Vita Carmelitana gennaio-giugno 2014

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I n q u e st o n u m e ro

Vita Carmelitana

Periodico della Famiglia Carmelitana Provincia Napoletana Anno 76 - N. 1 Gennaio / Giugno 2014

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Editoriale

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Sale della terra Il Vangelo nel quotidiano

Una fraternità in ascolto in ascolto obbediente della parola

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Una fraternità come segno profetico

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di Bruno Secondin

Fuoco che trasforma La spiritualità carmelitana

di Bruno Secondin

Insieme come fratelli Notizie di cronaca

Centenario dell’Incoronazione dell’Immagine della Madonna di Mesagne L’ordinazione presbiterale di Fra’ Francesco M. Ciaccia XII Convegno Residenziale del TOC il rinnovo della presidenza e del consiglio Don Luigi Merola alla Giornata della Famiglia Carmelitana Capitolo Provinciale Elettivo 2014 della Provincia Napoletana Oasi dei Trulli 15 giugno 2014: Guardare, Contemplare, Amare

IN COPERTINA: Quadro di Elia Nasco.

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arissimi,

Editoriale

Apriamo questo numero speciale di Vita carmelitana dedicato al XII Convegno del TOC (San Giovanni Rotondo 1-3 giugno 2014) con l’estratto della relazione della presidente uscente

abbiamo iniziato il cammino di questo triennio con un PROGETTO TRIENNALE: L’impegno dei Carmelitani per la Giustizia, la Pace e l’integrità del Creato (Relatore p. Micael O.Neill). Su questa scia i Convegni dell’ultimo triennio: — Maria, in quest’epoca di cambiamenti, Modello e Testimone di una nuova immagine di Dio e del suo Regno (2012Relatore mons. Lucio Renna) — Elia, modello di Contemplazione e Azione, testimone di una nuova immagine di Dio e del suo Regno (2012 Relatore p. Roberto Toni) — La Regola Carmelitana: il Terziario Carmelitano Testimone impegnato nel quotidiano (2014 - Relatori p. Bruno Secondin e suor Anastasia di Gerusalemme). Il Consiglio Provinciale si è posto come obiettivo primario, per giungere ad una graduale e omogenea crescita delle comunità, la fo rm azio n e, concetto fortemente ribadito al Congresso Internazionale del Laicato Carmelitano. Ma nu a le d i Fo rma zio ne” curata da p. Mario Alfarano La prima tappa di questo cammino è stata la stesura del “M e da una commissione di terziari e consegnato alle comunità la prima domenica d’Avvento dell’anno 2009. Esso accompagna, attraverso quattro grandi tappe, il percorso formativo del laico carmelitano, che è chiamato ad approfondire la sua vocazione cristiana attraverso la spiritualità propria del Carmelo. Un cammino che non termina con il ricevere lo Scapolare e la Professione Perpetua, ma continua per tutta la vita, come precisa la Regola del T.O.C. al n. 87. Da qui l’inizio della scu ola di for mazion e; la commissione provinciale ha preparato le schede per il lavoro dei relatori, l’8 marzo 2014 abbiamo dato inizio alla scuola che si concluderà a settembre. I Convegni Residenziali ci permettono di incontrarci per condividere le nostre esperienze comunitarie, in spirito di fraterna crescita nella famiglia del Carmelo e a servizio della Chiesa. Una collaborazione attiva in questi anni si è cercata con i terz’ordini della Provincia italiana e del Commissariato di Napoli. La prima festa dei TOC delle tre provincie si è tenuta a Sassone nell’aprile 2012, relatore p. Mario Alfarano. L’ultima riunione che si è svolta a Napoli, nel mese di marzo 2014 presso la Basilica del Carmine. La seconda edizione della Festa delle Tre Provincie si svolgerà a Sas so ne l’ 1 1 e 12 apr ile 2 01 5, e avrà come tema: “Il Te r ziar io car me lit an o: la g io ia di se n tir si fr ate lli n e llo spir ito di S. Te r esa di Ge sù”, relatore p. Ro ber t o T on i. Nell’ultimo Consiglio Provinciale sono stati discussi ed approvati altri 5 articoli degli Statuti Provinciali, che si aggiungono a quelli esistenti, per meglio guidare le comunità nel mutuo rispetto secondo gli Statuti Generali nella Regola del Terz’Ordine Carmelitano. A nome del Consiglio Provinciale ringrazio di cuore il provinciale p. Enrico, per la valida e fruttuosa collaborazione in questo triennio, e il delegato p. Antonio Calvieri, per la sua disponibilità ed il suo affetto verso il terz’ordine. Ringrazio il Signore e Maria che mi sono stati compagni in questa avventura, il consiglio provinciale del Toc e mi scuso se spesso sono stata un po’ assillante, ringrazio tutti voi, auguro al nuovo consiglio di proseguire il cammino tracciato dal Consiglio uscente, sollecitando l’approfondimento di temi di attualità, in questo tempo che cambia velocemente. Maria, madre e sorella del Carmelo ci guidi alla sequela di Cristo. MARISA FOTIA MARTINO

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Sale della terra

Una raternitĂ in ascolto obbediente alla parola P. Bruno Secondin, O. Carm.

“La Parola di Dio abiti tra voi nella de tradizione monastica e spirituale, sua ricchezza. Con ogni sapienza istrui- che giungeva efficace fino ad allora. Era tevi e ammonitevi a vicenda con salmi, la prassi della “meditazione giorno e inni e canti spirituali, con gratitudine, notte della legge del Signoreâ€? (R 10), che cantando a Dio nei vostri cuoriâ€? (Col echeggiava l’invito del Salmo (Sl 1,2), diventata per 3,16). L’apola tradizione stolo Paolo monastica il cosĂŹ esortanucleo cenva i cristiani trale della della piccola vita e la sorcomunitĂ di gente della Colossi alla stessa safamiliaritĂ pienza mocon la Paronastica. la, e all’ediIn tutti gli ficazione rescritti principroca alicipali delmentata dall’Antico e del la sapienza Nuovo Tedelle Scritstamento si ture. riscontra La stessa que sta insifrase, all’apP. Bruno Secondin stenza sulla parenza adattata, ma di fatto arricchita di altri ri- centralitĂ della Parola ascoltata, pregachiami biblici, la si legge in un passag- ta, vissuta, insegnata, annunziata, tegio chiave della Regola del Carmelo stimoniata. Non semplicemente una Pa(abbreviazione: R): “La spada dello Spi- rola da leggere in un libro o da impararito, che è la Parola di Dio [Ef 6,17], di- re a memoria, ma una Parola da ascolmori in tutta la sua ricchezza [cf. Col tare con cuore obbediente, per trasfor3,10] sulla vostra bocca e nei vostri cuo- marla in cammino e prassi vincolante. ri [cf. Rom 10,8; Dt 30,14]. E tutto quel- Sono migliaia i testi che si potrebbero lo che dovete fare, fatelo nella Parola [in citare, non solo quelli del Deuteronoverbo] del Signore [cf. Col 3,17; 1Cor mio. GesĂš stesso dice di riconoscere mem10,31]â€? (R 19). Non proponeva una novitĂ particolare bro della sua famiglia chi ascolta la l’Apostolo, solo riprendeva, adattandola, Parola e la mette in pratica con cuore la tradizione ebraica della quotidiana docile e generoso (cf. Lc 8,15.21). E in meditazione della legge (cf. Dt 6,1-13). un altro contesto avverte che l’autentico Non proponeva niente di speciale la no- discepolo è colui che ascolta e mette in stra Regola: ma si collocava nella gran- pratica la Parola ascoltata, e costruisce 4

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tutto l’edificio spirituale su questa base solida (cf. Mt 7,24-27). Abbiamo proclamato nella liturgia di queste settimane le frasi di Gesù ai discepoli sull’intreccio fra conservare/osservare la Parola e la presenza del Padre in noi: sono espressioni che dobbiamo cogliere nelle ricchezza profonda che hanno. Non si tratta di moralismo. Lo stesso Gesù, di fronte alla crisi seguita alla sua crocifissione, ha guidato i discepoli alla scoperta del senso nuovo della sua presenza e della loro sequela, proprio con un itinerario di ascolto delle Scritture (cf. Lc 24,13-35.44-49). L’apostolo Pietro a sua volta definisce la Parola un seme immortale che rigenera a vita nuova ed eterna (cf. 1Pt 1,23), e Giacomo parla di legge di libertà e di felicità (cf. Gc 1,25). Per cui ascoltandola si comunica con la sapienza che porta alla salvezza. Come ribadisce Paolo, infatti, “tutta la Scrittura è ispirata da Dio e utile per insegnare, convincere, correggere e formare alla giustizia” (2Tim 3,16). E la lettera agli Ebrei rincara la dose dicendo che “la parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito, fino alle giunture e alle midolla e discerne i sentimenti del cuore” (Eb 4,12).

Il contesto che ci ha preceduto

Viviamo una stagione nuova, particolarmente feconda, circa la relazione fra Parola di Dio, coscienza ecclesiale e cammino della fede. Per secoli la Bibbia è stata “esiliata” dalla esperienza spirituale del popolo cristiano: fino alla metà del secolo scorso ci voleva un permesso speciale per avere in mano la Bibbia. Questa forzatura ha avuto certamente delle cause particolari: uno dei momenti critici è stato quando la riforma protestante ha insistito che tutti possono leggere e interpretare le Scritture. E per questo Lutero fece una famosa traduzione in tedesco – dal testo greco, non dagli originali – mettendo così il fondaGENNAIO / GIUGNO 2014

mento alla dignità letteraria della lingua tedesca. Spaventata delle conseguenze non sempre corrette, la Chiesa cattolica introdusse in quel contesto (1559) il divieto alle traduzioni in lingua volgare e ancor più fu proibito il commento senza autorizzazione. Influì fino all’ultimo secolo questa restrizione, arrivando perfino a dei roghi in piazza dei libri di traduzioni della Bibbia. La diffidenza pertanto ha prodotto una bella differenza fra i protestanti e i cattolici: i primi hanno la tradizione della Bibbia di famiglia, i secondi invece si sono concentrati sulle devozioni e le ritualità sacre. La pastorale e la spiritualità fino ai tempi recenti hanno sofferto di questa precauzione, insinuando nella mentalità cattolica la secondarietà della Bibbia rispetto ad altre cose cristiane. Cioè non è necessaria la Bibbia per essere cattolici. Ne siamo venuti fuori solo nell’ultimo secolo, ma ancora non siamo del tutto liberati dalla vecchia mentalità della “ignoranza delle Scritture”. Il Concilio Vaticano II, in particolare in Dei Verbum ha raccomandato con forza di recuperare la centralità della Parola nella formazione dei sacerdoti e nella vita di tutti i cristiani, sollecitando anche nuove traduzioni dai testi originali. Suggeriva perfino una diffusione anche presso i non credenti. A 50 anni di distanza i frutti di questo impulso si vedono: e veramente è grazia di Dio! Cito una frase del Vaticano II sulla urgenza di un ritorno alla centralità della Parola nella vita della Chiesa e nella personale vita spirituale: “È necessario dunque che la predicazione ecclesiastica, come la stessa religione cristiana, sia nutrita e regolata dalla sacra Scrittura. Nei libri sacri, infatti, il Padre che è nei cieli viene con molta amorevolezza incontro ai suoi figli ed entra in conversazione con essi; nella parola di Dio poi è insita tanta efficacia e potenza, da essere sostegno e vigore della Chiesa, e per i figli della Chiesa la forza della loro fede, il nutrimento dell’anima, la sor5


gente pura e perenne della vita spirituale” (DV 21).

Oggi una grande enfasi

Oggi è raccomandazione frequente dei pontefici più recenti rivolta a tutti, di avere con sé la Sacra Scrittura e di meditarla ogni giorno. Giovanni Paolo II e Benedetto XVI si sono distinti in particolare per l’insistenza a recuperare l’antica e classica prassi della lectio divina, sia in forma personale che anche in forma comunitaria (cf. NMI 39; VD 8687). E sono nate tante esperienze nuove e originali, anche fra i carmelitani. Poco

La Parola di Dio orienti la nostra vita

tempo fa Papa Francesco ha raccomandato di portare in tasca un piccolo vangelo, per poterlo consultare e meditare in ogni circostanza. Oggi possiamo dire che nel campo della promozione della lectio divina, noi carmelitani del ramo originario, abbiamo acquistato buona fama. Forse non siamo molto specialisti nella promozione della preghiera di tipo classico, ma in questo nuovo impulso invece siamo abbastanza attivi e originali: con esperienze diffuse e varie, e anche attraverso internet. Per questo a noi Papa Francesco ha fatto una bella raccomandazione nel messaggio al Capitolo generale (2013): 6

“Una delle vie più belle per entrare nella preghiera passa attraverso la Parola di Dio. La lectio divina introduce alla conversazione diretta con il Signore e schiude i tesori della sapienza. L’intima amicizia con Colui che ci ama ci rende capaci di vedere con gli occhi di Dio, di parlare con la sua Parola nel cuore, di conservare la bellezza di questa esperienza e di condividerla con coloro che sono affamati di eternità”. Mette insieme tradizione e spiritualità carmelitana genuina. E si potrebbe citare anche quello che Papa Francesco ha scritto in Evangelii gaudium, proprio sulla Parola di Dio nella vita cristiana. “Occorre sempre coltivare uno spazio interiore che conferisca senso cristiano all’impegno e all’attività. Senza momenti prolungati di adorazione, di incontro orante con la Parola, di dialogo sincero con il Signore, facilmente i compiti si svuotano di significato, ci indeboliamo per la stanchezza e le difficoltà, e il fervore si spegne. La Chiesa non può fare a meno del polmone della preghiera,... della lettura orante della Parola... Nello stesso tempo si deve respingere la tentazione di una spiritualità intimistica e individualistica... C’è il rischio che alcuni momenti di preghiera diventino una scusa per evitare di donare la vita nella missione” (EG 262).

Una nuova stagione anche per noi

Proprio da questa rinnovata passione per la Parola – cresciuta fra noi negli anni ’80 e ’90 – io ritengo che sia nata e si sia consolidata anche la nuova rilettura della nostra Regola. Perché anche per noi avveniva quello che è avvenuto con tutti: i riferimenti alla Scrittura nei testi fondativi venivano letti e capiti come ornamenti, cioè riferimenti senza particolare forza plasmatrice. Del resto il grande patrimonio della nostra spiritualità – quello espresso dai tre grandi dottori e dagli altri maestri e maestre – per tanto tempo lo abbiamo interpretato quasi a prescindere dalla VITA CARMELITANA - ANNO 76, N. 1


Sacra Scrittura. Oggi le cose stanno cambiando, resta comunque che anche loro erano dentro questo “esilio della Parola” che ha condizionato la spiritualità. Oggi facciamo tanti sforzi per riconoscere il fondo “biblico” della loro dottrina, la presenza ispirativa di modelli, espressioni, figure bibliche. Lo possiamo fare per moda ecclesiale. Non sarebbe la più nobile delle ragioni. Ma abbiamo una ragione ancora più stimolante: perché la stessa Regola è su questa linea, anzi più di tutta la nostra tradizione spirituale. È più attuale che mai la sua sapienza biblica. Ritornare a questa ricchezza biblica della Regola ci aiuterà a rigenerarci nell’autenticità. L’interpretazione “ascetica” della Regola ci ha divisi a volte in modo polemico. La nuova chiave biblica, che spiazza tutti noi, ci aiuterà a ritrovare le vie della comunione e del dialogo rinnovatori. Sorpresa dello Spirito, che ravviva il nostro carisma, facendoci ritrovare valori e progettualità che forse erano rimasti paralizzati per causa di altre priorità. La spiritualità dei secoli recenti, così individualista e fortemente ascetica, poco liturgica e carica di insistenze ascetiche, ci ha impedito di andare verso altri orizzonti. Oggi possiamo farlo. E sarebbe un peccato non farlo, per amore di tradizione mitizzata. Altri ordini non hanno questa possibilità di ritrovare nelle radici la novità, noi sì.

Un esempio significativo

Faccio un esempio. Classico è il passo della Regola: Maneant singuli in cellulis suis vel iuxta eas, die ac nocte in lege Domini meditantes et in orationibus vigilantes [Rimangano i singoli [fratelli] nelle proprie celle, o vicino ad esse, meditando giorno e notte la Legge del Signore (cf. Sal 1,2; Gs 1,8) e vigilando in preghiera (cf. 1Pt 4,7)] (R 10). Ebbene nei commentari si dava molto risalto al rimanere nella solitudine, a passare il tempo a pregare (anche trascurando il sonno). Non era centrale il meditare la Parola o la preghiera come vigile attesa. GENNAIO / GIUGNO 2014

Perché tutta la spiritualità era centrata sullo sforzo umano, sulla solitudine individualistica, sui metodi di orazione, di tipo artificiale. In un contesto di grande risveglio della centralità della Parola nella vita cristiana, questa lettura è caduta di valore, per dare più risalto invece alla centralità della Parola e della risposta orante a quanto Dio ci dice. E la solitudine della cella – grande mito del Carmelo – non è più il sacrario della spiritualità individualista, ma il crogiolo di un ascolto obbediente e impegnato della Parola. Dalla solitudine della cella infatti, si deve uscire – e la Regola lo mostra bene – verso un incontro comunitario fatto di preghiera corale (R 11), di comunione dei beni (R 12), di centralità eucaristica (R 14), di discernimento comunitario (R 15). Questa uscita non è a danno della solitudine e della preghiera solitaria, ma è verità vitale di quello che nella cella si verifica e si avvia: una Parola accolta proprio con il dinamismo della lectio divina – quel meditare ha senso medievale, non moderno – e che fiorisce plasmando fraternità vera, non ascensioni mistiche solitarie. Dopo essersi dissetati, nella solitudine, alla Parola di vita e amore, questa provoca la reazione della supplica e dell’attesa vigilante e intuitiva del Signore veniente. Ora nella casa di Maria (titolare della chiesetta), alla mensa del Signore, quell’acqua diventa vino nuovo, cioè vita unificata e plasmata (R 14). Non ha senso una meditazione solitaria, che mal sopporta la condivisione delle ricchezze di quella Parola vivente, alla mensa della Parola eterna fatta carne, volto e vita in pienezza. Condivisione anche nel dialogo comunitario e nel discernimento aperto al futuro di Dio (R 15). Ma anche la stessa lotta spirituale (R 18-19), la legge comune del lavoro per il proprio pane (R 20), lo stesso silenzio (R 21) sono elementi plasmati, ispirati, orientati dalla Parola e della finalità comunitaria, di vita “secondo giustizia” (Is 7


Arco della regola

32,17). Non sono palestre di ascesi fanatica, ma scuola di fraternità e di solidarietà, di comunione e relazioni sane. E tutto sotto la regia e l’ispirazione della Parola. Perché tutto il progetto si tiene insieme, grazie alla Parola che getta luce e impone percorsi e atteggiamenti di base.

Sacra Scrittura, Vitae formula e Regula

Ci sono quasi 200 tracce di citazioni bibliche nella Regula del Carmelo. Una parte sono citazioni dirette (una cinquantina), altre implicite, altre per allusione, simbologia, immaginario... Se pensiamo che tutto il testo latino ufficiale della Regola è fatto esattamente di 8

1090 parole, 200 citazioni bibliche sono tantissime! In particolare nel codice spirituale – sono i cc. 18-24 – possiamo dire che appare evidente una specie di lectio divina sistematica. Infatti si citano varie frasi bibliche direttamente, e molte più in modo indiretto e allusivo (cf. la nostra traduzione). Lo scopo non è moralistico: per farne una lista ampia. Ma per lasciarsi “mentalizzare” secondo la sapienza biblica: e infatti subito si invita a conformare la condotta a questa “sapienza”, come logica conseguenza. Sono pochi i capitoli che non hanno citazioni o allusioni di fonte biblica. Spesso queste citazioni intrecciano Antico e Nuovo Testamento, mostrando che non si sta semplicemente citando una frase biblica, ma si parla in libera familiarità col linguaggio biblico. È una cosa spontanea, familiare, come fosse normale. Il che consente di accostare testi diversi e lontani, intrecciarli, accostarli con piena originalità. C’è come il gusto e la spontaneità di mescolare il tutto in una sintesi che mentre interpreta il vissuto (richiamato dal termine tecnico: propositum), lo orienta verso la stabilizzazione in un progetto di vita (il vocabolo tecnico: vitae formula). Così tutto si impregna di sapienza biblica e la traduce in prassi concreta. È come se Alberto e i primi carmelitani (inclusi quelli dell’approvazione definitiva: 1247) non sapessero parlare se non con il linguaggio, gli schemi, l’immaginario biblico. E lo facessero per connaturalità totale, tanto da non poter più distinguere adeguatamente, oggi, pensiero biblico e pensiero dei redattori della Regola. Dice Mesters al riguardo: “Può benissimo essere interpretata [la Regola] come una grande lectio divina sviluppata, e anche un’esegesi vissuta che diviene teoria e struttura... Questa modalità d’utilizzo della Bibbia è frutto di una lunga e assidua lettura, contraddistinta dalla familiarità, dalla libertà e dalla fedeltà” (Far ardere il cuore, 91). VITA CARMELITANA - ANNO 76, N. 1


Quasi a dire che senza la Parola non si saprebbe dare senso alla vita. E senza la centralità sapienziale della guida della Parola il vissuto non sarebbe mai esistito in quella forma. Non è la Parola che “orna” il propositum (progetto e storia vissuta), e lo riempie di richiami sacri. Piuttosto il propositum trascritto nel testo della Regula, riassume e rappresenta il processo, l’impegno, il sogno di ascolto e l’incarnazione della Parola ascoltata, meditata e vissuta nella terra del Signore. In altre parole, non è un implicito schema giuridico che viene esplicitato e ornato con la Scrittura, ma una vissuta ed esplicita incarnazione della Parola che offre gli elementi, il linguaggio, le immagini per un quadro giuridico, che ha senso, valore e forza solo per la sua radice e la sua ispirazione biblica. È come nel matrimonio: non è perché si è sposati secondo le norme giuridiche e legali, che ha senso quello che si vive e si fa: convivenza, amore, fecondità, educazione, relazioni varie. Ma è l’amore vissuto intensamente che provoca, spiega e plasma tutto quello che si vive e si fa nel matrimonio. Senza la chiave dell’amore reciproco tutto appare solo contratto freddo e noioso...

Una nuova e più genuina chiave interpretativa

Stiamo applicando una chiave nuova alla nostra Regola. È una chiave ermeneutica nuova, che fa cambiare la prospettiva biblica sulla Regola: non è il propositum che ricorre alla Parola per dirsi; ma la Parola stessa che – siamo in Terra Santa! – ha plasmato in modo nuovo e originale il propositum. Questo poteva benissimo essere inteso all’inizio nell’orizzonte dell’ethos dei crociati e dei pellegrini in penitenza. Ma una volta stabilizzati in Terra Santa, protagonista è divenuta la Parola che impregnava luoghi e persone in quella terra che l’aveva ricevuta, conosciuta e memorizzata. Impregnati della Parola, erano quei fratres heremitae, GENNAIO / GIUGNO 2014

tanto che hanno rielaborato e rifondato il loro propositum. Si sono lasciati portare a nuovi orizzonti proprio meditando la Parola, vivendola in tutto come se fosse la propria lingua nativa. Hanno dato nuovo senso e nuovi orizzonti anche al loro vocabolario di partenza (forse di crociati, forse di pellegrini), grazie al vissuto e alle dinamiche di gruppo che vive la Parola. Per questo hanno senso nuovo i vocaboli tipici dei crociati: obsequium, fidelitas, servitium, propositum, ecc. Non è possibile pensare che nella Terra del Signore i nostri fratres heremitae (titolo nella bolla Quae honorem Conditoris: 1247) avessero altri progetti che non fossero quelli di dare nuova verità, nuova epifania alla Parola e alla sua sapienza orientatrice. Il luogo dove stavano, e più in particolare il Carmelo, legato al profeta Elia e ad Eliseo, imponevano una memoria vincolante, una specifica fonte [cf. iuxta Fontem...] a cui attingere, per trovare la forma propria di servire il Signore e la sua alleanza. Lo ricorda bene Jacques de Vitry, quando spiega perché alcuni di quelli che andavano in Terra Santa per vivere da monaci o eremiti sceglievano il Carmelo: “... Altri imitando l’esempio del santo uomo e solitario profeta Elia, vivevano come eremiti sul monte Carmelo... vicino alla fonte detta di Elia... ove come api, mellificavano il divino miele della dolcezza spirituale” (Historia Orientalis, 52). Questo linguaggio sulle “api” (meletao: estrarre il miele) è tipico vocabolario dell’esperienza classica patristica e monastica di meditare la Parola... Non è solo una bella immagine poetica... Sono diventati ben altro che crociati riciclati: sono ricchi di una nuova autocoscienza, resa esplicita poi anche dall’intervento di Alberto. E la nuova identità è plasmata dall’assidua meditatio della Parola. Tutto è stato come trasfigurato e orientato in maniera creativa: l’obsequium, e il pellegrinare, la fidelitas e la vigilanza, l’ascesi a ritmo pasquale, i passaggi dalla cella alla comunità che celebra e discerne. Anche lo stesso lavoro, 9


la lotta spirituale e il silenzio, sono percorsi per una vita secondo giustizia. Di questo è prova anche la sistemazione degli spazi, tra cella solitaria e convenire attorno a Cristo e la sua alleanza (la Messa), la libertà personale (nella flessibilità) e i grandi valori da vivere insieme. E in tutto questo è la Parola che tesse l’unità: con l’archetipo della comunità primitiva ben integrato (R 10-17), con la sapienza paolina soprattutto nel codice spirituale (R 18-21), con le allusioni ai modelli lucani e matteani (R 22-23; 24), con molte immagini plastiche che ispirano un agire simbolico e intenzionale (leone, freno, bilancia, frecce, infermità, età, itinerari...). La Parola ha fornito linguaggio e immagini, perché è stata “ruminata” a lungo, è diventata “pane e seme” (cf. Is 55, 10) per quei fratelli eremiti, loro legge, respiro quotidiano, legame reciproco. Se non fosse così non sarebbero stati capaci di una sintesi di questo tipo. Una sintesi espressa con una ricchezza di vocaboli che impressiona: si trovano circa 500 termini diversi. Un capolavoro! Se poi si dice che c’è la mano e la sapientia vitae dell’anziano patriarca Alberto (+1214), allora si deve anche dire che egli ha lasciato nel testo e nel progetto di vita anche del suo spirito, del suo carisma, del suo discernimento maturo. L’abbiamo sempre chiamato legislatore, forse è anche “padre”: in senso più ricco e sostanzioso... È logica conseguenza a cui ci ha portato p. Enzo Mosca.

Fuori dai vecchi orizzonti

È possibile riconoscere tutto ciò nella Regola se ci allontaniamo dall’interpretazione passata che sottolineava la prescrizione dei singoli capitoli, le obbligazioni, i divieti, i precetti, soprattutto il primato della vita mortificata. Per questo si spezzettava il testo in maniera oscena, secondo pre-comprensioni: come il primato della solitudine, della penitenza, del silenzio, della cella, della preghiera isolata. Il testo invece ha una sua

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unità vitale: è come un corpo, e nell’insieme tutto ha senso e armonia. Niente è lì per sbaglio o distrazione. Nella nostra Vitae formula – e la cosa continua meglio nella definitiva Regula (1247) – è proposta un’arte di orientarsi con sapienza, con flessibilità e libertà matura, nella convivialità serena delle differenze, senza fanatiche uniformità. In questa luce vanno interpretati i tanti spazi di libertà e di diversità, perfino aumentati con l’approvazione definitiva: perché niente diventi idolo, al posto della sapienza biblica orientatrice, sempre rispettosa di un oltre nella libertà (cf. R 24).

Fuori da vecchi orizzonti

Non si può interpretare bene la Regola se non si prende nella sua unità, nel suo ritmo, nel suo intreccio fra i vari temi. E il filo d’oro del tutto è proprio questa sapienza biblica che è oggetto della meditatio continua, che realizza la hypakoè, la ob-audientia, cioè il piegare ogni volontà al servizio fedele del Signore. Perciò giustamente si dice in tanti modi che la Parola deve abitare bocca, mente e cuore e opere, deve diventare orazione salmica, pensiero santo, cammino e fonte di discernimento, chiave di tutto (cf. R 10,11,14,15,18,19,20,21, 22, 23). È evidente e dominante anche nella struttura generale del luogo e nel ritmo dei tempi (quotidiano, settimanale, anVITA CARMELITANA - ANNO 76, N. 1


nuale, totale). La mia visualizzazione grafica della struttura della Regola – con l’immagine dell’arco – può aiutare e vederne l’armonia, l’intreccio, il ritmo giusto. Un’armonia che si è rafforzata e completata proprio con le aggiunte dell’approvazione definitiva. Si raggiungeva così non solo la maturità giuridica, ma anche la maturità esistenziale: con una vera possibilità di vivere un ideale chiamato: propositum (RC 2), custodia ordinis (R 15), conversatio (R 24), pie vivere in Christo (R 18), con ritmi e strutture che lo aiutavano ad essere “vivibile”, autentico e in progresso. E nell’arco ci sono tre punti fondamentali: i due basamenti, Sequela Christi e Adventus Christi, e tutto è ben compaginato dalla chiave di volta la Presentia Christi, l’eucaristia. Questa tiene insieme il tutto, come pienezza della Parola, e come fonte della sua efficacia trasformatrice. Entriamo dentro questa struttura che dimostra la centralità plasmatrice della Parola di Dio.

Il modello: la comunità di Gerusalemme

In questo periodo pasquale, abbiamo sentito nelle letture della Messa la narrazione della vita e degli sviluppi della comunità cristiana delle origini. Tutti ricordiamo che a Gerusalemme i credenti erano come un cuor solo e un’anima sola, e che “erano assidui all’insegnamento degli apostoli e alla comunione, allo spezzare il pane e alle preghiere. Tutti i credenti stavano insieme e avevano ogni cosa in comune...” (At 2,42ss). È l’immagine ideale che sempre ha affascinato. E nel periodo della nostra nascita affascinava in modo particolare, anche per la possibilità di riviverla proprio nella stessa terra dove era apparsa per la prima volta. Pellegrini e crociati, tutti sognavano di riprendere e restaurare la Chiesa dalle origini, là dove Gesù aveva iniziato tutto. Anche i nostri avevano lo stesso ideale. E di fatto possiamo scoprirlo dentro il testo stesso della Regula. Senza dirlo esplicitamente, hanno laTra fratelli a modello della comunità di Gerusalemme

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sciato traccia evidente. Se facciamo il confronto tra le caratteristiche descritte negli Atti sulla vita della comunità di Gerusalemme e il contenuto di R 10-17, il parallelismo è evidente. Vediamo in dettaglio: – la fedeltà alla Parola: R 10,7,19,20, 22,23 - Atti 2,42; 4,31; 5,42; 12,24 – la preghiera insieme: R 10 e 11 - Atti 1,14; 2,42-46; 4,24-31; 13,2-3 – la comunità dei beni: R 12,13,7,20 Atti 2,44-45; 4,32-35; 6,3 – la eucaristia quotidiana: R 14 - Atti 2,42.46; 4,32 – la centralità del culto quotidiano al tempio: R 14 - Atti 2,45; 5,12; 16,16 La stessa collocazione dell’oratorio da costruire in modo adatto e al centro delle celle (R 14) evoca il simbolismo profetico delle tribù attorno al tempio (cf. Ez 46,13; 48,8; Ag 2,9), con la presenza feconda del Signore in mezzo (cf. Sof 3,1418; Za 9,9s; Si 24,12). Si può aggiungere ancora la pratica del digiuno e dell’astinenza (R 16-17): nel secolo XIII si attribuivano alla prassi della chiesa primitiva. Infatti troviamo questa ascesi in Atti 13,2-3; 14,23; 2 Cor 11,27. Anche la stessa flessibilità nel prendere cibo quando ci si trova come itinerantes per la predicazione (R 17), fa parte delle indicazioni del Signore (Mt 10,10; Lc 10,7; 1Tm 5,18). Ma ci sono anche altri elementi che possiamo evidenziare: la scelta del prioLettura quotidiana della Parola

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re (R 4) richiama la scelta di Mattia (At 1,21ss); il titolo iniziale di Alberto: patriarca di Gerusalemme (è molto orientativo). Ma anche il titolo dato alla Cappella: Santa Maria, richiama Maria in preghiera con gli apostoli nel Cenacolo (At 1,14). Ogni giorno uscivano dalla loro cella, per convergere nel luogo dove la diversità si univa in unità attraverso l’azione di Cristo, alla mensa del Signore, nella casa di Maria. Era come riprendere ogni giorno l’itinerario al tempio della nuova Alleanza, sul modello della Gerusalemme dei profeti e degli Apostoli, e anche come ideale futuro, nella Gerusalemme ultima, attorno all’Agnello. Il ritmo era cadenzato dalla Pasqua: quotidiana (R 14), da quella settimanale (R 15), da quella semestrale (R16: digiuno), da quella definitiva (R 23,24).

Una verifica che collauda

La spiritualità che la Regola propone è una spiritualità di comunione con le origini della Chiesa, ma anche di relazioni fraterne intense, non fanatiche, leali e pazienti. Ma anche completate da altri modelli: come le comunità paoline (fondamentali i cc. R 18-21), e le comunità matteane (R 22-23) e lucane (R 24). Proprio questa comunione nella diversità, porta ad accogliere le debolezze e le necessità senza paura: una decina di volte si relativizza la prescrizione. C’è anche un evidente intento di sobrietà e di solidarietà con i poveri: cf R 13 (asini, muli, animali da cortile): è la scelta preferenziale di fare compagnia a chi ha risorse incerte. Si vede che al centro non c’è la rigidità giuridica, ma la sapienza orientatrice della Parola. Ogni fanatismo è assente, la fedeltà è liberata dai sospetti, ci si fida reciprocamente della maturità fedele e serena. Tanto è vero questo, se si considera che siamo in un contesto di guerre per il Signore (i crociati!) contro gli infideles, e di rigidità ecclesiale che organizzava il controllo e la repressione dei diversi (ereVITA CARMELITANA - ANNO 76, N. 1


I simboli della nostra fede portati all'offertorio

tici in Europa). I nostri carmelitani mostrano una mentalità di misericordia e di flessibilità, di adattamento e relativizzazione, quasi esagerata. Possiamo dire che avevano poca voglia di autenticità? O non piuttosto dire questo deriva dal la centralità della Parola? Perché nulla si anteponga alla sua centralità, nessuna prescrizione e nessun divieto diventassero assoluti “sacri”. Il Signore Gesù, da servire con totale fedeltà, e la sua Parola, da assimilare attraverso molti percorsi, personali e comunitari, di ascesi e di celebrazione, si impongono su tutto, sono l’orientamento vincolante. Lo dice anche esplicitamente R 19: “Tutto quello che dovete fare, fatelo nella parola del Signore”. Porto ancora un’altra prova. Nei capitoli finali (R 22-23) troviamo di nuovo il discorso sul priore e sui fratelli. Sembra un argomento già trattato altrove ( cf. R 4 e 9). Devono reciprocamente accogliersi e onorarsi. Ma interessante è la motivazione: tutti e due fanno questo perché hanno ben presente quanto il Signore ha detto sul ruolo degli uni e degli altri nella Chiesa. Non si tratta di un ultimo richiamo alla umiltà servizievole e all’obbedienza umile. Non si tratta semplicemente di buone virtù. Di fatto sempre si è commentato richiamando l’umiltà e la sottomissione, per il buono ordine delle cose. In realtà al centro è proprio la fedeltà – diciamo l’obbedienza nel senso etimologico (ob-audire) – in entrambi i casi, alla Parola, che va tenuta fissa (cf. semper) in mente, realizzata nelle opere, pensata ed eseguita. È come se si dicesGENNAIO / GIUGNO 2014

se, in altre parole: se il progetto della vitae formula è ben vissuto e realizzato, lo si può verificare dal modo come il priore e gli stessi frati, ascoltano e mettono in pratica la Parola del Signore. Il Signore è a fondamento iniziale (R 2), ha una posizione centrale (R 14; vedi arco) nella dinamica della struttura ed è atteso come pienezza di futuro (R 24): se è vero e vissuto, si deve vedere dalle opere, cioè se è davvero ascoltato e obbedito, da tutti. Alberto per primo ha fatto questo: ha costruito tutto tessendo in unità la varietà delle esigenze, proprio con il linguaggio della Parola. Essa non è né ornamento, né zeppa improvvisata, ma sapienza che tutto guida e interpreta. È logico che alla fine sulla fedeltà alla Parola si misurasse la riuscita del progetto, sia nel priore che nei fratelli. E sarà una fedeltà stabile (cf. R 22: chiunque dopo di te...), che caratterizzerà la vita e l’identità. E anche la chiusura finale del testo, rilancia ancora – con la parabola del buon Samaritano citata (R 24) – verso una fedeltà aperta, fuori schema, improvvisata, generosa. Sempre in vista di un incontro con il Signore che tutto ha orientato nel progetto, e lo viene a verificare e chiudere. Non separiamo il ritorno del Signore dalla sequela generosa, impegnata e alimentata dalla fedeltà alla Parola: “Non chi dice Signore, Signore... ma chi fa la volontà...” (Mt 7,21).

Non solo lectio divina

Ho sviluppato il tema proposto nel titolo, evitando di concentrare l’attenzio13


ne alla sola forma oggi più in rilievo, che tutto ciò che viveva – ritmi, riti, spazi, è l’ascolto orante, riflessivo, meditativo verifiche, ideali, relazioni, ruoli, presendi solito chiamato lectio divina. Questa ze, ecc – era plasmato dalla Parola, era certo è la forma oggi privilegiata, o me- in obbedienza alla Parola, era epifania glio, che più sta mostrando fecondità della Parola. Non quindi una Parola fra ecclesiale. Non è certo una invenzione tante altre esigenze ed urgenze. Ma l’obmoderna: è la grande tradizione antica bedienza alla Parola tutto rivelava e tutche è tornata in vita, prima come voca- to guidava. Tutta la vita era misurata bolo e poi come esperienza e percorso sul dare forma, corpo, visibilità alla Padinamico ecclesiale. Oggi attorno a que- rola, e alla sua grazia che plasma. È una sfida per tutti noi. Non mettesta esperienza ci sono molte attese e anche molta confusione: ci si mette dentro re la Parola fra tante altre parole. Non il libro della Bibbia, di tutto. fra altri libri. Ma Ma il cattivo il primato delle uso, non toglie Scritture, così spazio al buon che linguaggi e uso. Noi carmelisimboli, struttutani stiamo danre e ruoli, percordo in questo un si personali e buon contributo cammini fraterni, alla Chiesa, con ne svelino la forle nostre capaciza di convinzione tà e i nostri maee la grazia della stri. Certo non trasformazione. siamo gli unici. La Parola di Dio suscita la Fede Per dirla con Ma per quel che possiamo diamo un contributo di quali- Papa Francesco, anche noi siamo contà. Quello che possiamo – e dovremmo vinti e nella Chiesa cerchiamo di guidaavere la lealtà e anche la coerenza di re verso questa convinzione: “È la Paproporre – è anche il passaggio dalla pa- rola di Dio che suscita la fede, la nutre, rola meditata, nei vari metodi – alla Pa- la rigenera. È la Parola di Dio che tocca rola vissuta. Per non cadere nel puro i cuori, li converte a Dio e alla sua logica così diversa dalla nostra. È la Parola idealismo, senza prassi. La Regola ci mostra che la nostra fra- di Dio che rinnova continuamente le noternità delle origini era in ascolto assi- stre comunità” (Al clero e ai religiosi, duo e pervasivo della Parola. Ma anche Assisi 4/10/13).

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VITA CARMELITANA - ANNO 76, N. 1


La tua bellezza sia la mia

S

Una fraternitĂ

come

egno profetico

P. Bruno Secondin, O. Carm

Come tutti sappiamo, il profeta biblico nel suo esercizio e nella sua missione ha per caratteristica lo strumento della Parola di Dio. In questo, modello esemplare è il profeta Elia, simbolo di tutto il ministero profetico. Di lui il Siracide scrive: “Allora sorse Elia profeta come un fuoco, la sua parola bruciava come fiaccola“ (Sir 48,1). E anche nella iconografia spesso è rappresentato con una spada fiammeggiante in mano, oppure avvolto in un gran turbine di fuoco, mentre sale al cielo. Noi Carmelitani conserviamo – come tutti sanno – una particolare simpatia per il profeta Elia (e anche, un po’ meno, per Eliseo). Ma abbiamo interpretato nei secoli la sua fisionomia a preferenza come uomo di solitudine, di mortificazione, di fedeltĂ all’Alleanza. Anche se il suo grido sull’Horeb: Zelo zelatus sum pro Domino Deo exercituum, figura sul nostro stemma, non lo vedevamo come uomo impegnato nella giustizia, nella solidarietĂ , nella compassione. Ci sembravano valori che non si integravano bene nella nostra identitĂ â€œcontemplativaâ€?, dove la solitudine del CherĂŹt e la brezza leggera dell’Horeb dovevano dare il tono dominante. Per secoli quindi Elia era collocato in questa fisionomia “fuori dal mondoâ€?, affascinato da Dio. Oggi la fisionomia del profeta Elia è stata profondamente ripensata: sia a livello esegetico, sia a livello di testimone della Parola, sia come modello di servizio al Signore. Abbiamo riletto le sue fasi critiche con piĂš attenzione e intuizione: non sono occasionali, come si pensava, perchè mostrano una personalitĂ GENNAIO / GIUGNO 2014

complessa e un testimone di Dio diverso dai nostri schemi. Abbiamo ritrovato in lui tutto un travaglio nella comprensione del Dio di Israele, abbiamo dato soprattutto forte risalto alla sua solidarietĂ con il popolo, specie con i poveri. Con questa sensibilitĂ nuova, ben altro significato prendono per esempio la risurrezione del bambino a Sarepta, la sfida sul Carmelo, la lotta per la pioggia, la difesa del povero Nabot, la depressione mortale nel deserto, la stessa teofania sull’Horeb, e anche la scenografia della salita finale al cielo. Sono tutti elementi che venivano piegati a significati non in contrasto con lo schema della solitudine e dello zelo generoso per JahvhĂŠ. In questa operazione di ripensamento e rielaborazione prezioso è stato il contributo del nostro Carlos Mesters. I tre cammini da lui messi in luce: il cammino della giustizia, della solidarietĂ e della mistica, sono diventati chiavi innovative. La sua memoria, che sembrava condurre solo verso vette solitarie e mistiche, è diventata cosĂŹ sovversiva, in maniera molto efficace (cf. il contributo di C. Mesters nel libro a cura di B. SECONDIN, Profeti di fraternitĂ , EDB 1985, pp. 15-40). E ne abbiamo avuto vantaggio e ispirazione tutti. Non posso dilungarmi su questo punto, ma ci sarebbero tante cose da dire. Ritornerò nella seconda parte, fra poco. Ricordo solo che perfino Giovanni Paolo II, nell’esortazione Vita consecrata, proprio a questa nuova interpretazione ha fatto appello, per sollecitare i religiosi ad un nuovo impegno profetico (VC 84). Ecco il testo: “La tradizione pa15


Un momento del convegno

tristica ha visto un modello della vita religiosa monastica in Elia, profeta audace e amico di Dio. Viveva alla sua presenza e contemplava nel silenzio il suo passaggio, intercedeva per il popolo e proclamava con coraggio la sua volontà, difendeva i diritti di Dio e si ergeva a difesa dei poveri contro i potenti del mondo (cfr 1 Re 18-19)”. È una nuova fisionomia.

Parola-Profezia-Fuoco

L’associazione Parola-Profezia-Fuoco, è classica nella Bibbia. Anzi proprio questa è la fisionomia tipica che Mosè ha offerto sulla funzione del profeta in Dt 18,15-22. Vediamo da vicino questa pagina, per ricondurci poi alla funzione della fraternità come “segno profetico”. Ecco il testo biblico: Il Signore, tuo Dio, susciterà per te, in mezzo a te, tra i tuoi fratelli, un profeta pari a me. A lui darete ascolto. 16Avrai così quanto hai chiesto al Signore, tuo Dio, sull’Horeb, il giorno dell’assemblea, dicendo: “Che io non oda più la voce del Signore, mio Dio, e non veda più questo grande fuoco, perché non muoia”. 17Il 15

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Signore mi rispose: “Quello che hanno detto, va bene. 18Io susciterò loro un profeta in mezzo ai loro fratelli e gli porrò in bocca le mie parole ed egli dirà loro quanto io gli comanderò. 19Se qualcuno non ascolterà le parole che egli dirà in mio nome, io gliene domanderò conto. 20 Ma il profeta che avrà la presunzione di dire in mio nome una cosa che io non gli ho comandato di dire, o che parlerà in nome di altri dèi, quel profeta dovrà morire”. 21Forse potresti dire nel tuo cuore: “Come riconosceremo la parola che il Signore non ha detto?”. 22Quando il profeta parlerà in nome del Signore e la cosa non accadrà e non si realizzerà, quella parola non l’ha detta il Signore. Il profeta l’ha detta per presunzione. Non devi aver paura di lui.

Un contesto da notare: questa è la quarta funzione sociale che viene descritta e su cui si danno indicazioni. Prima sono state date indicazioni sul compito dei giudici (Dt 17,8-13), che devono operare secondo giustizia (17,11). Segue poi il “compito” del re (17,14-20): egli dovrà sentirsi fratello fra fratelli, e apprenderà la sapienza dalla lettura quotidiana della Legge! (17,19). VITA CARMELITANA - ANNO 76, N. 1


In terzo luogo si parla del ruolo del sacerdozio levitico: i sacerdoti, quelli sparsi nelle varie città e quelli dediti al culto nel santuario centrale, devono vivere delle primizie, delle offerte e i sacrifici per il culto, e quindi il popolo deve mantenerli osservando le leggi. Ora queste tre categorie col tempo avevano perso la freschezza e si erano istituzionalizzate, si erano trasformate in status ereditario, insensibile alle nuove esigenze. Le quattro istituzioni sono finalizzate all’unica obbedienza alla Torah, nell’ambito della propria competenza. L’importanza dei profeti: essi non erano di tipo ereditario, ma erano suscitati di tempo in tempo da Dio per interpretare le situazioni e richiamare alla fedeltà, ma senza sclerotizzarla. Il testo è preceduto dalla condanna delle varie forme di magia, di preveggenza e di superstizione. Ciò serve a distinguere bene il ruolo del vero profeta secondo Dio. Interessante notare che del profeta si parla al singolare, quasi fosse una figura unica, come era stato Mosè alle origini del popolo di Israele. Unicità della profezia (anche se non in senso stretto e letterale) per indicare la necessaria convergenza di tutto il popolo verso una sola parola e una sola obbedienza. Alla molteplicità di curiosi mestieranti (indovini, maghi, incantatori, ecc.) del contesto è così contrapposta la figura unica e suprema del vero profeta, garante dell’unità nella fedeltà.

ta nell’incandescenza dell’incontro con Dio: come già per Mosè sull’Horeb. Sarà qualcuno che a nome del popolo, per il bene del popolo Dio attira vicino al suo fuoco, gli rivela i progetti della sua parola, e poi manda fra i fratelli. Una esperienza scioccante è alla base della vocazione/funzione del profeta. Come del resto ci mostrano le vocazioni di Isaia (c. 6) e Geremia (c. 1) e di tanti

Di per sé non c’è qui una vera definizione del profeta, neanche una descrizione precisa della sua funzione. Ma risalta la caratteristica tipica: nella Parola è la sua forza e la sua originalità: una Parola che egli non possiede. Egli ne è posseduto, ed essa lo costringe ad agire e obbedire. È chiamato a trasmetterla al popolo perché obbedisca e accetti quanto Dio dice e fa, con cuore umile e fedele. E dove e come il profeta conosce la Parola di Dio? Questa Parola viene conosciuta e incontrata dal profe-

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altri. Questa esperienza di paura e insopportabilità è stata all’origine della identità del profeta: come dice qui il testo. Per la paura e il terrore del popolo - di fronte ai fenomeni del fuoco e dei tuoni - Dio ha concesso solo a Mosè di ascoltare la Parola e poi trasmetterla. E nel seguito Dio prometteva che un mediatore potesse avvicinarsi a Lui e mettersi al servizio del popolo, per far cono-

Profeti in mezzo ai loro fratelli

scere la Parola e la volontà di Dio. Mosè nella scena originale faceva proprio questo, scendendo dal monte con la faccia luminosa. Il profeta gli sarà simile nei periodi successivi: tutti al servizio della Parola. Non è l’essere umano che si fa coraggio e si accosta a Dio; ma è Dio che sceglie uno come suo portavoce, lo avvolge di fuoco e lo istruisce al posto del popolo e per il bene di tutto il popolo. Si noti: susciterà per te, in mezzo a te, tra i tuoi fratelli, un profeta pari a me” (Dt 18,15). Non una idea della Parola: il profeta è l’uomo della Parola per antonomasia: la sua vocazione passa e si realizza proprio per l’obbedienza alla Parola, per il 18

servizio alla Parola. Non è lui il padrone della Parola, non possiede la Parola. È posseduto dalla Parola, invaso, gli brucia dentro. Non una parola come idea, ma la Parola (= Dio attivo, in fondo) che agisce, che sta operando nella storia: il profeta la conosce prima degli altri, perchè Dio stesso lo tira a sé, e anzi gli fa “vedere” la Parola che compie cose nuove, anche se ancora non si vedono. Sente il rombo di una Parola trasformatrice, o che giudica, o che promette e realizza: e già proclama come vero quello che altri non vedono, non credono possibile. Non indovina cose future, le vede, le sente come attive e vere, già in atto, perché gli è dato di sentire il rombo di Dio in anticipo. Per questo si dice nei profeti che vedono la Parola, e poi la fissano in scrittura (cf. Ab 2,1-2; Ap 1,12). E questa Parola lo trasforma nei gesti, nel corpo, nella psiche: per cui il profeta si fa annunciatore con tutto il suo essere. Con i gesti, con le parole, con i silenzi, con oggetti e invettive e giudizi, con immagini poetiche, con simboliche azioni. Geremia, Osea sono due splendidi esempi di questo stile. E proprio per questa fragilità “personale” della simbologia a volte non sono capiti, e sono rifiutati, derisi, ostacolati, anche uccisi. La loro stessa sorte è infine parola ultima, estrema. Tutto in loro è parola incandescente, che arde e brucia. Non per nulla di Elia, il simbolo dei profeti, scrive Siracide, che la sua parola bruciava come fiaccola (Sir 48,1). E il turbine infuocato finale è come la sua ultima parola profetica. VITA CARMELITANA - ANNO 76, N. 1


Una identità collettiva

Il profeta non è scelto dal popolo, ma da Dio stesso: per essere il primo obbediente a nome e beneficio del popolo. Per questo è ripetuto che sarà suscitato tra i tuoi fratelli (v. 15), in mezzo ai loro fratelli (v. 18). È suscitato e costituito per essere luminoso in mezzo ai fratelli, trasfigurato e forgiato dalla Parola, per trasmetterla integra a beneficio della fedeltà del popolo intero. È un fratello che serve la volontà del Signore in mezzo ai fratelli: è il primo obbediente alla Parola, è corpo trasfigurato e vincolato, perché il popolo intero sia obbediente e vincolato. La prossimità e l’intimità con Dio non lo sottraggono dalla comunione col popolo, ma anzi sono finalizzata a diventare comunione con i fratelli, in piena solidarietà con loro. Possiamo dire che la sua presenza è più sacra del tempio stesso: egli è tempio vivente della Parola, è corpo e vita infiammati dalla Parola. Anche il riconoscimento è un processo collettivo. Si dice che sarà profeta vero se quanto dice si realizza: può avere senso materiale, temporale, dopo i fatti si constata la veridicità. Ma si può aggiungere anche altro: data la sua funzione di essere mediatore di Dio presso i fratelli, per favorire la loro obbedienza alla Parola, il riconoscimento della sua verità non avviene solo dopo i fatti annunciati e accaduti, ma già nella stessa accoglienza della Parola. Mi spiego. Ognuno deve arrivare a sentire il vincolo con la Parola, che ha creato il popolo. Quindi la veridicità di quanto il profeta sta dicendo deve essere in atto già attraverso l’ascolto accogliente del popolo. Il popolo che ama e obbedisce alla Parola, percepisce subito se quanto il profeta dice corrisponde, lo aiuta, ha lo stesso suono e vigore della Parola che già anima e guida il popolo. C’è un “sensus propheticus” in atto nel GENNAIO / GIUGNO 2014

popolo, e questo lo aiuta a discernere la sintonia fedele già ora fra la memoria di quanto Dio ha detto e la parola del profeta che parla in nome di Dio. È proprio questa l’idea di Papa Francesco, nella esortazione Evangelii Gaudium 121-129. Sono in numeri dove si parla della pietà popolare e della mistica del popolo. “Nella pietà popolare, poiché è frutto del Vangelo inculturato, è sottesa una forza attivamente evangelizzatrice, che non possiamo sottovalutare: sarebbe come disconoscere l’opera dello Spirito Santo... Le espressioni della pietà popolare... sono un luogo teologico a cui dobbiamo prestare attenzione” (EG 125-126). Per questo poi ribadisce che il sacerdote nel predicare la Parola, oltre una personale obbedienza al Signore che parla (“con cuore docile e orante”: EG 149), deve anche stare “in ascolto del popolo, per scoprire quello che i fedeli hanno bisogno di sentirsi dire. Un predicatore è un contemplativo della Parola ed anche un contemplativo del popolo” (154). Alla luce di questo intreccio fra personalizzazione della Parola e servizio profetico, vorrei ora fare alcune applicazioni per noi carmelitani.

Nostro esercizio profetico

La prima applicazione che viene spontanea è questa: non possiamo parlare di “segno profetico” come se fosse una attività che si aggiunge, un settore dove facciamo qualcosa, con ardore, 19


una aggiunta per renderci protagonisti, per farci notare. La prima conseguenza di questo fondamento biblico dell’identità del profeta è prendere sul serio questa scuola della Parola: che è l’ascolto intenso, obbediente, pervasivo della Parola. Fino a diventarne posseduti e ustionati, fino ad esserne trasfigurati, impregnati, trasformati. In base a quello che abbiamo detto sull’ascolto della Parola nella prima conferenza, il carmelitano riuscito, realizzato, secondo il progetto della Regola, è quello che diventa in tutto icona della Parola, la ha nella mente e nel cuore, la vive nelle opere e nei progetti, la mostra nei ritmi di vita e nelle attese, lo guida nel discernimento personale e comunitario, e si rivela anche nelle stesse strutture materiali e insomma in tutti gli elementi dell’identità. Come abbiamo visto, la Parola nella Regola non è lì per caso, ma tutto condiziona e in tutto brilla come forza plasmatrice e chiave interpretativa. Si è “segno profetico” nella famiglia carmelitana, anzitutto se proprio questa obbedienza alla Parola è totalizzante, pervasiva. Non perché si fa la lectio divina, non perché si medita spesso la Scrittura, non perché proponiamo la memoria del profeta Elia, non perché ripetiamo la dottrina originale (e creativa) dei nostri santi mistici e dottori, ecc. Ma perché in tutta la nostra vita la parola di Dio è un crogiolo che ci infiamma e ci ustiona, ci purifica e ci fa creatura Verbi, come appunto deve essere la Chiesa intera. Segno profetico di una esistenza dominata, ritmata dalla Parola, iconizzata dalla potenza della Parola. Dobbiamo essere nella chiesa - proprio in base alla nostra Regola, e anche per fedeltà al modello guida che è Elia profeta, e alla icona santa di Maria di Nazaret, modello sublime di una Parola ascoltata e generata nella carne - questo “segno” forte, questa concreta realtà che incarna questa esigenza. C’è pericolo che nella chiesa ancora una volta 20

la Parola di Dio diventi una delle tante mode, una delle tante risorse pastorali, o forse anche una delle tante devozioni. Noi dobbiamo essere maestri che sanno orientare verso una conformazione totale alla Parola, icona del primato della Parola, della sua potenza trasformatrice, impregnati del suo linguaggio, della sua vitalità, della sua speranza. Nel progetto della Regola che vi ho illustrato potete vedere bene come la parte centrale - nella proposta dell’arco è ancora più evidente - è movimentata dalla Parola, meditata, vigilata, pregata, praticata, celebrata (vertice), condivisa, sostenuta dall’ascesi, predicata. La chiave di volta è costituita dall’eucaristia, che è la pienezza di quanto la parola promette e realizza. Ma verso l’eucaristia convergono tutte le altre pietre (che sono fondamenti vivi): gli preparano l’essere culmine, ma anche ne mostrano la ricaduta operativa. E anche la lotta spirituale (con i vari elementi), fino alla verifica finale sul priore e i fratelli, è conseguenza vitale della centralità della Parola e della presenza del Signore. Tutto si tiene e tutto ne riceve influsso. Non si tratta di pura armonia simpatica, si tratta di verità profonda della nostra fede. E questo va testimoniato con evidenza e senza formalismi.

Tre modelli che ci orientano

Veniamo ora ad un altro punto nodale della nostra identità ecclesiale. Noi abbiamo per figure ispirative e modelli orientativi il profeta Elia e la vergine Maria di Nazaret. Ma nella Regola ci è proposto esplicitamente anche Paolo come maestro ed esempio (R 20). Sviluppiamo qualcosa su ciascuno di questi.

a. Elia profeta Abbiamo già detto che la sua esemplarità è stata arricchita dalle riflessioni più recenti - specie per il contributo di Carlos Mesters - evidenziando in lui il cammino della giustizia, della solida-

VITA CARMELITANA - ANNO 76, N. 1


rietà e della mistica. Ma su questa scia, ci sarebbero tante possibilità di ampliamento e di nuova “profezia”, eloquente oggi. E così riprendiamo il tema. Per esempio, tutti conosciamo l’episodio del soggiorno di Elia a Sarepta,

Elia profeta

presso la vedova e il ragazzo (1Re 17,824). Elia vi giunge da perfetto sconosciuto, ma è accolto con generosità e fiducia dalla vedova, almeno per la prima parte. Quel mangiare insieme il frutto dell’obbedienza alla parola del Signore - “La farina della giara non venne meno e l’orcio dell’olio non diminuì, secondo la parola che il Signore aveva pronunciato per mezzo di Elia” (1Re 17, 16) - mostra uno stile di profeGENNAIO / GIUGNO 2014

ta che si associa al miracolo. Un profetismo in fondo che fa comodo ad Elia stesso, e fa della donna una semplice esecutrice, anche se umile. Ma quando succede il patatrac, e muore il ragazzo, che era l’unico sostegno futuro della donna, tutto esplode. La donna si ribella e impreca contro l’uomo di Dio, esecutore della sentenza punitiva di Dio, per una colpa misteriosa del passato. Elia è costretto a riconoscere il proprio fallimento, e si spinge fino a far proprio il dubbio e la quasi bestemmia della donna. Quell’abbraccio al corpicino freddo, quel grido carico di dubbio, quella implorazione impotente a Dio, “il Signore della vita” - tanto proclamato da Elia a parole: “Per la vita del Signore...” (cf. 1Re 17,1; 18,15) - mostrava lo spavento del profeta e il suo fallimento. E invece proprio da quella situazione di estrema paura e sofferenza, la vedova ha capito la novità di Dio, attraverso il profeta Elia: “Ora so veramente che tu sei uomo di Dio e che la parola del Signore sulla tua bocca è verità” (1Re 17,24). La pagana, povera e ferita a morte, ha intravisto nell’angoscia di Elia, nella sua supplica impotente, nel suo abbracciare la morte e condividere il dubbio, un volto nuovo di Dio. Il volto di un Dio fatto “impotente” (non onnipotente), un Dio compassionevole, che si carica dei nostri dolori e “con forti grida e lacrime” (Ebr 5,7) si fa intercessore. Ha visto il futuro volto autentico di Dio rivelato nel Figlio Gesù Cristo. E onestamente lo ha proclamato davanti ad Elia: è come se lo promovesse ad autentico profeta del Dio della vita. Non è per la risurrezione del ragazzo che lo riconosce profeta vero, ma per 21


la compassione e il dubbio. Ha visto un altro “Dio”, ha insegnato ad Elia di quale Dio era davvero profeta. Un grande lezione per noi - oggi particolarmente evidente nel magistero orale e gestuale di Papa Francesco - : essere testimoni della misericordia, della tenerezza, della “vulnerabilità” di Dio. E guardando bene dentro la Regola, noi troviamo che la mentalità ivi diffusa non è quella delle grandi imprese ascetiche, delle rigidità sacralizzate, della repressione dei peccatori. Ma è tutta pervasa dalla misericordia, dalla comprensione e dal rispetto per le fragilità, le età, le debolezze... E anche quando si riscontrano “excessus et culpae fratrum“ (R 15), il rimedio è la metodologia paolina carità compassionevole: [caritate media corrigantur cf. Gal, 6,1]. Un altro episodio del profeta Elia, anche questo molto noto, è la scena finale del rapimento in cielo (2Re 2,1-15). Di solito badiamo solo al carro di fuoco, al mantello che cade, ad Eliseo che lo raccoglie. Ma c’è un particolare a cui di solito non si bada, e invece è importante: la presenza dei cinquanta figli dei profeti (2Re 2,15). Essi assistono da lontano al rapimento nel fuoco, e poi vedono Eliseo aprire le acque del Giordano col mantello e attraversarlo fino a congiungersi a loro. Ed esclamano: “Lo spirito di Elia si è posato su Eliseo”. Anche questo è un momento chiave e ispirativo per noi, è fatto decisivo. Eliseo è riconosciuto “profeta” e successore di Elia da chi conosceva bene lo stile del grande “padre” (cf 2Re 2,12). Elia aveva aperto cammini di fedeltà e alleanza nuova in mezzo ai “giordani” della vita, carichi di turbolenza, come lì vicino allo sbocco del fiume nel Mar Morto. Alla fine della vita Elia aveva proprio simbolicamente riassunto il suo zelo ardente attraversando fisicamente il Giordano, come sintesi di una vita. È questa eredità che ha lasciato, col simbolo del mantello, sulle spalle di Eliseo. Eredità che spaventa Eliseo, tanto che grida in riva al fiume: “Dov’è il Signore, 22

Dio di Elia?” (2Re 2,14). Aprendo le acque di nuovo, Eliseo sta gestendo, simbolicamente, la stessa missione: aprire sentieri di libertà e di liberazione in mezzo ai gorghi della vita. E proprio per questo i figli dei profeti lo riconoscono segnato dallo “spirito di Elia”. Si tratta di mettere in pratica quello che abbiamo detto ieri, cioè è il compito del popolo di fronte al profeta: riconoscersi nella sua parola/azione, perché si porta nel cuore un istinto per la vera parola di Dio. È anche qui quella mistica popolare di cui ha parlato papa Francesco. È importante che il nostro essere segno profetico sia percepito dal senso di fede del popolo. Se il popolo non ci riconosce, non lo siamo, giochiamo a fare i profeti. Ci limitiamo a rivestirci del manto del profeta, ma senza continuare la sua missione audace e liberatrice.

b. Santa Maria Anche qui siamo ben consapevoli della ricchezza che portiamo nella nostra tradizione. Non occorre riprenderla. Sappiamo che di Maria si trova nella Regola solo la traccia indiretta nel cenno alla “cappella in mezzo alle celle” (R 14). Quella chiesetta sarà dedicata subito - la prima notizia è del 1220 circa a “Santa Maria” e il nome ufficiale del gruppetto dei fratres heremitae sarà “fratelli di Santa Maria del monte Carmelo” (sicuramente dal 1252). La ragione di questa scelta della titolare (la medievale Domina loci) non la sappiamo, ma non sono vietate le congetture. Facile pensare che se il loro ideale era riprodurre la comunità di Gerusalemme, Maria non poteva mancare, perché ella era là in mezzo, al Cenacolo, ad attendere la pienezza dello Spirito (cf. At 1,14). Nulla vieta di pensare così, perchè sarebbe seriamente coerente con tutto il progetto che troviamo nella Regola. Si potrebbe anche pensare - sempre sulla stessa linea della presenza orante di Maria fra i primi credenti - in manieVITA CARMELITANA - ANNO 76, N. 1


ra più simbolica. In questo costruire e adattare la cappella (R 14), in questo andare e venire quotidiano verso/da questo grembo centrale, ognuno è rigenerato a vita nuova, nutrito dal pane di vita attraverso il mistero pasquale nella Gerusalemme “simbolica”. Giorno dopo giorno con-celebrano, con-dividono, con-vivono il mistero dell’Agnello senza macchia, generato dal grembo della madre purissima. E questo avviene proprio al centro, in quella cappella che sta in mezzo alle celle, ma anche al centro di tutta la loro identità e i loro sogni. Spontaneamente, lo stile di vita che cercavano di realizzare, presso la fonte del profeta Elia, convergendo ogni giorno per essere plasmati dal mistero pasquale, poteva trovare icona rappresentativa diversa da quella di Maria? Ben più che la domina loci, essa è l’icona di una ascolto che tutto trasforma, è sorella nel cammino verso la Gerusalemme quotidiana e ultima. Una fraternità-piccola chiesa, attenta alla Parola e aperta alla sua fecondità misteriosa; esultante nella lode salmica e vigilante con cuore puro nelle orazioni; ricca di tenerezza e misericordia in mezzo ad un contesto pieno di violenza; forte nella prova e riconoscente per la fedeltà di Dio lungo i secoli, generosa, ospitale e discreta verso tutti: poteva pensare ad altra “titolare” o “patrona”? Due espressioni sono classiche nel Carmelo: sub tutela Matris e Maria soror nostra. L’una e l’altra esprimono bene questa identità “mariana”, non tanto per la devozione, quanto per la dedicazione alla Parola e per lo stile di tenerezza, fraternità e misura in tutto. Una proposta nuova avrei anch’io da fare, e proprio di natura “profetica”. Pensiamo al tempo delle crociate: era molto importante localizzare in un luogo materiale ogni ricordo biblico, sia sulla base dei testi canonici, sia dai testi apocrifi. Non era importante che ci fosse una certezza storica: i pellegrini volevano un segno, un luogo, dove fare memoria. Anche oggi in Terra santa troGENNAIO / GIUGNO 2014

Maria

vate questa “localizzazione” di ogni memoria biblica. E ogni “memoria” ha la sua chiesetta o il santuario, un segno comunque presso il quale sostare e ricordare. Applichiamo a noi. Se quel titolo dato alla petite Eglise manifestasse esplicitamente anche un legame con l’episodio della nuvoletta di pioggia benefica del profeta Elia? Di fatto non troviamo negli itinera dei pellegrini menzionato un luogo che ricordasse l’episodio della nuvoletta (1Re 18,44ss). Eppure quell’episodio avvenne proprio sul Monte Carmelo. E i padri e il medioevo davano a quella nuvoletta il senso mariano: era simbolo della piena di grazia, che sale dal mare senza esserne inquinata, che va verso la terra dell’umanità assetata, e porta la pioggia della grazia ristoratrice. Era una interpretazione conosciuta e diffusa, e certamente non ignota ad Alberto e agli eremiti del Carmelo. Perché non pensare che poteva essere del tutto logico e significativo “localizzare” nella cappella un simile evento biblico, carico 23


di tanto valore salvifico? Non manipola niente, anzi esalta ogni altro valore. Se fosse così – e non ci sono prove contrarie, anzi sarebbe logico nella mentalità del tempo – questa ragione consentirebbe di unire la memoria del profeta Elia (e la sua ispirazione cui allude il presso la fonte: R 1) con quella di Maria, la virgo purissima, apportatrice di grazia e di nuova vita. Sarebbe anche un legame stretto fra la Madre e il Figlio, presente nel mistero ogni giorno celebrato là al centro: lì la nube della grazia rinnova la vita, fermenta la fraternità e sostiene il cammino di tutti. Lì ogni giorno anche si preannuncia la pienezza della Gerusalemme ultima, dove, assieme all’Agnello che guida i salvati e tutto illumina, domina anche la Madre del Salvatore, circondata da 12 stelle, e brilla anche Elia “redivivus”. Interpretando così, noi esercitiamo una funzione profetica di qualità: la nostra “marianità” non e fatta tanto di gesti sporadici, di imprese dove noi siamo protagonisti, e Dio quasi fa da presenza sullo sfondo. Ma è una identità che si plasma con tutto lo spessore biblico della natura della profezia: icona di grazia e di speranza, trasfigurazione e tenerezza, chiesa-fraternità e Gerusalemme nuova. Le acque della fonte del profetismo di Elia e le acque vive della Parola meditata giorno e notte (R 10), e conservata nel cuore in tutta la sua ricchezza (R 19), per agire in tutto secondo giustizia (R 20; cf Lc 2,19.51) e per metterla in pratica (R 22; 23), riempivano le anfore nella solitudine e sostenevano l’agire e il pensare. E poi al mattino, al banchetto dell’Agnello, sotto lo sguardo della Madre, si trasformavano in vino della nuova Alleanza, sorgente di vita piena. c. Paolo apostolo Non c’è dubbio che la Regola propone Paolo Apostolo come un modello, ed esplicitamente. “Avete l’insegnamento e l’esempio dell’apostolo san Paolo, nella cui bocca parlava Cristo, e che Dio ha co-

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stituito e dato quale predicatore e maestro delle genti nella fede e nella verità: seguendo lui non potete sbagliare” (R 20). Più esplicito di così...! Certamente tale richiamo sta nel capitolo che raccomanda a tutti il lavoro manuale. Appellarsi all’esempio di Paolo - con la citazione esplicita e letterale di 2Ts 3,7-12 - è classico per tante regole antiche. Quindi nessuna novità da questo punto di vista. E possiamo riconoscere anche in questo richiamo una consonanza con i nuovi gruppi di vita evangelico-apostolica, che in quel tempo insistevano su questa testimonianza del lavoro manuale. E probabilmente qualcuno dei nostri primi ne faceva parte, o almeno condivideva gli ideali e certe loro sottolineature. Era normale. Però c’è una particolarità. Qui viene premessa una descrizione ampia della persona di Paolo e della sua figura, che non era necessaria. Quindi è una sottolineatura intenzionale, quasi a rimarcare che non si tratta solo dell’esempio del lavorare con le proprie mani, ma di molto di più. Si descrive l’apostolo come abitato dalla Parola e portavoce di Cristo, si dà risalto alla vocazione a predicatore fra i pagani, si rileva il suo servizio nella fede e nella verità, si afferma la certezza di autenticità se si segue lui. Si badi bene che si sta parlando a dei fratres heremitae, e stranamente si presenta non solo un modello di lavoratore che si autofinanzia, ma anche un predicatore itinerante tra le genti. Le espressioni sono cadenzate come a binomio: insegnamento ed esempio - la sua bocca e Cristo che parla - costituito e dato - dottore e predicatore delle genti - nella fede e nella verità - seguir lui, non sbagliare voi. È un gioco linguistico che dice con ancor più forza una convinzione. E non si tratta di una citazione isolata di Paolo: anche i capitoli precedenti (R 18-19) sono costruiti sullo schema delle armi spirituali di Ef 6,11-17. E la finale di R 19, sulla centralità della Parola, è ispirata da più testi paolini, e VITA CARMELITANA - ANNO 76, N. 1


sionarietà, costinon solo da Col tuita dalle testi3,17. E pure il semonianze di Teguente capitolo, resina, Elisabetsul silenzio, inizia ta della Trinità, col richiamo a Tito Brandsma, Paolo (R 21). InolEdith Stein? Mi tre già nel prologo il linguaggio paopare una conferlino appare subima suggestiva, to evidente, ed è che viene diretcome i fili priviletamente dallo giati di un tessuSpirito Santo, e to (R 1-2). Proprio dovremmo eladi Paolo sono la borare meglio, maggioranza dei come nuova intesti biblici citati culturazione creo allusi o impliciativa. Si può dire ti. Un richiamo quindi non isolache il carmelitato, ma che tutto no fedele alla pervade. Quello Regola, non può che si dice in chiudersi in se quelle righe inistesso, ma deve ziali è presente avere grandi ocome ispirazione rizzonti. Quelli ovunque. delle genti con Questo profilo Paolo (R 20), San Paolo di Paolo, uomo quelli dell’impredella Parola e uomo delle genti, uomo visto con l’allusione al buon samaritano laborioso e allo stesso tempo di fron- (R 24), quelli della predicazione itinetiera, immedesimato con Cristo e la sua rante (R 17), quello dell’ospitalità preparola e uomo di audacia e universali- murosa (R 9), quello della sobrietà solità, fondatore della Chiesa fra i pagani, dale nei viaggi (R 13, 17), quello della in contesti completamente a rischio, accoglienza della sapienza della tradiperseguitato ma tenace, interprete delle zione (R 2, 4, 11, 16, 21). Una vita per esigenze del pie vivere in Christo (R 18) niente appiattita o rattrappita, comodae fermento di comunione fra le varie mente ridotta a poche cose semplificate per scarsa iniziativa. sensibilità ecclesiali, è suggestivo. Il carmelitano da una parte deve laÈ come se la Regola suggerisse uno stile missionario e apostolico, una aper- sciarsi fare, attraverso l’assiduità alla tura mentale ai vasti orizzonti della Parola e al pane di vita, attraverso il evangelizzazione ai nostri “eremiti”. dialogo comunitario e l’equilibrio paSi potrebbe pensare che poco si con- ziente fra diversità, attraverso la lotta cilia con l’ideale della vita solitaria e spirituale e la speranza operosa. Ma svolta in recinti ben limitati. E questo dall’altra allarga i propri orizzonti verso spiegherebbe il poco sviluppo nei com- l’accoglienza della sapienza delle grandi mentari di questo tema. Oppure possia- tradizioni spirituali, e verso il futuro e mo scorgervi un fermento dinamico: l’imprevisto con la duttilità e l’ospitaliche si debba attribuire a questo fer- tà, la passione per l’universale con Paomento ignorato la originale fecondità lo e il rispetto delle diversità ed esigendella stagione così feconda per la mis- ze delle “genti”. GENNAIO / GIUGNO 2014

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Lectio divino

In conclusione attraverso il richiamo al modello e all’insegnamento di Paolo siamo invitati a porci come segno di un dialogo sempre possibile, a profanare schemi rigidi, ad armonizzare le differenze con la logica del dialogo e affrontare creativamente le tensioni delle diversità culturali. Ne abbiamo abbastanza per essere svegli oggi.

Tirando le somme

Possiamo dire che questa identità che emerge dalla rilettura della nostra Regola e dalla rielaborazione dei modelli di riferimento - la comunità di Gerusalemme, Elia, Maria e Paolo - è una sfida che ancora non ha trovato molta ri26

sposta tra noi. Nonostante che ci richiamiamo ad Elia che ha portato la sua testimonianza su molte frontiere, dalla Fenicia al profondo Sud dell’Horeb, dal mare Mediterraneo alle brulle vallate al di là del Giordano. Nonostante che guardiamo a Maria di Nazaret, di cui non sappiamo cogliere le espressioni più dinamiche e sovversive, come risaltano per esempio nel suo cantico Magnificat (cf. Marialis Cultus 37). Nonostante sia stato indicato in maniera così esplicita nella Regola, il modello di Paolo apostolo delle genti, con le sue valenze innovative le sue esperienze di chiese domestiche, per lo più guidate dalle donne. Si tratta di una progetto di un profetismo di stile e di sostanza, un modo di essere e non una lista di azioni isolate. Questa è la profezia che siamo chiamati a vivere, in questo modo possiamo diventare segno profetico, non occasionale né passeggero, ma come stile suggestivo, processo aperto, simbolica di vita, in cui la Parola si incarna e diventa luce viva, e le nostre vite icone della grazia che salva e rompe la pura manutenzione. È una grande sfida, contro le nostre abitudini a vivere di frammenti, a barattare gli ideali con una vita raffazzonata e dispersa. Cadiamo spesso nella tentazione di fare grandi proclami di principio, e poi finiamo per rotolare indecorosamente nella prassi quotidiana. Papa Francesco diceva ai superiori generali: “Il carisma non è una bottiglia di acqua distillata. Bisogna viverlo con energia, rileggendolo anche culturalmente” (Papa Francesco, Svegliate il mondo!, p. 8). È quello che ho cercato di fare in queste mie conferenze. Ci aiutino la vergine Maria e il profeta Elia a trasformare tutto in laudem gloriae, in profezia audace, in percorsi di fraternità profetica. VITA CARMELITANA - ANNO 76, N. 1


Insieme come fratelli

CENTENARIO DELL’INCORONAZIONE DELL’IMMAGINE DELLA MADONNA DI MESAGNE

Il 9 marzo alle 10.30, mons. Filippo Iannone, Vescovo Carmelitano Vice-Gerente Diocesi di Roma, ha concelebrato la messa della prima domenica di quaresima, per commemorare il primo centenario della incoronazione del quadro della Madonna del Carmine, di Mesagne. Il 12 marzo 1914, con Decreto del Capitolo Vaticano, fu concesso al Vescovo, su richiesta di Fra Alberto Masotti, Priore dei Carmelitani e Rettore della nostra chiesa nella città di Mesagne, il diritto e l’onore di incoronare la Sacra immagine della Madre di Dio. Da molto tempo si venerava in quella chiesa un’antichissima immagine della nostra Signora del Carmelo, dichiarata Patrona della stessa città e celebrata "sia per la fama dei prodigi e sia per la sentitissima devozione dei cittadini". A 100 anni da quella data la Comunità Carmelitana di Mostra fotografica Me sagne, nelle sue

Un momento della celebrazione

varie componenti, ha celebrato questo evento con messe, suppliche, una mostra fotografica e con la riapertura del Museo del Convento di Mesagne, il più antico della Provincia, dove sono stati riportati all’ammirazione dei fedeli gli antichi abiti della Madonna e altri oggetti di valore storico e religioso. Per concludere i festeggiamenti, mercoledì 12 marzo, dopo la Solenne Supplica alla Vergine delle ore 12, alle ore 18 la Concelebrazione solenne presieduto da Mons. Domenico Caliandro, Arcivescovo di Brindisi-Ostuni, con tutti i Parroci ed il Clero di Mesagne.

L’ORDINAZIONE PRESBITERALE DI FRA’ FRANCESCO M. CIACCIA

Il 2 aprile 2014, solennità di san Francesco di Paola, per la comunità carmelitana di Palmi ha rappresentato non solo una giornata all’insegna del ricordo della figura del grande santo calabrese, ma il compimento di una vocazione speciale, quella di colui che possiamo ormai chiamare Padre Francesco M. Ciaccia. La data dell’ordinazione ha un legame con la figura di S. GENNAIO / GIUGNO 2014

Francesco; il novello presbitero infatti trovatosi tempo fa al santuario di Paola, maturò la sua scelta in un momento di riflessione e preghiera. La celebrazione per l’ordinazione presbiterale è stata presieduta da Sua Eccellenza Mons. Francesco Milito, così come avvenuto nel precedente mese di ottobre per il diaconato, in un filo diretto che ha legato il presule al neo sacer27


dote non solo nelle due solenni celebra- tutta la sua santa vita, tutto ciò che zioni, ma in un rapporto di stima e fi- chiedeva e che faceva era sempre preducia reciproca quale punto di riferi- ceduto da questo termine, da questa mento nel periodo trascorso. Numerosa realtà di vita la “Carità”. I riferimenti a S. Teresa d’Avila e S. la presenza dei vari sacerdoti e diaconi della diocesi di Oppido-Palmi, dei frati Teresa di Lisieux, figure molto care all’Ordine carmelitani della Car me li tano Provincia Napolee al novello tana tra cui il presbitero, (al Provinciale p. Enquale è stato rico M. Ronzini. augurato dal L’assemblea presule di pocostituita dai feterle avere codeli, dai membri me guida ed della Congrega, esempio suldel gruppo dei la via del sagiovani Carmecerdozio), litani e dal Terz’hanno coroordine, accorsi nato un pronumerosi, si è fondo mosubito raccolta in men to di riun clima di preL’ordinazione di Fra’ Francesco M. Ciaccia flessione. ghiera, facendo Particolarmente significativi ed emopercepire calorosamente la propria presenza e profonda partecipazione ai zionanti le fasi liturgiche in cui è avvenuta l’imposizione delle mani e la momenti liturgici susseguitisi. Come una famiglia che si stringe preghiera di ordinazione da parte del attorno al proprio caro in un momento Vescovo, eseguita da tutti i sacerdoti così bello e importante, come un padre presenti. Sono seguite la vestizione deche accompagna la propria figlia gli abiti sacerdotali da parte del suall’altare il giorno del matrimonio: è periore p. Enrico, l’unzione crismale, la questo che ha lasciato trasparire la folla consegna del pane e del vino. Emoziopresente, per quello che è stato il rap- nante lo scambio del gesto di pace, moporto creatosi tra fra’ Francesco e la co- mento in cui nel novello sacerdote è pomunità nella quale egli ha portato a- tuto trasparire tutto quello che è il suo speciale carisma della gioia e della fravanti il proprio cammino. Mons. Milito, durante la celebrazione, ternità, che si è espresso nell’abbraccio si è particolarmente soffermato sull’im- avvenuto con tutti i concelebranti, parportanza del vivere il sacerdozio in ma- ticolarmente con un commosso Padre niera comunitaria, come Gesù stesso Carmelo Silvaggio, compagno di viaggio insegna nel vangelo, mandando i suoi del neo presbitero, al quale come egli discepoli ad annunciare la buona no- stesso ha sostenuto, ha potuto ispirarsi vella a due a due. Inoltre, ha sostenuto come modello per la sua scelta, dal il Vescovo, questo permette un confron- quale si è sentito sostenuto nella recito e una crescita nella fraternità e nel proca preghiera e guidato nella frapoter far propri i pregi dell’altro, sempre ternità. Ai piedi dell’altare come primo passo avendo come punto di riferimento la carità di cui S. Paolo nella seconda let- della sua nuova missione, Padre Frantura ribadiva essere il centro di tutto, cesco ha poi accolto tutti i presenti accarità che è Dio stesso. San Francesco corsi ad augurargli un buon cammino, di Paola ne è esempio. Infatti durante trasmettendo ad ognuno quello che più 28

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gli riesce naturale e proprio del suo carisma, l’accoglienza ed il sorriso, espressione di un cammino che non è iniziato esclusivamente nell’appena trascorsa ordinazione, ma ancor più indietro nel tempo, nel sentirsi in prima persona accolto e amato da colui che è la Via, la Verità e la Vita. CARMINE GELONESE

Fra’ Francesco M. Ciaccia, prima messa

XII CONVEGNO RESIDENZIALE DEL TOC IL RINNOVO DELLA PRESIDENZA E DEL CONSIGLIO

È Rosaria Lenoci la nuova presidente del Terz’Ordine Carmelitano della Provincia Napoletana. Questo l’esito nel Capitolo elettivo che si è svolto lo scorso 2 giugno a San Giovanni Rotondo durante il XII Convegno Residenziale (1-3 giugno). Alla presnza del Provinciale, padre Enrico Ronzini del delegato per il Terz’Ordine, padre Antonio Calvieri, è stato rinnovato anche il Consiglio che ora è costituito da Marisa Fotia, Aldo Semitaio, Maria Mangione, Nino De Summa, Chiara Fongaro, Gina Angelillo, Antonietta Rondinelli. Rorasia Lenoci prende il posto di Ma-

risa Fotia che per 12 anni ha guidato con instancabile determinazione e con sapiente cura i fratelli e le sorelle del laicato carmelitano provinciale. Nella sua relazione, la presidente uscente, ha ricordato il percorso dell’ultimo triennio che ha visto il tema della formazione al centro dell’impegno quotidiano dei terziari e che nel Convegno ha trovato il suo apice nel tema: “Il Terziario Carmelitano testimone impegnato nel quotidiano”. Relatori d’eccezione, padre Bruno Secondin e suor Anastasia di Gerusalemme che non potendo abbandonare la clausura ha inviato all’assemblea la registrazione video della sua lectio, Foto di gruppo al convegno “Gli occhi tuoi come colombe su ruscelli d’acqua”. Auguri a Rosaria e al suo consiglio per il nuovo impegno assunto al servizio delle fraternità laicale provinciale. Sia Maria, madre e sorella del Carmelo a guidare il nostro cammino nella sequela di Cristo. SALVATORE SCHIRONE

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DON LUIGI MEROLA ALLA “GIORNATA DELLA FAMIGLIA CARMELITANA” L’etichetta di “prete anticamorra” ap- parrocchia di Forcella, noto quartiere pioppatagli dalla semplificazione gior- del centro storico di Napoli. Nel 2003 nalistica gli va stretta. Preferisce defi- scopre che le strade sono sorvegliate nirsi piuttosto un “prete di frontiera”: h24 da telecamere. Ma non sono state «Un prete non può essere mai “anti”, messe lì dalla pubblica sicurezza. Scatta la prima denundeve essere sempre cia, l’intervento del“per”, per la gente e la polizia e le prime per i più deboli». Con minacce. Il “salto di questa dichiarazione qualità” arriva l’anlo scorso 1 maggio a no dopo con un graFoggia, don Luigi vissimo fatto di croMerola ha aperto naca che catapultel’annuale Giornata rà Forcella sulle della Famiglia Carcronache nazionali. melitana, organizzaIl 27 marzo 2004, ta dalla nostra ProDon Luigi Merola Annalisa Durante, vincia. Nei video auna solare 14enne matoriali di Valentino Pantaleo, che potete guardare col- estranea ad ogni fatto di mafia, viene legandovi al nostro sito www.vitacar me uccisa durante un agguato camorristilitana.org, il racconto di una bella gior- co, colpevole solo di trovarsi nel posto e nata di condivisione piena di gioia ma nel momento sbagliato. L’omelia accoanche di profonda meditazione sull’im- rata che don Luigi tiene durante i funepegno profetico dei carmelitani nel no- rali della ragazza scuote le coscienze di tutti e diventa il manifesto di una sfida stro difficile territorio. Il canto e la preghiera hanno intro- aperta lanciata alla camorra. La rispodotto il momento dell’ascolto. Sul palco sta non si fa attendere. Una intercettaa fare gli onori di casa il parroco-priore, zione telefonica fotografa l’ostilità della padre Nicola Barbarello. Con lui l’allora criminalità nei confronti del prete coprovinciale, padre Enrico Ronzini e pa- raggioso: “Lo ammazzerò sull’altare”. dre Cosimo Pagliara che ha presentato Da quel giorno don Luigi vive sotto scorta. alla comunità, don Luigi Merola. Dopo la conferenza don Luigi, sotto il Meditando sul brano di 1Re 21,1920: “Ti sei venduto per fare il male agli vigile occhio dei suoi “angeli angeli cuocchi del Signore”, don Luigi ci ha rac- stodi”, come ama definire gli uomini contato la drammatica vicenda di Na- della sua scorta, autografa il suo ultimo bot, che San Ambrogio così commenta- libro, Storie di ragazzi tra legalità e va: “Quanto al tempo questa storia è camorra, Guida editore. Il ricavato delle antica, ma quanto alla pratica è una vendite servirà a sostenere l’attività delstoria attuale”. La difficoltà dei giovani l’associazione “A voce de creature”. in un quartiere difficile di una città con- Commovente il brano letto da don Luitesa da ben 102 clan, i soprusi della ca- gi, “Mi chiamo Paolina, tengo sette anni morra, la lotta per la legalità, le minac- e faccio la seconda elementare...”, a pace e la resistenza nel racconto di un te- gina 34-35. Culmine della mattinata, l’adorazione eucaristica animata dai stimone. Tutto ha inizio nell’ottobre del 2000 fratelli della comunità di Foggia. quando a don Luigi gli viene affidata la SALVATORE SCHIRONE 30

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P. Antonio Calvieri

CAPITOLO PROVINCIALE ELETTIVO 2014 DELLA PROVINCIA NAPOLETANA Durante il Capitolo Provinciale della Provincia Napoletana celebrato dal 9 al 12 giugno 2014 a Trani presso la casa di spiritualità Sanguis Christi sono stati eletti: Priore Provinciale: P. Antonio Calvieri, O.Carm.; Primo Consigliere: P. Enrico Ronzini, O.Carm.; Secondo Consigliere: P. Nicola Barbarello, O.Carm.; Terzo Consigliere: P. Giovanni Cimmino, O.Carm.; Quarto Consigliere: P. Paolo La Gioia, O.Carm. Padre Antonio Calvieri nasce a Curinga (CZ) il 4/4/1964. Entra nel seminario carmelitano di Torre Santa Susanna il 10/11/1980; il 3/9/1985 viene trasferito nel santuario del Carmine in San Felice del Benaco dove inizia il noviziato. Il 3 settembre 1986 fa la professione semplice, sempre nel santuario del Carmine in San Felice del Benaco, insieme ai confratelli Fr. Gennaro Perrella e Fr. Vincenzo Boschetto. Il

4/9/1987 viene trasferito nella comunità religiosa di Palmi (RC), dove il 15/11/1989 fa la professione dei voti solenni nell’ordine carmelitano. Nel santuario Maria Santissima di Campiglione in Caivano (NA) si prepara al ministero sacerdotale presso la facoltà teologica S. Tommaso D’Aquino di Capodimonte (NA). Il 12/7/2000 viene ordinato sacerdote a Curinga, suo paese natale, dall’attuale Vescovo di San Severo (FG), nonché suo confratello, S. Ecc. Mons. Lucio Angelo Renna. Con il capitolo provinciale del 2011, viene eletto secondo consigliere e trasferito nella comunità parrocchiale di Taranto, dove era già stato dal 2005 al 2008, con l’ufficio di Priore della casa religiosa e Parroco della Parrocchia del SS,. Crocifisso. Inoltre a livello Provinciale svolge il compito di Delegato del Terz’Ordine Carmelitano. Al nuovo Priore Provinciale il nostro più sincero augurio di un proficuo lavoro.

OASI DEI TRULLI 15 GIUGNO 2014: GUARDARE, CONTEMPLARE, AMARE

Domenica 15 giugno 2014, presso l’Oasi dei Trulli, si è tenuto l’appuntamento annuale del Terz’Ordine Carmelitano e dell’Azione Cattolica della Parrocchia Maria SS. del Monte Carmelo di Martina Franca, guidati entrambi dal parroco Don Michele Castellana. L’incontro, che ha visto la presenza anche del Terz’Ordine Carmelitano di Massafra e del suo assistente spirituale Don Salvatore Ditrani, ha avuto come tema: Guardare, Contemplare, Amare. Partendo dalla Lettera del Priore Generale, p. Fernando Millàn Romeral, ai giovani carmelitani per la GMG di Madrid 2011, si è cercato di comprendere come queste tre azioni ci spingono verso il Signore nella vita di tutti i giorni. La giornata si è conclusa con la celebrazione eucaristica nella quale Padre Enrico Ronzini (provinciale uscente) e Padre Antonio Calvieri (nuovo priore provinciale) hanno voluto ricordare l’operato di Padre Agostino Caloro a dieci anni dalla sua scomGENNAIO / GIUGNO 2014

parsa, proprio nel luogo a lui tanto caro. Da parte degli organizzatori dell’incontro, in particolare Nunzia D’Aria (presidente del TOC di Martina Franca) e Rosaria Lenoci (presidente Provinciale del TOC), che hanno fatto respirare a tutti un’aria di fraternità piena, l’augurio ai presenti con cui si conclude la lettera di Padre Fernando: “possiate trovare l’ispirazione necessaria nei santi del Carmelo, nel suo carisma e nella sua spiritualità. Che Maria, nostra Madre e Sorella, la Stella del Mare, ci guidi in quest’avventura (che è la nostra vita). Con affetto! I partecipanti all’incontro


Le Comunità Carmelitane della Provincia Napoletana BARI – 70125 Curia Provinciale Corso Benedetto Croce, 180 tel/fax 080.5562741 vitacarmelitana@gmail.com www.vitacarmelitana.org

BARI – 70125 Parrocchia S. Maria delle Vittorie C.so B. Croce, 180 Conv. 080.5424484 - Parr. 080.5425149 smariavittorie@email.it

CAIVANO (NA) – 80023 Santuario S. Maria di Campiglione Via Campiglione, 58 - tel/fax 081.8354124 CAPACCIO (SA) – 84047 Santuario Madonna del Granato Eremo Carmelitano – tel. 0828.723611 www.madonnadelgranato.it FOGGIA – 71122 Parrocchia Maria SS. del Carmine Viale Primo Maggio, 37 tel/fax 0881.635444 parrocchiacarminefg@alice.it

SUORE FOGGIA – 71122 Discepole di S. Teresa del Bambin Gesú Scuola S. Maria del Carmine Via G.L. Radice, 5 – tel. 0881.636175

MONACHE

OSTUNI (BR) – 72017 Monastero S. Maria Maddalena di Firenze Contrada Campanile - tel/fax 0831.301293 www.carmelitaneostuni.it

MESAGNE (BR) – 72023 Basilica Santuario Vergine SS. del Carmelo P.le S. Michele Arcangelo, 3 Conv. 0831.776785 – Parr. 0831.771081 www.basilicacarminemesagne.it PALMI (RC) – 89015 Santuario S. Maria del Carmine Piazza del Carmine – tel/fax 0966.45851 http://digilander.libero.it/fraternita.palmi

TARANTO – 74123 Parrocchia SS. Crocifisso Via G. De Cesare, 37 - tel/fax 099.4521685 www.sscrocifisso.ilbello.com TORRE S. SUSANNA (BR) – 72028 Convento Maria Immacolata Piazza Convento, 3 - tel. 0831.746026 http://carmelotorre.beepworld.it/

sito della Provincia Napoletana: www.vitacarmelitana.org siti dell’Ordine Carmelitano: www.ocarm.org

Poste Italiane Spa - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 2, DCB BA

FRATI CARMELITANI


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