Rossana, il sogno e il ragno Calatrava

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Dello stesso autore Il “caso� Cicciapetarda Maremma safari e altri sogni


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Fabrizio Altieri

Rossana, il sogno e il ragno Calatrava Romanzo

SocietĂ

Editrice Fiorentina


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Filo diretto con l’autore www.sefeditrice.it/altieri fabrizioaltieri@seflog.net

© 2008 Società Editrice Fiorentina via Aretina, 298 - 50136 Firenze tel. 055 5532924 fax 055 5532085 info@sefeditrice.it www.sefeditrice.it isbn 978-88-6032-081-0 Proprietà letteraria riservata Riproduzione, in qualsiasi forma, intera o parziale, vietata

Ogni riferimento a persone o cose esistenti o a fatti realmente accaduti è puramente casuale.

Copertina a cura di Andrea Tasso Disegno di copertina di Renza Castelli


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Questo romanzo è per te. Non fingere di non capire, sei proprio tu...


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«La cosa più grande che tu possa imparare è amare e lasciarti amare» (Satine, in Moulin Rouge)

Ringrazio Massimo per il supporto e l’incoraggiamento che mi ha dato durante la non facile stesura di questo romanzo, Max e Francesca per i consigli preziosi e Ciccio e Peppe per i dialoghi in siciliano. E ringrazio Frank per la pazienza e la bravura nella fase di correzione, che ha seguito con la consueta attenzione e professionalità, Renza per il disegno e Andrea per averlo reso copertina.


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Rossana, il sogno e il ragno Calatrava


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il primo giorno di maurizio bernardi

Maurizio benedisse Steve Jobs. Dalle cuffie del suo iPod una canzone dolcissima copriva quello che gli altri pendolari stavano blaterando. Si concentrò sul testo che parlava della luna in inglese. Purtroppo capiva solo Moon ma era sempre così con le canzoni straniere; comprendeva qualche parola qua e là e poi inventava il testo, aggiungendo le parole che mancavano, spesso con ottimi risultati. Maurizio per nove mesi avrebbe fatto quella vita, perché all’assegnazione delle supplenze (i più anziani la chiamavano “mercato delle vacche”) per lui era uscita la carta “Istituto Professionale per l’Industria e l’Artigianato R. Dinelli”: la carta peggiore. Ma d’altra parte era la sua prima supplenza: cosa pretendeva? Prima di ospitare il Dinelli, quell’edificio era stato una fabbrica di carter per motori a due tempi. Quando la piena del fiume lì vicino portò via i torni e le frese, i proprietari trovarono antieconomico riavviare la produzione e lo lasciarono abbandonato per alcuni anni, finché il comune lo comprò e fu deciso che sarebbe stato un bell’istituto per l’industria e l’artigianato. Dopo un superficiale lavoro di manutenzione fu battezzato “R. Dinelli”, ma chi fosse R. Dinelli non si è mai saputo. Tutto questo era accaduto trent’anni prima; a Maurizio l’IPIA R. Dinelli si presentò come una serie di edifici color giallo sporco e grigio cemento. Nelle parti scrostate dell’intonaco affioravano le vene di metallo dell’armatura marroni per la ruggine e sul tetto dell’edificio principale, quello dove stavano le aule, colonie di piccioni sembravano fregarsene delle barriere antivolatili e nascevano, vivevano e 6


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morivano tra gli interstizi dei muri. A volte se ne trovava uno stecchito in qualche aula dell’ultimo piano e allora era una festa; se il periodo era quello giusto – da fine ottobre ai primi di dicembre – prendeva il via l’autogestione per protestare contro il degrado dell’istituto ed erano almeno due settimane di nulla. Maurizio non sapeva niente di tutto questo e non aveva idea di cosa lo attendesse. Aveva letto più di un romanzo ambientato nel mondo della scuola: romanzi ironici, drammatici, gialli, uno persino di fantascienza, ma tutti avevano un tratto che li accomunava: gli insegnanti scopavano come ricci in calore. Scopavano tra loro, con le bidelle, con le segretarie, con le donne delle pulizie, poi, non se ne parla! Il dubbio che il mondo dell’istruzione fosse veramente così gli era venuto. Oltretutto non sapeva neppure che cosa lo avessero chiamato a insegnare. Alle assegnazioni delle supplenze gli avevano comunicato solo la classe di concorso, non la disciplina specifica. La sua prima supplenza e lui non sapeva quale materia avrebbe dovuto insegnare. Era essenziale mostrarsi sicuro: nessuno doveva capire che era la prima volta. Com’era stato per il primo bacio; i suoi amici gli avevano detto che la cosa più importante era non farsi vedere inesperto, perciò aveva ficcato la lingua più che poteva in bocca alla malcapitata, ma la sua convinzione che più ci sai fare più devi arrivare in profondità si rivelò un boomerang: la ragazza aveva un apparecchio per i denti seminascosto che scattò come una tagliola sulla povera lingua di Maurizio che, per un lungo minuto, rimase imprigionato. Aveva sentito dire di casi simili risolti al pronto soccorso con una puntura e grasse risate degli infermieri e già si vedeva in barella appiccicato al suo amore, ma per fortuna la tagliola si riaprì e lui balzò all’indietro cadendo a terra sotto lo sguardo stupito della ragazza. «Sono… scivolato. Scusa». «Fa niente» rispose lei. E si tolse l’apparecchio.

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Maurizio, entrando nell’istituto, non si accorse dello scalino e inciampò. Cadde in ginocchio ma si rialzò all’istante guardandosi attorno; per fortuna nessuno l’aveva visto. La segretaria lo chiamava professore, questo era piacevole e non si coglieva alcuna ironia nella sua voce; gli fece firmare molti fogli e, in una pausa, Maurizio cercò di sapere ciò che lo preoccupava di più. «Quindi dovrò insegnare…». «La sua classe di concorso è la A099». La segretaria non voleva sputare la materia. Sopra uno dei documenti che stava firmando riuscì a leggere: «Maurizio Bernardi: P.S.E.». Maurizio Bernardi: P.S.E.? E cosa voleva dire?! Non poteva chiederlo, pena lo sputtanamento, e allora riprovò per vie traverse. «Avete per caso il programma del mio predecessore, così vedo fin dove è arrivato?» chiese con nonchalance. «Ah, il programma… il solito». Sembrava che lo facesse di proposito. «Il libro di testo?». «Ah, il libro di testo… il solito». «Il solito… già» ripeté Maurizio senza speranza. Dopo aver visto dov’era la scuola, decise che doveva fare colazione. L’aria pungeva e l’umidità aveva dato luogo a una coltre di nebbia. Passò attraverso un arco e vide un bar aperto, sotto un loggiato. Entrò e stava per ordinare un cappuccino con una pasta, quando li vide. Ce n’erano almeno due per tavolo, in alcuni tre o quattro, e stavano mangiando. Ma non stavano facendo colazione, perché là dentro non c’era odore di caffè o cioccolata o cornetti alla crema. Erano perlopiù vecchi e parlavano tra di loro e mangiavano. Vide salsicce con fagioli al pomodoro e spicchi d’aglio grossi così e rami di salvia e trippa col parmigiano e melanzane sott’olio e rosticciane e braciole di maiale con le patate e i peperoni. Un vecchio col cappello stava disossando un coniglio arrosto intero sotto lo sguardo di un compagno. Da dietro il banco una signora grassa e bionda sulla sessantina lo squadrò con 8


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diffidenza. Sentendosi osservato disse la prima cosa che aveva in mente di dire prima di entrare in quel luogo: «Un cappuccino e una pasta». Si accorse subito dell’errore: tutti si voltarono verso di lui e si creò un silenzio carico di rimprovero. Lesse nei loro sguardi un unico giudizio, un’unica parola: «Finocchio».

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Rossana Il primo giorno di Maurizio Bernardi Sempre il più disadattato Il sogno Il piano di Prunas Il ragno Calatrava Edizioni Clemenza L’autore firma le copie La preside La draghessa Passato presente Pane per i tuoi denti, Celestino La curiosità Il fulmine Il primo giorno di Nicola Pirrotta L’incarico Giuda? La spedizione punitiva L’autore presenta il libro Gli esperti esterni Rossana vola Il poeta morto Il dovere


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L’artista Il metodo Prunas Gratitudine Don Prunas La vestizione La scomparsa Le due anime La giustizia di Celestino Palp fikscion Stupendo toccare il sogno Il capo dei cani Il mondo di Celestino Scuola guida Guerrazzi Il monologo del demonio Storia di Ielena Musical Il pentito Il capolavoro Scacco al re Il sacrificio Azione! L’addio alla madre L’addio al ragno La trappola Pericolo di morte La caccia Giustizia Un piano perfetto Il colpo


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