quaderni aldo palazzeschi
Gianna Manzini
ÂŤLa voce non mi bastaÂť Lettere a Giuseppe De Robertis e a Emilio e Leonetta Cecchi a cura di
Alberto Baldi
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centro di studi ÂŤaldo palazzeschiÂť UniversitĂ degli Studi di Firenze Dipartimento di Lettere e Filosofia
quaderni aldo palazzeschi nuova serie
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La collana ospita ricerche di area italianistica compiute da allievi dell’Ateneo fiorentino, giudicate meritevoli di pubblicazione dal Consiglio Direttivo del Centro di Studi «Aldo Palazzeschi». L’Università di Firenze intende in questo modo onorare la memoria e la patria sollecitudine di Aldo Palazzeschi, che l’ha costituita erede del suo patrimonio ed esecutrice della sua volontà.
Gianna Manzini
«La voce non mi basta» Lettere a Giuseppe De Robertis e a Emilio e Leonetta Cecchi a cura di Alberto Baldi
Società
Editrice Fiorentina
Il volume beneficia di un contributo a carico dei fondi del Dipartimento di Lettere e Filosofia, Centro di Studi «Aldo Palazzeschi», Università degli Studi di Firenze
© 2019 Società Editrice Fiorentina via Aretina, 298 - 50136 Firenze tel. 055 5532924 info@sefeditrice.it www.sefeditrice.it isbn: 978-88-6032-504-4 issn: 1721-8543 Proprietà letteraria riservata Riproduzione, in qualsiasi forma, intera o parziale, vietata Per i testi pubblicati nel presente volume: © 2015 Mondadori Libri S.p.A., Milano, per gentile concessione dell’Editore In copertina: Particolare da una lettera a De Robertis del 6 dicembre 1940
indice
Premessa
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Nota al testo
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lettere a giuseppe de robertis e a emilio e leonetta cecchi Gianna Manzini e Giuseppe De Robertis Lettere a Giuseppe De Robertis (1937-1961)
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La corrispondenza con Emilio e Leonetta Cecchi 1. Gianna Manzini ed Emilio Cecchi 2. Gianna Manzini e Leonetta Cecchi Pieraccini 2.1 ÂŤLeonetta mia caraÂť. Storia di una lunga amicizia 2.2 Nelle agendine di Leonetta
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Lettere a Emilio Cecchi (1941-1962)
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Lettere a Leonetta Cecchi Pieraccini (1934-1974)
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appendice Gianna Manzini, Per il Sogno di Cecchi. Un inedito
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Indice dei nomi
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Premessa
Per dire come Gianna Manzini si trovasse a proprio agio nella misura epistolare basterebbe pensare alla più nota tra le sue lettere, quella inviata pubblicamente al suo editore, nel 19451, o all’Autoritratto involontario del pittore El Greco, un’ultima lettera-confessione all’amico Giulio Clovio2, che la scrittrice, da ritrattista a ritrattista, certifica trascrivendola «per copia conforme»3. Eppure le sue lettere private non hanno mai destato grande attenzione nella critica, tanto che se ne hanno tracce sporadiche, edite per lo più in cataloghi di mostre o in antologie4. È pur vero che è stata la stessa Manzini ad 1
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Si allude, ovviamente, a Lettera all’editore (Firenze, Sansoni, 1945), di cui Clelia Martignoni ha curato una ristampa per Sellerio (Palermo, 1993). Il noto miniaturista soggetto di uno dei primi ritratti (1571 ca.) del Greco, ora conservato al Museo Nazionale di Capodimonte di Napoli. Pubblicato come presentazione al volume curato da Tiziana Frati, L’opera completa del Greco, Milano, Rizzoli, 1969, lo avrebbe poi incluso nel suo ultimo libro, Sulla soglia (Milano, Mondadori, 1973). Noi lo leggiamo dal postumo e omonimo Gianna Manzini, Autoritratto involontario e altri racconti, a cura di Margherita Ghilardi, Milano, La Tartaruga edizioni, 1996, pp. 225-238: 238. In uno dei diari della scrittrice troviamo tracce della genesi del racconto-lettera: «4 giugno [1967] […]. Ma ora… ora viene il bello. Devo fare l’introduzione a un librone illustratissimo su El Greco. L’autore l’ho scelto io: ne sono innamorata. Si capisce: più lo guardo, più le difficoltà aumentano dentro di me; più leggo quanto si è scritto su di lui e più mi spaventa. Anzi farei bene a non leggere nulla. Stanotte, regola della veglia, mi è venuto in mente questo: potrei scrivere una confessione di El Greco stesso: parlare per lui; magari sotto forma di lettera indirizzata al suo amico Clovio. […] Insomma lettera in forma di confessione di lui che si spiega, confuta, si arrabbia, racconta di sé e del demone che lo possiede», D6, cc. 95-97; per le sigle con cui si citano i diari inediti della Manzini, cfr. infra, Nota al testo. Solo due (e di ridotte dimensioni) i carteggi pubblicati in volume: Gianna Manzini, Lettere a Pistoia (1966-1974). Lettere a Nilo Negri, Pistoia, Edizioni del Comune di Pistoia e del Circolo aziendale Breda, 1989, e Gianna Manzini, Lettere a Giulio. 1914-1916, edizione illustrata con ventotto disegni inediti di Giulio Innocenti, intro-
x «la voce non mi basta»
aver in parte contribuito a questo oblio, se, tra le sue carte confluite in ben tre archivi5, le lettere conservate – eccezion fatta per alcuni nuclei privilegiati, come quello di Falqui o quello di Elena Vivante, nonché la corrispondenza editoriale con i Mondadori – sono relativamente poche, soprattutto se confrontate con la “presenza” della scrittrice in alcuni fondi d’archivio di grandi personalità del Novecento letterario italiano6. Per spiegare la sproporzione basterà tuttavia quanto scritto nella lettera 128 a De Robertis, laddove, parlando dell’archiviazione della corrispondenza, dichiara: «io non salvo quasi nulla. Non ce la faccio»7. Ciò non toglie, tuttavia, l’importanza
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duzione e cura di Simonetta Bartolini, postfazione di Sigfrido Bartolini, Pistoia, Libreria universitaria Turelli, 1996. Si segnalano poi le lettere inviate al poeta Giorgio Vigolo, pubblicate a cura di Magda Vigilante in Caro amico ti scrivo, in «Caffè Michelangiolo», x, 1, 2005, pp. 4-7. Quanto alle apparizioni parziali, si riportano quelle di cui si è avuto notizia: troviamo trascrizioni (e riproduzioni fotografiche) nel catalogo Gianna Manzini tra letteratura e vita, a cura di Clelia Martignoni, Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori-Comune di Pistoia-Gabinetto G.P. Vieusseux, mostra bio-bibliografica e catalogo a cura di Clelia Martignoni (Firenze, Palazzo Strozzi 28 maggio-23 giugno 1983), Firenze, Il Sedicesimo, 1983; in Gianna Manzini, a cura di Francesca Bernardini Napolitano, Giamila Yehya, con la collaborazione di Sabina Ciminari, Stefania Ghirardello, Federica Paoli, Milano, Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, 2005; in Da scrittrice a scrittrice. Lettere sulla vita e sull’arte, a cura di Myriam Trevisan, in «Bollettino di Italianistica. Rivista di critica, storia letteraria, filologia e linguistica», iii, 2, 2006, pp. 263-289. Tre lettere spedite a Piero Bigongiari sul finire degli anni Quaranta sono state pubblicate in Paolo Fabrizio Iacuzzi, Piero Bigongiari. Voci in un labirinto. Lettere, saggi, immagini, inediti con sette quadri del Seicento fiorentino dalla collezione del poeta, Firenze, Pagliai Polistampa, 2000. Quanto ai nostri carteggi, si segnala che alcune delle lettere a De Robertis sono state esposte in una mostra in onore del critico (cfr. Giuseppe De Robertis. Giornata di studio e mostra documentaria, a cura di Lanfranco Caretti, promossa dal Gabinetto scientifico letterario G.P. Vieusseux, Firenze, Olschki, 1985). Le carte appartenute alla scrittrice sono state infatti suddivise in tre nuclei archivistici, conservati in tre diversi istituti: l’Archivio del Novecento dell’Università degli Studi di Roma “La Sapienza” – che ospita la serie dedicata alla corrispondenza –, la Biblioteca Nazionale Centrale di Roma, la Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori di Milano. Basti pensare che, alle 327 lettere qui raccolte, ne corrispondono all’incirca una quarantina. Le lettere inviate a tre soli corrispondenti sono poco più di un quinto della totalità della corrispondenza in ingresso conservata nell’Archivio del Novecento a Roma (1715 documenti totali, di cui quasi 500 a firma Falqui). Per questo motivo, si è scelto – fatta eccezione per le 33 lettere di De Robertis (fra cui quelle che la Manzini aveva raccolto in «un pacchettino a parte», cfr. infra, la lettera 128 a Giuseppe De Robertis) riprodotte in nota – di proporre soltanto le lettere manziniane. Così scrive Cecilia Bello Minciacchi nell’introduzione all’inventario del Fondo Manzini dell’Archivio del Novecento di Roma: «Questa distribuzione e conserva-
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fondamentale che le lettere avevano per la Manzini, soprattutto in quei momenti di lontana villeggiatura, quando divenivano il suo prediletto canale di comunicazione con il mondo, in virtù anche di un deciso rifiuto dell’uso del telefono (che «sbriciola i veri rapporti, non li aiuta»8). Un suo brevissimo scritto disperso, un dialogo a tre voci intitolato Della corrispondenza9, pensato per un contributo radiofonico, costituisce a tal proposito un interessante manifesto in favore del rapporto via lettera, avvertito come in disuso già all’epoca, una consuetudine per pochi “eletti”: Sono pochi oggi quelli che riconoscono il piacere della corrispondenza e vi si abbandonano. Gli stessi innamorati che facevano della lettera un simbolo, una reliquia, una fisica realtà – la carta, il colore della carta, il disegno della scrittura, il profumo, il numero dei foglietti, il peso – oggi scrivono poco.
Una seconda voce difende la comunicazione telefonica10, per la sua «immediatezza», la «spontaneità», la maggior «fisicità» della con-
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zione dei materiali lascia supporre in Gianna Manzini una cura non sistematica ma parziale delle proprie carte, ovvero che fosse per lei importante, in primo luogo, aver individuato alcuni argomenti “sensibili” intorno ai quali disporle. La scrittrice deve aver avuto a cuore, dunque, un ordinamento per sé più che per la posterità, un riguardo finalizzato alla memoria e all’uso personali prima che al lascito di un ritratto biografico e letterario minutamente percorribile in tutte le sue tappe» (Cecilia Bello Minciacchi, Introduzione, in L’archivio di Gianna Manzini. Inventario, a cura di Cecilia Bello Minciacchi, Clelia Martignoni, Alessandra Miola, Sabina Ciminari, Anna Cucchiella, Giamila Yehya, Roma, Carocci, 2006, pp. 51-56: 55). Infra, lettera 117 a Leonetta Cecchi Pieraccini. Sempre in una delle prime lettere all’amica (la numero 5), esprime il bisogno di rafforzare via lettera quanto detto per telefono, da cui la frase che è stata scelta per il nostro titolo. Che noi leggiamo e trascriviamo dal dattiloscritto originale con correzioni autografe, corrispondente alle carte 51-55 del fascicolo iv/6 del Fondo Manzini dell’archivio della Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori di Milano. Sgradita anche a Leonetta Cecchi Pieraccini, che così avrebbe scritto in una sua “agendina’: «[10 settembre 1961] […]. Nel leggere questi resoconti di carteggi che Em[ilio] ha illustrato e commentato con la sua maestria, fra giovani letterati di cinquanta e sessanta anni fa (attualmente di Papini e Pancrazi, e di Slataper) colpisce il fervore, l’intensità della passione e della superiore ambizioni portata alle questioni e discussioni culturali. Oggi, anche fra cervelli altrettanto dotati, non potrebbero aver più luogo. Intanto si esaurirebbero molto più prontamente e agilmente col telefono, sia pure interprovinciale» (LCP 3.31, 1 gennaio 1961-31 dicembre 1961,
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versazione rispetto a «qualche foglietto chiuso in una busta». Ma il confronto è impari, e gli altri interlocutori sostengono con forza la pratica epistolare, e tutta quella «serie di riti» che ne deriva e che dice molto «di chi scrive» e «di chi riceve»: Come si apre una busta: c’è chi la squarcia, e c’è chi ne fende meticolosamente il margine. Come si legge una lettera; come si conserva; come si nasconde; come si protegge; e magari come si distrugge.
Soprattutto, si individuano due qualità proprie del solo rapporto epistolare: «il valore di ricordo, di documento», annullato dalla fugacità di una telefonata, e il «valore d’intimità», impossibile con la «voce che risuona in una stanza o in una cabina telefonica» e che «smaga il segreto, esala» ciò che «vorremmo sapere prigioniero nel regno puro della parola scritta». La stessa intimità di cui ha bisogno El Greco, per poter scrivere all’amico: Mio caro Clovio, ho chiuse le imposte, ho tirato le tende. Filtra pochissima luce dallo spiraglio della porta. Una lama ne trapela dallo spiraglio della finestra: insufficiente per vedere, propizia per conciliare l’intimità di un discorso fra me e me, fra te e me senza che mi distragga la nascosta prepotenza delle cose11.
A una penultima battuta in apologia del telefono («Oggi c’è poco tempo anche per leggere: figuriamoci per scrivere. E del resto credo che, sacrificando la lettera, non ci si sacrifichi troppo»), segue poi la decisiva perorazione in favore della corrispondenza, con un appello al ruolo imprescindibile che essa riveste nella conoscenza e nello studio dei grandi scrittori: Oh, no: sacrifichiamo moltissimo, sacrificando la lettera: basti pensare che un buon settore della letteratura di tutto il mondo è dato dagli epistolari: senza i quali, una gran parte della fisionomia di
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c. 134v; per la modalità di citazione dei diari inediti di Leonetta Cecchi Pieraccini cfr. infra, Nota al testo). Gianna Manzini, Autoritratto involontario, in Autoritratto involontario e altri racconti, cit., p. 225.
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scrittori che ci sono carissimi sarebbe sconosciuta. E di questi scrittori, spesso, non solo il valore più umano, ma anche il più validamente artistico, si è espresso nel tu per tu della lettera.
Autorizzati dalla Manzini, sarà dunque lecito – oltre a ricercarvi preziose informazioni per lo studio dei suoi lavori – leggere queste lettere per ricostruire alcuni aspetti meno noti della sua “fisionomia” intellettuale e della sua persona, di modo da ottenere un “ritratto”, nel senso manziniano del termine, il più accurato e autentico possibile.
Nota al testo
I tre nuclei epistolari qui riprodotti sono conservati presso l’Archivio Contemporaneo “A. Bonsanti” del Gabinetto Vieusseux di Firenze1. Si è premessa alle lettere una numerazione progressiva in cifre arabe, nel rispetto del loro ordine cronologico. In calce a ogni missiva, oltre all’apparato di note esplicative, si trova una breve descrizione della natura del documento2. I nostri criteri di edizione si rifanno a quelli adottati da Anna Dolfi per l’epistolario tra Oreste Macrí e Vittorio Bodini3: si è pertanto provveduto a uniformare l’ortografia all’uso attuale, mante1
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Le 149 lettere a Giuseppe De Robertis corrispondono ai documenti conservati, nell’omonimo fondo, con segnature DR.1.39.1-138 (per le lettere archiviate con Gianna Manzini come mittente) e DR.1.74.247 (a-b)/b; 509; 561 (a-b)/b; 567; 668; 711; 715 (ab)/a; 728; 730 (a-b)/b; 809; 813 (a-b)/b (mittente Enrico Falqui); le 35 a Emilio Cecchi e le 143 a Leonetta Cecchi corrispondono ai documenti conservati Fondo Emilio Cecchi, rispettivamente con segnature EC.1.47.1-34 e EC.LCP.55.1-144 (una cartolina indirizzata a Emilio Cecchi, anche se rivolta a entrambi, è conservata tra quelle destinate a Leonetta). Le 33 lettere di De Robertis a Gianna Manzini, proposte in nota a quelle della scrittrice che più vi si avvicinano per datazione, sono invece conservate nel Fondo Manzini e nel Fondo Falqui dell’Archivio del Novecento di Roma. Vi è indicata la tipologia di messaggio (lettera manoscritta, lettera dattiloscritta, cartolina postale, telegramma, cartolina illustrata); il numero di carte (cc.), se più di una; l’intestazione della carta (laddove presente); la presenza di buste, laddove esistenti, e le loro rispettive intestazioni; le indicazioni di mittente e destinatario; eventuali integrazioni sul recto (r.) o sul verso (v.) dei documenti; la varietà di carta (se di particolare interesse). Vittorio Bodini-Oreste Macrí, “In quella turbata trasparenza”. Un epistolario: 1940-1970, a cura di Anna Dolfi, Roma, Bulzoni, 2016. Criteri che in larga parte corrispondono a quelli già sperimentati per i precedenti carteggi di Macrí (ad esempio Anna Dolfi, Carteggio Macrí-Quasimodo, in Oreste Macrí, La poesia di Quasimodo. Studi e carteggio con il Poeta, Palermo, Sellerio, 1986, pp. 325-383; Ruggero Jacobbi-Oreste Macrí, Lettere 1941-1981. Con un’appendice di testi inediti o rari, a cura di Anna Dolfi, Roma, Bulzoni, 1993).
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nendo invariata la punteggiatura salvo dove fossero necessarie integrazioni4 per facilitare la lettura. Si sono uniformate le oscillazioni circa la posizione di indirizzi (in alto a destra), date (in alto a sinistra, sempre in forma non abbreviata) e firme (in basso a destra). Si sono poi applicati i criteri tipografici vigenti: corpo corsivo per le parole straniere, le porzioni di testo sottolineate nell’originale, i titoli di libri, racconti e ogni altra opera d’invenzione, le aggiunte d’altra mano; virgolette caporali per i nomi di riviste e quotidiani nonché per segnalare eventuali discorsi diretti; apici singoli (negli originali alternati ai doppi) per termini o espressioni usate in senso figurato. Laddove non segnalati dalla Manzini come incertezze personali (uso non infrequente), si sono corretti eventuali refusi riguardo a nomi di persone o di luoghi. Con l’utilizzo di parentesi quadre, si sono segnalate nostre integrazioni congetturali e correzioni di errori, mentre col simbolo {…} sono indicati passi o parole illeggibili. Con la sigla «t.p.» si è invece segnalato il ricorso al timbro postale (spesso recuperato da busta) per individuare date e luoghi di produzione delle lettere. Con le sigle DR, EC, LCP sono rispettivamente indicate le lettere a Giuseppe De Robertis, Emilio e Leonetta Cecchi. Quanto invece ai diari inediti della scrittrice5 e di Leonetta 4
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Per non appesantire la lettura, dato il ridotto numero di casi e l’evidente involontarietà dell’omissione (trattandosi per altro di una tipologia testuale non soggetta a rilettura), queste integrazioni non sono segnalate, come invece avviene in altri casi, con l’ausilio di parentesi quadre. Si tratta, nello specifico, di due (D1 – 1947-1950 – e D4 – 1953) dei cinque quaderni conservati pressi l’Archivio del Novecento della Università degli Studi di Roma “La Sapienza” (che, sebbene danneggiati da muffe e umidità, sono stati resi leggibili da un preziosissimo intervento di restauro) e del diario 1959-1974 (D6), conservato nel xii fascicolo del Fondo Manzini dell’archivio della Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori di Milano. Tra semplici cronache del quotidiano (assai irregolari e non certo paragonabili, ad esempio, alla puntualità che si riscontra nelle agendine di Leonetta Cecchi, cfr. la nota successiva) e pagine di pura rievocazione memorialistica (della infanzia, soprattutto, o del periodo fiorentino), questi taccuini si configurano soprattutto come veri e propri “diari di scrittura”, con idee e spunti per trame di romanzi e racconti brevi, riflessioni stilistiche, auto-commenti, toccando, dal ’47 al ’74, più della metà dei suoi lavori. Tuttavia, spesso i vari livelli si sovrappongono, come nel caso di questa nota del gennaio 1968: «Già, la morte. Io amo la vita, io amo la vita, io amo la vita, anche se tante volte sono disperata. Una vita piena di spine (e che spine!): e l’amo; ma non è che ami il dolore; affatto. È la gioia che mi piace. Devo confessare che ne trovo sempre un pochino, nei modi e nei momenti più impensati. Forse quel che ci tiene in vita è il cumulo delle cose da fare. Morire senz’averle fatte dispiace. La calamita dell’incompiuto? Macché: del non
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Cecchi6 sono rispettivamente abbreviati con le sigle D e LCP7, seguite dall’indicazione delle carte. Al termine del lavoro vorrei innanzitutto ringraziare Anna Dolfi, per l’indispensabile supervisione con cui lo ha seguito. Ringrazio anche la casa editrice Arnoldo Mondadori Editore, Teresa De Robertis e Masolino D’Amico, che hanno, con grande cortesia, reso possibili la trascrizione e la pubblicazione dei materiali. Un grande ringraziamento a Gloria Manghetti e a tutto il personale dell’Archivio Contemporaneo “A. Bonsanti” di Firenze, in particolare a Ilaria Spadolini e a Fabio Desideri; a Tiziano Chiesa, per la disponibilità con cui ha favorito l’accesso ai documenti conservati presso l’archivio della Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori di Milano; a Francesca Bernardini e ad Alessandro Taddei, per aver permesso l’accesso ai materiali conservati presso l’Archivio del Novecento di Roma; ad Antonio D’Ambrosio, per avermi cortesemente messo a disposizione alcune lettere di Giuseppe De Robertis a Gianna Manzini; a Simone Magherini e Marino Biondi, che mi hanno seguito durante le fasi della pubblicazione.
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ancora avviato, del progetto allo stato puro, intatto. Fra le cose da scrivere una apologia degli ostacoli. Un inno a gli ostacoli. Che ottima saltatrice di ostacoli sono stata. Bisogna riconoscerlo. Mi do la mano. Una combattente parecchio valorosa. Fuori le medaglie, Gianna. Cominciamo dall’infanzia… Ahiahi. Ho scoperto che una delle tante difficoltà che m’intralciava nel mio lungo racconto che dovrebbe costituire il ritratto di mio padre è che fatalmente devo rimpossessarmi della mia infanzia. Non si finisce mai coll’infanzia. Che miniera, che labirinto, che prigione: sempre a trovare, a scoprire, a inorridire» (D6, cc. 127-129). Parliamo dei suoi quaderni inediti – eccezion fatta dunque per Leonetta Cecchi Pieraccini, Vecchie agendine. 1911-1929, Firenze, Sansoni, 1960 (ristampato col titolo Agendine 1911-1929, a cura di Isabella D’Amico, introduzione di Masolino D’Amico, Palermo, Sellerio, 2015), per Leonetta Cecchi Pieraccini, Agendina di guerra, 1939-1944, Milano, Longanesi, 1964, e per gli estratti confluiti in Leonetta Cecchi Pieraccini, Visti da vicino, con una lettera di Antonio Baldini, Firenze, Vallecchi, 1952 – conservati nel Fondo Cecchi dell’Archivio “A. Bonsanti”, un’importante “testimonianza” dei fatti e dei personaggi connessi al rapporto tra i Cecchi e la Manzini, all’interno di una monumentale opera di memorialistica (in tutto quaranta quaderni, che vanno dal 1911 al 1971, documentando sessant’anni di storia culturale e letteraria italiana). Abbreviazione seguita dai numeri di segnatura – fedeli al catalogo curato da Margherita Ghilardi, cui rinviamo per ulteriori informazioni, Fondo Leonetta Cecchi Pieraccini. Quaderni, Firenze, 2009, online <www.vieusseux.it/inventari/leonetta_ quaderni.pdf> (05/2017) – e, alla prima occorrenza, dall’intervallo cronologico coperto dal taccuino.