Dalla contesa all'intesa

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La mediazione è una risorsa decisiva per superare quegli ostacoli che spesso fanno incagliare le trattative, a condizione che venga interpretata nel modo giusto da parte e avvocato insieme, in un gioco di squadra nel quale ciascuno ha un proprio ruolo, chiaro, distinto e ugualmente decisivo. E se è vero che la mediazione, per funzionare bene, richiede alla parte di giocare un ruolo attivo, assumendosi la responsabilità delle proprie decisioni, è altrettanto vero che quello che fa l’avvocato che ha padronanza e consapevolezza delle dinamiche della mediazione è un fattore parimenti determinante.

L’avvocato che apre ai propri clienti la strada della mediazione contribuisce a un’evoluzione della nostra società verso una cultura della risoluzione pacifica dei disaccordi. In questo senso l’avvocato può essere anche un agente di cambiamento del mondo in cui viviamo.

La prefazione è di Gary J. Friedman, pioniere della mediazione di fama mondiale, la postfazione è di J. Kim Wright, fondatrice del movimento

Integrative Law.

www.edizionienea.it

Mario Dotti

MariaClaudia Perego

Dalla contesa all’intesa

Strategie vincenti in mediazione

© 2023 Edizioni Enea - SI.RI.E. srl

I edizione: febbraio 2023

ISBN 978-88-6773-125-1

Art Direction: Camille Barrios / ushadesign

Stampa: Graphicolor (Città di Castello)

Edizioni Enea

Ripa di Porta Ticinese 79, 20143 Milano info@edizionienea.it - www.edizionienea.it

Tutti i diritti riservati. Nessuna parte di quest’opera può essere riprodotta in alcuna forma senza l’autorizzazione scritta dell’editore, a eccezione di brevi citazioni destinate alle recensioni.

Questo libro è stampato su carta che proviene da foreste ben gestite, foreste certificate FSC® e da altre fonti controllate Questo libro è stampato su carta che proviene da foreste certificate FSC® e da materiali riciclati

Gli uomini costruiscono troppi muri e mai abbastanza ponti.

Sir Isaac Newton

Indice

Prefazione di Gary J. Friedman

Introduzione

PRIMA PARTE – Una nuova prospettiva

Come (non) prepararsi alla mediazione

La mediazione non è un “cosa”, ma un “come”

Dalle posizioni agli interessi

L’ombra del diritto e altri ostacoli per il professionista in mediazione (e in negoziazione)

Perché è utile il mediatore: abbattere muri e costruire ponti

Il diritto in mediazione

Le tre verità

Spazio alle emozioni perché…

Il gioco di ruoli nella mediazione

Quando mediare significa prevenire

L’avvocato come agente di cambiamento

Mediare attraverso la comprensione

SECONDA PARTE – Strategie efficaci in mediazione

1. Guardare oltre la domanda

2. Prepararsi a un gioco di squadra cliente-avvocato

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3. Il “trailer” della mediazione

4. Ricercare il perché

5. Il piano B

6. L’accordo si fa in due

7. Attaccare i problemi, non le persone

8. Ultimatum: maneggiare con cura

9. “È solo una questione di denaro”… forse

10. Sulla sedia dell’altro

11. Palla alla parte

12. Aperti nell’ascoltare, aperti nel dire

13. Due mondi, due conversazioni

14. Le informazioni delicate

15. Se emerge, c’è un motivo

16. Avere pazienza

17. Focus sul futuro

18. Attendersi l’inatteso

19. La verità è come un puzzle

20. Essere presenti

21. Emozioni: istruzioni per l’uso 22.

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26. Le cose da fare per far… fallire la mediazione

27. Per concludere, seguire sempre le tre “R” (per l’avvocato in mediazione ma non solo)

L’importanza dell’essere in relazione (postfazione di J. Kim Wright)

Gioco di squadra
Attenti agli influencer
Il rischio sfiducia
23.
24.
La
della mediazione
lingua
Bibliografia 87 89 93 99 103 107 111 113 119 123 127 131 133 137 141 145 147 149 153 155 157 159 161 165 167 171 174

Prefazione di Gary J. Friedman

È una

di

che MariaClaudia Perego e Mario Dotti portano nel panorama legale italiano. A tutti quegli avvocati che si sentono spaesati o non a proprio agio nel mondo della mediazione, MariaClaudia e Mario offrono un approccio step by step per imparare a svolgere in mediazione un ruolo attivo a vantaggio del cliente.

La mediazione sta maturando come un processo realmente alternativo al sistema avversariale, che dà ai clienti l’opportunità di avere un ruolo più centrale: le decisioni vengono prese da loro insieme alle controparti così da risolvere davvero le dispute in cui sono coinvolti. Per troppo tempo gli avvocati sono entrati nella stanza di mediazione senza avere un’idea chiara di come muoversi in modo efficace.

Questo libro fornisce agli avvocati una guida su come in mediazione l’avvocato possa proteggere gli interessi del cliente e allo stesso tempo partecipare attivamente e in modo costruttivo a tutto il processo.

La mediazione come alternativa richiede un approccio al conflitto radicalmente differente, volto ad aiutare le parti ad attraversare il loro conflitto, anziché tentare di evitarlo o viverlo in modo distruttivo.

Quanta più consapevolezza e conoscenza gli avvocati avranno della mediazione e del loro ruolo in essa, tanto più saranno in grado non solo di parteciparvi, ma anche di discernere tra le diverse metodologie di mediazione e i diversi tipi di mediatore,

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ventata
aria nuova quella

e quindi di informare il cliente per aiutarlo nella scelta del “modello” di mediazione, dell’organismo e del mediatore più adatti alla disputa da risolvere.

L’approccio basato sulla comprensione (Understanding Based Model), che ho co-fondato e praticato per oltre quarant’anni, offre a clienti e ad avvocati un metodo per risolvere le dispute differente rispetto alle usuali logiche avversariali, un metodo che condivide la stessa prospettiva sul ruolo dell’avvocato, lo stesso approccio al conflitto e gli stessi principi fondamentali che troverete in questo libro di Mario e MariaClaudia.

Primo principio: tenere le redini del conflitto usando il potere della comprensione anziché il potere della coercizione.

Se i clienti, col supporto dei loro avvocati, hanno la possibilità di comprendere la loro vicenda in modo profondo, ci sono più probabilità che il conflitto si trasformi in un percorso capace di far emergere dalla disputa le questioni veramente importanti per loro e metterle al centro.

Gli avvocati possono svolgere un ruolo cruciale nell’aiutare i clienti a uscire dalla logica della coercizione (cerco di convincere la controparte ad accettare la mia soluzione) e a comprendere l’importanza di lavorare insieme alla controparte per trovare soluzioni accettabili e volute da entrambi.

Fare ciò richiede la comprensione del proprio cliente ma anche dell’altra parte, così da risolvere l’intero problema.

Se vogliamo essere avvocati che risolvono problemi, allora dobbiamo abituarci ad allargare il più possibile la comprensione, nostra e del nostro cliente, delle questioni che stanno a cuore non solo a una, ma a tutte le parti al tavolo.

Perché se è vero che il compito primario dell’avvocato è sostenere gli interessi del cliente, è altrettanto vero che raggiungere una soluzione che funziona anche per la controparte, e che quindi ha più probabilità di durare, è nell’interesse del cliente.

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Secondo principio: entrare nella prospettiva per cui risolvere il problema non è compito dell’avvocato, ma è una responsabilità che spetta al cliente.

Un simile cambio di punto di vista è liberatorio per l’avvocato e aiuta i clienti a sperimentare il potere di partecipazione attraverso una maggiore responsabilità. Ciò significa porre la responsabilità delle decisioni nelle mani più adatte nell’interesse del cliente: le sue.

Il cliente sa meglio di chiunque altro cosa è importante nella propria vita e dovrà convivere in futuro con le conseguenze della disputa.

Perché allora non mettere le persone che sono coinvolte nel problema nella posizione di prendere le decisioni per risolverlo?

Vi potrà forse suonare rivoluzionario, ma è possibile farlo. E quanto più gli avvocati comprenderanno che il loro ruolo di supporto e affiancamento al cliente è cruciale, tanto più aiuteranno i loro clienti a emanciparsi e a prendere decisioni per la propria vita (senza delegarle a un giudice).

Terzo: riconoscere che può fare una grande differenza se le parti e gli avvocati lavorano tutti insieme nella stessa stanza aiutati dal mediatore, prendendo insieme tutte le decisioni, anche quelle che riguardano il percorso della mediazione.

Se le parti e gli avvocati vengono direttamente coinvolti nella costruzione di un modus procedendi condiviso e ogni passaggio del processo si basa sull’accordo di tutti i soggetti al tavolo, il processo apparterrà pienamente alle parti e, di conseguenza, maggiore sarà la probabilità che le parti raggiungano un accordo anche sul merito della disputa. Questo significa sollecitare l’attenzione delle persone non solo sul cosa le persone si dicono, ma anche sul come dialogano tra loro.

Quarto: la legge può avere un ruolo importante nell’aiutare a guidare le parti verso una soluzione, e gli avvocati sono fondamentali nell’aiutare i clienti a comprendere a quali scenari

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andranno incontro se non saranno in grado di raggiungere un accordo in mediazione. Ma questo può essere fatto in un modo più costruttivo di quello che spesso si vede in mediazione, nel quale ciascun avvocato si mostra sicuro della fondatezza delle ragioni del suo cliente in un eventuale giudizio e le parti ricevono pronostici di segno opposto, restando ancor più disorientate.

Non sarebbe interessante se entrambi gli avvocati potessero illustrare alle parti gli aspetti legali della disputa in una maniera più completa, dialogando non solo sui propri punti di forza ma anche sui rischi cui i rispettivi clienti andrebbero incontro? E non sarebbe interessante se questo dialogo avvenisse apertamente e in modo franco alla presenza di tutte le parti al tavolo, fornendo un quadro completo che consenta loro di prendere decisioni avvedute, anziché affidarsi a tatticismi difensivi stile “cappa e spada” nel segreto delle sessioni separate col mediatore?

E più che ottenere un accordo in mediazione che semplicemente rifletta quanto previsto dalla legge, sarebbe meglio ottenerne uno che si basi su ciò che è importante per i clienti; in questo modo verrebbe sottolineato e realizzato il reale potenziale della mediazione, dove le parti escono con il risultato migliore per entrambe piuttosto che l’alternativa stabilita dalla legge.

Infine: per risolvere un conflitto è necessario andare al di sotto del conflitto, così che entrambe le parti identifichino ciò che è in gioco e cosa è più importante per ciascuna di loro.

Se si riesce nell’impresa di aiutare entrambe le parti a riconoscere ed esplicitare al tavolo le questioni che stanno loro più a cuore, c’è la possibilità di lavorare su ciò che è importante non soltanto per una, ma anche per l’altra parte. Tutto questo ha il potenziale per costruire una soluzione stabile ed effettiva nell’interesse di tutti, una soluzione che avvocati e parti possono essere fieri di aver prodotto grazie alla loro cooperazione.

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Non voglio farvi credere che tutto questo sia facile. Parti, avvocati e mediatore devono lavorare duramente per raggiungere questo tipo di obiettivo.

Gli avvocati devono saper proteggere i clienti e al contempo supportarli nella loro partecipazione diretta nella mediazione, e ciò richiede agli avvocati una buona dose di autocontrollo e fiducia nel lavoro del tavolo.

Credo che il futuro della mediazione in Italia dipenda anche dalla capacità di avvocati e clienti, con l’aiuto di mediatori esperti, di operare un cambio di prospettiva e guardare al conflitto in modo differente.

Leggere e fare proprio il libro di Mario e Maria Claudia potrà essere un passo molto importante in quella direzione.

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Nella categoria forense è piuttosto diffusa l’idea che l’avvocato sia per natura attrezzato per negoziare e, come si sente dire, per trovare una mediazione col collega.

“Noi avvocati abbiamo sempre mediato da noi, a che serve il mediatore?”

“Scusi mediatore, ci abbiamo già provato noi senza risultato, non crediamo che il suo intervento possa cambiare qualcosa.”

“La questione è puramente economica: ci dicano chiaramente quanto offrono.”

“Vede, io come avvocato sono molto mediatore, è la controparte che non ha intenzione di trovare un accordo.”

Spesso così gli avvocati esordiscono nei primi incontri di mediazione.

Si sa che, in una controversia alle prime battute, la maggior parte degli avvocati tenta una definizione amichevole. Lo stereotipo dell’avvocato che spinge per fare la causa è spesso erroneo, vero più nell’immaginario collettivo che nella realtà.

Gli avvocati hanno risorse importanti per negoziare: buonsenso, esperienze in casi passati, buone idee di soluzione. E molti avvocati sono per indole portati a trattare. Ma buonsenso e buone intenzioni non sempre sono sufficienti.

Quante volte vi è capitato di veder fallire una trattativa e concludere che, nonostante ce l’aveste messa tutta, non si è trovato l’accordo perché si era troppo lontani o perché era una questione di principio?

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Introduzione… per avvocati e non solo

Ma le parti troppo lontane o la questione di principio non sono la causa del disaccordo: sono… il sintomo!

Come vedremo in questo libro, il fallimento di una trattativa gestita solo tra avvocati può essere l’effetto di due fattori.

Il primo: i limiti intrinseci della negoziazione tra avvocati tradizionalmente intesa, che è concentrata sulle posizioni ed è per lo più guidata da criteri tecnico-giuridici.

Il secondo: le barriere che ostacolano la negoziazione diretta, barriere emotive, relazionali, psicologiche, che avvocati e parti, da soli, non riescono a superare e che richiedono l’intervento di un soggetto terzo e imparziale quale il mediatore.

Con questo libro vorremmo mostrarvi come la mediazione possa diventare una risorsa decisiva per superare quegli ostacoli che spesso fanno incagliare le trattative, a condizione che venga interpretata nel modo giusto da parte e avvocato insieme, in un gioco di squadra nel quale ciascuno ha un proprio ruolo, chiaro, distinto e ugualmente decisivo.

E se è vero che la mediazione, per funzionare bene, richiede alla parte di giocare un ruolo attivo, assumendosi la responsabilità delle proprie decisioni, è altrettanto vero che quello che fa l’avvocato che ha padronanza e consapevolezza delle dinamiche della mediazione è un fattore parimenti determinante.

L’avvocato è la persona di cui il cliente si fida: per questo ha sul cliente un’indubbia influenza che, se esercitata in modo costruttivo, supporta il processo di mediazione e aiuta il cliente a ragionare sui problemi, a stare nel conflitto e a fare le giuste scelte.

Inoltre, l’avvocato può dare un contributo prezioso in termini di idee, soluzioni, valutazioni tecniche, esperienza.

L’avvocato che apre ai propri clienti la strada della mediazione contribuisce a un’evoluzione della nostra società verso una cultura della risoluzione pacifica dei disaccordi. In questo senso l’avvocato può essere anche un agente di cambiamento del mondo in cui viviamo.

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Prima parte

Una nuova prospettiva

Quando ti si presentano due alternative, tu devi cercarne una terza, quella a cui non hai pensato e che nemmeno esiste.

Shimon Peres

Come (non) prepararsi alla mediazione

Qual è il percorso che le persone sono solite seguire quando affrontano una controversia?

Ripercorriamolo insieme.

Per prima cosa, ci si rivolge a un avvocato. L’avvocato incontra e ascolta il cliente, cercando per quanto possibile di raccogliere un quadro preciso e ampio degli elementi della questione.

Il cliente racconta la sua versione ed espone le sue richieste: “Facciamo causa per ottenere quel pagamento”, “Rivoglio al più presto le chiavi della casa”.

L’avvocato prende nota delle richieste del cliente e pone tutte quelle domande che gli permettano di acquisire gli elementi per costruire il quadro tecnico-giuridico necessario per farle valere davanti a un giudice.

Nel fare ciò, l’attenzione dell’avvocato è focalizzata sul selezionare solo quegli elementi fattuali, circostanze, prove, documenti che possano avere un rilievo, favorevole o sfavorevole, nell’ottica di un processo.

Non vengono indagati gli elementi ai quali l’avvocato non dà peso sul piano processuale: lo stato d’animo del cliente, il suo vissuto, le sue preoccupazioni, le sue aspirazioni.

Nel proprio “setaccio”, l’avvocato trattiene solo quella percentuale di informazioni che crede utili al fine di convincere il giudice.

Una volta messo insieme il pacchetto delle informazioni ritenute rilevanti, tocca all’avvocato studiare il caso, inquadrar-

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lo giuridicamente, costruire una verità processuale (su questo torneremo oltre) elaborando le proprie tesi e argomentazioni.

Fatta questa analisi, avvocato e cliente valutano insieme i rischi e le opportunità del giudizio: tempistiche, costi, probabilità, impatto del processo sulla sfera personale ed economica del cliente; giungendo di conseguenza a individuare i margini di una possibile transazione: “Quanto possiamo concedere?”, “Che offerta possiamo fare?”.

A questo punto si aprono le danze.

Si scrive alla controparte, si stabilisce un contatto tra avvocati e nella maggior parte dei casi si tasta il terreno per una possibile trattativa, allo scopo di cercare un punto di incontro tra le rispettive pretese.

Gli esiti possono essere due: si trova un’intesa transattiva, il più delle volte nella logica tipica del “tutti un po’ scontenti”, oppure si prende atto che non ci sono margini, perché le pretese delle parti sono troppo distanti o perché ci si scontra con questioni di principio.

Quando la transazione non riesce, può porsi il tema del passaggio in mediazione.

In Italia ci sono tre tipi di mediazione: quella c.d. obbligatoria (dlgs. 28/10), quella delegata dal giudice e quella volontaria. Indipendentemente dal motivo che lo porta in mediazione, l’avvocato è abituato a focalizzarsi sulle pretese e sull’analisi giuridico-processuale del caso.

Di conseguenza, se ha già provato a trattare col collega di controparte, l’avvocato può vedere la mediazione come un esercizio improduttivo e quindi rifiutarla: “Ci abbiamo già provato noi senza successo, è inutile che avviamo la mediazione”.

Oppure, se crede nelle potenzialità della mediazione, vi partecipa, ma avendo impostato la preparazione e la valutazione del caso con un approccio rivolto al giudizio: pretese, ragioni, argomentazioni tecniche, prove.

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L’effetto dell’affrontare la mediazione con l’approccio proprio del giudizio, basato su torti e ragioni, è quello di una distorsione percettiva: vedere la disputa soltanto attraverso prospettazioni giuridiche opposte e alternative tra loro e farla percepire come non risolvibile altrimenti se non attraverso la decisione di un terzo. “Signor mediatore, si tratta di una questione di usucapione: si può solo decidere se c’è o non c’è, su cosa potremmo mediare?”

Questo approccio, che potemmo definire “diritto-centrico” e che ragiona all’“ombra del diritto” (la definizione è di Robert Mnookin, in Beyond Winning, Belknap Press, Cambridge, 2004), crea e consolida la distanza tra le parti.

Per ridurre quella distanza occorre invece focalizzarsi sugli interessi delle parti: ovverosia, su cosa spinge le parti ad avanzare le rispettive pretese.

E se torti e ragioni sono l’oggetto del giudizio, gli interessi sono l’oggetto della mediazione.

La mediazione è uno strumento differente e richiede una preparazione differente.

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Nella nostra esperienza non di rado vediamo mediazioni concludersi con una pura e semplice transazione sulle rispettive pretese.

Ci si potrebbe allora domandare: in cosa la mediazione differisce da una semplice trattativa tra avvocati? La mediazione che cosa può dare di più e di diverso?

Ciò che rende differente la mediazione dalla trattativa tra le parti (o tra gli avvocati) è il metodo con cui si affronta la disputa.

Una diversità metodologica basata su due aspetti fondamentali: l’approccio rivolto agli interessi delle parti e la presenza del mediatore, terzo e imparziale.

In particolare, e come vedremo meglio più avanti, in mediazione ci si focalizza sugli interessi e sulle motivazioni che stanno alla base delle richieste e delle pretese delle parti: si opera cioè su un orizzonte più ampio rispetto alla lettura strettamente giuridica della disputa, cercando di comprendere cosa per le parti è davvero importante ottenere e lavorando a soluzioni costruite sulle reali esigenze delle parti ancor più che sulle prospettazioni giuridiche.

La presenza del mediatore, un terzo che facilita la negoziazione, è spesso un elemento decisivo per raggiungere un accordo.

Se infatti è vero che la mediazione può concludersi con una semplice transazione al pari di quella gestita tra avvocati, è altrettanto vero che ci sono transazioni che si concludono solo quando vengono gestite in mediazione.

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La mediazione non è un “cosa”, ma un “come”

Come mai la trattativa tra colleghi può non funzionare?

Perché nella negoziazione tra parti possono frapporsi ostacoli e barriere che impediscono o alterano quel processo di scambio alla base di una trattativa. Pensiamo a parti che non si parlano, questioni di principio, ecc. (ne parleremo più avanti).

Ecco quindi il valore aggiunto del mediatore: un soggetto neutrale che aiuta le parti a connettersi e ad avvicinarsi, rendendo possibile quel minimo di dialogo necessario per aprire le porte a un possibile accordo.

In altri termini, la mediazione si qualifica non per il risultato finale del negoziato (che può essere un accordo incentrato sugli interessi e i bisogni delle parti, oppure una semplice transazione sulle rispettive pretese, o nessun accordo), ma per il diverso metodo con cui viene condotta la negoziazione e gestito il conflitto.

La mediazione quindi non è un risultato, ma un processo, un metodo. Appunto un “come”.

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Dalle posizioni agli interessi

Provate a farvi questa domanda: quando negoziate, cosa fate di preciso?

È probabile che cerchiate un punto di incontro tra le rispettive richieste. Ovvero una transazione.

La transazione, per sua natura, parte proprio dalle posizioni (ossia le pretese di ciascuna parte) e si realizza attraverso reciproche concessioni e parziali rinunce nell’intento di trovare un punto di incontro.

La transazione è un gioco c.d. a “somma zero”: tanto rinuncio io, tanto guadagni tu.

Diversa è la logica della negoziazione basata su interessi, anche detta cooperativa o collaborativa.

La negoziazione cooperativa ricerca gli interessi e i bisogni che stanno dietro le pretese, insieme a una soluzione che soddisfi quanto più possibile tali interessi e bisogni.

Col termine interessi si intendono quegli obiettivi di natura essenzialmente economico-patrimoniale, che si concretizzano in un’utilità materiale, tangibile.

I bisogni invece sono quelle esigenze connaturate al nostro essere umani.

Dai bisogni più elementari, quali nutrirci, coprirci, essere in buona salute, avere una casa, un lavoro, una tranquillità economica; a bisogni sociali, connessi al nostro essere parte di una comunità di esseri umani, quali avere una famiglia, sentirsi inclusi, essere rispettati, essere apprezzati; fino a bisogni di livello

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più personale e concettuale, quali l’auto-realizzazione, il miglioramento di sé, il conseguimento dei propri obiettivi di vita, realizzare i propri sogni, il bisogno di cultura, arte, bellezza.

Interessi e bisogni solitamente non sono espliciti.

Se raffigurassimo il conflitto con l’immagine di un iceberg, nella parte emersa, quella visibile, troveremmo ciò che diciamo e chiediamo (le nostre pretese e posizioni) e anche i nostri atteggiamenti, le emozioni che manifestiamo.

Nella parte sommersa, quella non visibile, troviamo gli interessi e i bisogni. Ma non solo: anche le paure, i pregiudizi, le preoccupazioni, e tutti quei fattori che, in modo spesso implicito o anche inconsapevole, influenzano il nostro modo di pensare e le nostre decisioni.

La parte emersa è solo la punta dell’iceberg: il grosso dell’iceberg è sommerso. La metafora fa ben comprendere quanto le nostre posizioni e pretese siano solo una piccola manifestazione di un mondo sottostante assai più complesso, che racchiude ciò che tutti noi siamo, ciò che vogliamo e ciò che è davvero importante nella nostra vita.

Se si esplora la parte sommersa si riesce a comprendere il perché che sottende alle pretese e alle posizioni.

Ricercare le ragioni e le motivazioni sottostanti alle pretese consente di comprendere quale sia la reale esigenza da soddisfare e quindi immaginare in quali modi essa possa essere soddisfatta.

La pretesa è in un certo senso una soluzione che ciascuno confeziona nella propria mente per rispondere a un interesse o a un bisogno. Non è detto che quella soluzione sia l’unica risposta possibile: vi possono essere altri modi per soddisfare la stessa esigenza, altre opzioni di soluzione.

Ampliare il ventaglio delle opzioni possibili può essere determinante, specie quando i beni contesi sono scarsi o non divisibili.

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Un caso reale

Due ex coniugi sono comproprietari di un negozio, nel quale la ex moglie svolge un’attività economica. Il negozio non è frazionabile ed entrambi vogliono acquisirne l’intera proprietà, anche se nessuno ha la disponibilità finanziaria per liquidare l’altro. Nessuno dei due arretra dalla propria posizione: il negozio è uno e indivisibile. Non sembra esserci altra soluzione che affidarsi a un giudice, che verosimilmente disporrà una vendita all’asta. Le due pretese (ossia le due soluzioni sul tavolo) sono inconciliabili. Esplorando la parte sommersa di ciascuno dei due è risultato che la ragione per cui la ex moglie vuole la proprietà

è il poter disporre indisturbatamente del locale per gestire la propria attività per un certo numero di anni prima della pensione; l’ex marito vuole la proprietà per avere una rendita economica.

È stata trovata questa soluzione: l’ex marito ha rilevato la metà della ex moglie, è stato concluso un contratto di locazione a lungo termine, compensando i canoni locatizi con il prezzo dovuto alla ex moglie.

Risultato: il bene non è stato sacrificato ed entrambi hanno soddisfatto le loro esigenze.

Focalizzarsi sugli interessi e i bisogni significa andare oltre le pretese alla ricerca di altri oggetti di scambio (“allargare la torta”) con la finalità di trovare una soluzione che possa massimizzare le utilità per entrambe le parti e minimizzare le rinunce.

Si tratta, in altre parole, di cercare possibili scambi tra cose (beni, utilità, diritti) che abbiano, per chi le ottiene, un valore maggiore rispetto a quello che ad esse attribuisce chi vi rinuncia.

Ecco perché la negoziazione cooperativa viene anche descritta con l’espressione “win-win”, ognuno esce vincitore.

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Dal 2005 Edizioni Enea collabora insieme a Scuola SIMO con un obiettivo preciso: fornire contenuti di qualità per promuovere la salute di corpo, mente e spirito.

Pubblichiamo libri destinati a naturopati e operatori della salute, ma anche a semplici appassionati e curiosi.

Ci occupiamo di scienza ma anche di spiritualità, integrando i più grandi insegnamenti di Oriente e Occidente.

Guardiamo alle grandi tradizioni mediche del passato e ci apriamo alle più innovative proposte nel campo della medicina olistica.

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Mario Dotti, avvocato, mediatore e neutral, si occupa di mediazione dalla fine degli anni ’90. Dal 2010 ha smesso i panni del litigator e fa il mediatore a tempo pieno. Mediatore familiare, professionista della Pratica Collaborativa, facilitatore, consulente di Conflict Management. Formatore accreditato dal Ministero della Giustizia in materia di mediazione.

MariaClaudia Perego, avvocata integrativa e collaborativa, mediatrice civile e commerciale, facilitatrice e formatrice in materia di gestione del conflitto e Integrative Law. È l’unica formatrice italiana della tecnica Conscious Contracts®. Collabora con enti di formazione pubblici e privati per la diffusione della gestione della relazione e del conflitto.

È coautrice del libro So-stare nel conflitto (Edizioni Enea).

In copertina: foto di Mario Dotti

Art Direction: Camille Barrios / ushadesign

€ 19,90

La mediazione è stata introdotta in Italia per legge nel 2010, ma ha trovato un contesto privo di una cultura che la potesse accogliere e comprendere in tutte le sue potenzialità.

Questo libro parla ad avvocati e parti, prima accompagnandoli verso un cambio di prospettiva sulla mediazione e poi fornendo strumenti e strategie per la risoluzione consensuale delle dispute.

9 788867 731251
978-88-6773-125-1
ISBN

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