Sara Bianchini 777079
La sottile linea rossa
Cape Fear 1991, regia di Martin Scorsese, USA Titoli di testa di Elaine e Saul Bass.
I titoli di testa del film presentano diversi elementi che ne anticipano i contenuti e fanno entrare lo spettatore nella giusta atmosfera. I crediti sono scritti in Helvetica Italic Condensed bianco. La caratteristica principale della tipografia è un taglio orizzontale con leggero slittamento a destra della parte superiore, mantenendo la leggibilità ma caratterizzando fortemente l’impatto visivo della sequenza. Lo slittamento richiama la rifrazione delle immagini viste attraverso l’acqua ma anche qualcosa di rotto, crea un senso di inquietudine e irreparabilità. I nomi degli attori compaiono da sinistra a destra, come se scorressero via insieme all’acqua. La traccia audio, rielaborata da Elmer Bernstein sull’originale del 1962 di Bernard Herrmann, ha una breve intro in cui si sente lo scorrere dell’acqua. All’arrivo del falco c’è un cambio di registro con l’introduzione di suoni stridenti creati con violini. L’apice di drammaticità si ha in corrispondenza del titolo del film, sottolineato esclusivamente dal crescendo della colonna sonora, essendo visivamente uguale agli altri crediti. La sequenza parte dall’inquadratura ravvicinata di uno specchio d’acqua in movimento. Questo elemento accompagna
tutta la sequenza, a volte come sfondo per i crediti, altre come velo che si pone visivamente tra l’osservatore e le figure umane che si muovono dietro di esso, e verso la fine come elemento grafico, ruotato in verticale o in diagonale, o come cornice sopra e sotto lo spazio nero in cui vengono posti i crediti. L’acqua richiama il luogo fisico in cui si svolge il finale del film. I colori cupi e il movimento incessante generano turbamento nello spettatore. Le figure umane potrebbero quasi essere degli annegati, anticipando il finale del film in cui Cady muore affogato. L’acqua rappresenta anche l’affondare nella malvagità, che circonda e sommerge la famiglia Bowden. Il falco che compare riflesso nell’acqua all’inizio della sequenza rappresenta Cady, che, come un rapace, punta le proprie vittime prima di calare su di esse. La connessione è mostrata dal nome di De Niro, interprete di Cady, che viene rivelato e poi portato via dall’ala del falco. Dietro il velo d’acqua compaiono alcune parti di figure umane distorte, un occhio, una bocca, due volti, l’ombra di un corpo e di nuovo degli occhi, che si riveleranno essere di Danny, la figlia di Bowden. Queste figure umane rappresentano la presenza celata ma continua di Cady, che tiene sotto osservazione la famiglia Bowden. Portano anche lo spettatore a connettersi umanamente coi personaggi, fanno comprendere che dietro la malvagità si cela sempre la natura umana, che non è lontana e distaccata da ciò che sta accadendo. Verso la fine, tra i riflessi dell’acqua si intravedono tracce di rosso. È un’evidente
richiamo al sangue, alla violenza, al sacrificio. Una grossa goccia scendendo verso il basso tinge di rosso tutta l’inquadratura, su questa schermata compaiono gli occhi di Danny. Questi prima di ritornare del colore naturale appaiono in negativo, così come accade ad altre scene durante il film, forse per sottolineare momenti di introspezione psicologica dei personaggi, nel caso di Danny potrebbero simboleggiare il modo in cui gli avvenimenti che verranno di lì a poco narrati la influenzeranno. Ella infatti appare con un breve monologo sia all’inizio che alla fine del film, facendo riflettere su come la vicenda abbia inciso su di lei. Tutta la sequenza può essere vista come un riassunto visivo della trama. C’è una famiglia apparentemente normale ma già turbata, l’arrivo del falco/Cady la fa piombare in un’atmosfera drammatica che in seguito si tinge delle tinte rosse della violenza. Tutto porta agli occhi di Danny che hanno assorbito la vicenda, ma che nonostante ciò sono riusciti a tornare alla normalità, come dice lei stessa nell’epilogo del film: “Se si resta attaccatwi al passato si muore un poco ogni giorno e per quello che mi riguarda preferisco vivere“.
Schindler’s List – La bambina col cappottino rosso (1:04:23-1:06:24) 1993, regia di Steven Spielberg, USA
Forme del colore La sequenza in esame mostra Oskar Schindler, protagonista del film, mentre assiste al rastrellamento del ghetto di Cracovia durante la Seconda Guerra Mondiale. Mentre osserva dall’alto gli avvenimenti, nota la presenza di una bambina con un cappottino rosso che cammina tra le strade del ghetto. La particolarità della scena è che il film è girato completamente in bianco e nero, fatta eccezione per il cappottino rosso della bambina e per due scene in cui compaiono le fiamme di alcune candele a colori, all’inizio e alla fine del film. Inoltre è presente una sequenza finale interamente a colori in cui gli schindlerjuden insieme agli attori del film depositano fiori sulla tomba dell’imprenditore. La bambina è diventata simbolo del film, presente su locandine e poster. La scelta del bianco e nero è stata dettata dalla volontà di dare autenticità storica ai fatti narrati nel film, facendolo sembrare visivamente simile alla documentazione video del periodo in cui è ambientata la storia. Anche la scelta del regista di utilizzare telecamere a mano per la maggior parte delle riprese è data dalla volontà di far apparire il film quasi come un documentario. Per quanto si possa pensare che l’uso del bianco e nero per una pellicola drammatica possa essere usato come una sorta di
“schermo” tra lo spettatore e i fatti narrati, che quindi li vede non come reali ma mediati dal mezzo cinematografico, in realtà è un mezzo molto utile per aumentare la drammaticità e l’emotività di quanto viene rappresentato. Il bianco e nero riporta subito alla mente i filmati reali dell’epoca e la fotografia di reportage, e inoltre, come dice lo stesso Spielberg alla richiesta di girare il film anche a colori, evita il rischio di “abbellire” le scene che vengono così mostrate nella loro cruda disperazione senza elementi di distrazione. Il regista dichiara che l’Olocausto è la vita senza luce, e per lui la luce è rappresentata dal colore, per questo un film sull’Olocausto non può essere a suo parere girato a colori. La scelta del bianco e nero si rivela molto azzeccata, insieme alla volontà di non inserire attori eccessivamente famosi contribuisce a far sembrare il film quasi senza tempo per la difficoltà di collocare la sua produzione in un momento preciso, carica tutta la pellicola di solennità e serietà. La sequenza di seguito analizzata si colloca durante la più lunga e terribile scena del rastrellamento del ghetto, in mezzo agli orrori e la confusione, una bambina ci appare chiaramente per essere l’unica macchia di colore presente. La si vede dapprima piccolissima, che vaga sola per la strada, e la sequenza alterna riprese della bambina a inquadrature del viso di Schindler che la segue con lo sguardo. Il rosso è il colore del sangue, del sacrificio, della violenza che non risparmia nessuno, nemmeno una bambina così piccola. Il sottolineare questa presenza in modo così visivamente diverso dal resto la fa spiccare chiaramente anche agli occhi dello spettatore, così come chiaramente la vedeva
Schindler. Questa figura innocente è così spiccatamente differente dalla violenza che la circonda da dover essere sottolineata in tutti i modi possibili. Di fatti, al suo comparire, anche i rumori del rastrellamento si abbassano, coperti da una canzone dolcissima. Il colore rosso è anche l’unico modo in cui in seguito si potrà riconoscere il corpicino della bambina su di un mucchio di cadaveri, questo particolare ha infatti anche lo scopo di sottolineare il rischio che nell’immenso numero di morti della Shoah il singolo si persa e si confonda, c’è bisogno di un cappottino rosso per essere ritrovati. Questa macchia di colore rappresenta anche il mancato aiuto da parte degli Alleati nei confronti degli Ebrei, essi infatti sapevano della macchia di sangue che si stava spargendo nella Germania nazista ma non intervenirono. Schindler invece decide di fare qualcosa per la situazione proprio dopo aver visto la bambina con il cappotto rosso, egli viene quindi posto come esempio di come tutti avrebbero dovuto agire. Tutta la sequenza è stata girata con una telecamera a mano, come si può notare dalle leggeri vibrazioni dell’inquadratura, che rendono la scena simile ad un documentario e riprendono lo stile dei film neorealisti, specialmente nel movimento di camera centrale. Il punto di vista dell’osservatore sul ghetto coincide con quello di Schindler, è infatti ripreso dall’alto e, nonostante lo zoom in alcuni punti, sempre da lontano, come se ci si trovasse fuori dall’azione, ad osservarla a distanza di sicurezza. Anche il cappotto della bambina non è subito rosso, ma si colora solo dopo che Schindler ha notato la presenza della bambina, a segnalare dove si sta focalizzando la sua attenzione. L’imprenditore
viene invece ripreso sempre in un primo piano ravvicinato, leggermente dal basso. Questo ci permette di seguire ogni sua espressione, vedere i suoi stati d’animo e percepire l’ansia mentre cerca con lo sguardo la bambina tra la folla. A far capire ancora di più che il punto di vista è il suo, è il fatto che la donna che è con lui non appare mai inquadrata, nonostante si trovi accanto a lui, a parte quando parla. Questo perché Schindler non le sta prestando la minima attenzione, è fuori dal suo centro d’interesse come è fuori dal nostro punto di vista. Dopo aver localizzato la bambina nel caos che la circonda, la telecamera si sposta alla sua stessa altezza, vicino al terreno, inquadrando solo la bambina e tagliando fuori le teste delle altre persone. È uno sguardo intimo e sperduto in mezzo a quelle cose più grandi di noi, come si trovava la bambina in quel momento. Si passa dal punto di vista di Schindler al punto di vista dello spettatore. Quando poi la bambina si sposta per il ghetto, il movimento di camera segue nuovamente lo sguardo del protagonista, fa infatti un movimento orizzontale cercandola, fino poi a trovarla che vaga tra le case. La bambina è indubbiamente il centro della sua attenzione, e diventa anche il nostro grazie all’espediente del colore rosso, senza il quale probabilmente risulterebbe persa a causa dell’inquadratura così lontana e affollata. Schidler riesce a distogliere lo sguardo e allontanarsi solo dopo averla vista entrare in un edificio. In questi momenti finali la bambina è mostrata sfocata, il fuoco infatti è posto sulle persone prima e la scala poi che si trovano davanti a lei. Il punto di vista è tornato ad essere esterno ai personaggi della storia.
In questa sequenza tutto concorre a creare un episodio difficilmente dimenticabile a causa del suo alto livello di coinvolgimento emotivo. Tutto, dalle inquadrature alla colonna sonora, si fonde in una sequenza dolce e drammatica insieme, ma in particolare ci fa focalizzare l’attenzione su una piccola macchia rossa, inseguita con ansia dalla telecamera, da Schindler e anche da noi, stagliandosi sulla pellicola filmica e imprimendosi indelebilmente nella nostra memoria.
300 – Anche un dio può sanguinare (1:36:001:40:30) 2007, regia di Zack Snyder, USA
Forme del colore La sequenza in esame si colloca dopo l’intimazione da parte del re Serse a Leonida, capo dei 300, di arrendersi per avere salva la vita. Leonida si inginocchia, ma mentre è a terra chiama Stelios, uno dei suoi soldati che, saltando fuori dal gruppo di spartani alle spalle del re, trafigge il messaggero di Serse. Leonida scaglia la sua lancia verso Serse, ferendolo al volto e dimostrando così che anche un dio (com’egli è considerato dai suoi uomini) può sanguinare. Nei minuti successivi i 300 verranno uccisi tutti entrando così nella gloria riservata ai guerrieri che muoiono in battaglia, sacrificandosi per la loro terra. 300 è tratto dall’omonima graphic novel di Frank Miller. La sua fotografia è molto fedele allo stile del fumetto, motivo della sua originalità. I fotogrammi della sequenza appaiono infatti desaturati e virati sul seppia, eccezion fatta per i mantelli rossi degli spartani, unico colore acceso presente. Tutte le scene di battaglia sono state trattate in questo modo, a parte quelle notturne. Quest’ultime sono state manipolate nella stessa maniera del flashback con il lupo presente nella sequenza, e cioè con una desaturazione ancora maggiore, quasi a raggiungere il bianco e nero, virata però su toni freddi. Le scene narrative e di dialogo presentano una temperatura cromatica intermedia.
Le riprese del film sono state sottoposte ad una pesante post-produzione, oltre ai viraggi cromatici presentano infatti contrasti accentuati con ombre molto nere e la messa in risalto dei dettagli minuti, caratteristiche riconducibili allo stile grafico di Miller e all’inchiostratura dei fumetti in generale. L’accentuazione delle ombre crea anche un effetto drammatico e mette in risalto la fisicità dei personaggi. Inoltre tutto ciò che si trova davanti o dietro al punto di interesse della scena viene trattato con filtri che creano granulosità in modo da far apparire il protagonista dell’azione più nitido, altro effetto riconducibile al fumetto dove i tratti dei soggetti che stanno agendo sono più evidenti rispetto al resto. Si può vedere chiaramente sugli scudi degli spartani alle spalle di Leonida. Il film è stato girato in chroma key, cioè in studio con sfondi blu o verdi a seconda delle scene poi sostituiti in post-produzione con le ambientazioni. In questa sequenza si tratta di un cielo nuvoloso all’alba, che per colore e grana è molto simile alla stesura della china nei fumetti e fa risaltare i personaggi che appaiono quasi come silhouette. La colorazione dorata di questa sequenza, la più luminosa e calda del film, simboleggia la gloria dei soldati che si stanno sacrificando per Sparta. Il rosso dei loro mantelli è invece simbolo del loro sacrificio, nel film infatti sono gli unici ad indossare questo colore, unica tonalità satura presente. Anche quando Serse viene ferito, il sangue (realizzato in post-produzione) appare di colore bruno, non rosso, il sangue e le ferite degli spartani sono invece di un rosso molto più acceso come i loro mantelli. Si comprende quanto il colore
sia simbolico e legato al sacrificio in battaglia per il fatto che nella prima parte del film, mentre ancora si trovano a Sparta, i mantelli che indossano sono grigi. Alcuni minuti dopo la sequenza analizzata verrà mostrato il campo di battaglia su cui giacciono i 300 ormai morti, questa scena non presenta più il viraggio caldo della battaglia, ma il rosso dei mantelli è ancora più accentuato. La scena è fortemente simbolica anche per la posa di Leonida, riconducibile all’iconografia cristiana della Crocifissione. È sia per composizione che per simbologia del colore, una celebrazione del sacrificio dei 300. Per quanto riguarda le modalità di ripresa, la sequenza si apre con un lunghissimo zoom su Leonida, che da mezzo busto diventa inquadrato in primissimo piano. Qui parte il flashback con il giovane re che combatte con un lupo. Iniziano quindi una serie di riprese di dettagli, gli occhi di Leonida, i gabbiani, la goccia di sudore sul suo collo, i suoi piedi. Il re sta analizzando se stesso, il suo passato, la sua condizione attuale. Quindi inizia ad analizzare ciò che c’è intorno a lui, e la camera lo segue in questa analisi: si alternano punte di frecce e primissimi piani degli spartani dietro di lui. L’attenzione torna su Leonida, che viene mostrato di profilo mentre cala la testa e si toglie l’elmo. Si vedono l’elmo e lo scudo cadere a terra, intervallati dal volto di Serse. All’intimazione del persiano, il re spartano lascia cadere la lancia e si inginocchia, mentre Serse alza le braccia in segno di trionfo. Primissimo piano del profilo di Leonida e flashback in cui rivede la moglie, poi l’urlo del re rompe il silenzio quasi completo che c’è stato fino a quel momento, Stelios salta fuori dal gruppo di spartani e al rallentatore trafigge il persiano che ha
davanti. Sia la colonna sonora che i rumori aumentano di volume, l’esercito persiano attacca. Al rallentatore Leonida scaglia la lancia verso Serse, questa attraversa i gradini della pedana su cui si trova il persiano e il viso di quest’ultimo, di profilo, viene sfregiato. Col conficcarsi della lancia nel trono l’azione riprende la velocità normale. Le numerosissime inquadrature differenti presenti in 300 sono dovute alla quasi assenza di movimenti di camera, ridotti allo zoom o a rare carrellate parallele all’azione. Questa scelta è sempre riportabile al linguaggio del fumetto ricco di immagini fisse differenti necessarie a descrivere gli avvenimenti senza risultare ripetitivi, e in grado di sopperire all’assenza di movimento. Anche l’impostazione di queste numerose inquadrature è riconducibile al mondo dell’illustrazione, infatti per quanto nel cinema si preferisca in genere inquadrare gli attori di tre quarti, in 300 sono molto frequenti i profili e le scene perfettamente centrali, nonché le inquadrature strette sui dettagli, dovute nel fumetto alla necessità di ingrandire molto un particolare per evitare che il disegno sia confuso e il dettaglio non risalti. In questa sequenza si può vedere più volte Leonida inquadrato di profilo che si staglia scuro sullo sfondo chiaro. Serse è invece a figura intera, perfettamente centrale e perfettamente simmetrico. L’uso del rallentatore viene sfruttato per esaltare le azioni che si svolgono durante le battaglie. I gesti così ripresi raggiungono una sospensione temporale rendendoli simili ad una sequenza fumettistica che, essendo ovviamente priva di movimento, congela l’azione in un istante specifico.
Dall’analisi della sequenza si può quindi vedere come le scelte stilistiche operate nella produzione di 300, dalla fotografia alle riprese al montaggio, sono volte al riprodurre col mezzo cinematografico dinamiche e caratteristiche proprie del mondo del fumetto a cui si ispira. Per quanto a livello visivo la desaturazione delle immagini unita all’accentuazione del colore rosso possa richiamare l’operazione fatta in Schindler’s List, l’intento è diametralmente opposto. Non c’è volontà di richiamare una presunta veridicità storica, ma anzi al contrario quello di porsi come pura invenzione artistica. Resta inalterata la simbologia del colore rosso, forse il colore in assoluto più carico di emotività e ricco di associazioni mentali per la nostra cultura.
Politecnico di Milano Design della Comunicazione Storia dell’arte contemporanea e linguaggi della comunicazione visiva