Saverio Bonato FRAMEWORKS 3 febbraio – 6 marzo 2016
Serra dei Giardini, Viale Giuseppe Garibaldi 1254, 30122 Venezia
‘Per dire qualcosa parlai della statua. Vi raccontai che l’uomo voleva impedire alla donna di allontanarsi, aveva visto qualcosa - certo un pericolo - e tratteneva con un gesto la sua compagna. Mi rispondeste che era lei invece che sembrava aver visto qualcosa, ma una cosa al contrario meravigliosa, che stava indicando con la mano tesa. Le due versioni però non si contraddicevano. L’uomo e la donna avevano lasciato la loro casa camminando per giorni e giorni ed erano arrivati ora in cima ad una roccia a picco. Lui tratteneva la sua compagna perché lei gli mostrava il mare ai loro piedi, fino all’orizzonte. Poi mi chiedeste il nome di questi due personaggi. Risposi che non aveva importanza. Non eravate di questa opinione, tentaste di dare loro dei nomi, un po’ a caso, credo. Dissi allora che poteva anche trattarsi di noi due, o di chiunque altro.’ (L'Année dernière à Marienbad, Alain Resnais, 1961)
La scena si svolge sulla terrazza della villa dove fu girato L’anno scorso a Marienbad di Alain Resnais. Qui si ritrovano i due protagonisti del film, un uomo e una donna, sui cui ricordi fa perno la narrazione. Rivolgendosi a lei, l’uomo riporta una conversazione avvenuta l’anno precedente a proposito di una statua. Durante il racconto di lui, la macchina da presa si distacca dagli attori per andare verso la statua che sta alle spalle dei due. Mentre la cinepresa corre attorno al gruppo marmoreo, mostrandone alcuni particolari, il testo, con la voce fuori campo del protagonista, prende una deriva, provocando uno straniamento rispetto a quelle immagini, ora assecondandole ora contraddicendole, integrando la visualità con il discorso sviluppato dalla parola. La statua su cui è incentrata la scena viene quindi inserita in un contesto altro, quasi fosse un’apparizione, il manifestarsi di un’immagine mentale o la proiezione di un ricordo, facendo intuire le diverse unità temporali e spaziali su cui si sviluppa il film.
Attraverso una serie di 23 fotografie scattate di notte in analogico, nel lavoro Frameworks l’artista Saverio Bonato si sofferma sul ciclo di statue , soggette ad un recente restauro , che decorano la Basilica Palladiana di Vicenza e che, dalla balaustra della terrazza superiore, si affacciano sulla piazza sottostante. Realizzate all’inizio del Seicento da scultori vicentini, successori del Palladio nel completamento della Basilica, le statue nella serie fotografica vengono proposte come entità isolate dal paesaggio, che ‘arretra’ nel buio. Ciò che emerge dal nero di fondo sono quindi le figure in pietra bianca e le stampelle in acciaio del restauro, un insieme di strutture che si intrecciano ai corpi e li sorreggono. Schiariti dai fari di illuminazione della balaustra, i sostegni metallici appaiono quasi appiattiti sulle figure bianche e nell’immagine fotografica vanno a produrre un disegno che si sovrappone ai lineamenti delle statue. L’intento di Saverio Bonato, che inquadra sempre dal retro o in alcuni casi di profilo, è infatti una messa in luce del rapporto tra la forma originale, di impronta classicista, e quella nuova, l’apparato di tiranti, bulloni e fasciature apposto nella fase di recupero della Basilica ed ‘aggrappati’ ai corpi di pietra. L’artista guarda alle strutture di sostegno come ulteriore stratificazione della figura e non come corpi ‘parassitici’ o estranei: l’intelaiatura diventa un elemento formale altro che entra in gioco nel nuovo intero e integra la forma precedente. Nella costruzione dell’immagine, statua e impalcatura assumono di fatto uno stesso livello di importanza e la struttura metallica può essere vista come appartenente ad una ‘fase ultima’, ovvero attuale, delle statue. In alcuni scatti le impalcature producono figure simili a corpi trafitti o ingabbiati; in altri creano un nuovo rapporto tra pieno e vuoto; in altri ancora evocano parti mancanti dei corpi e, quasi fosse protesi, sembrano aggiungere dettagli alla raffigurazione d’origine. Nonostante in ogni elemento statuario ritratto nella serie fotografica siano evidenti dei riferimenti ai personaggi della mitologia greca, come l’Atlante che sorregge la volta celeste sulle proprie spalle o le tre Grazie, l’attenzione di Saverio Bonato si sposta oltre l’elemento iconografico, rendendo manifeste nuove configurazioni date dall’unione di due entità potenzialmente distinte. Nel passo del film di Resnais, la parola, in contrappunto con l’immagine, tende ad allargare i piani di percezione e a produrre intrecci temporali e spaziali. Vi è una differenza tra il testo recitato dalla voce fuori campo del protagonista e lo sviluppo della componente visuale della scena: i due elementi si discostano da un minimo di particolari marginali ad un massimo di non coincidenza, evocando, come è stato detto, un attrito e una non linearità degli eventi. Nel caso di Frameworks, il gesto non è più posto sul recupero dell’aspetto più antico della figura o la presentazione della sua forma ultima, ma la tensione tra queste, dove il processo fotografico diventa un modo di mettere in scena un’apparizione e riattivare qualcosa di inattuale, riportando in superficie uno scarto tra due temporalità. Negli elementi della serie fotografica siamo portati a ipotizzare sviluppi, metamorfosi o narrazioni intorno a questi personaggi, attraverso i quali Saverio Bonato mette in comunicazione l’impronta antica con lo scenario contemporaneo. Per ogni elemento della serie l’artista fa spazio ad un immaginario presente e, a partire da un interesse per quanto resta di ciò che si è deteriorato, mette in luce ‘uno scarto fra due incertezze, fra due incompiutezze […] fra la percezione attuale e la percezione scomparsa che l’opera originale esprime oggi’. 1
Testo di Beatrice Forchini
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Marc Augé, Rovine e Macerie. Il senso del tempo, Bollati Boringhieri, 2004 (p. 26)