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Ipotesi di tracce di scrittura sulla Sindone Un’analisi compiuta su riproduzioni fotografiche del telo della Sindone mostra tracce di segni interpretabili come lettere. Lo studio paleografico e filologico sembra ricondurle ad atti relativi alla condanna e alla crocifissione di Gesù. Intervista con Barbara Frale Intervista con Barbara Frale di Giovanni Ricciardi

Barbara Frale, La sindone di Gesù Nazareno, Il Mulino, Bologna 2009, 378 pp., euro 28,00

Nel 1978 il chimico Pietro Ugolotti, esaminando un negativo della Sindone ricavato da fotografie scattate anni prima, si accorse di alcuni segni: sembravano curiose macchie dalla geometria precisa, orientate tutte alla stessa maniera, che ricordavano da vicino i caratteri dell’alfabeto e per giunta si presentavano a gruppi. Insomma, avevano tutta l’aria di essere parole. Lo scienziato chiese allora nuovi negativi, e dopo aver accentuato il contrasto fra i toni dell’immagine, sottopose i segni all’analisi di un esperto di scritture antiche, il professor Aldo Marastoni dell’Università Cattolica di Milano, che confermò l’intuizione di Ugolotti, aggiungendo che lo stile di scrittura aveva caratteri molto antichi, risalenti forse all’epoca romana. Ma negli anni seguenti, dopo l’esame al radiocarbonio che indicava un’origine medievale del telo sindonico, l’indagine venne accantonata. Solo nel 1994, Marcel Alonso ed Eric de Bazelaire, membri del parigino Centre International d’Études sur le Linceul de Turin, decidono di sottoporre


nuovamente la questione all’Institut d’Optique théorique et appliquée d’Orsay, rivolgendosi ad André Marion, un esperto di ottica che aveva sviluppato una tecnologia capace di riconoscere scritture cancellate da codici poi riusati, su cui nulla compariva a occhio nudo. Marion e Anne-Laure Courage (ingegnere dell’École Supérieure d’Optique di Parigi e ricercatrice presso l’Institut d’Optique d’Orsay), pubblicarono i risultati di queste ricerche nel 1998 (Discovery of Inscriptions on the Shroud of Turin by Digital Image Processing, in OE, vol. 37, n. 8, August 1998, pp. 2308-2313) confermando, anche grazie all’elaborazione al computer, che quelle che si trovano sulla Sindone sono effettivamente tracce di scrittura. Disposte tutt’intorno al volto, sul lino compaiono sequenze di lettere greche, latine ed ebraiche. Le lettere non dovettero essere tracciate direttamente sul telo, ma presumibilmente su cartigli incollati alla Sindone, i cui contorni sembrano vedersi anche a occhio nudo; e sarebbero il risultato della reazione di alcune componenti dell’inchiostro con la cellulosa del lino del telo sindonico. La scrittura ha passato il tessuto da parte a parte riproducendosi sulla parte interna del lino, quella che era a contatto con il corpo. È qui che le lettere si notano, disposte con andamento rovesciato rispetto al verso in cui erano state scritte sul lato opposto del telo. Guardando la Sindone a occhio nudo non si distingue quasi nulla, mentre sul negativo fotografico – e ancora di più nell’elaborazione tridimensionale realizzata negli anni seguenti – i caratteri diventano riconoscibili. La storica Barbara Frale, nel volume La sindone di Gesù Nazareno (Il Mulino, Bologna 2009, 375 pp.), dedica ampio spazio all’analisi di queste scritture e tenta per la prima volta di darne un’interpretazione complessiva. La studiosa, che lavora presso l’Archivio segreto vaticano ed è esperta di scritture medievali, espone qui in forma riassuntiva le tappe e i risultati delle sue ricerche. Dottoressa Frale, da dove ha preso inizio la sua ricerca? BARBARA FRALE: Vivendo praticamente tutti i giorni a contatto con scritture medievali, ho avuto subito l’impressione che le tracce rimaste sulla Sindone non risalissero affatto al tardo medioevo ma fossero molto più antiche. Partita all’inizio con l’idea che si trattasse di striscette messe intorno al volto per celebrare la Sindone come reliquia, sono dovuta ritornare completamente sui miei passi. Di queste cedole medievali con sopra scritto a quale santo appartenevano le reliquie ne possediamo tante, e se le mettiamo a confronto con quanto trovato sulla Sindone basta uno sguardo per notare che le scritture appartengono a due mondi diversi. Qualunque cosa dicesse il risultato del test di datazione eseguito con il radiocarbonio, la struttura di quelle lettere richiamava forme di gran lunga più antiche. A quale contesto ed epoca risalirebbero queste scritte? FRALE: Le scritture identificate sulla Sindone formano un insieme in cui al


greco, che è predominante, si accompagnano alcune diciture poco chiare in caratteri ebraici e una sola in latino. L’insieme fa pensare proprio al Medio Oriente di epoca romana, dove molti testi si redigevano associando la lingua locale della gente al greco della pubblica amministrazione. La forma delle lettere appare di epoca paleocristiana (I-IV secolo), ma gli esempi ai quali si avvicinano di più sono tutti del I secolo. Le tracce di scrittura identificate sulla Sindone sembrano appartenere a qualcosa che somiglia a un riquadro formato da etichette, strisce che giravano intorno al volto e portavano delle diciture. Incollati dove c’era posto senza preoccuparsi che l’insieme fosse bello e armonioso, questi cartigli contenevano delle informazioni che dovevano servire a un preciso scopo. Quali parole si possono leggere sulla Sindone? FRALE: Lungo il lato sinistro del volto (destro sul negativo) si riconoscono due sequenze parallele che corrono in verticale. Una in caratteri latini, INNECE(M), interna presso lo zigomo, e l’altra in caratteri greci, NAZAPENOS. Sotto il mento si vede la sequenza ESOU interpretabile come parte centrale di IESOUS . Sullo zigomo opposto, sempre in verticale, compare la scritta greca REZO, e più esterna, una serie di caratteri greci che Marion e Courage leggevano come PSEKIA, ma io propongo, su basi paleografiche plausibili, che la seconda lettera possa essere interpretata come una “epsilon”, a formare la sequenza PSEKIA. Inoltre, sulla fronte appaiono due lettere greche isolate (Is), mentre a destra di NAZAPENOS ne appaiono altre tre, che formano la sequenza ADA-, più una lettera poco chiara. Quale interpretazione se ne può dare? FRALE: Il termine REZO è un verbo che nel greco di età romana significava “compiere, eseguire”. Potrebbe appartenere a una sottoscrizione di questo tipo: “io XXX eseguo”, un’abitudine usatissima e spesso anche obbligatoria in tanti scritti del mondo antico di carattere legale-amministrativo. La dicitura latina INNECE(M), “a morte”, fa un riferimento molto esplicito a un contesto di condanna e c’è da pensare che l’intero quadro delle scritte potesse avere a che fare con gli atti legali connessi alla deposizione del corpo nella tomba. In questo contesto può avere spiegazione anche il gruppo PSEKIA. Che senso possono avere queste lettere? FRALE: Le lettere PSE potrebbero rappresentare la parte finale del termine greco opsé, un avverbio che indica letteralmente le prime luci della sera. Nella Bibbia dei Settanta si trova più volte e indica quell’ora speciale prima del tramonto, l’ora nona nel computo antico del tempo, che segnava il limitare del giorno anche in senso legale. Il gruppo KIA-, se è stato letto bene, potrebbe essere l’inizio del verbo greco kíastai che era una forma dialettale per keîstai: significa “giacere”, “essere deposto”. E le altre lettere “isolate”? FRALE: Se il mio ragionamento è giusto, quel cartiglio posto lungo la tempia


sinistra conteneva una data. La mia ipotesi è che la parola ADA [...] corrisponda al termine adar che nel calendario ebraico indicava il sesto mese dell’anno, all’inizio della primavera, mentre le lettere Is starebbero a indicare il numero 16, che potrebbe riferirsi all’anno, il sedicesimo dell’impero di Tiberio (tracce del nome di questo imperatore sono visibili sul sopracciglio destro, nella sequenza greca IBEP. Se consideriamo il contesto generale delle scritte e il fatto che si trovano associate a un uomo crocifisso, emerge un fatto molto interessante, che illumina la ricerca.

Esaltazione delle tracce di scrittura in greco e latino identificate da André Marion e Anne­ Laure Courage

Di che cosa si tratta? FRALE: Presso gli ebrei ai condannati a morte era interdetta per un certo tempo la possibilità di essere sepolti nella tomba di famiglia. I loro corpi dovevano sottostare a un rito necessario per essere liberati dall’impurità che avevano contratto con la loro colpa. La Tosefta, un trattato che raccoglie antichi testi rabbinici, dice: «Fosse anche il Re dei Re, il giustiziato non andrà nella tomba dei suoi padri, bensì nella sepoltura pubblica predisposta dal Tribunale». Il termine legale per decretare la fine dell’impurità era di 12 mesi e corrispondeva al tempo ideale necessario perché la carne venisse dissolta. Trascorso questo tempo, le ossa potevano essere rese ai parenti perché seppellissero il loro congiunto nella tomba di famiglia. Nel sepolcreto pubblico di Gerusalemme ogni defunto doveva avere su di sé una scrittura che servisse a identificarlo in vista della restituzione da compiersi l’anno seguente. Le scritte sul telo sindonico sembrano rimandare a questa esigenza pratica. In sintesi la mia lettura dei diversi


cartigli presenti sul lino può essere riassunta così: Gesù Nazareno. Messo a morte nell’anno 16 di Tiberio. Sia rimosso all’ora nona. [Sia reso in] Adar [sheni]. Chi esegue gli obblighi è [...]. In sostanza, quanto ha lasciato traccia sulla Sindone sembra indicare che questo crocifisso chiamato Yeshua Nazarani, ucciso nella primavera di un anno che potrebbe essere il sedicesimo di Tiberio (30 d.C.), fu avvolto in un lenzuolo come voleva la legge, composto in tutto e per tutto secondo le norme vigenti e cioè preparato per la sepoltura nella “tomba dei figli del popolo” secondo la procedura usuale; sopra il corpo furono messi cartigli che ne indicavano le generalità e altre informazioni necessarie, scritti senza alcuna cura per la forma e posti intorno al volto come capitava, senza preoccuparsi di inquadrarlo con precisione. Quel corpo fu dunque tirato giù dalla croce per passare sotto la responsabilità diretta del sepolcreto pubblico corredato di tutti i documenti necessari. Poi devono essere intervenuti fattori imprevisti che hanno alterato il normale corso degli eventi. Ma se questa legge valeva per tutti i condannati a morte, perché Gesù non fu posto nel “sepolcreto pubblico” insieme ad altri? FRALE: Di fatto, se accostiamo il resoconto dei Vangeli ai dati dell’archeologia e della storia del giudaismo del I secolo, dobbiamo verificare che c’è uno scalino, una specie di dislivello fatto da eventi che non combaciano. Ma è anche vero che i Vangeli insistono sul ruolo “straordinario” rivestito da un membro influente del Sinedrio, quale Giuseppe d’Arimatea, che al momento della morte di Gesù interviene presso Pilato per “chiederne il corpo”. Questo può significare che, pur senza contravvenire alla norma che vietava la sepoltura di un condannato a morte nella tomba di famiglia, sia stata fatta un’eccezione per uomini influenti che desideravano seppellire solennemente il loro Maestro. Vi sono indizi di una sepoltura “solenne” per l’uomo della Sindone? FRALE: La fattura del lino. Il corpo dell’uomo della Sindone è avvolto, sì, in un lenzuolo, secondo l’usanza prevista per la “tomba dei figli del popolo”, ma la tela è particolarmente preziosa: la speciale ritorsione della fibra di lino, diversa da quella comune e normale, corrisponde a quella delle tende che ornano il Tempio o alle vesti rituali del sommo sacerdote. Non conosciamo così in dettaglio quali fossero gli usi del giudaismo a questo proposito, ma può ben essere che qualche volta i ricchi privati potessero chiedere di comprare delle pezze da questi pregiatissimi rotoli prodotti per gli usi liturgici. Tuttavia il corpo del crocifisso non venne unto né lavato, e fu sepolto nudo come era obbligatorio per i condannati. Allo stato attuale delle ricerche, lei ritiene che si debba ancora approfondire questo campo d’indagine sulle scritture presenti sulla Sindone? FRALE: Certamente. Nel mio libro presento un’ipotesi che offro agli altri studiosi perché sia verificata ulteriormente. Innanzitutto, credo che sarebbe molto


utile verificare, sulle riprese in altissima definizione realizzate nel 2002 in occasione della rimozione delle toppe poste a integrare le parti bruciate nell’incendio del 1532, quelle tracce di scrittura emerse attraverso l’analisi dei negativi studiati da Marion e Courage. In secondo luogo sarebbe utile poter studiare gli altri dati raccolti proprio in occasione di tale restauro, in particolare le scansioni del telo e le riprese in fluorescenza. Infine sarebbe ovviamente utile poter compiere verifiche dirette sul telo della Sindone, se e quando verranno autorizzate nuove indagini.


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