I mezzadri e i trovatelli

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Francesco Apergi

i mezzadri e i trovatelli famiglie e senza famiglia nei poderi del mugello (secoli xix-xx)

Francesco Apergi

I MEZZADRI E I TROVATELLI

FAMIGLIE E SENZA FAMIGLIA

NEI PODERI DEL MUGELLO

(SECOLI XIX-XX)

Editr ice F iorent ina Soc ie tà

© 2023 Società Editrice Fiorentina via Aretina, 298 - 50136 Firenze tel. 055 5532924 info@sefeditrice.it www.sefeditrice.it

isbn: 978-88-6032-687-4

Proprietà letteraria riservata Riproduzione, in qualsiasi forma, intera o parziale, vietata

Progetto grafico e impaginazione

Francesco Sensoli

Copertina

Studio Grafico Norfini

Foto di copertina

Pianta di alcuni poderi situati nel Comune di Borgo S. Lorenzo, 1736, Archivio Maganzi-Baldini © Comune di Borgo San Lorenzo (per gentile concessione), foto di Studio Noferini

vii Introduzione

xv Ringraziamenti

PARTE PRiMA «Ogni TRAMuTA unA cAduTA».

FAMigliE E REsidEnzA TRA i MEzzAdRi dEl MugEllO

3 Capitolo 1

«A ’ccattare ti troverai una sporta, se via ti manderò dal poderetto»

15 Capitolo 2

Nomadismo tra i poderi

27 Capitolo 3

Le famiglie iperstanziali

39 Capitolo 4

La famiglia dei mezzadri nel lessico locale

PARTE sEcOndA

nOcEn Tini Ai POdERi

49 Capitolo 5

Dalla «famiglia dei gettatelli» alla famiglia colonica

59 Capitolo 6

Mugello «alma terra nutrice di poveri bastardi»

INDICE

69 Capitolo 7

«Fu trovato al di fori del presepio di sesso mascolino»

77 Capitolo 8

«Gli posi un casato». Un nuovo nome, un nuovo cognome

85 Capitolo 9

«Alunni di casa» e «bell’innesti»

95 Conclusioni

103 Bibliografia

Trovano in tal modo quella famiglia che la sorte ha loro negata, specie se si ha cura di affidarli a coloni mezzadri delle nostre campagne. (Ugo Cherici, L'assistenza all'infanzia, 1932)

Nel 1870, a 13 anni di distanza da una “escursione agraria” dedicata alla mezzadria del Mugello e firmata da un eminente agronomo dell’epoca, Pietro Cuppari1, un libretto pubblicato dall’editore Le Monnier si occupa nuovamente di questa terra. Ne è autore un avvocato fiorentino, appartenente al notabilato cittadino e presente ai vertici delle istituzioni assistenziali, Federigo Valsini2. Il testo, un diario di viaggio, non poco indulgente alla finzione letteraria, ma anche attento alle emergenze storico-artistiche e alla vita economica e sociale di questo territorio, è suddiviso in sei giornate che coincidono con altrettante tappe nelle diverse località mugellane.

Ciascuna delle tappe è corredata da incontri e colloqui, più o meno immaginari, avuti con gente del luogo. Compaiono in scena contadini mezzadri, braccianti, un fattore, un prete, una famiglia di pastori, un proprietario terriero: insomma, un piccolo campione significativo dell’ambiente sociale locale. Un tema che sta molto a cuore al nostro osservatore è il funzionamento del sistema mezzadrile, di cui vede i molteplici e insopprimibili difetti e suggerisce il superamento, considerandolo un «avanzo di barbarie». Tra le materie di descrizione e approfondimento di questo diario di viaggio, figura anche – e con un risalto

1 Si veda PiETRO CuPPARi, Escursione agraria nel Mugello, in «Giornale Agrario Toscano», 1857, pp. 40-65, 157-163. Questo intervento di carattere monografico di Pietro Cuppari, che fu anche esponente della Accademia dei Georgofili, fu pubblicato su quel «Giornale Agrario Toscano» che in quegli anni offrì largo spazio a studi e dibattiti sulla mezzadria.

2 Valsini fu direttore dell’Istituto dei Ciechi di Firenze e tra i promotori della fondazione dell’ospedale di Luco del Mugello.

INTRODUZIONE

particolare – la presenza molto diffusa di «nocentini», ovvero di trovatelli, presso i poderi dei mezzadri locali. Nel corso del tragitto in diligenza, il nostro avvocato, mette in scena una conversazione con una coppia di sposi mezzadri reduci da una visita allo Spedale degli Innocenti di Firenze, e viene a conoscere la loro condizione di famiglia affidataria di un bambino trovatello. Essi gli raccontano che il bimbo è stato preso quando aveva tre giorni: passati tre anni hanno ricevuto la lettera dello Spedale con richiesta di riconsegnarlo al padre legittimo, un carbonaio. Questi, dopo pressanti insistenze dei genitori affidatari, affranti dal dolore di dover lasciare il nocentino, e d’accordo con lo Spedale, acconsente a riaffidare loro il figlio per altri tre anni. I due coniugi confessano di averlo preso «per quelle poche lire che lo Spedale ci passa» ma anche di amarlo più dei propri figli. Secondo il nostro autore, le famiglie contadine del Mugello mostrano una particolare vocazione a offrirsi come tenutarie di questi trovatelli («poveri bastardi»): lo dimostra il numero dei «ricettati» in quest’area dagli istituti di Firenze, Pisa e Lucca, che risulterebbe molto elevato. La coppia di contadini gli conferma che «non vi è contadino tra noi che non abbia un suo nocente: e vi sono famiglie che ne hanno due e anche tre»3.

Lasciamo il nostro autore al suo viaggio e ricapitoliamo i temi affiorati di scorcio in questa conversazione.Da un lato quella mezzadria che, all’epoca dello scritto, aveva già conformato di sé molto del tessuto economico e sociale della Toscana rurale. Dall’altro il fenomeno degli abbandoni, che in Toscana, come in tutta Italia, andavano crescendo vertiginosamente proprio in quella fase storica. A occupare il terzo lato di questa sorta di triangolo, lo Spedale degli Innocenti, un’istituzione assistenziale fiorentina che nel secolo XIX si occupava di infanzia abbandonata, come se ne era occupata fin dalla fine del Medioevo. La cornice geografica è costituita dal Mugello, un’area nella quale questo “triangolo” si è manifestato con una nitidezza particolare, come il seguito di queste pagine cercherà di documentare.

Il mondo contadino – in particolare quello mezzadrile – e l’infanzia abbandonata sono stati a contatto già dalla fine del Medioevo nel contado fiorentino. Ma la contiguità si fa intreccio solo a partire dal-

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3
FEdERigO VAlsini, Sei giorni in Mugello, Firenze, Le Monnier, 1870, p. 17.

la seconda metà del secolo XVIII, quando la dirigenza degli Innocenti attuò una conversione di rotta nella propria politica dell’assistenza. Gli abbandonati fino ad allora erano stati consegnati alle balie di campagna per i primi anni di vita, e, per gli anni successivi, mantenuti per lo più in una coresidenza obbligata, come membri di una famiglia fittizia (la «famiglia gettatella»), che aveva la sua sede nel grande edificio fiorentino di Piazza Santissima Annunziata. Il «Metodo moderno del Governo dello Spedale» cambiò le carte in tavola. In precedenza, gli spazi della crescita e della formazione degli esposti erano stati soprattutto il «Luogo di deposito» dello Spedale, le manifatture e le botteghe cittadine (dove i ragazzi venivano avviati all’apprendimento di un lavoro), e, per le ragazze, lo stesso Spedale bisognoso di personale di servizio. Da allora in poi sarebbero state le famiglie del contado ad essere investite di questi compiti, con affidamenti che non si sarebbero limitati ai primi anni di vita degli esposti, ma si sarebbero estesi fino all’età adulta4

Tale conversione coincise con l’inizio di un processo di crescita vertiginosa del numero degli abbandoni, che riguardò non solo Firenze e la Toscana ma anche tutto il territorio italiano. L’impennata, già iniziata a fine Settecento, investì in pieno il secolo successivo, e fu tale che l’Ottocento è stato definito anche come «il secolo dei trovatelli»5. Il fenomeno raggiunse in quel tornante una consistenza estremamente rilevante. Per darne una misura indicativa, nel solo Spedale degli Innocenti, per la durata dell’intero secolo, le introduzioni di abbandonati ammontarono a 150mila, con picchi annui che si aggirarono sulle 2500 unità per il periodo 1850-18756. Una quantità sterminata cui quotidianamente lo

4 Su questa svolta riformatrice si veda PiER PAOlO ViAzzO, MARiA BORTOlOTTO, AndREA ZAnOTTO, Riforme dei regolamenti e oscillazioni della mortalità infantile allo Spedale degli Innocenti di Firenze nella seconda metà del Settecento, in Senza famiglia. Modelli demografici e sociali dell’infanzia abbandonata e dell’assistenza in Italia (secc. XV-XX), a cura di Giovanna Da Molin, Bari, Cacucci, 1997.

5 GiuliA Di BEllO, L’identità inventata. Cognomi e nomi di bambini abbandonati a Firenze nell’Ottocento, Firenze, CET, 1993, p. 1.

6 MARiA BORTOlOTTO e PiER PAOlO ViAzzO, Assistenza agli esposti e declino della mortalità infantile allo Spedale degli Innocenti di Firenze nella prima metà dell’Ottocento, in «Bollettino di demografia storica», nn. 24-25, 1996, p. 22. Già dalla fine del ’700 gli abbandoni crebbero vistosamente. Cfr. sul tema Senza famiglia. Modelli demografici e sociali dell’infanzia abbandonata e dell’assistenza in Italia (secc. XV-XX), cit., p. 22. Il numero medio di esposti introdotti a Firenze tra 1795 e 1814 superava quasi ogni anno i 1000 (FRAncEscO

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Spedale doveva provvedere, assumendo in carico i neonati e i più grandicelli, dando loro una balia, una nuova identità anagrafica, definendo un percorso di affidamento verso le famiglie, sottoponendo le famiglie a verifica e sorveglianza con visite periodiche.

La presenza di nocentini, che già nei secoli precedenti era divenuta «consueta nelle campagne toscane»7, assunse una consistenza numerica prima sconosciuta, con un impatto sul tessuto economico, sociale e parentale contadino, che non fu solo quantitativo. Qualcuno, infatti, ha parlato anche di un “rapporto organico” tra il mondo mezzadrile e quello dell’infanzia abbandonata8

Dare una famiglia a chi è senza famiglia: questo fu il senso del disegno riformatore promosso dallo Spedale. Il mondo agricolo, e in particolare quello della mezzadria, apparve agli occhi della dirigenza degli Innocenti come l’approdo più sicuro degli affidamenti, e le «faccende della campagna» il veicolo di una reintegrazione sociale, che le attività economiche cittadine – si riteneva – non erano più in grado di offrire. Si presupponeva che le famiglie coloniche avrebbero accolto di buon grado l’afflusso di esposti, per sopperire alle carenze di braccia da lavoro a seguito di uno spopolamento in atto nelle aree del contado. Ma non è difficile vedere, dietro questo nuovo indirizzo, convincimenti maturati nell’orizzonte delle idee illuministiche. Le famiglie di campagna non erano forse l’incarnazione di quella “bontà naturale” del genere umano al suo stadio precivile evocata dai filosofi nel gran dibattito sui “selvaggi”? E non sarebbero stati proprio i “selvaggi-mezzadri”, che popolavano le case coloniche, coloro che avrebbero fornito, con i loro buoni sentimenti, la miglior polizza per la riuscita degli affidamenti?

BRuni, Storia dell’I. e R. Spedale di S.Maria degl’Innocenti di Firenze e di molti altri pii stabilimenti, 2 voll., Firenze, Stamperia Granducale, 1819, ii; Tavola i). Gli affidamenti si protrassero fino a Novecento inoltrato. Nel 1917 furono 3500. Nel 1932 si ridussero a poco più di 2000. Cfr. UgO ChERici, L’Assistenza all’Infanzia ed il R. Spedale degli Innocenti di Firenze, Firenze, Vallecchi, 1932, p. 337.

7 SiMOnA GElli e GiuliAnO Pin TO, La presenza dell’Ospedale nel contado (sec. XV), in Gli Innocenti e Firenze nei secoli. Un ospedale, un archivio, una città, a cura di Lucia Sandri, Firenze, S.P.E.S., 1996, p. 107.

8 GiuliA Di BEllO, L’identità inventata. Cognomi e nomi di bambini abbandonati a Firenze nell’Ottocento, cit., p. 6.

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Il «Metodo moderno», però, sapeva anche entrare nel merito. Convinceva, nella famiglia dei mezzadri, una dote “strutturale” che si mostrava come funzionale al progetto riformatore: quella di saper captare e “tenere dentro” la comunità domestica numeri elevati (e spesso molto elevati) di componenti, mantenendo coesione tra più generazioni e più nuclei. E incorporando in sé spesso anche “spezzoni di famiglia”, come quelli costituiti da nuclei coniugali troncati da vedovanze precoci, o da celibi di entrambi i sessi anche imparentati alla lontana. Questa “forza captante” non avrebbe potuto esercitarsi anche verso gli “allievi” in uscita dalla grande famiglia degli Innocenti? Non poteva «l’Amore che ha origine dall’Educazione» essere «forse maggiore di quello che ha origine dalla Generazione»?9.

Prese forma così una relazione “organica” tra due “mondi”: da un lato l’ “uomo del contado”, ad un tempo figlio, fratello, sposo, cognato, cugino, nipote, convivente sotto lo stesso tetto con una folla di consanguinei e affini. Dall’altro il “figlio dello Spedale”, monade cui una sottrazione forzata ha estirpato ogni traccia della famiglia di provenienza, compreso il nome e il cognome. Amputato dei suoi ascendenti e collaterali, del suo ambiente parentale di origine, egli entra nella vita privo di un “capitale” di memoria genealogica. Gli è negata la posizione del “discendente”. Privo di passato, può coltivare, però, nel disegno prospettato dai riformatori, un’ambizione: quella di espandersi nel futuro. Il suo destino auspicato è di stabilire con la famiglia che lo accoglie un legame che non sia solo coresidenziale e provvisorio, ma sfoci nella possibilità di dare vita a una propria storia in continuità con essa.

Il libro si propone appunto di mettere a raffronto questi due mondi, questi due percorsi che si incrociano, incentrando l’attenzione sullo spazio delle relazioni familiari e parentali in cui questo rapporto si è manifestato, nel caso specifico nelle campagne del Mugello del secolo XIX e di una parte di quello successivo.

Nella prima sezione è presa in esame la famiglia mezzadrile nei suoi caratteri fondanti e nei suoi tratti di precarietà strutturale. In particolare, l’indagine si sofferma sul tema della residenza. Il polinucleo mezzadrile dipendeva dalle logiche economiche di un contratto, che lo espo-

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9 AIF, n. 111, Neri Badia, Relazione del Regio Spedale di S. Maria degli Innocenti, 1768.

neva all’eventualità sempre incombente di essere obbligato a lasciare il podere che abitava e coltivava. La maggiore o minore continuità nel tempo del legame coresidenziale era l’indice rivelatore della sua maggiore o minore capacità di farsi gruppo coeso, radicato nel territorio e proiettato sul futuro. Per garantirsi questo risultato esso metteva in atto procedure di adattamento, intervenendo sul numero dei propri effettivi, sulla loro composizione per generazione e sesso, sul bilanciamento tra braccia da lavoro e bocche da sfamare. L’inclusione di figure afferenti provenienti dall’esterno del proprio reticolo parentale, come quelle costituite dai nocentini, poteva contribuire a riconfigurare di volta in volta il corpo familiare per contrastare le situazioni di rischio o attutirne gli effetti, e conservare una continuità di presenza nel tempo sul podere.

Questa “continuità residenziale” è esaminata più da vicino, in questa sezione, sulla base di un campione suddiviso in quattro unità di indagine comprese nel territorio mugellano. Le quattro unità sono costituite rispettivamente da un’area relativamente larga (il comune di Scarperia, che del Mugello è stata la capitale storica per secoli, in quanto sede di un Vicariato), due molto più ristrette rappresentate da due fattorie del luogo, cui si aggiunge una “miniarea” di insediamento mezzadrile compresa nel comune di Vicchio.

Nella seconda sezione la ricerca si sposta sul versante dello Spedale degli Innocenti e della sua azione di governo e di sorveglianza esercitata nei confronti dei suoi affidati, delle famiglie e delle autorità civili ed ecclesiastiche investite. Azione di cui troviamo traccia in un’ampia documentazione, che testimonia non solo uno sforzo di controllo “amministrativo” da parte dello Spedale, ma anche il tentativo di contornarlo con un quadro ideologico e con una narrazione. Occorre precisare, inoltre, che il flusso di nocentini procedeva in due direzioni opposte fra di loro: le famiglie del contado, infatti, non costituivano solo il serbatoio di accoglienza degli affidamenti, ma, a loro volta, “producevano” abbandoni. Il fatto che – come si vedrà in seguito – già alla fine del ’700 gli Innocenti si dotassero di una rete di «spedaletti» di prima accoglienza, situati in un territorio vasto che comprendeva proprio il Mugello e andava fino alla Romagna Toscana, indica che i movimenti di entrata in quell’area trovavano un corrispettivo in un flusso in senso contrario in uscita da quella stessa area. Il contado riceveva esposti; il contado – e quindi in

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prevalenza la famiglia dei mezzadri – era soggetto, come la città, a dinamiche che portavano all’ “esposizione” e all’affidamento.

Il taglio disciplinare con cui questa materia è stata trattata è misto: antropologico e storico insieme. Nella conduzione di questo studio, la base documentaria, oltre che dalla letteratura storica e antropologica specialistica, è stata fornita, prevalentemente, da materiali di provenienza archivistica. Solo secondariamente da fonti orali, che sono state utilizzate limitatamente ad alcuni segmenti dell’indagine.

Le fonti archivistiche cui si è fatto ricorso sono di varia natura. Per gli aspetti quantitativi, soprattutto i censimenti, gli Stati delle anime, i dazzaioli, i registri di fattoria, i registri delle disdette, oltre che le “Visite generali” effettuate dallo Spedale degli Innocenti presso le famiglie tenutarie di esposti. Particolarmente preziosa per gli aspetti qualitativi si è rivelata la documentazione offerta sia dall’archivio dell’Istituto degli Innocenti di Firenze, sia dall’archivio storico di Scarperia-San Piero a Sieve.

Resta inteso che il materiale che qui si presenta non ha la pretesa di documentare e trattare in modo completo un tema, la cui ampiezza e complessità meriterebbero approfondimenti e allargamenti di portata ben maggiore. Se però questo studio fosse riuscito anche solo a fornirne una ricognizione per quanto possibile rappresentativa, e a suggerirne alcune griglie di interpretazione, avrebbe ottenuto un risultato soddisfacente.

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RINGRAZIAMENTI

Si ringrazia sentitamente il personale addetto agli archivi consultati, per la collaborazione prestata e per la disponibilità. In particolare, per le preziose indicazioni offerte, Lucia Ricciardi per l’archivio dell’Istituto degli Innocenti di Firenze, Veronica Vestri, nella sua qualità di curatrice dell’archivio Maganzi-Baldini ora di proprietà del Comune di Borgo San Lorenzo, e Paolo Sonni, curatore dell’archivio parrocchiale di Vicchio.

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