Daniele Ruggiero, "Laici carmelitani in parrocchia"

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Cristiani? Laici carmelitani? Abbiamo un futuro? Giornata della Famiglia Carmelitana – 1 Maggio 2015 – Foggia La spiritualità carmelitana, oggi, nella parrocchia. Essere laici carmelitani oggi. Anzi, ieri… visto che sono passati ben cinquant’anni dal Concilio Vaticano II. E cosa è stato per la Chiesa e soprattutto per i cristiani? Ha davvero segnato l’inizio di un futuro nuovo per i nostri itinerari di fede personali e comunitari? Abbiamo davvero assimilato il messaggio e il compito a tutti noi consegnatoci? Giovanni Paolo II esortò già parecchi anni fa nella sua Christifideles laici a non lasciare il laicato come una “splendida teoria”. Ognuno di noi conosce la propria realtà parrocchiale e sa perfettamente distinguere con i propri occhi quanto essa sia diversa da quanto la Chiesa post-conciliare ci chiedeva: “La messe è molta, ma gli operai sono pochi” (cfr. Lc 10 ,2). Spesso, infatti, non si tratta di una minoranza numerica, in quanto le nostre comunità accolgono una grande quantità di fedeli durante le celebrazioni solenni; forse, si è sviluppata negli anni una certa apatia. Ma può la vita di fede di un cristiano limitarsi alla sola frequenza domenicale? Certo che no, non basta e non deve bastarci; non deve farci sentire con la coscienza a posto. La parrocchia è da sempre il luogo dove il cristiano si forma alla Parola e mette in pratica i suoi insegnamenti nella vita quotidiana. Essa forma nuovi cristiani e li consegna al mondo in primis perché evangelizzino la Parola di Dio; allo stesso tempo, chiede, che rimangano anche all’interno di essa perché possa sempre più crescere come famiglia e continuare a svolgere questo importante cammino di crescita nella fede. Le necessità sono molteplici e da solo il clero non riesce a soddisfare tutte le richieste che gli vengono poste. Se dunque la costruzione del regno di Dio non è solo affare privato del Papa, dei cardinali, dei vescovi, dei sacerdoti, dei frati e delle suore, ecco che il laico deve riacquisire la consapevolezza che sia parte integrante di questo progetto divino. In che modo far sì che tutte queste figure interoperino all’interno della parrocchia? Siamo tutti intercambiabili? <<Il corpo di Cristo è l'armonia dei diversi>>, diceva Papa Francesco in un’intervista in cui si condannava il fenomeno del clericalismo. «Ad alcuni vescovi e preti – continua il Pontefice - piace la tentazione di clericalizzare i laici, ma ci sono anche tanti laici che in ginocchio chiedono di essere clericalizzati: è un peccato a due mani. Invece, il laico ha già la forza che viene dal battesimo e la sua vocazione laicale non si negozia». Accade spesso che quando c'è un laico bravo e impegnato, il parroco va dal vescovo e gli dice: “Perché non lo facciamo diacono?”. È questo lo sbaglio: se abbiamo un buon laico è bene che continui così». Quindi cosa dovrebbe fare il laico? Lo troviamo giustamente nei percorsi ordinari di catechesi, nella liturgia sacramentale, nel canto corale, nell’organizzazione dell’attività pastorale, però non badiamo a formarli, “a rendere presente e operosa la Chiesa in quei luoghi e in quelle circostanze in cui essa non può diventare sale della terra se non per loro mezzo» (Costit. Lumen Gentium). E se la formazione è carente o assente dobbiamo dare la colpa ai nostri pastori? Nelle nostre parrocchie, al giorno d’oggi, anche il nostro “laico”, dovunque si collochi, ha le sue colpe. Unicuique suum: a ciascuno il suo. È innegabile la passività, il gregarismo di molti cattolici: deleghiamo sempre al Sacerdote, crocevia obbligato dei Sacramenti. Lo scrittore Cechov rimproverando i nostri fedeli, diceva sarcasticamente: “Una volta nel gregge è inutile che abbai, scodinzola”. Per questo un teologo spagnolo proponeva ai sacerdoti di eliminare nel nostro parlare e scrivere la metafora del “gregge”, poiché è un’espressione evangelica datata per la verità, perché le pecorelle, cioè tutti noi fedeli, si facevano portare passivamente al pascolo. Il laico cristiano invece è sempre attivamente connesso alla vita della parrocchia e insieme ai pastori ne determina le sorti e il futuro della comunità stessa. La crisi vocazionale ed economica, l’aumento dei ritmi lavorativi quotidiani, la crescente e svariata offerta degli svaghi nelle nostre città sempre più caotiche, ha portato ad un continuo svuotamento delle nostre comunità dove forse si è perso proprio quel tempo utile per fermarsi, incontrarsi e raccontarsi… prima ancora di mettersi all’opera. L’importanza delle relazioni. Quante volte ci è capitato di essere troppo indaffarati nella preparazione di questo o di quel servizio tanto da tralasciare chi aveva più bisogno di una parola o di un conforto in un determinato momento. Da nuove relazioni, intese come diverse, più vere, nascono nuove persone e rinasciamo anche noi con loro. Oggi, non sappiamo più accogliere l’altro e fare comunione con lui, <<…tanto c’è il parroco che è competenza sua>>. Come carmelitani abbiamo intrinseco la fraternità e la condivisione personale e comunitaria. È questo che distingue il laico carmelitano dal “semplice” cristiano. Da


dove attingere questa forza che ci fa diventare nuovi in Cristo? Dalla Parola e dalla meditazione che ne scaturisce: la preghiera! Non serve a nulla dare una mano al nostro parroco se lo spirito che ci guida non è lo Spirito Santo. Esso è Uno e soffia sui nostri pastori allo stesso modo che su di noi. Non si tratta di alleggerire le responsabilità dei nostri sacerdoti ma è proprio lo stile diverso con cui insieme affrontare le difficoltà quotidiane. Se come singoli dobbiamo riscoprire la nostra vocazione di laici carmelitani, non da meno è il nostro rapporto nei gruppi e tra i gruppi parrocchiali. La comunione e l’aiuto reciproco è fondamentale poiché siamo tutti ugualmente corresponsabili della vita di fede di ognuno di noi. A tal proposito ne approfitto per raccontarvi la mia esperienza come laico in questa grande famiglia del Carmelo. Sin da piccolo ho respirato sempre l’aria di parrocchia: i miei genitori facevano da supporto alla catechista di mia sorella; ancora non potevo spiegarmi quale fosse l’utilità di avere una famiglia durante l’ora di catechesi, lo compresi molti anni dopo e meglio ancora oggi con i nuovi cammini per l’iniziazione cristiana: l’importanza della presenza della famiglia nativa che rimane accanto e affida alla comunità il compito della formazione di fede del proprio figlio. Poi iniziai io a frequentare la catechesi, scoprendo che in parrocchia si stava bene anche fuori dall’ora di catechismo, il campetto di calcio e il ping pong mi tenevano occupato e lontano dalla strada. Dopo il sacramento della Confermazione le cose cominciavano a farsi sul serio e con il gruppo del post-cresima iniziai a tenere impegnate anche le estati: dipingevamo le statuette della Madonna del Carmine fatte con il gesso e poi le esponevamo fuori durante le serate di novena. I primi campi scuola e le prime giornate della famiglia carmelitana accrescevano in me la consapevolezza che il percorso di crescita nella fede non è mai solo personale ma di comunità e che era il momento di dare alla parrocchia un servizio più maturo. Iniziai con quello all’altare e mentre imparavo ad usare il PC per poter compilare i turni dei ministranti, mi resi conto di avere una particolare predisposizione nell’area informatica; e allora perché non dare una mano in sala stampa? Sebbene mio malgrado abbia saltato qualche sessione di esame universitario perché c’erano da stampare i libretti natalizi e pasquali per le messe di comunità, tutto ciò che imparato in quella stanza, oggi, mi permette di sostenere, con il lavoro, la famiglia che due anni e mezzo fa decisi di costituire insieme a mia moglie, anch’essa conosciuta in parrocchia. Dopo aver scoperto di saper strimpellare una chitarra e di poter canticchiare discretamente decisi di servire la parrocchia prima con il canto, poi aggiunsi anche l’organo. I padri che mi hanno insegnato tutto ciò, sono ancora qui presenti. Mia moglie, poi, mi fece scoprire una famiglia nella famiglia in cui veramente il laico si forma al servizio della Chiesa: l’Azione Cattolica. Scoprì allora la bellezza del servizio educativo con tutte le difficoltà che questo comporta quando la comunità ti affida dei giovanissimi in piena crescita umana e cristiana. Le responsabilità aumentavano proporzionalmente alla mia età ma dire di no mi è sempre stato difficile, ma avevo anche imparato che c’è sempre Qualcuno che non ti abbandona mai. Ricoprì allora anche cariche extra-parrocchiali come per esempio quella di responsabile web diocesano per l’Azione Cattolica o in vicaria come referente per la consulta giovani della mia città. Da qualche anno faccio parte del consiglio pastorale parrocchiale, prima come responsabile giovani, poi come presidente parrocchiale di AC. Prima di ogni cosa però sono un carmelitano e tutte queste realtà convivono perfettamente perché hanno valori e scopi comuni. Qualsiasi componente di un gruppo parrocchiale è chiamato a dare la propria responsabilità e il meglio di se. Collaborare o partecipare solo a quello che il proprio gruppo organizza non serve e non fa crescere in comunità. Non meravigliamoci, per esempio, se un socio di AC o del Terz’Ordine carmelitano presta il suo servizio ai poveri attraverso la Caritas parrocchiale. Pur mantenendo la propria identità di gruppo il laico carmelitano si sente in famiglia e opera per il bene di tutta la parrocchia, qualunque sia l’impegno a cui esso è chiamato. Daniele Ruggiero


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