Giulia Arnetoli
IL VUOTO ALLA FINESTRA La strage di Via dei Georgofili attraverso gli occhi di un bambino
Giulia Arnetoli
Il vuoto alla finestra Romanzo
Società
Editrice Fiorentina
© 2022 Società Editrice Fiorentina via Aretina, 298 - 50136 Firenze tel. 055 5532924 info@sefeditrice.it www.sefeditrice.it facebook account www.facebook.com/sefeditrice twitter account @sefeditrice instagram account @sef_editrice isbn 978-88-6032-646-1 Proprietà letteraria riservata Riproduzione, in qualsiasi forma, intera o parziale, vietata La poesia e il disegno di Nadia Nencioni a p. 157 si pubblicano per gentile concessione della famiglia Disegno di copertina Lido Contemori
A Camilla, Olivia e Leonardo
Se la gioventù le negherà il consenso, anche l’onnipotente e misteriosa mafia svanirà come un incubo. (Paolo Borsellino)
Prefazione
Il 27 maggio 1993 Firenze fu colpita duramente. Erano all’incirca le una di notte quando la città fu scossa da un forte boato. Quel rumore sordo lo ricordo ancora oggi, come ricordo l’incredulità, lo sgomento e lo sconforto che provai quando il giorno dopo seppi che cosa era successo. All’epoca frequentavo l’Istituto magistrale che si trovava in centro e subito dopo la scuola, io e i miei compagni, ci precipitammo in Piazza Signoria per constatare con i nostri occhi ciò che ci sembrava impossibile, ovvero che un’autobomba fosse esplosa in Via dei Georgofili e che la Torre de’ Pulci fosse crollata. Erano gli anni delle stragi mafiose e avevamo ancora nel cuore gli attentati di Capaci e di Via d’Amelio in cui persero la vita i giudici Falcone e Borsellino. Stavolta però la mafia aveva colpito Firenze, la nostra città, e la paura ci sembrò incontenibile. Nell’attentato di Via dei Georgofili ci furono quarantotto feriti e persero la vita cinque persone, tra cui due bambine, Nadia e Caterina Nencioni. Questo libro è nato dal desiderio e dal bisogno di rendere giustizia alla loro memoria perché nessuno si può permettere di dimenticare: solo chi non dimentica continua davvero a lottare. 9
È allora necessario che anche i giovani di oggi e di domani, che all’epoca non erano ancora nati, conoscano la storia della strage di Via dei Georgofili, affinché la possano a loro volta tramandare e far sì che la memoria diventi indissolubile. Questo è il motivo che mi ha spinto a scrivere il libro, oltre al bisogno di placare lo sgomento che ancora oggi mi porto dentro. Non è facile raccontare il dolore ai giovani, tantomeno trovare un punto di vista adeguato attraverso il quale far comprendere la crudeltà mafiosa che spoglia la vita di ogni suo valore. Allora ho pensato che la cosa migliore fosse affidare il racconto a un bambino e costruirlo attraverso i suoi occhi. Così è nato Giacomo, personaggio frutto della mia fantasia, il quale mi ha permesso di poter ricordare quel giorno, le vittime e in particolare la piccola Nadia Nencioni. Inizialmente ero molto in difficoltà nel raccontare di una bambina la cui vita è stata così brutalmente interrotta; combattevo con il bisogno di tener viva la memoria e il timore di ferire la sensibilità di coloro che Nadia l’avevano conosciuta e amata; non mi sentivo in diritto. Poi ho incontrato l’Associazione tra i Familiari delle Vittime della Strage di Via dei Georgofili; ho avuto modo di conoscere Luigi, il presidente, sua moglie Patrizia, e Teresa, zii di Nadia e Caterina, che fin da subito hanno accolto il mio progetto con sentito entusiasmo. Mi hanno aperto la porta di casa, mi hanno dato accesso ai loro ricordi, condividendo con me documenti indispensabili per costruire la storia in modo più dettagliato. 10
Ho accolto il loro dolore cercando di trasformarlo in parole, attraverso il cuore di un bambino di nove anni, Giacomo, che improvvisamente si trova a fare i conti con l’ingiustizia, la violenza e la distruzione. Le vittime innocenti della mafia sono purtroppo moltissime e può sembrare difficile e forse inutile ricordarle tutte. Credo invece che ogni mattoncino contribuisca alla costruzione di un grande muro, il muro della Memoria, che con la sua grandezza può, con sempre maggior forza, confinare e annientare il dilagare delle mafie. Con il desiderio che anche questo romanzo possa contribuire alla costruzione del muro, lo affido a voi lettori nella speranza che attraverso gli occhi di Giacomo possiate non dimenticare mai. Giulia Arnetoli
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Il vuoto alla finestra
3 maggio 1993 Tutti, ma proprio tutti, devono sempre ribadirgli che è fortunato ad abitare in quella casa; suo babbo lo considera addirittura un privilegiato perché, gli ha spiegato, proprio lì vicino abitava Dante Alighieri, il Sommo poeta. Sommo? si è chiesto Giacomo, che per lui “sommo” vuol dire solo “voce del verbo sommare” e resta il fatto che abitare in centro non gli piace, poeta o non poeta. L’unica cosa che ama di quella casa è la finestra della sua cameretta: minuta, stretta e incassata in mura spessissime, che quando tira forte il vento i vetri vibrano perché sono sottili e vecchi. Se la apre e allunga una mano può toccare le tegole del tetto, ma non lo fa mai perché là fuori è pieno di cacche di piccione e gli viene da vomitare solo a vederle, figuriamoci a toccarle. Giacomo sogna di vivere in campagna per sentire cantare gli uccellini, vedere le colline verdi e annusare il profumo dei fiori. Tutte cose che in città non può fare. Però non è che non la ama la sua città, perché ci è nato come ci sono nati i suoi genitori e anche i suoi nonni.
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Hanno abitato tutti là, in quella stessa casa, non sa di preciso da quante generazioni. La sua camera si trova all’ultimo piano, in cima a una stretta rampa di scale: gli scalini sono di pietra grigia, talmente consumata che gli spigoli si sono arrotondati col tempo. Al piano di sotto c’è invece la camera dei suoi genitori che ha una finestra molto più grande e si affaccia sul palazzo di fronte. Lì di luce non ce n’è molta. In casa sua i pavimenti alle volte tremano, ad esempio quando si mette a correre o a saltare. Allora vibra tutto il solaio e si avverte pure un tonfo, un suono sordo e cupo. Il babbo dice che succede perché sono solai antichi e lo si nota dagli avvallamenti affioranti che in alcuni punti li rendono bitorzoluti. Al primo piano si trova la cucina, la stanza che Giacomo preferisce perché nella parete che la divide dal salotto c’è un grande camino in pietra. D’inverno il babbo lo accende spesso e a lui piace starci seduto davanti con i piedi vicini al fuoco: una volta o l’altra si brucerà i calzini. È già sveglio da un po’ quando la luce che filtra dalla persiana lo colpisce sulla faccia, eppure non si alza: gli piace rimanere sotto le lenzuola. Quando arriva la mamma per svegliarlo, fa finta di dormire. «Giacomo, alzati!». Ma lui si gira dall’altra parte; oggi proprio non ha voglia di tirarsi su dal letto e andare a scuola. Non ha voglia di allungare il braccio sul comodino per cercare gli occhiali, quegli occhiali con lenti troppo spesse che odia con tutto se stesso. La mamma apre le tende e la luce che entra lo colpisce in pieno; è una luminosa mattina di maggio, ormai l’e16
state è vicina e la scuola sta per finire. Spinto da questo pensiero, alla fine si tira su, si stropiccia gli occhi e s’infila gli occhiali: il mondo allora diventa nitido. In cucina la tavola è apparecchiata: a casa sua la colazione si fa con calma, è una regola. Così si siede al suo posto, prende un biscotto e lo tuffa nel caffelatte che la mamma gli ha appena messo davanti in una tazza fumante. Gli si appannano gli occhiali, si arrabbia, li toglie e morde il biscotto sbrodolandosi il mento. «Pasticcione!», dice la mamma, scompigliandogli i capelli. Allora lui si spiccia a passarsi una mano per rimetterli a posto: a Giacomo piacciono l’ordine e la precisione perché queste due cose lo fanno sentire più sicuro. Suo padre entra in cucina e lui lo osserva nella sua divisa dei vigili urbani, azzurra come il cielo di questa mattina. È fiero del suo babbo Vigile, il babbo che fa le multe a chi non rispetta le regole, il babbo che tutti i compagni di classe temono, eccetto Nadia. Nadia no, non lo teme perché anche il suo babbo è un vigile urbano. Pensa a lei e smette di mangiare. Lascia il biscotto sulla tovaglia che si macchia. La mamma lo sgrida ma lui non la sente neppure. Sale svelto le scale e s’infila nel bagno. Chiude la porta a chiave, anche se la regola dice che non può e sale su un panchetto per guardarsi allo specchio: si sistema qualche capello fuori posto, è proprio una fissa, e poi si lava i denti. Sorride: vorrebbe che quel dente ricrescesse alla svelta e che gli occhiali non gli ingrandissero così tanto gli occhi. 17
Mentre sul bus la mamma gli siede accanto, assorta a osservare fuori dal finestrino, prende lo zaino e lo apre; ci infila una mano, razzola e lo trova, ne sente la morbidezza e sorride. Il cuore gli batte forte, allora lo lascia ricadere e richiude lo zaino.
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Ringraziamenti
Il mio primo ringraziamento va all’Associazione tra i Familiari delle Vittime della Strage di Via dei Georgofili e in particolare a Luigi Dainelli e Patrizia Nencioni, zii di Nadia e Caterina Nencioni. Li ringrazio per avermi aperto letteralmente la porta di casa e senza remora alcuna affidatomi il ricordo dei loro cari e il delicato compito di farne memoria collettiva. Un grazie a Teresa Fiume, sorella di Angela Fiume, madre delle piccole, che ha condiviso con me aneddoti intimi della propria vita e ha appoggiato con vera emozione questo mio progetto. La mia profonda gratitudine va poi a Roberto Masi, che rimane sempre il mio primo lettore e a Lorenzo Mercatanti per aver creduto subito nella storia e aver permesso che arrivasse fino qui; grazie a Emiliano Gucci, Laura Del Lama e Gabriele Lastrucci, amici e sostenitori preziosi. Grazie alla mia Casa editrice SEF che si è data subito da fare per realizzare il libro in tempi brevissimi. Un libro, dico sempre ai miei alunni, è un ponte tra le persone, uno strumento che permette di conoscere gli altri diversi da noi, le loro vite, le loro storie, nella consapevolezza che è a partire dalla conoscenza che si può arrivare alla comprensione e quindi alla 159
tolleranza. In classe, di ponti ne abbiamo creati davvero molti, io verso i miei alunni, i miei alunni verso di me, noi tutti verso le storie degli altri. Abbiamo letto tanti libri insieme, di ogni genere; abbiamo incontrato personaggi divertenti, antipatici, dispotici, coraggiosi; abbiamo pianto davanti al muro di Berlino, fatto il tifo per i più deboli, ci siamo emozionati per chi ce l’ha fatta nonostante tutto e per coloro che i sogni se li sono tenuti stretti. Desideravo che i miei alunni e le mie alunne, uomini e donne di domani, fossero in grado di far spazio a tutte le storie, anche a quelle alle volte molto tristi e difficili e quando ho ritenuto fosse arrivato il momento, un giorno ho raccontato loro della Strage di Via dei Georgofili. Una storia che purtroppo, pur essendo fiorentini, non conoscevano; così gliel’ho affidata nella speranza che vorranno fare altrettanto con chi verrà dopo di loro. Per questo desidero ringraziarli uno a uno, custodi di memoria, “i miei ragazzi e le mie ragazze” della quinta D della scuola Balducci di Sesto Fiorentino: Duccio, Gabriel, Greta, Lorenzo C., Kristel, Gaia, Eleonora, Valentina, Irene, Andrea, Francesco, Dario, Giulia, Vittoria, Lorenzo R., Wancheng, Marina, Michele, Niccolò, Kim, Kevin, Angela. Continuate ad abbandonarvi alle storie! Sento poi il bisogno di ringraziare la mia infanzia dalla quale ho tirato fuori ricordi preziosi che mi hanno aiutato a costruire la figura di Giacomo; la sua sottospirazione era il gioco mio e di mia sorella che ci permetteva di chiuderci in un mondo tutto nostro. 160
E infine, grazie a tutti voi che vorrete leggere questo libro, con la speranza che possiate tener viva la memoria tramandando ad altri la storia di Nadia, Caterina, Fabrizio, Angela e Dario che nella Strage hanno perso i loro sogni.
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Indice
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Prefazione
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Il vuoto alla finestra
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Epilogo
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Ringraziamenti