Parabole d’Oriente
Parabole d’Oriente
in copertina: Migliaia di cristiani greco-ortodossi si riuniscono in pellegrinaggio sulla riva orientale del fiume Giordano, dove si celebrano i battesimi. Questo evento segna l’inizio della stagione dei pellegrinaggi © Jamal Nasrallah / EPA / Corbis
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Il Cristianesimo alla sfida del nuovo millennio
Non esistono statistiche precise sulla presenza dei cristiani nei paesi del Mediterraneo Orientale perché la loro diaspora ne modifica continuamente i numeri. Sono milioni i cristiani, cattolici e ortodossi, che vivono ancora dove il Cristianesimo è nato e ha mosso i primi passi. Dall’Egitto alla Turchia, dal Libano all’Iraq, passando per la Siria e la Terra Santa, le comunità cristiane combattono una lotta per la sopravvivenza in cui l’Occidente esita a schierarsi. Nessuna di loro si è arresa all’estinzione. L’essere diventati minoranze non ha cancellato la loro storia e non ha intaccato la volontà di difendere la fede. L’era moderna del Cristianesimo orientale, come scritto e impresso dalle fotografie di questo catalogo, troppo spesso ha vissuto di sangue e paura. La memoria e il riconoscimento di quanto è successo, dal genocidio armeno alle persecuzioni di inizio millennio, sono il punto di partenza per la convivenza fra fedi diverse. Andrea Milluzzi
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Parabole d’Oriente Il Cristianesimo alla sfida del nuovo millennio a cura di
Renata Ferri
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Ambasciata della Repubblica d’Armenia presso la Santa Sede
Responsabile progetto Vartan Karapetian Organizzazione generale Zona
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A cura di Renata Ferri Testi di Andrea Milluzzi Fotografie di Michele Borzoni
© 2014 Società Editrice Fiorentina via Aretina, 298 - 50136 Firenze tel. 055 5532924 info@sefeditrice.it www.sefeditrice.it facebook account www.facebook.com/sefeditrice twitter account @sefeditrice isbn: 978-88-6032-314-9 Proprietà letteraria riservata Riproduzione, in qualsiasi forma, intera o parziale, vietata Progetto grafico e impaginazione Andrea Tasso
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Indice Prefazione di S.E. Mikayel Minasyan .......................................................................................................................................................................................................... 5 Introduzione di Andrea Milluzzi ..................................................................................................................................................................................................................6 La fotografia riflessiva di Michele Borzoni. Comunità cristiane, un viaggio alle origini di Renata Ferri ............................................................13 Cristiani d’Oriente. Dalle origini alla diaspora di Andrea Milluzzi...........................................................................................................................................52 La fotografia testimone. La difficile contemporaneità delle comunità cristiane in Medio Oriente di Renata Ferri .....................................63 Israele e Territori palestinesi .................................................................................................................................................................................................................. 64 Giordania ........................................................................................................................................................................................................................................................... 72 Iraq ........................................................................................................................................................................................................................................................................78 Siria ...................................................................................................................................................................................................................................................................... 86 Egitto................................................................................................................................................................................................................................................................... 94 Libano ................................................................................................................................................................................................................................................................102 Iran ..................................................................................................................................................................................................................................................................... 108 Azerbaijan ........................................................................................................................................................................................................................................................114 Turchia ................................................................................................................................................................................................................................................................116 Crediti fotografici ........................................................................................................................................................................................................................................124 Profili biografici ............................................................................................................................................................................................................................................ 125
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Prefazione S.E. Mikayel Minasyan Ambasciatore della Repubblica d’Armenia presso la Santa Sede
L’
iniziativa culturale che l’Ambasciata della Repubblica d’Armenia presso la Santa Sede ha l’onore di proporre, è motivo di orgoglio, di sofferenza ma anche di speranza per il mondo presente e futuro. Si tratta di una mostra sulle comunità cristiane del Medio Oriente, un occhio posato su realtà così distanti da noi, eppure così vicine. Popolazioni millenarie, nate là dove il Cristianesimo ha avuto inizio, resistono ai cambiamenti, spesso traumatici e violenti, dei paesi di cui fanno parte. Nonostante i cristiani orientali siano riusciti, e riescano tuttora, a superare avversità e solitudini, il loro numero va diminuendo da ormai quasi un secolo e il loro immenso patrimonio culturale via via scomparendo. L’esposizione a cui il lettore si appresta raccoglie fotografie catturate dove la quotidianità cristiana ancora esiste. L’obiettivo è offrire un panorama il più ampio possibile delle nuove tematiche che il Cristianesimo deve affrontare, cancellando la distanza e i pregiudizi fra le due sponde del Mediterraneo. La mappa dei cristiani d’Oriente, di chi è rimasto e di chi se ne è andato, abbraccia i cinque continenti: è la prova visiva e tangibile di una diaspora costante che deve interessare l’umanità tutta. Il cuore del Cristianesimo difficilmente smetterà di battere laddove ha avuto vita, ma una presa di coscienza collettiva è quanto mai necessaria affinché la diaspora possa fermarsi. «Le loro lacrime e le loro angosce sono le nostre e possiamo provarlo con una forma di solidarietà che sia concreta ed effettiva, capace di assicurare che la comunità internazionale ha a cuore i diritti degli individui e delle comunità» ha detto papa Francesco riferendosi alle popolazioni cristiane incontrate nel corso del suo viaggio
pastorale in Giordania e Terra Santa, nel maggio di quest’anno. La mostra “Parabole d’Oriente. Il Cristianesimo alla sfida del nuovo millennio” vuol contribuire ad avvicinare Est e Ovest del mondo. Ha l’auspicio di contribuire alla conservazione di un patrimonio culturale e umano che resti plurale ed universale. Desidera chiamare alla realtà le parole del presidente armeno Serzh Sargsyan che ha più volte insistito sulla soluzione dei conflitti sorti lungo la storia attraverso il dialogo diretto e la cooperazione tra i popoli che abbiano come obiettivo la demolizione dei muri di odio e di intolleranza. I testi e le fotografie, gli approfondimenti e la cronologia degli eventi aiuteranno il lettore in questo viaggio di conoscenza. Se al termine del percorso il lettore si sarà arricchito degli strumenti necessari per comprendere una realtà che ha un crescente bisogno di aiuto, un ulteriore passo verso quella solidarietà invocata da papa Francesco sarà stato compiuto.
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Introduzione ■ Andrea Milluzzi
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on esistono statistiche precise sulla presenza dei cristiani nei paesi del Mediterraneo Orientale perché la loro diaspora modifica continuamente i numeri. Ma sono milioni i cristiani, cattolici e ortodossi, che vivono ancora dove il Cristianesimo è nato e ha mosso i primi passi. Dall’Egitto alla Turchia, dal Libano all’Iraq, passando per la Siria e la Terra Santa, le comunità cristiane combattono una lotta per la sopravvivenza in cui l’Occidente esita a schierarsi. «Tra i drammatici problemi del nostro tempo c’è quello del destino, presente e futuro, delle minoranze cristiane che vivono nei paesi a maggioranza musulmana. Si tratta di un problema in gran parte sconosciuto – se non volutamente ignorato – nei paesi occidentali, per motivi soprattutto economici»1 scrive Giovanni Sale, ricercatore e presbitero della Compagnia del Gesù. È prassi diffusa identificare il Medio Oriente come un angolo di mondo condannato alla violenza ma abbastanza lontano dall’Europa da permetterle una tranquilla indifferenza. Basterebbe però prendere in mano un atlante geografico per notare come lo stesso mare bagni le coste del Vecchio Continente e quelle di Egitto, Libano, Israele, Siria e Turchia. A Cipro si spende l’euro e si risponde alle leggi di Bruxelles, ma l’isola dista solo mezz’ora d’aereo da Beirut e Tel Aviv. Istanbul, da tempo candidata ad entrare nell’Unione europea, si chiamava Costantinopoli ed era la capitale dell’Impero Romano d’Oriente. Negli anni ’50 lo studioso francese Fernand Braudel teorizzò la cultura della convivenza mediterranea, ossia «l’unità di un sistema coerente, dove tutto si mischia e si ricompone in un’unità originale». Questa lettura degli eventi nasceva e si espandeva in un periodo, l’immediato dopoguerra, in cui
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esplose con tutta la sua violenza la questione palestinese ma che avrebbe comunque potuto avvicinare europei e mediorientali sul piano culturale e commerciale. I cristiani orientali da una parte risentirono della fine del legame diretto con i paesi cristiani europei ma dall’altro ebbero la possibilità di ritagliarsi un ruolo nella politica e nella società dei loro paesi. Finiti i domini coloniali francesi su Siria (1943) e Libano (1946) le comunità cristiane seppero posizionarsi nelle agorà: i maroniti governavano Beirut e dintorni, i siriaci, gli armeni e i cattolici siriani non avevano problemi a convivere e a dividere le responsabilità con i musulmani sciiti, alawiti e sunniti. Negli stessi anni anche l’Inghilterra perse il controllo di Egitto, Iraq, Palestina e Transgiordania e i regimi militari che presero il posto della Corona riuscirono a instaurare un’accettabile forma di convivenza fra cristiani e musulmani.
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La nascita dello stato d’Israele e le guerre che ne conseguirono furono la prima destabilizzazione del precario equilibrio dell’area e così, a partire dalla fine degli anni ’60, il Medio Oriente tornò a essere terra di scontri etnici. I nazionalismi nei paesi indipendenti da pochi anni (l’Egitto, l’Iraq e la Siria su tutti) e il panarabismo che ne derivò ridisegnarono la geopolitica mediorientale e con essa anche i rapporti fra fedi. La religione diventò spesso un elemento cardine della nazionalità e le minoranze dovettero difendersi da attacchi e pregiudizi che venivano più dai popoli che dai governi. Questa epoca di diffidenze reciproche dette vigore alle teorie che hanno sempre respinto l’approccio comunitario ai rapporti euro-mediterranei. Nel 1993 lo studioso statunitense Samuel Huntington presentò al mondo il concetto di “scontro di civiltà”: «Al confronto bipolare tra sistemi politico-ideologici della guerra fredda, si è sostituito lo scontro tra grandi civiltà, cioè blocchi etnici, religiosi e culturali. Tale schema ha costituito la premessa per il ritorno all’idea di un’irriducibile alterità del mondo musulmano rispetto a quello occidentale. La logica del conflitto di civiltà tra mondo occidentale-cristiano e mondo orientale-musulmano ha decretato il prevalere di una visione monolitica del Medio Oriente, finendo così per rendere irrilevante la presenza dei cristiani»2 scrive il docente universitario Giorgio Del Zanna. Ciò nonostante le chiese e le comunità dell’altra sponda del Mediterraneo continuano a vedersi sotto l’ala protettrice dei governi europei. Dopo l’attentato del 30 dicembre 2010 alla chiesa dei Santi di Alessandria d’Egitto, l’allora presidente francese Nicolas Sarkozy sentenziò: «Non possiamo accet-
tare quello che appare sempre di più come un piano particolarmente perverso di epurazione religiosa in Medio Oriente. In Iraq e in Egitto i cristiani sono a casa loro e lo sono da più di 2000 anni. Non possiamo tollerare che questa diversità culturale e religiosa scompaia in questa parte del mondo». Tre anni più tardi il suo successore François Hollande ripeterà le stesse parole al cospetto del patriarca dei maroniti libanesi Bishara Butrus al-Ra'i, giunto a Parigi per discutere della guerra in Siria: «La Francia è molto attenta alla situazione dei cristiani del Levante, che rappresentano un importante fattore dell’identità dei paesi in cui vivono». Oltre alle rassicurazioni poco o nulla è cambiato della distratta politica europea e le parole dei leader non rassicurano più i maroniti libanesi, i caldei iracheni, i copti egiziani, gli armeni del Levante o gli assiri delle chiese dell’Est. Quotidianamente queste popolazioni devono rapportarsi con focolai di tensione settaria che spesso sfociano in vere e proprie guerre. «Noi siamo per la convivenza, la nostra religione parla di dialogo e di perdono» ripetono i cristiani mediorientali, consapevoli che questa impostazione porti con sé il rischio di venire sopraffatti da chi combatte e uccide in nome della religione. «Dopo la seconda guerra mondiale il vecchio sistema delle coabitazioni nel bacino mediterraneo fu sconvolto. Sull’altra sponda del mare fu il coabitante cristiano a sparire progressivamente, ora perché cacciato, deportato, massacrato, ora perché – stanco di sopportare antiche angherie o nuovi soprusi, o semplicemente perché attirato dalla prospettiva di un maggior benessere economico – si era materialmente trasferito, insieme alla sua numerosa famiglia, in Occidente o nelle Americhe» scrive ancora Giovanni Sale.
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Le popolazioni che oggi definiamo cristiane, quali gli assiri o gli armeni, sono presenti sui territori che questa mostra prende in considerazione da ben prima dell’avvento di Gesù Cristo in Palestina. La conversione al Cristianesimo è costata loro secoli di persecuzioni e fughe, ma se esiste ancora una cristianità orientale è perché nessuna di queste comunità si è arresa all’estinzione. L’essere diventati minoranze non ha comunque cancellato la loro storia e non ha intaccato la volontà di difendere la fede. I primi evangelizzatori, così come i primi martiri, hanno percorso i sentieri degli odierni Egitto, Siria, Libano, Armenia, Iran e Turchia. Il fiume Oronte era il compagno di viaggio di Paolo di Tarso e vuole la leggenda che il monte Ararat custodisca ancora l’arca di Noè a pochissimi chilometri di distanza da dove sorge il monastero armeno di Qara Kelisa, una delle chiese più antiche al mondo eretta in onore di San Taddeo, martirizzato laddove oggi indichiamo il confine turco-iraniano. In questi luoghi la memoria cristiana è affidata ai discendenti di quelle popolazioni millenarie. La strada che collega l’Egitto all’Iraq è disseminata di monasteri e luoghi di culto che conservano e tramandano il passato della religione cristiana e legano i primi martiri alle vittime delle guerre di oggi. Un patrimonio artistico e culturale di inestimabile valore, non solo per il Cristianesimo ma per la civiltà mondiale tutta, rischia di andare perduto. L’allarme più recente è giunto dalla Siria, dove la città santa di Ma’lula, fra Damasco e il Krak des Chevaliers, è stata occupata per mesi dalle milizie Ǧihādiste della Jabhat al-Nuṣra che, prima di essere cacciate dal villaggio dove si usa ancora la variante occidentale dell’aramaico che parlava Gesù, hanno distrutto icone, altari e decorazioni degli antichissimi monasteri.
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Ma sono molti i luoghi del Cristianesimo, noti e meno noti, che hanno perso la loro identità o rischiano di perderla. Si pensi alle basiliche bizantine di Aya Sofya a Trabzon, nella Turchia nordorientale, convertita in moschea a fine luglio 2013, o alla più famosa Aya Sofya di Istanbul che adesso è un museo ma che il governo Erdoğan punta a tramutare in luogo di preghiera musulmano. Quando non sono la guerra o la politica a minacciare la memoria cristiana, il pericolo può arrivare dall’odio settario. Nei dodici mesi di governo dei Fratelli Musulmani, fra il 2012 e il 2013, l’alto Egitto e la Nubia sono stati terreno di ripetuti attacchi a chiese e monasteri copti da parte di fondamentalisti musulmani che vedevano nell’“infedele” cristiano il riflesso dell’Occidente da combattere. Anche l’Iraq cristiano ha dovuto subire le devastazioni di interi quartieri caldei e di antiche chiese durante gli scontri fra etnie che hanno seguito l’invasione angloamericana e la caduta del regime di Saddam Hussein. L’attentato alla chiesa siriaca Nostra Signora del Soccorso nel quartiere centrale di Baghdad, dell’ottobre 2010, fece conoscere al mondo lo Stato Islamico dell’Iraq, formazione di al-Qaeda in territorio iracheno. Quattro anni dopo lo Stato Islamico, nonostante sia uscito da al-Qaeda, si è appropriato della Siria orientale e dell’Iraq occidentale, così che nella mappa del Medio Oriente si sta configurando un nuovo stato i cui leader perseguono dichiaratamente il ritorno del califfato. L’ennesima fuga dei cristiani iracheni dalle loro città d’origine verso la più tranquilla Regione autonoma del Kurdistan iracheno è cronaca degli ultimi mesi. Lo Stato Islamico ha attaccato villaggi come Qaraqosh e Telskuf nella piana di Ninive. I cristiani caldei e assiri che a migliaia
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stanno abbandonando case e terre sono gli stessi scappati in Iraq negli anni ’80 e ’90 quando i curdi e i sunniti di Saddam Hussein si facevano la guerra e le loro proprietà erano ambite da entrambi, e sono gli stessi che negli anni successivi alla caduta del regime hanno dovuto tornare sui loro passi per scampare ad attentati e persecuzioni a Baghdad, Bassora o Mosul. Non è quindi difficile da capire perché dei cinque milioni e mezzo di cristiani che vivevano in Iraq negli anni ’50 ne siano rimasti poco meno di mezzo milione. L’avvento dell’estremismo islamico non è un fenomeno avulso dalla storia ed è sbagliato approcciarsi agli eventi mediorientali con uno sguardo rivolto solo al presente. Nei secoli i rapporti fra cristiani e musulmani sono sempre stati oscillanti. Le diverse invasioni e occupazioni, dagli arabi ai mongoli, dagli ottomani agli europei, hanno modificato i modi della convivenza e della gestione della cosa pubblica ed ere pacifiche si sono alternate ad anni di massacri e persecuzioni. Anche nella storiografia del ventesimo secolo c’è una data spartiacque per raccontare i cristiani d’Oriente: il 1915. Poco prima che l’Impero ottomano crollasse i Giovani Turchi progettarono e misero in atto il genocidio delle minoranze armene in Anatolia, la regione sudorientale di quella che diventerà la Turchia. I morti armeni furono un milione e mezzo e per la prima volta l’umanità si trovò alle prese con i concetti di sterminio e deportazioni di massa, termini che il secolo che stava appena iniziando avrebbe avuto modo di approfondire in seguito. A distanza di quasi un secolo, la Turchia nega che il genocidio abbia mai avuto luogo. «L’esperienza dei massacri di cristiani armeni perpretata dai Giovani Turchi duran-
te la prima guerra mondiale pose fine quasi definitivamente alla secolare coabitazione con i musulmani» sottolinea Sale. Un concetto ribadito da Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio: «L’idea di fondo diffusa fra i cristiani d’Oriente dopo il 1918 a seguito dell’esperienza dei massacri e della diffusione delle idee nazionaliste, è che non si può più coabitare con i musulmani»3. Iniziò allora l’era moderna del Cristianesimo orientale, un periodo che, come scritto in queste pagine e come fissato dalle fotografie di questa mostra, troppo spesso ha vissuto di sangue e paura. La memoria e il riconoscimento di quanto successo, dal genocidio armeno alle persecuzioni di inizio millennio, sono il punto di partenza per una convivenza fra fedi diverse. Per dirla con le parole di Charles Aznavour: «È giunto finalmente il momento di riconciliare i nostri popoli, di strappare i falsi libri di storia, di lavar via per sempre questa macchia spaventosamente scarlatta, di liberarsi di una menzogna di stato per entrare, in modo chiaro e limpido, in questa Europa, che oggi dubita e ancor più dubiterà domani»4.
Note 1. Giovanni Sale, Stati islamici e minoranze cristiane, Milano, Jaca Book, 2008. 2. Giorgio del Zanna, I cristiani e il Medio Oriente, Bologna, il Mulino, 2011. 3. Andrea Riccardi, Mediterraneo. Cristianesimo e Islam tra coabitazione e conflitti, Milano, Guerini e associati, 1997. 4. Introduzione per Armenia, romanzo storico di Gilberti Sinoué (Vicenza, Neri Pozza, 2011).
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La fotografia riflessiva di Michele Borzoni Comunità cristiane, un viaggio alle origini ■ Renata Ferri
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a fotografia parla molte lingue. Oggi è indispensabile strumento per la conoscenza della realtà. Viviamo d’immagini, osservatori compulsivi di ciò che ci circonda perché il mondo, intimo o globale, è fonte inesauribile di stimoli. Eventi e notizie sembra si possano (ri)conoscere solo se esiste la loro immagine. Afferriamo le molteplicità del mondo in una frazione di secondo e pensiamo di sapere cosa stia realmente avvenendo al di là di un oceano, per passare poi, con la stessa rapace voracità, ad altri disastri in altri continenti. Tecnologie, sempre più sofisticate e domestiche, ci consentono di essere immersi nel flusso continuo di queste immagini. Cosa apprendiamo davvero nel breve istante in cui guardiamo una fotografia? Quale potere hanno le immagini per suscitare sentimenti d’indignazione, di rabbia o di gioia? L’esposizione “Parabole d’Oriente. Il Cristianesimo alla sfida del terzo millennio”, offre diversi piani di lettura, concependo una doppia visione fotografica della stessa area del mondo e delle sue problematiche affidata ai linguaggi della fotografia contemporanea differenti e complementari. Una scelta che offre una molteplice percezione e ispira letture per immagini. La prima di queste è il lavoro di Michele Borzoni che ha dedicato più di tre anni alle comunità cristiane del Medio Oriente, viaggiando in ogni singolo Paese in tempi diversi per concentrarsi sulla morfologia umana e geografica. In questo modo ha potuto conoscere e abitare i luoghi dell’indagine fotografica e, soprattutto, osservare la difficile situazione attuale delle comunità là dove il Cristianesimo ha avuto origine. Il suo approccio è riflessivo. Introduce ogni luogo con immagini di paesaggi perfette, equilibrate, capaci di comprendere la natura stessa del territo-
rio affidandosi alla scelta della luce, all’attesa di quella migliore che possa rendere allo spettatore l’atmosfera che egli stesso ha colto. Questo è un progetto nato dal desiderio del viaggio, della scoperta, interpretati con rigore formale, mai empatico, sempre distaccato dagli eventi e sottoposto alla necessità della costruzione narrativa in cui le manifestazioni e i riti collettivi ottengono la stessa rilevanza degli ampi scenari, nell’intento di restituire un racconto che affidi a elementi diversi la responsabilità della rappresentazione. L’indagine è approfondita attraverso la ripresa di momenti di vita privata, ritratti d’interni e gesti quotidiani che, come una punteggiatura, accompagnano lo spettatore a guardare ogni scena dove tutto è silenziosamente vita, ricca di dettagli che raccontano storie. Solo se si guarda con pazienza, senza fretta, percependo il senso, si ottiene la propria personale visione. È l’invito all’osservazione, capace di indurre la riflessione.
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Crediti fotografici Fotografie Š 2014 Michele Borzoni
Schede tematiche con immagini di: pag. 67 Mahmoud illean / Demotix /Corbis - pag. 68 Mustafa Abu Dayeh / Reuters - pag. 69 Mustafa Abu Dayeh / Reuters - pag. 71 Amir Cohen / Reuters - pag. 75 Jamal Nasrallah/ epa / Corbis - pag. 76 Marco Di Lauro / Getty Images - pag. 77 Jordan Pix / Getty Images - pag. 81 Stringer / Reuters - pag. 83 Saeed Khan / Getty Images - pag. 84 Ahmad Al-Rubaye / Getty Images - pag. 85 Stringer/ Reuters - pag. 89 Handout / Reuters - pag. 90 Joseph Eid / AFP / Getty Images - pag. 91/92 Benjamin Hiller / Corbis - pag. 93 Yazan Homsy / Reuters - pag. 97 Abdelhamid Eid / Corbis - pag. 98 Amr Dalsh / Reuters - pag. 99 Asmaa Waguih / Reuters - pag. 100 Stringer / Reuters - pag. 101 Louafi Larbi / Reuters - pag. 105 Veronika Lukasova / ZUMA Press / Corbis - pag. 106 Joseph Barrak / AFP / Getty Images - pag. 107 Hassan Ammar/ AFP / Getty Images - pag. 111 Caren Firouz / Reuters - pag. 112 Morteza Nikoubazl / Reuters - pag. 113 Maryam Rahmanian / UPI / eyevine - pag. 119 Ufuk Kosar / Nar Photos - pag. 121 Tolga Sezgin / Nar Photos - pag. 122 Mehmet Kacmaz / Nar Photos - pag. 123 Tolga Sezgin / Nar Photos. Si ringraziano le agenzie: Corbis, AFP, Eyevine, Getty images, Nar Photos, Redux Pictures, Reuters, Upi.
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Profili biografici Michele Borzoni è nato a Firenze dove tutt’ora vive. Nel 2006 si è diplomato presso l’International Center of Photography di New York in Documentary Photography and Photojournalism. Durante il corso degli studi ha svolto un internship con Jonas Bendiksen di Magnum Photos e, sempre nel 2006, ha partecipato all’Eddie Adams Workshop. Ha vinto il First Prize Yann Geffroy Award 2007 con il lavoro “Srebrenica, sete di giustizia” e la New York Times Scholarship for ICP students. Vincitore della Tierney Fellowship 2009 è membro del collettivo TerraProject dal 2006. Nel 2010 ha ricevuto, nella categoria People in the News del World Press Photo, il primo premio con un’immagine del Kashmir. Membro del collettivo Terra Project, ha pubblicato i suoi lavori su numerose testate italiane e internazionali: «Newsweek», «LeMonde 2», «Geo», «Io Donna», «D» e «Vanity Fair».
Renata Ferri è nata a Roma, vive a Milano. Giornalista, è caporedattore photo editor di «Io Donna», il femminile del «Corriere della Sera» e di «Amica», il mensile di Rcs Mediagroup. Precedentemente ha diretto per lungo tempo la produzione fotografica di Contrasto.
Scrive di fotografia su entrambe le testate di cui è photo editor, cura progetti editoriali ed espositivi di singoli autori e collettivi. Si dedica da sempre all’insegnamento. È stata membro di numerose giurie di premi fotografici italiani e internazionali, tra le quali il Chipp China edizione 2009 e il World Press Photo, edizione 2011 e 2012. Ha un blog dedicato a storie fotografiche su ilpost.it.
Andrea Milluzzi, nato a Cortona (AR), si è laureato in scienze della comunicazione a Siena, si è formato su testate locali e su radio Facoltà di Frequenza, la prima radio universitaria italiana. Vive a Roma, dove per otto anni ha collaborato con il quotidiano Liberazione, occupandosi di politica, lavoro ed economica. Dal 2011 viaggia in Medio Oriente e vive a Beirut per realizzare un progetto fotogiornalistico sulle comunità Cristiane dell’area. È co-fondatore della web radio Radio Beirut. Collaboratore de «L’Epresso», ha partecipato a opere editoriali collettive: Cgil, 100 anni al lavoro (Ponte alle Grazie, 2006) e Stato d’Italia (Postcart, 2011).
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