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Foto di copertina: ©REUTERS/Suzanne Plunkett (courtesy of INSP) - Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (convertito in Legge 27/02/2004 n° 46) art.1, comma 1, LO/MI

L’INTERVISTA

COGNETTI: «LA MONTAGNA, LUOGO DI RELAZIONI DIRETTE»

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strada

ESCLUSIVO LUIGI PICHECA, MALATO DI SLA, RISPONDE CON GLI OCCHI ALLE DOMANDE DI SCARP

www.scarpdetenis.it aprile 2017 anno 22 numero 210

Mensa scolastica diritto per tutti IN ITALIA IL 5,6% DEI MINORI NON CONSUMA UN PASTO ADEGUATO AL GIORNO PERCHÉ VIVONO IN UNA FAMIGLIA POVERA E, QUINDI, NON POSSONO PERMETTERSI IL PRANZO A SCUOLA. VIAGGIO TRA I FORZATI DELLA SCHISCETTA



EDITORIALE

Le parole del Papa a Scarp fanno il giro del mondo

LA PROVOCAZIONE

In Italia una misura concreta di contrasto alla povertà. Era ora di Luciano Gualzetti direttore Caritas Ambrosiana

di Stefano Lampertico [

@stefanolamp ]

«Give without worry». Così il New York Times nell’edizione di sabato 4 marzo, il giornale dell’America cosmopolita –come ha scritto Luigi Accattoli sul Corriere della Sera – ha ripreso con queste tre semplici parole (che traduciamo in italiano così “donate, e non chiedetevi altro”) il cuore dell’intervista che Papa Francesco ha rilasciato al nostro giornale. Lo ha fatto rilanciando il dibattito e chiedendo ai suoi lettori di esprimersi sul concetto e sul gesto dell’elemosina verso gli ultimi. Con Scarp il Papa non aveva utilizzato giri di parole. «Un aiuto è sempre giusto», ci ha detto nell’intervista. «È importante aiutare chi chiede guardandolo negli occhi e toccando la sua mano».

Il dibattito intorno a queste parole, nei giorni successivi, si è ulteriormente ampliato. Pochi giorni dopo il New York Times, anche la CNN è tornata sulle parole del Papa a Scarp. Ha lanciato un sondaggio ai suoi ascoltatori. E ha chiesto un parere a Sister Mary Scullion, figura storica dell’accoglienza

made in Usa. Il giro del mondo delle parole e dei pensieri di Francesco non s’è fermato qui. Più avanti nel giornale trovate alcuni stralci della nutrita rassegna stampa: dal Messico all’Argentina, dalla Malaysia al Giappone, dalla Gran Bretagna alla Svezia passando per la Germania e la Francia.

Dopo questa straordinaria –storica –occasione, torniamo con i piedi per terra. E torniamo a raccontare le storie che ci piacciono. Come quella

di Luigi Picheca, malato di Sla, immobile da undici anni. Riesce a esprimersi e a comunicare soltanto con gli occhi. E con gli occhi ha risposto al nostro Ettore Sutti, che gli ha fatto una domanda che tutti farebbero a una persona in quelle condizioni. «Non hai mai pensato di farla finita?». E la sua risposta, sorprendente: «Sì, all’inizio ci ho pensato. Ma poi col tempo ho capito che la vita è un dono meraviglioso».

Sono le storie di Scarp. Le storie di chi ci vuole bene. Come i bambini della scuola primaria di Solbiate, che si sono catapultati in redazione per chiederci come si fa un giornale, per ascoltare le storie dei nostri venditori, per regalarci momenti di gioia. La vita, ne siamo sicuri, sorriderà loro.

Dopo la storica intervista a Papa Francesco torniamo con i piedi per terra. A raccontare le storie straordinarie che ci piacciono. Come quella di Luigi Picheca, malato di Sla, immobile da undici anni, ma che non ha perso la fiducia nella vita

contatti Per commenti, idee, opinioni e proposte: mail scarp@coopoltre.it facebook scarp de tenis twitter @scarpdetenis www.scarpdetenis.it instagram scarpdetenis

La buona notizia è questa: per la prima volta nella storia del nostro Paese il Parlamento ha definito, per legge, una reale misura di contrasto alla povertà assoluta. Il 9 marzo scorso il Senato ha infatti approvato il disegno di legge delega sul contrasto della povertà. Cosa dice la legge? In estrema sintesi introduce la misura nazionale di contrasto della povertà assoluta, denominata Rei, cioè Reddito di inclusione, che consiste in un trasferimento monetario riservato alle famiglie con un reddito molto basso, insieme a forme di presa in carico da parte dei servizi territoriali. L’approvazione della legge è un risultato importante per l’Alleanza contro la povertà, della quale Caritas fa parte, che si è spesa molto affinché si potesse approvare il Rei. L’Alleanza ha sempre sollecitato l’adozione di uno strumento fondato su due pilastri: il sostegno economico a chi vive in povertà assoluta e la presa in carico da parte dei servizi territoriali. Lo strumento adottato dal Parlamento va in questa direzione. Il reddito di inclusione sarà una misura che dovrà essere garantita in ogni regione, a ogni cittadino che si trovi in determinate condizioni di povertà. E questa misura dovrà essere resa nel tempo universale, ovvero non riservata a specifiche categorie, ma subordinata alla verifica dei mezzi economici, da effettuarsi sulla base dell’Isee. Fatta la legge, ora si guarda alla sua attuazione. Sarà una sifda che dovrà rendere complementari i servizi alla persona e i contributi erogati. Sarà una sfida sul piano dell’equità, perché si dovranno trovare eque condizioni di accesso al Rei. Sarà infine una sfida da giocare con le amministrazioni locali, che saranno i protagonisti dei percorsi di inclusione. aprile 2017 Scarp de’ tenis

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SOMMARIO

I bambini e il diritto al cibo, al centro dell’inchiesta di copertina C’era d’aspettarselo. Il numero di Scarp con Francesco in copertina ha fatto registrare il record di vendite. E le parole del Papa hanno fatto il giro del mondo. Una bellissima opportunità per il nostro giornale che torna questo mese sulla strada con una storia di copertina particolare.

A Milano, uno studio recente di Fondazione Cariplo, ci dice che nel capoluogo milanese sono migliaia i bambini malnutriti. Ma come? Nella capitale economica del Paese, nella città cuore della ricchezza, delle banche e della finanza. Eppure è così. La storia di copertina parte da questi dati che paiono incredibili. Il 5,6 % dei bambini in Italia non assume un pasto proteico al giorno, neppure a scuola, perché le loro famiglie vivono in condizione di povertà e quindi, non sono in grado di pagare la mensa. E così aumentano

i forzati della schiscetta, per dirla alla milanese. All’interno del giornale un’altra bella storia. Sui media nelle scorse settimane ha avuto ampio spazio la vicenda di dj Fabo, che ha generato domande, dibattiti. Noi vi raccontiamo la storia di un uomo, Luigi Picheca, che da undici anni convive con la Sla, senza poter muovere alcun muscolo del corpo. Ha risposto alle nostre domande con gli occhi, un computer ha tradotto in parole i suoi pensieri. Il cuore dell’intervista in poche parole: «La vita, comunque, è meravigliosa».

Quando il sipario calerà io me ne andrò ed ogni luce svanirà i certo qualcuno mi odierà ma lo spettacolo è finito e me ne a

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rubriche

servizi

PAG.9 (IN)VISIBILI di Paolo Lambruschi

PAG.22 L’INTERVISTA Cognetti: «La montagna, luogo delle relazioni dirette»

PAG.11 IL TAGLIO di Piero Colaprico

PAG.24 COPERTINA Bambini che hanno fame

PAG.13 PIANI BASSI di Paolo Brivio

PAG.32 WELFARE Benvenuto Rei, ma che non sia un’incompiuta

PAG.14 LA FOTO di Goran Tomasevic/REUTERS

PAG.34 INTERVISTA Luigi e la Sla: la vita è meravigliosa anche da qui

PAG.20 LE DRITTE di Yamada

PAG.38 DOSSIER Stato biscazziere, fare cassa con l’azzardo

PAG.21 VISIONI di Sandro Paté

PAG.42 LA STORIA Pro loco a servizio del territorio. Facendo festa

PAG.55 VOCI DALL’AMERICA di Damiano Beltrami

PAG.45 RIMINI Umberto sta risalendo la china. Grazie a un articolo

PAG.61 CALEIDOSCOPIO

PAG.46 TORINO Senza dimora in aiuto a chi vive in strada

PAG.65 SCIENZE di Federico Baglioni

PAG.48 VICENZA Dino che lotta per avere la residenza

PAG.66 IL VENDITORE DEL MESE

PAG.50 VERONA Seguire i tempi della natura, quasi un lavoro

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PAG.52 SUD Minori stranieri, un calcio alle differenze PAG.56 VENTUNO La Francia va al voto. Ombra Le Pen e sinistra divisa PAG.62 NAPOLI Museo di Pietrarsa, Napoli si riscopre grande PAG.64 COMO Centro diurno. Al via nuovi laboratori

Scarp de’ tenis Redazione di strada e giornalistica via degli Olivetani 3, 20123 Milano tel. 02.67.47.90.17 fax 02.67.38.91.12 scarp@coopoltre.it

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Scarp de’ tenis aprile 2017

Direttore responsabile Stefano Lampertico Redazione Ettore Sutti, Francesco Chiavarini, Paolo Brivio

Segretaria di redazione Sabrina Montanarella Responsabile commerciale Max Montecorboli

Redazione di strada Roberto Guaglianone, Antonio Mininni, Lorenzo De Angelis, Alessandro Pezzoni

Foto Insp, Reuters, Romano Siciliani Disegni Sergio Gerasi, Gianfranco Florio, Luca Usai, Loris Mazzetti, Claudia Ferraris, Angelo Fiombo


da

lla stra sile de

aforisma di Merafina LA STAZIONE La stazione piena di ricordi, su un binario morto, purtroppo una stazione dimenticata Il tweet di Aurelio [Il bonazza

@aure1970 ]

ANSA - Bimbo autistico rifiutato da scuole Non siamo tutti uguali. Non abbiamo tutti gli stessi diritti. (Tranne a telecamere accese)

Cos’è Scarp de’ tenis è un giornale di strada noprofit nato da un’idea di Pietro Greppi e da un paio di scarpe. È un’impresa sociale che dà voce e opportunità di reinserimento a persone senza dimora o emarginate. È un’occasione di lavoro e un progetto di comunicazione.

à io me ne andrò tu piangerai lei riderà e andrò e me ne andrò

Dove vanno i vostri 3,50 euro

Quando il sipario calerà - tributo a Enzo Jannacci

Vendere il giornale significa lavorare, non fare accattonaggio. Il venditore trattiene una quota sul prezzo di copertina. Contributi e ritenute fiscali li prende in carico l’editore. Quanto resta è destinato a progetti di solidarietà.

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RISO AMARO

TOP 15

Esportazioni italiane 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15

Progetto grafico Francesco Camagna Sito web Roberto Monevi Editore Oltre Soc. Coop. via S. Bernardino 4, 20122 Milano Presidente Luciano Gualzetti

Germania Francia Stati Uniti Regno unito Spagna Svizzera Belgio Polonia Cina Turchia Paesi Bassi Austria Russia Romania Emirati Arabi Uniti

Registrazione Tribunale di Milano n. 177 del 16 marzo 1996 Stampa Elcograf Spa Verona Arretrati Su richiesta al doppio del prezzo di copertina

50.764 42.664 35.977 22.358 19.762 19.228 13.520 10.901 10.413 9.978 9.562 8.586 7.093 6.688 6.178

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Dati Osservatorio Economico Ministero Sviluppo Economico 2015

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Il men

Direzione e redazione centrale - Milano Cooperativa Oltre, via degli Olivetani 3 tel. 02.67479017 scarp@coopoltre.it Redazione Torino Via San Massimo 31/C, presso Spazio Laboratorio tel. 3200454758 scarptorino@gmail.com Redazione Genova Fondazione Auxilium, via Bozzano 12 tel. 010.5299528/544 comunicazione@fondazioneauxilium.it Redazione Verona Il Samaritano, via dell’Artigianato 21 tel. 045.8250384 segreteria@ilsamaritanovr.it Redazione Vicenza Caritas Vicenza, Contrà Torretti 38 tel. 0444.304986 scarp@caritas.vicenza.it Redazione Venezia Caritas Venezia, Santa Croce 495/a tel. 041.5289888 info@caritasveneziana.it Redazione Rimini Settimanale Il Ponte, via Cairoli 69 tel 0541.780666 rimini@scarpdetenis.net Redazione Firenze Il Samaritano, via Baracca 150/e tel. 055.3438680 samaritano@caritasfirenze.it Redazione Napoli Cooperativa sociale La Locomotiva via Pietro Trinchera 7, tel. 081.446862 scarp@lalocomotivaonlus.org Redazione Sud Caritas diocesana, Salita Corpo di Cristo, Teggiano (Sa) tel.0975 79578 info@caritasteggianopolicastro.it

Consentita la riproduzione di testi, foto e grafici citando la fonte e inviandoci copia. Questo numero è in vendita dal 1 aprile al 5 maggio

www.insp.ngo aprile 2017 Scarp de’ tenis

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RASSEGNA STAMPA

Il giro del mondo in Scarp de’ tenis Che le parole del Papa abbiano in sé una forza di comunicazione straordinaria lo sappiamo tutti da tempo. Da quando questo Papa callejero, come l’ha definito un amico giornalista, si è presentato sorridente al balcone di San Pietro quattro anni fa, con quel saluto semplice – «Buonasera!» che ha fatto storia.

Non immaginavamo certo tanto clamore. Perché le parole di Papa Francesco a Scarp de’ tenis, l’hanno fatto davvero. E curiosamente le testate del mondo che hanno ripreso l’intervista – ne abbiamo contate almeno un centinaio in ogni angolo del pianeta – l’hanno fatto da angolature differenti. Negli Stati Uniti, per esempio, si è dibattuto molto, grazie al lancio degli editorialisti del New York Times, subito ripreso dalla rete televisiva più importante del mondo, la CNN, sul gesto dell’elemosina. In Argentina e in Sudamerica invece molta eco è stata data ai passaggi dell’intervista in cui il Papa spiegava a Scarp come nelle villa miseria di Buenos Aires ci sia più solidarietà che non nei quartieri ricchi. 6

Scarp de’ tenis aprile 2017

Un altro passaggio che è piaciuto ai media dell’America latina (in testa El Nacional di Caracas in Venezuela) è il tema dell’immigrazione. Il Papa ha raccontato a Scarp quell’episodio legato alla vita dei propri genitori e alla nave Principessa Mafalda. In Svezia, il quotidiano Aftonbladet, ha invece ripreso il passaggio in cui si proponeva proprio il paese scandinavo come modello di integrazione. Nell’Europa dell’est, invece, ha colpito i colleghi giornalisti l’episodio raccontato dal Papa che ha visto come protagonista San Giovanni Paolo II.

In queste pagine alcuni stralci della nutrita rassegna stampa. Con alcune curiosità: il fermo immagine della CNN, l’editoriale del New York Times, la notizia ripresa dall’Herald di Kuala Lumpur, nonché da un’agenzia messicana, dal quotidiano sloveno Druzina e dal Catholic Herald, storico settimanale cattolico del Regno Unito. C’è anche la copertina di Street Roots, il giornale di strada di Portland negli Stati Uniti, che è uscito con l’intervista integrale per i suoi lettori. E persino un commento in giapponese. Insomma, un giro del mondo, in Scarp de’ tenis. [SL]

Qui sopra il fermo immagine della CNN, le pagine dell’Herald Malaysia e di due agenzie una giapponese e una argentina


Qui a fianco uno stralcio dell’editoriale che il New York Times ha dedicato alle parole del Papa. Sopra il giornale di strada di Portand e qui sotto un’agenzia messicana

Altri tre esempi della nutrita rassegna stampa. Il quotidiano sloveno Druzina, il quotidiano della sera di Stoccolma Aftonbladet e la pagina di apertura del più importante settimanale cattolico del Regno Unito, il Catholic Herald

aprile 2017 Scarp de’ tenis

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(IN)VISIBILI

Una legge a tutela dei minori non accompagnati. È la volta buona?

di Paolo Lambruschi

In questo momento i più invisibili sulla strada sono i bambini. Come ho scritto anche sull’ultimo numero di Scarp, mi tornano in mente i piccoli rom bulgari del ghetto di Borgo Mezzanone, nelle campagne foggiane. Una trentina almeno di figli di raccoglitori di pomodori o di altri ortaggi (pagati 2,5 euro all’ora) che nel Tavoliere vivevano in baracche senza acqua né luce al seguito dei genitori senza poter studiare né condurre un’infanzia lontano da fango, topi, sporcizia e freddo. Solo le associazioni

L’Europol, l’organismo delle polizie europee, denunciava la scomparsa nel 2015 di 10 mila minori stranieri non accompagnati, la metà in Italia, dove ne sparirebbero – fonte Oxfam – in media 28 al giorno. Invisibili, come i bambini rom del ghetto di Borgo Mezzanone

di volontariato si sono accorte della loro presenza e si sono preoccupate di dare loro un futuro. Così a febbraio è partito un progetto per portare nelle scuole materne del territorio quelli sotto i sei anni di età. In fondo è una pratica mutuata da esperienze di successo ad esempio a Milano. Portare bambini cittadini dell’Ue in classe dopo aver fatto loro la doccia in parrocchia così da consentire loro di stare senza complessi e problemi insieme ai figli degli italiani, accompagnati dalle madri per impartire alla famiglia che vive per strada i rudi-

scheda Paolo Lambruschi è nato a Milano nel 1966. Lavora ad Avvenire, come capo degli interni, dopo essere stato per tanti anni inviato. Ha diretto Scarp de’ tenis e il mensile di finanza etica Valori. Nel 2011 ha vinto il prestigioso premio giornalistico “Premiolino” per le inchieste sul traffico di esseri umani nel Sinai.

menti di igiene. Un esperimento di integrazione per portare i più piccoli tra gli invisibili fuori dalle nebbie e da un destino già segnato di emarginazione ed espedienti. Poteva funzionare, ma tutto è durato lo spazio di un mattino. Il terreno su cui sorgeva la baraccopoli da anni era di un privato che ha chiesto giustamente di riaverlo. Peccato che l’ordinanza di sgombero sia stata inviata dal sindaco di Foggia senza consultare le associazioni. Così i rom si sono visti arrivare l’atto di sgombero, si sono spaventati temendo che gli venissero tolti i bambini se questi fossero rimasti a scuola. Morale. Fuga provvisoria dal campo, poi lento ritorno in vista della stagione estiva che ha bisogno come il pane di manodopera schiava. Ma i bambini invisibili, l’anello debole, sono spariti dalle aule. Chi è tornato in Bulgaria, chi è finito in un altro ghetto. Chi si trova nascosto al mondo dai caporali in qualche casolare abbandonato. Poteva essere

un film diverso se le istituzioni pubbliche li avessero trattati da esseri umani.Invece in tutta questa storia non ci ha guadagnato nessuno, solo i caporali e i datori di lavoro disonesti che in italiano rientrano nel cappello delle agromafie.

compagnati. Una legge che amplia le tutele a firma Sandra Zampa, potrebbe essere votata in aprile alla Camera dopo le modifiche apportate al Senato. Si tratta di un provvedimento atteso da anni, voluto da sindaci, agenzie umanitarie, operatori sociali e di giustizia. Un testo portato avanti grazie alla partecipazione dei gruppi che, a partire dal Pd, con un largo consenso hanno voluto e votato queste norme di civiltà. Finora è

stato rimandato soprattutto per le ipocrisie della nostra classe politica, che ha paura di un provvedimento che va contro alla pancia malata di questo Paese. Visto che è di moda parlare di post verità o di fake news (quelle che una volta si chiamavano balle) allora diamo i numeri. L’anno scorso rivela Europol, l’organismo delle polizie europee, denunciava la scomparsa di 10 mila minori migranti nel 2015, la metà solo in Italia, dove ne sparirebbero secondo Oxfam, in media 28 al giorno. Sono forse finiti bene, insieme ai loro parenti. Sono forse finiti male, in mano agli spacciatori, a rubare, a prostituirsi. Diventano invisi-

bili in media più di uno all’ora. Se una legge può dare più tutele e garanzie, che cosa stiamo aspettando?

Forse, e speriamo sia a breve tempo, un’altra categoria di invisibili sarà aiutata. Mi riferisco

ai minori stranieri non acaprile 2017 Scarp de’ tenis

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IL TAGLIO

Sotto le guglie del Duomo buio e luce non accecano, fanno tendere le mani Il privato è pubblico. Tutto è politica. Si diceva così, una volta. Ma lasciamo da parte, alme-

Dj Fabo, il fine vita e quel “rito ambrosiano” una fotografia: discussione alla Camera sul “fine-vita”, i che fa dialogare banchi sono deserti. chi nella fede ha una Chi non l’ha vista, la cerchi su Incertezza granitica ternet, se vuole, quest’immagine. Davvero impressionante. Viene e chi non emerge spontaneo chiedersi: quanto pren- dal mare del dubbio no per ora, politica e religione e restiamo ai fatti. Innanzitutto,

di Piero Colaprico

dono di stipendio i parlamentari? E come lo guadagnano il vitalizio? Restando assenti su una questione che, a parole, li ha divisi e li divide come se fossimo in guerra? Andando in televisione, come li rimprovera monsignor Galantino?

Seconda immagine. Quella di una chiesa gremita. Sant’Ildefonso, a Milano, zona Sempione. Una chiesa dalla for-

scheda Piero Colaprico (Putignano 1957), giornalista e scrittore, vive a Milano dal 1976. È inviato speciale di Repubblica, si occupa di giustizia e di cronaca nera. Ha scritto alcuni romanzi, tra cui Trilogia della città di M. (2004), vincitore del Premio Scerbanenco. Una penna tagliente. Come questa rubrica che cura per Scarp.

ma esagonale, dove è più facile guardarsi in faccia rispetto alle classiche navate rettangolari. Sul primo banco, la mamma di quello che ormai chiamano in tanti “dj Fabo”, e cioè Fabiano Antoniani, e la sua fidanzata. La signora Carmen, con gli occhi pesti, e Valeria, che deve farsi forza e leggere le ultime parole lasciate da Fabo. Il quale, in questa chiesa ha frequentato l’oratorio, ha fatto la prima comunione e la cresima. Era un adolescente negli anni della cosiddetta Milano da bere. Ha cambiato molti mestieri, aveva trovato la sua strada con la musica e si stava facendo un nome nella lontana India, quando un incidente lo ha stravolto: totalmente cieco, senza alcuna possibilità, perché i danni erano cerebrali, e tetraplegico. Nel buio e nell’immobilità per quasi tre anni. Fabo poteva ascoltare, ma parlava a fatica. Ha resistito, poi ha deciso di andarsene in Svizzera, dove la legge

prevede il suicidio assistito. E così è morto, a quarant’anni appena compiuti, vicino Zurigo, a Pfaffikon. Quando le sue parole riemergono in chiesa, e la fidanzata lo chiama con affetto dispettoso «cucciolo di cane», ci sono vari sacerdoti e il sindaco Beppe Sala, un radicale come Marco Cappato e volontari dell’associazione Coscioni, gli amici di Fabo, che alla fine faranno esplodere i fuochi artificiali in piazza Damiano Chiesa, i parrocchiani, i manifestanti dei diritti civili, i giornalisti, tutti là, tutti che si guardano in faccia.

E così viene da pensare che il «rito ambrosiano» esiste, che da padre David Maria Turoldo al cardinal Martini, qui esiste una possibilità di dialogo concreto tra chi ha la certezza granitica della fede e chi non emerge dal mare del dubbio. Il buio e la luce, dovunque siano, sotto il Duomo non accecano, fanno tendere le mani. Qui, a Milano, sembra più difficile poter voltare le spalle a chi soffre. Ma forse non sembra, lo «è».

Dunque, abbiamo un paradosso sul quale ognuno può fare una riflessione. In una piccola chiesa non si fa politica, non esplicitamente almeno, e non siamo certo alle spaccature del dopoguerra («Nelle urne Dio ti vede, Stalin no»): ma la chiesa di Milano – nata da Sant’Ambrogio, che volle una biblioteca ecumenica – ha unito. In un grande Parlamento, invece, non è che ci si divide e ci si conta: no, si scappa, si fugge dalle responsabilità. Da cronista ricordo una serata atroce, quella in cui a Udine spirò Eluana Englaro, rimasta diciassette anni in stato vegetativo. Il suo cervello era ridotto a una noce, i suoi polmoni erano invasi dalla silicosi, perciò il suo cuore si fermò prima del previsto, alla clinica La Quiete di Udine. Lei moriva e il parlamento, in seduta a oltranza, cercava di approvare una legge che escludesse la possibilità di rinuncia alle cure, i toni erano altissimi, le parole contro papà Beppino rasentavano la ferocia. Ognuno può pensarla come vuole, qui preme ricordare che era – guardate il calendario - il 9 febbraio del 2009: quella seduta fu chiusa frettolosamente quando arrivò la notizia da Udine. Chiusa per quanto, la discussione? Non scordiamo che Piergiorgio Welby e Luca Coscioni, altri due uomini che hanno diviso l’opinione pubblica, sono morti – ancora: attenzione! – nel 2006. E Dj Fabo nel 2017. Passa così tanto tempo: e non so se sia corretto dire che la politica s’è ridotta a chiacchiera. A ipocrisia. La misericordia? Ma fateci il piacere, almeno usate le parole che sapete praticare, egregi sepolcri imbiancati: è incivile, in uno Stato laico, che a consolare chi soffre siano rimasti i parroci, alcuni parroci. No, non ce lo meritiamo, nonostante il rito milanese. aprile 2017 Scarp de’ tenis

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PIANI BASSI

Inclusione o vergogna? Scegliamoci il sindaco giusto...

di Paolo Brivio

l’autore Paolo Brivio, 50 anni, si è appassionato ai giornali ai tempi dell’università. E ha coniugato questa passione-professione con l’esplorazione dei “piani bassi” della nostra società. Direttore di Scarp dal 2005 al 2014, oggi fa il sindaco: pro tempore, perché rimane “giornalista sociale” in servizio permanente effettivo

Moderno, democratico e inclusivo, secondo il ministro dell’Interno. Razzista e classista, a parere del celebre saggista. Il botta e risposta (indiretto, ma non per questo meno aspro) tra Marco Minniti e Roberto Saviano ha acceso un potente fascio di luce sul decreto sulla sicurezza urbana che, varato dal governo il 20 febbraio, è stato approvato dalla Camera e dal 20 marzo prosegue in Senato il suo iter di conversione in legge. C’è chi ha paragonato il decreto Minniti (e anche Saviano vede un collegamento tra le due misure) al famigerato “pacchetto sicurezza” che Roberto Maroni, l’allora ministro coi baffi, propose e fece approvare tra 2008 e 2009. Quello era il “pacchetto” delle ronde, del reato di immigrazione clandestina, del trattenimento-detenzione nei Cie elevato a sei mesi: un concentrato di misure illiberali che, onestamente, appare azzardato accostare al ben più delimitato e meno ideologico decreto Minniti.

I sensibili e i perbenisti La contestazione di Saviano (e di molti altri) si appunta in effetti sul rafforzamento del potere di ordinanza che viene riattribuito ai sindaci. Per lo scrittore, le leggi forniscono già strumenti per combattere reati, degrado e illegalità. Invece,

«dare discrezionalità al potere significa generare ingiustizie»: il risultato, conseguito da primi cittadini in cerca di consenso a buon mercato, saranno «centri storici ripuliti da clochard e immigrati, e periferie ghetto».

Polemica serrata, attorno al decreto sulla sicurezza urbana, presto convertito in legge. Il ministro Minniti rivendica Su un punto, però, è possibile individuare una con- che le politiche vergenza tra le due iniziative di settore vedranno legislative. Nel “pacchetto” mapiù coinvolte roniano c’era, tra le altre misure, un “decreto” che ampliava i poteri (di le comunità locali. ordinanza) dei sindaci in materia di E dice di non volere sicurezza urbana. All’epoca si parlò di sceriffi anti-accattoni, anti-lava- centri storici vetri, anti-lucciole, anti-spacciato- ripuliti dai clochard. ri... Poi, nel 2011, la Corte costitu- Ma c’è chi teme zionale smantellò quella disposizione. Vedremo se qualcosa di la sindrome simile accadrà anche questa volta. dello sceriffo...

Il ministro ribatte che «scrivendo il decreto non avevo in testa il clochard o l’ambulante immigrato». Ma lo spacciatore, o il parcheggiatore abusivo manovrato dal crimine organizzato. E sostiene che la sua proposta, svincolata dall’equazione tra sicurezza e ordine pubblico, sottrae le politiche di settore «alla competenza esclusiva degli apparati, trasformando la sicurezza in bene comune e chiamando alla sua cogestione i rappresentanti eletti dal popolo».

Chi ha ragione? Probabilmente entrambi. Il decreto, integrato dal parlamento, in più punti mette in connessione patti e interventi per la sicurezza con progetti di riqualificazione delle periferie e di inclusione sociale: un sindaco socialmente sensibile potrà trarne spunto per costruire, insieme agli altri livelli dello stato, programmi che integrino il contrasto dell’illegalità con la prevenzione del disagio, la lotta alla povertà, la riqualificazione di pezzi di città e comunità. D’altronde, la tentazione di forzare la mano a colpi di ordinanze, allontanamenti e “Daspo urbani”, potrebbe titillare politici locali portatori di pruriti perbenisti e securitari. E magari di velleità, più o meno confessabili e confessate, di pulizia (etnica) del salotto di città. La cronaca e la storia dei prossimi anni ci diranno quale interpretazione, e soprattutto quale attuazione prevarrà. Non resta, incrociando le dita, che scegliersi il

sindaco giusto... aprile 2017 Scarp de’ tenis

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LA FOTO

di Goran Tomasevic

scheda Una foto drammatica, che arriva dalla linea del fronte di Mosul, in Iraq. I civili, donne, uomini e bambini, sono le vittime innocenti dei combattimenti tra le forze irachene e i guerriglieri dell’Isis. Credit: REUTERS / Goran Tomasevic (courtesy Reuters/INSP)

Mosul, Iraq. Il terrore e la paura sul volto di questo padre e della giovane figlia che tiene in braccio. Le strade di Wai Hajar si sono trasformate in pochi attimi in un campo di battaglia che vede lo scontro tra i guerriglieri dello Stato islamico e le forze speciali 14 Scarp de’ tenis aprile 2017


irachene. Scappano tutti – alcuni con ai piedi solo ciabatte o sandali – da questo teatro di guerra. E quando raggiungono il fronte amico, gli uomini sono costretti a spogliarsi degli indumenti per verificare che non indossino giubbotti esplosivi aprile 2017 Scarp de’ tenis

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IN BREVE

europa Una campagna per aumenti salariali di Enrico Panero «La pazienza dei lavoratori si sta esaurendo. L’Europa ha bisogno di una ripresa per tutti, non solo per chi è già ricco». Così la Confederazione europea dei sindacati (Ces) ha lanciato una campagna per un aumento dei salari dei lavoratori in tutta Europa e ha indicato il 2017 quale anno degli aumenti salariali. «Gli utili delle aziende hanno da tempo superato la crisi, ma i salari di impiegati e operai non sono ancora tornati ai livelli pre-crisi. Un operaio su tre sta lottando con la povertà» ha denunciato la Ces. Secondo un recente studio dell’Istituto sindacale europeo (Etui) la crisi ha cambiato il modello di sviluppo salariale, con un diffuso ristagno dei salari reali che sono più bassi di otto anni fa in sette Paesi dell’Ue, mentre in 18 Stati membri sono cresciuti molto più lentamente nei sette anni di crisi che negli otto anni precedenti. «È indubbio – osservano i sindacati europei – che il basso livello dei salari faccia sì che molte persone in tutta Europa non vivano dignitosamente con i soldi che guadagnano lavorando». Alla base della campagna sindacale c’è una motivazione di giustizia sociale e di lotta alla disuguaglianza: la produttività è in aumento, ma i lavoratori non hanno la giusta quota della ricchezza che contribuiscono a creare. C’è poi una motivazione economica: aumenti salariali farebbero crescere la domanda che a sua volta motiva le aziende ad aumentare la produzione e assumere più persone, contribuirebbero cioè a sollevare l’economia europea molto più efficacemente rispetto alle misure attuali di austerity e di tagli alla spesa pubblica. Info http://payrise.eu

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Per non pesare sul pianeta, l'impronta leggera di Silvana Crescere un figlio senza inquinare come una petroliera, è il libro (Giunti, 12 euro) di Silvana Santo, blogger napoletana di successo che, quando arriva il pancione, decide di intraprendere insieme al nascituro anche una missione ecologica: conciliare maternità ed ecosostenibilità. Giovane madre e sincera ambientalista Silvana non si scoraggia per le difficoltà della nuova missione e inizia sul suo

blog a raccontare una via percorribile, anche se non perfetta, partendo dalle piccole azioni di ogni giorno. Dalle scelte per il parto, all’allattamento, dalle prime cure per il bambino ai prodotti ecologici per l’infanzia, dai giocattoli a impatto zero fino alle indicazioni per viaggiare in modo sostenibile, Silvana racconta e condivide, senza insegnare, senza imporre e soprattutto senza irrigidirsi su posizioni estreme. Cercando il proprio compromesso e aiutando semplicemente ogni mamma a fare altrettanto. Un giornale di bordo per raccontare un’impresa non banale di lotta quotidiana. Info unamammagreen.com

street art Urban Festival con artisti da tutto il mondo Memorie Urbane, Urban Festival, torna in scena fino al giugno prossimo. Il festival, che nasce da un’idea di Davide Rossillo, è alla quinta edizione e si conferma il primo in Italia per quantità di artisti e di performance: 30 artisti provenienti da tutto il mondo e la partecipazione di un territorio sempre più ampio. Quest’anno le città coinvolte sono laziali e campane: da Gaeta a Terracina, Fondi, Formia, Valmontone, Caserta, San Cosma e Damiano e Cassino. Un laboratorio artistico con oltre 150 interventi da realizzare nel corso dei quattro mesi (iniziato a marzo e finisce a giugno). La mission del Festival resta quella di trasformare le zone più trascurate delle città in un museo a cielo aperto, accessibile a tutti. Memorie Urbane rievoca quanto la “memoria” sia considerata fondamentale come punto di partenza in un processo innovativo proiettato verso il futuro.

on

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Un modello di eccellenza nel volontariato veneto

Unicef, la condizione dell'Infanzia è una brutta pagina del mondo

Alzheimer. Sono 250 i volontari che danno sollievo a malati e familiari di persone malate del terribile morbo. Assistono 180 utenti in 36 strutture. Un modello che vorrebbe essere di esempio a livello nazionale. Il volontariato per l'Alzheimer in Veneto è stato promosso da associazioni coordinate dai Centri di Servizio per il Volontariato. E Treviso è in prima fila per i centri di sollievo assistiti da volontari. La sfida oggi per i Csv veneti è quella di dare continuità a questi centri, fare in modo che il servizio che offrono, di grande sollievo per le famiglie e di risparmio economico anche per i servizi sociali di un comune o di una Ulss, sia garantito nel futuro, supportato e valorizzato. Un altro obiettivo è estendere l’attività dei centri sollievo, oltre l’Alzheimer, anche ad altre patologie molto invalidanti e che meriterebbero di essere inserite in questo progetto. Info www.trevisovolontariato.org

Lo scenario che si prospetta da qui al 2030 per l'infanzia è terrificante. Il rapporto Unicef ci fa sapere che se non cambieranno le condizioni attuali entro il 2030 moriranno 69 milioni di bambini sotto i 5 anni, altri 167 milioni vivranno in povertà e 750 milioni di donne si saranno sposate da bambine mentre più di 60 milioni di piccoli in età da scuola primaria non avranno istruzione. Ma non è già scritto. Esistono, lo dice l'Unicef e non solo, politiche efficaci che potrebbero cambiare il corso di questa brutta pagina di storia contemporanea. Si possono raggiungere i bambini, le famiglie e le comunità in difficoltà. Il conto alla rovescia è cominciato. Info www.unicef.it


[ pagine a cura di Daniela Palumbo ]

A Bollate i detenuti possono inviare mail

ArtDesignBox e Irinox portano Aldo Palma al Refettorio di Milano A Milano dal 4 aprile, ArtdesignBoxin collaborazione con Caritas Ambrosiana e Irinox spa sceglie il Refettorio Ambrosiano come appuntamento del Fuori Salone, per celebrare con i lavori dell’artista romano Aldo Palma il luogo di solidarietà dedicato al design industriale e all’arte. Nella serata di sabato 8 aprile dalle ore 19 fino a tarda sera, sarà organizzato al Refettorio di piazza Greco, aperto al pubblico, l’evento di esposizione dei lavori del maestro Aldo Palma che potranno essere acquistati contribuendo al progetto del Refettorio. I lavori saranno visibili da martedì 4 a venerdì 7 dalle 10 alle 18, orario in cui vengono serviti i pasti alle persone assistite dai volontari Caritas, mantenendo così inalterata la missione di solidarietà del luogo. Info: www.artdesignbox.it

mi riguarda

Zeromail è un servizio appena iniziato nel carcere di Bollate: è gestito da una cooperativa sociale, Zerografica, che permette ai reclusi di inviare e ricevere messaggi nel giro di poche ore. Fino ad oggi i detenuti potevano scrivere solo lettere perché nel carcere non esisteva l’accesso alla rete. In un mese ne sono partite oltre 500. Sono 60 i detenuti che si sono abbonati subito: il servizio costa 12 euro per 30 mail. Il meccanismo è semplice: il carcerato scrive il suo messaggio su un foglio, ogni giorno un incaricato della cooperativa passa nelle celle a ritirare le lettere, che vengono scansionate e inviate entro il giorno dopo. La risposta del destinatario viene stampata, chiusa in busta e consegnata al detenuto. In Lombardia, per ora, solo i detenuti di Bollate hanno la possibilità di inviare mail. In alcune carceri italiane è attivo un servizio simile.

Le falene sanno volare anche con le ali spezzate

pillole homeless Tommaso se n’é andato con la valigia piena di dignità Tommaso da 13 anni abitava in un camper con la moglie, alla periferia romana di Torre Angela. Qualcuno gli aveva occupato l’alloggio popolare che gli spettava di diritto e da allora Tommaso e Donatella avevano vissuto dentro un camper. Non volendo gravare interamente sui figli, i due anziani coniugi avevano accettato, da questi ultimi, solo il regalo del camper che gli avrebbe dato un tetto sulla testa. Tredici anni dopo, aspettando la casa popolare che gli avevano sottratto, Tommaso è morto per la sua malattia, il diabete, aggravato dalla vita insalubre del camper. La loro storia, e la dignità di questi due anziani romani, era stata raccontata dal fotografo Fabio Moscatelli che gli aveva dedicato una mostra: The right place. Al funerale di Tommaso, insieme a tanta gente, c’era anche il fotografo che lo ha salutato dicendo: “Te ne vai con la tua valigia piena di dignità”. Aveva 71 anni Tommaso , il diabete e pochi soldi. Evidentemente anche pochi diritti in questo strano Paese e in una città sempre più allo sbando.

Stefania Culurgioni è una collaboratrice storica di Scarp. A lei dedichiamo la vetrina di Mi Riguarda perché Stefania ha realizzato un sogno. Ha pubblicato un libro, su Amazon, che racconta di crescita personale e riflessione sul mondo della disabilità. Livia, giornalista precaria, accetta di fare l'ufficio stampa in un istituto psichiatrico: ma lo frequenta con un misto di attrazione e disgusto. In questo mondo di frontiera Livia tesse una strana amicizia con Aronne, che diventerà il suo Virgilio in questo mondo sconosciuto. In quella terra di mezzo, vive un'umanità sgraziata, ma piena di vita e di valore. Come falene, le farfalle notturne, goffe e sgraziate: se le osservi bene, però, scopri che ognuna ha le ali colorate, scopri che sono belle e sanno volare. Su Amazon. Versione kindle 3,99 euro Versione cartacea 9,90 euro

Per dire basta alle parole di odio online Un’iniziativa di sensibilizzazione sull’hate speech, che in rete sta diventando la normalità. Il rischio è proprio quello di assuefazione all’odio e alle parole insultanti, che feriscono. L’iniziativa del progetto Parole O_Stili, un Manifesto di 10 principi contro le parole di odio, nasce per ridurre, arginare e combattere i linguaggi negativi che si propagano in rete. Testimonial, Gianni Morandi, che in rete ha subito proprio un attacco di hate speech. I 10 punti del Manifesto della comunicazione non ostile sono stati composti a partire dalle proposte della rete. I primi sei sono stati scelti direttamente dalla rete, mentre altri quattro sono stati selezionati da esperti di comunicazione. Il Manifesto è destinato a viaggiare soprattutto nelle scuole. Prossima tappa, Bergamo, il 4 maggio. Info www.paroleostili.com

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IN BREVE

Foto di gruppo con i ragazzi della scuola primaria di Solbiate in visita alla redazione

Il rilancio del Network Housing First Italia Michele Ferraris Ci siamo lasciati a Torino a dicembre 2016 con un arrivederci e adesso siamo pronti a ripartire. Sono stati anni molto intensi quelli trascorsi insieme e indimenticabili, oseremmo dire, i momenti di formazione… tanti gli ostacoli e le contraddizioni che ciascuno di noi ha dovuto superare nella propria realtà e nel proprio territorio, tantissime le fatiche nelle quali ogni giorno ci imbattiamo per portare avanti un metodo ma, soprattutto, il nostro ideale di giustizia sociale e di umanità per combattere l’esclusione sociale e la marginalità estrema. Durante questi mesi la fio.PSD ha elaborato una proposta formativa per il rilancio del Network che si sviluppa su tre progressivi profili di adesione o “livelli” formativi: ogni livello prevede di aver già compiuto la formazione del livello precedente e di garantire alcuni standard qualitativi e quantitativi definiti. Per maggiori informazioni e per entrare a far parte del Network Housing First Italia, vi preghiamo di scrivere a fiopsd@fiopsd.org o di telefonare al numero 346/0459154 Info www.housingfirstitalia.org

IN REDAZIONE

Giovani pirati all’arrembaggio della redazione di Scarp briche e degli operai, della Milano nascosta fra le vetrine che luccicano. di Daniela Palumbo

Il 23 febbraio scorso sono saliti a bordo della redazione di Scarp de’ tenis venticinque ragazzini e ragazzine di 10 anni. La mitica classe quinta della scuola primaria di Solbiate (Co), insieme al capitano, la maestra Claudia, e il maestro Carmelo. Dei piccoli pirati scatenati avevamo già scritto, noi di Scarp, perché il capitano Claudia li aveva fatti innamorare, in classe, di un artista che ci sta a cuore, Enzo Jannacci. I pirati ne avevano scoperto le canzoni e non avevano più smesso di cantarle: a scuola, in casa, sul tram. Ovunque si trovassero attaccavano con: “Vengo anch’io! No, tu no! Ma perché? Perché no!”. Gli piaceva quell’Enzo, scatenato pure lui, che faceva canzoni divertenti e ironiche – dove certe volte un senso logico era inutile cercarlo – e canzoni che ti facevano vedere il mondo come non lo avevi mai visto. Era la magia del dottor Jannacci e i pirati l’avevano capita subito. Cercando Enzo, hanno scoperto Scarp de’ tenis, il giornale che guarda gli ultimi come li guardava Jannacci, con lo slancio di chi gli riconosce la dignità, e tende le mani per aiutare a rialzarsi.

Nelle pagine di Scarp, quasi un anno fa, raccontammo del progetto della maestra Claudia su Enzo Jannacci cantante, ma anche poeta, medico, uomo capace di raccontare la Milano dei diseredati, di chi resta indietro, delle fab18 Scarp de’ tenis aprile 2017

I marinai e il suo capitano avevano promesso di venirci a trovare per scoprire come un qualunque giornale si possa trasformare in Scarp de’ tenis. E una mattina, alle nove, si sono presentati in redazione con gli occhi svegli e un sorriso curioso. Hanno ascoltato il direttore e i redattori raccontare come nasce Scarp, come si scelgono le notizie, e i trucchi dei giornalisti. Ma soprattutto sono stati con gli occhi vigili quando uno dei nostri venditori, Vito, ha raccontato la sua storia: di come si è ritrovato senza un tetto, della vergogna e la disperazione, e come pian piano, insieme a Scarp, si è ripreso la sua vita e l’ha fatta cambiare. Quante domande! Quanta partecipazione negli occhi curiosi dei pirati. E alla fine ognuno è andato via con un ricordo speciale: la copertina di Scarp dedicata a loro, sapientemente fotografati e impaginati su Scarp de’ tenis. Ma il regalo più bello ce lo hanno lasciato loro, i pirati. Un piccolo diario di bordo dove tutti hanno scritto un pensiero, una riflessione, un ringraziamento per noi.

Non possiamo scriverli tutti, anche se ci piacerebbe, ma uno per tutti sì. E lo vogliamo dedicare a Enzo Jannacci perché sappiamo che gli sarebbero piaciuti i nostri pirati. Dal diario di bordo, firmato G. e M: «Negli occhi di Vito noi vediamo tanta speranza». Buona vita ragazzi!


IN BREVE

La montagnetta di San Siro nella guida dei Gatti di Milano

I Gatti di Milano non toccano terra Le info

«La montagnetta di Milano è una collina artificiale sorta dalle macerie della Seconda Guerra mondiale. Sulla sua sommità si trova il famoso Giardino dei Giusti» (Tratto da I gatti di Milano non toccano terra edito da Caritas Ambrosiana, Farsi Prossimo e Coop. Oltre)

Yad Vashem è l’ente nazionale israeliano istituito a Gerusalemme negli anni cinquanta al fine di preservare la Memoria della Shoah. Yad Vashem significa “Un monumento e un nome” e oltre che del museo, della biblioteca e dei memoriali che sono stati costruiti all’interno di un grande spazio verde, ha tra i punti del suo programma la commemorazione e il ricordo dei Giusti tra le Nazioni. Il primo Giardino dei Giusti fu creato a Gerusalemme nei primi anni ‘60 per onorare tutte quelle persone, non di origine ebraica, che rischiarono la vita per salvare gli ebrei dall’Olocausto. Ad oggi sono più di 20 mila le persone commemorate, di cui più di cinquecento sono italiani. Negli ultimi anni anche in Italia sono stati aperti numerosi giardini dedicati ai Giusti tra le Nazioni e quello di Milano è stato il primo. Inaugurato nei primi anni duemila è situato all’interno del parco Monte Stella, nel quartiere QT8 (quartiere di cui si parla nella guida). Simile a quello di Gerusalemme, è stato creato per rendere omaggio a quegli uomini e donne che

con le loro azioni si sono opposte a ogni genere di genocidio. Un albero, segno di rinnovamento e di vita, un cippo con il nome del Giusto e le motivazioni che hanno portato a questa scelta sono le caratteristiche di questo giardino. Il 15 marzo 2017 cinque nuovi alberi sono stati messi a dimora per onorare cinque nuovi Giusti: Hamadi Ben Abdesslem guida al museo del Bardo che salvò la vita a 45 italiani durante l’attacco terroristico; Raif Badawi blogger saudita condannato a mille frustate per aver parlato di dialogo tra le culture; Lassana Bathily, giovane maliano naturalizzato francese che salvò degli ebrei durante l’attacco terroristico in Francia nel gennaio 2015; Etty Hillesum, scrittrice deportata e morta nel campo di Auschwitz e Pinar Selek, attivista turca ingiustamente accusata di complicità col PKK e condannata all’ergastolo. Il 6 marzo invece, è la giornata che, nel 2012, il Parlamento Europeo ha istituito per la commemorazione di quei Giusti che si sono opposti a crimini contro l’umanità. [ma.c.]

Questa e altre curiosità si possono leggere sulla guida. Questo itinerario è il numero 6 e si snoda tra i quartieri dell’Ortica, Lambrate e Città Studi. La guida costa 10 euro e può essere acquistata: - chiamando in redazione al numero 0267479017 (mail: scarp@coopoltre.it) - presso la sede di Scarp de’ tenis, in via degli Olivetani 3 a Milano - presso la sede di Caritas Ambrosiana in via San Bernardino 4 a Milano - presso il Centro Diurno La Piazzetta in viale Famagosta 2 a Milano - presso le librerie Ancora di Milano e Monza

LA STRISCIA

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LE DRITTE DI YAMADA

Lo Scherzetto di Starnone Speranze, ricordi, insuccessi di Yamada (aka Grazia Sacchi)

La trama: un affermato illustratore settantacinquenne – vedovo, napoletano ma da vent’anni a Milano, reduce da un intervento chirurgico che l’ha molto provato – riceve una nervosa telefonata da sua figlia Betta che gli chiede se può badare al nipote quattrenne Mario quando lei e il marito Saverio andranno a Cagliari per tre giorni, a un convegno di matematici. Non riesce a dirle di no perché la sente infelice e vuole vedere come se la passano lei e il marito (male, ndr). Le promette che arriverà da loro qualche giorno prima che partano, ma non gli riesce: un editore gli ha commissionato le illustrazioni per un racconto di Henry James - The Jolly Corner che lo sta tediando in una latitanza creativa dentro la lenta convalescenza. Prima di partire, ultima alla bell’e meglio due tavole (che non lo soddisfano) e le spedisce all’editore; poi prende finalmente il treno e dopo un viaggio «infastidito da sudori di debolezze e dalla voglia di tornarsene a Milano», il Nostro arriva in una Napoli fredda e piovosa. Riabbraccia la figlia (che all’istante s’allarma per la debolezza del padre), il genero («il tozzo e cerimonioso Saverio») e il nipotino, Mario, diventando «la parola Nonno che in quel mo-

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Daniele Mallarico, il protagonista, è un affermato illustratore, napoletano, trapiantato a Milano. L’incontro con il nipote di 4 anni sarà l’occasione per un’ impietosa auto-analisi

1973. L'occupazione da parte degli operai di una fabbrica tessile vicino a Bergamo dove i lavoratori, al ritorno dalle ferie, si ritrovano licenziati con la fabbrica in chiusura. Il romanzo di Silvio Bordoni è scrittura civile e racconta con partecipazione una storia in parte vera dove i giovani protagonisti scoprono una nuova socialità proprio con l'occupazione.

mento si stava incarnando davanti al nipote» che «gli stringe il collo con grande energia e gli bacia una guancia come se volesse perforargliela». Da quel bacio c’è il passaggio di consegne ufficiale, e Betta dice a Mario che dovrà ubbidire e fare sempre tutto quello che gli dirà il Nonno. Il racconto di Henry James, così difficile da illustrare, narra di un tale – Spencer Brydon – che torna nella sua casa natìa di New York (dopo tanti anni in Europa) e la trova occupata dal fantasma di se stesso. Alla stessa latitudine, il Nonno ritorna nella casa della sua giovinezza, poi ceduta a Betta che negli anni l’ha ristrutturata a suo gusto. Ma i muri portanti e i corridoi –ben pregni di tutti i fantasmi degli “Io” rabbiosi e violenti che il Nonno aveva con forza silenziato a favore del suo “Io” così dotato nel disegno e decisivo per il suo riscatto lontano da Napoli – gli danno da subito il “bentornato” proiettando ombre e allu-

Silvio Bordoni Quell'estate dei giovani. La fabbrica Lieto Colle, euro 18

Chi sono oggi i testimoni? In occasione dei novant'anni dalla nascita del Cardinale Martini esce Cristiani coraggiosi, dedicato ai laici testimoni nel mondo di oggi. Il libro di Carlo Maria Martini offre una selezione di testi finora inediti che sottendono domande di grande attualità: come essere oggi testimoni di Gesù e del suo Vangelo; di quali cristiani hanno bisogno la Chiesa e il mondo in cui viviamo?

cinazioni sul fluire delle tavole da illustrare per l’editore, impantanate dentro un

il libro Scherzetto di Domenico Starnone

magma di impietosa auto-analisi sul dominante e presunto talento artistico che si è preso tutti i suoi giorni. A questo dramma si aggiunga Mariuccio da tenere d’occhio: intelligentissimo, implacabile, curioso, saccente, capace di cose impensabili e pericolose, per un bambino così piccolo. Inesauribile e dotato nel disegno, è un piccolo automa adultizzato con cui il Nonno entra in conflitto sino allo scherzetto sul vertiginoso balconcino trapezoidale. Dopo tutto, un amorevole bacino (che tutto cura) li riavvicinerà.

Carlo Maria Martini Cristiani coraggiosi In Dialogo, euro 15,90

Avventura con finale a sorpresa

[ a cura di Daniela Palumbo ]

Guardo la sveglia e sono le 4 e 40, la stessa ora in cui si sveglia il Daniele Mallarico dell’ultimo bellissimo libro di Domenico Starnone, Scherzetto, uscito con Einaudi.

Le lotte operaie raccontate ai figli

Si dice che poggiando una conchiglia all'orecchio si senta il mare, sarà vero? Una bambina passeggiando sulla spiaggia decide di provare. Inizia così un viaggio speciale dentro il mare. Un viaggio importante che le regalerà la sua più bella avventura. E un finale a sorpresa. Per bambini dai 4 anni. Alex Nogués - Silvia Cabestany La conchiglia Coccole Books, euro 12


VISIONI

Brutti e cattivi

Renato Pozzetto, sul trattore, in una delle scene del film Il ragazzo di campagna

La storia di una banda di disabili della periferia romana che mette a segno una grande rapina in una banca. La banda: un mendicante paraplegico soprannominato il Papero, la moglie, una donna senza braccia detta la Ballerina, un tossico detto il Merda e un nano rapper il cui nome d'arte è Plissé. Dopo il colpo cominciano a litigare per accaparrarsi il denaro.

Il ragazzo di campagna Un film di culto, ora in dvd Renato Pozzetto e Massimo Boldi raccontano a Scarp de’ tenis il film cult che li ha visti protagonisti e che dopo oltre trent’anni il 4 aprile racconta Massimo Boldi, al- esce in dvd Partiamo dal finale. “Beato te, contadino, beato te!”, il tema musicale di Detto Mariano, è una scoperta che Artemio si porta con sé una volta abbandonata la città per tornare in campagna. Se la tiene stretta questa nuova convinzione come fa con “la” Maria Rosa, finalmente bella. Il film, diventato famoso per la comicità “animalesca” di Renato, insegnava allora come oggi come può essere spietata la città di Milano nei confronti di chi viene da fuori. Ci

tro amico di Scarp: «Non avevo molta esperienza. Io e Renato abbiamo legato tantissimo da subito secondo me perché arrivavamo tutti dalla stessa zona: il Lago Maggiore, più precisamente la zona compresa tra Laveno e Luino. Tutti ’sti milanesi di cui si dice non erano di Milano!». «Questo personaggio con la valigia, che molla tutto quello che ha per la città – ci dice Renato Pozzetto – piace anche a chi non era nemmeno nato quando il film uscì al cinema. Èanche un po’ biografico. Sono figlio della guerra. La casa dei miei genitori venne bombardata nel ’42. Scappammo a Gemonio, nel Varesotto, dove conobbi Cochi e la sua famiglia. Tornammo a Milano dopo

il film Il ragazzo di campagna Commedia, Italia, 1984, 92’ Regia e soggetto: Castellano e Pipolo Musiche: Detto Mariano Con Renato Pozzetto e Massimo Boldi

Un altro me Il carcere di Bollate è un luogo dove si fa sul serio. Questo documentario rende noto il primo esperimento italiano di trattamento intensificato per responsabili di violenze sessuali. Di Claudio Casazza per Lab 80 Film, il documentario mostra i percorsi di terapia singola e di gruppo che gli psicologi svolgono coi detenuti sex offenders.

Il ragazzo di campagna esce nel 1984 e, come succedeva già da molti anni, una commedia italiana batte al botteghino film americani come Terminator o i cartoni animati di Walt Disney. Tuttavia, nessuno poteva immaginare che le vicende di Artemio potessero occupare le serate degli italiani per oltre quarant’anni. Il film di Castellano e Pipolo già uscito in vhs per Domovideo negli anni Ottanta e più volte in dvd, persino per il mercato estero – si trovano versioni alternative del film sul mercato tedesco e dell’est europeo! - è nuovamente disponibile in Italia grazie a CG Entertainment, società impegnata a digitalizzare la library di Cecchi Gori Group e alcuni marchi indipendenti. Nuovi extra e interviste ad hoc per una storia che profuma di antico con cabine del telefono, Vespe Piaggio e partite di calcio la domenica pomeriggio.

Lasciati andare

[ a cura di Daniela Palumbo ]

di Sandro Paté

sei anni, ricordo ancora le nostre valigie di cartone. Andammo ad abitare vicino a piazzale Corvetto, al pian terreno, in un alloggio popolare, che allora erano chiamate “casa minime”, non lontano da un bar che è stato ed è ancora oggi un punto di ritrovo straordinario, il Gattullo di porta Lodovica. È lì che abbiamo conosciuto artisti del calibro di Jannacci, Gaber e Fo».

La strana amicizia tra un analista e una personal trainer. Elia è uno psicanalista arido e annoiato che nasconde la mancanza assoluta di emozioni dietro un umorismo cinico e arguto. Un'esistenza vuota che cerca di sublimare con i dolci. Si troverà costretto a dimagrire e ad andare in palestra. E qui incontra una personal trainer folle che gli cambierà la vita. Con Toni Servillo. aprile 2017 Scarp de’ tenis

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Nella foto lo scrittore Paolo Cognetti è al lavoro nella baita di montagna in Val d’Ayas, in Valle d’Aosta

Paolo Cognetti «La montagna è il luogo delle relazioni dirette»

Paolo Cognetti ha 38 anni e da otto divide la sua vita fra Milano e la Val d’Ayas, in Valle d’Aosta. Il perché di questa scelta l’ha spiegato in un romanzo autobiografico, Il ragazzo selvatico: storia della fuga solitaria di Paolo in una baita ad alta quota. Perché? Perché può accadere che una storia d’amore, di quelle dove investi tutto te stesso, finisca. Nello stesso periodo non credi più anche in un’esperienza sociale e professionale avviata con amici. E allora abbandoni. Incontriamo Paolo nel quartiere Bovisa, a Milano.

di Daniela Palumbo foto di Stefano Torrione

Scarp incontra lo scrittore del momento: «Non voglio fare l’eremita, non mi interessa, ho problemi con la massa non con gli esseri umani. Altrimenti non potrei scrivere» 22 Scarp de’ tenis aprile 2017

Ripartire da quei crolli non è stato facile, è così? Avevo trent’anni. Ero caduto in una crisi profonda. Mi è tornata alla mente la montagna come una parte di me che avevo rimos-


so per tanto tempo, mi sono chiesto perché non fossi più tornato in quei luoghi che mi appartenevano così intimamente. Da adolescente ho passato tutte le mie estati in montagna, due mesi all’anno, finiva la scuola e arrivava la sensazione di libertà. In città vivevo dentro casa. Una famiglia piccolo borghese in un quartiere, San Siro, dove non esploravo che me stesso, dentro una solitudine che mi ha accompagnato sempre. Mi tenevano compagnia i libri. Leggevo libri d’avventura, da London a Salgari, da Stevenson a Verne. E quando arrivavo sui torrenti di montagna mi mettevo dentro i panni di quei personaggi. Poi a 18 anni, basta. Chiudo con la montagna. Arriva l’amore per la città. I paesaggi urbani. Prima Milano. Che Paolo comincia a conoscere sul serio, lasciandosi le sagome residenziali di San Siro alle spalle. Nel frattempo, dopo lo scientifico si iscrive a matematica – «gli ero promesso fin da quando avevo sei anni, sono sempre stato considerato un genietto» –. Dopo due anni l’esperienza universitaria finisce. Con il diploma della Civica Scuola di Cinema di Milano, nel 1999, Cognetti comincia a girare documentari sociali. E arriva il colpo di fulmine per New York. I paesaggi post industriali con i vecchi moli abbandonati, i quartieri come Brooklyn, Queens, Bronx, con quell’idea romantica dell’America della frontiera che resiste. «Ancora oggi a New York parlano 180 lingue. Io amavo l’estrema diversità che si percepisce, il fatto che coesistano tante nazionalità diverse. Non a Manhattan certo. Ma appena fuori dai grattacieli. Ho fatto documentari e guide di viaggio. Appena potevo mi trasferivo lì per mesi vivendo a Brooklyn».

Ero a New York ma ripensavo al Nepal, alle montagne e alla gente di quelle terre

In quel periodo inizia anche la scrittura di romanzi. Oggi però faresti fatica a tornare a New York. L’ultima volta che ci sono stato mi sono sentito a disagio, fuori posto. Era la prima volta che mi succedeva. Ero a New York ma ripensavo al Nepal, alle montagne e alla gente di quelle terre. Era lì che avrei voluto essere. Ed è lì che tornerà a breve: partirà infatti per un lungo trekking nelle terre alte del Nepal, al confine con il Tibet, con alcuni amici: «Scriverò di questa esperienza, forse ne nascerà un libro». Dopo Il ragazzo selvatico torna alla letteratura pura. Ma l’ambientazione non cambia. Le otto montagne diventano un successo internazionale. Un’amicizia fra due uomini, un rapporto costruito con poche parole e che diventa eterno, forse per quello. Ma esiste Bruno, l’amico delle otto montagne? Ho sempre fatto fatica con gli amici, si sono sempre chiesti perché parlassi così poco. Qualcuno mi diceva: è difficile essere tuo amico. Poi in montagna ho incontrato persone come me, con cui

L’INTERVISTA fare esperienza di un silenzio che per me significa condividere le cose fatte: costruire una casa, camminare in montagna, lavorare. C’è una persona che abita in valle e che ha ispirato il personaggio di Bruno, il mio migliore amico, eppure mi ricordo ben pochi discorsi fra di noi: i luoghi invece sono importanti, entrano nelle relazioni e le costruiscono. La città è il luogo della parola, è un posto fatto per incontrarsi, stare insieme e parlare. La montagna ti spinge a condividere altre cose. Quando la montagna ha fatto irruzione di nuovo nella mia vita di adulto mi sono reso conto di un mondo talmente potente che era impensabile tornare a scrivere le storie che scrivevo prima. Ma questo amore esclusivo somiglia a una fuga dalla realtà. Dall’umanità. No, perché? Io non voglio fare l’eremita, non mi interessa, ho problemi con la massa non con gli esseri umani. Altrimenti non potrei nemmeno scriverne. Ho problemi con gli uomini quando sono in tanti, mi sembra che nell’essere così tanti nella città ci siano dei mali: la superficialità delle relazioni, la stupidità dei

scheda Paolo Cognetti nasce a Milano nel gennaio 1978.Interrompe gli studi di matematica e da autodidatta studia letteratura americana, la sua preferita. Manuale per ragazze di successo è del 2004. Poi esce Una piccola cosa sta per esplodere, 2007. Sofia si veste sempre di nero, 2012, editi da Minimum fax. Il ragazzo selvatico è il diario autobiografico uscito per Terre di Mezzo nel 2013. A cui è seguito, nel 2016, il suo secondo libro ambientato anche questo nelle terre alte: Le otto montagne, Einaudi. Venduto in 26 Paesi prima della pubblicazione, è il caso editoriale che gli consegna un successo internazionale.

movimenti di massa, il poco senso che io trovo in questa vita urbana. Riesco a fondare delle relazioni migliori dal punto di vista della qualità, più profonde, e anche a voler bene alle persone quando sono poche e quando condividiamo un luogo a cui vogliamo bene. La montagna per me non è il posto della solitudine ma delle relazioni verticali, dirette, dove la spiritualità è più forte. Che ruolo ha oggi lo scrittore nella società? Intanto, mi sembra di far parte di una generazione di scrittori che è diventata più seria della precedente, la letteratura della generazione prima della mia, anni ‘80 e ‘90, era diventata ironica e postmoderna, ma sostanzialmente frivola. Oggi siamo molto più concreti, c’è un ritorno del realismo nella scrittura, della serietà, anche dell’impegno sociale e politico, scrittori che osservano la società e ne scrivono, non intellettuali fuori dal mondo. Io mi sento così, dentro la società, anche se in questi ultimi libri scrivo di montagna. La letteratura civile è fondamentale, se la scrittura non è politica non capisco bene a cosa serva. Hai una pagina Facebook gestita dall’ufficio stampa. Perché diffidi dei social? Li chiamiamo mezzi di comunicazione, in realtà sono mezzi di intrattenimento. Ci servono a riempire il vuoto e a distrarci: dai pensieri, da ciò che pensiamo quando siamo da soli senza via di fuga. E questo mi sembra che renda le nostre vite molto superficiali. Con gli smartphone abbiamo visto scomparire i libri dal panorama urbano. Non è dunque la comunicazione che mi dà fastidio ma l’inconsistenza di questa materia che ci sta riempiendo la vita.

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COPERTINA

In Italia il 5,6 per cento dei minori non consuma neppure un pasto proteico adeguato al giorno perché vivono in una famiglia povera e, quindi, non possono permettersi la mensa scolastica. Un “servizio pubblico a domanda individuale”. Questo significa che l’ente

©REUTERS/Suzanne Plunkett (courtesy of INSP)

In alcune regioni italiane un bambino su due non ha la possibilità di usufruire del servizio mensa con percentuali che toccano livelli altissimi in Sicilia (80%), Puglia (73%), Molise (70%) e Campania (65%)

Bambini che

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pubblico non deve garantirlo per obbligo istituzionale. Pertanto ogni amministrazione comunale può decidere se e come organizzare il servizio mensa. Con grandissime disparità di trattamento da comune a comune. Viaggio tra i forzati della schiscetta, obbligati per ordinanza a digiunare

hanno fame aprile 2017 Scarp de’ tenis

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COPERTINA

di Daniela Palumbo

Il 10% dei bambini nel nostro Paese sono poveri. Ovvero, un bambino su dieci rispetto al numero della popolazione dei minori in Italia. Il che vuol dire che un bambino su dieci non può accedere ai servizi fondamentali per la sopravvivenza, come l’alimentazione. E non ha uno standard di vita accettabile. Basta guardare. Non sono così lontani. Ci sono bambini che fanno un solo pasto completo al giorno, quello delle mense scolastiche. Ci sono bambini che non possono comprare giocattoli, non vanno in vacanza, non possono acquistare materiale scolastico. A raccontare la situazione dei minori italiani è il nono rapporto

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di monitoraggio della convenzione Onu sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza presentato dal Gruppo Crc (una rete di organizzazioni no profit di cui fa parte anche Caritas Italiana). Il rapporto esce annualmente e viene redatto da 134 operatori dei 91 soggetti partecipanti al network sui diritti dell’infanzia. Oltre 200 pagine in cui vengono analizzati tutti gli aspetti della vita dei minori che risiedono in Italia: i diritti del pianeta infanzia sono monitorati nel rapporto secondo gli standard internazionali. «Riguardo al diritto di un bambino di vivere in una condizione di non povertà e di non esclusione sociale, l’Italia deve fare ancora molta strada – afferma Diego Cipriani di Caritas Italiana, che ha seguito da vicino il rapporto Crc –. Secondo l’Istat, nel 2014 i minori in condi-

zioni di povertà assoluta erano 1 milione 45 mila, una quota che, sebbene stabile negli ultimissimi anni, resta un macigno sul futuro dell’intero Paese». Famiglie numerose in crisi I dati sull’incidenza della povertà assoluta riferiti all’ampiezza, alla tipologia familiare e al numero di figli minori dicono che il disagio economico è più diffuso se all’interno della famiglia è presente un numero crescente di figli minorenni: il dato più alto, infatti, si registra nel caso in cui la famiglia è composta da 5 o più persone (16,4%), se la coppia ha 3 o più figli (16%) e se questi sono minori (18,6%). Non va meglio se si guarda alle stime della povertà relativa. Quest’ultima esprime la difficoltà economica nella fruizione di beni e servizi da parte di una persona, in


Claudia Ferraris

IL PROGETTO

Anche alcune tra le principali città italiane escludono dalla mensa i figli di genitori morosi: Ancona, Brescia, Foggia, Novara, Palermo, Reggio Calabria, Sassari, Taranto e Salerno

©REUTERS/Suzanne Plunkett (courtesy of INSP)

Fondazione Cariplo: 12,5 milioni per l’accesso all’alimentazione Milano è motore di sviluppo economico e sociale del Paese, ma non può esserlo davvero se lascia indietro i bambini. Inizia da qui il Patto per Milano di Fondazione Cariplo. Una città che, pur avendo una marcia in più, ha situazioni di grave sofferenza. Come quella che riguarda i bambini: 11 mila nuclei familiari non possono permettersi di acquistare beni e servizi essenziali e di avere uno standard di vita accettabile. La povertà a Milano colpisce 21 mila minori mentre sono 100 mila le persone povere, in città. Troppe. E allora è scesa in campo la Fondazione Cariplo che ha appena compiuto 25 anni: 12,5 milioni di euro da investire in tre anni, sul territorio. La Food Policy di Fondazione Cariplo per Milano va in direzione di uno sviluppo integrato di risorse che sappiano promuovere l'accesso a un'alimentazione adeguata e dignitosa; e non solo intercettare davvero tutte le famiglie che hanno bisogno di un supporto alimentare, ma partire da qui per garantire l’accesso

rapporto al livello economico medio di vita in una determinata area geografica. Se nel 2013 l’incidenza della povertà relativa, per le persone di età inferiore ai 18 anni, era del 17,5%, nel 2014 è schizzata al 19%: quasi 2 milioni di bambini. «L’Italia resta un Paese a due velocità – dice Cipriani –: le regioni del sud hanno una soglia di povertà assoluta maggiore, le più povere sono risultate Calabria, Basilicata e Sicilia. Inoltre, se per le coppie con tre o più figli l’incidenza di povertà è al 27,7%, al sud si alza al 35,5%. Anche in questo caso, la situazione peggiora se all’interno della famiglia sono presenti figli minori». Paese a due velocità Le cattive notizie sono confermate dal confronto con il resto dell’Unione europea. L’Eurostat (l’Uf-

Le regioni del sud hanno una soglia di povertà assoluta maggiore, le più povere sono Calabria, Sicilia e Basilicata. Inoltre, se per le coppie con tre o più figli l’incidenza di povertà è al 27,7%, al sud si alza al 35,5%

delle famiglie a una pluralità di servizi in modo integrato; non limitarsi dunque a immettere nuove risorse, ma aiutare a ricomporre quelle esistenti, mobilitare e mettere in circolo quelle latenti. Insomma, non mera assistenza ma sostegno inclusivo. Come? «Partiamo dal cibo ma con percorsi di riattivazione e uscita dalla situazione di povertà – spiega Monica Villa –. In questi mesi abbiamo lavorato per costruire un percorso comune con gli attori del territorio, a cominciare dal Comune di Milano e dalle organizzazioni no profit. Nel frattempo, come Fondazione Cariplo stiamo portando a compimento una raccolta dati per capire il numero delle persone in carico alle organizzazioni di sostegno alla povertà, così da fare una riflessione sui dati Istat. Qual è il grado di copertura al bisogno del sistema Milano? Ci sono sovrapposizioni sulle varie misure con cui ci si sta muovendo? Questo ci permetterà di intervenire in modo mirato». Il Patto per Milano della Fondazione Cariplo prevede, fra gli altri, il finanziamento alla Fondazione Banco Alimentare a supporto dell’attività quotidiana di recupero e redistribuzione del cibo sul territorio. Il finanziamento del Fondo Famiglia Lavoro dell'Arcidiocesi di Milano, nonché alle Acli come contributo per l’elaborazione della proposta del Reis - Reddito di inclusione sociale, sviluppata dall’Alleanza nazionale contro la Povertà.

ficio statistico della Comunità Europea) ha stimato che nel 2014 il 31,9% tra i minori (0-16enni) era a rischio povertà ed esclusione sociale: più 4,5 punti rispetto al corrispondente valore europeo.

«Fino al 2016 eravamo l’unico Paese europeo a non avere una misura di contrasto alla povertà. Nella legge di Stabilità per la prima volta è stato istituito il Fondo per la lotta alla povertà e all’esclusione sociale per garantire l’attuazione di un piano nazionale utile a combattere la povertà. Non era specifico per la povertà minorile – conclude Cipriani – ma almeno era pensato per agire sulle famiglie e avrebbe inciso in qualche modo sui bambini. Il Parlamento ha appena approvato una prima misura del reddito di inclusione. Un pri-

mo importante passo per cercare di contrastare la povertà. Ora dobbiamo solo attendere che il Governo emani i decreti per vederlo attuare sul territorio nazionale e capire come potrà incidere sulle 250-300 mila famiglie che, si calcola, saranno raggiunte». Anche in questo caso non si tratta di un misura pensata ad hoc per i minori ma il conteggio del reddito Isee previsto dalla misura, in qualche maniera, permetterà di favorire le famiglie numerose rispetto alle altre. Insomma, sembra che in molte zone del nostro Paese i bambini possono continuare ad aspettare. Nel nostro Paese – dati Istat del 2015 – tra il 2005 e il 2015 si è passati dal 14,1% al 13,8% della popolazione 0-14 anni. Nello stesso periodo, la popolazione over 65, è passata dal 19,5% al 21,7 per cento. aprile 2017 Scarp de’ tenis

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Sempre più famiglie sono costrette a fine mese a scegliere se pagare le bollette o la mensa dei figli. In molte città non sono previsti sconti per chi è in difficoltà

COPERTINA

IL CASO

Non solo cibo: quando la povertà impedisce le cure La povertà penalizza anche la salute. Aumenta infatti nel nostro Paese il numero di persone che non hanno abbastanza denaro per acquistare farmaci da banco - antinfiammatori, antipiretici, prodotti contro tosse o raffreddore - per pagare il ticket o fare prevenzione. Complessivamente gli italiani poveri sono 4,6 milioni, quasi 500 mila in più dello scorso anno. I costi dei medicinali rappresentano, per questa parte della popolazione, una voce particolarmente onerosa: per gli indigenti quasi 6 euro di spesa su 10 finiscono in farmaci, contro i 4 euro spesi in media. Rispetto al totale della spesa media mensile, nelle famiglie non povere si destina il 4,4% del budget domestico per curarsi, mentre in quelle povere si scende al 2,6%. All'interno di questa spesa, le persone povere destinano 72,60 euro all'anno pro capite per comprare farmaci (in media se ne spendono 268,80). Ciò vuol dire che per mancanza di denaro, ci si cura meno, si fa meno prevenzione, ci si ammala di più. Ma le difficoltà nell'accesso alle cure hanno raggiunto anche coloro i quali non rientrano nella fascia di popolazione più povera: sono infatti oltre 12 milioni gli italiani che hanno dovuto limitare il numero di visite mediche o esami di accertamento per motivazioni di tipo economico. Il problema dell'accesso alle cure mediche riguarda anche gli altri Paesi ricchi. Secondo uno studio pubblicato nel 2016 sulla rivista The Lancet, la crisi economica e i conseguenti tagli alla sanità pubblica hanno fatto aumentare i casi di mortalità per tumore, nonché la malasanità. Nella pubblicazione si mette in evidenza come tra il 2008 (l'inizio della crisi) e il 2010 ci siano stati oltre 260 mila decessi in più per cancro nei paesi Ocse e circa 160 mila nell’Unione europea. Lo studio ha utilizzato i dati della Banca mondiale e dell’Organizzazione mondiale della Sanità relativi a più di 70 paesi dal 1990 al 2010. Al crescere della crisi economica cresce la mortalità per tumori. E la crisi economica non si è mai fermata. Anzi.

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I furbetti della mensa? Le famiglie in difficoltà di Francesco Chiavarini

Molte famiglie a fine mese sono costrette a scegliere quale servizio tagliare. «Siamo poveri, non furbi»

«Questo mese ho dovuto scegliere se pagare la mensa scolastica ai miei tre bambini o la bolletta della luce. E, lo ammetto, ho pagato la bolletta, perché so che a scuola ai bambini danno da mangiare comunque. Mi vergogno a dirlo perché so che è sbagliato ma in qualche modo devo pur far quadrare i conti». A parlare è Manuela, 36 anni, nata e cresciuta al Quarticciolo, borgata popolare del Municipio 5 di Roma. Il marito, 40 anni, ha perso il lavoro nel 2015, e da allora non è più riuscito a trovare un’occupazione fissa: si arrangia facendo le pulizie in due condomini del quartiere per 400 euro al mese. Lei ne guadagna altre 600 come portinaia nella sede di un istituto religioso


MILANO

Il caso di Corsico «La mensa è un diritto» I genitori (paganti) uniti contro il sindaco La refezione scolastica è “un servizio pubblico”, “un momento educativo” ed è fondamentale nell’”assicurare il diritto alla salute”. Per questa ragione “benché per la sua erogazione sia previsto un contributo economico, non può in alcun modo essere subordinato all’assolvimento di tale onore il diritto del bambino alla sua fruizione”. Non a caso, infatti, il codice civile stabilisce che “i genitori degli utenti del servizio sono tenuti a pagarlo solo in parte, mentre il resto del pagamento grava sulla generalità dei contribuenti comunali nonché sugli altri utenti”. Sono queste le motivazioni che si leggono nel ricorso contro il Comune di Corsico presentato da 6 genitori indignati dalla decisione del sindaco, Filippo Errante, di negare la mensa scolastica ai morosi. «A me è bastato dare ascolto a mio figlio per capire da che parte stare – racconta Rosella Blumetti, una delle ricorrenti –. Oggi frequenta le medie alla Copernico dove non c’è il tempo prolungato, ma l’anno scorso alle elementari restava a scuola per pranzo e quando tornava a casa mi chiedeva come mai il suo compagno non poteva mangiare al refettorio le stesse cose che mangiava lui. Un giorno mi ha detto se poteva dividere il pasto con lui. Non ho dovuto consultare i codici di diritto, per capire chi stava sbagliando». Il ricorso è stato respinto dal Tar. «Ma per una semplice ragione formale - dice l’avvocato Livio Neri che assiste le famiglie -: siamo convinti di avere ragione e quindi faremo appello al Consiglio di Stato».

LA STORIA

della capitale. In tutto fanno 1.000 euro da cui però bisogna sottrarne 150 per le rate dell’auto acquistata quando i tempi erano migliori e 600 per l’affitto. Ne avanzano 250 per tutto il resto. «Faccio la spesa all’Emporio della Solidarietà con la tessera a punti che mi ha dato la Caritas. Quest’inverno, il cappotto nuovo per Giacomo, 13 anni, il più grande, che cresce a vista d’occhio e non gli sta bene più nulla, me lo ha passato un’amica. Ma anche così non ce la facciamo. Ci sono mesi che andiamo sotto e allora dobbiamo solo scegliere con chi diventare insolventi, se con l’Enel, l’amministratore di condominio o la scuola. Scommettiamo su chi sarà più comprensivo e fino ad ora è stata la scuola». Mutui, bollette sono spese incomprimibili. Non puoi evaderle, se non vuoi rischiare il pignora-

La prima rata me l’ha pagata mia madre: a 40 anni, non avrei mai immaginato di doverle chiedere aiuto. L’ho fatto pur di evitare a mio figlio l’umiliazione di essere additato dai compagni. La seconda non sono riuscito a pagarla

mento o il distacco delle utenze. Così le famiglie schiacciate da otto anni di crisi risparmiano su tutto il resto. E non è un mistero che a finire sotto la scure dei tagli ai bilanci domestici ci sia proprio il cibo. Chi annaspa per arrivare alla fine del mese trova però proprio nella mensa scolastica l’ultimo rifugio, il porto franco, dove tirare il fiato. Ma da qualche tempo però non è più così. Impossibile pagare Nell’ultimo anno proprio l’evasione delle tariffe delle refezione scolastica ha fatto esplodere casi in lungo e in largo per il Paese. Il più eclatante quello di Corsico, hinterland milanese, dove il sindaco, Filippo Errante, ha usato il pugno di ferro, negando il pasto a scuola a figli di circa 500 famiglie morose. Con l’intenzione di snidare i fur-

betti e recuperare alle casse del Comune oltre un milione di euro di ammanco, il primo cittadino ha però colpito anche chi proprio non ce la fa.

Così ad un anno dalla pubblicazione delle liste nere dei genitori insolventi, sono ancora 30 i bambini costretti a portarsi a scuola il panino o a tornare a casa per il pranzo. Il piano di rientro dal debito proposto dal Comune non è stato alla portata di tutti. Non lo è stato ad esempio per Daniele (il nome è di fantasia). «La prima rata me l’ha pagata mia madre: a 40 anni, non avrei mai immaginato di doverle chiedere aiuto, ma l’ho fatto, pur di evitare a mio figlio l’umiliazione di essere additato dai compagni come il poveraccio che non può nemmeno permettersi un pasto come gli altri. Ma la seconda non sono riuscito ad onorarla. Così l’altro giorno ho ricevuto una telefonata dalla direzione scolastica: mi hanno detto che poiché risultavo ancora moroso, mio figlio non poteva entrare in refettorio e, siccome non aveva con sé il panino, mi consigliavano di venirlo a riprendere. Mia moglie ha dovuto precipitarsi a scuola». Bollette che saltano Potrà sembrare un caso limite ed invece quella di Daniele è una vicenda di normale povertà cui la lunga crisi economica ci ha abituato. Fino a quando in famiglia entravano due stipendi, si tirava avanti. Quando però la moglie, addetta in un call center, ha perso il lavoro, la situazione è precipitata. «I conti sono presto fatti: guadagno 1.600 euro al mese, ma 600 se ne vanno per un finanziamento che avevo contratto in passato. Altri 800 escono per l’affitto. Me ne restano 200 e con quelli devo fare la spesa per me, mia moglie e miei due figli, di 8 e 17 anni. È chiaro che sono costretto alla fine del mese a scegliere quale bolletta tenere chiusa nel cassetto». Ed è così che in un anno Daniele si è indebitato con il Comune per 1.200 euro per il mancato pagamento della mensa scolastica aprile 2017 Scarp de’ tenis

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COPERTINA del figlio più piccolo. «Pensavo che prima o poi ce l’avrei fatta a rientrare, mi dicevo che era solo un brutto periodo, che le cose si sarebbero messe meglio. Invece così non è stato. Ed ora, invece, passo per il furbetto. Ma la cosa che più mi fa stare male è che a rimetterci è mio figlio che invece non ha alcuna colpa». Non solo furbetti Anche nel florido nordest la svolta rigorista sulle mense scolastiche ha messo in scacco le famiglie delle fasce più deboli. Lo scorso anno ad Aviano, l’amministrazione comunale si è affidata ad Equitalia per recuperare il debito maturato da 16 cittadini. A Gorizia il sindaco ha trascinato in tribunale 8 persone. In entrambi i casi, le verifiche fatte dai servizi sociali hanno messo in luce che non c’erano situazioni di particolare disagio e i morosi hanno poi regolarizzato la loro posizione. Ma altrove, il giro di vite delle amministrazioni comunali non sempre è stata accompagnata da un’analisi così attenta.

«Quelli che non pagano non sono tutti furbetti – reagisce il direttore della Caritas di Padova, don Luca Facco –. C’è senz’altro chi se ne approfitta, ma per questa ragione non si può colpire tutti facendo ricadere sui bambini le povertà materiali o anche solo culturali dei loro genitori. La mensa scolastica è un momento di socializzazione. Ma non solo. Quello consumato a scuola è a volte il solo pasto completo e nutriente della giornata per i bambini delle famiglie che ad esempio vengono nelle nostre parrocchie la sera a ritirare il pacco viveri. Non ce la si può prendere con loro. Che società è quella che fa pagare ai figli le colpe reali o presunte dei padri?».

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A scuola per molti l’unico pasto della giornata di Generoso Simeone

Nonostante si tratti di un servizio essenziale molti Comuni hanno escluso dal servizio mensa i figli di genitori non in regola con i pagamenti

In Italia il 5,6 per cento dei minori non consuma neppure un pasto proteico adeguato al giorno. È il dato emerso dall’indagine europea Eu-Silc sulle condizioni economiche della popolazione. Per questo è fondamentale che l’accesso alla mensa scolastica sia garantito senza esclusioni. E magari assicurando la gratuità per le fasce più disagiate. Questo però non accade, come ha evidenziato il rapporto 2016 “(Non) Tutti a mensa” di Save the children, l’indagine che dal 2013 fotografa il servizio di ristorazione scolastica nelle scuole primarie italiane. Eppure la mensa scolastica è un’esperienza fondamentale per la crescita dei bambini: è uno strumento educativo indispensabile per una corretta alimentazione e per la promozione di sani stili di vi-


LA LEGGE

Approvato il nuovo Reddito di inclusione: 480 euro al mese per famiglie o anziani in difficoltà

La refezione scolastica è un servizio pubblico, un momento educativo ed è fondamentale nell’assicurare il diritto alla salute

Una nuova legge per il contrasto alla povertà. Grazie al voto del Senato finalmente anche l'Italia potrà contare su uno strumento universale di sostegno per chi si trova in condizione di povertà assoluta (il Rei, Reddito di inclusione). L’obiettivo dichiarato è quello di raggiungere le persone in povertà assoluta, 4,6 milioni persone secondo l'Istat ma le risorse stanziate (1 miliardo e 600 milioni per quest'anno ) non basteranno certamente. Non a caso la legge prevede priorità per alcuni soggetti: nuclei familiari con figli minori o con disabilità grave o con donne in stato di gravidanza accertata o con persone di età superiore a 55 anni in stato di disoccupazione. Secondo le prime stime, dunque, potranno beneficiare del Rei circa un milione e mezzo di persone (tra cui circa 500 mila minori, circa la metà di quelli che versano in povertà assoluta). Vista l'impossibilità di intervenire in maniera diffusa il Rei sarà distribuito tenendo conto dell’Isee (indicatore della situazione economica equivalente), tenendo cioè conto dell'effettivo reddito disponibile e di indicatori della capacità di spesa, nonché all'adesione a un progetto personalizzato di attivazione e di inclusione sociale e lavorativa. Il Rei sarà rivolto sia a cittadini italiani sia stranieri, ma sarà fissato un periodo minimo di resi-

denza nel territorio nazionale per avere diritto al beneficio. In pratica, per usufruirne bisognerà essere al di sotto di un certo livello di reddito secondo i parametri Isee, essere residenti in Italia da un certo numero di anni e, non da ultimo, essere disponibili a seguire programmi di inserimento lavorativo. In questa prima fase il contributo avrà un tetto massimo di 480 euro per nucleo familiare, probabilmente erogato con una carta ricaricabile. Il Rei, però, secondo le intenzioni del Parlamento dovrebbe essere solo una delle azioni previste dal nuovo piano nazionale per il contrasto alla povertà. L’idea è quella di attuare una vera e propria presa in carico del singolo o della famiglia per farli uscire dalla condizione di bisogno tramite i servizi di inserimento lavorativo e di cura già presenti e attivi sul territorio di residenza. Non a caso è previsto un raccordo con gli enti locali e con le associazioni del Terzo settore. Resta da capire, però, anche in base ai fondi stanziati quali e quante risorse potranno essere davvero dedicate allo sviluppo di questi servizi visto che i centri per l’impiego e i servizi territoriali stanno già lavorando al limite delle proprie possibilità di intervento. Ettore Sutti

LA STORIA

ta e può farsi importante veicolo di prevenzione dell’obesità infantile o della malnutrizione, fenomeni sempre più diffusi anche in Italia. Tuttavia, in ben otto regioni italiane, un bambino su due non ha la possibilità di usufruire del servizio mensa, con percentuali che toccano livelli altissimi in Sicilia (80%), Puglia (73%), Molise (70%), Campania (65%) e Calabria (63%). Mensa, servizio pubblico Questo perché nel nostro Paese la mensa scolastica è qualificata dalle norme come “servizio pubblico a domanda individuale”. Ciò significa, da un lato, che l’ente pubblico non deve garantirlo per obbligo istituzionale e, dall’altro, che viene utilizzato a richiesta dall’utente. Pertanto ogni amministrazione comunale può decidere se e come organizzare il servizio mensa. Questa discrezionalità ha aperto negli anni gli scenari più

In alcune regioni italiane, un bambino su due non ha la possibilità di usufruire del servizio mensa, con percentuali che toccano livelli altissimi in Sicilia (80%), Puglia (73%), Molise (70%), Campania (65%) e Calabria (63%)

disparati. Spesso, infatti, i sindaci hanno attivato politiche restrittive che poco hanno a che vedere con le finalità educative della mensa e che fanno ricadere sulle spalle degli alunni le difficoltà economiche dei genitori. L’elenco degli esempi è lungo così come racconta sempre il rapporto di Save the children.

Ad Ardea, litorale laziale, 300 bambini sono stati esclusi dalla mensa a inizio anno scolastico perché i genitori non potevano anticipare l’acquisto dei buoni. A Ello, in provincia di Lecco, come misura ritorsiva verso i figli dei morosi è stato vietato loro lo scuolabus. A Cavenago, in Brianza, il sindaco ha negato il pasto agli alunni non in regola immaginando di creare per loro una stanza separata per consumare il pranzo portato da casa. A Riccò del Golfo, La Spezia, i genitori che non si sono messi in regola con gli arre-

trati vedranno i figli esclusi dal servizio, con tanto di segnalazione ai servizi sociali comunali per verificare eventuali situazioni di disagio famigliare. A Pont Canavese, nel torinese, un bambino della scuola dell’infanzia non è stato ammesso alla mensa nonostante l’indigenza familiare e a Gignod, Valle d’Aosta, quattro bambini sono stati costretti a saltare il pranzo mentre i loro compagni mangiavano nella stessa stanza. Poi ci sono grandi città con più di 100 mila abitanti, che escludono i bambini di genitori morosi: Ancona, Brescia, Foggia, Novara, Palermo, Reggio Calabria, Sassari, Taranto e Salerno. Tuttavia i dati dimostrano che non sembrerebbe esserci una correlazione positiva tra politiche di esclusione e il tasso di morosità: l’esclusione dei bambini non spinge le famiglie a saldare il debito che per motivi economici non riescono a pagare. aprile 2017 Scarp de’ tenis

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Benvenuto Rei, ma che non sia un’incompiuta di Francesco Marsico

Via libera definitivo del Parlamento italiano al Reddito d’inclusione, strumento a vocazione universale, sul quale gravano vincoli relativi ai destinatari, al finanziamento, ai servizi. Si attende ora il decreto attuativo: porrà le basi per un vero piano nazionale di lotta alla povertà? 32 Scarp de’ tenis aprile 2017

Da qualche settimana l’Italia ha finalmente una legge che si occupa di povertà. Ma è solo l’inizio di un percorso che sarà necessariamente lungo e complesso. Il 9 marzo scorso, infatti, il Senato ha approvato in via definitiva il disegno di legge delega sul contrasto della povertà, senza modifiche rispetto al testo già passato alla Camera nel luglio 2016. La legge introduce una misura nazionale di contrasto della povertà assoluta, denominata Rei, cioè Reddito di inclusione, che consiste in un trasferimento monetario riservato alle famiglie con Isee molto basso, insieme a forme di presa in carico da parte dei servizi territoriali. Ormai è dunque certo: il Reddito di inclusione sarà una misura che dovrà essere garantita in ogni regione, a ogni cittadino che si trovi in determinate condizioni di povertà. Potrà essere erogata anche alle famiglie straniere, purché con un requisito minimo di residenza in Italia. La misura dovrà essere resa pro-


WELFARE

Almeno per la prima fase il nuovo Rei funzionerà come il Sia: aiuti principalmente a poveri assoluti, famiglie numerose o con disabii e anziani in difficoltà

Il Rei è una misura a vocazione universale. Ma sarà inizialmente riservato a una parte dei poveri assoluti, che la norma individua con criteri molto simili a quelli del Sia: nuclei con minori o con figli gravemente disabili o donne in gravidanza, oppure con almeno un 55enne disoccupato

gressivamente universale, vale a dire non riservata a specifiche categorie, ma subordinata alla verifica dei mezzi economici, da effettuarsi sulla base dell’Isee. E sarà erogata sulla base di condizionalità connesse all’impegno, da parte del soggetto interessato, a rispettare un progetto personalizzato di reinserimento sociale e lavorativo, che sarà predisposto dalla rete dei servizi sociali territoriali. Il reddito di inclusione assorbirà il Sia (Sostegno per l’inclusione attiva), entrato in vigore a settembre 2016, riservato solo alle famiglie con minori o con figli disabili, anche adulti, o donne in gravidanza. Il Rei dovrebbe assorbire anche altre misure destinate al contrasto alla povertà, come la carta acquisti ordinaria o l’assegno per le famiglie con almeno tre minori, in tempi ragionevolmente non brevi. Circa 2 miliardi dal 2018 Il Rei è, quindi, una misura a vocazione universale. Ma sarà inizialmente riservato a una parte dei poveri assoluti, che la norma approvata individua con criteri molto simili a quelli del Sia: nuclei con minori o con figli gravemente disabili o donne in gravidanza, oppure con almeno un 55enne disoccupato. Il finanziamento rappresenta inoltre un altro vincolo significativo: dal 2018 il Rei avrà una dotazione di risorse di circa 2 miliardi di euro, non sufficiente per raggiungere tutte le famiglie in povertà assoluta. La graduale estensione dell’area dei beneficiari sarà condizionata dall’effettivo aumento

delle risorse a disposizione. Per vedere l’effettivo avvio della misura si dovrà attendere il decreto attuativo che tradurrà in concreto le indicazioni della norma, ma già sin d’ora appaiono chiare le sue virtù e i suoi limiti. Il valore del Rei è rappresentato dall’avvio di un processo che nei prossimi anni potrà portare il nostro Paese ad avere una misura universale di contrasto alla povertà, con un mix di sostegno al reddito e presa in carico dei destinatari. Questo processo è reso però complicato dai cosiddetti “differenziali regionali”: buona parte delle regioni del sud ha contemporaneamente servizi territoriali più deboli e una maggiore percentuale di famiglie povere. Senza un finanziamento dei servizi, si rischia dunque di avere una riforma zoppa. D’altro canto la prospettiva universalistica va resa concreta attraver-

so un finanziamento via via maggiore, tale da coprire il target di povertà assoluta, oggi a quota 4,6 milioni di persone. Partire gradualmente può essere più efficace, per abilitare i servizi a nuove forme di presa in carico e per rafforzarli se carenti. Ma la prospettiva deve essere indicata. In questo senso, si è in attesa di un piano nazionale di contrasto alla povertà, che potrebbe definire le prospettive anche finanziarie di una azione resa necessaria dal disagio sociale generato da anni di crisi economica, costruendo un programma di lavoro pluriennale e verificabile. In altri termini: la legge delega è un primo passo importante, forse storico, di un percorso che deve essere graduale, ma chiaro nel definire tempi, priorità e risorse, al fine di consentire un grande investimento collettivo, che renda possibile la realizzazione della legge delega. Per evitare un’altra incompiuta, da collocare nella sconsolante e affollata galleria delle riforme a metà.

LA SCHEDA

«Quattro elementi, per una reale efficacia» «Si tratta di un deciso passo in avanti, pur nella consapevolezza della necessità di una decretazione attuativa all’altezza della sfida». Così l’Alleanza contro la povertà in Italia, raggruppamento di 35 sigle del mondo sociale, associativo e sindacale italiano (compresa Caritas Italiana, che fu tra i promotori nel 2013), ha commentato l’approvazione in via definitiva, da parte del Senato, della legge istitutiva del Reddito d’inclusione. Ora però, secondo l’Alleanza, si pone una sfida duplice: «Sviluppare una decretazione efficace per una misura che è di sostegno al reddito e di inclusione sociale; d’altro canto, predisporre un piano nazionale contro la povertà, che definisca strategie che consentano il progressivo ampliamento dell’utenza, sino a raggiungere tutta la popolazione in povertà assoluta». Quattro sono gli «elementi principali» che, secondo l’Alleanza, vanno incorporati nei decreti delegati, per garantire l’efficacia della misura: assicurare che il fondo povertà sia articolato in due componenti complementari: contributi economici e servizi alla persona, garantiti attraverso il welfare locale. assicurare eque condizioni di accesso alla misura, attraverso un utilizzo dell’Isee e sulla base del reddito disponibile. garantire assistenza tecnica a tutti i territori coinvolti. assicurare un incisivo sistema di monitoraggio e valutazione dei servizi, per verificarne l’efficacia, la crescita incrementale e la qualità. aprile 2017 Scarp de’ tenis

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L’INTERVISTA

Luigi e la Sla «La vita è meravigliosa anche da qui» di Ettore Sutti

Luigi Picheca da 11 anni è malato di Sla ma non ci pensa ad andarsene: amico di Stefano Borgonovo, scrivendo con gli occhi è diventato giornalista: «Ho ancora tanto da fare» 34 Scarp de’ tenis aprile 2017

Luigi Picheca in una foto a cui è particolarmente affezionato: è in posa con un modellino della Fiat 500 la sua prima auto dono della madre

Luigi tifa Juve – la sciarpa appesa è la prima cosa che noto quando lo vado a conoscere – e ha uno sguardo che non puoi dimenticare. E che ti distrae da tutto, anche dal letto in cui è sdraiato e dal tubo della ventilazione che gli permette di respirare. Sì perché Luigi, 63 anni, da 11 convive con la Sla (sclerosi laterale amiotrofica), malattia che lo ha costretto in un letto da cui comunica parlando con gli occhi grazie a un computer. Condizione terribile per molti, sfida continua per Luigi. Che ha accettato di parlarci di sé. Della sua vita e dei suoi progetti. Prima di ammalarti che persona eri?


Sono sempre stata una persona curiosa e interessata alle cose che la vita ci propone. Ho avuto tanti interessi anche se poi non sempre sono riuscito a portare a termine i miei sogni. Sono rimasto orfano di padre presto e per rendermi utile in famiglia mi sono trovato un lavoro come apprendista meccanico in una officina. Da lì ho iniziato la mia carriera lavorativa che è stata diversificata e imprevedibile. Sono stato anche fortunato perché sono riuscito a realizzare alcuni dei miei sogni. Soddisfatto dunque... Sono soddisfatto: conosco un sacco di persone eccezionali a cui sono molto legato e che ancora frequento. Ho sempre amato lo sport e ne ho praticati parecchi. Mi sono divertito con gli amici in eterne sfide a calcetto fino all’ultimo, quando ormai la malattia aveva preso il sopravvento rispetto alla mia voglia di opporle resistenza. Quali progetti avevi? Tantissimi che però si sono schiantati contro il muro della crisi economica. Sono riuscito a stare a galla fino a quando mi sono dovuto piegare alla Sla, andando a infoltire le fila dei pensionati precoci. Ho fatto anche il volontario di Protezione Civile a Monza, la mia città, scoprendo un mondo che mi ha arricchito molto. I primi segnali della malattia? Un giorno giocando a calcetto con gli amici non reggevo più il confronto: mi stancavo presto e a un certo punto l’equilibrio dinamico nella corsa veniva meno. Poi ho iniziato ad accusare una perdita di forza nel braccio sinistro e una strana conformazione della mano che prendeva la forma ad artiglio, tipica nelle patologie neurodegenerative. Un’amica mi convinse a sottopormi a una visita neurologi-

Sono felice di essere ancora qui, di aver visto crescere i miei figli, di poter incontrare i miei familiari e i miei più cari amici. Perché la vita va avanti, ed è bella, anche con qualche acciacco

LA STRUTTURA

Progetto SLAncio, una casa accogliente: a Monza una struttura all’avanguardia Progetto SLAncio è la casa che ospita 71 malati di Sla, in stato vegetativo e che necessitano di hospice. Si trova a Monza ed è la prima struttura in Italia dedicata all’assistenza in lungodegenza per persone con patologie neurologiche complesse. SLAncio è un progetto della cooperativa La Meridiana: un investimento da oltre 11 milioni di euro. La cura degli stati vegetativi e della Sla, infatti, richiede una struttura specifica dotata di servizi qualificati che hanno in primis lo scopo di non lasciare sole persone e famiglie. Il centro è stato pensato per alleviare la fatica e la sofferenza e per arginare la solitudine che malattie così terribili, come quelle neurovegetative, provocano su persone e famiglie. SLAncio è attrezzata con i migliori sistemi domotici che consentono ai pazienti di soddisfare le proprie esigenze come chiamare gli infermieri, governare le tapparelle, guardare la televisione, comunicare esternamente con mail, sms e sui social network. Il tutto grazie a dei computer che traducono i movimenti oculari in specifici segnali o parole. SLAncio, viale Elvezia 4, Monza – Conto Corrente Bancario Iban: IT87N0521601630000000003717 intestato a La Meridiana Due SCS www.progettoslancio.it

ca nello studio in cui lavorava e mi accorsi dall’espressione del medico che la cosa si faceva seria. Il neurologo mi congedò dicendomi che mi avrebbe ospitato nel suo ospedale per gli accertamenti necessari per stabilire l’esatta patologia. Mi diede pure una lettera da consegnare al mio medico di base. Arrivato a casa, la curiosità mi spinse a leggere quel biglietto e a scoprire quello che il neurologo sospettava. Una semplice sigla: Sla. Andai subito a informarmi su internet e, lo ammetto, quello che lessi mi spaventò parecchio. L’essere cosciente degli effetti degenerativi della malattia sul tuo corpo, come ti ha fatto affrontare la vita? Questa è una domanda difficile. Diciamo che il mio carattere mi ha molto aiutato da questo punto di vista perché ho sperato a lungo di non essere davvero malato di Sla ma di una patologia più leggera. Questo mi ha permesso di combattere a lungo fino a quando ho capito che non avrei vinto. Il continuare a lottare mi ha consentito di abituarmi ad essa e di accettarla pur non sposandola in pieno. Ri-

cordo le ore passate sulla ciclette davanti alla tv per cercare di non perdere tono muscolare e voglia di vivere. Quanto sudore ho consumato prima di capire che quello che stavo facendo serviva solo a indebolirmi più velocemente perché mi bruciavo prima quei pochi

scheda Da ottobre 2015 Luigi Picheca è giornalista pubblicista (foto sopra). Una grande soddisfazione per Luigi, 63 anni, da 11 malato di Sla e un prezioso riconoscimento sia per progetto SLAncio, la casa che ospita malati di Sla e in stato vegetativo, sia per Il Dialogo di Monza, il giornale online che pubblica gli articoli di Picheca. Una lunga storia, un sogno realizzato. Il tutto inizia nella primavera del 2014 con l’idea della redazione de Il Dialogo di affidare a Luigi una rubrica. Lui accetta e da allora, grazie a un computer che traduce il movimento oculare in parole, firma articoli e commenti per la sua rubrica Scritti con SLAncio.

motoneuroni che mi restavano. Così ho deciso di smettere di fare il Rambo della Sla e ho cominciato ad affrontare la dura realtà. Parlando di malattie neurodegenerative in molti ricordano i calciatori (Borgonovo su tutti), il caso Welby e il recentissimo episodio di dj Fabo. Tu hai più volte detto che chi è nelle tue condizioni e vuole vivere fa meno notizia di chi invoca la morte... Quando ci si trova ad affrontare situazioni tanto invalidanti non è mai semplice decidere. Io ho soltanto seguito il mio istinto e sono felice di essere ancora qui, di aver visto crescere i miei figli, di poter incontrare i miei familiari e i miei più cari amici. Perché la vita va avanti, ed è bella, anche con qualche acciacco e con qualche sofferenza. Sinceramente non condivido – anche se non giudico – tutta questa fretta di voler morire che taluni inseguono con tanta foga: la

aprile 2017 Scarp de’ tenis

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L’INTERVISTA vita è meravigliosa. Sempre. Ed è un peccato buttarla via con tanta premura. Come sei arrivato a questa scelta? Non è stato un percorso semplice. Nel corso del mio primo ricovero ho trascorso alcuni mesi al Centro Nemo dell’ospedale Niguarda di Milano dove ho conosciuto altri malati che avevano già deciso di non sottoporsi agli interventi salvavita. Io avevo già la Peg (Gastrostomia endoscopica percutanea, necessaria nei pazienti che non sono in grado di nutrirsi per bocca ndr) perché ero sottopeso e stavo lasciandoci le penne. Ho visto morire i miei primi colleghi di malattia: ho visto la loro sofferenza e la determinazione con cui andavano incontro al destino. Decisi anch’io che non avrei potuto continuare a vivere così. Però poi ho conosciuto altre persone determinate a non mollare, come Stefano Borgonovo e Diego, miei compagni di stanza coi quali ho stretto una bella amicizia. Ècurioso come la solidarietà sorga istintiva quando ci si trova sulla stessa barca: darsi una mano quando si vede un compagno in difficoltà diventa naturale. Da giornalista che angolazione sceglieresti per raccontare i malati di Sla? La vita di un malato di Sla non è semplice né facile. Ci si deve abituare agli apparecchi che ti accompagneranno per il resto della vita e i tanti problemi a volte ti fanno maledire questa scelta. Si cambia profondamente e si scopre di avere risorse inaspettate capaci di farti iniziare un percorso bello e stupefacente. Si matura molto e si possono intraprendere nuove carriere lavorative, dando sfogo ai propri pensieri e alle proprie riflessioni. Non è una vita facile ma vale pur sempre la pena provarci. Quali cambiamenti ti ha imposto la malattia? Il concetto di tempo cambia radicalmente. Ne hai moltissimo a di36 Scarp de’ tenis aprile 2017

La sede di Progetto SLAncio, casa che ospita 71 malati di Sla, in stato vegetativo che necessitano di hospice. Sotto Luigi in posa con la sua tessera da giornalista pubblicista

sposizione per pensare. Dapprima lo fai quasi solo per necessità. Poi, però, ci metti più impegno e ne escono riflessioni costruttive che ti danno gli stimoli necessari a renderti utile. Agli altri malati a alla società. Ma anche a te stesso. L’importante è trasformare la tua visione orizzontale dal letto in cui sei confinato in qualcosa di dinamico e vitale. La vita continua anche da sdraiato e sarebbe criminale buttarla via. Non puoi certo stare semplicemente a guardare il soffitto tutto il giorno. C’è spazio per la felicità? Chi non rinuncia alla vita dà sempre spazio a qualcosa di buono e la felicità fa parte del buono della vita. Se si resta ancorati all’astio e ai sentimenti negativi che ti assalgono lungo il cammino della malattia non si esce dal tunnel in cui ti sei infilato. Basta però guardarti intorno con occhio sereno e fiducioso per vedere tutto ciò che la vita ti regala. Vedi la tua famiglia stretta intorno a te, gli amici che non ti dimenticano e le bellezze del mondo che sono sempre meravigliose e non finiscono mai di stupire. Vale sempre la pena di vivere? Vale sempre la pena non rinunciare a vivere. Perché la vita è piena di sorprese, anche se talvolta non gradite, ma rottamare la pro-

pria vita non è il massimo delle scelte che un uomo possa fare. Sei credente? Adesso sì. Quanto la fede ti ha aiutato ad accettare la malattia? La mia fede non è mai stata granitica. Troppi dubbi si insinuavano nella mia testa sulla natura di Dio e sulle ingiustizie che dominavano il mondo. Mi sembravano troppo crudeli da attribuire a un Dio che veniva descritto buono e infallibile. Ho perso mio padre da piccolo e questa mi è sembrata un’ulteriore ingiustizia. È stata la malattia a riportarmi vicino a Dio in modo inaspettato. Un momento che non dimenticherò mai perché mi ha dato tranquillità e voglia di vivere, facendomi dimenticare il desiderio di mettere tutto in discussione, anche il dono della vita. Cos’è per te il futuro? Il futuro è pieno di sfide che sono il sale della vita. Spero di riuscire a conoscere qualche nipotino e di vederli crescere. Poi vorrei riuscire a convincere qualche malato come me a non invocare solo la morte, perché l’uomo ha delle infinite capacità di adeguarsi a condizioni di vita fuori dall’ordinario. Una condizione che li sorprenderà e darà loro la forza per lottare per un’esistenza migliore per sé e per gli altri.



DOSSIER

La denuncia Stato biscazziere, fare cassa con l’azzardo di Francesco Chiavarini

Lo Stato biscazziere perde il pelo ma non il vizio. Il pelo è il colore cangiante delle maggioranze politiche che hanno guidato il Paese negli anni. Il vizio è la smania di voler far cassa con il gioco d’azzardo 38 Scarp de’ tenis aprile 2017

Lo Stato biscazziere perde il pelo ma non il vizio. Lo scorso 2 febbraio alla Conferenza Stato Regioni, il sottosegretario all’Economia, con delega al gioco, presenta una bozza tenuta, fino ad allora, in grandissimo segreto, ai sindaci e presidenti di Regione. La Consulta nazionale antiusura intercetta quel testo e mette in guardia gli amministratori locali dei rischi che contiene. Su insistenza di diversi esponenti della società civile il sottosegretario scopre le carte e pubblica sul proprio sito la proposta. Si scatena un grande dibattito. Per la verità, quasi solo sulla stampa cattolica. Risultato: i primi cittadini e i governatori non firmano l’intesa che nelle dichiarazioni del governo avrebbe dovuto mettere ordine nel settore. La bozza Beretta finisce in freezer. «Pressioni sono riuscite nell’intento di frenare un accordo subdolo, dagli effetti devastanti per la tutela della salute, dell’ordine pubblico del nostro Paese. L’impostazione del documento era a


IL CASO

Benvenuti nell’online, dove è facile giocare I pediatri: «Scommette un ragazzo su cinque»

tutto vantaggio delle lobby dell’azzardo. È un dato di fatto inconfutabile. Era un accordo che non si poteva concludere in tutta fretta senza sentire le associazioni che sul campo quotidianamente si occupano di contrastare l’azzardo, che è la causa principale di sovraindebitamento e di usura delle famiglie italiane», afferma mons. Alberto D’Urso, presidente della Consulta nazionale antiusura. La soddisfazione per avere fermato il blitz del governo non autorizza, tuttavia, ad abbassare la guardia. La delega al governo per legiferare in materia scade il 30 aprile. Secondo una ricerca curata Un’intesa dovrà essere trovata se nel 2015 dall’Istituto di fisiologia non altro per pareggiare i conti dal clinica del Cnr, l’8 per cento dei momento che l’esecutivo difficilgiovani che giocano d’azzardo mente potrà rinunciare ai 10,5 miha già comportamenti liardi di gettito garantito dal gioco problematici. E l’11 per cento è a rischio patologia. I giovani d’azzardo e già messi a bilancio. Secondo una ricerca Eurispes è in netto aumento il numero di persone che si rivolge agli usurai anche per problemi legati al gioco d’azzardo

scheda

giocano dappertutto: bar e tabaccherie (35 per cento), sale scommesse (28 per cento), il computer di casa (19 per cento). E, nonostante la legge lo vieti, il 38 per cento dei minorenni ha giocato d’azzardo durante l’ultimo anno. Molti di loro sono ancora bambini: l’8 per cento dei piccoli tra i 7 e gli 11 anni scommette soldi in Internet. Un vizio che non riguarda solo i benestanti ma il 47 per cento degli italiani indigenti, il 56 per cento delle persone appartenenti al ceto medio basso. E il 47,1 per cento degli studenti tra i 15 e i 19 anni: oltre un milione e 200 mila ragazzi.

Le sale di categoria A Ma cosa prevede la bozza Beretta? Il testo promette di tagliare l’offerta di gioco. Le macchinette sarebbero ridotte già del 30% entro la fine del 2017 e poi di anno in anno fino ad arrivare a 260 mila nel 2020 (sono attualmente 450 mila). Non solo. Il governo prevede, progressivamente, di togliere le slot da tabaccherie, edicole e bar e complessivamente di dimezzare i punti gioco. Tutto bene, ma soltanto in apparenza. Secondo il sociologo Maurizio Fiasco, esperto di sistemi di gioco «la riduzione dell’offerta è fasulla, perché non tiene conto dell’innovazione tecnologica: oggi le nuove macchine sono in

Via le slot machine da bar, tabaccherie, ristoranti e negozi, inasprimento dei controlli, obbligo di presentare la carta di identità, orari di apertura e chiusura più rigidi. Ma il gioco d’azzardo online dove lo mettiamo? Eppure, internet rimane una delle più insidiose e oscure trappole dei nostri tempi: i siti che consentono di scommettere sono centinaia. Basta andare su www.agenziadoganemonopoli.gov.it e cliccare su “Concessionari autorizzati al gioco a distanza”. C’è un elenco di 18 pagine, ciascuna delle quali contiene circa venti indirizzi internet di siti web. Quanto contano le restrizioni quando si ragiona sul liquido e inafferrabile mondo virtuale? Facilità d'uso e di accesso ai siti, dal computer e dal telefonino, comodità di gioco ovunque, la sicurezza di poter tenere sotto controllo il proprio credito: la dipendenza da azzardo online si va diffondendo a un ritmo sempre più sostenuto. Le fasce d'età sono trasversali: ne sono attratti in modo sempre più inquietante gli studenti, aumenta il numero delle donne. Una ricerca del 2016 di Nomisma-Unipol in collaborazione con l’Università di Bologna, dal titolo Young Millennials Monitor – Giovani e Gioco d’Azzardo ha testato un campione di 11 mila ragazzi tra i 14 e i 19 anni: il 49% ha giocato almeno una volta nella vita, il 72% ha dichiarato di sostenere una spesa media per il gioco d’azzardo di 3 euro alla settimana. Si gioca per divertimento, perché lo fanno i genitori o gli amici, e per vincere denaro. La quota di giocatori adolescenti problematici resta per fortuna bassa: solo il 5% degli studenti comincia ad avere qualche problema. Ma cosa succederà quando saranno adulti dovranno affrontare un momento difficile economicamente? Oggi chiunque sia in possesso di un computer, di un collegamento a internet e di una carta di credito può diventare un giocatore compulsivo. Il gioco online è pericoloso perché, dalla solitudine della propria casa, il giocatore non ha freni, né inibitori né di tipo pratico: ha infatti 24 ore su 24 la possibilità di accedere al gioco senza incorrere nello sguardo giudicante degli altri. L’allarme lo lanciò nel 2014 anche la Società italiana dei medici pediatri: la dipendenza da gioco si insinua fra i giovanissimi mentre gli adulti nascondono la testa sotto la sabbia. «Almeno 800 mila bambini e adolescenti italiani fra i 10 e i 17 anni giocano d'azzardo, ovvero il 20%, uno su 5», fu il risultato della ricerca. I genitori ne sono inconsapevoli, non usano nessun filtro sul pc di casa, i ragazzini navigano liberamente e sono attratti, e bombardati, dalle continue pubblicità (e dalle tantissime app per smartphone), che li seducono come se giocare online fosse un’avventura da eroi. Stefania Culurgioni

grado di offrire una combinazione di risultati enormemente superiore al passato. Le loro prestazioni solo tali che neutralizzano gli effetti anche di un ben più rigido contingentamento». Ma l’inganno più grave della proposta del sottosegretario all’Economia si nasconde nel capitolo “sale scommessa”. «Le 11.600 sa-

le e punti di gioco in meno rispetto agli attuali è un sacrificio subito contemperato da una postilla: “una quota residua di esercizi che saranno in grado di ottenere la certificazione di categoria A” potranno andare ad aggiungersi agli altri: un numero non precisato ma molto prevedibilmente, cospicuo – di punti gioco che andranno a rimpinaprile 2017 Scarp de’ tenis

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DOSSIER guare il numero di quelli che si volevano togliere», sostiene l’avvocato Attilio Simeone, coordinatore del cartello Insieme contro l’Azzardo. Inoltre le non meglio specificate “sale di tipo A” non sarebbero soggette alle norme attuali che impongono distanze di sicurezza da luoghi sensibili come scuole, ospedali e chiese. Ottenuta la certificazione di classe A, gli enti locali non avrebbero alcuna voce in capitolo nel processo autorizzativo.

Il nuovo testo della legge intende togliere ai sindaci le poche armi che hanno a disposizione per contenere gli effetti del gioco sulla salute pubblica

«Leggendo il testo più che una regolamentazione del settore, si intravede la volontà di togliere ai sindaci le uniche armi che hanno per contenere gli effetti più drammatici sulla salute pubblica, proprio mentre è ormai da tutti riconosciuto quello che da anni andiamo dicendo e cioè che il gioco d’azzardo genere patologia», sottolinea Luciano Gualzetti, direttore di Caritas Ambrosiana e presidente della Fondazione San Bernardino. Parola d’ordine: fare cassa Non conviene, tuttavia, farsi troppe illusioni. Non è la preoccupazione per la salute pubblica che ispira i governi su questo settore. E nonostante le intenzioni annunciate, neanche questa proposta fa eccezione. C’è un particolare che lo rileva. Non si sa ancora bene come dovranno essere costruite le sale di categoria A, dove potranno sorgere, ma è certo che per ottenere la certificazione, dovranno disporre di macchinette collegate da remoto al server centrale. Più che togliere le slot dai bar, la bozza Beretta si preoccupa di eliminare quelle abusive, che vengono utilizzate dalle organizzazioni criminali per lavare denaro sporco e che non contribuiscono alle casse dell’erario. Eccola, di nuovo, la parola magica. Fare cassa. Vizio di uno Stato sovra-indebitato che chiede ai propri cittadini di diventare scommettitori. Con buona pace di chi di gioco si ammala.

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Andrea per il gioco aveva perso la famiglia di Stefania Culurgioni

Si inizia con poco nella convinzione di potersi fermare. Poi si aumentano le puntate fino a perdere il controllo. E la vita finisce per crollarti addosso

Quel bar proprio fuori dalla ditta e quel figlio gravemente malato dentro casa. I soldi che ci vogliono ogni mese per pagare l’affitto, fare la spesa, far andare i due bambini a scuola e mantenere le cure mediche del più piccolo. Andrea ha 45 anni, fa l’operaio, guadagna mille euro al mese. Con lo stipendio di sua moglie viene fuori proprio il minimo indispensabile per star dietro a tutto, ma la famiglia soffre e lui si sente in colpa. Cosa potrebbe fare per migliorare la situazione? Quel bar proprio fuori dalla ditta, con le lucine verdi e rosse delle slot machine che gli fanno l’occhiolino. Il passo è breve, l’inganno è dietro l’angolo. Perché di questo si tratta: di un inganno, di una fregatura. E infatti, Andrea comincia a giocare. Ogni sera dopo il lavoro investe i suoi dieci euro sperando nella vincita che gli risolverà la vita. E lentamente, senza che se ne accorga, quella speran-


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8 per cento

Il numero di ragazzi tra i 15 e i 19 anni che hanno giocato d’azzardo lo scorso anno

Percentuale di ragazzi che giocano d’azzardo che presentano comportamenti problematici

IL LIBRO

Paolo non gioca più: «Gli usurai? Per colpa loro volevo uccidermi» Il ritorno degli usurai. Nel biennio 20142015 si sono rivolte agli usurai dodici famiglie italiane su cento per un giro d’affari, tra capitale prestato e interessi criminali, di circa 82 miliardi l’anno (dati Eurispes). Molte le cause di questo ritorno. La crisi economica, certamente. Ma anche l'azzardo. Di questo racconta il libro Paura, usura e Misericordia, (edizioni Gelso Rosso) della giornalista Michela Di Trani (nella foto la copertina). «Quello che mi sono trovata a vivere in prima persona, nel raccogliere interviste e testimonianze che hanno dato vita al libro – racconta – , è un percorso umano molto intenso e profondo». Sintomatica è la storia di Paolo 52 anni. È un giocatore. «lo sapevano tutti, mia moglie, i miei familiari, i miei amici. Il mio rapporto con il gioco è stato sempre alla luce del sole. Tutti sapevano che giocavo ogni settimana al Lotto e che vincevo. Era come un lavoro per me, un’entrata che contribuiva al bilancio familiare. Se vincevo un milione di lire, 300 li rigiocavo, il resto lo mettevo a di-

sposizione». Poi però perde il controllo della situazione. Comincia ad attingere ai soldi della moglie. Era diventato un vizio. «Non mi interessava più vincere, ma giocare. Subito dopo l’estrazione ero già proiettato a quella successiva, su come procurarmi il denaro per le giocate». Un centro per scommesse era diventato il suo rifugio.«Era pieno di usurai. Quando capiscono che è il momento giusto, cioè quando sei disperato si avvicinano ti offrono tutti i soldi che vuoi». Per Paolo inizia così una lunga discesa: la moglie lo caccia di casa e lui pressato dalle minacce degli usurai tenta il suicidio. «Mi salvai grazie a un amico e cominciai con mia moglie a frequentare il Sert, fino a quando decisi di entrare in una comunità per ludopatici, a Rivoli. Sono passati 7 anni e non mi vergogno di dire che ogni giorno, a fine giornata, faccio a mia moglie il rendiconto di come spendo i soldi».

LA STORIA

za diventa un’ossessione. Prima solo dieci euro, poi venti, poi trenta. Andrea gioca tutte le sere e i soldi che investe sono sempre di più, è caduto nelle sabbie mobili della dipendenza all’azzardo, adesso è come se fosse il suo corpo a chiedergli di andare nel bar. Non è più padrone delle sue gambe e delle sue scelte, ha bisogno di giocare, non riesce più a controllarsi e obbedisce soltanto ad una parte feroce dentro di sé: vai a giocare, vai a giocare! La discesa agli inferi I soldi non sono più sufficienti: per alimentare quel mostro, Andrea attiva dei prestiti con delle finanziarie, poi va in banca e si fa dare altri soldi. Solo dopo molto tempo, quando le rate dell’affitto rimangono arretrate e i mille euro di stipendio vanno in fumo senza un’apparente ragione, sua moglie capisce cosa sta succedendo. Prova con tutte le sue forze a riportare Andrea alla ragione, lui mente e continua a giocare. «I maggiori creditori di Andrea erano le società finanziarie seguite

Cerchiamo di evitare che chi si rivolge a noi – spiegano alla Fondazione San Bernardino – finisca nelle mani degli usurai: la dipendenza da gioco d’azzardo è molto difficile da risolvere e spesso prevede che ci sia un tutore che si occupi della gestione del denaro

dagli istituti di credito – spiega Roberta Manzi di Fondazione San Bernardino – il debito che aveva accumulato era di circa 20 mila euro». La Onlus, diretta emanazione delle Caritas della Lombardia, opera in Lombardia, è nata nel 2004 e ha lo scopo di assistere e sostenere chiunque versi in stato di bisogno, in particolare nelle situazioni di indebitamento, per prevenire il ricorso all’usura.

Andrea ci è arrivato dopo un lungo percorso: sua moglie gli ha chiesto la separazione ed è allora che si è reso conto di avere un grave problema. Per prima cosa si è rivolto ad un Sert, ovvero ad un servizio dell’Usl che cura le dipendenze. Con uno psicologo, Andrea ha cominciato il suo lungo e faticoso percorso di disintossicazione e affrancamento dalla schiavitù del gioco d’azzardo, e dopo circa 8 mesi è approdato alla San Bernardino. «La presa di coscienza da parte del signor Andrea del serio e pesante disagio creato sia a se stesso

che alla famiglia è divenuta più concreta nel momento in cui la moglie ha chiesto la separazione – spiega Roberta Manzi – questo ha fatto sì che iniziasse un percorso di recupero che, anche a detta dell’operatore del Sert che lo ha in cura, sarà piuttosto lungo». Un lieto fine Però i primi risultati positivi sono arrivati: Andrea si è ricongiunto con sua moglie, ha partecipato a tutti gli incontri, e poi è intervenuta la Fondazione che ha rilasciato una garanzia fidejussoria presso una banca convenzionata che ha concesso il finanziamento con cui si sono chiusi i prestiti. La condizione era però che lo stipendio dell’operaio venisse canalizzato direttamente all’istituto bancario. «Cerchiamo di evitare che gli utenti finiscano nelle mani degli usurai – spiega Roberta – la dipendenza da gioco d’azzardo è molto difficile da risolvere e spesso prevede che ci sia un tutore che si occupi della gestione del denaro». aprile 2017 Scarp de’ tenis

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LA STORIA

Pro loco Al servizio del territorio Facendo festa di Generoso Simeone

Da sempre sinonimo di festa le Pro loco stanno diventando sempre più associazioni che lavorano per la promozione e la difesa del territorio. Un esercito di volontari al servizio della comunità anche nei momenti difficile. Come ad Amatrice 42 Scarp de’ tenis aprile 2017

Sono formate solo da volontari, si autofinanziano e organizzano eventi e iniziative che valorizzano le tradizioni culturali di una comunità. Sono disseminate su tutto il territorio nazionale e la stragrande maggioranza sono molto attive e dinamiche. Le Pro loco sono un patrimonio del nostro Paese perché promuovono coesione sociale, tramandano saperi, tengono in vita storie e memorie, favoriscono il turismo, generano ricchezza economica. «La nostra forza è che siamo associazioni che nascono dal basso, siamo cioè formate da cittadini che si mettono insieme con la voglia di fare qualcosa per il luogo in cui vivono. Hanno tutti una forte motivazione, autentica e orgogliosa, per far conoscere il proprio comune». A parlare è Antonino La Spina, presidente di Unpli, l’Unione nazionale Pro loco d’Italia, realtà fondata nel 1962 e che oggi raggruppa più di 6.300 Pro loco con circa 600 mila soci. «Le Pro loco – continua La Spi-


LE STORIE

Foto Martino Balbo

Foto Petrussi

Ad Amatrice in prima linea nel dopo sisma: «Un punto di appoggio per la popolazione»

Promozione e cura del territorio, informazioni turistiche, fiere gastronomiche, attività di accoglienza. Le Pro loco sono sempre in prima fila

na – nascono come “società di abbellimento”, che si occupavano di valorizzare e promuovere un luogo. La prima è stata quella di Pieve Tesino, in Trentino Alto Adige, nel 1881. Facevano promozione turistica quando il turismo praticamente ancora non esisteva nelle forme in cui lo conosciamo oggi».

Negli ultimi vent’anni il numero delle Pro loco è più che raddoppiato dimostrando di non essere un modello obsoleto, ma di rispondere al desiderio crescente di tutelare le culture locali e di far conoscere le bellezze di un territorio.

Sono spesso il braccio operativo dei comuni organizzando manifestazioni in ambito turistico, culturale, storico, folcloristico, enogastronomico e sportivo. Ma svolgono anche attività sussidiarie come uffici informazioni o servizi di accoglienza

Al servizio dei comuni «Per molte attività siamo il braccio operativo delle amministrazioni comunali – prosegue La Spina – perché organizziamo manifestazioni in ambito turistico, culturale, storico, ambientale, folcloristico, enogastronomico e sportivo. Svolgiamo anche attività sussidiarie perché assolviamo ad alcuni compiti delle amministrazioni, come gli uffici informazioni o i servizi di accoglienza. Sempre con fondi propri e bilanci certificati. Ma, alle volte, con le giunte nascono difficoltà e contrasti perché forse non capiscono fino in fondo l’importanza del lavoro dei nostri volontari». Alle Pro loco affiliate Unpli fornisce servizi di supporto di tipo amministrativo, fiscale e organizzativo. Svolge anche attività di consulenza e di formazione oltre che offrire convenzioni con enti

Ad Amatrice c’è un prima e un dopo il 24 agosto 2016. Nel cuore di quella notte, la prima forte scossa di terremoto che ha cambiato la storia delle persone e il volto di quei luoghi. La Pro loco aveva, come ogni anno, organizzato la sagra degli spaghetti all’amatriciana, che si sarebbe tenuta tre giorni dopo. «Siamo sempre stati – spiega la presidente Adriana Franconi – una delle Pro loco più attive di tutta la provincia. Fanno parte del direttivo sette persone, ma siamo un’associazione che aggrega e che, in occasione di eventi come la sagra degli spaghetti all’amatriciana, coinvolge più di 200 persone. Tutti volontari, gente del posto, che si danno da fare per il paese. La nostra è una zona turistica e ci siamo sempre dedicati alla promozione del territorio anche partecipando a fiere e sagre in tutta Italia dove abbiamo portato i nostri prodotti tipici». Il sisma ha visto la Pro loco in prima linea sin dalla fase dei primi soccorsi. «Un nostro volontario – racconta la presidente - è un poliziotto e ha partecipato alla ricerca dei dispersi. Anche come organizzazione ci siamo dati da fare. Abbiamo messo a disposizione le nostre strutture e i nostri strumenti, a cominciare da tavoli e sedie per accogliere gli sfollati. Abbiamo acquistato e distribuito generi alimentari. Ci siamo adoperati per sopperire a diverse necessità. Ad esempio, a una famiglia serviva una lavatrice e noi gliel’abbiamo trovata». Ripartire è difficile, ma ad Amatrice ci stanno provando. «È giusto andare avanti conclude Adriana Franconi - e che il paese rinasca. Dobbiamo avere uno spirito ottimista, collaborare e aiutarci a vicenda. Come Pro loco vogliamo ringraziare Unpli per esserci stati vicino e aver organizzato l’amatriciana solidale, una bellissima iniziativa per raccogliere fondi da destinare alle popolazioni terremotate».

A Pieve Tesino la prima Pro Loco della storia: «Abbellire il Paese per renderlo attraente» Si narra che alla fine del Seicento a Pieve Tesino, sui monti di Trento, ci fossero 90 mila pecore. E che gli abitanti fossero tutti pastori. Durante le transumanze tra le montagne e le pianure venete i tesini si fermavano in un emporio a Bassano del Grappa di proprietà di un certo Remondini, dove acquistavano attrezzi per lavorare la terra. Alla bottega di ferramenta, l’emporio aggiunse anche una stamperia. Presto tra il Remondini e quei pastori nacque un sodalizio per cui i tesini iniziarono a smerciare le stampe dapprima nelle valli, poi nelle pianure. Erano stampe per lo più di santi, in bianco e nero o a colori, che si vendevano casa per casa. Erano una gran novità per l’epoca e da ciò derivò il loro smisurato successo. I tesini si trasformarono in girovaghi aprendo una sessantina di negozi in tutta Europa, da Parigi ad Anversa, da Varsavia a San Pietroburgo. Alcuni arrivarono a vendere stampe anche in Messico, Perù, India ed Egitto. «Questa storia - spiega Maria Avanzo, vicepresidente della Pro loco di Pieve Tesino, la più antica d’Italia fondata nel 1881 - è importante perché furono i tesini impiantati all’estero e discendenti dei primi rivenditori di stampe a creare la Società di abbellimento, precorritrice dell’attuale Pro loco. Volevano migliorare il paesaggio di Colle San Sebastiano, che domina il paese, allora brullo e poco attraente. Avevano il desiderio di portare a Pieve Tesino quelle persone degli ambienti culturali raffinati - che grazie alla vendita di stampe frequentavano - e regalare loro uno scenario piacevole». Oggi la Pro loco è impegnata soprattutto a gestire il museo dedicato ad Alcide De Gasperi originario di Pieve Tesino e nato, curiosamente, anche lui nel 1881. aprile 2017 Scarp de’ tenis

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LA STORIA come Siae o aziende come Enel. «Una delle nostre principali attività – spiega ancora il presidente – è la valorizzazione del cosiddetto patrimonio immateriale. Si tratta del primo progetto strutturato in maniera capillare sul territorio italiano per la riscoperta di tradizioni, riti, tipicità e saperi del nostro Paese. Stiamo inoltre collaborando con il ministero dei Beni culturali alla programmazione delle attività relative all’Anno dei borghi. Un altro impegno importante a livello di Unpli riguarda la salvaguardia dei dialetti. Abbiamo promosso il premio letterario Salva la tua lingua locale, la Giornata nazionale del dialetto e delle lingue locali e il canale video su YouTube Memoria immateriale, che raccoglie contributi audiovisivi sui dialetti della penisola. Ha milioni di visualizzazioni soprattutto dall’estero». Le Pro loco sono anche una miniera infinita di storie belle, curiose e significative.

«Impossibile scegliere – dice La Spina –. La prima che viene in mente è quella di Cocullo, in Abruzzo, dove si tiene la Festa dei serpari, che consiste in una processione della statua del santo invasa dalle serpi catturate nei giorni prima dai cosiddetti serpari. È una manifestazione molto suggestiva». Ma è difficile soffermarsi su una sola delle tantissime attività messe in campo. «Voglio invece sottolineare – conclude La Spina – le tantissime iniziative di solidarietà che le Pro loco mettono in campo un po’ dappertutto. Si organizzano svariate attività a favore di giovani, scuole, disabili, extracomunitari e si promuovono raccolte fondi per eventi calamitosi. Negli ultimi mesi, anche come Unpli, siamo stati molto impegnati per stare vicini alle popolazioni colpite dai terremoti del centro Italia. Lì, le Pro loco si sono addirittura trasformate in punti di riferimento per le comunità nella fase della post emergenza, come accaduto a Campi di Norcia o ad Amatrice». 44 Scarp de’ tenis aprile 2017

Un momento dell’affollatissima Festa del turista in programma la seconda settimana di agosto ad Aglientu

LA STORIA

Aglientu, la festa del turista diventa patrimonio esclusivo: «L’obiettivo? Difendere e promuovere le nostre bellezze» Da 45 anni organizzano la Festa del turista proponendo la Sagra della salsiccia e del formaggio. I volontari della Pro loco di Aglientu, in Sardegna, sono orgogliosi di una tradizione che porta, in questo piccolo centro della Gallura di poco meno di 1.200 abitanti, oltre 15 mila persone. «Negli ultimi anni – racconta Quinto Zizi, presidente dal 2002 di una Pro loco che conta una quarantina di associati – cuciniamo 6 quintali di salsiccia e 4 quintali di formaggio. La festa si svolge sempre allo stesso modo, dentro il nostro anfiteatro, qualche giorno prima di ferragosto. Per l’occasione produciamo una tazzina in terracotta a simbolo e a ricordo della festa e che ormai è diventato un oggetto da collezione». Ma la Pro loco di Aglientu non si limita a organizzare la Festa del turista. «Ci hanno definito il paese delle sagre – spiega ancora il presidente – perché d’estate ne facciamo diverse, da quella della frittella a quella degli gnocchetti fino a quella della seadas, la tipica sfoglia fritta con formaggio vaccino.

Da qualche anno siamo attivi anche a Natale con la manifestazione del presepe in piazza. Poi organizziamo la Pedala Aglientu, una gara di trekking tra le spiagge e i sentieri della nostra zona. E ci spingiamo fino in continente dove partecipiamo ad alcune sagre per far conoscere i nostri prodotti enogastronomici e fare promozione turistica». La Pro loco di Aglientu è retta da volontari appassionati e si regge sull’autofinanziamento. «Riceviamo aggiunge Quinto Zizi - qualche contributo dal Comune e dalla Regione e reinvestiamo tutti gli eventuali incassi delle nostre manifestazioni. Ci diamo da fare per stare al passo coi tempi. Per le nostre sagre abbiamo acquistato nuovi impianti e attrezzature. Con un drone abbiamo girato un video che esalta i 23 chilometri delle nostre spiagge. Abbiamo portato qui collegamenti televisivi con trasmissioni come Geo&Geo, ma anche la Prova del cuoco. Ci siamo inventati il premio Tazzina d’oro dato in questi anni a Pippo Baudo, Beppe Severgnini, Cristiano De Andrè. Insomma, cerchiamo di fare del nostro meglio per attirare turisti e regalare loro una piacevole esperienza della nostra terra».


RIMINI di uno sguardo che tradiva stanchezza, mentre ora c’è voglia di lottare, speranza. Continuano a passare i giorni e le settimane in questa nuova routine.

Dopo l’articolo apparso su il Ponte e Scarp de’ tenis una benefattrice ha contattato Umberto e l’ha aiutato a ricominciare

Umberto sta risalendo la china, grazie a un articolo di Angela De Rubeis

Ne uccide più la lingua che la spada, dice il proverbio. È, però, altrettanto vero il contrario: la parola può fare male, ma allo stesso tempo può guarire le ferite, può salvare vite. E non è solo bel parlare, è concretezza: ne è una prova vivente Umberto Parigi. Tutto comincia su una pagina su il settimanale IlPonte, lo scorso dicembre: Umberto è un senza dimora che cerca di arrivare a fine giornata, che si aggira per la stazione di Rimini, che dorme in treno e vive del solo sostegno delle associazioni di volontariato. Non può progettare un futuro più lungo di ventiquattro ore. Rilascia un’intervista nella quale parla di lui e della sua storia, e tutto cambia. Noi

Umberto viveva alla giornata sognando una casa. Una benefattrice di Venezia lo sta aiutando a riprendersi la sua vita

di Scarp rilanciamo la sua storia con un approfondimento. La visibilità ottenuta da Umberto realizza il suo piccolo miracolo, sprigionando tutta la potenza del giornalismo. L’aiuto dei parroci Le prime mani a tendersi in suo aiuto sono del territorio: alcuni parroci, si propongono di aiutarlo in ogni modo possibile. Gli danno un tetto sotto cui dormire, cibarsi e lavarsi. Soldi, nei momenti peggiori. E ad ogni passo avanti, ad ogni piccolo gradino verso una vita sempre più dignitosa, Umberto chiama la redazione de il Ponte per aggiornare sui suoi progressi. Oppure, spesso, si reca in redazione per mostrare la sua lenta ma costante metamorfosi. E l’effetto è potente, colpisce molto di più di una semplice voce al telefono: i vestiti sono sempre gli stessi, ma Umberto ha un’andatura diversa. Così come lo sguardo, rinnovato. Nella sua prima intervista si parlava

La svolta La salita di Umberto continua, e arriva il contatto che cambia tutto: un lavoro. Umberto ora ne ha uno: per tutta la stagione estiva che si sta avvicinando, farà il portiere notturno in un residence di Cattolica. Ma non solo. Avrà un tetto sopra la testa, e cibo nello stomaco, tutto pagato. E, più importante ancora, avrà uno stipendio. Ma non è finita qui. La risalita di Umberto riserva ancora una sorpresa da accogliere. Imprevedibile e inaspettata, arriva una telefonata da Venezia. A parlare è una donna, che dice con voce ferma e determinata: «Ho letto la storia di Umberto su Scarp de’ tenis. Voglio aiutarlo». Potenza della semplicità. Quando Umberto viene informato di questa cosa, non esplode di gioia. La prima cosa che fa è chiedere di essere messo in contatto. Così i due si parlano, si conoscono, e Umberto decide addirittura di andarla a trovare nella sua casa di Venezia. Dopo l’incontro, Umberto riceve il suo aiuto economico, che gli cambia, ancora una volta, la vita. «Con il suo aiuto, - continua Umberto - ho risolto, nella sostanza, il 90% dei miei problemi. Lei è stata fondamentale per me, e so di poter contare su di lei per il futuro». «Quando ho chiamato la redazione del giornale – racconta la generosa veneziana, che vuole rimanere anonima –avevo intenzione di fare arrivare il mio sostegno attraverso i giornalisti. Ma è stato proprio lui a chiedere di avere un contatto diretto. Ero abbastanza perplessa, a essere sincera. Abbiamo cominciato a sentirci via sms: erano messaggi di cuore, sinceri, che mi hanno dato l’impressione di una persona riservata, seria. Degna di fiducia. E l’incontro non ha fatto che confermare queste impressioni. Umberto, a conclusione del nostro incontro, mi ha voluto assicurare che mi restituirà tutto appena potrà farlo». aprile 2017 Scarp de’ tenis

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Senza dimora in aiuto a chi vive sulla strada di Enrico Panero

In un dormitorio torinese è nata un’iniziativa di autodeterminazione per il riconoscimento e la tutela dei diritti delle persone senza dimora. «Ci proviamo insieme a cambiare dal basso» 46 Scarp de’ tenis aprile 2017

«Quando sono entrato nella casa di ospitalità Marsigli per persone senza dimora mi è stato detto che dovevo aspettare un po’ di tempo per poter avviare qualche attività lavorativa. Ho così capito che sarei rimasto lì un tempo indeterminato a bagnomaria, allora mi sono detto che avrei dovuto riempire questo tempo in qualche modo». Marco, 50 anni di cui oltre la metà passati a lavorare come barista e cameriere, restauratore, grafico pubblicitario, operatore socio-sanitario e altro ancora, nel 2015 si è ritrovato senza casa e lavoro a vivere la condizione di persona senza dimora. Ha sperimentato le difficoltà e le angosce di questa condizione, ma ha anche conosciuto persone che come lui non accettavano l’idea di attendere passivamente che la situazione si definisse. «La cosa peggiore è non poter sapere come e quando finirà. Non c’è chiarezza e soprattutto non esi-


TORINO

Nella foto a destra alcuni membri (ne mancano due) del direttivo della costituente associazione di senza dimora

Vorremmo creare un’associazione che sia in grado di aiutare anche chi verrà dopo di noi: l’idea principale è quella di riuscire a blindare la mission dell’associazione. Su tutte il fatto che la gestione dell’associazione sia fatta da persone che hanno vissuto la condizione di senza dimora

ste alcuna certezza nella definizione dei percorsi per le persone senza dimora». Così, Marco e altri ospiti del dormitorio propongono un laboratorio di recupero del vetro per la costruzione di mosaici, poi auto-organizzano pranzi domenicali cucinati con alimenti recuperati in alcuni mercati cittadini. L’iniziativa, definita di educazione alimentare, viene appoggiata dalla struttura pubblica che li ospita e sfocia prima nella preparazione di alcuni buffet, anche per eventi di Mi.To e della fio.PSD, e poi in un laboratorio di cucina e orto urbano. «Vista la fiducia verso di noi e le nostre proposte – racconta Marco – ci siamo detti: perché non facciamo un passo in più?». Trasparenti, non invisibili Nasce così l’idea di lavorare insieme per il riconoscimento e la tutela dei diritti delle persone senza dimora, «una categoria fragile, che fa una vita d’inferno perché non avendo casa e lavoro non ha alcun diritto». Le riunioni e le discussioni tra Marco, Giovanni, Toni e altri senza dimora portano a varie proposte: uno sportello informativo, un’associazione, una carta dei diritti, attività lavorative solidali. Lo sportello di informazione, “trasparenti ma non invisibili”, accessibile a tutte le persone senza dimora, dovrebbe dare informazioni chiare e unificate rispetto a una situazione poco trasparente e molto dispersiva. L’associazione per la tutela e l’autodeterminazione dei senza dimora dovrebbe partire dall’elaborazione di una carta dei diritti per poi svolgere opera di sensibilizzazione e di proposta. Per ora sono idee, ma il gruppo informale si sta impegnando perché diventino azioni concrete. Ad esempio è stato preparato un questionario, in collaborazione con fio.PSD, che sarà distribuito alle persone senza dimora per raccogliere le informazioni necessarie a redigere la carta dei diritti a loro tutela.

Cambiamento dal basso Per definire lo statuto dell’associazione è stato chiesto aiuto a persone competenti, «perché vorremmo creare un’associazione in grado di aiutare anche chi verrà dopo di noi: vorremmo blindare tutta una serie di garanzie sulla mission dell’associazione» spiegano. Su tutte il fatto che la gestione dell’associazione sia fatta da persone che hanno vissuto la condizione di senza dimora; poi si pensa anche a figure di soci collaboratori e sostenitori «per aprire l’esperienza in senso comunitario. Non vogliamo farci mettere un cappello da nessuno, ma allo stesso tempo siamo aperti al dialogo con tutti, consapevoli di avere delle cose

da dire. Vogliamo essere trasparenti perché vorremmo che anche gli altri lo fossero, in tutto ciò che riguarda la gestione della problematica dei senza dimora» dicono le sei persone che dovrebbero costituire il direttivo dell’associazione. Il progetto è ambizioso, ma in soli tre mesi le risposte e i riscontri positivi sono stati inaspettati. L’elemento innovativo sta nella volontà di un percorso di autodeterminazione, che è anche un’assunzione di responsabilità, tra persone che normalmente non hanno possibilità di farlo e nel fatto che su problematiche come la povertà e le ingiustizie del sistema economico sentano la necessità di far sentire la loro voce. «Crediamo che non si possa più aspettare, che sia necessario un cambiamento “dal basso”, ma sappiamo che all’inizio i cambiamenti sono sempre poco compresi» dice Marco, secondo cui potrebbe essere giunto il momento storico per un’iniziativa del genere. «Non ci illudiamo e siamo con i piedi per terra, o meglio sulla strada, ma il ritorno avuto finora ci fa ben sperare».

IL PROGETTO

Aipsd, aiuto alle persone senza dimora da chi la strada la vive ogni giorno Associazione italiana persone senza dimora (Aipsd), questo il nome della costituente associazione, nasce da un’idea di sei persone senza dimora torinesi ma intende aprirsi a livello nazionale. Il primo passo vuole essere la redazione di una carta dei diritti dei senza dimora, per arrivare alla definizione della quale è stato costruito un questionario, in collaborazione con fio.PSD, in modo da raccogliere dati sulla percezione dei diritti e dei bisogni tra le persone senza dimora. Questa consultazione tramite questionario multilingue sarà effettuata a livello nazionale, «perché una carta dei diritti non può essere torinese ma almeno nazionale» spiegano i promotori. Una volta raccolti dati, pareri, punti di vista dei senza dimora l’intenzione è di costituire un tavolo di lavoro per la stesura della carta dei diritti, aperto a operatori, cooperative, associazioni, istituzioni pubbliche, private e religiose, al fine di «creare una pluralità di punti di vista che possa far emergere una visione più chiara sui diritti dei senza dimora». aprile 2017 Scarp de’ tenis

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Dino che lotta per avere la residenza di Cristina Salviati

Dino, un passato da assessore, sindacalista e dipendente pubblico si è trovato nell’impossibilità di esercitare i propri diritti. Perché è finito in strada e il Comune non riconosce la residenza anagrafica ai senza dimora 48 Scarp de’ tenis aprile 2017

Dino (il nome è di fantasia) ha sempre abitato in un paese del circondario di Vicenza. Da piccolo è stato colpito da un’emiparesi spastica che ha leso la parte sinistra del suo corpo, perciò ha passato molti anni dell’infanzia e dell’adolescenza in centri terapeutici per la rieducazione motoria. «È in quei luoghi – racconta – che ho sviluppato un desiderio infinito di riscatto. Vedendo persone che stavano peggio di me, eppure in qualche modo reagivano, ho deciso che avrei condotto non solo una vita normale, ma anche al servizio della comunità». Già nei centri terapeutici Dino ha cominciato a interessarsi di sport e di politiche sociali: «Non potendo praticare – continua – mi sono dato al volontariato nelle associazioni sportive». Piano piano, Dino ha maturato una mentalità politica al fine di poter incidere sulla vita sociale del suo paese. È entrato a far parte di una lista civica ed è stato eletto assessore allo sport. «Un’amministratore – spiega Dino – deve operare cambiamenti an-


VICENZA conti e nel giro di qualche mese potrà riavere una casa sua e quindi la residenza. Intanto però non ha potuto votare all’ultimo referendum e possiamo immaginare come si sia sentito uno come lui, che si è sempre interessato delle sorti della nostra società. Succede così, che dalla pensione gli detraggono le tasse a favore della Regione e del comune dove ha abitato fino a pochi mesi fa, e nello stesso tempo gli negano l’iscrizione anagrafica e tutti i diritti fondamentali. Nonostante sia garantita per legge la residenza anagrafica fatica ancora ad essere concessa in moltissimi comuni del nostro Paese

Secondo una ricerca compiuta da Avvocato di Strada nel biennio 2014/15 in diocesi di Vicenza sono solo 53 su 110 i comuni che hanno istituito una via anagrafica dove i senza dimora possono prendere la residenza. Tra questi solo 11 hanno scelto un nome non stigmatizzante per queste persone

che a costo di sbagliare. Quando le cose non funzionano bisogna riflettere e ritrovare la strada giusta». Il suo impegno è durato 17 anni ed è qui che ha potuto rendersi conto di quanto una burocrazia sbagliata possa mettere le persone più fragili in situazioni senza via d’uscita. «Mi sono accorto presto del problema legato alla perdita della residenza. In Italia c’è una legge scritta apposta perché non succeda che le persone perdano i diritti di cittadinanza solo perché non possono permettersi un tetto sopra la testa, ma spesso non viene applicata, oppure con limitazioni tali da disattendere la legge stessa». Vivere senza diritti Essere cancellati dall’anagrafe significa perdere tutti i diritti di cittadinanza: la tessera sanitaria, il diritto al voto, la possibilità di iscriversi al Centro per l’impiego, di farsi aiutare dai servizi sociali locali. Questo è successo anche a Dino, e oggi la sua situazione è a dir poco paradossale. Proprio per rimediare alla mancanza dell’applicazione della legge, gli è capitato di concedere la residenza nella sua abitazione ad alcune persone in difficoltà, ma oggi, che ne avrebbe bisogno proprio lui, non trova chi è disposto a rendergli questo favore. Oggi Dino è senza residenza. Al momento, infatti per problemi economici è inserito in un progetto della Caritas diocesana vicentina. Dino però ha sempre lavorato al sindacato prima, in Regione Veneto poi, e oggi ha la sua bella pensione, si sta rapidamente rimettendo in pari con i

Dino si chiede: «A chi l’Inps versa le addizionali se sono stato depennato dall’anagrafe? Perché io vedo che tutti i mesi mi vengono trattenute queste tasse, e non so dove vanno a finire». Dunque, anche ricevere la pensione è complicato se non hai una

residenza. Finché rimane valida la carta d’identità, la puoi esibire, pur nella consapevolezza che la residenza segnata non è reale; quando però il documento scade, diventano guai seri. All’Inps ti danno tre mesi di tempo per riottenere il documento, altrimenti non ti versano più la pensione, portando il cittadino in baratri sempre più profondi, fino a diventare un fantasma nei confronti dello Stato. Un diritto negato «Ci sei, sei vivo, abiti da qualche parte, ma per lo Stato non esisti più, a meno che tu non abbia guai con la Giustizia – sorride amaro Dino – perché allora ecco che riappari come dal nulla. Come si risolve? Si cerca, si chiede, ci si attacca agli amici o alla Caritas seguendo una legge tutta italiana, quella dell’arrangiarsi come si può».

LA SCHEDA

Residenza anagrafica: cosa dice la legge Codice Civile, art. 43: il domicilio di una persona è nel luogo in cui essa ha stabilito la sede principale dei suoi affari e interessi. La residenza è nel luogo in cui la persona ha la dimora abituale. Legge 24.12.1954 n. 1228, DPR 30.05.1989 n. 223: all'anagrafe sono registrate anche le posizioni relative alle persone senza fissa dimora che hanno stabilito nel Comune il proprio domicilio. (art.1 l. 1228/1954). La persona che non ha fissa dimora si considera residente nel Comune ove ha il domicilio, e in mancanza di questo, nel Comune di nascita. (art. 1 DPR 223/1989). “Pacchetto sicurezza” L.94/2009: La persona che non ha fissa dimora si considera residente nel Comune dove ha stabilito il proprio domicilio. La persona stessa è tenuta a fornire all'ufficio di anagrafe gli elementi necessari allo svolgimento degli accertamenti atti a stabilire l'effettiva sussistenza del domicilio. In mancanza del domicilio, si considera residente nel Comune di nascita. Iscrizione in una via fittizia (circolare Istat N.29/1992): Se la persona senza dimora non ha un recapito o domicilio nel Comune, ma elegge domicilio al solo fine di chiedere e ottenere l’iscrizione anagrafica, come suo diritto, l’anagrafe istituisce una via fittizia. Senza residenza non si ha diritto al medico di base, alle cure gratuite del Servizio Sanitario Nazionale, né si ha diritto alle esenzioni sanitarie. Non ci si può iscrivere al Centro per l'impiego, non è possibile aprire una partita IVA, non si ha accesso ai servizi di welfare locale, non si può riscuotere una pensione, non si appartiene a nessuna circoscrizione elettorale, non si ha accesso al gratuito patrocinio. www.avvocatodistrada.it aprile 2017 Scarp de’ tenis

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Seguire i tempi della natura: quasi un lavoro di Elisa Rossignoli

Un gruppo di amiche sta cercando di trasformare una passione in un lavoro: lentamente e con fatica hanno messo in piedi Arena Aromatica, un progetto che prevede la coltivazione di piante ed erbe officinali per la produzione di tisane, decotti e oli essenziali 50 Scarp de’ tenis aprile 2017

Sulle colline appena fuori dalle mura di Verona, nell’area nota come l’Arena di Avesa, ha trovato casa un’esperienza singolare. Le protagoniste sono cinque giovani donne, Arianna, Chiara, Francesca, Marinella e Valentina, che condividono, oltre all’amicizia, la passione per la natura e uno stile di vita il più possibile a contatto con essa. Il progetto Arena Aromatica, cui si stanno dedicando con passione, prevede la coltivazione di piante officinali per la produzione di tisane biologiche e oli essenziali. Ma non solo: apre una dimensione di amicizia con la natura e di benessere che fa sentire a casa chiunque passi di lì. «Si tratta del naturale sbocco di una passione che ciascuna di noi stava coltivando ma che non bastava più – raccontano le protagoniste –. Ci voleva qualcos’altro, da poter accompagnare, far crescere e realizzare. E non da sole, ma insieme ad altre persone che condividessero uno spirito comune. Aspettavamo e cercavamo da tanto un piccolo campo, quando finalmente è arrivato. All things are ready, if our


VERONA

Al lavoro all’Arena di Avesa. Qui sopra foto di gruppo per quattro dell cinque amiche che hanno messo in piedi il progetto Arena Aromatica

Il nostro obiettivo è completare la certificazione per la produzione e la vendita dei nostri prodotti. Speriamo che questo diventi per alcune di noi anche un lavoro. Senza fretta però, senza forzature, con la gradualità della natura. La cosa più importante è poterci dedicare a qualcosa che amiamo moltissimo

mind be so, scriveva Shakespeare. Ed è stato così anche per noi. In poco tempo, tramite Laura, un’amica comune che gestisce un’azienda agricola biologica, abbiamo incontrato il signor Aldo, proprietario di questa porzione di terra, appassionato della storia dei dintorni e della biodiversità, che stava cercando qualcuno cui affidare questo luogo. Si è entusiasmato al progetto che volevamo realizzare: valorizzare la biodiversità e la flora spontanea. E così abbiamo cominciato». Un lavoro paziente Era il febbraio 2016. La prima cosa cui le amiche si sono dedicate è stata la pulizia del terreno, completamente coperto dai rovi. «Un lavoro di grande pazienza – raccontano – che è stato una scoperta continua: dai cespugli spinosi emergevano piante bellissime, che ora si possono ammirare fiorite e in piena forma. Il biancospino, che si sta ricoprendo di fiori delicati, è stato il primo, piccolo miracolo. Seguito dal nespolo, dalla rosa canina e da alcuni esemplari di melo antico che non ci saremmo aspettate di trovare là sotto». Il passo successivo è stata la ricognizione delle specie presenti. In questo sono state essenziali non solo la passione, ma anche le conoscenze di botanica che le nostre coltivatrici hanno sviluppato negli anni e ora mettono in pratica. Tutte e cinque, oltre al loro lavoro principale, portano avanti da anni attività legate all’ambiente: Marinella, che lavora come collaboratrice scolastica, si occupa anche di orti didattici, come Chiara, ex impiegata

ed ora immersa a tempo pieno nei progetti di orticoltura nelle scuole. Francesca è laureata in scienze naturali e lavora nel negozio di famiglia, Arianna è educatrice, entrambe sono guide naturalistiche e collaborano con diversi progetti di educazione ambientale nelle scuole. Valentina è naturopata. Inoltre, hanno aggiunto tutte le conoscenze che avrebbero potuto esser loro utili: hanno seguito corsi di erboristeria, corsi sugli oli essenziali, sulle erbe spontanee e officinali. Lavorare con la natura «Questo è un luogo straordinario, con una biodiversità ricchissima – raccontano –. Seguendo l’approccio che sentiamo più nostro, abbiamo valorizzato le piante spontanee, alcune trapiantandole altre lasciandole dov’erano, osservando come si comportavano, dando loro spazio e cura. Ne abbiamo contate una cinquantina. Abbiamo poi capito cosa potevamo importare, quali specie si potevano adattare al clima di questo

luogo. E abbiamo iniziato a piantare». Al momento della raccolta, durante l’estate, fiori e foglie sono stati essiccati secondo un procedimento naturale, semplicemente appendendole in piccoli mazzi. «Ora ci siamo dotate di un essiccatore, ma l’intero processo resta manuale e soprattutto naturale». Il procedimento per l’estrazione degli oli essenziali richiede più tempo, ma è altrettanto affascinante. «Sono nate così le nostre prime tisane, che cominciano a diffondersi con il passaparola. Al momento informalmente, tra amici e bar che ci conoscono per assaggi. Ora il nostro obiettivo è completare la certificazione per la produzione e la vendita dei nostri prodotti. Speriamo che questo diventi per alcune di noi anche un lavoro. Senza fretta però, senza forzature, con la gradualità della natura. La cosa più importante è poterci dedicare a qualcosa che amiamo moltissimo». Tutto qui ha l’aria buona, sana e benefica. Lo sa anche il capriolo che vive nella boscaglia vicino al campo e che spesso passa di lì per lo spuntino di mezzanotte. Bisognerà spiegargli che non tutte le piante vanno raccolte: alcuni fiori devono poter spargere il seme.

IL LUOGO

L’Arena di Avesa, sito naturalistico diventato di importanza comunitaria L'Arena di Avesa, frazione di Verona, è una dolina carsica di epoca preglaciale adagiata sulle colline appena fuori dalla città. All'interno del suo ellisse, grande otto volte quello del più famoso ed omonimo monumento romano, campeggiano le viti, coltura ormai onnipresente nei paesaggi collinari della zona. Dal 1822 è circondata e protetta dai muri a secco, elemento del patrimonio culturale del luogo. L'area in cui sorge è di particolare rilievo dal punto di vista storico e naturalistico. Appartiene infatti al Sic (Sito di importanza comunitaria) dell‘area Val Gallina e Val Borago, e rappresenta inoltre un ambiente particolare, che si differenzia da quello dei dintorni: si tratta di un habitat a prato arido, cioè una prateria con clima secco, in cui si adattano bene anche piante tipicamente mediterranee. Sui gradini terrazzati dell’Arena dimora una preziosa varietà di flora spontanea, tra cui un tipo di gladiolo selvatico riconosciuto tra le specie rare. aprile 2017 Scarp de’ tenis

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Minori stranieri, una calcio alle differenze di Stefania Marino

Il 9 marzo scorso, tutti i minori non accompagnati di età compresa tra i 13 e i 17 anni, hanno vissuto una giornata di sport e divertimento. L’occasione è stato il quadrangolare svoltosi a Sassano, uno dei comuni del Vallo di Diano tra gli ospiti delle diverse comunità di accoglienza della zona 52 Scarp de’ tenis aprile 2017

La neve proprio non l’avevano mai vista. Gennaio ha visto giorni in cui la Campania e tutto il sud sono rimasti nella morsa del freddo e del gelo. A Postiglione, un paese di circa duemila abitanti nel salernitano, dieci ragazzi africani, si svegliano e si trovano davanti ad un paesaggio imbiancato. Ed è una festa. Sciarpa, cappello e guanti e tutti fuori a tirare palle di neve. Ragazzi adolescenti che vivono tutti insieme nella comunità alloggio Amici dei Giovani. Una realtà nata a giugno del 2016 come opera segno della Caritas diocesana di Teggiano-Policastro. Oggi, questa realtà di accoglienza dei minori stranieri non accompagnati, quindi privi di figure genitoriali in Italia, viene gestita dalla cooperativa sociale L’opera di un Altro. La scuola è l’elemento più importante della loro quotidianità. Tutte le mattine, zainetto in spalla, raggiungono la scuola media dell’istituto comprensivo San Domenico Savio lì a Postiglione.


SUD

La gioia dei vincitori del torneo che ha visto protagonisti i minori non accompagnati. Qui sopra una delle tante scuola di italiano attivate

Quattro squadre, quattro casacche di colore diverso e un unico desiderio: giocare, correre, segnare, vincere. Sotto un sole primaverile, accompagnati dagli operatori e dai mediatori culturali, i piccoli giocatori si sono sfidati allo stadio comunale. A salire sul gradino più alto del podio sono stati i ragazzi della comunità di Sassano

Di pomeriggio, compiti e attività varie, dai laboratori artistici agli allenamenti sul campo sportivo del paese. Un poco più a sud, nel Vallo di Diano ai confini con la Basilicata, ci sono altre cinque comunità alloggio per minori stranieri non accompagnati perlopiù arrivati con gli sbarchi di migranti avvenuti a Salerno. Tutte le comunità alloggio sono gestite dall’Opera di un Altro. Una è a Polla. È stata inaugurata da qualche mese ed ospita 19 ragazzi della Guinea, del Mali, del Senegal. Si trova nello straordinario scenario dell’ex convento dei Cappuccini. La comunità è stata intitolata a novembre scorso a Padre Damasceno, un frate cappuccino che nel 1600 da Lacedonia giunse a Polla. Alcuni di loro frequentano l’istituto alberghiero A. Sacco a Sant’Arsenio. Anche qui, gli operatori cercano di riempire il tempo e le vite spesso fragili e vulnerabili di piccoli uomini che si ritrovano a vivere lontano dalla loro terra, senza il sostegno e l’affetto della propria famiglia. Al servizio della comunità A Polla, nel tempo libero, i minori non accompagnati svolgono attività di riciclo realizzando oggetti di arredo con materiale inutilizzato. Cassette di legno che diventano librerie, ruote che diventano fioriere. Gettonato è il corso di cucina italiana. A pochi chilometri c’è la comunità alloggio Roma ad Atena Luca-

na. Un comune di duemila abitanti circa dove l’accoglienza dei migranti è una consolidata e virtuosa realtà. Qui infatti, sono attivi sia un centro di accoglienza straordinario che una struttura Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati). I minori più piccoli frequentano la media ad Atena Lucana, gli altri ogni mattina prendono il bus e raggiungono l’istituto Pomponio Leto a Teggiano. Anche qui, nel tempo libero, i ragazzi vengono coinvolti in un laboratorio di cucina che prevede anche una volta a settimana una singolare cena multietnica. Spazio alla creatività anche con il laboratorio di sabbia colorata. Tra sport ed educazione A Sassano, dove vivono 15 minori nella comunità Peter Pan, vengono svolti sia un laboratorio teatrale per la realizzazione di uno spettacolo chiamato “la musica e il ballo come unione tra i popoli”. La settimana è anche caratterizzata da una intensa attività sportiva: corsa e calcio. Nel centro storico di Montesano sulla Marcellana, a 800 metri sul livello del mare e nella sua frazione di Arenabianca vivono altri 15 piccoli migranti. Vanno a scuola, si dilettano

con tele e colori, qualcuno di loro è impegnato in un piccolo laboratorio di sartoria. Spazio anche alla raccolta di storie e fiabe tipiche dei loro paesi di origine. Il 9 marzo scorso, tutti i giovanissimi migranti di età compresa tra i 13 e i 17 anni, hanno vissuto una giornata di sport e divertimento. L’occasione è stato il quadrangolare svoltosi a Sassano, uno dei comuni del Vallo di Diano.

Quattro squadre, quattro casacche di colore differente e un unico desiderio: giocare, correre, segnare, vincere. Sotto un sole primaverile, accompagnati dagli operatori delle strutture e dai mediatori culturali, i piccoli giocatori si sono sfidati allo stadio comunale. A salire sul gradino più alto del podio sono stati i ragazzi della comunità alloggio di Sassano. Attimi di felicità per dimenticare una vita già duramente provata, i vuoti affettivi, le distanze dal proprio Paese, dalla propria famiglia. Alzano la coppa, la baciano, come fanno i grandi calciatori dopo aver vinto un mondiale. Fanno la foto di gruppo. È la loro piccola grande vittoria.

I NUMERI

Nel nostro Paese sono oltre 15 mila i minori non accompagnati censiti Al 31 gennaio 2017, secondo un report del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, sono stati censiti 15 mila 205 minori stranieri non accompagnati in Italia. Di questi, il 60% ha 17 anni, il 23% è sedicenne. Sono 32 i bambini invece di età compresa tra 0 e 6 anni, mille tra i 7 e i 14. Per quanto riguarda la provenienza, in testa l’Egitto con il 15,8 %, segue il Gambia con il 13,4%. Sono 1.600 i minori non accompagnati censiti di nazionalità albanese. Poco meno i nigeriani. I minori non accompagnati sono accolti perlopiù in Sicilia (5.876), Calabria (1.107) ed Emilia Romagna (1.043). In questo quadro, si inseriscono coloro che decidono di allontanarsi. Sono soprattutto egiziani, eritrei, somali ma anche afghani e nigeriani. I minori che arrivano sono nella maggior parte dei casi maschi. Ma si registrano anche straniere non accompagnate, molte sedicenni e diciassettenni. Sono accolte soprattutto in Sicilia. aprile 2017 Scarp de’ tenis

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aforismi

POESIE

di Emanuele Merafina

La dolcezza di Yuliya

Mi domando

Per lo sguardo sereno che mi doni quando è sera, per la docile mano che mi tendi oh Yuliya, quando questa mia vita è solo un giorno di pioggia, per questa umana ferita che con dolci movenze cicatrizzi, per il tuo sorriso che danza, che m’ingloba, che m’avvinghia e nel mio cuor alloggia, per i tuoi occhi somiglianti a pepite di diamanti che lontano mi guidano dal vento di tristezza, per la tua solare tenerezza che fa scioglier il tempo sulle tue calde labbra, per i tuoi odor soavi, i tuoi bagliori di bellezza, io t’amo o fresco fiore, o vento di delizia. Unica, inimitabile, io t’amo e più non sento altro per te che amore.

Dio io ti voglio proprio conoscere. La gente programma la propria vita senza calcolare che sei tu solo che programmi il futuro di ciascuno di noi e poiché sono molte sensibile mi devi proprio aiutare a farcela contro la prepotenza degli altri, la follia di dominio, l’apatia, l’invidia, la calunnia. Poiché le parole non bastano mai, quando il mio vicino chiede soldi e ha fame, quando l’illusione promette un mondo umano chiedo alla mia mente coraggio di cercare, alle mie mani coraggio di donare e al mio cuore passione per la vita. Dio io ti conosco: quando ascoltavi il mio pianto l’hai riscaldato facendo germogliare il seme dell’allegria. I cieli narrano il profondo mistero e anch’io, una volta mi chiamavo natura, ora mi domando: perché sono ancora qua?

Pietro Pizzichemi

Bianche colombe In bianchi di colombe è il tuo messaggio parco come due lune che abbracciano uno stesso cielo. Nei tuoi occhi è mia ispirazione e lume pari a due stelle ignote in un riflesso sguardo. E non sono mai quieto nè talmente disperato di far d’Amore respirare il cuore. S’è nella mia natura un flutto di carezze dall’Anima a te senz’altro destinato. Mino Beltrami

La povertà Povertà è avere troppi soldi a fine mese La suocera La suocera parla bene quando le conviene, sempre

Non mi fermerò Non lascerò che questa luce pomeridiana, persistente e intensa, diventi scivolo nella malinconia, né che i vocii primaverili scavino vuoti. Detergerò il dolore nelle acque antiche. Disperderò i ricordi nei prati. Camminerò su sabbia vergine. Mi vestirò di foglie nuove e il mio cuore respirerà. Più su dell’egoismo e dell’incomprensione, più su della paura, più su della fragilità. Gaetano “Toni” Grieco

Silvia Giavarotti

Metafora di un sentimento Dolce e minuta ecco la bionda che il cuore d’amore inonda. I tuoi occhi di cielo catturan gli sguardi al tuo fianco vorrei svegliarmi tardi. E quando canta il fresco vento l’anima stanca porgerti contento, offrirti un suono che non si confonda ed aspettar che come un’eco risponda. Un cuore il tuo accenno aspetta dovesse cent’anni restare a vedetta. Ma se ogni volta che cade foglia si esaudisse una voglia la nostra vita sarebbe spoglia soltanto all’amore non sbarriamo la soglia. L’idea di un giovane volontario Perché nel momento che muore il nostro sentimento della Ronda dellanasce carità di Milano: anche il nostro pentimento..

una App contro lo spreco alimentare Ferdinando Garaffa 54 Scarp de’ tenis aprile 2017


VOCI DALL’AMERICA

This is Victor, via dalla strada grazie all’impegno e alla tenacia di Ginger

di Damiano Beltrami

Col sole o con la pioggia per tre anni Victor Hubbard è rimasto accampato in un’aiuola all’angolo tra El Camino Real e Nasa Road 1 a Kemah, un paesino nel sud del Texas. Sopravviveva con elemosine e mangiava nei fast-food del vicino centro commerciale. Per tre anni Victor aspettava e sperava che sua madre venisse a prenderlo. Ma lei non arrivava. Nel frattempo le auto, a pochi metri da lui, sfrecciavano via. Poi un giorno dello scorso dicembre una donna di nome Ginger Sprouse – sposata, madre e titolare dell’impresa di ristorazione Art of the Meal– ha abbassato il finestrino e chiesto che cosa ci facesse lì. Victor, che ha 32 anni, le ha spiegato di non avere una casa, e di stare aspettando sua mamma. Toccata dalla confidenza e decisa a dare una mano, anche intuendo che il ragazzo aveva problemi psichici, la signora Sprouse l’ha accolto in casa sua. Lo ha rifocillato con un piatto di lasagne e ha subito fissato un appuntamento con un dottore.

scheda Damiano Beltrami, nato a Genova. Classe 1982. Reporter. Negli Stati Uniti dal 2008 con una borsa Fulbright. I suoi articoli e i suoi video sono apparsi su testate americane e italiane, tra cui il New York Times, l’Huffington Post e il magazine mensile del Sole-24Ore IL. Nel tempo libero ama camminare nei boschi.

Una pagina Facebook Ma questa era solo una soluzione provvisoria. Quindi Ginger ha aperto la pagina Facebook This is Victor, “Questo è Victor”. «In paese sentivo tanta gente dire bisogna fare qualcosa per questo ragazzo» racconta la Sprouse. In poco tempo lo spazio onlineè diventato una piazza virtuale in cui decine di persone, non solo del piccolo centro texano, si sono messe a disposizione di Victor. C’era chi offriva cibo, chi vestiti, chi

Dopo aver accolto Victor a casa sua Ginger ha aperto la pagina Facebook This is Victor, “Questo è Victor”. «In paese sentivo tanta gente dire bisogna fare qualcosa per questo ragazzo» racconta la Sprouse. In poco tempo lo spazio online è diventato una piazza virtuale in cui decine di persone, non solo del piccolo centro texano, si sono messe a disposizione di Victor

Victor sorridente al lavoro: è cuoco nell’azienda di Ginger

cellulari, tagli di capelli, visite oculistiche o dentistiche. A coordinare idee e iniziative c’era sempre la caparbia signora Sprouse. Nel lungo termine, però, servivano fondi per garantire un minimo di stabilità. Così Sprouse ha lanciato una nuova campagna su internet, questa volta su un sito per la raccolta collettiva di finanziamenti, spiegando che qualche dollaro sarebbe servito a tirar fuori dalle secche un ragazzo d’oro. Nel giro di due mesi, Victor ha ricevuto ben 28.727 dollari (26.710 euro). «La compassione di così tanta gente mi ha sbalordito» dice Sprouse. Un lavoro per Victor Recentemente Victor ha trovato anche un lavoro. È diventato cuoco nell’azienda di Sprouse (servizi di catering e corsi di cucina). «Sono entusiasta di avere un nuovo elemento in squadra –dice –. Sono molto orgogliosa di lui». Victor apprezza e ricambia: «Lei – dice della Sprouse – è saltata fuori dal nulla e mi ha salvato». Per ora la specialità di Victor sono i burrito, di dimensioni texane, cioè mega. A metà marzo i frequentatori della pagina This is Victor erano oltre 46 mila. Non si limitano ad appiccicare “mi piace” alle foto, o a incoraggiare la signora Sprouse con emoticon. Sono attivi quanto la loro leader (si tratti di trovare il telefono di un ottimo psicologo o rimediare una bici per Victor). Proprio grazie a questi fan devoti, Victor è riuscito a riallacciare i rapporti con uno zio residente nella parte orientale del Texas. E a inizio marzo – questa è la grande notizia – ha ritrovato anche sua madre. «Le ho parlato anch’io – conclude Sprouse senza voler tradire la privacy di Victor –. È bello che ci sia stato un contatto». aprile 2017 Scarp de’ tenis

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VENTUNO

La Francia va al voto Ombra Le Pen e sinistra divisa I “cugini” francesi andranno alle urne tra fine aprile e inizio maggio per scegliere il nuovo Presidente. Elezioni molto importanti, alle quali guarda con attenzione (e anche preoccupazione) tutta Europa di Andrea Barolini

scheda Ventuno come il secolo nel quale viviamo, come l’agenda per il buon vivere, come l’articolo della Costituzione sulla libertà di espressione. Ventuno è la nostra idea di economia. Con qualche proposta per agire contro l’ingiustizia e l’esclusione sociale nelle scelte di ogni giorno.

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Il 23 aprile e il 7 maggio 2017 i cittadini della vicina Francia saranno chiamati a scegliere il prossimo Presidente della Repubblica. Si tratta di un’elezione particolare, per numerose ragioni. Prima fra tutti, la posizione dell’estrema destra di Marine Le Pen, che molti sondaggi danno in testa nelle preferenze degli elettori transalpini. Il programma con il quale la leader del Front National si presenta alle elezioni appare solo leggermente edulcorato rispetto a quello con cui tentò di raggiungere la poltrona di capo di Stato nel 2012 (ad esempio, non è più presente il richiamo alla reintroduzione della pena di morte). Ciò nonostante, l’impianto resta ancorato ai valori tradizionali della destra radicale, dai migranti all’euro. Se la Le Pen dovesse risultare prima al termine del primo scrutinio, accederebbe al ballottaggio con il candidato che si sarà classificato al secondo posto. In questo caso, però, conoscere il nome della persona che contenderà l’Eliseo alla pre-

sidente del FN sembra molto più complicato. C’è sempre una prima volta

Per la prima volta nella storia della Quinta Repubblica francese, infatti, il Presidente in carica ha deciso di non candidarsi per un secondo mandato. Al termine del quin-

Molti sondaggi danno in testa alle preferenze la formazione dell’estrema destra guidata da Marine Le Pen. Con un programma che dice no all’Europa e no ai migranti. Chi la sfiderà?

quennio al governo, infatti, il socialista François Hollande ha gettato la spugna prima ancora di cominciare: risultava d’altra parte in grandissima difficoltà dal punto di vista elettorale, con un tasso di popolarità al minimi storici (al di sotto del 10%). Allo stesso modo, il PS era dato per spacciato, anche a causa delle fortissime divisioni al suo interno tra chi sosteneva il Presidente uscente e chi invece ne criticava l’azione di governo, giudicandola troppo moderata e centrista. È con questo spirito che si è andati alla “conta” alle primarie del partito, che hanno visto duellare l’ex primo ministro Manuel Valls (campione del “moderatismo di governo”) e il leader dei co-


siddetti “frondisti” (l’ala sinistra del PS) Benoit Hamon. A spuntarla è stato, contro ogni pronostico, proprio quest’ultimo, che è diventato così il candidato ufficiale dei socialisti. Il problema è che non tutti i sostenitori di Valls e di Hollande hanno accettato il risultato di buon grado: alcuni hanno reagito con un disimpegno più o meno manifesto, altri hanno perfino chiesto al partito il “diritto a non fare campagna per Hamon”. Attirandosi le critiche di chi ha sottolineato che se si decide di organizzare delle primarie, poi dovrebbe essere logico attendersi un’accettazione del risultato. Eppure anche tra gli elettori c’è chi, pur avendo partecipato alle primarie, si è poi semplicemente accodato al candidato di un altro movimento: Emmanuel Macron. Già, perché nel tormentato universo della sinistra francese si è presentata un’ulteriore variabile: quella dell’ex ministro dell’Economia dello sconfitto Valls. Macron ha deciso di non partecipare alle primarie del PS, ma di fondare un suo movimento (chia-

mato En marche!, ovvero In marcia!) definendolo «né di destra né di sinistra». Una collocazione che ha consentito all’ex ministro di conquistare l’endorsement del leader storico dei centristi francesi, François Bayrou.

Nei cinque anni di governo della sinistra il tasso di disoccupazione è rimasto invariato, come il tasso di povertà. Nel quinquennio Hollande ha ricevuto critiche da destra e da sinistra

Piovono critiche Due pezzi grossi (il primo ministro e il ministro dell’Economia) del quinquennio di Hollande si sono dunque candidati alle elezioni. Il primo bloccato alle primarie, il secondo in lizza fino in fondo. Co-

me mai allora – al di là della bassa popolarità – lo stesso Presidente ha fatto un passo indietro? Possono esserci ragioni squisitamente politiche, nella sua scelta, ma a pesare possono essere stati anche i risultati economici conseguiti al termine del suo mandato. Il tasso di disoccupazione è rimasto infatti sostanzialmente invariato dal 2012 ad oggi (se non leggermente cresciuto), il potere d’acquisto, rispetto al 2007 (ultimo anno prima della crisi economica mondiale) è cresciuto di 7,9 punti

percentuali fino al 2012 (quando governavano i conservatori), quindi di soli 3,2 punti nei primi quattro anni di Hollande (2012-2015). Il tasso di povertà era al 14,3% cinque anni fa, e non si è mosso di una virgola. Mentre il deficit commerciale risulta aumentato. Inoltre, non tutte le promesse (in particolare in materia ambientale) sono state mantenute. Così, ad Hollande non sono bastate alcune vittorie: su tutti, il successo della Cop 21, la Conferenza mondiale sul clima tenuta a Parigi nel 2015. Da sinistra le critiche sono piovute per tutto il quinquennio, in particolare da Jean-Luc Mélenchon, storico leader della gauche radicale, che si presenta infatti con un programma di netta rottura rispetto a quello dei socialisti. Il problema è che l’elezione di Hamon ha di fatto ristretto il campo a sinistra, lasciando invece ampio spazio al moderato Macron. E benché in molti abbiano chiesto a gran voce un accordo tra Mélenchon e Hamon per una candidatura unica a sinistra, i due non sono aprile 2017 Scarp de’ tenis

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VENTUNO riusciti a trovare un compromesso. Risultato: le intenzioni di

Secondo le intenzioni di voto a prevalere al primo turno potrebbe essere la formazione della destra più estrema, guidata da Marine Le Pen. Più indietro i centristi e la sinistra, che si presenta divisa

voto dicono che la Le Pen starebbe attorno al 28%, Macron al 20%, Hamon al 15%, Mélenchon al 13%. Mentre il candidato della destra gaullista, François Fillon (ex primo ministro durante la presidenza di Nicolas Sarkozy), contenderebbe il secondo posto all’ex ministro dell’Economia. La divisione della sinistra, insomma, potrebbe comportare la vittoria del Front National. Se invece Mélenchon e Hamon si accordassero, potrebbero risultare perfino al primo posto. Le proposte dei candidati Ma cosa propongono i candidati?

Partendo proprio da Marine Le Pen, nel programma spicca la volontà di tornare ad una moneta nazionale. Idea rilanciata poi alla stampa spiegando senza mezzi termini che «con me la faremo finita con l’Unione europea», con un referendum che darebbe vita alla Frexit (dopo la Brexit inglese). In tema di immigrazione, altro cavallo di battaglia del FN, la candidata di estrema destra propone di «abbassare il numero di ingressi da 200 mila a 10 mila all’anno». In materia di laicità, poi, la Le Pen vuole «far inserire nella Costituzione il principio secondo il quale la Repubblica non riconosce alcuna comunità religiosa». Proseguendo da destra verso sinistra, il programma di Fil-

lon si inscrive appieno in quello di un liberalismo conservatore, condito da toni decisamente liberisti in materia di economia. La proposta è infatti di insistere con gli sgravi alle imprese e di tagliare di netto la spesa pubblica (-100 miliardi di euro in 5 anni), anche grazie al licenziamento di ben mezzo milione di dipendenti pubblici. Il centrista Ma-

cron limiterebbe invece il risparmio a 60 miliardi di euro e i licenziamenti a 120 mila unità. Sia il leader di In marcia! che Fillon propongono poi un abbassamento al 25% delle imposte sui 58 Scarp de’ tenis aprile 2017

ricavi delle aziende, una tassa unica sulle rendite da capitale del 30% e l’abolizione (Fillon) o la radicale trasformazione (Macron) dell’Imposta di solidarietà sulla fortuna. Ovvero di un prelievo introdotto da Hollande a carico dei cittadini più ricchi del Paese.

Nei due candidati della sinistra, invece, a spiccare sono nel caso di Hamon la proposta di introdurre un “reddito universale”, ovvero uno “stipendio” di 600 euro al mese concesso a tutti i cittadini di età compresa tra 18 e 25 anni, utile – ha spiegato l’esponente socialista – “per consentire loro di effettuare serenamente gli studi, o di lanciare una start-up”. Hamon vorrebbe poi “democratizzare” parte del bilancio pubblico, ovvero concedere ai cittadini di decidere come utilizzarne una parte (5 miliardi), per grandi progetti. In tema d’Europa, il leader socialista non propone alcunché, ma fa una critica profonda, in particolare per quanto riguarda i vincoli economici che impediscono di ridare fiato all’economia con investimenti pubblici “in deficit”.

Un’impostazione “keynesiana” che nel candidato della sinistra radicale Mélenchon diventa però ancor più evidente: l’idea è infatti di iniettare nell’economia 100 miliardi di euro per investimenti “ecologicamente e socialmente sostenibili”. Ciò porterebbe il rapporto deficit/Pil a superare la soglia imposta dall’Ue del 3%, ma la previsione è di portare la Francia ad uscire definitivamente dalla crisi economica, sfruttando quello che in economia si definisce “moltiplicatore”. Ovvero la capacità di ciascun euro investito di poterne fruttare più di uno in termini di creazione di ricchezza (parte della quale può tornare allo Stato sotto forma di tasse). Di qui la scommessa: investire e andare “in rosso” per far ripartire il motore e godere dopo dei benefici. Il che provocherebbe, questo è certo, uno scontro durissimo con i sostenitori del rigore a Bruxelles e anche in Germania.

Come funziona il sistema francese


Per la prima volta nella storia il Presidente uscente (Hollande, qui nella foto) ha deciso di non ricandidarsi dopo il primo quinquennio di governo

SCHEDA

La Francia ha una forma di governo semi-presidenziale. Significa che esiste un Presidente eletto direttamente dal popolo, dotato di numerose prerogative, ma anche un primo ministro, che dirige il governo e che viene nominato dallo stesso presidente. Proprio la natura bicefala del potere francese può porre, in alcuni casi, il rischio di coabitazione, ovvero la presenza di un Presidente di colore politico diverso rispetto al primo ministro. Un’eventualità capitata nella storia (con il conservatore Jacques Chirac alla presidenza e il socialista Lionel Jospin a capo del governo), ma che resta piuttosto rara. La Costituzione del

1958 prevedeva inizialmente una durata in carica del Presidente per sette anni; essa è stata però ridotta nel 2000 a cinque (il che ha equiparati la durata del mandato presidenziale e di quello parlamentare, riducendo il rischio di coabitazioni). Alle ele-

zioni si presenta ciascun candidato al primo turno, sostenuto da uno o più partiti. I due che ottengono il maggior numero di voti si qualificano quindi per il ballottaggio, che si svolge due settimane dopo: quest’anno le date sono state fissate al 23 aprile e al 7 maggio. Possono votare tutti i cittadini francesi che godono dei diritti politici, ma con una

La forma di Governo è diversa da quella italiana: oltralpe il Presidente è eletto dal popolo

particolarità rispetto all’Italia: per esprimere la propria preferenza occorre iscriversi nelle liste elettorali. Un passaggio obbligatorio, che deve essere effettuato entro il 31 dicembre dell’anno precedente. Il rinnovo dell’Assemblea Nazionale, invece, non viene effettuato congiuntamente a quello del Presidente: le elezioni per scegliere i rappresentanti del popolo in Parlamento si svolgono circa un mese dopo, in questo caso sono state fissate per le giornate dell’11 e del 18 giugno. La ragione è quella di dare tempo al Presidente di esprimersi per minimizzare il rischio che possa ritrovarsi senza una maggioranza. aprile 2017 Scarp de’ tenis

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INCONTRI

LABORATORI

AUTOBIOGRAFIE

CALEIDOSCOPIO Elisa, i suoi fiori e i suoi occhi sorridenti, all’opera mentre regala la sua musica ai passanti nel centro di Milano

Elisa Callejera, occhi che fanno sorridere Elisa è una ragazza solare, ha dei fiori sul cappello e intorno al microfono. Il suo nome d’arte è Callejera, nato in Spagna dove ha iniziato a suonare, partendo da Barcellona. «Mi è sempre piaciuto cantare –racconta –e dopo vari percorsi di vita sono diventata artista di strada. Qualche vita fa lavoravo anch’io in ufficio ma mi sentivo un pesce fuor d’ acqua. Quando entravo in quel palazzo la mattiva mi mancava l’aria: le dimissioni sono state una liberazione». Da piccola Elisa aveva studiato canto mentre la chitarra ha iniziato a suonarla da autodidatta. «Sto prendendo lezioni – dice Elisa – perché la gente, in strada, se ne accorge se sei brava o se stai improvvisando». Suonando ha girato il mondo: Francia, Spagna, Sud America, India. Racconta con gioia l’avvicinarsi dei bambini per ascoltare la sua musica: «Sono il pubblico più genuino, quello che ha più bisogno di impulsi buoni, sani e positivi; alcune volte si avvicinano talmente tanto alla tastiera della chitarra come se volessero afferrare il suono». Antonio Vanzillotta Le piace suonare a Milano. I suoi occhi sorridono mentre canta. Li guardi e non puoi che sorridere anche tu. aprile 2017 Scarp de’ tenis

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Nelle foto tre scorci del museo ferroviario di Pietrarsa a San Gorgio a Cremano, comune della periferia orientale napoletana

Museo ferroviario di Pietrarsa se Napoli si riscopre grande Con l’approvazione del re Ferdinando di Borbone e l’ingegno di un rinomato ingegnere francese, venne costruito a Napoli un treno regale che percorse il primo tratto di ferrovia in assoluto funzionante in Italia. Percorreva un tratto di binario, ad una velocità di cinque chilometri all’ora. Il treno a vapore venne costruito il 3 ottobre del 1839. Il vagone regale, addobbato con tutti i criteri e gli stili dell’epoca , era molto confortevole. Onde evitare incidenti ai regali, all’entrata del vagone, c’erano degli scalini. La corte si recava alla reggia di Portici. Caro amico, qualcosa voglio raccontarti: «Un giorno, sembravo di essermi appesantito, eppure non avevo mangiato molto. Allora? Da cosa proveniva il disagio fisico? Ebbene, un treno a vapore, di costruzione Austroungarica, rimasto in Italia alla fine della prima guerra mondiale. Enorme ed imponente attraversava le rotaie con atteggiamento imperioso. Gli anni trascorrevano velocemente, la tecnologia progrediva e la guerra si avvicinava. L’uomo costruisce e distrugge. Con rammarico, vedevo treni con vagoni chiusi ermeticamente. Trasportavano prigionieri nei campi di concentramento. Nel 1939, venne costruito un treno elettrico, usato esclusivamente dal duce; con gli anni questo pezzo di ferrovia ha smesso di funzionare ed oggi su questi binari in disuso passano gruppi di turisti, bambini e ragazzi in gita scolastica e visitatori affascinati dalla storia di tutti questi treni antichi». I cimeli storici ben tenuti, si possono visitare al museo dei treni che si trova a Pietrarsa, a Portici. Essi sono apprezzati dai visitatori, perché ogni treno segna un passo della storia italiana ed europea. Suggestiva la visione dei due filmini virtuali. Una voce narrante racconta la costruzione e il funzionamento dei treni a vapore. Oggi le ferrovie mettono a disposizione dei treni ad alta velocità. Ma non dimentichiamo che tutto è Sergio Gatto iniziato qui, sul tratto di ferrovia Napoli-Portici. 62 Scarp de’ tenis aprile 2017

PAROLE

Il tempo A volte trovare il tempo Per scrivere una poesia E non sai per chi sia Non importa chi sia il soggetto O cosa sia l’oggetto L’importante che guardi Con gli occhi della fantasia E con la mente voli via In un posto che non c’è Ed è solo dentro te E ti sembra irraggiungibile Perché arrivarci è impossibile Con la poesia puoi andar E tutti i posti puoi sognar Vedi il sole tramontar E quei posti puoi amar. Massimo De Filippis

PAROLE

Qui c’era una fabbrica Poi vennero i Piemontesi Napoli, attorno al 1830 Re Ferdinando II di Borbone decide di creare una cosa innovativa: una ferrovia capace di portare lui e la sua corte da Napoli a Portici, sua residenza estiva. Sembra un capriccio da re, eppure la sua idea diede lavoro a centinaia di napoletani con un indotto, come si dice oggi, incredibile. Per tutta la durata dei lavori ristoratori, pizzaioli, fruttivendoli, gelatai, uomini e donne che portano il pane a casa con sicurezza. In più, terminata la ferrovia, crea a Pietrarsa, cittadina appena a sud del porto e a un passo dal Miglio d’oro delle antiche ville romane, un’officina del ferro: una fabbrica di locomotive. Una fabbrica nel pieno sud agricolo e pescatore. Un’eccellenza che, a pieno regime, arrivò a dare lavoro a 700 operai. Dal 1839, anno dell’inaugurazione della tratta, l’attività fu intensa. Molte locomotive e locomotori elettrici sono ancora lì, in mostra al Museo delle Ferrovie, a testimonianza del tutto. Ma poi venne il ’60, Garibaldi e Vittorio Emanuele si diedero la mano e a sud arrivarono i Piemontesi a pretendere il loro bottino di guerra, in pratica a rubare quel che c’era da rubare. Prima declassarono la fabbrica, poi la misero in vendita sicuri così che nessuno l’avrebbe comprata, e quindi licenziarono 400 operai. Durante una rivolta i bravi bersaglieri ne uccisero sette, sette padri di famiglia che per un attimo forse ci avevano pure creduto nell’unità d’Italia. Bruno Limone


NAPOLI

Anche Scarp viaggia in treno quando Napoli era caput mundi L’ex fabbrica di treni nel 1989 è diventata un museo che celebra l’antica tradizione industriale della città Scarp de’ tenis viaggia in treno: fermata al Museo nazionale e ferroviario di Pietrarsa che si trova a San Giorgio a Cremano comune orientale della periferia napoletana. La fabbrica dei treni di Pietrarsa è nata nel 1840 per volontà di Ferdinando II di Borbone prima come industria siderurgica poi, dal 1845, come fabbrica di locomotive a vapore. Dava lavoro a settecento operai facendo della fabbrica un importante nucleo industriale italiano, talmente conosciuto che fu visitato anche dallo zar di Russia, Nicola I. Purtroppo con l’Unità d’Italia del 1861 la fabbrica fu chiusa e il governo piemontese ne voleva ordinare addirittura la demolizione: durante i conseguenti scioperi, repressi nel sangue dai bersaglieri, morirono sette operai. Nel 1989 è stata trasformata in un museo ferroviario che si sviluppa su un’area di 300 mila metri quadri di cui 14 mila coperti. L’ itinerario si sviluppa su sette padiglioni: il primo è stato pensato per la conservazione del passato e la memoria storica della Napoli-Portici del 1839 con la mitica locomotiva Bayard che prese il nome dall’ingegnere francese che la progettò. Per me è stata un’emozione vedere scorrere le immagini che raccontano l’evoluzione tecnologica del treno in Italia dal 1839 fino ai nostri giorni. Abbiamo visitato tutti i padiglioni: quello delle antiche locomotive a vapore dorate e piene di antico fascino, quello dei convogli diesel e quello dei vagoni alimentati a corrente continua.

Mi è piaciuto molto il convoglio costruito nel 1929 per le nozze di Umberto di Savoia con Maria José del Belgio diventato poi di proprietà della Presidenza della Repubblica. Fu Francesco Cossiga a donarlo al Museo di Pietrarsa. Questo posto magico si trova su un balcone disteso sul golfo di Napoli con il Vesuvio alle spalle e di fronte Capri e la penisola sorrentina che fa da cornice. Sul piazzale c’è una statua di Ferdinando II di Borbone alta quattro metri: è commovente il gesto con il quale Ferdinando indica con il dito dove costruire la fabbrica; è come se Ferdinando simbolicamente fosse ancora lì a difenderla dagli uomini e dal tempo. Luciano D’Aniello

Esposizione ricca di fascino: si respira la storia

PAROLE

Tanto fascino non lo avevo mai visto. A pochi chilometri da Napoli c’è il museo di Pietrarsa. Un’esposizione unica in Italia, di treni antichi. Dai modelli a vapore a quelli elettrici. Vedere da vicino questi gioielli dell’ingegno è una goduria per gli occhi e per l’anima. Per chiunque vi si trovi di fronte. Pensate a me che amo tantissimo questo mezzo di trasporto. Mio padre non guidava l’auto e io ho viaggiato quasi sempre sulle rotaie. Il treno è carico di poesia. Trasporta persone, cose, ma anche storie, emozioni, sentimenti. La storia del treno ha origini lontanissime. L’idea di sostituire per gli spostamenti i cari vecchi e amati cavalli si perde nella notte dei tempi. L’ingegno dell’uomo in questi casi si supera, fa raggiungere risultati eccezionali. È quello che ho pensato osservando con occhi pieni di stupore, quelle meraviglie. Il treno a vapore fu il primo mezzo su rotaie trainato non più da animali ma dal vapore prodotto da acqua portata a temperatura ad alte temperture. Il carbone era il combustibile utilizzato per generare calore sotto la caldaia. L’acqua riscaldata generava vapore che, passando in tubi di ridotto diametro, aumentava di pressione. Questa energia veniva trasmessa alla ruota attraverso bielle e pistoni come nel comune motore a scoppio utilizzato nelle moderne autovetture. Sembra un gioco da ragazzi ma non lo è affatto. I primi prototipi raggiungevano velocità modestissime, 5 km all’ora. Poi si arrivò a raggiungere nientemeno che 50 km all’ora. Fantascienza per l’epoca. Ero abituato a vederli nei vecchi western, ma vi garantisco che averli a pochi metri è un’emozione indescrivibile. Un viaggio nel passato, come in un film. Il progresso, nelle sue varie dimensioni, ha fatto passi da gigante. Ha rivoluzionato e migliorato la nostra vita. Ma non sentiamoci troppo superiori ai nostri predecessori. È quello che ho pensato dopo questa esperienza suggestiva, e l’aggettivo non la fotografa a sufficienza. Giuseppe Del Giudice aprile 2017 Scarp de’ tenis

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CALEIDOSCOPIO

Il passato Il passato quando torna Entra senza bussare Rompe porte e finestre E quando se ne va Mi lascia cocci rotti E vetri sanguinanti. Puro dispetto il suo Non gliene frega niente Dei giorni che io spendo A ripulire. Bruno Limone

Un pianto di misericordia Mille angeli in festa al capezzale di Gesù dove il suo cuore arde di gioia in un pianto che è verità. In una misericordia per i sofferenti. E per i perseguitati dai malvagi. E coloro che non conoscono Gesù ad aiutarli a convincerli che c’è una speranza di pietà anche per loro. Perché il Cristo è buono ed emana la luce. E la fiducia del suo cuore meraviglioso! Armando Marchesi

Centro diurno per senza dimora: presto al via dei nuovi laboratori di Salvatore Couchoud

Passano gli anni, cambiano le mode e i governi, si acuiscono le emergenze e le crisi e tutto sembra scorrere all’insegna della più debilitante instabilità e provvisorietà. Nulla appare più capace di resistere alle maree e ai venti contrari. Non è questo il caso del centro diurno della Caritas diocesana di Como, in procinto di completare il nono anno di attività al fianco e al servizio dei senza dimora lariani. Se c’è infatti a Como una realtà operativa che ha fatto della coerenza con la propria identità e della fedeltà alla propria linea di condotta, anche in ragione degli ottimi frutti raccolti durante il cammino, questo è proprio il centro diurno di via Giovio. Un vero crocevia di tutte le precarietà e sosta obbligata per quanti, motivati o scoraggiati che siano, devono “ricostruire” un percorso che parte anzitutto da loro stessi, prima ancora che dal recupero di un alloggio e un lavoro. «Il primo impatto che anche il visitatore più distratto e occasionale riceve tra queste mura – racconta Alessio Cantaluppi, coordinatore del centro dal 2015 – è quello di trovarsi di fronte a qualcosa che funziona coerentemente alla propria ragion d’essere, cioè costruire un’atmosfera di tipo “dome-

stico” pur nella diversità dei soggetti e nelle difficoltà che questi patiscono ed esprimono. Si cerca allora di garantire uno spazio accogliente per le persone in difficoltà, vale a dire quei 50-60 ospiti che frequentano i nostri locali nei quattro giorni di apertura settimanale». Molte anche le novità in cantiere sulla falsariga di quelle già felicemente sperimentate nell’ultimo biennio: l’ampia ristrutturazione dei locali (con l’allestimento di un parquet e di spazi ricettivi molto meno angusti che in passato) e i laboratori di pittura e teatro nati tra queste pareti e ora trasferitisi nel chiostrino di Sant’Eufemia. «L’idea – continua Alessio Cantaluppi – e quella di creare un nuovo laboratorio di fotografia e uno di cucina interetnica, anche in considerazione della composizione sempre più variegata dell’utenza. Del resto si è sempre detto che squadra che vince non si cambia, e non vediamo per quale motivo dovremmo essere noi i primi a smentire questo assioma». All’elenco delle positività occorre poi aggiungere il dato tutt’altro che irrilevante della cessazione delle visite da parte di polizia, carabinieri e finanzieri, che sino a qualche anno or sono erano praticamente di routine, a causa del comportamento scorretto di qualche ospite e di alcune liti talvolta sfociate in duelli più o meno rusticani che per fortuna appartengono ormai all’archivio della memoria. Un segno anche questo del cambiamento del clima e della forza del centro diurno.

vicenza Alessandro e le sue hang drums regalano serenità ai passanti «Ho fatto l'impiegato per vent'anni, sempre coltivando la passione per la musica», a raccontarsi è Alessandro Cicutto di Padova. Si è sistemato con le sue percussioni, hang drums, in piazza dei Signori dove un raggio di sole impedisce alle mani di gelarsi. «Musicista di strada – scherza – ma quando sono a Venezia mi trasformo in musicista in campo». Alessandro ha studiato musicoterapia, ma gli ingaggi non sono molto numerosi, così arrotonda proponendo i suoi suoni in piazza. Il nuovo disco si intitola Outer rooms proprio a simboleggiare la sua filosofia di artista: dalle profondità di noi stessi esce una musica che fa bene a tutti. «Mi piace re-

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galare qualcosa ai passanti e considero un privilegio poter suonare per tutti. Mi piace stare un mezzo alle persone e far conoscere la mia musica. Info alessandro.cicutto@gmail.com


SCIENZE

Credevo d’esser morto

Pomodori sempre più belli e rossi ma sempre meno saporiti. Colpa della selezione che preferisce prodotti belli a quelli buoni

Pomodori belli e senza sapore Colpa dell’uomo. E di un gene di Federico Baglioni

scheda Federico Baglioni Biotecnologo, divulgatore e animatore scientifico, scrive sia su testate di settore (Le Scienze, Oggi Scienza), che su quelle generaliste (Today, Wired, Il Fatto Quotidiano). Ha fatto parte del programma RAI Nautilus ed è coordinatore nazionale del movimento culturale “Italia Unita Per La Scienza”, con il quale organizza eventi contro la disinformazione scientifica.

Un tempo il pomodoro era gustoso, ma ora sembra non esserlo più. Non si tratta di una diceria, né di un’accusa alla moderna agricoltura, bensì quanto riportato in uno studio scientifico pubblicato sulla rivista scientifica Science. Sembra infatti che le opere di selezione di nuove colture abbia determinato la scelta di varietà che sono effettivamente meno gustose a causa di un “difetto” nel Dna. Diciamo innanzitutto che tutte le colture sono state modificate nei millenni: frutti più grandi, più belli, meno tossici e più resistenti, o semplicemente di diversa forma e colore. Alla base di tutte queste nuove caratteristiche ci sono modifiche nel Dna, anche se non lo abbiamo mai saputo. Anche il pomodoro ha subito la stessa sorte, ma nel corso degli ultimi secoli è sorto un problema che oggi è piuttosto diffuso: i pomodori di oggi non sono gustosi come quelli di un tempo. Come mai? Il rischio è di farsi condizionare e pensare che sia solo colpa dell’agricoltura moderna, “cattiva” se confrontata con quella naturale o biologica. In realtà moltissimo dipende dalla varietà e dalle selezioni che gli

agricoltori hanno fatto, soprattutto negli ultimi decenni. Ultimamente infatti gli agricoltori hanno cercato pomodori di colore rosso intenso e una resistenza fisica sufficiente per conservarsi nel tragitto dal campo alle nostre case, senza rovinarsi. Non ci si è accorti, però, che nel frattempo si stava modificando un altro aspetto fondamentale, cioè il gusto. Alcuni ricercatori hanno confrontato varietà di pomodoro antiche e recenti e hanno scoperto che la riduzione del gusto è dovuta a una modifica involontaria di una specifica parte di Dna (il gene S1GLK2), che oltre a regolare il grado di maturazione, determina anche il contenuto zuccherino. Ecco quindi che queste varietà risultano più resistenti, ma meno gustose e perfino carenti di altre sostanze importanti, come carotenoidi e licopene, composti antiossidanti e benefici. C’è una nota positiva, però. Conoscere cosa determina questa mancanza di gusto fornisce anche nuove strategie per ovviare il problema e si sta quindi pensando di “tornare indietro” nella selezione, usando vecchie e nuove tecnologie. Se la sfida sarà vinta, potremo di nuovo gustare pomodori saporiti.

Abbandonato, il cuore stava dentro il petto che non riuscivo mai a trovare. I miei occhi esprimevano tristezza le mie parole quasi non si sentivano più, il mio palato assaporava solo sale non udivo la voce di chi mi ama. Il tremar giornaliero delle mani ostacolava la mente di sognare scagliando contro Dio tutto il mio rancore. Volevo solo il finto riposare fisso a guardare una finestra sempre a pensare. Stavo perdendo ogni fonte di sentimento odiavo e odio l’irragionevole ingiustizia da voi creata ed anche l’anima mi sento pugnalata. Credevo d’esser morto ma, purtroppo per voi, sono ancora vivo. Fabio Schioppa

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Le persone in stato di difficoltà a cui Scarp de’ tenis ha dato lavoro nel 2016 (venditori-disegnatori-collaboratori). In 20 anni di storia ha aiutato oltre 800 persone a ritrovare la propria dignità

IL VENDITORE DEL MESE

Umar, insieme alla collega Federica, al lavoro durante Quelli dell’ultimo iniziativa lanciata da Scarp Vicenza

Umar Qui è come una famiglia: «Ho un lavoro ma resto a Scarp » di Cristina Salviati

info Il lavoro di reinserimento attraverso le parole a Vicenza continua e in questo mese di aprile si concretizza nel laboratorio tenuto per SdT dall'attrice Stefania Carlesso: Le parole che curano. Persone in difficoltà e utenti gomito a gomito in biblioteca Bertoliana

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VICENZA

Mi chiamo Umar Ali, ho 37 anni e sono nato a Borno nel nord della Nigeria, dove vive tutta la mia famiglia. Sono in Italia dal 2008, ma quando il progetto per i rifugiati non è andato a buon fine mi sono ritrovato per strada. Per fortuna però c’era la Caritas e ho trovato da dormire e da mangiare. All’inizio ho provato ad arrangiarmi andando in Puglia per la stagione estiva di raccolta dei pomodori. Che brutta situazione, ne ho passate di tutti i colori e deciso che non sarei più tornato. Nel marzo del 2013 ho cominciato a fare il venditore per Scarp de’ tenis, un lavoro vero e proprio, anche se non sufficiente per vivere in autonomia, ma a me ha permesso di trovare casa e ottenere la residenza nel giro di pochi mesi. Poi Caritas mi ha aiutato ancora e da alcuni anni lavoro in tirocini organizzati con il progetto Ripartire, però sono ancora un venditore, perché a Scarp sono affezionato. In particolare non voglio lasciare la parrocchia di Dueville dove mi conoscono bene

e mi apprezzano. Qui ho fatto molti incontri di testimonianza coi quali ho guadagnato amici e conoscenze. Mi invitano spesso a mangiare e a stare insieme. Anche a Vigardolo mi sono trovato bene. Addirittura come musulmano per la quaresima mi hanno chiamato a partecipare alla via crucis, perché mi piace parlare di pace e di fratellanza tra popoli e religioni diverse. Anche qui Scarp mi ha dato una mano a scrivere le mie storie e a raccontarle, ho fatto le prime testimonianze con la redazione nel reading Diario di strada. Al momento lavoro come guardiano di musei e monumenti vicentini: è ancora un tirocinio ma, in attesa di trovare un lavoro regolare, mi tengo caro Scarp perché per me è un giornale importante e mi rende orgoglioso lavorarci. L’attenzione che ci ha dato Papa Francesco, la sensiblità con cui ha ricevuto il direttore Stefano Lampertico e il primo venditore, Antonio, confermano questa opinione. Antonio è doppiamente fortunato, ha vissuto e lavorato con Scarp per tanti anni e ha incontrato papa Francesco.



Foto di copertina: ŠREUTERS/Suzanne Plunkett (courtesy of INSP) - Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (convertito in Legge 27/02/2004 n° 46) art.1, comma 1, LO/MI


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