Non sembiava imagine che tace
Ci sono pochi momenti della storia dell’arte che affascinano e suscitano domande come il rinnovamento naturalistico dell’arte gotica tra Duecento e Trecento. Dopo secoli s’iniziò a leggere in modo nuovo la tradizione artistica precedente, rispondendo al desiderio di rappresentare gli uomini, gli esseri animati e le cose così come si rendono visibili agli occhi di ognuno nella loro individualità. Ma qual è il significato culturale di questo cambiamento? Attraverso la figura di Dante Alighieri, testimone e a sua volta eccezionale protagonista di quest’arte della realtà nei versi della Commedia, la mostra propone una possibile chiave di lettura alla luce della tradizione medievale.
Non sembiava imagine che tace L’arte della realtà al tempo di Dante
euro 15,00
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Società
Editrice Fiorentina
«Non sembiava imagine che tace» L’arte della realtà al tempo di Dante a cura di Giovanni Assorati, Nicola Borghesi, Gianluca del Monaco, Stefano Doati, Elena Marchetti, Filippo Piazza, Laura Staccoli con il coordinamento di Marco Bona Castellotti
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Allestimento Studenti della Facoltà di Architettura di Milano Questo volume è stato pubblicato in occasione della mostra realizzata e organizzata per la XXXII edizione del Meeting per l’amicizia fra i popoli.
«Non sembiava imagine che tace». L’arte della realtà al tempo di Dante A cura di Giovanni Assorati, Nicola Borghesi, Gianluca del Monaco, Stefano Doati, Elena Marchetti, Filippo Piazza, Laura Staccoli Coordinamento generale di Marco Bona Castellotti Immagini image&color srl, San Lazzaro di Savena (Bo) San Patrignano, Coriano (Rn)
Luci Gianfranco Branca Impianti Tecnologici Sound D-Light srl Catalogo Società Editrice Fiorentina Noleggio della mostra Meeting Mostre info@meetingmostre.com www.meetingmostre.com Con il contributo di
Progetto Grafico Immaginazione srl Stampa Immaginazione srl Video Copyright Fondazione Meeting per l’amicizia fra i popoli Progetto Bruno e Pia Bozzini, Franco Bagnoli
© 2011 Società Editrice Fiorentina via Aretina, 298 - 50136 Firenze tel. 055 5532924 fax 055 5532085 info@sefeditrice.it www.sefeditrice.it blog www.seflog.net/blog facebook account www.facebook.com/sefeditrice twitter account www.twitter.com/sefeditrice isbn: 978-88-6032-191-6
Progetto grafico e impaginazione Andrea Tasso
Proprietà letteraria riservata Riproduzione, in qualsiasi forma, intera o parziale, vietata
In copertina Giotto, Entrata a Gerusalemme, particolare, Padova, Cappella degli Scrovegni
Indice 5 Premessa Marco Bona Castellotti 7 introduzione 11 Tra Duecento e Trecento 16 18 21 24
Una nuova attenzione al vero Dal Christus Triumphans al Christus Patiens La realtà delle cose: Giotto Dante contemporaneo di Giotto
27 La realtà fonte d’ispirazione 28 «Non sembiava imagine che tace» 30 Dai marmi del Purgatorio ai marmi degli scultori gotici: l’Annunciazione 32 Dai marmi del Purgatorio ai marmi degli scultori gotici: una scena di processione 33 Dai marmi del Purgatorio ai marmi degli scultori gotici: la pena dei superbi 35 «Non vide mei di me chi vide il vero». Dalla contemplazione all’immedesimazione 39 La realtà rappresentata 40 41 42 44 47 48
L’Inferno dantesco: rappresentazione del male La violenza della disperazione La raffigurazione dell’Inferno Lucifero Il «diavol nero» Il colore: Cimabue, Cavallini e Giotto
50 «Dolce color d’orïental zaffiro»: il colore in Dante 54 Dante e Oderisi: «Quell’arte ch’alluminar chiamata è» 57 La realtà come segno 59 Per visibilia ad invisibilia 62 L’“angelo-nuvola”: un segno che prende corpo 65 La realtà come luce 71 La lucente armonia del Paradiso 76 «Perfetta disianza». Il desiderio compiuto. Vedere Dio con la «nostra effige» 80 Il valore dell’arte della realtà 81 Bibliografia
Il pubblico delle mostre del Meeting è molto esigente perché invoca prima di tutto la chiarezza dei contenuti e la loro incisività concettuale. I giovani storici dell’arte, filologi e filosofi dell’Università di Bologna che hanno curato la mostra “Non sembiava imagine che tace” si sono addentrati per passione in un problema misto di arte e letteratura medievali, molto complesso, sorto sulla falsariga del rapporto che le arti, tra Due e Trecento, intrattengono con la realtà, in un percorso di continua messa a fuoco. Nella traiettoria segnata dalla mostra, essendo Dante chiamato in causa nel ruolo di guida ideale, un po’ come avevano fatto Virgilio e Beatrice, ci s’imbatte nella terza cantica, il Paradiso, che nel suo splendere di luce perenne vibra la domanda se il bagliore di cui atmosfera e contorni sono pervasi, possa avere consistenza reale; la risposta è che l’ha, perché della realtà la luce fa parte, essendo energia che trasfigura le cose e le persone, dal di dentro e dal di fuori. Inoltre la luce dantesca del Paradiso ha la consistenza di una materia, per così dire dotata di spessore, quindi visibile, il che non è poco. La mostra si sforza nei testi e nelle immagini di riprodurre tale visibilità, coinvolgendo il visitatore in una dimensione densa, che sfonda i limiti di un tempo che verrebbe da inquadrare “nel passato”, mentre è chiaramente trasferibile nella modernità. In questo senso il passato dà lievito alla tradizione, rendendoci di essa sempre partecipi. Tutto allora si fa vivo e l’augurio è che ogni cosa divenga più facile a comprendersi di quanto non sarebbe se fosse lontana. Marco Bona Castellotti
Premessa
Premessa
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Gli studenti universitari che preparano l’esame di Storia dell’arte medievale apprendono come tra Duecento e Trecento l’arte figurativa occidentale viva un cambiamento eccezionale, consistente in una rinnovata attenzione per la rappresentazione della realtà fisica, percepibile con i sensi. Nello studio, spesso questo fenomeno storico viene ridotto a un fatto puramente formale che permette di datare le opere prima o dopo uno spartiacque così decisivo. La conseguenza è che si tende a ignorare o a considerare poco rilevante la domanda sul significato culturale di questo rinnovamento, sul valore di quella che qui si propone di chiamare l’arte della realtà tra Duecento e Trecento. Questa mostra nasce dall’iniziativa di un gruppo di giovani amici laureati nella Facoltà di Lettere e Filosofia di Bologna, che hanno sempre tentato di chiedersi le ragioni umane di ciò che le opere d’arte mostrano, convinti, con Marcel Proust, che «per lo scrittore, come per il pittore, lo stile non è mai una questione di tecnica, ma di visione». Pochi episodi della Storia dell’arte affascinano e destano interrogativi quanto per l’appunto il rinnovamento naturalistico dell’arte gotica, prima francese e nordica, poi italiana e in particolare toscana. Colpisce come dopo secoli s’iniziasse a rileggere in modo nuovo la grande tradizione dell’arte medievale, dischiudendo orizzonti nuovi che si aprono verso il Rinascimento e l’arte d’età moderna. Affrontando l’argomento
per studio o interesse personale ci siamo imbattuti in una diffusa lettura che vede questo momento come una rottura dell’arte medievale, una sorta di superamento della parentesi di un’arte che rappresentava la realtà fenomenica in maniera simbolica, cioè come rimando alla vera realtà della trascendenza, e di ripresa di un discorso naturalistico interrotto con la fine dell’arte classica. Questa lettura ci è apparsa insoddisfacente, soprattutto perché poco rispettosa dell’immediato legame con la tradizione medievale di artisti come gli scultori delle cattedrali gotiche o i pittori italiani della fine del Duecento. È così iniziata a crescere la domanda su quale fosse l’autentico valore del naturalismo dell’arte gotica, stimolati anche dalla lettura di Nicola Pisano di Giusta Nicco Fasola (1941), tra i pochi testi interessati a collocare l’arte della realtà del Duecento nel suo contesto culturale proprio, cioè quello di una civiltà che riteneva che «fosse possibile figurare Dio nell’uomo anzi che l’uomo sia l’essere in cui la divinità è meglio visibile» (G. Nicco Fasola, 1941). Nel nostro lavoro abbiamo individuato un aiuto fondamentale nella figura di Dante Alighieri, a sua volta testimone e protagonista dell’arte della realtà tra Duecento e Trecento. Dante è partecipe del cambiamento a lui contemporaneo delle arti figurative nella sua opera poetica. Basti pensare anche solo al fatto di aver impostato la Commedia come il racconto dell’esperienza personalmente vissuta di un viaggio compiuto in carne e
Introduzione
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ossa nell’aldilà, in cui osserva e giudica la propria vita e il suo tempo. Coerentemente all’importanza che viene così ad avere l’esperienza delle “cose viste”, il poeta mostra in più punti una conoscenza consapevole delle arti figurative e della nuova rappresentazione della realtà che le stava contraddistinguendo. Per questi motivi, abbiamo seguito Dante di fronte all’arte del suo tempo con lo scopo di capirne meglio il significato. Il luogo della Commedia dove Dante dichiara il valore che ha per lui l’arte che s’ispira alla realtà sono i canti x e xii del Purgatorio. Qui il poeta descrive una serie di rilievi scolpiti dalla mano di Dio stesso e la loro caratteristica principale è proprio quella del realismo a cui ambiscono gli scultori del suo tempo, come si può vedere negli esempi di Giovanni Pisano e Arnolfo di Cambio. «Non sembiava imagine che tace», «visibile parlare» e «morti li morti / i vivi parean vivi» sono le espressioni più significative utilizzate in merito dall’autore. Tuttavia, l’intento di quelle immagini non si riduce alla riproduzione esatta della realtà. Esse sono state poste lì da Dio per la conversione dei penitenti, per la liberazione dal peccato di superbia. Rispondono quindi allo scopo didattico che le immagini hanno avuto fin dalle origini della cultura cristiana. Il realismo contribuisce a questa finalità, in quanto permette di «“vedere” i fatti rappresentati come se fossero presenti» (L. Battaglia Ricci, 2004) e, rivolgendosi al piano dell’esperienza personale, favorisce pertanto l’immedesimazione con gli eventi raffigurati e l’insegnamento da loro trasmesso. Qualcosa di simile aveva voluto fare nella celebrazione del Presepe di Greccio san Francesco d’Assisi, una personalità fondamentale per l’attenzione al reale di Dante o di Giotto. Decenni dopo l’episodio, Giotto dipinge il Presepio di Greccio ad Assisi ambientandolo in una chiesa contemporanea. Con questa prima presa di coscienza della pro-
fondità di significato che sta dietro il fenomeno dell’arte della realtà al tempo di Dante, si può apprezzare in maniera più consapevole l’ampiezza di sguardo degli artisti sul reale, la volontà di comprenderne tutti gli aspetti, dalla crudezza più cupa del male alla dolcezza luminosa dei colori che allietano gli occhi di chi guardi il mondo che lo circonda. Un punto nodale per non travisare l’arte di questo tempo risiede nella concezione che la cultura medievale aveva della realtà visibile come segno dell’invisibile, del significato trascendente. Il realismo di Dante e di Giotto s’inserisce pienamente all’interno di quest’orizzonte. L’attenzione alla realtà fisica è un modo per comprendere il segno nella sua concretezza, per «condurci attraverso ciò che è puramente fenomenico e consentirci di gettare lo sguardo nel cuore di Dio» (J. Ratzinger, 2010). La nostra indagine si è spinta infine a un livello ultimo, quello del Paradiso, il luogo dove la realtà come segno è oltrepassata per rivelare il significato dell’opera di Dio in tutta la sua evidenza. Tale dimensione è resa attraverso il dominio della luce, l’elemento sensibile più vicino al divino. Racconta anche il Vangelo di Matteo che Cristo «fu trasfigurato e il suo volto splendeva come il sole, e le sue vesti divennero bianche come la luce» (Mt 17,2). Ci siamo allora chiesti se l’interesse per la rappresentazione della realtà fisica potesse giungere fino alla luce divina. Due esempi consentono di dare una risposta affermativa: Dante racconta di aver avuto accesso al Paradiso in carne e ossa e aver potuto godere un’esperienza sensoriale sempre più acuta della luce di Dio; Giotto, nella Cappella degli Scrovegni a Padova, utilizza la finestra posta al di sopra del Cristo giudice sulla parete di facciata come fonte luminosa principale per dare concretezza chiaroscurale alle figure dipinte: la luce di Cristo che entra nella
Siamo consapevoli che realizzare una mostra didattica su un argomento talmente complesso è un tentativo audace ed esigente rispetto a un tema che non pretendiamo di esaurire con il nostro lavoro. Quanto abbiamo scoperto lo proponiamo ai visitatori della mostra e ai lettori del catalogo, sperando di aiutarli il più possibile a cogliere il valore della bellezza affascinante delle opere d’arte figurative e letterarie di un’epoca straordinaria della civiltà occidentale, che in primo luogo ha colpito noi, spingendoci in quest’avventura segnata dall’entusiasmo e dalle domande di significato proprie di un cuore giovane.
Ringraziamo innanzitutto Marco Bona Castellotti, perché è stato il primo a intuire il valore di questo lavoro e a sostenerci nella sua realizzazione con la sua guida costante e decisa. E soprattutto è diventato per noi un maestro da seguire per l’energica passione che ci testimonia nello studio e nella vita. Ringraziamo Pia e Bruno Bozzini e Franco Bagnoli, che, con sentita dedizione e vivo spirito di abnegazione, hanno progettato l’allestimento della mostra. Ringraziamo Alessandra Vitez e Camilla Ronchi per il loro fondamentale sostegno e per l’apertura e la disponibilità sempre dimostrata durante il lavoro svolto insieme. Ringraziamo inoltre Maurizio Bellucci per il continuo incoraggiamento e per i suoi acuti suggerimenti. Non possiamo non ricordare con sentita gratitudine la professoressa Lucia Battaglia Ricci per il proficuo confronto con lei sui temi della mostra e per la cortesia dimostrataci. Ringraziamo per le loro preziose indicazioni i professori Daniele Benati, Paolo Prosperi e Serena Romano. Un ringraziamento speciale va infine ai cari amici Giacomo Bettini, Samuele Donati, Filippo Gianferrari e Davide Rondoni, con i quali da tempo condividiamo la passione per lo studio della storia, dell’arte e della letteratura. Giovanni Assorati Nicola Borghesi Gianluca del Monaco Stefano Doati Elena Marchetti Filippo Piazza Laura Staccoli
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Chiesa è allo stesso tempo anche la luce reale che rivela l’esistenza delle figure rappresentate. Alla fine del Paradiso di Dante come nel Giudizio finale degli Scrovegni, Dio non appare come pura luce, ma con la carnalità del volto di un uomo come noi, «con la nostra effige». Allo stesso tempo, nel Giudizio di Padova, ai due angoli superiori, un angelo arrotola il cielo blu, lasciando intravedere la luminosa distesa d’oro della Gerusalemme celeste. Proprio nel ciclo dipinto degli Scrovegni, uno dei capolavori assoluti del naturalismo giottesco, il pittore fiorentino mostra il fondo dorato e trascendente dell’arte bizantina come immagine della realtà definitiva a cui tutto tende. La visione di Dio da parte di Dante, il Cristo giudice e gli angeli dell’Apocalisse di Giotto appaiono tre immagini emblematiche per proporre una chiave di lettura complessiva dell’arte della realtà tra Duecento e Trecento: una forma artistica nuova, rinnovata, mossa però dal medesimo scopo di tutta l’arte medievale, favorire il desiderio del rapporto dell’uomo col Mistero di Dio, che in Cristo si è reso conoscibile con un volto umano.
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