8NERELANCIONGINASUSPINO
8NERELANCIONGINASUSPINO Ponte degli Artisti
By Johnny Frog
8NERELANCIONGINASUSPINO
8NERELANCIONGINASUSPINO Ponte degli Artisti
By Johnny Frog
C'era una volta un paesino sulle rive del lago Maggiore diviso in due frazioni... Maccàgn de sura e Maccàgn de bass.
In un giorno di Luglio, tra il 5 e il 10 non ricordo bene, arrivai a Maccagno Inferiore con la corriera delle Autolinee Baldioli e scesi nella piazza della Torre Imperiale. Appena sceso, mi accorsi subito che la piazzetta in fronte al lago mi ricordava cose del passato, ma non so cosa, chi e quali erano i miei legami con quel luogo. La piazza era deserta, tranne un bimbo che pescava sul porto delle piccole Alborelle. Mi aggirai curioso tra i vicoletti del borgo antico ma non c’era anima viva; a quell’ora del pomeriggio erano tutti a casa al fresco dei muri antichi. Tornai nella piazza di fronte al lago e poco dopo presi dimora presso l'Albergo Regio della Torre Imperiale, dove una cameriera paffutella mi accolse decantandomi "subito" tutto il menù che più tardi avrebbero servito agli ospiti, specificando che nel prezzo della mia camera era d'obbligo la mezza pensione. 3
La serata passò velocemente e la compagnia rumorosa di alcuni ospiti tedeschi e francesi mi accompagnò sino al momento del sonno, dove dimenticai ogni mia curiosità sulle persone che stavo incontrando. Il mattino di buon'ora mi recai nella sala da pranzo della locanda e, con mio stupore, non c'era nessuno che faceva colazione, ma solo un vecchio cameriere che portava al braccio un tovagliolo bianco, come una volta si usava nei ristoranti ma che oggi non si usa più. Gentilissimo mi chiese in dialetto locale, con un accento che ricordava le comiche di Aldo, Giovanni e Giacomo quando interpretavano le guardie di frontiera al valico di Chiasso. “Buongiorno Sciur, cuma la va, l'a vist che bela giurnada, mi chiamo Camillo e se ha bisogno di quaicos, mel diga pur, che vedum!”
Sorrisi per quella inedita presentazione ed iniziai la mia giornata allegramente. 4
Fatta un'abbondante colazione con caffelatte e pane a pezzi, come si faceva una volta, dove il caffè “Leone” odorava l’ambiente e dava sostanza alla vita del primo mattino. Il caffè "Leone" era una miscela che veniva bollita in pentolino per molto tempo e odorava l'ambiente con un profumo unico e inconfondibile nelle vecchie case si campagna. Il Camillo mi fu subito simpatico e decisi di chiedere a lui alcune informazioni, per cui ero venuto in Maccagno, un tempo detto Imperiale. Chiesi al Camillo:” Sa dirmi dove posso trovare un vecchio falegname che lavorava il legno da un sol pezzo, creando delle figure e delle sagome che ricordavano personaggi e luoghi misteriosi? Mi hanno raccontato che era un vecchio signore con capelli e barba bianca e portava sempre dei pantaloni da lavoro con lunghe bretelle”. “Non so che dirle caro scuir, mi sun a Maccagn da più di quarant'an ma l'hu mai vist. So che ghera una volta un falegnam che viveva sopra la sua bottega, ma l'hu mai vist!”
Il Camillo mi chiese come mai lo cercavo e gli dissi che era un parente di un caro amico e volevo farmi raccontare una storia che mi riguardava. Mi diede delle informazioni per raggiungere la vecchia bottega del falegname, ma di più non sapeva. 5
Seguendo le indicazioni del Camillo, tra strecce e scalinate, raggiunsi la Via Domenico della Bella, dove una vecchina mi guardava dalla finestra. Mi girai per vedere se potevo chiedere delle informazioni ma, con mia sorpresa, era scomparsa dietro una tenda da sole. Continuai a camminare quando, dal fondo della via, una porta si spalancò e comparve un uomo di mezza età che portava sulla schiena una vecchia gerla per il fieno e nelle mani aveva un falcetto per le frasche. La figura era un po’ inquietante e se l’avessi incontrato la notte sarei scappato a gambe levate.
Avanzava verso di me con passo fermo e appena mi fu vicino il mio istinto mi disse di salutare e di provare a chiedere, con garbo, del vecchio falegname. “Buondì, le posso chiedere una informazione?” “Perché?”, mi disse lui con aria molto scocciata!” 6
“Ma non so, è l’unica persona che passava di qua e sto cercando delle informazioni su un vecchio falegname che abitava un questa via”.
“Mi hanno detto che una volta viveva qui un falegname che abitava sopra la sua bottega, lo conosce?” “Non so dipende, se è un esattore o un ficcanaso, non so nulla, non mi interessa e non è affare mio”.
“Ma che esattore, sono solo un amico di un parente del falegname e vorrei sapere se è ancora vivo, se ha parenti o amici che lo conoscono”. “Voglio solo contattarlo per portare il messaggio di un vecchio amico che prima di lasciarci ha incaricato me di questa faccenda”.
“Ha, capisco, ma non so, forse la Rosina che abita li, su quella scala, la potrà aiutare”. Sotto la sua casa, una volta viveva un falegname che se ciamava “il Monguzz”, ma non so altro. Era un tipo strano che lavorava il legno e riparava portoni, sedie e faceva strane sculture”. Un giorno sparì e non si seppe più nulla di lui. “Grazie dell’informazione e non dubiti, non sono un esattore”. 7
Il tipo se ne andò con gerla e falcetto e mi lascio davanti all’uscio della “Rosina”, così mi aveva detto che si chiamava la signora.
Sull’uscio c’era un campanello con battacchio che subito suonai. Da una finestrella si affacciò una bellissima ragazza bionda, che sicuramente non era la Rosina, che da quello che avevo intuito era sicuramente una nonnina.
“Salve, che desidera?” Mi disse la giovane e quasi imbarazzato da quella visione chiesi se conosceva la “Rosina”. “Certo che la conosco, è… Ma scusi chi la Vuole? Chi è lei?” Mi affrettai a raccontare la mia storia e dell’amico che voleva mandare un messaggio al vecchio falegname che forse avevo trovato, ma sapevo solo il nome che mi aveva detto il mio amico “il Luis”. “Ora la Rosina è fuori. E’ andata al Mercato di Luino e tornerà a sera”. La ringraziai e la salutai con un po di dispiacere, perché avrei voluto parlare ancora con lei. Peccato, sarà per un’altra volta!
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Ormai erano le 12 e le campane mi ricordavano che era ora di pranzo e mi avviai alla locanda, dove il Camillo e la cameriera cicciottella aspettavano gli ospiti che stavano rientrando dalle camminate sul lungolago e per le spiagge. Il pomeriggio, lo passai tra un riposino e una passeggiata sino all’imbarcadero per chiedere gli orari dei battelli che provenivano da Luino.
Verso sera per non perdere tempo, tornai alla casa della “Rosina”, nella speranza di trovare la giovane fanciulla che mi aveva parlato il mattino. Suonai il battacchio della campana fisso sulla porta, ma delusione.. alla porta comparve un signore dai capelli scuri ma leggermente brizzolati sulle tempie. Dopo la solita spiegazione chiesi della “Rosina” e della giovane che mi aveva parlato il mattino, ma il signore mi guardò con stupore e con un po di diffidenza, dicendomi che non c’era nessuna ragazza e che la “Rosina” era ormai da tempo ricoverata in un centro per anziani vicino la Rocca di Angera, ospite di un convento di Suore. Rimasi a bocca aperta, e non seppi che dire, se non ringraziare delle informazioni.
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Allontanandomi a piccoli passi, mi girai ed ebbi il coraggio di chiedere al signore brizzolato:” Ma in quest’uscio lavorava “il Gino”, il falegname?”
“No quella è una cantina della casa e non c’è mai stato nessun “Gino”. Le consiglio di non fare troppe domande e farsi i fatti suoi”. Basito, questa è la parola giusta, rimasi basito da quello che sentivo, non insistetti e me ne andai silenziosamente.
Poco lontano, uscendo dalla streccia, camminando sui ciottoli e sassi antichi, tornai verso la piazza del fontanino dove la vecchina era ancora di vedetta e non persi l’occasione per salutarla con un sorriso, come se la conoscessi. Anche la nonnina mi sorrise e mi fece un cenno perché mi avvicinassi. Con le mani mi fece capire che non sentiva bene e voleva dirmi una cosa! Mi avvicinai alla scala vicino la sua finestra. Mi allungai verso di lei, incuriosito e stupito del suo fare. Appena mi avvicinai, quasi da poter ascoltare anche un suo sussurro, mi disse: “non credere a quello che ti dicono ma credi sono a quello che vedi”, “se non metti il naso, non saprai, se lo metti troppo, fallirai”.
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Detto questo, mi sorrise e si scostò dalla finestra dietro la tenda da sole. Rimasi basito al quadrato e non sapevo più che fare… scappare o cercare di capire che cosa stava succedendo, io stavo cercando solo un falegname! Inconsapevole di quello che stesse succedendo, decisi di andare direttamente dal prevosto del paese, che sicuramente mi avrebbe potuto aiutare per capire cosa stesse succedendo e il perché alcune persone non ricordavano e altre non volevano ricordare. Raggiunta la canonica, vidi il prevosto che usciva dalla sacrestia e inforcava una bicicletta nera, di quelle a freni a bacchetta, di una marca famosa e inconfondibile.
Lo chiamai con vemenza e mi accorsi che mi aveva visto ma aveva accelerato la pedalata, quasi volesse evitarmi. Lo chiami così forte che dal casello dei treni, li vicino, si affacciò una signora, quasi spaventata per il mio urlo. Il prete si bloccò, tornando verso di me, chiedendo spiegazione di quell’urlo. “L’ho sentita, non sono sordo? perché sta urlando verso di me, io non la conosco”. 11
“Non c’è peggior sordo di chi non vuole sentire “dissi”, non c’è risposta se si scappa e se non si vuol parlare”.
“Mi scuso per l’urlo ma la disturbo solo per avere alcune informazioni su una sua parrocchiana, “la Rosina” di via della Bella? “A capisco, ma poteva avvicinarsi senza fare tanto chiasso”. Si “la Rosina, la Rosina” ora le dico quel che so! Da quello che mi risulta, la Rosina è stata ricoverata dopo che una notte ha dato fuori di matto. Dopo la sparizione del fratello in circostanze che non so descrivere, non è stata più la stessa, aveva problemi la notte perché non riusciva più a dormire”.
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“Sono mesi che non la vedo e il figliastro adottivo “il Carletto”, l’ex giornalaio del paese, la accudiva come se fosse un oracolo. Non le faceva fare nulla da sola”. Una notte, si sentirono urli e grida nella casa e il giorno successivo veniva ricoverata nel convento di Angera, dove è ancora ricoverata, dicono per un grave stato depressivo. “Ho chiesto più volte al figlio di vederla ma mi è stato sempre vietato, per non aggravare la sua malattia”. “Se vuole l’accompagnerei volentieri a trovarla, per sapere come sta veramente”. “Volentieri, potremmo andare insieme con il battello di domani mattina, in un paio di ore si potrebbe arrivare al convento”. Senza perdere ulteriore tempo, ci demmo appuntamento per il giorno successivo alle 8,00 in punto per partire a bordo del vecchio “Verbano”, battello che faceva giornalmente il giro del lago, toccando quasi tutte le località più interessanti e turistiche. Dopo poco più di due ore dalla nostra partenza, eravamo di fronte l’ingresso del convento e convitto per anziani del Sacro Cuore di Angera, dove una suora ci accoglieva con grande discrezione. 13
Don Giovanni, così si chiamava il prevosto che mi accompagnava nella visita, chiese di poter vedere la sia parrocchiana “la Rosina Monguzz” e dopo un breve colloquio con la madre superiore, venivamo accompagnati nella stanza della Rosina. Appena entrati, ci sembrò di essere stati catapultati in un sogno. La Rosina era seduta su una poltroncina di raso rosso e stava lavorando la maglia. Nonostante i suoi acciacchi e l’età avanzata, era intenta a lavorare, senza sosta e distrazione, ad una sciarpa lunghissima … quasi senza fine! La madre superiora ci spiegò che da quando la “Rosina” era arrivata al convento, si erano presentate delle donne che su incarico del figlio, si occupavano della vecchina e provvedevano a tutte le sue esigenze sia fisiche che spirituali. Dopo un periodo d’infermità si era ripresa e da quel momento aveva cominciato a lavorare a una sciarpa che non finiva mai e che ripeteva sempre lo stesso motivo. La donna che accudiva la Rosina, appena finita la lana si affrettava a sfilare il lavoro per ricomporre nuovi gomitoli, perché la Rosina potesse continuare il suo lavoro senza fine.
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Ci avvicinammo alla Rosina e il Don le chiese come stava, ma la nonnina era come se non sentisse nessuno e il suo sguardo era fisso sul lavoro con i ferri da maglia. Le sue mani lavoravano come se quella parte del corpo avesse 50 anni di meno e come se la vita non scorresse più. Dopo alcuni tentativi, capimmo che non si riusciva ad avere una risposta e la donna che era nella stanza, ci disse che da quando era li lei non aveva mai parlato, ma ci fece vedere il lavoro che stava facendo la Rosina, una sciarpa di lana bianca e rossa. La sciarpa, che stava filando con i ferri da maglia, aveva un disegno fatto di segni con una costruzione sistematica e ripetitiva. Tratti, spazi e curve che non creavano un disegno semplice, ma una ripetizione di segni senza fine come viene fatto con il simbolo dell’infinito o le catene del DNA del corpo umano. La badante un po infastidita della nostra presenza, ci fece capire che non potevamo trattenerci molto per non affaticare la vecchina. Con nostro stupore, ad un tratto si fermò dallo “sferrucchiare” con la lana e si girò verso di me, guardandomi come se mi conoscesse da tempo, abbozzando un debole sorriso che le cambiò la traccia delle rughe del viso, come se il tempo per un attimo, “che mi sembro lunghissimo”, si fosse spostato indietro, per farmi vedere lo sguardo della “Rosina” quando il suo sorriso poteva ammaliare ogni uomo che la 15 incontrasse.
Dopo il sorriso, che bloccò l’attenzione di tutti, protese le mani verso me, come per invitarmi ad avvicinarmi a lei. Esitai un attimo, guardando il Don e la badante, ma la Rosina sorrise di nuovo e prese dal grembo la lana che stava filando e la sciarpa che ormai era quasi finita, per porgermela quasi volesse dirmi molte cose con quel gesto. Avvicinandomi a lei per raccogliere la sciarpa che mi porgeva, le sfiorai le mani che ormai erano come le radici di un albero che il tempo aveva inaridito e seccato come se la linfa non scorresse più. Mi aspettavo un tocco duro e arido di mani solcate da antiche fatiche, ma con mio stupore, fui sfiorato da un velluto di sensazioni e da una dolce carezza, che mi fece venire i brividi, come se quella sensazione l’avessi già vissuta. La Rosina, mi diede la sciarpa e appena l’ebbi presa tra le mie mani, si discostò da me come se la stanchezza l’avesse assalita per tutte le fatiche del tempo, ma con uno sguardo di pace e serenità che non dimenticherò mai. Il Don mi guardò e mi disse “non so che dire, forse ti ha riconosciuto e vuole farti un dono, forse ti ha scambiato per il figlio o non so”. Anche la badante si stupì di quell’atteggiamento, ma non disse nulla se non che la sciarpa la potevamo tenere, tanto la vecchina ne avrebbe iniziata sicuramente un’altra, uguale a quella che avevo appena ricevuto.
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La Rosina, mi diede la sciarpa e appena l’ebbi presa tra le mie mani, si discostò da me come se la stanchezza l’avesse assalita per tutte le fatiche del tempo, ma con uno sguardo di pace e serenità che non dimenticherò mai. Il Don mi guardò e mi disse “non so che dire, forse ti ha riconosciuto e vuole farti un dono, forse ti ha scambiato per il figlio o non so”. Anche la badante si stupì di quell’atteggiamento, ma non disse nulla se non che la sciarpa la potevamo tenere, tanto la vecchina ne avrebbe iniziata sicuramente un’altra, uguale a quella che avevo appena ricevuto. Con il dono della “Rosina”, deluso di non aver potuto rivolgere alla nonnina la domanda che avevo farle “che era il motivo della mia venuta in Maccagno”, mi allontanai dal ricovero, accompagnato dal Don per riprendere il battello per il viaggio di ritorno. Sul battello le parole si erano perse e anche il Don rimase per lungo tempo in meditazione guardano il lago e le sponde che scorrevano sulla rotta del ritorno, passando dalle isole più belle e ricche del lago, nel lato Piemontese. All’altezza di Oggebbio il Don mi si avvicinò e mi diede un pugno affettuoso sul petto, come se volesse scaricare la sua tensione e mi disse con aria illuminata: “forse la Rosina, con quel gesto voleva dirci di più, forse in te ha riconosciuto o ricordato cose del passato. Chissà, forse non 17 sapremo mail cosa volesse comunicare”.
Mentre viaggiavamo, accarezzavo la sciarpa di lana guardando i colori e le forme che davano il disegno ripetuto e, con mio stupore, mi accorsi di un particolare che né io né il Don avevamo visto. I segni e le forme non erano ripetitive. Alcuni segni corrispondevano sia da un lato che dall’altro della trama, formando degli intrecci che non capivo ma che sembravano pensati e non casuali. Continuai per lungo tempo a fissare i disegni, ma non trovai una regola o un motivo che giustificassero le corrispondenze grafiche. Alla fine, riposi la sciarpa nella borsa di pelle che portavo con me e non molto più tardi il battello approdò all’imbarcadero di Maccagno. Appena scesi dal battello Il Don mi salutò frettolosamente e mi disse, che avrebbe informato il figlio della Rosina del nostro viaggio, per zittire le vecchie “zabette” del paese, che da sempre inventano storie strane e false leggende. Tornato all’albergo della Torre Imperiale, mi ritirai nella mia stanza, un po’ deluso della giornata, ma anche stupito del dono della Rosina. Ormai la sciarpa della Rosina era diventata come la mia seconda pelle. Nel toccare la lana, mi sembrava di risentire il tocco delicato della nonnina in quel gesto inaspettato del dono, che da una parte mi inebriava ma dall’altra mi caricava di una responsabilità che non capivo!. 18
Stanco dell’intensa giornata, mi coricai e mi addormentai esausto, come se la stanchezza della Rosina, si fosse trasferita in me, pesando sulla mia storia e sul mio passato. Il giorno successivo, mi alzai di buon ora e scesi subito a fare colazione, dove incontrai due nuovi ospiti di origine teutonica, quasi che in Maccagno si fossero trasferiti tutti gli eredi dell’antico Imperatore “Ottone Primo di Sassonia”.
L’ultima soluzione che avevo pensato per trovare informazioni sul vecchio falegname di Maccagno, “il Gino”, era di far nuovamente visita alla vecchia signora che mi aveva detto quella frase che non comprendevo, ma che mi aveva molto incuriosito. Uscito all’albergo presi a camminare con qualche affanno per la streccia che dalla piazza Roma s’inerpicava verso la Piazzetta del Fontanino. La via era più che altro una salita ripida che percorreva tutto il paese, tra cantine, vecchi negozietti di antichi mestieri e case dall’aspetto quasi inquietante e sinistro. Molte delle case del paese erano abitate solo nei mesi estivi e nelle festività, quando i vecchi abitanti e i loro discendenti tornavano in paese per passare brevi periodi di riposo. Trovai subito la finestra, dove ero stato “chiamato” dalla vecchina, e suonai al campanello del portoncino li vicino. 19
Dopo pochi istanti il portoncino si apri, senza che nessuno si affacciasse e, dopo qualche istante di esitazione, dissi…
“ Buongiorno” posso entrare, c’è nessuno?” Appena entrato con la dovuta cortesia e forma, mi addentrai nel cortiletto all’interno della casa e mi affacciai alla prima porta aperta che trovai.
Ripetei le frasi di rito “Buongiorno, posso entrare…!” Si presentò a me una giovane donna, che mi accolse e dopo un breve dialogo chiamò la Zia, che abitava li da più di ottanta anni. Di li a poco, la vecchia signora entrò nella stanza, chiedendomi chi ero e cose volevo da lei? Spiegai che ero il giovane che era passato sotto la sua finestra e lei lo aveva chiamato per dirgli quella frase che lo aveva colpito ed incuriosito! “Si ricorda di me, sono stato qui l’altro giorno e lei mi ha sussurrato dalla finestra una frase che mi ha molto incuriosito “non credere a quello che ti diranno, ma credi a quello che vedrai”.
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Ero venuto in paese per cercare chi conoscesse “il Gino” il falegname, ma non sono stato fortunato. “il Gino” mi dicono non c’è più ed è scomparso da molto tempo e la persona più vicina a lui, “la Rosina”, ormai non parla più con nessuno e non ho potuto sapere a chi chiedere di una faccenda che in qualche modo riguarda la mia famiglia e il mio passato. Continuai a raccontare l’avventura della visita al convento dalla “Rosina” e mi spinsi sino a raccontare del regalo che mi aveva fatto e del suo sorriso liberatore nel darmelo. Dopo tutto il racconto, la donna, che mi aveva ascoltato con molta attenzione, si alzò e uscì dalla porta senza dirmi nulla, ma con un cenno della mano mi fece capire di attendere.
Dopo qualche minuto, tornò nella stanza con un piccolo pacchetto di carta legato da spago antico. Si avvicinò a me, che mi ero seduto ai bordi di un tavolone scuro di legno massiccio su una sedia con braccioli enormi, intagliati chissà da quale albero. “Giovinotto, ti avevo detto di non fare domande ma cercare risposte e forse una l’hai trovata senza nemmeno saperlo”. 21
“Come sta la Rosina, oltre al dono che ti ha fatto non ti ha detto proprio nulla?”.
“No” risposi io, non parlava più, si è limitata a darmi la sciarpa che stava filando e poi non ha fatto più nulla, come si fosse ritirata nel suo mondo e nei suoi ricordi. “Allora ha fatto di più di quello che poteva fare”, disse la nonnina e con fare strano chiuse la porta per evitare che la nipote sentisse la nostra conversazione. Appena chiusa la porta mi chiese: “perché vuoi sapere del “Gino” “Dimmi la verità perché io so già tutto e solo tu puoi dirmi cosa cerchi veramente e perché?”.
Non sapevo cosa rispondere, perché la mia ricerca era una cosa molto personale e una promessa fatta al mio vecchio amico, nel momento che ci ha lasciato per iniziare il viaggio verso l’infinito. In quel momento, senza dire quasi nulla, mi alzai e presi la cartella di cuoio che portavo con me, ed estrassi la sciarpa della “Rosina” e la porsi alla donna, che fece quasi una smorfia di assenso, come sapesse di cosa si trattasse. Prese la sciarpa e la stese lungo al tavolo, facendo attenzione di metterla 22 in un modo che i segni potessero non finire mai.
La donna disse: “E’ proprio come pensavo. Sei stato fortunato e forse potrai trovare quello che cerchi, o non so… vedremo!”
“Come ti chiami tu”, mi chiede la nonnina. “Io mi chiamo “Pino” e sono qui proprio per capire delle cose del mio passato, che in qualche modo mi legano a Maccagno”. La donna mi guardò per un po’ di tempo senza dire nulla, poi prese il pacchetto di carta e lo aprì con molta cura ed estrasse una sciarpa come la mia, lunga come la mia, ma con una sola particolarità: il fondo era l’esatto contrario di quello della mia sciarpa che era bianco con le scritte a “segni” rossi. La sciarpa della nonnina era a fondo rosso e con “segni” bianchi… La stese vicino alla mia e disse: “ora potremo vedere… ecco quello che la Rosina voleva dirti”. La guardai con rinnovato stupore, cercando di concentrami sulle due sciarpe che sembravano identiche, anche se di colore diverso. Non capivo nulla e non capivo che messaggio potesse esserci nelle sciarpe, quale messaggio volesse consegnare a me la “Rosina”, non mi conosceva nemmeno, non ero nè un parente, nè un amico. 23
La donna disse: “E’ proprio come pensavo. Sei stato fortunato e forse potrai trovare quello che cerchi, o non so… vedremo!”
“Come ti chiami tu”, mi chiede la nonnina. “Io mi chiamo “Pino” e sono qui proprio per capire delle cose del mio passato, che in qualche modo mi legano a Maccagno”. La donna mi guardò per un po’ di tempo senza dire nulla, poi prese il pacchetto di carta e lo aprì con molta cura ed estrasse una sciarpa come la mia, lunga come la mia, ma con una sola particolarità: il fondo era l’esatto contrario di quello della mia sciarpa che era bianco con le scritte a “segni” rossi. La sciarpa della nonnina era a fondo rosso e con “segni” bianchi… La stese vicino alla mia e disse: “ora potremo vedere… ecco quello che la Rosina voleva dirti”. La guardai con rinnovato stupore, cercando di concentrami sulle due sciarpe che sembravano identiche, anche se di colore diverso. Non capivo nulla e non capivo che messaggio potesse esserci nelle sciarpe, quale messaggio volesse consegnare a me la “Rosina”, non mi conosceva nemmeno, non ero nè un parente, nè un amico. 24
Perché mi aveva scelto ? Cosa mi voleva trasmettere ? Quale responsabilità intendeva darmi ? La cosa più stana, che non stavo valutando in quel momento, era che in modo ancor più strano avevo trovato una seconda sciarpa, come se un disegno “celeste” si stesse in qualche modo manifestando. Insieme alla vecchia signora “Ester”, che nel frattempo mi aveva raccontato di essere la maestra della scuola del paese e che dai suoi banchi erano usciti fior d’industriali, gendarmi, sindaci, un cardinale e pure uno spretato, mi disse che la sciarpa che mi stava consegnando le era stata data proprio dalla “Rosina” dicendole di conservare il pacchetto per darlo un giorno a chi avrebbe cercato il “Gino”. La “Rosina” mi disse di dire la frase che ti ho riferito e che se eri la persona giusta saresti tornato da me per saperne di più. Continuammo a guardare le sciarpe senza più parlare. Passati alcuni interminabili minuti, la donna si rivolse a me e mi disse con aria sicura: “ti avevo detto che solo guardando di persona avresti capito”. La “Rosina” non poteva parlare, dire quello che sapeva perché altri avrebbero potuto carpire quello che solo tu dovevi sapere”. 25
Cosa c’entravo io con questa storia di sciarpe, leggende o burle? Non sapevo cosa stesse succedendo, ma l’unica cosa che sapevo era che il mio vecchio amico aveva tanto insistito che facessi questo viaggio… diceva che avrei capito “tutto” della storia del “Gino” che era legata al mio “DESTINO”. La prima sciarpa riportava questi segni ripetuti all’infinito…
La seconda invece questi…
Cosa significava quel motivo?
Perché era arrivato a me? Le due sciarpe, le due vecchine e tante persone che non sapevano o che non volevano sapere? Perché a Maccagno, e il “Gino”, la “Rosina”? Troppe domande e poche verità. La Ester, si affiancò a me e disse: “E’ ora di andare, da me null’altro potrai sapere, la tua strada e già segnata e solo tu potrai vederla”.
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Mi saluto con un “buffo” sulla guancia e uscì dalla stanza, lasciandomi solo con i miei pensieri.
Tornai mestamente alla Torre Imperiale dove fui accolto da due persone che mi attendevano nella veranda vista lago. Appena mi scorsero, si alzarono e mi vennero incontro. “Buongiorno signore”, mi disse il primo, che sembrava una guardia svizzera o un corazziere delle guardie reali. “Possiamo farle alcune domande ?” “A che proposito” risposi io, fermandomi a qualche metro da loro.
“Nulla di grave, ci ha riferito il “Don” che siete stati a trovare la “Rosina Monguzz” e tramite suo figlio volevamo sapere il motivo della sua visita?. Sa, ci sono tante persone che cercano di approfittarsi di quelle povere vecchine e il figliolo della “Rosina” era preoccupato che non ci fosse nulla di strano.”. Capii subito che i due “tomi” che mi stavano affrontando non avevano buone intenzioni, ma che erano li per sapere cosa avessi scoperto con le 27 mie domande.
Con ferrea determinazione, raccontai loro il perché della mia ricerca del “Gino” e che la mia ricerca era finita, perché non avevo trovato quello che speravo di trovare, una risposta certa sulla mia origine e sul mio destino. I due bei Tomi, mi guardarono per qualche istante con aria dubbiosa e forse anche un po’ bellicosa, ma non dissero nulla esortandomi a non andare più dalla “Rosina” senza avvertire il Don, che sarebbe stato in contatto con loro. Si girarono e se ne andarono con un macchinone nero che aveva una targa straniera con simboli strani. Appena solo, scappai letteralmente nella mia stanza e, appena solo, presi le due sciarpe e le stesi sul letto, con l’ansia di un bimbo che mille dubbi aveva e mille dubbi avrà. Appena le distesi, le girai e rigirai per capire cosa avessero in comune quei simboli, ma nessuna idea mi venne in mente se non nel cercare un possibile significato letterale di qui segni che mi ricordavano scritte antiche. Nulla, più che nulla, fa un bel nulla! La mia mente era confusa e tutte le emozioni di quelle ore ebbero il sopravvento sulle mie forze e mi addormentai. 28
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Di colpo, dopo alcune ore mi svegliai e le scritte che continuavo a rileggere in modo confuso nella mente si schiarirono.
Sormontai le due stoffe e le scritte si allinearono in un mosaico o puzzle che si componeva magicamente e logicamente. Mi comparve una scritta…
8NERELANCION GINASUSPINO Ma cosa significava nella mia storia e nel mio destino quella scritta…
“8NERELANCIONGINASUSPINO” Questo è quello che leggevo e capivo dalla scritta, ma non aveva un senso per me. 30
Non c’era tempo da perdere dovevo tornare dalla “Rosina” e chiedere a lei il significato della scritta e cosa portava a me.
Pagai il conto alla locanda, preparai di fretta e furia il mio bagaglio e saltai sul primo treno per Luino, per raggiungere Laveno e di li in corriera sino ad Angera al Ricovero del Sacro Cuore. Appena arrivato, entrai e chiesi di poter parlare con la Rosina Monguzz e la suora “stupita” mi disse che la “Rosina” non c’era era stata portata a Roma dal figlio adottivo e da due infermieri giganteschi. Mi stupii della descrizione dei due infermieri e del non trovarla ancora al ricovero. Rimasi alcuni secondi in silenzio, pensando e ripensando ai due “Tomi” che mi avevano affrontato.
Il dubbio mi venne immediatamente e chiesi se avevano una grossa macchina nera con una targa con scritte strane ? La suora senza esitazione mi disse: “sembrava che portassero via il Papa, sono arrivati e dopo avere parlato con la Madre Superiora sa la sono caricata, come un fagotto e via”. L’ansia mi assalì e mi sentii come in un vortice che più lo percorrevo più sprofondava nel dubbio di cosa stesse accadendo. 31
Ero ormai al fondo di una via che dava su un muro alto e nero senza spazi di uscita e non sapevo che fare; tornare indietro e ripercorrere tutta la strada fatta ? Tornare a casa senza risposte e, soprattutto, avrei potuto vivere nuovamente una vita serena dopo tutti i dubbi che erano entrati in me ?. Stavo per uscire dal ricovero, quando mi avvicinò la suora che mi aveva accolto, chiamandomi “signore, signore”. Mi volsi verso di lei e mi fece un cenno… venga con me, c’è una persona che la vuole incontrare. La seguii, ormai senza fiatare perché ogni istante era un tonfo alle emozioni. Mi condusse nella cappella e li mi lasciò, solo! “Attenda qui, tra poco la raggiungerà la Madre Superiora” Attesi quasi un’ora, in solitario pensiero, guardando la statua della Madonna e le figure dei santi che contornavano la sua cappella. Ad un tratto, si aprì la porta della sacrestia e uscì la Madre Superiora, che era una donna dal volto famigliare, ma che non ricordavo. Si avvicinò a me e mi salutò con un sorriso. “Buongiorno, ho saputo della sua presenza nel nostro ricovero e volevo incontrarla, perché ho un messaggio di una persona che le vuole bene”. 32
La guardai con stupore, ma non seppi che dire. Troppe vicende avevano sconvolto la mio umile vita e non sapevo più cosa aspettarmi. Da un momento all’altro poteva succedere di tutto. “L’ho voluta incontrare perchè ho un messaggio e un pacchetto da consegnarle da parte della sua “Rosina”. “La Rosina, esclamai!”
Ma che messaggio poteva mandarmi se non parlava più e cosa voleva darmi se non una nuova sciarpa? Le domande si susseguivano e non trovavo una risposta. “La “Rosina”, dopo il vostro incontro di qualche giorno fa, ha smesso di fare le sue sciarpe e ha inspiegabilmente ripreso la parola e a fare una vita normale come tutti gli anziani che abbiano nel ricovero”. “Come le dicevo, mi ha fatta chiamare e ha voluto parlare con me delle le sue ansie e pene, ma non per fare una confessione. Voleva solo parlare con una figlia di Dio, per avere la certezza che quello che voleva dire sarebbe arrivato solo a chi voleva lei”. “Voleva che le parlassi e le dicessi quello che lei non sarebbe mai stata in grado di dirle perché era certa che altri lo avrebbero impedito e voleva che le consegnassi questo pacchetto”. 33
Prima di uscire, aprii il fagottino che la Madre superiore mi aveva consegnato, e con mio stupore trovai un foglietto e una chiave antica.
Il foglietto che avvolgeva la chiave riportava una scritta: Della Bella XXV. Capii subito cosa fosse quella scritta, ma la chiave dove mi avrebbe portato? La mia strada mi riportava nuovamente a Maccagno per trovare forse risposta a tutte le mie domande. Tornai a casa qualche giorno, per raccogliere cose e ricordi che avrei portato con me nel mio prossimo viaggio. 31 di agosto, in una giornata di caldo afoso, ritornai a Maccagno con il solito pullman delle autolinee Baldioli. Sceso nella piazza ormai a me famigliare, percorsi tutti i viottoli che portano a Via della Bella in un sol fiato, per trovarmi davanti al numero 25, che non era l’ingresso di una abitazione, ma di una cantina, forse un tempo la bottega del legnaiolo. Mi fermai un attimo a guardare quell’uscio che era ancora come un tempo fatto di legno antico, colorato di un verdino chiaro, come si usava per le botteghe dei mastri falegnami e dei mercanti. Mi guardai in giro, per capire se potevo essere osservato, ma non c’era nessuno, nemmeno un’ombra si aggirava tra le vie in quelle calde ore di 34 fine estate.
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Presi da una tasca la chiave che e provai ad aprire la porta, ma non funzionava. Non era possibile, con quella forma di chiavi c’era solo quella serratura da portoncino antico. Provai ad inserire nuovamente la chiave e mi accorsi che avevano girato la mandata e che funzionava tutto al contrario. La serratura schioccò due volte e l’uscio si apri.
La polvere che copriva la porta da anni cadde al suolo formando come una nuvola e strani effetti di luce che rendevano l’ambiente come se ci si trovasse al cospetto di uno dei cieli dipinti nella volta di una chiesa. Appena entrato, attesi qualche istante per far scendere la polvere e potei vedere chiaramente che quella era la bottega di un mastro falegname o forse un ciabattino. I ferri del mestiere erano ancora appesi alle pareti e si vedeva una sega e tanti ferri da lavoro. Non credevo ai miei occhi, cosa centrava la mia storia con quel luogo ?, cosa mi aveva condotto a una storia così strana ?, ma cosa centrava la scritta che avevo scoperto sulle sciarpe ?. Tante domane ma nessuna risposta, che mi dicesse la verità sulla mia storia e sul mio destino.
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Lo spazio era angusto e non si vedeva bene. Aprii un’imposta di legno che sembrava quella che si mette nelle stalle per dare aria agli animali.
Aperta l’imposta entrò molta luce e sul fondo della stanza vidi che c’era una porta chiusa con un trave che bloccava l’ingresso. La parete era fatta di sassi antichi che sembravano quelli di una fortezza. Sopra la porta si vedeva incisa nella pietra un simbolo raffigurante un’aquila sormontata da una corona. Mi avvicinai e cercai di entrare, ma nulla era chiusa saldamente. Cercando qua e là per trovare un attrezzo che potesse aprire quella porta, vidi una strana macchia sul muro. Guardai bene e, tra le polveri del muro come se fosse inciso con un graffio, vidi tre scritte dal sapore antico:
Ricorda le mie parole… Segui il filo per trovare la direzione… Gira in tondo senza tornare e saprai sempre dove andare… Quelle parole scritte sul muro, non so perché, le avevo già sentite o lette in qualche luogo lontano. Erano come il ricordo di un amico che mi leggeva nel cuore e che mi dava consigli. 37
Nel fondo della stanza oltre a tanti oggetti coperti di polvere, c’erano dei grossi tronchi di legno che sembravano pronti per essere messi sul fuoco. La porta che si intravedeva nel fondo della stanza era molto strana perché era bassa e sembrava fatta di un sol pezzo di legno. Il trave che era posto davanti alla porta, sembrava volesse proteggere l’ingresso da persone che come me stavano ficcando il naso in cose che non erano autorizzate a fare. Provai a spingere la porta ma era chiusa e la parete non aveva serrature ma solo un pomo di ferro attaccato ad un antico battacchio. Lo guardai e, come se sapessi che fare, lo picchiai con forza sulla porta.
“Toc” diedi un colpo, “Toc, toc” picchiai più forte e d’istinto dissi “permesso, posso entrare, c’è nessuno?”. Nulla, nessuno rispose e dissi tra me e me ch’ero un po’ stupido a chiedere permesso in una cantina chiusa da anni. Sopra la mia testa c’era un’enorme ragno che, con il mio scossone poderoso che diedi alla porta, si spaventò a morte e percorse tutto il filo della ragnatela per nascondersi infilandosi in un buco al lato della porta. 38
Che strano, avevo visto tanti ragni e mai avevo visto un simile comportamento, in genere i ragni quando si sentono in pericolo scappano verso il muro più vicino per arrampicarsi in un luogo più protetto. Questo ragno dal colore nero con una croce sulla schiena invece, aveva preso la via più lunga che passava vicinissimo a me che potevo essere un mostro pauroso ai suoi piccoli occhi.
Lo vidi entrare nel buco che era posto a fianco del pomo della porta e poco dopo ricomparve quasi sfidandomi a seguirlo in quel piccolo anfratto. Mi guardava e non faceva nulla, mi osservava. L’istinto, o forse un ricordo, mi fece mettere il dito nel buco senza esitare, dove il ragno mi stava aspettando. Appena mi avvicinai, il ragno fece un balzo all’interno e sparì ai miei occhi. Il mio dito entrò sicuro nel foro e, cosa che non mi sarei mai aspettato, l’interno era ben levigato come se fosse un foro pensato e non casuale. Al fondo del buco sentii un ostacolo che ostruiva il passaggio e forzando un pochino si mosse come se fosse un campanello o un pulsante. Sentii un click come se una serratura si sbloccasse di colpo e la porta, anche se ostruita dal trave, si aprì lasciando intravedere il suo interno. Quel ragnetto mi aveva indicato la via, forse come era scritto sul muro. 39
Spinsi con un po di trepidazione quella porta, sapendo che lì dietro poteva essere raccolto o nascosto un pezzo del mio passato e forse del mio futuro. Entrai nella stanza che non era come quella precedente, ma era un luogo stranissimo, tondo e cupo come se fossi all’interno di una torre circolare, fatta di pietre che sicuramente erano antiche di migliaia di anni. Nella stanza non c’era nulla. Solo un tavolo centrale, tondo, che sembrava essere stato messo lì non a caso ma con un preciso motivo che non capivo. Aprendo la porta, entrò la luce riflessa che proveniva dalla stanza precedente, come se i riflessi non arrivassero a caso, ma che fosse il sole a dirmi quello che dovevo vedere. Le pareti di pietra avevano dei disegni molto rovinati dal tempo, ma che lasciavano intravedere alcune figure, che non potevo non riconoscere. Era raffigurata la passione di Cristo e le scene della sua crocefissione. Mi fermai a guardare quelle figure, interrogandomi su come era nata quella stanza e perché era così chiusa a tutti, come se avessero voluto nasconderla al mondo. 40
Le figure disegnate sui miri, mi portarono a guardare con attenzione una delle figure meno rovinate, che era la scena del soldato romano che trafigge Cristo con la lancia. La cosa strana di quella figura era la figura del Salvatore, che ai miei occhi non sembrava sofferente e che in qualche momento di passione volesse incoraggiare chi guardava a non avere paura della vita e del suo futuro. Mi girai verso il tavolo centrale e lo guardai, lo toccai come per accertarmi che fosse reale. Era un grosso tavolo fatto come la porta di un sol pezzo; almeno sembrava. La polvere lo copriva come se avesse una tovaglia grigia ricamata dal tempo dei secoli passati. Soffiai verso la superfice del tavolo e mi accorsi subito che sul lato tondo erano incisi dei segni o dei disegni.
Cona la manica della giacca, pulii la superfice perchĂŠ un dubbio mi prese. Che i disegni o le incisioni fossero la chiave della mia storia o del mio destino?. Come se tutto combaciasse in un sol disegno che non avevo dipinto, mi apparvero sui bordi del tavolo, gli stessi disegni delle sciarpe e cominciai a capire che proprio lĂŹ dovevo finire, dove forse iniziava la mia nuova storia. 41
Presi dalla cartella di cuoio che avevo al collo le due sciarpe e le stesi sul tavolo e mi fermai a pensare su quello che vedevo intorno a me.
I disegni erano gli stessi e la scritta che avevo trovato unendo le due sciarpe era raffigurata su tutto il bordo del tavolo, in un messaggio che si ripeteva all’infinito nel tondo del tavolo. Ma che messaggio nascondeva nelle sue lettere?.
8NERELANCION GINASUSPINO “8NERELANCIONGINASUSPINO” Tutti i miei pensieri si erano ingarbugliati e non capivo cosa e perché la scritta mi avesse portato li, ma soprattutto non trovavo il bandolo della matassa… La mia mente era confusa da mille parole: Maccagno, il Gino Monguzz, La Rosina, la Ester, la Madre superiora, Il due Tomi, la Torre Imperiale, La Via della Bella, Macagn de sura e de bass e le sue leggende. 42
La soluzione non poteva essere che lì in quello che vedevo e come mi aveva suggerito la “Rosina” tramite la “Ester”.
Riguardai le scritte e le pareti dove vedevo le figure del nazzareno, quando fui letteralmente trafitto dall’immagine del soldato Romano che trafiggeva Gesù. Feci un passo indietro e rimasi fermo in attesa che una voce di sottofondo, come in un film, mi spiegasse tutto quello che sembrava impossibile. Cosa centravo io con quella figura? Perché Maccagno e il suo antico feudo?
E il “Gino” umile legnaiolo dei boschi, cosa centrava nella mia vita e nella mia storia?. Forse la mia storia era legata molto di più di quello che pensavo a quell’antico feudo, un tempo terra di scorribande, di predoni e di regie maestà che vollero dare lustro a quelle sponde con il riconoscimento d’indipendenza e dalle corti locali, con l’unica dipendenza dallo stesso Imperatore “Ottone I di Sassonia”.
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I simboli di quella stanza mi portavano a pensare che in qualche modo Ottone I, era sicuramente parte del disegno che sopra di noi stava compiendo o svelando un mistero o una leggenda. Presi le mie due sciarpette e me ne andai a casa, facendo attenzione di richiudere tutto e lasciare tutto come l’avevo trovato. Al mio ritorno a casa, all’ingresso della mia abitazione, stazionava un grosso macchinone nero, che sembrava quello che avevano i due grossi “Tomi” che mi avevano contattato a Maccagno. La macchina era vuota e non c’era nessuno! Immediatamente guardai in alto verso le finestre della mia abitazione, ma tutto era normale, nessuna luce, nessun rumore strano. Con qualche esitazione e guardandomi attorno, entrai in casa e cercai di capire se non c’erano pericoli. Era tutto silenzioso e calmo. Salii al secondo piano dove abitavo da parecchi anni ed entrai velocemente, accendendo tutte le luci e cercando qua e là se non ci fosse qualche brutta sorpresa. Guardai dalla finestra e in quel momento la grossa auto nera partì per sparire velocemente al fine della via. 45
Con un sospiro di sollievo, tornai verso il centro della stanza e mi accorsi che c’era una cosa che non avevo notato.
Una grossa busta grigia era comparsa sotto la porta d’ingresso. La busta, sicuramente era già li quando sono entrato in casa e la mia agitazione l’aveva messa in secondo piano rispetto alla paura che avevo nell’entrare in un luogo che ormai non mi sembrava più tanto sicuro.
Presi la busta e la guardai, era fatta di carta gialla e aveva due grossi sigilli di ceralacca. Chi mi aveva mandato quel messaggio voleva che nessuno leggesse quello che conteneva e i sigilli erano un simbolo di riconoscimento di chi voleva contattarmi. Presi la busta e avvicinandomi alla lampada più luminosa della stanza, l’aprii facendo attenzione di non rompere i sigilli che avevano l’aria di nobili o sacre origini. La busta conteneva un disegno e un messaggio che lessi d’un sol fiato.
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Con un sospiro di sollievo, tornai verso il centro della stanza e mi accorsi che c’era una cosa che non avevo notato.
Una grossa busta grigia era comparsa sotto la porta d’ingresso. La busta, sicuramente era già li quando sono entrato in casa e la mia agitazione l’aveva messa in secondo piano rispetto alla paura che avevo nell’entrare in un luogo che ormai non mi sembrava più tanto sicuro.
Presi la busta e la guardai, era fatta di carta gialla e aveva due grossi sigilli di ceralacca. Chi mi aveva mandato quel messaggio voleva che nessuno leggesse quello che conteneva e i sigilli erano un simbolo di riconoscimento di chi voleva contattarmi. Presi la busta e avvicinandomi alla lampada più luminosa della stanza, l’aprii facendo attenzione di non rompere i sigilli che avevano l’aria di nobili o sacre origini. La busta conteneva un disegno e un messaggio che lessi d’un sol fiato.
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Giovane uomo, tu mi conosci più del tempo passato, dove la via t’avevo indicato. Il tuo girare e ancora girare, non diede risposte né men soluzioni. Dentro di te tu sol puoi trovare, quello che cerchi e quello che sei. Cerca quel ciocco ch’è dentro di te, dando la vita a un mondo perduto. Un giovane Re l’ebbe a portare; tra fiumi, mari e grandi tempeste. Stanco e spossato l’ebbe a posare, dentro le mura di un grande castello. Tanti e troppi lo hanno cercato, per la sua forza e il suo potere. Solo un giusto lo poteva toccare, solo un saggio lo poteva amare. Dentro quel ciocco c’è forse il destino, dentro quel ciocco vive un bambino. Quello che dico non è una storia, ma forse la vita e la sua memoria. Tutti noi siamo un pezzo di ciocco e dentro di noi quel ciocco cerchiamo. Tutti noi siamo un pezzo di storia, che nacque da un ciocco di nera memoria. 48
Grazie al padre che quel ciocco porto, oggi noi siamo quel che la vita donò. Giovane uomo, dentro di te tu sol puoi trovare, quello che cerchi e quello che sei. Quel ciocco che il padre un giorno portò, oggi è parte del tutto e parte di noi. Nel tempo che fu, molti l ‘hanno bramato, credendo che il ciocco avesse un potere. Quel povero ciocco che di sangue è grondato, solo i giusti e i saggi lo hanno trovato. Il povero “Gino” quel ciocco trovò e tutta la vita di colpo cambiò. Il ciocco di legno che il Gino trovò, era lo stesso del Re che posò. Quando quel ciocco d’incanto parlò, diede la vita ad un sogno profondo ch’era di avere un figlio giocondo. Nell’emozione di quella magia, prese di fretta un altro legnetto, ch’ebbe a servire per farne un nasetto. Il pezzo di legno che il “Gino” usò, non era un pezzo di legno comune, ma era la lancia del nostro destino, era la forza della nostra realtà. Il nostro “destino” nacque da un naso. Senza quel naso e senza quel ciocco il nostro destino sarebbe farlocco. Giovane uomo, vecchio in un ciocco, il tuo destino or l ’hai trovato. 49
Porta nel mondo e nel creato, l’’arte, l’amore e la sola beltà. Dona la gioia a bimbi e non solo, credi nei sogni e nelle illusioni, cerca la tua strada senza deviare. La verità sarà sempre con te. La tua Rosina Presi il disegno che era nella busta e l’immagine che mi era stata recapitata era la stessa che avevo intravisto nella bottega del “Gino”. Ora sapevo che fare, dovevo tornare la dove era iniziato tutto.
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Senza perdere tempo tornai nella bottega del Gino Monguzz a Maccagno ed entrai con decisione nella stanza che sembrava la torre del castello.
Appena entrato mi avvicinai al muro dove era raffigurata l’immagine del Nazzareno trafitto dalla lancia del soldato romano. Mi fermai a guardare il disegno dipinto sul muro e subito notai che al disegno mancavano alcuni particolari rovinati dal tempo. Mancava un pezzo della figura della donna che piangeva e mancava gran parte della lancia che stava colpendo Gesù. Forse quei particolari non significavano nulla nella mia storia, ma rimasi stupito nel non trovarli nell’affresco. La lettera che mi aveva inviato la “Rosina” mi voleva dire tante cose, ma solo guadando potevo unire i pezzi di questo puzzle, solo usando il mio naso, come diceva la “Ester”, potevo dare risposta alle mie domande. Guadai nuovamente il tavolone e cercai di leggere la scritta che era incisa sul tavolo.
8NERELANCIONGINASUSPINO “8NERELANCIONGINOSUSPINO” OTTONERELANCIONGINOSUSPINO … OTTONE RE LANC e la I forse è una L ONGINO SUS PINO … 51
Forese… Ottone aveva portato a Maccagno la Lancia del Destino usata dal soldato Longino per trafiggere Gesù e l’aveva nascosta nella torre del castello per proteggerla dalle orde del male che avrebbero fatto follie per averla. Ottone, come avevo visto in alcune immagini e dipinti antichi, usava un bastone come scettro e lo portava sempre con se. Forse… il “Gino” aveva inconsapevolmente trovato lo scettro di legno dell’imperatore e lo aveva usato come se fosse un pezzo di legno comune. Forse il “Gino” aveva dato al suo caro amico “Geppetto” il ciocco di legno trovato nella torre…
Forse con quel legno “Geppetto” aveva creato “Pinocchio”… Forse… “Pinocchio”… Forse il bambino che ne è diventato ero io ??? Mi guardai ancora intorno e tutte le mie domande non erano ancora finite… Forse… non troverò mai la verità della mia storia, ma grazie a questa storia sto ancora cercando la mia strada e il mio destino! 52
Decisi di partire e girare, girare, senza mai tornare indietro per vedere il mondo ed incontrare tutti quelli che come me si sentono un po pinocchio. Gira, gira, “Pino” che il mondo è tondo e non finisce mai. Qui finisce una storia e ne inizia un’altra… PINOCCHIO GIRAMONDO e i suoi amici! by Johnny Frog
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‌e la storia continua! 61
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