Un’anomala indagine urbana, in Queer

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supplemento libri

Queer

(e tempo liberato) numero 140

Fabrizio Basso “Actions and 7 limits”, Visual Rave Milano 199

Arte e spazio pubbli co, c’er Il presente dell’art a una volta il monumento. ista è fatto di azio confronto diretto co ne, n la realtà e i suoi Il legame tra pubbli cambiamenti. co e oggetto ne esce ridefinito totalmen così come il rapport te, o tra saperi e disci pline architettonic Una relazione nuova he. pronta a stravolgere le nostre percezioni .


II

Queer

domenica 13 gennaio 2008

monografie actions

Dalla seconda metà del Noveceto la ricerca artistica si è orientata verso un rapporto più stretto con oggetto o

Requiem per il museo [di Benedetta Di Loreto]

Invitata a una collettiva in un momento in cui per le donne non era facile esporre, Miele Laderman Ukeles pulisce carponi la sala espositiva, le scale e il cortile dell’Università Wadsworth di Harford.

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li artisti notoriamente lavorano per creare convergenze tra elementi della realtà e proprie riflessioni, costruendo relazioni tra oggetto artistico, contesto e spettatore. Se questo è vero in assoluto per qualsiasi epoca, nei vari momenti storici ognuno di questi elementi cambia in base alle urgenze culturali e sociali contingenti. In che modo l’arte è arrivata oggi ad occupare spazi pubblici non propriamente artistici? Nella prima metà del Novecento parte della ricerca artistica si è direzionata progressivamente verso un rapporto più stretto e diretto con la realtà, ossia l’inclusione di oggetti reali, di riferimenti attuali e del coinvolgimento live del pubblico nel processo creativo. Questa esigenza nasceva dalla volontà di distinguere la produzione artistica dalla produzione seriale e pseudo-industriale del mondo delle macchine, che considerava sempre di più l’oggetto artistico come prodotto commerciale. Il rapporto dell’artista con lo spazio del quotidiano lo porta a confrontarsi con situazioni contingenti, che ripristinano il valore del presente, del “qui ed ora” come possibilità per l’uomo di agire sugli strati di cui la realtà è composta. In quest’ottica l’arte non è concepita come bene di lusso, ma come impegno politico e sociale, condivisione corale di sentimenti e necessità. Negli anni 60 e 70 alcuni artisti si scontrano con il processo di alienazione dell’arte rappresentato dal sistema di musei e gallerie: in quel periodo infatti il museo - simbolicamente denominato “white cube” per le sue caratteristiche spaziali asettiche e neutre - rappresentava il luogo di massima celebrazione del sistema dell’arte inteso come macchina di produzione

seriale e commerciale, e dell’oggetto estetico, disimpegnato e autoreferenziale. In quel momento lo spazio pubblico (inteso come spazio urbano e di incontro) inizia ad essere visto da alcuni come contesto discorsivo, caratterizzato dalla sua funzione, dalla sua storia, dalla sua memoria, dalla sua valenza simbolica. L’arte diventa uno strumento di apertura dialettica con il contesto e la sua stratificazione di significati. A partire dagli anni 60, in America, una serie di artisti e critici forma il gruppo dell’Institutional Critique e inizia a trattare lo spazio come luogo da decodificare nelle sue

caratteristiche, nelle sue valenze politiche e culturali. Sia all’interno degli spazi museali e delle gallerie che negli spazi pubblici più propriamente detti, artisti come Michael Asher, Marcel Broodthaers, Mierle Laderman Ukeles, Adrian Piper, Barbara Kruger costruiscono relazioni tra il loro lavoro e il contesto specifico in cui questo è inserito, sottolineando la presenza e l’azione sia dell’artista che del pubblico - quali protagonisti dell’arte. Nel 1973 la Ukeles fa una performance dal titolo Manutenzione dell’Attività Artistica all’Università Wadsworth di Harford, nel Connecticut. Invi-

tata a partecipare ad una collettiva in un momento in cui le donne non erano facilmente ammesse ad esporre in spazi museali, la Ukeles, armata di secchio e stracci, durante la mostra pulisce carponi per terra la sala espositiva, le scale dell’ateneo, il cortile. La sua azione mette in evidenza la condizione sociale, politica ed economica della donna in relazione al contesto culturale del momento, ritraendola realisticamente in una sua mansione domestica. La coincidenza di arte e vita in uno stesso spazio permette di entrare in contatto diretto con l’urgenza dei contenuti, ri-

ducendo le distanze tra l’arte e il suo osservatore. In Italia, alla fine degli anni 60, il gruppo dell’Arte Povera sperimenta lo spazio come terreno di relazione tra opera e ambiente, e promuove l’uso di materiali poveri, di scarto o elementari, in antitesi all’arte estetica e tecnologica. Nell’esperienza di alcuni artisti, performance e azioni sostituiscono completamente la produzione materiale. Gli anni 70 vedono anche i primi esperimenti di interventi artistici in zone periferiche rispetto ai centri economici e di potere delle città e dei musei: la ricerca di una coralità sociale attraverso cui si vuole attivare la

coscienza, la responsabilità culturale e politica incontrano le esigenze delle piccole comunità. In Europa, fino al 1972, è attivo il gruppo dei Situazionisti, che tra i suoi campi di interesse ha quello della psicogeografia, ossia la relazione tra l’ambiente e il comportamento affettivo degli individui. Gli anni 70 e 80 vedono gruppi di artisti come Group Material, Guerrilla Girls, Tim Rollins & KOS sperimentare le prime forme di attivismo culturale su specifiche problematiche sociali. La presenza dell’artista, o di un suo lavoro in un contesto pubblico, non è sufficiente ad attivare uno sguardo critico,

Come le Taz di Hakim Bey, l’artista genovese interviene dove il controllo sociale non ar r

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e dinamiche urbane come metafora di un paesaggio del sapere attraversato da flussi, dove i progetti artistici si confondono con chi usa i territori, li attraversa secondo passaggi sempre più imprendibili. La città globale - come afferma Saskia Sassen - traccia un tessuto non omogeneo, fatto di tensioni, desideri, conflitti. «Un ragazzo che scaglia una pietra o che si difende con una trave da un autoblindato della polizia compie un’azione diretta, non premeditata» sostiene Fabrizio Basso, artista genovese che fin dai suoi esordi segue una linea di intervento incisiva e antagonista, spesso radicale, che assume nel sistema dell’arte contemporanea una posizione non allineata agli standard produttivi e commerciali, ma spostata verso il dissenso e la comunicazione alternativa. L’artista compie azioni urbane, realizza installazioni sonore e performative, attua processi di guerriglia estetica con volantinaggi abusivi o l’irruzione di manifestanti nel corso di opening patinati del mondo dell’arte. Promuove l’autoproduzione e la distribuzione di fanzine indipendenti - sia artistiche che punkanarchiche, insieme al collettivo Strange & Alternative Team, tra cui la zine Kontainer -, secondo un valore di scambio relazionale del “qui e ora” (una sorta di “performativismo assoluto” che ricorda implicitamente Paolo Virno), che

Fabrizio Basso estetica non allineata [di Elvira Vannini] contraddistingue una parte importante delle fenomenologie artistiche attuali. Fabrizio Basso agisce in territori liminari che tracciano una diversa geografia della mobilità: spazi non necessariamente fisici, e che non corrispondono a una precisa eterotopia in senso foucaultiano, come la radio, la street tv, la fanzine. L’artista genovese ha cominciato ad attraversarli in tempi non sospetti, quando ancora non si parlava di postproduzione, pratiche che ancora oggi trovano difficoltà ad inserirsi nel sistema dell’arte. D’altro canto per lo stesso Basso proprio questo ambito è stato sempre

considerato marginale: i suoi interventi miravano a circolare nel circuito musicale e di sperimentazione della scena punk e underground piuttosto che in quello dell’arte, in cui, agli inizi, immette la sua esperienza di fanzinaro. Ogni azione si inserisce nello spazio pubblico - complesso, reticolare, diasporico per sua natura -, dove le “vie di fuga” diventano più importanti dei dispositivi di controllo e sorveglianza, tanto da lasciare ovunque interstizi e crepe. Nascono così i primi lavori con le intercettazioni telefoniche, le telecamere a circuito chiuso e i supporti analogici di

Dall’esperienza di fanzinaro nei circuiti punk anarchici alle azioni urbane e ai processi di guerriglia estetica. Come le intercettazioni dai centralini erotici e la trasmissione pirata Radio Belin.


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o, o contesto e pubblico

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III

Catia Riccaboni spiega cosa sono e come funzionano i Nouveaux Commanditaires

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Un progetto a misura di comunità

committenti? Non accade che il “citoyen” si alza al mattino e decide di commissionare un’opera d’arte, è determinante il ruolo del mediatore che ha conoscenza del locale capisce se le comunità sono inte[di Caterina Iaquinta e Emanuele Piccardo] ressate a diventare committenti. Solo in quel momento inizia un’indagine sul territorio. Al momento di formulare la richiesta in genere i committenti hanno già in mente una forma scultura o architettura -, e primo compito del mediatore è decostruirla. Ad esempio, Auvergne a Lieudit de Chassignol una casa che accoglie bambini e ragazzi dai 3 ai 18 anni con problemi familiari -, era percepita dagli abitanti del villaggio circostante come un luogo di cui non si sapeva cosa accaCome nasce Nouveaux Commandesse dentro. Inizialditaires? mente il personale Il progetto nasce dall’incontro tra che lavorava lì ha l’artista Francois Hers e la Fondation avanzato proposte de France, organismo privato che opedi tipo pedagogico, ra nell’ambito della cultura, dell’amcome la realizzaziobiente e della sanità, con l’obiettivo di mettere l’uomo al centro delle attività la domanda sociale, di modo che an- genti di un ospedale) e la Fondation de ne di un affresco; il mediatore, una volpromosse. Con il progetto Nouveaux che le persone distanti dall’arte possa- France, attraverso l’intervento di un ta individuato l’artista, ha iniziato a riCommanditaires si vuole ripensare il no sentirne il desiderio. Si attiva un mediatore culturale, il quale lavora in flettere con lui su tale sollecitazione. rapporto tra l’artista e la società, non dialogo tra l’artista, la comunità locale modo indipendente, conosce l’arte Così quando l’artista francese Cecile partendo dall’offerta culturale ma dal- (gli abitanti di un quartiere come i de- contemporanea, sa relazionarsi con le Bart ha avuto modo di entrare in quecomunità territoriali e lavora all’assol- sta casa densa di storie umane, ha vimento della richiesta del commit- pensato di cambiarne “la pelle”, dipintente, proponendo l’artista che ad es- gendola di diversi colori e trasformansa meglio si adatta. Esiste una respon- done l’apparenza. In questo caso si è sabilità da parte dei mediatore, che verificato un considerevole scarto tra non solo individua l’artista, ma ac- l’idea di partenza e la realizzazione firegistrazione: tra il concetto di «soziale spazio, non necessariamente fisico e compagna i committenti nell’elabora- nale, grazie al dialogo tra le persone plastik» e un «neosituazionismo geografico, approfittando dell’impossibilità coinvolte. Potremmo dire che il prozione della loro richiesta. postdebordiano», mixato con le energie al controllo totale, per eludere i dispositivi getto Nouveaux Commanditaires gesporche del punk, Basso intende l’arte come disciplinari attraverso vie di fuga. La Taz Qual è l’obiettivo del progetto Nou- nera sempre un conflitto: visioni diffeil canale alternativo al mainstream media. La svanisce prima ancora di essere scoperta e renti sono messe nella condizione di veaux Commanditaires? sua ricerca nasce da una continua raggiunta dalle forze preposte al potere e si Mettere al centro la persona privata dialogare e il lavoro collettivo permetridefinizione dello spazio dell’arte nella configura in altri luoghi. Un sogno anarchico per il bene pubblico, e non è un’istitu- te di trovare un punto di incontro. Il società attuale ed è sostenuta da un assunto mai separato dall’urgenza della realtà zione ad assumersi questa responsa- progetto dei Nouveaux Commandipolitico, insieme a una fortissima vocazione sociale. � In alto, bilità ma sono direttamente i cittadini taires può dirsi riuscito quando l’operelazionale e partecipativa, direbbe Nicolas La memoria, sempre in chiave politica, è un Paul Vermeer a farlo. Nella elaborazione di un pro- ra diviene ricerca collettiva, senza per Bourriaud, per elaborare, produrre e altro concetto fondamentale nella ricerca di “La lattaia” getto la partecipazione è limitata ad al- questo sacrificare però la libertà consumare nuove significazioni. A conferma Basso, della «storia che lascia tracce non e accanto a cune persone - che fanno rete tra loro espressiva dell’artista intervenuto. dell’anticonformismo di una siffatta sempre indelebili nella città», come nel Mierle Laderman - e il mediatore - che sceglie il tema e operazione artistica, valga l’esempio, se le Teatro di Porta Romana a Milano occupato Ukeles in Sono state realizzate molte opere l’artista -: insieme cercano i fondi neinstallazioni sonore con telefonate captate nell’84, dai ragazzi del Virus - storico centro “Manutenzione cessari per produrre l’opera. La Fon- dal 1993 a oggi, quale fra queste è la da centralini erotici non bastassero, di Radio sociale milanese e luogo di aggregazione del dell’Attività dation de France si assume il carico fi- più significativa? Belin, una trasmissione in diretta su tessuto antagonista -, per contestare un Artistica (1973, Ce n’è una a Blessey, un piccolo vilnanziario solo per la fase iniziale del frequenze pirata che diffonde dialoghi di convegno sociologico sulle bande giovanili Università progetto, che comprende il lavoro del laggio della Bourgogne di soli ventisetgente comune e politici (tra cui quello di due volto a criminalizzare il punk. L’artista, quasi Wadsworth mediatore e lo studio del progetto; te abitanti, dove per un lavatoio era presocialisti nel momento della crisi di Craxi), quindici anni dopo, ha recuperato il tapedi Hartford, spetta poi ai committenti trovare altri visto un’opera di restauro. Xavier Duliberamente montati a mo’ di sondaggio. audio che documenta La notte dell’anarchia, Connecticut). partner. Tra l’elaborazione dell’idea e roux, il mediatore culturale, ha invitato Un tipo di interferenza sociale ai limiti della distribuito negli anni 80 a livello nazionale la sua realizzazione spesso passano tre Remy Zaugg che, considerata la bellezlegalità che ancora oggi, nonostante il dai circuiti dell’autoproduzione, Nelle altre o quattro anni, durante i quali il me- za del luogo, ha iniziato a camminare digitale abbia cambiato le nostre abitudini, riproponendolo durante la mostra negli immagini, diatore cerca eventuali partner. I Nou- per le strade con gli abitanti del villagpuò essere praticata, visto che esistono stessi luoghi della rivolta, coadiuvando due momenti veaux Commanditaires mettono in gio, indicando loro dove fosse il degraancora in Italia frequenze analogiche l’azione con una sonorizzazione spaziale che performativi moto un’economia diversa da quella do del paese. L’iniziativa ha creato attraverso cui comunicano l’esercito, l’Ansa, ripercorre la vicenda attraverso il racconto, di Fabrizio del mercato, perché gli artisti che lavo- spaesamento nella comunità, e solo i pompieri, le ambulanze e il circuito dei incalzante e agitato, dei testimoni del Virus. Basso rano con noi, sebbene le loro opere dopo dieci anni Blessey è stato restauradioamatori. Questi lavori nascono nella Una ricerca che si misura con le geografie del siano esposte nei musei e nelle galle- rato, avendo i cittadini risposto positiscena underground e girano per l’Italia potere aprendo un campo d’azione, un rie, non vivono dello stesso rapporto vamente alla proposta dell’artista. Non attraverso incontri, laboratori, concerti, confronto con le strategie dell’economia economico, ed è un aspetto non se- si può dire che non ci siano stati conflitmanifestazioni e mostre, organizzate sia in globale, con la biopolitica, i collective condario. I committenti hanno modo ti e incomprensioni, ma alla fine il citcentri sociali che in gallerie d’arte. Basso si behaviour, la militanza dal basso, per di comprendere che l’artista è in grado tadino è riuscito a diventare attore delavvicina a quelle che Hakim Bey individua mescolare tanti tipi di realtà e ridisegnare di soddisfare le loro richieste e non so- lo sviluppo del territorio che abita. come «zone temporaneamente autonome», uno scenario al di fuori degli standard lo le esigenze del mercato. liberate, svincolate dal dominio capitalista: imposti dal sistema dell’arte. Come diceva (sito ufficiale www.nouveauxpiccole comunità in fuga per non essere Deleuze in un noto slogan: «la resistenza è commanditaires.com) Come si forma la richiesta dei distrutte o normalizzate. Occupare uno creazione». per farlo è necessario costruire un processo di conoscenza che faccia dialogare ogni elemento di quel discorso. Il gruppo Guerrilla Girls organizza manifestazioni e “campagne pubblicitarie” contro lo strapotere dei musei nel decidere chi abbia o meno diritto di essere incluso nel mondo dell’arte, utilizzando gli stessi mezzi di comunicazione del potere; Group Material organizza tavole rotonde e campagne di sensibilizzazione per sottolineare il disinteresse del governo americano verso l’epidemia dell’Aids e l’errata colpevolizzazione degli omosessuali, sviluppando indagini sul concetto di democrazia alla luce delle moderne egemonie politiche ed economiche. Alla fine degli anni 80, Tim Rollins crea un gruppo di lavoro nel Bronx con ragazzi provenienti da situazioni molto disagiate (K.O.S., Kids of Survival), attivando laboratori sulla letteratura e sull’arte quali strumenti di educazione sociale e civile. La presenza, la comunità, il dialogo, l’informazione e l’azione diventano gli strumenti di una possibile “rappresentazione” contemporanea della realtà, che concepisce una molteplicità di spazi in continua sovrapposizione: architettonici, ambientali, comunitari, multimediali, cibernetici, ibridi, politici, identitari. L’arte intercetta questi spazi e la loro stratificazione, aprendoli alla possibilità di essere percorsi in maniera consapevole e di essere letti per la loro relazione con il presente.

l progetto Nouveaux Commanditaires è nato nel 1993 ed è promosso da sette mediatori culturali. Finora sono 175 tra progetti realizzati e ancora in corso in 19 regioni della Francia, per metà in zone rurali e in contesti urbani, sub-urbani o rurali, e l’altra in spazi aperti o istituzioni pubbliche come scuole, ospedali, carceri. In Italia la Fondazione Adriano Olivetti ha fatto propri i Nouveaux Commanditaires con il progetto Mirafiori Nord in corso dal 2001, che potrebbe rappresentare una possibilità (se non un’alternativa) alla legge 717 - approvata nel 1949 dal governo De Gasperi - che prevede di destinare il 2% della spesa per la costruzione e la ricostruzione di edifici pubblici all’abbellimento degli stessi mediante opere d’arte. Sebbene il provvedimento sia stato più volte aggiornato, al momento ha prodotto per lo più opere che hanno considerato il tessuto urbano delle nostre città come un «museo all’aperto», dove lavori di varia natura “arredano” strade e piazze senza cogliere l’attenzione del cittadino. Incontriamo Catia Riccaboni, responsabile cultura della Fondation de France e coordinatrice del progetto Nouveaux Commaniditaires, all’interno del Café Reflets, un progetto realizzato a Parigi.

“Si attiva un dialogo tra artista, realtà locale e Fondation de France, attraverso l’intervento di un mediatore culturale che propone l’artista e guida il committente”.

rriva. r In nome della radicalità e della partecipazione


IV

Queer

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La provocazione del gruppo Bacaci Sjenki, letteralmente Lanciatori di Ombre. Cronache di creatività e vita dalla ex Jugoslavia

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ll’incirca sette anni fa un gruppo di professionisti appartenenti a diverse discipline artistiche ha fondato a Zagabria la piattaforma creativa Bacaci Sjenki (Lanciatori di Ombre) ispirandosi ad un testo di Marcel Duchamp. Anche se tra noi collaboravamo in diverse formazioni da vent’anni, abbiamo deciso di unire le forze in modo più diretto e profondo attraverso un linguaggio artistico e creativo: dall’arte concettuale alle performance teatrali e sitespecific, dal lettrismo e dalla terminologia situazionista fino al concetto di drammaturgia alla tedesca; dall’attivismo e dall’arte relazionale a progetti di arte contemporanea per e con le comunità locali. Il primo progetto ideato insieme è stato realizzato in sei città: Zagabria, Bologna, Graz, Ljubljana, Belgrado e New York, usando gli spazi e le città come un palcoscenico ipertestuale e post concettuale, dove le azioni, da noi pensate e realizzate, hanno creato la cornice che trasforma la città in pura creazione: derive programmate degli spettatori e nuove storie all’interno di viaggi polisensoriali. Nel 2002 nasce l’idea di un nuovo progetto, generato da un innamoramento di una casa. Non una casa qualsiasi, ma una torre nel complesso condominiale di uno dei più interessanti architetti croati: Ivo Vitic (1917-1986). L’edificio viene progettato nel 1956, costruito nel 1961 l’anno seguente vince il premio come migliore Architettura Jugoslava. Dopo però viene dimenticata così come il suo autore. Essendomi innamorato di questa casa, dalla caratteristica facciata alla Mondrian, multicolore con le finestre scorrevoli in legno marrone, ho immaginato un intervento di coinvolgimento degli abitanti attraverso l’invito rivolto ad un gruppo di artisti internazionali. Un fatto bizzarro accade quando vengo invitato a una festa in quella torre e mi viene offerto l’affitto di un appartamento ad un prezzo molto basso. Dopo aver accettato la proposta ho cominciato a trasferire il lavoro di Bacaci Sjenki nella casa ed ho scoperto che i paraventi-finestre non si muovevano da circa vent’anni, a causa di

A Zagabria la casa è un palcoscenico [di Boris Bakal] difetti di costruzione e incuria da parte degli stessi abitanti. Negli anni della guerra civile in Croazia la casa, costruita per gli impiegati e i funzionari della Banca Nazionale, viene venduta agli abitanti a un prezzo inferiore al valore di mercato. Con quel gesto il governo di destra compra i voti della popolazione e continua così la sua politica devastante: da una parte vende agli abitanti le case costruite con i loro soldi e dall’altra svende il patrimonio pubblico. Infatti per noi la casa di Vitic rap-

to sociale e politico: come recuperare non solo la casa, gioiello dell’architettura moderna, ma anche la vita comune degli abitanti? Dal momento in cui siamo entrati nella sua storia le persone non si parlavano, l’assemblea condominiale non esisteva ed erano un “relitto del passato socialista” da circa vent’anni. Salutavamo tutte le persone che incontravamo, abbiamo pulito in parte le zone condivise, riparato la luce nell’ascensore, organizzato le assemblee di condominio allargate, in-

tri, filmati e divulgati attraverso i media. Anche gli abitanti erano invitati ma all’inizio non prestavano molta attenzione. Poi, lentamente, dalla prima vera assemblea che viene costituita con l’elezione dei rappresentanti, iniziano a pensare al recupero dell’architettura e al riutilizzo degli spazi comuni: la terrazza sul tetto, le scale, gli spazi per le assemblee, le cantine ecc. Il nostro lavoro non era solo organizzare la vita degli abitanti ma anche creare un programma culturale permanente nel-

progetto e della realizzazione. Tutto questo non avveniva solo a Zagabria ma si allargava ad altre città croate come Dubrovnik, Spalato e Fiume ma anche all’estero in Olanda e Italia (Genova) dove in alcuni luoghi, oltre alla presentazione, viene organizzata la mostra o una serie di laboratori con artisti e cittadini per presentare il nostro metodo di lavoro. L’approccio critico usato per il recupero del complesso condominiale si pone l’obiettivo di aprire un nuova via nel restauro dell’architettura moderna sia in Croazia che all’estero. Casa Vitic e i problemi degli abitanti sono in parte dovuti a una realizzazione lasciata a metà, causata dalla fine dei soldi che a sua volta ha costretto lo stesso architetto a utilizzare i soli materiali disponibili all’epoca per risolvere problemi statici, come la termodinamica della ca-

Facciata alla Mondrian, finestre scorrevoli in legno marrone. Non un edificio qualsiasi, ma la torre di Ivo Vitic, premio miglior architettura jugoslava nel 1962. presenta una metafora dello Stato croato nell’epoca di transizione dall’Europa dell’est, dove casi come questi erano e sono ancora oggi numerosi. Così il progetto artistico viene trasformato in proget-

vitando architetti, scrittori, urbanisti, teatranti, sociologi e artisti, famosi e non, a partecipare, identificandosi con la casa e interpretando il ruolo degli abitanti. Nell’arco di un anno abbiamo organizzato quindici incon-

l’edificio: concerti, incontri con artisti e architetti, spettacoli in casa e nei dintorni, mostre degli artefatti degli abitanti e delle loro memorie; il tutto affiancato da documenti originali dell’architetto Vitic con la storia del

sa. Il recupero dell’immobile doveva avvenire attraverso un concorso internazionale integrato dai suggerimenti degli abitanti, veri protagonisti e conoscitori dell’edificio e delle sue problematiche. Inoltre abbia-

mo proposto un piano dettagliato per la manutenzione sostenuto dalla casa stessa attraverso la trasformazione di alcuni spazi comuni in spazi d’uso pubblico, turistico e culturale. Il progetto continua, nel 2008

Nato nel 2002 a Roma, il gruppo ha realizzato il progetto Sonìcity nei quartieri d � Al centro,

Fabrizio Basso “Calma Calma Calma”, azione urbana Bologna 2005 Sotto, istallazione di Fabrizio Basso

Nel riquadro, Sonicìty del gruppo Moorroom, Roma ex Mercati Generali 2002

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ttivo a Roma dal 2002, il collettivo Moorroom - formato da Rosanna Palermo, Massimiliano Busti e Paul Blackmore - sceglie lo spazio urbano per attivare relazioni tra architettura, arte visiva e suono. I luoghi vengono indagati da diverse discipline, che riescono a rivelarli e a raccontarli. Abbiamo incontrato il gruppo nel quartiere Ostiense a Roma. Quale idea progettuale e quali strumenti caratterizzano il vostro lavoro? Il rapporto con lo spazio urbano è al centro dell’interesse delle attività di Moorroom. Con Sonìcity del 20022003 abbiamo reinterpretato due spazi della capitale, Corviale e Ostiense (ex mercati e magazzini generali ), mettendo in relazione artisti di ambiti diversi (video, musica e architettura) con operatori culturali (urbanisti e sociologi), nel tentativo di armonizzare le reciproche differenze attraverso la realizzazione di alcune opere site-specific. In altre circostanze abbiamo invece commissionato ad artisti lavori sul tema della città, come il soundscape di

Justin Bennett presentato al Palazzo dei Congressi per il 49°Congresso Mondiale dell’International Federation For Housing and Planning, o l’installazione luminosa interattiva di Achim Wollscheid sul Palazzo degli Uffici sempre all’Eur. Sviluppiamo strumenti “anomali” di indagine sulla città, volti a stimolare la lettura, la conoscenza e la riappropriazione del tessuto urbano e dei suoi elementi architettonici. L’opera d’arte diventa così strumento d’interazione, l’interfaccia con la città contemporanea. Un lavoro che presuppone il confronto con istituzioni ed enti privati. Con quali realtà riuscite a dialogare? Spesso è la ricerca dei finanziamenti a determinare la tempistica di un evento. Sarebbe auspicabile la creazione di una nuova committenza rivolta alle progettualità contemporanee, per dare loro più coerenza, efficacia e continuità. Le due edizioni di Sonìcity sono state un

momento di riflessione sull’identità e le prospettive di Corviale e dell’Ostiense, rivolte non solo negli addetti ai lavori ma ad ogni singolo cittadino. Era necessario che la collettività potesse accedere liberamente a questi luoghi e ai lavori artistici creati per essi, senza preoccuparsi di un rientro economico sotto forma di biglietto. Il nostro lavoro si focalizza perlopiù su spazi atipici e spesso interdetti, chiusi al pubblico o poco accessibili per questioni di natura sociale e culturale, vale a dire un’idea di “chiusura” ancora più difficile da scardinare. E’ chiaro che tali iniziative non possono prescindere dal supporto economico dell’amministrazione locale, e quando questo dopo la seconda edizione è venuto a mancare, i lavori per la terza edizione di Sonìcity sono stati per forza di cose sospesi. Fortunatamente questo genere di progetti incontra il sostegno anche di organismi internazionali e comunitari, ed è in questa direzione che ci

“In primavera saremo a Mosca per un progetto europeo di tutela e recupero delle architetture costruttiviste, patrimonio che lo sviluppo capitalista sta mettendo seriamente a rischio”.


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Queer

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Work in progress

Guida all’arte nello spazio pubblico Nata negli anni 80 per superare il tradizionale concetto di monumento, l’arte pubblica/relazionale ha subito attecchito anche in Italia con lavori che intervengono nel contesto pubblico in forme diverse per processualità ed estetica. Tra i progetti più recenti la settima edizione di Tusciaelecta (www.tusciaelecta.it), rassegna biennale a cura di Arabella Natalini, che indaga su una possibile ridefinizione del paesaggio urbano, attraverso l’inserimento di opere specifiche nel territorio del Chianti. Fondamentale è l’interazione tra spettatore, opera e luogo per favorire l’avvicinamento e la comprensione dell’arte contemporanea a un pubblico più ampio. Alla rassegna sono stati invitati gli artisti Michele Dantini e la coppia Perino&Vele. Diogene-bivaccourbano (www.diogenebivaccourbano.it) è un progetto di collaborazione tra artisti per stabilire un rapporto inedito con gli spazi interstiziali della città di Torino. L’idea è attivare un programma di residenze e scambi internazionali all’interno di strutture di fortuna mobili e ridotte allo stretto indispensabile.

sarà finito il film documentario sui primi tre anni di attività. Verrà pubblicato un libro che racconta la storia del progetto, accompagnato da interviste ad abitanti e architetti e da foto dei loro archivi privati, per restituire

il punto di vista interno della casa. Gli abitanti hanno deciso di finanziare il restauro degli ascensori e rinnovare, metaforicamente, la dimensione verticale della casa. La battaglia per il recupero continua, l’ammini-

strazione della città di Zagabria ha rifiutato per la seconda volta la decisione del Comitato per la salvaguardia dei monumenti di restaurare la casa. Sebbene il progetto abbia portato cambiamenti radicali, non si rie-

sce ancora a realizzare totalmente il nostro scopo a causa di una assenza di un’etica politica che possa recuperare questo straordinario patrimonio al di fuori delle solite logiche del mercato e del consumo.

di Corviale e Ostiense. Gli interventi artistici e le difficoltà dei finanziamenti

Moorroom, un’anomala indagine urbana [di Gaia Cianfanelli] stiamo muovendo. Altra grande sfida di Moorroom è mettere in relazione l’arte con la realtà territoriale e i suoi abitanti, passare dallo spazio urbano allo spazio sociale o viceversa... Partiamo da una ricerca antropologica dei luoghi, scegliamo architetture e spazi che più rappresentano il segno della trasformazione e che restituiscono il senso del mutamento della città. Così è avvenuto per Sonìcity. Le due edizioni del progetto sono nate per integrare intervento artistico e tessuto urbano e sociale. Non ci interessavano le strutture architettoniche come semplice “scenario” su cui giustapporre le opere, al contrario tutte le iniziative sono state il risultato di un processo creativo che ha coinvolto attivamente le realtà locali. Amministrazioni territoriali, comitati di quartiere, scuole e singoli cittadini;

ognuno di essi ha fornito quel bagaglio di informazioni necessarie per la definizione delle linee guida della nostra attività. Solo così è stato possibile, anche a livello logistico, realizzare una serie di iniziative che altrimenti sarebbe stato impossibile mettere in pratica. In particolare ci siamo preoccupati di coinvolgere gli adolescenti in laboratori di tecnica di ripresa e montaggio video e in workshop multidisciplinari con studenti di diverse facoltà universitarie. Ora il vostro sguardo è rivolto verso est? Dalla primavera del 2008 saremo impegnati in Mosco[w]nstruct, un progetto europeo per la tutela, il recupero e la valorizzazione delle architetture

costruttiviste della città di Mosca, elaborato in collaborazione col DIPTU (Dipartimento Interateneo di Pianificazione Territoriale ed Urbanistica dell’Università La Sapienza), l’Istituto di Architettura di Mosca, ed altre realtà locali ed internazionali (Do.co.mo.mo, ICOMOS). Si tratta di un patrimonio architettonico messo oggi fortemente a rischio dal passaggio verso l’economia di mercato, che sta mutando in maniera radicale il volto della capitale russa. Oggetto delle nostre iniziative sarà la tutela di queste strutture, sia del loro valore storico che degli aspetti relativi all’identità culturale. Università e realtà territoriali collaboreranno invece nella costituzione di laboratori per studenti e cittadini, permettendo così il confronto tra due visioni diverse, una “esterna” e una “interna”. Il tutto accompagnato da un pool di artisti internazionali che interpreterà il tema del recupero con lavori multimediali all’interno delle stesse architetture. (sito ufficiale del gruppo: www.moorroom.org)

E’ orientato a una riflessione sulle trasformazioni socio-antropologiche dello spazio metropolitano, Container (www.neoncampobase.com), a cura di Mili Romano e Gino Gianuizzi. Il progetto coinvolge 12 artisti e si presenta come un laboratorio dinamico di interventi per valorizzare l’identità del luogo e il senso di appartenenza. Le installazioni multimediali di Giuseppe Stampone e di Diomira Network si inseriscono in un territorio pubblico più vasto, che unisce allo spazio fisico quello virtuale di Second Life. Accanto alla rottura dei confini tra reale e artificiale, i suoi lavori, come Io? per il progetto Wart (www.diomiranetwork.net), riflettono sul nuovo tipo di partecipazione attiva legata ai media elettronici. Unicum nel campo della ricerca universitaria sul tema è l’Osservatorio di Arte Pubblica (sito in costruzione) del Politecnico di Milano-Campus di Piacenza, costituitosi nel 2007. Il laboratorio è diretto da Emilio Fantin e Lorenza Perelli con un denso programma di attività (corsi, workshop e incontri) in campo teorico e pratico, messe in relazione con enti pubblici e privati. Tra le associazioni non profit e le fondazioni attive da diversi anni: a.titolo (www.atitolo.it), Connecting Cultures (www.connectingcultures.info), Cittadellarte-Fondazione Pistoletto (www.cittadellarte.it), la Fondazione Baruchello (www.fondazionebaruchello.com), la Fondazione Olivetti (www.nuovicommittenti.it) e la Fondazione Southeritage (www.southeritage.it). Per gli approfondimenti, si indicano i testi classici di S. Lacy, “Mapping the terrain. New Genre Public Art” edito da Bay Press e di N. Bourriaud, “Esthétique relationelle” pubblicato da Press du Réel. Da segnalare in italiano “Public Art” a cura di Florian Matzner per Hatje Cantz. Cecilia Guida


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