Harbour Park, Hellerup, Copenhagen, Denmark 2.9 Comfort Houses, Vejle, Denmark 2.10 Grøndalsvænge, Ørestad, Copenhagen, Denmark 2.11 Boligslangen, Ørestad, Copenhagen, Denmark 2.12 8 Tallet, Ørestad, Copenhagen, Denmark 2.13 VM Mountain, Ørestad, Copenhagen, Denmark 2.14 VM House, Ørestad, Copenhagen, Denmark 2.15 Bikuben Kollegiet, Ørestad, Copenhagen, Denmark 2.16 Tietgenkollegiet, Ørestad, Copenhagen, Denmark 3. BEST ECO-DISTRICTS 3.1 Egebjerggard, Ballerup, Copenhagen, Denmark 3.2 Bo0,1 Malmo, Sweden 3.3 Hammarby Sjöstad, Stockholm, Sweden 3.4 Pilestredet Park, Oslo, Norway 3.5 Eco-Vikki, Helsinki, Finland 175
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Prima di procedere alla presentazione delle schede di analisi, è necessario fornire alcune precisazioni, utili a comprendere la simbologia ed i termini utilizzati nelle schede e i criteri cardine considerati nella fase di studio. •
Strategie di intervento
Aggiornare La strategia prevede: - Interventi di manutenzione straordinaria o ordinaria delle facciate e dei sistemi impiantistici dell’edificio atte al risparmio energetico e al razionale utilizzo delle risorse; - Modifiche della distribuzione interna degli alloggi o degli spazi comuni (se presenti) atte al miglioramento della qualità della vita degli abitanti. In questa categoria rientrano le opere di frazionamento o di accorpamento degli alloggi, quelle di adeguamento dei vani di risalita e dei servizi connessi, quelle di rifacimento degli impianti o delle chiusure esterne. In linea generale la strategia “aggiornare” è assimilabile ad sistema integrato di opere edilizie atte alla riqualificazione del manufatto che, comunque, non ne alterano la morfologia e la consistenza. La densità abitativa del manufatto può subire variazioni. Ampliare
La strategia prevede: - Interventi di nuova costruzione di parti di edificio effettuati con l’estensione dei volumi abitabili con loggiati, balconi, serre solari o giardini d’inverno; - Nuovo comportamento energetico dell’edificio in quanto i dispositivi precedentemente enunciati fungono da spazi intermedi tra la situazione termoigrometrica esterna e quella interna;
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La strategia “ampliare” determina una modificazione della morfologia e della consistenza del manufatto limitata, molto spesso, ad aree puntuali o a prospetti strategici per il risparmio energetico. La strategia “ampliare” non determina una modificazione della densità abitativa. Aggiungere La strategia prevede: - Interventi di nuova costruzione di parti estese dell’edificio realizzati tramite la giustapposizione di aree abitabili. - Può comportare l’innalzamento della linea di gronda dell’edificio grazie l’inserimento di nuovi piani abitabili o una variazione, anche notevole, dello spessore del corpo di fabbrica.
La strategie “aggiungere” determina la modificazione della morfologia e della consistenza del manufatto che, comunque, mantiene una sagoma riconoscibile. La strategie “aggiungere” implica un aumento della densità abitativa. Ri-Modellare La strategia prevede: - Interventi edilizi di demolizione selettiva di parti dell’edificio; - Nuova costruzione di volumi aggiuntivi (parti di alloggio o abitazioni complete). Gli immobili soggetti ad interventi di “ri-modellazione” modificano morfologia e consistenza e, molto spesso, implicano una totale riconfigurazione degli spazi esterni di pertinenza. La strategia “modellare” determina una variazione considerevole della densità abitativa.
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Tipi edilizi
Casa isolata Rientrano in questa categoria le unità abitative (di seguito “UA” non aggregate. Le caratteristiche principali della casa isolata sono: - Presentano tutti i fronti liberi; - Si sviluppano da terra a cielo; - Presentano solitamente due piani fuori terra a uso residenziale (terra, 1^ o mansarda). Ogni UA è dotata di spazio aperto di pertinenza e possiede un ingresso indipendente dall’esterno. In questa categoria rientrano le cosiddette abitazioni “unifamiliari”, le “bifamiliari”, ecc. fino ad un massimo di quattro nuclei familiari che condividono lo stesso fabbricato. Casa a schiera Sono caratterizzate da aggregazioni lineari (generalmente, ma non necessariamente rettilinee) di UA. Le caratteristiche principali della casa a schiera sono: - Presentano almeno due fronti liberi e due lati in comune con l’UA limitrofa; - Si sviluppano da terra a cielo; - Presentano solitamente due o tre piani fuori terra a uso residenziale (terra, 1^, 2^ o mansarda). Ogni UA è dotata di spazio aperto di pertinenza e possiede un ingresso indipendente dall’esterno. In questa categoria rientrano le cosiddette abitazioni “unifamiliari”, a meno di variazioni tipologiche peculiari (ad esempio: unità “bifamiliare” con doppia porta d’ingresso e corpo scale a rampe sovrapposte indipendenti, cosiddette “leonardesche”).
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Case a blocco
Sono caratterizzate da aggregazioni compatte di UA sovrapposte. Le caratteristiche principali della case a blocco sono: - Le dimensioni della lunghezza e della profondità prevalgono sull’altezza del corpo di fabbrica; - L’edificio nel suo complesso si sviluppa da terra a cielo; le singole UA si sviluppano per un piano fuori terra (flat); - L’edificio nel suo complesso presenta tutti i fronti liberi; le singole UA presentano un numero variabile di fronti liberi (da uno a tre), a seconda del sistema aggregativo; - Presentano solitamente dai tre ai quattro piani fuori terra a uso residenziale o commerciale (terra, 1^, 2^, 3^ o mansarda); - Le UA sono accorpate a gruppi (due, tre unità di dimensione variabile per paino) attorno ad un collegamento verticale (corpo scale e ascensore); - Ogni UA possiede un ingresso indipendente dagli spazi comuni, gli spazi comuni possiedono uno o più ingressi dall’esterno. Casa in linea Sono caratterizzate da aggregazioni lineari (generalmente, ma non necessariamente rettilinee) di UA sovrapposte. Le caratteristiche principali delle case in linea sono: - La dimensione della lunghezza prevale su altezza e profondità del corpo di fabbrica; - L’edificio nel suo complesso si sviluppa da terra a cielo; le singole UA presentano un numero variabile di fronti liberi (da uno a tre), a seconda del sistema aggregativo; - Presentano solitamente dai quattro ai sette piani fuori terra ad uso residenziale (terra, 1^, 2^, 3^, 4^, 5^, 6^ o mansarda); - Le UA possono essere: accorpate a gruppi (due, tre, quattro unità di dimensione variabile per piano) attorno a un collegamento verticale (corpo scale e ascensore); accorpate in linea e servite da un 179
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collegamento orizzontale (ballatoio). I ballatoi a loro volta sono serviti da collegamenti verticali; - Ogni UA possiede un ingresso indipendente dagli spazi comuni, gli spazi comuni possiedono uno o più ingressi dall’esterno. Casa a corte Le case a corte discendono da quelle in linea, di cui rappresentano una variante ove le aggregazioni lineari di UA sovrapposte cambiano direzione e tendono a circoscrivere uno spazio interno chiuso da cortine edilizie, o corte. Le caratteristiche principali delle case a corte sono: - La dimensione della lunghezza (in questo caso, dello sviluppo in lunghezza) prevale su altezza e profondità del corpo di fabbrica; - L’edificio nel suo complesso si sviluppa da terra a cielo; le singole UA si sviluppano per uno o due piani fuori terra (flat o duplex); - L’edificio nel suo complesso presenta tutti i fronti liberi, esterni e verso la corte interna; le singole UA presentano un numero variabile di fronti liberi (da uno a tre), a seconda del sistema aggregativo; - Presentano solitamente dai quattro ai sette piani fuori terra a uso residenziale o commerciale (terra, 1^, 2^, 3^, 4^, 5^, 6^ o mansarda); - Le UA sono accorpate a gruppi (due, tre, quattro unità di dimensione variabile per piano). Casa a torre Sono caratterizzate da aggregazioni verticali di UA sovrapposte. Le caratteristiche principali delle case a torre sono: - La dimensione dell’altezza prevale su lunghezza e profondità del corpo di fabbrica; - L’edificio nel suo complesso si sviluppa da terra a cielo; le singole UA si sviluppano per uno o due piani fuori terra (flat o duplex); - L’edificio nel suo complesso presenta tutti i fronti liberi; le singole UA presentano un numero variabile 180
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di fronti liberi (da uno a due), a seconda del sistema aggregativo; - Presentano solitamente un numero consistente di piani fuori terra a uso residenziale o commerciale; - Le UA sono accorpate a gruppi (due, tre, quattro unità di dimensione variabile per piano) attorno a uno o più collegamenti verticali (corpo scale e ascensore); - Ogni UA possiede un ingresso indipendente dagli spazi comuni, gli spazi comuni possiedono uno o più ingressi dall’esterno; - La tipologia a torre si afferma dove l’elevato valore dei suoli induce al massimo sfruttamento dello spazio disponibile, assicurando però accettabili standard igienici e buone possibilità di affaccio per tutte le UA. • Caratteristiche del progetto Per quanto riguarda le schede di analisi relative a progetti di rigenerazione urbana legati alla riqualificazione di aree dismesse o eco-quartieri, è stata adottata una simbologia specifica che ha permesso di fornire informazioni connesse alle principali caratteristiche e tematiche del progetto tramite l’uso di apposite icone23. Ogni scheda progettuale pertanto presenta cinque icone che identificano il progetto ed in modo immediato, intuitivo e semplice descrivono i temi chiave ed i punti forza del progetto. Di seguito viene proposta la legenda delle icone utilizzate e i macrotemi alle quali si riferiscono (attività, ricreazione, scala di dimensione, spazi urbani, percorsi, paesaggio, vicinanza).
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Le icone utilizzate sono prese a prestito dal testo Activating architecture and urban planning, Marzo 2011, redatto dal Ministry of social affairs of Denmark, un volume dedicato allo studio delle relazioni tra attività outdoor e architettura.
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Temi di indagine
Ogni scheda di analisi è stata suddivisa in tre principali temi di indagine, corrispondenti alle tematiche approfondite all’interno del panorama della rigenerazione urbana: - rigenerazione tipologica; - riqualificazione energetica e strutturale; - riqualificazione a scala di quartiere o urbana. Le schede di analisi dei progetti vengono riportate come allegati finali alla tesi, per motivi di rilegatura. 183
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Schede di analisi dei PROGETTI DI RIGENERAZIONE URBANA24
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Vedere nella busta finale sul retro della copertina
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2.6.6. Conclusioni Il periodo di ricerca relativo al tema della rigenerazione urbana svolto durante il soggiorno a Copenhagen è durato quattro mesi; nonostante la moltitudine delle tematiche affrontate , la mole di informazioni trovate, l’innumerevole serie di progetti studiati e schedati, è stato possibile ordinare ed organizzare il materiale rielaborato in schede sintetiche di analisi con la funzione di evidenziare i punti forza comuni ai vari progetti: essi rappresentano pertanto delle strategie da prendere a modello, delle references da “citare” nei futuri progetti di rigenerazione urbana in Italia, e nel caso oggetto di studio in questo elaborato di tesi, un modello per la riqualificazione del Villaggio Prealpino. In questo paragrafo conclusivo verranno sintetizzati quegli aspetti fondamentali di successo riscontrati nei progetti studiati, che verranno appuntati come keynotes e che saranno la base per l’elaborazione del progetto presentato nel successivo capitolo. Il primo aspetto fondamentale da considerare e che rappresenta la chiave del successo dei progetti di riqualificazione in Danimarca è l’attiva partecipazione delle persone a tutte le fasi che riguardano l’intervento: informazione preventiva, assemblee, votazioni per approvare o cambiare determinati aspetti ed operazioni da mettere in atto, partecipazione attiva alle scelte di progetto. Questo è purtroppo un aspetto che manca in Italia, a causa di un iter burocratico complesso e a causa dello scarso interesse (spesso scarsa voglia di interessarsi) delle persone coinvolte. In secondo luogo, i progetti sono spesso appositamente lasciati ad un livello “grezzo” per quanto riguarda la disposizione e distribuzione degli ambienti interni ai singoli alloggi, ovvero si cerca di non definire a priori il modo di vivere delle persone in casa, bensì viene lasciata totale libertà ai futuri inquilini di scegliere come organizzare le stanze e quindi personalizzarle come meglio credono. Sembra una banalità, ma questa piccola attenzione determina un’alta qualità degli ambienti interni, in quanto la flessibilità che ne deriva consente ad ognuno di adattare e modellare lo spazio in funzione delle proprie esigenze, aumentando il livello di soddisfazione e felicità delle pèrsone. Questa caratteristica è inoltre alla base dell’attiva partecipazione delle persone al progetto, in quanto esse sono quasi costrette a fornire un parere proprio per completare il progetto della disposizione degli ambienti interni all’alloggio. La flessibilità e la sperimentazione nelle piante sono un tema molto caro e sentito in Danimarca; gli ideali di benessere della società relativi a “la bella25 abitazione” hanno infatti lasciato tracce oggi evidenti in tutta la città. Il traguardo principale è stato raggiungere un’offerta varia e versatile di abitazioni, e le politiche relative all’abitare sono state caratterizzate dallo scopo di offrire a tutti la possibilità di avere accesso a case in buone condizioni. L’estesa rigenerazione urbana nelle aree del porto di Copenhagen si configura come un terreno fertile per la sperimentazione attraverso tanti e nuovi tipi edilizi, nei quali i futuri abitanti possono essere coinvolti per la progettazione. In questa direzione c’è una crescente attenzione verso il come progettare la pianta (e lo spazio) dell’appartamento e come quelle abitazioni saranno “completate” dalla gente che vi abiterà. Una volta terminate e personalizzate, saranno ancora adatte per altre condizioni di vita? E’ possibile mantenere la qualità architettonica e creare allo stesso tempo grandi possibilità per lo sviluppo 25
Bella intesa come in buone condizioni
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individuale e per la personalizzazione? Come già accennato, questi sono gli odierni temi di ricerca nel panorama architettonico danese e vengono affrontati in concreto e approfonditamente nel progetto: Dwellings Suitable for Changing Life Situations26. D'altronde, queste case “incomplete” avranno una propria vita. Il designer non sarà più in grado di poter controllare cosa gli utenti faranno del loro progetto. Nel caso di VM-House, ad esempio, questo aspetto era solo uno dei targets del progetto. Gli architetti27 hanno realizzato appartamenti con strane e originali spazialità e inaspettati nuovi modi di abitarle, dai quali gli architetti stessi possono imparare. A tal proposito risulta molto interessante l’analisi presentata nel libro Time-based architecture (Leupen, Heijne, Van Zwol 2005), nel quale si propongono tre differenti approcci basati sulla relazione tra il tempo e l’incertezza di realizzare abitazioni time-based: rendere gli edifici polivalenti, realizzare edifici in parte permanenti e in parte variabili, e fare edifici semipermanenti. Inoltre, una delle caratteristiche centrali riscontrate nei progetti di rigenerazione è la ricerca della mixité, sia funzionale che sociale, integrando funzioni abitative a zone di lavoro e consumo, commerciali, del tempo libero, con lo scopo di evitare la monofunzionalità tipica delle periferie urbane ed introducendo un nuovo concetto di mix che includa non solo le tradizionali funzioni, bensì comprenda anche spazi per lo sport, il relax, la cultura e l’enterteinment in generale. Tornando agli aspetti fondamentali emersi dall’analisi dei progetti di rigenerazione, un’altra caratteristica molto importante è l’attenzione per la riqualificazione energetica degli edifici in chiave green ovvero volta all’utilizzo di energia pulita e sostenibile: Copenhagen si colloca ai primi posti a livello mondiale per le strategie adottate al fine di raggiungere questo obiettivo. In molte nazioni è ormai obbligatoria la riqualificazione energetica nel momento in cui si va a ristrutturare un immobile per rispondere alle nuove normative, ma ciò che spesso viene trascurata è la provenienza di questa energia, ricorrendo ancora a fonti non del tutto green. In Danimarca si ricorre ampiamente all’energia eolica, viene sempre ben studiato e progettato il sistema di smaltimento e riciclo delle acque, l’illuminazione degli ambienti interni (fondamentale nei lunghi e bui mesi invernali) e si adottano sistemi di isolamento termico efficaci e spesso ecosostenibili. Inoltre spesso il consumo di energia viene limitato favorendo strategie del tipo sharing (sharing laundry, sharing kitchen, ecc.), ovvero si raggiungono minori consumi e costi condividendo spazi, elettrodomestici o funzioni. (L’emblema di questa strategia, nonché caso ottimale per il contenimento dei consumi, è rappresentato dal cohousing). In relazione alla riqualificazione energetica, spesso viene effettuata anche la riabilitazione /riqualificazione strutturale degli edifici, non tanto per adeguarli simicamente (in Danimarca non c’è l’alto rischio sismico presente invece in Italia), bensì per rinnovare le facciate, ampliare gli appartamenti e aggiungere servizi, aspetti anche questi considerati nelle schede di analisi poiché determinano un miglioramento degli ambienti e quindi della qualità di vita all’interno.
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Dwellings Suitable for Changing Life Conditions. Questo progetto è stato portato a termine dalla Royal Danish Academy of Fine Arts, School of Architecture, Copenhagen, 2005-2007. Il progetto di ricerca è legato a The Centre of Welfare and Housing, Copenhagen University e supportato da Reldania Foundations. Ricercatori: Peder Duelund Mortensen, Helen G. Welling, Margit Livo and Lene Wiell Mortensen. 27 Bjarke Ingels e Julien de Smedt, PLOT
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Un’altra caratteristica ricorrente nei progetti di rigenerazione urbana danesi è il fatto che portino sempre la firma di importanti e famosi studi di architettura danesi e spesso anche per questo motivo i progetti riscuotono un tale successo e raggiungono fama a livello mondiale. Questa caratteristica deriva dal procedimento “burocratico” (molto più semplice e diretto rispetto ai macchinosi sistemi italiani) con la quale vengono affrontati la maggior parte di questo tipo di progetti: sono sostanzialmente concorsi di architettura nei quali si richiede un masterplan ed una strategia di progetto ed il vincitore deve poi portare a termine il progetto esecutivo, pertanto i migliori studi generalmente conquistano la vittoria. Inoltre, come già illustrato precedentemente, il finanziamento dei progetti viene effettuato per la maggior parte a carico del Landsbyggefonden, non comportando l’intervento economico diretto dei residenti, se non per una piccola parte. Non meno importante per una rigenerazione urbana di successo, è la progettazione attenta e ragionata degli spazi verdi ed aperti, privati o collettivi, ed in generale degli ambienti adibiti a funzioni comuni: il clima danese certo non favorisce la vita all’aperto, ma i danesi hanno comunque un’estrema cura per gli spazi verdi, le piante e i fiori, tanto che spesso ricreano in casa piccoli angoli verdi, e sentono fortemente l’importanza di avere spazi aperti, anche collettivi, dove giocare, praticare sport o passeggiare, non come semplici giardini da esporre, bensì come veri e propri ambienti da vivere. Proprio per questo nelle schede di analisi sono sempre stati studiati anche gli spazi verdi e collettivi, poiché sempre curati e pensati, parte integrante del progetto. Oltre a tutte le caratteristiche elencate sopra, riscontrate nella maggior parte dei progetti di rigenerazione urbana studiati, sicuramente non può essere tralasciato un altro singolare fattore che ho testato di persona e vissuto sulla mia pelle, ovvero la fissazione che i danesi hanno delle loro abitazioni (fissazione con accezione positiva), una sorta di ossessione con le loro case: amano le loro case, parlano molto riguardo le loro case e spendono una grande parte dei loro guadagni per le loro case. Di conseguenza i danesi possiedono abitazioni comode, grandi ma molto care. L’unità abitativa in media è costituita da 109 mq, occupati da due persone. La casa è diventata termine di paragone per il successo e la realizzazione personale e gioca un importante ruolo nella vita e nella mente delle persone. In Danimarca, quando le persone hanno esaurito le classiche domande relative al tempo meteorologico e al lavoro, possono sempre chiedere informazioni circa il luogo dove vive l’altra persona, come è organizzata la sua casa, dove viveva prima e dove vuole vivere nel futuro. Di seguito vengono elencate alcune ragioni relative all’interesse e alla preoccupazione dei danesi riguardo le loro case, soprattutto se si tratta di case singole. Uno dei motivi è sicuramente il clima nord-atlantico che caratterizza la Danimarca, con temperature invernali sempre intorno o minori allo zero, forti venti e precipitazioni abbondanti: nei cinque mesi da ottobre/novembre a marzo/aprile, il clima costringe i danesi a trascorrere la maggior parte del loro tempo in ambienti al chiuso. D'altronde il clima danese non consente di praticare gli sport invernali, come invece accade in Norvegia e Svezia, e non permette nemmeno di godersi la vita all’aria aperta come invece accade nelle città dell’Europa meridionale. Si dice che i danesi hygge (trascorrono il tempo piacevolmente) in casa o in ambienti interni. A partire dalla Seconda Guerra Mondiale in poi ogni unità abitativa ha cominciato a richiedere sempre più
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superficie per persona, tanto che se si confrontano gli interni delle tipiche case degli anni ’50 con gli interni contemporanei, le antiche stanze risultano sovraffollate, sia di persone che di arredo. Un’ altra spiegazione per l’aumento nel consumo del mercato edilizio degli ultimi 50-60 anni è che l’abitazione è sempre stata fortemente considerata un elemento fondamentale nella creazione di una società del benestare. La ragione era (e per alcuni aspetti ancora lo è) che favorisce il benessere e offre buone condizioni di vita, anche per i bambini, se le famiglie vivono in salute e usufruendo di tutte le comodità abitative odierne. Nei decenni immediatamente successivi alla guerra furono sovvenzionate sia direttamente che indirettamente le case di proprietà delle persone che vi abitavano, attraverso un’amministrazione con mutui a basso interesse, il diritto a detrarre dall’imponibile l’interesse pagato sulla casa e grazie ad una tassazione relativamente bassa per le case di proprietà. Le detrazioni fiscali furono nettamente tagliate nel 1987, e attualmente sono solo circa la metà di quelle originali. Vennero fornite sussidi diretti per le case in affitto attraverso benefici abitativi per persone anziane in pensione e per persone con basso reddito, cosi come fu ampiamente sovvenzionata la costruzione di social housing. Tutti questi sussidi (che sono finanziati attraverso la tassazione) possono essere visti come un consumo forzato, che la maggior parte delle persone considera un giusto diritto guadagnato, e addirittura il beneficio principale della società del benestare danese. Pertanto, in sintesi, le strategie chiave individuate e che verranno utilizzate nel progetto di riqualificazione del Villaggio Prealpino riguardano: - attiva partecipazione al progetto delle persone residenti; - flessibilità degli spazi e adattabilità degli ambienti alle esigenze degli inquilini; - mixité funzionale e sociale - riqualificazione energetica; - riqualificazione strutturale; - iter burocratico e progettuale più semplice; - firma di studi di architettura famosi ed esperti in progetti di riqualificazione; - finanziamento del progetto da parte della cassa nazionale per le abitazioni; - riqualificazione urbana di spazi verdi o collettivi; - forte interesse e cura per l’abitazione.
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CAPITOLO 3: S, M, L, XL. PROGETTO E STRATEGIE DI INTERVENTO NEL VILLAGGIO PREALPINO
3.1 Introduzione “La bellezza naturale del nostro Paese non è merito nostro. Ciò che può essere merito nostro è migliorare le periferie, che sono la parte fragile della città e che possono diventare belle. (...) Bisogna che le periferie diventino città ma senza ampliarsi a macchia d’olio, bisogna cucirle e fertilizzarle con delle strutture pubbliche. (…) Oggi la crescita anziché esplosiva deve essere implosiva. (…) Nelle periferie non c’è bisogno di demolire, che è un gesto d’impotenza, ma bastano interventi di microchirurgia per rendere le abitazioni più belle, vivibili ed efficienti. In questo senso c’è un altro tema, un’altra idea da sviluppare, che è quella dei processi partecipativi. (…) Sto parlando di cantieri leggeri che non implicano l’allontanamento degli abitanti dalle proprie case ma piuttosto di farli partecipare attivamente ai lavori. Nelle periferie non bisogna distruggere, bisogna trasformare. Per questo occorre il bisturi e non la ruspa o il piccone. C’è ancora una cosa che voglio consigliare ai giovani: devono viaggiare. Mica per non tornare più, però viaggiare secondo me serve a tre cose. Prima e più scontata per imparare le lingue, seconda per capire che differenze e diversità sono una ricchezza e non un ostacolo. Terza per rendersi conto della fortuna che abbiamo avuto a nascere in Italia, perché se non si va all’estero si rischia di assuefarsi a questa grande bellezza e a viverla in maniera indifferente. Si tratta di una bellezza che non è per nulla inutile o cosmetica, ma che si traduce in cultura, in arte, in conoscenza e occupazione. E’ quella che dà speranza, che crea desideri, che dà e deve dare la forza ai giovani italiani.” Renzo Piano28 In questo capitolo verranno approfondite le strategie progettuali individuate per la riqualificazione integrata del quartiere. Dapprima verrà presentata l’area campione individuata per il progetto, e successivamente verranno proposte una serie di schede dettagliate relative alle strategie e modalità di intervento, appartenenti ad un preciso abaco di soluzioni. Spesso si tratta di operazioni di “microchirurgia e rammendo”, altre volte di interventi più ampi, ma sempre nell’ottica di costruire sul costruito, integrando e non demolendo. Alla fine del capitolo quindi, vengono allegate tutte le tavole, relative sia allo stato di fatto che al progetto.
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“ Il rammendo delle periferie”, dal Domenicale del Sole24 ore, 26 gennaio 2014
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3.2 Il Cluster di progetto
Data la vastità della superficie occupata dal Villaggio Prealpino, realizzare una proposta di progetto per l’intera area sarebbe risultato ovviamente fattibile, ma complesso e per certi aspetti dispersivo. Infatti l’intero villaggio, grazie alla sua stessa morfologia e struttura, caratterizzata da una maglia di strade che racchiudono gruppi di 8 -12 case, può essere suddiviso in sottogruppi molto simili tra loro (cluster). Come già illustrato nel capito 1, le case marcoliniane appartengono a un abaco di tipi edilizi, con determinate caratteristiche che ricorrono uguali all’interno del tipo. La ovvia conseguenza è che ogni cluster è molto simile agli altri, e presenta più o meno stesse dimensioni, stesso numero di edifici, spesso stessa distribuzione di tipi all’interno del cluster (corrispondenza di tipo) e caratteristiche architettoniche e distributive uguali all’interno dello stesso tipo. La comodità di tale accorgimento si traduce di fatto nella possibilità di pensare il Villaggio come un macrosistema formato da microsistemi (cluster) molto simili tra loro, o come dei moduli base all’interno di una composizione. Il vantaggio di tale analogia è immediato: progettando la riqualificazione di un unico cluster e del suo bordo (ovvero la strada, punto di collegamento e relazione con gli altri cluster), è possibile ricorrere allo stesso progetto (con poche modifiche e piccoli adattamenti) per la riqualificazione di tutti gli altri. Pertanto anziché progettare l’intervento sull’intero Villaggio Prealpino, è possibile pensare ad un intervento mirato e ben funzionante su un solo cluster, e poi trasporre l’intervento a tutti gli altri, ottenendo la riqualificazione del villaggio. Come ogni macrosistema, sarà poi necessario controllare l’effettiva compatibilità e relazione tra i vari microsistemi (relazione tra strade, luoghi pubblici, spazi verdi, gruppi di case ecc.). Questo approccio è tutt’altro che semplicistico e superficiale, in quanto per essere ben funzionante necessita alle spalle un’analisi approfondita ed esaustiva del territorio e dei tipi edilizi (ovvero ciò è stato fatto nei precedenti capitoli), ma risulta poi di semplice applicazione, soprattutto perché il progetto viene pensato su una piccola unità di superficie e un esiguo numero di case, invece che su di un intero quartiere. Al fine di rendere il progetto il più adattabile e compatibile possibile ad ogni cluster, è stato scelto di individuare un abaco di strategie di intervento, in modo da poter adottare di volta in volta le strategie più adatte al cluster considerato. Inoltre la redazione di un abaco di strategie di intervento per la riqualificazione ha il grande vantaggio di poter essere applicato (con le dovute modifiche) anche per altri villaggi marcoliniani o per la riqualificazione di altri quartieri, rappresentando quindi un modello per il processo di rigenerazione urbana. E’ stato pertanto scelto un cluster di riferimento per l’individuazione delle strategie di intervento, che di fatto è diventata l’area di studio e di progetto. Il cluster scelto è uno dei più comuni e ricorrenti nel villaggio, pertanto esemplare come caso studio. Si trova nel territorio del Comune di Brescia ed è chiuso a nord dalla Via Settima e a sud da Via Giuseppe Tovini (strade lungo direzione ovest – est), mentre è delimitato a ovest da Traversa Ottava e ad est da Traversa Decima (strade lungo direzione nord – sud). E’ formato da 12 edifici: 2 tipo A, 2 tipo B, 2 tipo Q e 6 tipo R.29 29
Di seguito solo l’inquadramento geografico del cluster nel Villaggio Prealpino: tutte le tavole relative a planimetrie e sezioni allo Stato di Fatto del cluster sono nel paragrafo Allegati a fine capitolo.
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Fig. 3.1: Inquadramento del cluster di progetto
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Fig. 3.2: Inquadramento del cluster di progetto
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Fig. 3.3: Tipi edilizi del cluster di progetto e diagrammi di analisi
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3.3 Definizione di strategie di intervento e ambiti di applicazione
Al fine di realizzare un progetto di riqualificazione completo ed efficace, che tocchi tutti gli aspetti della rigenerazione, è stato scelto di agire a più livelli e a più scale. Pertanto le strategie di progetto agiscono sia all’interno del tipo edilizio, con la modificazione di piccoli elementi o della planimetria, sia al di fuori dell’edificio, nei giardini, negli spazi interstiziali tra due case, fino ad arrivare alla scala più ampia, ovvero interventi su strade e percorsi. E’ stato scelto di realizzare un abaco di interventi in cui le strategie sono state suddivise nelle quattro ben note categorie S/M/L/XL, in relazione non alla dimensione dell’elemento su cui si interviene, bensì all’impatto che l’intervento ha sugli edifici e spazi esistenti. Pertanto passando dalla categoria S alla XL il raggio di azione si estende, passando dall’intervento sul deficit di ordine tecnologico all’intervento su scala urbana30.
Fig. 3.4: Strategie di intervento 30
Le proposte di intervento rispettano i limiti e le imposizioni dettate dal PGT, sia del Comune di Bovezzo che del Comune di Brescia. L’analisi dei due PGT, ed in particolare delle Norme Tecniche di Attuazione (NTA) e del Piano delle Regole, è stata realizzata nel capitolo 1, al fine di conoscere i limiti da rispettare prima di approcciarsi alla fase di progetto.
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Di seguito nel dettaglio gli scopi e caratteristiche di ciascuna categoria di intervento: •
STRATEGIA S (Small): STRATEGIA LAISSEZ-FAIRE
L’obiettivo degli interventi di strategia S è quello di eliminare i deficit edilizi e tecnologici e migliorare il comfort abitativo e le performance dell’edificio. Gli strumenti utilizzati sono: - eliminazione delle superfetazioni; - ristrutturazione dei balconi e sostituzione dei serramenti; - miglioramento degli aspetti termici/acustici, con inserimento cappotto, facciate ventilate, ecc.; - cambiamenti di colori e materiali in facciata. •
STRATEGIA M (Medium): AGGIUNTE ADATTIVE
L’obiettivo degli interventi di strategia M è quello di eliminare i deficit tipo-morfologici degli spazi tra due edifici. Gli strumenti utilizzati sono: - nuova configurazione dei volumi esistenti operando negli spazi tra due edifici (con un nuovo tetto, sopraelevazioni parziali, demolizioni mirate, costruzione di serre e verande sui terrazzi, ecc.); - parziale modificazione e nuova configurazione degli spazi aperti tra due edifici, con nuovi accesi e collegamenti. •
STRATEGIA L (Large): GIARDINI CONDIVISI
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L’obiettivo degli interventi di strategia L è quello di eliminare i deficit relativi agli spazi esterni privati, soprattutto agendo sui giardini nel retro delle case. Gli strumenti utilizzati sono: - ridisegno dei giardini ed inserimento di servizi ad uso comune del cluster; - nuovi volumi e riconfigurazione dell’area dei backyards. •
STRATEGIA XL (ExtraLarge): STRADA COME PIAZZA
L’obiettivo degli interventi di strategia XL è quello di migliorare gli spazi pubblici, soprattutto l’ambiente strada, aggiungendo nuove funzioni, non solo la circolazione, ma dando importanza alla strada come luogo di vita urbana e attrezzandola con elementi architettonici ed urbanistici per dare nuova vita e vitalità a questi spazi. Gli strumenti utilizzati sono: - riconfigurazione dello spazio stradale, nuove percorrenze e sensi di marcia ed inserimento nuovi elementi architettonici; - nuovi limiti tra spazio pubblico e privato, ed inserimento spazi semipubblici; - nuovi accesi e percorsi; - nuovo arredo stradale e strada intesa come spazio pubblico vivibile. Gli interventi di progetto che saranno presentati nel prossimo paragrafo saranno quindi associati ad una delle precedenti categorie, in base alla dimensione dell’impatto sull’esistente e a ciò su cui vanno ad intervenire . Oltre alle categorie (S, M, L, XL), sono state individuate anche delle linee guida di intervento, ovvero delle modalità con cui approcciarsi al progetto di riqualificazione. Di seguito la definizione e le caratteristiche di ciascuna modalità di intervento31:
31
Le prima quattro modalità di intervento sono già state illustrate ed utilizzate nel capitolo 2 per la schedatura e l’analisi dei progetti di rigenerazione urbana in Danimarca
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Aggiornare La strategia prevede: - Interventi di manutenzione straordinaria o ordinaria delle facciate e dei sistemi impiantistici dell’edificio atte al risparmio energetico e al razionale utilizzo delle risorse; - Modifiche della distribuzione interna degli alloggi o degli spazi comuni (se presenti) atte al miglioramento della qualità della vita degli abitanti. In questa categoria rientrano le opere di frazionamento o di accorpamento degli alloggi, quelle di adeguamento dei vani di risalita e dei servizi connessi, quelle di rifacimento degli impianti o delle chiusure esterne. In linea generale la strategia “aggiornare” è assimilabile ad sistema integrato di opere edilizie atte alla riqualificazione del manufatto che, comunque, non ne alterano la morfologia e la consistenza. La densità abitativa del manufatto può subire variazioni. Ampliare
La strategia prevede: - Interventi di nuova costruzione di parti di edificio effettuati con l’estensione dei volumi abitabili con loggiati, balconi, serre solari o giardini d’inverno; - Nuovo comportamento energetico dell’edificio in quanto i dispositivi precedentemente enunciati fungono da spazi intermedi tra la situazione termoigrometrica esterna e quella interna; La strategia “ampliare” determina una modificazione della morfologia e della consistenza del manufatto limitata, molto spesso, ad aree puntuali o a prospetti strategici per il risparmio energetico. La strategia “ampliare” non determina una modificazione della densità abitativa.
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Aggiungere La strategia prevede: - Interventi di nuova costruzione di parti estese dell’edificio realizzati tramite la giustapposizione di aree abitabili. - Può comportare l’innalzamento della linea di gronda dell’edificio grazie l’inserimento di nuovi piani abitabili o una variazione, anche notevole, dello spessore del corpo di fabbrica.
La strategie “aggiungere” determina la modificazione della morfologia e della consistenza del manufatto che, comunque, mantiene una sagoma riconoscibile. La strategie “aggiungere” implica un aumento della densità abitativa. Ri-Modellare La strategia prevede: - Interventi edilizi di demolizione selettiva di parti dell’edificio; - Nuova costruzione di volumi aggiuntivi (parti di alloggio o abitazioni complete). Gli immobili soggetti ad interventi di “ri-modellazione” modificano morfologia e consistenza e, molto spesso, implicano una totale riconfigurazione degli spazi esterni di pertinenza. La strategia “modellare” determina una variazione considerevole della densità abitativa.
Confini Fornire demarcazioni chiare tra spazio pubblico, spazio aperto condiviso e spazio privato. Gli spazi condivisi sono separati dallo spazio pubblico e dalle strade da elementi architettonici che distinguono chiaramente una soglia, come archi, scale e cancelli. Gli spazi condivisi sono separati dalle aree abitative interne da "bordi soft", ovvero aree private all'aperto come verande, portici e cantieri di piccole dimensioni.
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Scala umana Progettare e dimensionare lo spazio per le attività umane. A differenza delle grandi piazze o strade principali, gli spazi aperti condivisi possono essere luoghi che sono intimamente scalati per l'esperienza umana. La dimensione percepita e le proporzioni dello spazio dovrebbero riguardare le attività che si svolgono all'interno.
Connessioni Fornire una visuale diretta tra le unità abitative e gli spazi aperti condivisi. Un chiaro campo visuale tra le aree private e lo spazio aperto condiviso fornisce la possibilità per adulti e bambini di vedersi a vicenda e aumenta la sicurezza di entrambi. Perché i genitori possono controllare in modo sicuro i loro figli da casa, e sono quindi anche più propensi a permettere loro di giocare nello spazio comune. Flessibilità Fornire l’opportunità di personalizzare, decorare e modificare gli spazi.
Concedendo ai residenti la libertà di personalizzare il proprio ambiente, essi percepiscono un maggiore senso di orgoglio e di responsabilità. Responsabilità Intesa come diritto e dovere, pertanto spazi sia per uso comune che di responsabilità condivisa. Un senso di appartenenza può essere incoraggiato richiedendo agli stessi residenti di costruire e / o mantenere lo spazio aperto condiviso.
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Definizione Definire e delimitare lo spazio aperto condiviso tramite la geometria delle abitazioni.
La prossimità di case e spazi aperti condivisi possono incoraggiare l'uso, aumentare l'interazione tra residenti e costruire un senso di appartenenza e di responsabilità. Attività Incoraggiare determinate attività raggruppando servizi condivisi insieme.
all'aperto
Se il parcheggio auto, parcheggio per biciclette, recipienti per rifiuti e altre esigenze funzionali sono raggruppati insieme piuttosto che forniti separatamente ad ogni unità abitativa, i residenti saranno tenuti a passare attraverso gli spazi aperti condivisi, innescando così i rapporti interpersonali e le relazioni con i vicini.
3.4 Abaco delle strategie di intervento e applicazione progettuale Nel seguente paragrafo viene innanzitutto proposto l’abaco riassuntivo delle strategie di intervento da applicare in fase di progetto, suddiviso nelle categorie S, M, L, XL (righe) e nelle modalità di intervento sopra illustrate (colonne), in modo che ogni intervento sia quindi inserito nell’abaco in base alla modalità e categoria di appartenenza. Seguono poi le schede dettagliate relative alle strategie di intervento.
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• S S.0 LAISSEZ FAIRE S.1 Aggiornamento dei tipi edilizi e modificazione tipologica S.2 Sistema termoisolante a cappotto con lana di roccia S.3 Parete ventilata con struttura e rivestimento in legno S.3b Facciata ventilata con struttura metallica e pannelli in alluminio S.4 Nuovi infissi triplo-vetro S.5 Nuovo sistema di oscuramento ad ante pieghevoli S.6 Tetto coibentato e ventilato S.7 Copertura piana praticabile S.8 Finestra per tetto velux S.9 Pannelli fotovoltaici S.10 Sistema di riscaldamento e raffreddamento con pannelli radianti a pavimento S.11 Rinforzo strutturale tramite intonaco armato con reti e connessioni metalliche
• M M.0 ADAPTIVE INFILL M.1 Nuovi volumi Infill in aderenza all’esistente: struttura portante metallica M.2 Nuovi volumi Infill in aderenza all’esistente: pannelli di rivestimento in policarbonato M.3 Nuovi volumi Infill in aderenza all’esistente: funzioni introdotte
• L L.0 SHARING THE BACKYARD L.1 Eliminazione confini fisici del lotto L.2 Staccionata in legno L.3 Zona Barbecue L.4 Parco giochi L.5 Piscina e solarium L.6 Orto L.7 Serra L.8 Zona bucato L.9 Zona ping-pong 201
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L.10 Zona tavoli per anziani e bambini L.11 Campi bocce L.12 Zona sport L.13 Zona babysitting L.14 Parete arrampicata L.15 Zona skate L.16 Parcheggio bici
• XL XL.0 STREET AS A PLACE XL.1 Eliminazione confini fisici del lotto XL.2 Strada a senso unico di marcia XL.3 Zona 30 XL.4 Percorsi ciclabili e pedonali XL.5 Parcheggio auto (con o senza pergola) XL.6 Aiuola XL.7 Campetto basket XL.8 Zona relax XL.9 Parcheggio biciclette XL.10 Area gioco XL.11 Cassetta della posta XL.12 Staccionata in legno
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Abaco delle STRATEGIE DI INTERVENTO
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3.5 Fasi di intervento
Gli interventi previsti dalle strategie proposte verranno realizzati con un preciso ordine. Sono previste otto fasi di intervento, di seguito descritte. FASE 0: Stato di fatto
Fig. 3.5: Fase 0, Stato di fatto FASE 1: Eliminazione dei confini fisici del lotto E’ prevista l’eliminazione dei confini fisici del lotto, ovviamente senza variazione della proprietà privata, che rimarrà intatta e immutata. Verranno semplicemente rimosse le recinzioni ed i muretti di separazione tra i vari giardini antistanti e retrostanti l’edificio.
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Fig. 3.6: Fase 1, Eliminazione dei confini fisici del lotto FASE 2: Volumi da demolire
Fig. 3.7: Fase 2, Volumi da demolire 289
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E’ prevista la demolizione di superfetazioni ed volumi aggiuntivi costruiti nel tempo, in quanto risultano spesso poco adeguati e non a norma. Viene indicata la normativa di riferimento. FASE 3: Cessione di suolo privato a spazio pubblico da attrezzare
Fig. 3.8: Fase 3, Cessione di suolo privato Entrambe i PGT consentono di conteggiare parcheggi e piste ciclopedonali nel conteggio dei 5 m minimi di distanza dalla carreggiata. Pertanto il confine viene arretrato per cedere spazio al suolo pubblico da attrezzare. FASE 4: Intervento sui tipi edilizi (S) In questa fase è prevista la realizzazione degli interventi previsti dalla strategia S, ovvero gli interventi di retrofit edilizio sui volumi esistenti.
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Fig. 3.9: Fase 4, Intervento sui tipi edilizi (S) FASE 5: Addizione di volumi alle abitazioni (M)
Fig. 3.10: Fase 5, Addizione di volumi alle abitazioni (M) 291
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Grazie agli interventi di miglioramento energetico è possibile un bonus volumetrico, utilizzabile per costruire nuovi volumi funzionali costruiti in aderenza all’esistente. FASE 6: Attrezzamento dello spazio comune del cluster (L)
Fig. 3.11: Fase 6, Attrezzamento dello spazio comune del cluster (L) I giardini retrostanti le abitazioni, prima caotici e inutilizzati vengono convertiti in spazi attrezzati ad uso comune del cluster. FASE 7: Attrezzamento del suolo pubblico stradale; strada come spazio fruibile (XL) Lo spazio stradale non svolge più solo il ruolo di luogo di transito, bensì di stazionamento, diventando uno spazio multifunzionale e fruibile, con zone gioco, sedute, portabici, aiuole etc.
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Fig. 3.12: Fase 7, Attrezzamento del suolo pubblico stradale; Strada come spazio fruibile (XL) FASE 8: Riqualificazione del Villaggio Prealpino Il processo porta alla riqualificazione finale dell’intero villaggio.
3.6 Masterplan di progetto e tipi edilizi approfonditi Viene di seguito presentato il masterplan di progetto, risultato dell’applicazione ragionata delle strategie di intervento S, M, L, XL. 293
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Fig. 3.13: Masterplan di progetto 294
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Per quanto riguarda i tipi edilizi, verranno approfonditi quelli presenti nel cluster, ovvero il tipo A, Q, R e B. 3.6.1. Tipo A Il tipo edilizio A è organizzato su un unico piano, costituito da due alloggi abbinati. Proprio perché caratterizzato dall’estendersi su unico livello, si presta all’utenza di persone anziane o disabili: questo pertanto il target individuato. Nell’alloggio pensato per disabili (a destra nella pianta di confronto) si procederà all’ampliamento del soggiorno con la demolizione della parete divisoria della cucina; l’angolo cottura verrà ricavato nel soggiorno. Questo intervento permette di ottenere uno spazio più ampio, facilitando il movimento alle persone su carrozzina. Il bagno verrà spostato e ampliato. L’abitazione per anziani invece (a sinistra nella pianta di confronto), prevede meno interventi sulla distribuzione: l’ampliamento del bagno a scapito della stanza da letto più piccola. Entrambe le unità verranno ampliate con l’inserimento del nuovo volume infill, utilizzato come sala da tè, sala giochi per i nipoti o garage. Si procederà poi all’applicazione delle strategie di intervento S (precedentemente descritte), per migliorarne struttura e comportamento energetico.
Fig. 3.14: Planimetria di confronto, tipo A, PT, in rosso costruzioni e in giallo demolizioni Di seguito la pianta di progetto. 295
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Fig. 3.15: Planimetria di progetto, tipo A, PT 296
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Per quanto riguarda la facciata esterna, si interviene con la soluzione S.3, ovvero parete ventilata con struttura e finitura in legno.
Fig. 3.16: Prospetto nello Stato di fatto (in alto) e di progetto (in basso) 3.6.2. Tipo Q Il tipo edilizio Q è costituito da alloggi a schiera che variano da 5 a 8 in numero, organizzati su due piani. I target di utenza piÚ adatti, considerando la superficie pavimentata e la distribuzione interne sono giovani coppie o single.
Fig. 3.17: Confronto, tipo Q, PT-P1-terrazza, in rosso costruzioni e in giallo demolizioni 297
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Il principale intervento è la realizzazione di una terrazza in copertura, grazie alla demolizione del tetto a falda esistente e la sostituzione con una copertura piana praticabile, realizzata in struttura metallica. Ogni alloggio avrà una parte di terrazza privata e accesso indipendente. Vengono applicate le strategie di intervento S (retrofit edilizio). Anche per questo tipo edilizio, la facciata esistente verrà integrata con un sistema a parete ventilata, con struttura in legno e finitura in elementi verticali lignei.
Fig. 3.18: Prospetto nello Stato di fatto (in alto) e di progetto (in basso)
E’ prevista la realizzazione di un secondo bagno al piano terra, la riorganizzazione di soggiorno e cucina la fine di ottenere un ambiente più arioso e luminoso. Bagni e cucina sono abbinati all’alloggio confinante in modo tale da avere gli scarichi attigui: pertanto il bagno e la cucina del piano terra saranno posizionati lungo la stessa parete x e abbinati a quelli dell’alloggio confinante, mentre il bagno del piano primo sarà posizionato lungo la parete y, abbinata a quella dell’altro alloggio confinante: la successione sarà pertanto yx xy yx xy yx, ovvero gli alloggi risultano specchiati alternativamente. Le unità laterali usufruiranno del volume aggiuntivo infill. Vengono di seguito mostrate le piante di progetto del tipo edilizio Q.
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Fig. 3.19: Planimetrie di progetto, tipo Q, PT-P1-terrazza 299
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3.6.3. Tipo R Il tipo edilizio R costituisce uno dei tipi piÚ ricorrenti nel Villaggio Prealpino e nei villaggi marcoliniani in generale. E’ una casa bifamiliare su due piani con alloggi specchiati rispetto all’asse centrale. Per il tipo R i target di utenza pensati sono coppie e famiglie con figli (anche numerosi). E’ prevista la demolizione della parete della sala da pranzo per ottenere un unico grande soggiorno spazioso e luminoso, oltre alla realizzazione di un secondo bagno, al piano terra. Inoltre saranno aggiunti nuovi ambienti grazie al volume infill laterale, con accesso sia dalla cucina la piano terra che dal vano scale (piano mezzanino).
Fig. 3.20: Confronto, tipo R, in rosso costruzioni e in giallo demolizioni 300
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Fig. 3.21: Planimetria di progetto, tipo R, PT 301
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Fig. 3.22: Planimetria di progetto, tipo R, P1 302
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Vengono applicate le strategie di intervento S (retrofit edilizio). Per questo tipo edilizio, la facciata esistente verrà integrata con un sistema a parete ventilata, con struttura a montanti metallici e pannelli in alluminio.
Fig. 3.23: Prospetto nello Stato di fatto (in alto) e di progetto (in basso)
3.6.4. Tipo B Il tipo edilizio B costituisce uno dei tipi più ricorrenti nel Villaggio Prealpino e nei villaggi marcoliniani in generale. E’ una casa bifamiliare su due piani con alloggi specchiati rispetto all’asse centrale. Per il tipo B i target di utenza pensati sono famiglie numerose e studenti. E’ prevista la realizzazione di un bagno aggiuntivo al piano terra, la cucina verrà spostata in quello che è l’ambiente rustico, della casa, la loggia trasformata in veranda. Verrà inoltre realizzato un secondo piano, in parte adibito a terrazza ed in parte chiuso per ottenere un ulteriore ambiente aggiuntivo (camera da letto, guardaroba, sala studio, etc.). Ogni alloggio verrà poi ampliato con il volume infill (strategia M). 303
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Fig. 3.24: Confronto, tipo B, in rosso costruzioni e in giallo demolizioni, P2-P1-PT 304
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Fig. 3.25: Planimetria di progetto, tipo B, PT
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Fig. 3.26: Planimetria di progetto, tipo B, P1 306
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Fig. 3.27: Planimetria di progetto, tipo B, P2 307
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Vengono applicate le strategie di intervento S (retrofit edilizio). Per questo tipo edilizio, la facciata esistente verrĂ integrata con un sistema a parete ventilata, con struttura a montanti metallici e pannelli in alluminio; il volume aggiuntivo al secondo piano avrĂ tamponamenti in pannelli multistrato di policarbonato con isolamento in aerogel.
3.7 Possibili scenari per il Villaggio Prealpino Vengono di seguito proposte rielaborazioni grafiche, vista e collage finali per riassumere i possibili scenari pensati per il Villaggio Prealpino.
Fig. 3.28: Giardini condivisi
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Fig. 3.29: Giardini condivisi
Fig. 3.30: Giardini condivisi 309
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Fig. 3.31: Terrazza del tipo edilizio Q
Fig. 3.32: Spazio stradale riqualificato
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Fig. 3.33: Spazio stradale in testata al cluster
Fig. 3.34: Vista dalla terrazza del tipo edilizio B
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Fig. 3.35: Sezione prospettica 312
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CAPITOLO 4: ANALISI ENERGETICA
4.1 Introduzione L’Italia è da sempre uno tra i paesi europei che si caratterizzano per un elevato consumo di energia, con un fabbisogno energetico ancora strettamente connesso a fonti non rinnovabili e di tipo tradizionale, quali gas naturale, petrolio etc. Fortemente legate al consumo di energia sono le emissioni di CO2 e gas serra, che in Italia hanno registrato un significativo aumento dagli anni Ottanta all’inizio del nuovo millennio, principalmente dovuto alla crescita demografica ed economica determinata dallo sviluppo industriale. A partire dal 2005 questo incremento si è fermato ed ha subito un’inversione: è stata registrata una diminuzione di emissioni, dapprima lieve e più accentuata negli ultimi anni.
Fig. 4.1: Emissioni di gas a effetto serra in Italia nel periodo 1990-2013 (MtCO2eq); Fonte: 19902012 dati Ispra, AEA; 2013 stime Fondazione In particolare, nel 2013 in Italia le emissioni di gas serra si sono attestate a 435 MtCO2eq, ovvero hanno subito un calo del 6% rispetto al 2012. L’Italia ha pertanto centrato il target di Kyoto, riducendo le emissioni rispetto al 1990 del 7,8% a fronte di un impegno del -6,5%. L’obiettivo futuro sarà raggiungere una decarbonizzazione dell’economia e l’utilizzo di fonti di energia rinnovabili.32
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Verso i nuovi impegni di riduzione della CO2 per l’Italia. Prima stima delle emissioni nazionali di gas serra 2013, Dossier Clima 2014, A cura di E. Ronchi, A. Barbabella, T. Federico, S. Grillo, Fondazione per lo sviluppo sostenibile
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Il settore civile gioca un ruolo fondamentale nel raggiungimento di questo obiettivo: infatti esso rappresenta circa il 35% dei consumi totali di energia in Italia, ovvero più dell’industria e dei trasporti .33
Fig. 4.2: Impieghi finali di energia per settore, anno 2011 – Totale 134,9 Mtep; Fonte: elaborazione ENEA su dati MSE Al fine di ridurre il consumo energetico determinato dal settore civile, la strategia migliore è rappresentata da interventi mirati di ristrutturazione edilizia e miglioramento energetico, con sistemazione degli impianti di riscaldamento e ventilazione, sostituzione degli infissi, installazione di pannelli solari e dispositivi per la produzione di energia alternativa, aggiornamento dell’involucro edilizio etc. In questo capitolo verrà studiato il comportamento energetico del manufatto edilizio, prima e dopo l’intervento di ristrutturazione previsto dal progetto. In primo luogo si determineranno i valori di termotrasmittanza degli elementi costruttivi costituenti le abitazioni nello stato attuale (chiusure orizzontali e verticali), al fine di realizzare poi la classificazione energetica dell’edificio: si ricorrerà al software Class on-line per il calcolo semplificato del fabbisogno energetico degli edifici, fornito dall’Associazione Nazionale per l’Isolamento Termico e Acustico.34 Tale procedura non ha valore ufficiale di certificazione energetica, ma consente comunque di individuare approssimativamente la classe energetica e la stima delle emissioni di CO2 per le diverse unità abitative; il metodo di calcolo prevede un comportamento tradizionale dell’utenza, indipendente da tempi di occupazione o usi particolari (questo può pertanto dar luogo ad un certo scostamento dai valori reali di consumo). In seguito verranno descritte le strategie di intervento da predisporre in fase di progetto volte alla riduzione del consumo di energia e al miglioramento del comfort abitativo del manufatto edilizio; in particolare verrà analizzato l’intervento tecnologico sulle chiusure verticali, con aggiornamento 33 34
Rapporto annuale efficienza energetica (RAEE 2011), ENEA, Roma, 2013 http://class.anit.it/
315
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della facciata: la nuova stratigrafia prevede l’inserimento di isolamento termico dimensionato secondo le prescrizioni del Decreto del Ministero per lo Sviluppo Economico del 26 gennaio 201035, aggiornamento del precedente decreto 11 marzo 200836 in materia di riqualificazione energetica degli edifici. Nel corso del 2015 sono stati emanati diversi documenti legislativi di livello nazionale e regionale “Lombardia, Emilia Romagna” in materia di certificazione energetica degli edifici: - Il decreto del 26 giugno 2015 del Ministro dello sviluppo economico di concerto con i Ministri dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, delle infrastrutture e dei trasporti e per la semplificazione e la pubblica amministrazione, Adeguamento del decreto del Ministro dello sviluppo economico, 26 giugno 2009 - Linee guida nazionali per la certificazione energetica degli edifici, ai sensi dell’articolo articolo 6, comma 12, del decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 192, con relativo allegato 1 e rispettive appendici A, B, C e D all’allegato 1 stesso; - Il decreto del 26 giugno 2015, Applicazione delle metodologie di calcolo delle prestazioni energetiche e definizione delle prescrizioni e dei requisiti minimi degli edifici, ai sensi dell’articolo articolo 4, comma 1, del decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 192, con relativi allegati 1 ( e rispettive appendici A e B) e 2; - Il decreto del 26 giugno 2015, Schemi e modalità di riferimento per la compilazione della relazione tecnica di progetto ai fini dell’applicazione delle prescrizioni e dei requisiti minimi di prestazione energetica negli edifici, ai sensi dell’articolo articolo 8, comma 1, del decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 192, con relativi allegati 1,2 e 3. Queste nuove regole prevedono anche nuovi obblighi per la fornitura di serramenti esterni. Infatti, nella regione Lombardia, dopo il varo della Delibera della Giunta Regionale e il decreto attuativo n. 6480 sono state stabilite delle nuove e severe trasmittanze termiche. La nuova normativa avrebbe imposto a partire dal 1 gennaio 2016 l’obbligo di valori massimi di trasmittanza termica (W/m2K) di serramenti e cassonetti in: Uw= 1,40 W/m2K nella zona E Uw= 1,00 W/m2K nella zona F La Giunta regionale della Lombardia nel corso della Seduta n. 141 del 20 novembre ha però deciso di rinviare di un anno i termini di applicazione delle nuove trasmittanze termiche. Per il 2016 vengono quindi confermati i valori 1,8 W/m2K per la zona E e 1,6 W/m2K per la zona F. Si sottolinea che in questo elaborato di tesi si fa ancora riferimento alla normativa DM 26 gennaio 2010 in quanto la maggior parte dei dati è stata raccolta a inizio 2015 e le analisi energetiche effettuate nel 2015, prima dell’entrata in vigore della nuova normativa. Infine verrà proposta la classificazione energetica del manufatto dopo l’intervento di miglioramento energetico, sempre tramite l’utilizzo del software Class on-line. 35
DM 26 gennaio 2010, Aggiornamento del decreto 11 marzo 2008 in materia energetica degli edifici DM 11 marzo 2008, Attenuazione dell’articolo 1, comma 24, lettera a) della legge 24 dicembre 2007, n. 244, per la definizione dei valori limite di fabbisogno di energia primaria annuo e di termotrasmittanza termica ai fini dell’applicazione dei commi 344 e 345 dell’articolo 1 della legge 27 dicembre 2006, n. 296. 36
316
S, M, L, XL: strategie di intervento per la riqualificazione integrata delle case marcoliniane. Progetto di rigenerazione del Villaggio Prealpino a Brescia. Sara Bullini
4.2 Classificazione energetica dello stato di fatto
Vengono di seguito determinati i valori di termotrasmittanza dei vari elementi costruttivi costituenti il manufatto edilizio. Le formule utilizzate prevedono la conoscenza della stratigrafia esatta dell’elemento, in quanto le grandezze in gioco risultano essere: -
Spessore d del materiale; Conduttanza (o conducibiltĂ ) termica Îť del materiale
Pertanto: !
-
Resistenza termica Ri =
-
Resistenza termica totale Rtot = Rsi +
-
Termotrasmittanza totale Utot =
"
$ %&' đ?‘… I + Rse
' ()*)
I valori delle resistenze superficiali Rsi e Rse sono indicati nelle UNI EN ISO 6946. 4.2.1. Termotrasmittanza di solai e copertura •
Solaio piano terra
Materiale
Spessore d Conduttanza đ?‘ž [m ] termica Îť [ ]
Resistenza superficiale interna Pavimento in marmette di cemento Sottofondo di allettamento Massetto TOTALE
��
đ?‘˛đ?’Žđ?&#x;? ] termica R [ đ?‘ž
U tot [
đ?‘ž
đ?’Žđ?&#x;?đ?‘˛
]
-
0,025
1,30
0,019
0,05
1,65
0,03
0,10
1,30
0,076 0,295
3,39
0,175
0,17
Termotrasmittanza
-
317
Resistenza
S, M, L, XL: strategie di intervento per la riqualificazione integrata delle case marcoliniane. Progetto di rigenerazione del Villaggio Prealpino a Brescia. Sara Bullini
Fig. 4.3: Stratigrafia solaio piano terra •
Solaio soffitta
Materiale
Spessore d Conduttanza � [m ] termica Ν [ ] ��
Resistenza superficiale interna Solaio in laterocemento Intonaco civile Assito in legno Resistenza superficiale interna TOTALE
-
-
0,17
Resistenza termica R đ?‘˛đ?’Žđ?&#x;? [ ] đ?‘ž
Termotrasmittanza U tot [
đ?‘ž
đ?’Žđ?&#x;?đ?‘˛
]
0,10
0,80
0,21
0,02 0,03 -
0,70 0,15 -
0,03 0,20 0,10
0,22
0,64
1,56
Fig. 4.4: Stratigrafia solaio soffitta •
Solaio piano primo
Materiale
Spessore d Conduttanza � [m ] termica Ν [ ] ��
Resistenza superficiale interna Solaio in laterocemento Intonaco civile
-
-
0,17 0,02
đ?‘˛đ?’Žđ?&#x;? [ ] đ?‘ž
Termotrasmittanza U tot [
đ?‘ž
đ?’Žđ?&#x;?đ?‘˛
0,10
0,80
0,21
0,70
0,03
318
Resistenza termica R
]
S, M, L, XL: strategie di intervento per la riqualificazione integrata delle case marcoliniane. Progetto di rigenerazione del Villaggio Prealpino a Brescia. Sara Bullini
Pavimento in gres porcellanato Resistenza superficiale interna TOTALE
0,02
1,1
0,018
-
-
0,10
0,22
0,458
2,18
Fig. 4.5: Stratigrafia solaio piano primo •
Copertura
Materiale
Spessore d Conduttanza � [m ] termica Ν [ ] ��
Resistenza superficiale esterna Coppi e controcoppi Intonaco per esterni Struttura in tavelle e tavelloni Intercapedine Intonaco civile Resistenza superficiale interna TOTALE
-
-
0,04 0,01 0,10
đ?‘˛đ?’Žđ?&#x;? ] đ?‘ž
U tot [
đ?‘ž
đ?’Žđ?&#x;?đ?‘˛
]
1,90 0,90 0,72
0,02 0,011 0,14
0,08 0,02 -
- 0,70 -
0,18 0,03 0,10
0,25
0,521
1,92
319
[
Termotrasmittanza
0,04
Fig. 4.6: Stratigrafia copertura
Resistenza termica R
S, M, L, XL: strategie di intervento per la riqualificazione integrata delle case marcoliniane. Progetto di rigenerazione del Villaggio Prealpino a Brescia. Sara Bullini
4.2.2. Termotrasmittanza di pareti perimetrali e tramezzature
Fig. 4.7: Stratigrafia pareti perimetrali ed interne •
Parete perimetrale
Materiale
Spessore d Conduttanza � [m ] termica Ν [ ] ��
Resistenza superficiale interna Intonaco in malta di calce Forato da 17 cm Intonaco per esterni Resistenza superficiale esterna TOTALE •
-
-
0,01
đ?‘˛đ?’Žđ?&#x;? [ ] đ?‘ž
Termotrasmittanza U tot [
đ?‘ž
đ?’Žđ?&#x;?đ?‘˛
]
0,13
0,70
0,014
0,17 0,02 -
0,35 0,9 -
0,486 0,022 0,04
0,20
0,692
1,45
Tramezza interna
Materiale
Spessore d Conduttanza � [m ] termica Ν [ ] ��
Resistenza superficiale interna Intonaco in malta di calce Forato da 6cm Intonaco in malta di calce Resistenza superficiale interna
-
-
0,01
Resistenza termica R đ?‘˛đ?’Žđ?&#x;? [ ] đ?‘ž
Termotrasmittanza U tot [
đ?‘ž
đ?’Žđ?&#x;?đ?‘˛
0,13
0,70
0,014
0,06 0,01
0,35 0,7
0,171 0,014
-
-
0,13
320
Resistenza termica R
]
S, M, L, XL: strategie di intervento per la riqualificazione integrata delle case marcoliniane. Progetto di rigenerazione del Villaggio Prealpino a Brescia. Sara Bullini
TOTALE
0,08
0,459
2,18
I valori di termotrasmittanza calcolati degli elementi costruttivi principali nello stato attuale non risultano conformi ai valori limite imposti dal DM 26 gennaio 2010; infatti:
4.2.3. Classificazione energetica Grazie all’utilizzo del software Class on-line è stata realizzata la classificazione energetica dei 4 tipi edilizi presenti nel cluster oggetto di analisi. Il metodo di calcolo semplificato utilizzato dal software dipende da alcuni parametri specifici che vengono richiesti in fase di compilazione dati. Successivamente il software rielabora i dati e fornisce il valore di emissioni di CO2 , la classe energetica e suggerisce eventuali interventi di ristrutturazione. Tutti I tipi edilizi nello stato originario (ovvero senza considerare eventuali interventi di ristrutturazione edilizia già effettuati) rientrano in classe energetica G. I parametri di riferimento sono: -
-
Localizzazione dell’edificio Comune: Brescia Gradi giorno: GG2410 Zona climatica: E Contesto: periferia Anno di costruzione: periodo tra il 1945 e il 1978. Si considera l’edificio privo di interventi di ristrutturazione edilizia. 321
S, M, L, XL: strategie di intervento per la riqualificazione integrata delle case marcoliniane. Progetto di rigenerazione del Villaggio Prealpino a Brescia. Sara Bullini
-
Dimensioni dell’unità abitativa: 2 o più unità;, dimensioni inserite secondo l’orientamento geografico
-
Caratteristiche dell’involucro Spessore: inferiore a 30 cm Tetto: a falda in laterocemento, non isolato Serramenti: vetro singolo, telaio in legno Impianti Riscaldamento: teleriscaldamento, combustibile RSU Ventilazione: assente
-
• TIPO A
Fig. 4.8: Classificazione energetica semplificata tipo A I valori di dispersioni e consumi ottenuti, in base all’orientamento dell’unità abitativa sono:
322
S, M, L, XL: strategie di intervento per la riqualificazione integrata delle case marcoliniane. Progetto di rigenerazione del Villaggio Prealpino a Brescia. Sara Bullini
Fig. 4.9: Analisi delle dispersioni dell’unità abitativa Nord tipo edilizio A
323
S, M, L, XL: strategie di intervento per la riqualificazione integrata delle case marcoliniane. Progetto di rigenerazione del Villaggio Prealpino a Brescia. Sara Bullini
Fig. 4.10: Analisi delle dispersioni dell’unità abitativa Sud tipo edilizio A
324
S, M, L, XL: strategie di intervento per la riqualificazione integrata delle case marcoliniane. Progetto di rigenerazione del Villaggio Prealpino a Brescia. Sara Bullini
• TIPO B
Fig. 4.11: Classificazione energetica semplificata tipo B I valori di dispersioni e consumi ottenuti, in base all’orientamento dell’unità abitativa sono:
325
S, M, L, XL: strategie di intervento per la riqualificazione integrata delle case marcoliniane. Progetto di rigenerazione del Villaggio Prealpino a Brescia. Sara Bullini
Fig. 4.12: Analisi delle dispersioni dell’unità abitativa Ovest tipo edilizio B
326
S, M, L, XL: strategie di intervento per la riqualificazione integrata delle case marcoliniane. Progetto di rigenerazione del Villaggio Prealpino a Brescia. Sara Bullini
Fig. 4.13: Analisi delle dispersioni dell’unità abitativa Est tipo edilizio B 327
S, M, L, XL: strategie di intervento per la riqualificazione integrata delle case marcoliniane. Progetto di rigenerazione del Villaggio Prealpino a Brescia. Sara Bullini
• TIPO R
Fig. 4.14: Classificazione energetica semplificata tipo R I valori di dispersioni e consumi ottenuti, in base all’orientamento dell’unità abitativa sono:
328
S, M, L, XL: strategie di intervento per la riqualificazione integrata delle case marcoliniane. Progetto di rigenerazione del Villaggio Prealpino a Brescia. Sara Bullini
Fig. 4.15: Analisi delle dispersioni dell’unità abitativa Nord tipo edilizio R
329
S, M, L, XL: strategie di intervento per la riqualificazione integrata delle case marcoliniane. Progetto di rigenerazione del Villaggio Prealpino a Brescia. Sara Bullini
Fig. 4.16: Analisi delle dispersioni dell’unità abitativa Sud tipo edilizio R 330
S, M, L, XL: strategie di intervento per la riqualificazione integrata delle case marcoliniane. Progetto di rigenerazione del Villaggio Prealpino a Brescia. Sara Bullini
• TIPO Q
Fig. 4.17: Classificazione energetica semplificata tipo Q I valori di dispersioni e consumi ottenuti, in base all’orientamento dell’unità abitativa sono:
Fig. 4.18: Analisi delle dispersioni dell’unità abitativa tipo edilizio Q 331
S, M, L, XL: strategie di intervento per la riqualificazione integrata delle case marcoliniane. Progetto di rigenerazione del Villaggio Prealpino a Brescia. Sara Bullini
4.3 Classificazione energetica del manufatto edilizio dopo l’intervento di progetto Vengono di seguito determinati i valori di termotrasmittanza dei vari elementi costruttivi costituenti il manufatto edilizio, successivamente all’intervento di ristrutturazione edilizia prevista dal progetto. Le strategie di intervento37 previste per il miglioramento energetico appartengono alla categoria S e sono applicate nella ristrutturazione di piÚ o meno tutti i tipi edilizi: -
S.2: Sistema termoisolante a cappotto con lana di roccia S.3: Facciata ventilata con struttura in legno e chiusura verticale in legno S.4: Serramenti triplo vetro ad alta prestazione energetica S.5: Sistema di oscuramento ad ante pieghevoli S.6: Tetto ligneo a falda coibentato e ventilato S.7: Copertura piana praticabile S.8: Finestra per tetto Velux ad alta prestazione energetica S.9: Pannelli fotovoltaici S.10: Sistema di riscaldamento e raffreddamento con pannelli radianti a pavimento M.0: Adaptive Infill
4.3.1. Termotrasmittanza di solai e copertura •
Solaio piano terra
L’intervento prevede l’introduzione del sistema di riscaldamento e raffreddamento con pannelli radianti a pavimento, sistema a secco UPONOR SICCUS 14 in EPS (S.10). Materiale
Spessore d Conduttanza đ?‘ž [m ] termica Îť [ ]
Resistenza superficiale interna Pannello Siccus 14 Foglio in PE Lastra cemento precompresso Pavimento in legno Pannello isolante rigido resistente a compressione Massetto TOTALE
��
Resistenza termica đ?‘˛đ?’Žđ?&#x;? ] R [ đ?‘ž
Termotrasmittanza U tot [
]
-
-
0,025
0,28
0,089
0,003 0,025
0,1 1,7
0,03 0,015
0,02
0,16
0,125
0,12
0,04
3
0,10
1,30
0,076 3,5
0,285
0,170
0,17
đ?‘ž
đ?’Žđ?&#x;?đ?‘˛
37
Si rimanda al capitolo 3 di progetto per la descrizione dettagliata delle singole strategie di intervento.
332
S, M, L, XL: strategie di intervento per la riqualificazione integrata delle case marcoliniane. Progetto di rigenerazione del Villaggio Prealpino a Brescia. Sara Bullini
Fig. 4.19: Stratigrafia solaio del piano terra dopo l’intervento •
Copertura
E’ prevista la sostituzione della copertura esistente con una nuova coibentata e ventilata, realizzata con struttura in legno e isolamento in lana di roccia (S.6). Materiale
Spessore d Conduttanza � [m ] termica Ν [ ] ��
Resistenza superficiale esterna Finitura esterna in assi di abete verniciate Orditura listelli legno Membrana catramata Supporto ligneo Intercapedine ventilata Isolamento in lana di roccia Barriera vapore Isolamento lana di roccia Compensato Cartongesso Resistenza superficiale interna TOTALE
-
-
0,02
đ?‘˛đ?’Žđ?&#x;? [ ] đ?‘ž
Termotrasmittanza U tot [
đ?‘ž
đ?’Žđ?&#x;?đ?‘˛
]
0,04
0,15
0,133
0,08 0,006
- 0,17
0,17 0,04
0,04 0,05
0,18 -
0,22 0,17
0,25
0,04
6,25
0,002 0,045
0,17 0,04
0,012 1,125
0,013 0,013 -
0,44 0,21 -
0,03 0,062 0,10
0,57
8,35
0,12
333
Resistenza termica R
S, M, L, XL: strategie di intervento per la riqualificazione integrata delle case marcoliniane. Progetto di rigenerazione del Villaggio Prealpino a Brescia. Sara Bullini
Fig. 4.20: Stratigrafia copertura dopo l’intervento
•
Copertura piana
Nel tipo edilizio Q è prevista la demolizione del tetto a falda in laterocemento esistente e la realizzazione di una nuova copertura piana praticabile per ottenere una terrazza al secondo piano. (S.7). 334
S, M, L, XL: strategie di intervento per la riqualificazione integrata delle case marcoliniane. Progetto di rigenerazione del Villaggio Prealpino a Brescia. Sara Bullini
Materiale
Spessore d Conduttanza � [m ] termica Ν [ ] ��
Resistenza superficiale esterna Pavimentazione flottante in pannelli di legno per esterni Intercapedine ventilata Pannello isolante rigido resistente a compressione Soletta collaborante in calcestruzzo con rete elettrosaldata Lamiera grecata S/C 2000 Trave IPE 200 Isolamento in lana di roccia Cartongesso Resistenza superficiale interna TOTALE
-
-
0,055
Resistenza termica R [
đ?‘˛đ?’Žđ?&#x;? ] đ?‘ž
Termotrasmittanza U tot [
đ?‘ž
đ?’Žđ?&#x;?đ?‘˛
]
0,04
0,15
0,27
0,13
-
0,17
0,10
0,05
2
0,08
1,8
0,045
0,04
0,05
0,8
0,20 0,04
- 0,04
- 1
0,02 -
0,21 -
0,095 0,10
0,63
4,52
0,22
Fig. 4.21: Stratigrafia copertura piana praticabile dopo l’intervento 335
S, M, L, XL: strategie di intervento per la riqualificazione integrata delle case marcoliniane. Progetto di rigenerazione del Villaggio Prealpino a Brescia. Sara Bullini
4.3.2. Termotrasmittanza di pareti perimetrali •
Parete perimetrale
L’intervento sulle pareti perimetrali prevede l’inserimento di uno strato di isolante termico all’esterno e la realizzazione di una facciata ventilata (S.3). Materiale
Spessore d Conduttanza � [m ] termica Ν [ ] ��
Resistenza superficiale interna Intonaco in malta di calce Forato da 17 cm Pannello isolante termico (1^ strato) Pannello isolante termico (2^ strato) Barriera traspirante Montanti verticali lignei – intercapedine d’aria ventilata Montanti orizzontali Rivestimento in legno, asse verticali Resistenza superficiale esterna TOTALE
-
-
0,01
đ?‘˛đ?’Žđ?&#x;? [ ] đ?‘ž
Termotrasmittanza U tot [
đ?‘ž
đ?’Žđ?&#x;?đ?‘˛
]
0,13
0,70
0,014
0,17 0,10
0,35 0,04
0,486 2,50
0,03
0,04
0,75
0,003 0,03
0,22 -
0,014 0,17
0,03 0,04
- 0,15
- 0,27
-
-
0,04
0,45
4,375
0,23
336
Resistenza termica R
S, M, L, XL: strategie di intervento per la riqualificazione integrata delle case marcoliniane. Progetto di rigenerazione del Villaggio Prealpino a Brescia. Sara Bullini
Fig. 4.22: Stratigrafia pareti perimetrali dopo l’interno I valori di termotrasmittanza calcolati degli elementi costruttivi principali dopo l’intervento risultano conformi ai valori limite imposti dal DM 26 gennaio 2010; infatti:
337
S, M, L, XL: strategie di intervento per la riqualificazione integrata delle case marcoliniane. Progetto di rigenerazione del Villaggio Prealpino a Brescia. Sara Bullini
4.3.3. Classificazione energetica Il software di calcolo semplificato consente di modificare le caratteristiche di alcuni elementi costruttivi al fine di renderli più prestanti dal punto di vista energetico e migliorare cosi la classe di appartenenza. Nello specifico gli elementi che possono essere migliorati sono:
Fig. 4.23: Interventi migliorativi possibili nel software di calcolo semplificato
Risulta evidente come la tipologia di intervento sia solo indicativa poiché non è consentito inserire dati specifici circa le prestazioni energetiche effettive dei nuovi elementi, come ad esempio valori di termotrasmittanza o altre proprietà fisiche determinanti; d'altronde come già sottolineato più volte il software fornisce una classificazione energetica forfettaria. Sicuramente è possibile affermare che la nuova classe energetica di appartenenza fornita dal software sarà uno standard minimo, in quanto gli interventi di ristrutturazione considerati sono “a prestazione buona”, mentre gli interventi previsti nel progetto si caratterizzano tutti per alta qualità e ottime prestazioni energetiche; inoltre in progetto sono previsti anche interventi migliorativi su elementi che nel software non compaiono, come ad esempio l’inserimento di pannelli solari e volumi aggiuntivi infill che riducono la superficie delle pareti che danno su ambienti esterni o comunque non riscaldati. Pertanto la classe energetica dell’edificio nello stato di progetto sarà probabilmente migliore di quella ottenuta con il software. Viene comunque riportato un esempio di calcolo realizzato: classificazione energetica del tipo edilizio A ristrutturato (2 unità abitative: Nord, Sud) esemplificativo di tutti gli altri tipi edilizi. Le strategie di intervento applicate sono:
338
S, M, L, XL: strategie di intervento per la riqualificazione integrata delle case marcoliniane. Progetto di rigenerazione del Villaggio Prealpino a Brescia. Sara Bullini
-
S.2: Sistema termoisolante a cappotto con lana di roccia S.3: Facciata ventilata con struttura in legno e chiusura verticale in legno S.4: Serramenti triplo vetro ad alta prestazione energetica S.5: Sistema di oscuramento ad ante pieghevoli S.6: Tetto ligneo a falda coibentato e ventilato S.9: Pannelli fotovoltaici S.10: Sistema di riscaldamento e raffreddamento con pannelli radianti a pavimento M.0: Adaptive Infill
La classe energetica ottenuta e le nuove dispersioni risultano essere:
•
TIPO A
Fig. 4.24: Classificazione energetica semplificata tipo A da progetto I valori di dispersioni e consumi ottenuti, in base all’orientamento dell’unità abitativa sono:
339
S, M, L, XL: strategie di intervento per la riqualificazione integrata delle case marcoliniane. Progetto di rigenerazione del Villaggio Prealpino a Brescia. Sara Bullini
Fig. 4.25: Analisi delle dispersioni dell’unità abitativa Nord tipo edilizio A da progetto
340
S, M, L, XL: strategie di intervento per la riqualificazione integrata delle case marcoliniane. Progetto di rigenerazione del Villaggio Prealpino a Brescia. Sara Bullini
Fig. 4.26: Analisi delle dispersioni dell’unità abitativa Sud tipo edilizio A da progetto
341
S, M, L, XL: strategie di intervento per la riqualificazione integrata delle case marcoliniane. Progetto di rigenerazione del Villaggio Prealpino a Brescia. Sara Bullini
APPENDICE: ANALISI STRUTTURALE
In questo capitolo verrà analizzato il comportamento strutturale di un edificio campione ricorrente all’interno del Villaggio Prealpino e in particolare nel cluster oggetto di studio. In particolare verrà effettuata un’analisi semplificata per verificare il comportamento sismico dell’edificio. Viene sottolineato che non esiste una normativa specifica per strutture in muratura, ma verrà comunque seguito il procedimento indicato nelle Norme Tecniche per le Costruzioni (NTC). Il primo passo in tale tipo di analisi consiste nel determinare i carichi agenti sulla struttura e successivamente l’azione sismica propria del sito, con riferimento alle NTC Cap. 7. Dato che questa verifica non risulterà soddisfatta, si provvederà a verificare anche le azioni su un setto murario soggetto ad azioni fuori piano (ribaltamento) ed azioni nel piano (ribaltamento e pressoflessione). Le verifiche risulteranno appena soddisfatte: i principali problemi riscontrati sono l’esiguo spessore delle pareti perimetrali, troppo sottili per sopportare forze sismiche, la tecnica ed i materiali costruttivi utilizzati, ovvero laterizi forati orizzontali, una tipologia di laterizio normalmente utilizzata per la realizzazione di tramezze; pertanto sarà consigliabile intervenire con soluzioni di miglioramento sismico sulla struttura.
A.1. Edifici in muratura: grado di conoscenza Per le strutture in muratura è di fondamentale importanza possedere informazioni riguardanti la geometria, che considerino eventuali quadri fessurativi con classificazione dei tipi di degrado e dei meccanismi di deformazione o rottura associati. Il fine è quello di permettere già durante la fase diagnostica, di individuare la causa ed i possibili sviluppi delle problematiche strutturali dell’edificio. Di fondamentale importanza risulta anche la conoscenza dei dettagli costruttivi, così come il tipo di muratura e la tipologia di tessitura (a mattoni pieni o in pietra, regolare,irregolare,etc.), la presenza di rinforzi posizionati al fine di ridurre le spinte, l’efficacia del collegamento tra le pareti verticali e l’innesto tra orizzontamenti e pareti. Nelle costruzioni in muratura uno degli aspetti fondamentali è la valutazione della qualità muraria, che deve attenersi il più possibile alla buona regola dell’arte. Esistono prevalentemente tre tipologie di verifiche in situ per edifici in muratura: - verifiche in situ limitate, basate su rilievi visivi, effettuati con eventuale rimozione dell’intonaco e saggi della muratura, così da analizzare le caratteristiche superficiali della muratura; - verifiche in situ estese, con prove di caratterizzazione della malta e dei mattoni; - verifiche in situ esaustive, che permettono di analizzare in maniera più diffusa e approfondita l’apparato murario, anche con prove di resistenza meccanica svolte in laboratorio.
342
S, M, L, XL: strategie di intervento per la riqualificazione integrata delle case marcoliniane. Progetto di rigenerazione del Villaggio Prealpino a Brescia. Sara Bullini
Le prove di verifica hanno l’obiettivo di valutare il comportamento strutturale della muratura, ed in particolare la capacità di resistenza a forze orizzontali e verticali, le azioni statiche e dinamiche, soprattutto in caso di sisma. Per le verifiche effettuate di seguito verranno considerati valori di riferimento ricavati dalla circolare 2 del febbraio 2009, in relazione ad un livello di conoscenza LC2 (conoscenza adeguata) dell’edificio:
Tabella C8A.2.138 , circolare 2 febbraio 2009
38 Nel caso delle murature storiche, i valori indicati nella Tabella C8A.2.1 (relativamente alle prime sei tipologie) sono da riferirsi a condizioni di muratura con malta di scadenti caratteristiche, giunti non particolarmente sottili ed in assenza di ricorsi o listature che, con passo costante, regolarizzino la tessitura ed in particolare l’orizzontalità dei corsi. Inoltre si assume che, per le murature storiche, queste siano a paramenti scollegati, ovvero manchino sistematici elementi di connessione trasversale (o di ammorsamento per ingranamento tra i paramenti murari).
343
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A.2. L’edificio campione tipo R
Come edificio campione per svolgere le analisi strutturali e studiare il comportamento sismico in particolare, è stata scelta l’abitazione tipo R, ovvero la tradizionale casa bifamiliare molto diffusa nel Villaggio Prealpino e nel cluster oggetto di studio, e che con diverse varianti (tipo B, U, S ecc.) rappresenta la grande maggioranza degli alloggi di Padre Marcolini presenti nell’area. Vengono di seguito riportati alcuni disegni esecutivi di progetto con dimensioni, materiali e dettagli, utili al fine di eseguire i successivi calcoli relativi all’analisi dei carichi.
Fig. A.1: Disegno del tipo edilizio R
Fig. A.2: Piante, sezione e prospetto del tipo edilizio R
344
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Le case bifamiliari tipo R sono composte da due alloggi abbinati, ognuno di circa 120 mq di superficie, caratterizzati dalla presenza di un piano terra con la zona giorno, un ammezzato e un primo piano con zona notte, ed una soffitta non abitabile. Ogni alloggio è composto da un ingresso, un disbrigo, un salotto, una piccola cucina, un ripostiglio, tre camere da letto ed un bagno. Le pareti perimetrali portanti sono in laterizio di 17 cm di spessore (molto sottili quindi per essere pareti perimetrali) e malta normale di cemento Portland. La zoccolatura esterna è rivestita con pietra faccia a vista nei 45 cm alla base.
Fig. A.3: Pianta esecutiva del solaio e soffitto del tipo edilizio R I solai sono realizzati in laterocemento, con una soletta soprastante di soli 2 cm di spessore. Il passo tra i travetti è di 59 cm e le pignatte hanno altezza pari a 16 cm. La copertura è realizzata con travetti in cemento, tavelle e tavelloni e manto di rivestimento in coppi; la copertura presenta uno sporto in gronda di circa 45 cm.
345
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Fig. A.4: Sezione della struttura della copertura del tipo edilizio R Le fondazioni al di sotto della parete perimetrali sono continue in calcestruzzo, di profonditĂ 60 cm e larghezza 40 cm.
Fig. A.5: Sezione e dettaglio delle fondazioni del tipo edilizio R 346
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A.3. Analisi dei carichi
Di seguito viene effettuato il calcolo per l’analisi dei carichi della struttura in modo da poter poi procedere alla valutazione del rischio sismico sull’edificio, utilizzando un metodo semplificato. A.3.1. Solai e copertura •
Solaio piano terra
CARICHI
STRATO MATERIALE
G1 G2
Soletta in cls Pavimento in marmette di cemento Sottofondo di allettamento Divisori interni Carichi variabili destinazione d’uso abitazione civile TOTALE
G2 G2 Q k
SPESSORE (m) 0,10 0,025
PESO SPECIFICO PESO (KN/m2) (KN/m3) 25,00 2,50 24,50 0,61
0,05
18,00
0,90
/ /
/ /
1,50 2,00
0,175
/
7,51
Fig. A.6: Stratigrafia solaio piano terra •
Solaio piano primo
CARICHI STRATO MATERIALE G1 G2 G2 G2 Q k
Solaio in laterocemento Intonaco civile Pavimento in gres porcellanato Divisori interni Carichi variabili destinazione d’uso abitazione civile TOTALE
SPESSORE (m) 0,17 0,02 0,02 / /
/ /
1,50 2,00
0,21
/
6,31
347
PESO SPECIFICO PESO (KN/m2) (KN/m3) / 2,19 16,00 0,32 15,00 0,30
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Fig. A.7: Stratigrafia solaio piano primo •
Solaio soffitta
CARICHI STRATO MATERIALE G1 G2 G2 Q k
Solaio in latero-cemento Intonaco civile Assito in legno Carichi variabili sottotetto accessibile per la sola manutenzione TOTALE
SPESSORE (m) 0,17 0,02 0,03 /
0,22
PESO SPECIFICO PESO (KN/m2) (KN/m3) / 2,19 16,00 0,32 6,00 0,18 / 0,50
/
2,69
Fig. A.8: Stratigrafia solaio soffitta •
Copertura
CARICHI STRATO MATERIALE G1 G2 G2 G2 Q k
Q k
Struttura in tavelle e tavelloni Intonaco civile Intonaco per esterni Coppi e controcoppi Carichi variabili sottotetto accessibile per la sola manutenzione Carico neve TOTALE
SPESSORE (m) 0,18 0,02 0,01 0,04 /
16,00 16,00 20,00 /
0,32 0,16 0,80 0,50
/ 0,25
/ /
1,2 3,98
348
PESO SPECIFICO PESO (KN/m2) (KN/m3) / 1,00
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Fig. A.9: Stratigrafia copertura A.3.2. Pareti perimetrali e tramezzature
Fig. A.10: Stratigrafia pareti perimetrali ed interne •
Parete perimetrale
CARICHI STRATO MATERIALE G1 G2 G2
Forato da 17 cm di spessore Intonaco per esterni Intonaco civile TOTALE
•
0,17 0,02 0,01 0,17
Forato da 6 cm di spessore Intonaco civile 1 Intonaco civile 2 TOTALE
SPESSORE (m) 0,06 0,01 0,01 0,065
349
PESO SPECIFICO PESO (KN/m2) (KN/m3) 7,00 1,19 16,00 0,32 16,00 0,16 / 1,67
Tramezza interna
CARICHI STRATO MATERIALE G1 G2 G2
SPESSORE (m)
PESO SPECIFICO PESO (KN/m2) (KN/m3) 7,00 0,42 16,00 0,16 16,00 0,16 / 0,74
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La pendenza delle falde di copertura indicata nei disegni originali è 24° per manto realizzato con tegole. Il carico variabile dovuto alla neve:
qs = Οi x qsk x CE x Ct qs = carico neve sulla copertura Οi = coefficiente di forma della copertura. Per un angolo di falda compreso tra 0 e 30° si assume un coefficiente pari a 0,8.
qsk = valore caratteristico di riferimento del carico neve al suolo per un periodo di ritorno di 50 anni. L’altitudine del sito di progetto è in media 180 m slm , quindi il valore da utilizzare è quello per altitudine inferiore ai 200 m, ovvero qsk = 1,50kN/m2.
CE = coefficiente di esposizione = 1 Ct = coefficiente termico = 1 Per quanto riguarda la copertura, deve essere fatta una ulteriore precisazione: data la pendenza della falda, è necessario trovare i carichi riferiti al piano orizzontale, in modo da poter poi considerare luci e superfici in pianta. Pertanto: G = 1,00
/0 12
Q = 0,50
F*C = F
*
C =
+ 0,32
/0 12
+ 1,20
3 456 78° 2,28
/0 12
/0 12
+ 0,16
= 1,70
/0 12
/0 12
+ 0,80
/0 12
= 2,28
+ Q
đ??žđ?‘ đ?‘šđ?‘ž
456 78°
/0 /0 + 1,70 12 = 4,20 12
350
/0 12
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A.4. Verifica sismica tramite metodo semplificato
Viene di seguito valutata la situazione strutturale del tipo edilizio più ricorrente all’interno del Villaggio Prealpino, ed in particolare nel cluster oggetto di studio, ovvero la casa bifamiliare con piano ammezzato e primo piano tipo R. L’analisi sismica verrà effettuata ricorrendo ad un approccio semplificato secondo quanto indicato nelle NTC 2008, al fine di stabilire l’eventuale necessità di un intervento migliorativo dell’edificio. La verifica sismica semplificata viene utilizzata per edifici considerati costruzione semplice. Inoltre, se tali edifici sono stati realizzati in muratura formata da elementi resistenti artificiali pieni o semipieni o da elementi resistenti naturali, e ricadono in zona sismica di 2, 3, e 4, la verifica sismica semplificata può essere eseguita assumendo un coefficiente di sicurezza pari a 4,2. I requisiti che un edificio deve soddisfare per essere considerato costruzione semplice sono riportati nelle Norme Tecniche per le Costruzioni § 7.2.2; i punti fondamentali si articolano come segue: •
Norme al § 4.5.6.4 per le verifiche alle tensioni ammissibili:
- il numero di piani non deve essere superiore a 3 (entro e fuori terra) per costruzioni in muratura ordinaria ed a 4 per costruzioni in muratura armata; - le pareti strutturali della costruzione devono essere continue dalle fondazioni alla sommità; - nessuna altezza interpiano può essere superiore a 3,5 m; - la planimetria dell’edificio deve essere inscrivibile in un rettangolo con rapporti fra lato maggiore e lato minore non inferiore a 3: Tipo R Lato maggiore / Lato minore = 15,00 /8,03 = 1,87 < 3 - la snellezza della muratura, secondo l’espressione, non può essere superiore a 12; tale requisito non è soddisfatto poiché:
ho = ρh = 1 x 2,80 m = 2,80 m (h0 = lunghezza di libera inflessione) λ =
BC )
=
7,DE 1 E,7E 1
= 14 > 12 (λ = snellezza della parete; non verificato)
- il carico variabile per i solai non deve essere superiore a 3,00 kN/m2; - Norme al § 7.2.2 riguardanti la regolarità in pianta e in alzato dell’edificio; •
Condizioni integrative richieste alle costruzioni semplici sono:
- in ciascuna delle due direzioni devono essere previsti almeno due sistemi di pareti di lunghezza complessiva, al netto delle aperture, ciascuno non inferiore al 50% della dimensione della costruzione nella medesima direzione (…). Almeno il 75% dei carichi verticali deve essere portato da pareti che facciano parte del sistema resistente alle azioni orizzontali; 351
S, M, L, XL: strategie di intervento per la riqualificazione integrata delle case marcoliniane. Progetto di rigenerazione del Villaggio Prealpino a Brescia. Sara Bullini
- in ciascuna delle due direzioni devono essere presenti pareti resistenti alle azioni orizzontali con interasse non superiore a 7m, elevabili a 9m per costruzioni in muratura armata; - per ciascun piano il rapporto tra area della sezione resistente delle pareti e superficie lorda del piano non deve essere inferiore ai valori indicati nella tabella 7.8.III . NTC 2008 (non verificato); -
0 F
< 0,25
GH IJ
N = carico verticale totale alla base di ciascun piano dellâ&#x20AC;&#x2122;edificio corrispondente alla somma dei carichi permanenti e variabili A = area totale dei muri portanti alla base dello stesso piano fk = resistenza caratteristica a compressione in direzione verticale della muratura đ?&#x2018;Ś1 = 4,2 Nel caso in esame: /0 Nsolaio p1 = 122 mq x 6,31 12 = 769,82 KN /0 Nsoffitta = 122 mq x 2,69 12 = 328,18 KN /0 Npareti perimetrali = 9,1 mq x 1,67 12 = 15,20 KN /0 Ncopertura = 122 mq x 3,98 12 = 485,56 KN
Ntot = carico verticale totale alla base dellâ&#x20AC;&#x2122;edificio = 1598,76 KN Ares = area totale dei muri portanti = 9,1 mq 0 fk = 150â&#x20AC;&#x201C; 200 L12 (i laterizi utilizzati sono forati orizzontali pertanto si considera il valore di
resistenza della muratura in blocchi di calcestruzzo o argilla espansa con percentuale di foratura 45%-65%) đ?&#x2018;Ś1 = 4,2 0 F
/0 /0 = 175,69 12 > 11,9 12
Dal momento che non tutti i requisiti risultano soddisfatti (in particolare due non sono verificati), è necessario procedere con ulteriori verifiche e ricorrere allâ&#x20AC;&#x2122;approccio conservativo, cosĂŹ da valutare il grado di vulnerabilitĂ dellâ&#x20AC;&#x2122;edificio.
352
S, M, L, XL: strategie di intervento per la riqualificazione integrata delle case marcoliniane. Progetto di rigenerazione del Villaggio Prealpino a Brescia. Sara Bullini
A.5. Verifica della vulnerabilità sismica dell’edificio
Nel precedente paragrafo è stata scartata la possibilità di ricorrere ad una valutazione sismica semplificata dell’edificio, in quanto i requisiti necessari non risultano soddisfatti; di seguito si procede con un approccio conservativo che valuta la vulnerabilità delle pareti (pareti intere, setti murari e maschi murari) nei due casi di meccanismo fuori piano (I modo) e meccanismo nel piano (II modo).
Fig. A.11: Ribaltamento al piede della parete
Fig. A.12: Flessione fuori piano delle pareti
Fig. A.13: Fessurazione del piano di massima resistenza
Nel caso in cui anche l’analisi della vulnerabilità sismica con approccio conservativo non risultasse soddisfatta, si renderà necessario un intervento migliorativo per garantire la stabilità dell’edificio e la sicurezza degli inquilini. Tra i metodi di intervento più utilizzati viene annoverato quello di garantire un comportamento scatolare alla struttura, attraverso tecniche e materiali diversi.
353
S, M, L, XL: strategie di intervento per la riqualificazione integrata delle case marcoliniane. Progetto di rigenerazione del Villaggio Prealpino a Brescia. Sara Bullini
A.5.1. Verifica al ribaltamento fuori piano di un setto murario Viene studiato il rischio di ribaltamento fuori piano di una parete ortogonale alla direzione del sisma: si assegna una distribuzione di accelerazioni simiche di progetto che verrà successivamente verificata. L’analisi di vulnerabilità consiste nella valutazione della massima accelerazione del terreno che l’edificio può sopportare prima che avvenga il fenomeno di rottura. Secondo quanto riportato in § 7.3.3.2 delle NTC 2008, l’analisi statica lineare deve essere condotta tramite l’applicazione di forze statiche equivalenti alle forze di inerzia indotte dall’azione sismica, purché siano soddisfatte due condizioni fondamentali: - il periodo di vibrazione principale nella direzione in esame (T1) non deve superare 2,5 TC o TD; - la costruzione deve avere altezza regolare. L’edificio residenziale TIPO R in esame non ha altezza costante ma verrà adottata di seguito una semplificazione geometrica in modo da poterlo considerare regolare, utilizzando come altezza la media aritmetica tra l’altezza massima e minima: D,'EMN,7E 7
+ 5,20 = 6,65 m
La massa dell’edificio è circa uniformemente distribuita lungo l’altezza ed essendo questa minore di 40 m, è possibile calcolare il periodo del primo modo di vibrazione dell’edificio con la formula:
T1 = C1 x H3/4 H = altezza della costruzione, in metri dal piano di campagna (media delle altezze) C1 = costante, che dipende dalla tecnica costruttiva e dal materiale utilizzato (nel caso in esame 0,05) Pertanto:
T1 = C1 x H3/4 = 0,05 x 6,65 3/4 = 0,21 sec Le NTC 2008 individuano diverse forme spettrali, determinate grazie ai tre seguenti parametri: - ag = accelerazione orizzontale massima del terreno; - F0 = costante amplificativa, che rappresenta il punto in cui ha inizio il tratto a velocità costante dello spettro; - TC* = periodo di inizio del tratto a velocità costante dello spettro in accelerazione orizzontale. 354
S, M, L, XL: strategie di intervento per la riqualificazione integrata delle case marcoliniane. Progetto di rigenerazione del Villaggio Prealpino a Brescia. Sara Bullini
Nel caso in esame, situato a Brescia, i parametri assumono i seguenti valori: - ag = 0,15 g; - F0 = 2,43; - TC* = 0,275 Il passo successivo da svolgere nella verifica è definire lo spettro di risposta al fine di ottenere Sd
(T1).
Tc = Cc x TC* Cc = coefficiente funzione della categoria di sottosuolo. La categoria corrispondente al sito in esame è caratterizzata da terreni tipo C (terreni a grana fine mediamente consistenti con spessori superiori ai 30 m o depositi di terreni a grana grossa mediamente addensati, Cc = 1,609). Pertanto:
Tc = Cc x TC* = 1,609 x 0,275 = 0,44 sec Vengono quindi calcolati i seguenti valori di riferimento: - TB = periodo corrispondente all’inizio del tratto dello spettro ad accelerazione costante; - TD = periodo corrispondente all’inizio del tratto a spostamento costante dello spettro, espresso in secondi;
TB = Tc / 3 = 0,44 x 3 = 0,15 sec TD = 4,0 x ag / g+ 1,60 = 2,60 sec Risulta: TB < T1 < TC Pertanto lo spettro di risposta elastico della componente orizzontale è calcolato con l’espressione:
Se (T) = ag x S x h x Fo S = coefficiente funzione del sottosuolo e delle condizioni topografiche (S = Ss x ST = 1,482) h = parametro di smorzamento dell’edificio, assunto indicativamente pari a 1. Se (T) = ag x S x h x Fo = 0,15 g x 1,482 x 1 x 2,43 = 0,54 g = 5,30 O1P Prima di procedere a calcolare lo spettro elastico allo Stato Limite Ultimo, è necessario calcolare il fattore di struttura q:
q = q0 x KR 355
S, M, L, XL: strategie di intervento per la riqualificazione integrata delle case marcoliniane. Progetto di rigenerazione del Villaggio Prealpino a Brescia. Sara Bullini
KR = fattore riduttivo che dipende dalle caratteristiche di regolarità in altezza della costruzione, pari ad 1 per costruzioni regolari e 0,8 per costruzioni irregolari. Data la semplificazione effettuata assumendo l’altezza pari alla media delle altezze massima e minima, viene assunto KR =1.
q0 = valore massimo del fattore di struttura che dipende da varie caratteristiche della struttura QR oggetto di analisi; si assume q0 = 3 x = 3 x 1,1 = 3,3 (strutture normali). Q' Pertanto:
q = q0 x KR = 3,3 x 1 = 3,3 Per ottenere lo spettro elastico di progetto allo Stato Limite Ultimo, è sufficiente sostituire nella '
formula l’espressione al posto di h: 2
'
' 1 Se (T) = ag x S x x Fo = 0,15 g x 1,482 x S,S x 2,43 = 0,163 g = 1,61 P O
2
La verifica a ribaltamento viene effettuata sulla parete laterale, in quanto questa non risultava verificata con il metodo di analisi semplificata, utilizzato nel paragrafo precedente. VERIFICA A RIBALTAMENTO
Fig. A.14: Geometria di riferimento per i calcoli, prospetto e sezione Analisi dei carichi agenti sulla parete: •
Peso del solaio (e del balcone approssimato) '
/0
7
12
WS = A (gs + qs x Ψ2) = 0,50 x (122 mq + 7,10 mq) x (4,31
356
+ 0,30 x 2
/0 12
) = 316,30 KN
S, M, L, XL: strategie di intervento per la riqualificazione integrata delle case marcoliniane. Progetto di rigenerazione del Villaggio Prealpino a Brescia. Sara Bullini
•
Peso del solaio della soffitta '
/0
7
12
WSs = A (gs + qs x Ψ2) = 0,50 x 82 mq x (2,19 •
Peso della copertura '
/0
7
12
Wc = A (gc + qc x Ψ2) = 0,50 x 144 mq x (2,49 •
+ 0,30 x 0,50
/0 12
+ 0,30 x 1,70
) = 95,94 KN
/0 12
) = 216,00 KN
Peso della muratura WM = (Area parete piena x tm) x ϒforati = ((8,03 m x 5,18 m) - (2 x 1 m x 0,5 m + 1,11 m x /0 1,06 m)) x 0,20 m x 7 = 55,19 KN 1L
I carichi calcolati vengono utilizzati per trovare il momento ribaltante e stabilizzante della parete: si assume come polo di rotazione l’estremità esterna della parete in modo da analizzare la situazione più sfavorevole ed essere quindi a favore di sicurezza.
Fig. A.15: Schema delle forze agenti sulla parete
Mstab = (WS + WSs + Wm + Wc )x )7J = (316,30 + 95,94 + 216,00 + 55,19) KN x 0,10 m = 68, 34 KNm
Mrib = 2 x λ x WS x hs + 2 x λ x WSs x hs + λ x Wm x B7 + λ Wc x h = λ x (2372,25 + 719,55 + 142,94 + 1118,88) KN = 4353,62 λ
357
S, M, L, XL: strategie di intervento per la riqualificazione integrata delle case marcoliniane. Progetto di rigenerazione del Villaggio Prealpino a Brescia. Sara Bullini
E’ possibile quindi ricavare λ, ponendo Mstab = Mrib; λ rappresenta il moltiplicatore di collasso il cui valore indica il limite di vulnerabilità della struttura.
Mstab = Mrib λ =
TD,S8 /01 8SNS,T7 /01
= 0,016 = 1,6 %
La verifica risulta evidentemente NON soddisfatta: per resistere al sisma di progetto, la struttura dovrebbe sopportare un’accelerazione del terreno pari a Sd (T1) = 0,163 g, mentre risulta essere solo 0,016 g. Pertanto nell’edificio è necessario intervenire con soluzioni per il miglioramento sismico. Per capire meglio la causa dell’instabilità della parete che porta la verifica a non essere soddisfatta, di seguito si procede a svolgere i calcoli considerando solo il peso dell’apparato murario dell’intera parete. Caso: parete intera con solo il proprio peso agente Analisi dei carichi agenti sulla parete: •
Peso della muratura WM = (Area parete piena x tm) x ϒforati = ((8,03 m x 5,18 m) - (2 x 1 m x 0,5 m + 1,11 m x /0
1,06 m)) x 0,20 m x 7 = 55,19 KN 1L
Fig. A.16: Schema delle forze agenti sulla parete 358
S, M, L, XL: strategie di intervento per la riqualificazione integrata delle case marcoliniane. Progetto di rigenerazione del Villaggio Prealpino a Brescia. Sara Bullini
Mstab = Wm x )7J = 216,00 KN x 0,10 m = 21,60 KNm Mrib = λ x Wm x B7 = λ x ( 142,94) KNm = 142,94 λ Mstab = Mrib λ =
7',TE /01 '87,U8 /01
= 0,15 = 15 %
La verifica non è pertanto soddisfatta. A.5.2. Verifica della vulnerabilità dell’edificio con ribaltamento nel piano VERIFICA A RIBALTAMENTO NEL PIANO Per effettuare la verifica viene preso in considerazione il maschio murario centrale della parete laterale e lo scopo è quello di verificare la vulnerabilità dell’edificio in relazione al rischio di ribaltamento nel piano del maschio murario.
Fig. A.17: Schema delle azioni agenti sul maschio murario
Analisi dei carichi agenti sulla parete: •
Contributo del solaio (e del balcone approssimato) FS = (G + 0,3 x Q)x 7,80 m x 0,163 = (4,31
•
/0 12
Contributo del solaio della soffitta 359
+ 0,30 x 2
/0 12
)x 7,80 m x 0,163 = 6,24 KN
S, M, L, XL: strategie di intervento per la riqualificazione integrata delle case marcoliniane. Progetto di rigenerazione del Villaggio Prealpino a Brescia. Sara Bullini
FSs= (G + 0,3 x Q) x 7,80 m x 0,163 =(2,19 •
/0
12
+0,30 x 0,50
/0
12
)x 7,80 m x 0,163 = 2,97 KN
Peso della copertura '
/0
7
12
Wc* = A (gc + qc x Ψ2) = 0,50 x 144 mq x (2,49
+ 0,30 x 1,70
/0 12
) = 216,00 KN
Vengono determinate le forze orizzontali: •
•
Forza orizzontale dovuta alla muratura parallela alla direzione del sisma ed alla copertura: Sm = Wc* x Sd(T1) = 216,00 KN x 0,163 = 35,21 KN Forza orizzontale dovuta al solaio e alla muratura trasversale al solaio: S* = (Fs + Fss) x
V,NN 1 7
= (6,24 KN + 2,97 KN) x
V,NN 1 7
= 34,77 KN
S = Sm + S* = 35,21 KN + 34,77 KN = 69,98 KN Forza sismica calcolata viene ripartita sui setti murari in funzione della loro massa. Utilizzando la proporzione tra le aree dell’intera parete: 8,51 : 41,60 = x : 100 ; x = 20,46% = 0,205 Sul setto murario centrale agisce quindi una forza sismica pari a 0,205 S. Di seguito viene svolta la verifica a ribaltamento del singolo setto.
Fig. A.18: Schema delle azioni sul setto murario nella verifica a ribaltamento nel piano 360
S, M, L, XL: strategie di intervento per la riqualificazione integrata delle case marcoliniane. Progetto di rigenerazione del Villaggio Prealpino a Brescia. Sara Bullini
Le forze stabilizzanti verticali sono: Wma = A x bm x ϒforati = = ((1,81 m x 5,18 m) - (0,5 x 1 m x 0,5 m + 0,5 x 1,11 m x 1,06 m)) x 0,20 m x 7
/0 1L
= 11,95 KN '
/0
7
12
Wc* = A (gc + qc x Ψ2)x l mm/ lb = 0,50 x 144 mq x (2,49
+ 0,30 x 1,70
/0 12
) x 0,75 m / 8,03 m =
20,17 KN (porzione del carico della copertura agente sul maschio murario) Le forze orizzontali ribaltanti sono: S = (Sm + S*) x 0,205 = 14,35 KN F0 = (Wma + Wc*) x 0,163 = (11,95 + 20,17) KN x 0,163 = 5,20 KN Pertanto il momento stabilizzante e ribaltante risultano: W
E,VN 1
7
7
Mstab = (Wma + Wc*) x = (11,95 + 216) KN x
= 86 KNm
B
N,'D 1
7
7
Mrib = S x h + F0 x = 14,35 KN x 5,18 m + 5,20 KN x
= 87 KNm
Mstab circa = Mrib La prova risulta appena soddisfatta per questo maschio murario, come d’altronde era prevedibile data la sua scarsa larghezza; su questa parete poteva essere anche analizzato il maschio laterale, più tozzo e quindi a favore di sicurezza rispetto al maschio analizzato; è comunque consigliabile un intervento di miglioramento sismico. VERIFICA A PRESSOFLESSIONE DI UN SETTO MURARIO La prova di verifica a pressoflessione viene fatta sul medesimo maschio murario già analizzato.
Fig. A.19: Schema delle azioni sul setto murario nella verifica a pressoflessione 361
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Il peso proprio del setto risulta: Wma = A x bm x ϒforati = = ((1,81 m x 5,18 m) - (0,5 x 1 m x 0,5 m + 0,5 x 1,11 m x 1,06 m)) x 0,20 m x 7
/0 1L
= 11,95 KN '
/0
7
12
Wc* = A (gc + qc x Ψ2)x l mm/ lb = 0,50 x 144 mq x (2,49
+ 0,30 x 1,70
/0 12
) x 0,75 m / 8,03 m =
20,17 KN (porzione del carico della copertura agente sul maschio murario) Le forze orizzontali risultano: S = (Sm + S*) x 0,205 = 14,35 KN F0 = (Wma + Wc*) x 0,163 = (11,95 + 20,17) KN x 0,163 = 5,20 KN Le risultanti verticali e orizzontali rispettivamente sono: Ntot = somma dei carichi verticali = Wma = (11,95 + 20,17) KN = 32,12 KN B
N,'D 1
7
7
Mtot = somma dei momenti = S x h + F0 x = 14,35 KN x 5,18 m + 5,20 KN x e = eccentricità =
XYCY 0YCY
=
DV /01 S7,'7 /0
= 87 KNm
= 2,71 m
Data la resistenza: fk (muratura in blocchi di calcestruzzo o argilla espansa percentuale foratura 45%- 65%) = 0,2 Mpa La pressione sul setto murario risulta circa il valore limite poiché Ntot molto piccola e fk bassa, pertanto la prova appena verificata: σm = 2 x
0YCY Z WJ
= fk = 0,2 Mpa
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CONCLUSIONI
S, M, L, XL: strategie di intervento per la riqualificazione integrata delle case marcoliniane. Progetto di rigenerazione del Villaggio Prealpino a Brescia. Sara Bullini
Il tema progettuale ha permesso di approfondire in modo esaustivo tematiche attuali con le quali sarà necessario confrontarsi sempre più spesso nel futuro e nella pratica della professione: la riqualificazione del patrimonio esistente è uno step imprescindibile nel processo di progettazione architettonica, soprattutto considerando la vastità di zone già edificate e la sempre minor quantità di suolo libero. Inoltre l’approfondimento svolto ha fornito la possibilità di confrontarsi con esempi di edilizia sociale, edifici che peraltro rappresentano un’importante percentuale del patrimonio costruito. L’elaborato affronta il tema della riqualificazione con un approccio originale e pratico: le schede tecniche redatte rappresentano “soluzioni pronte all’uso” ordinate e organizzate all’interno dell’abaco di strategie. Inoltre grazie alla ripetitività dei tipi edilizi e alla struttura standard e consolidata dei villaggi, è possibile pensare di estendere le strategie di intervento anche agli altri villaggi marcoliniani e in generale a tutti i complessi edilizi realizzati da Padre Marcolini nel territorio bresciano. L’argomento è risultato interessante e stimolante fin dal primo momento, e sicuramente l’esperienza annuale all’estero ha aiutato ad approfondire il tema di progetto in modo innovativo e accattivante, integrando ricerca e pratica, tradizione e innovazione; l’esperienza lavorativa soprattutto si è rivelata incredibilmente utile e interessante. Il contatto con l’architettura danese ha sicuramente segnato la mia metodologia di approccio al progetto, influenzandone stile, ottica, gesto e filosofia; l’architetto d’altronde è progettista non solo di luoghi, bensì anche di modi di vivere tali luoghi e in tali luoghi. Il progetto finale risulta completo e ben funzionante, ma come ogni progetto potrebbe essere ulteriormente approfondito e ampliato: un eventuale sviluppo futuro del progetto dovrebbe senza dubbio riguardare la risoluzione della questione strutturale più nel dettaglio.
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BIBLIOGRAFIA
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â&#x20AC;&#x153;Un largo viaje siempre empieza con un primer paso.â&#x20AC;? (Lao Tzu)