Marco Bardazzi
LA
SCALA SPEZZATA Romanzo
SocietĂ
Editrice Fiorentina
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In copertina: Poster diffuso dalle autorità del New Jersey dopo la scomparsa di Lindbergh Jr., 1932 (© Bettmann/Corbis)
A Letizia
Parte prima
1. spirit
20-21 maggio 1927 Forse era il momento giusto per il primo panino. A Long Island, in un’alba lattiginosa lontana secoli, il droghiere ne aveva preparati cinque per lui, tutti al prosciutto. Erano ancora là sotto, avvolti nel sacchetto di carta marrone. Bastava allungare una mano per tastarne la presenza rassicurante, sotto il sedile rudimentale della cabina di pilotaggio, così spoglia nella sua essenzialità di metallo. Volava da quindici ore e tutto quello che si era concesso era stato qualche sorso d’acqua. Un panino poteva aiutare. Del resto, che altro c’era da fare? Le stelle comparivano di tanto in tanto ed erano l’unica possibilità per tentare di orientarsi. Spirit of St. Louis era piombato dentro una serie di immensi banchi di nuvole e microscopici ghiaccioli, nel pieno di una tempesta magnetica che aveva reso inutilizzabile anche la bussola. Inutile sporgersi dai finestrini laterali, per cercare un varco in quella montagna di vapore acqueo che avvolgeva l’aereo. Nel buio più totale. In un luogo da qualche parte sopra l’Oceano Atlantico. La temperatura era scesa sensibilmente e l’uomo solitario ai comandi si strinse dentro il giubbotto da aviatore. Teneva la cloche con una sola mano, per permettere all’altra di trovare un po’ di tepore sotto un’ascella. Con la mano attiva, cercava di avvertire ogni minima variazione nelle vibrazioni che la struttura dell’aereo trasmetteva al polso, al braccio stanco e al corpo indolenzito. Sotto il casco di pelle, le orecchie erano tese per intercettare possibili segnali d’allarme: un battito fuori ritmo nel rumore monotono del motore, un tin9
tinnio metallico insolito. Modifiche impercettibili nella routine sonora che potevano essere avvisaglie di un disastro. No, niente panino per ora. C’era da risolvere un problema più serio. Sopravvivere. Di deviare la rotta per puntare a sud, cercando di uscire dal banco di nuvole, neppure a pensarci. Aveva impiegato settimane a calcolare quanto carburante stipare nei serbatoi e a togliere ogni peso superfluo per far spazio a gocce ulteriori del prezioso liquido: non poteva permettersi di sprecare niente. Parigi era ancora lontana, lontanissima. Se mai ci fosse arrivato. L’unica speranza era l’istinto. «Ho visto di peggio», continuava a ripetersi, tornando con la memoria alle avventure degli anni passati, ai terribili rischi dei voli tra St. Louis e Chicago affrontati ogni giorno per consegnare i sacchi della posta. L’istinto e la capacità di ragionare a mente lucida anche nei momenti peggiori lo avevano sempre aiutato, insieme a una buona dose di fortuna. Non era un caso se la stampa lo aveva ribattezzato con quel soprannome che francamente odiava, Lucky Lindy. Se gettava uno sguardo indietro, al percorso tortuoso dei venticinque anni che lo avevano portato fin dove si trovava ora, non era certo di rintracciare molte prove della fortuna che tutti gli attribuivano. C’erano state disgrazie, una casa che da piccolo adorava andata in fiamme, la famiglia sfasciata. Per non parlare dei soldi, che mancavano sempre. Ma nessun momento, meglio di quello attuale, poteva servire a dimostrare se davvero la buona sorte provava una qualche simpatia nei suoi confronti. Controllò per l’ennesima volta il pannello dei comandi, illuminato debolmente da una lampadina tascabile. Una parete di strumenti occupava tutto lo spazio dove avrebbe dovuto trovarsi il parabrezza. Si sorprese a sorridere, ricordando gli sguardi allibiti dei progettisti della Ryan di San Diego, quando aveva descritto loro l’aereo che voleva per tentare l’impresa. La cabina di pilotaggio più arretrata del 10
solito, per lasciare spazio a serbatoi supplementari. Un solo motore, per guadagnare peso. Nessuna vista anteriore: l’unico modo che aveva per guardare cosa c’era fuori era sporgersi dai finestrini laterali. Per decolli e atterraggi non era certo una condizione ottimale. Alla Ryan avevano dovuto minacciarlo per convincerlo a installare un periscopio, così da avere almeno una possibilità di vista frontale. Ma il periscopio pesava e aveva accettato di montarlo solo a patto di togliere altri strumenti preziosi e rinunciare così a un peso equivalente a quello che veniva aggiunto. Nuvole. Nebbia. Oscurità. Gli occhi bruciavano in modo insopportabile. Il sonno era il suo peggior nemico. Non dormiva ormai da trentacinque ore. Ci aveva provato, ma era stato inutile. La sera prima era tornato tardi al Garden City Hotel e aveva trovato il solito accampamento di giornalisti ad attenderlo. Si era scusato, spiegando di aver bisogno di riposare un po’. Chiunque altro, al suo posto, non se la sarebbe cavata così a buon mercato di fronte al branco di taccuini affamati, pronti a scattare e sbranare. Invece si erano scansati, lasciandolo passare, lanciandogli sguardi ammirati e stupiti. Per loro era ancora un pianeta semi-sconosciuto, un ragazzone del Minnesota piombato all’improvviso a New York per un’impresa che nessun uomo aveva mai tentato. I suoi modi gentili, i silenzi, l’atteggiamento timido, enigmatico e nello stesso tempo maestoso, quella miscela insolita aveva conquistato tutti. Era un dio greco caduto sulla Terra e loro, semplici mortali, non potevano che concedergli il rispetto che toccava a una divinità. L’aviatore era entrato in camera a mezzanotte e aveva lasciato un ragazzino, George Stumpf, a far la guardia al suo riposo, chiedendogli di non svegliarlo prima delle due e un quarto. Mentre stava per piombare nel sonno prezioso, George aveva bussato con violenza alla porta. «Slim» – aveva chiesto con voce da bambino, chiamando 11
il dio greco con il soprannome che toccava in sorte a ogni americano più magro della norma – «cosa farò quando sarai partito?». Non lo aveva mandato al diavolo, perché non era abituato a essere brusco. Ma il sonno era ormai diventato un miraggio. Si era alzato, rinunciando a dormire. Alle quattro e un quarto era nell’hangar di Roosevelt Field, circondato dai giornalisti. Alle sette e cinquantaquattro della mattina del 20 maggio, Spirit of St. Louis era decollato da Long Island verso l’oceano. Le palpebre adesso erano pesanti, il rumore del motore diventava un ronzio lontano. Non doveva addormentarsi. Non ora. Il momento sarebbe arrivato, ma non ora. Lanciò un altro sguardo fuori dal finestrino, ma il piccolo aereo era un puntino inghiottito dalla vastità di una perturbazione atlantica. Nessun uomo aveva mai volato così a lungo. Nessun uomo, in tutta la storia, era mai stato così solo in mezzo all’immenso come Charles Augustus Lindbergh. Il pettine passò una volta ancora in mezzo ai capelli coperti di Vaseline. Calvin Coolidge lo impugnava con la destra, mentre la sinistra era impegnata ad aiutare la metodica stiratura della scarsa capigliatura. Era un rituale che gli piaceva, come tutte le cerimonie precise e immutabili che sommate insieme formavano la sua giornata. Osservò nello specchio gli occhi azzurri gelidi, le labbra sottili e inevitabilmente serrate, la fronte ampia. Tentò di raggiungere la colonia che qualcuno tra i domestici aveva riposto sullo scaffale più alto del bagno, ma sembrava fuori della portata del suo metro e settanta. Imprecò per la milionesima volta contro la Patterson House. Due mesi in quel posto gli sembravano già il massimo che potesse concedere alla propria sopportazione e invece doveva fare i conti con la prospettiva di dover trascorrere tutta l’estate nella villa di Dupont Circle. I lavori di restauro alla Casa Bianca non sarebbero finiti prima di settembre. Ma 12
il trentesimo presidente degli Stati Uniti non aveva voglia di aspettare. Gli mancavano gli oggetti della sua routine. Gli mancava soprattutto la sella elettrica su cui si divertiva a salire e a gridare come un cowboy, fingendo di cavalcare nelle praterie del West. Tornò nell’ufficio privato. La pausa per il rito della lisciatura dei capelli di metà mattinata era finita. Il segretario lo accolse con le ultime notizie sull’impresa di Lindbergh. «Continua a tenermi aggiornato, mi raccomando», lo esortò Coolidge, prima di congedarlo. Non c’era molto che potessero raccontargli, ma ciononostante non voleva perdere alcun passaggio di quello che stava avvenendo. Come il presidente, milioni di americani erano in attesa ansiosa di notizie su Lindy. Il pilota era solo in mezzo al niente, ma nello stesso tempo nessun uomo era mai stato contemporaneamente nei pensieri e nei cuori di così tanti suoi simili. L’America sembrava essersi fermata in silenzio, ad aspettare. L’Europa seguiva il tentativo con altrettanta trepidazione. Dopo il decollo, un aereo carico di giornalisti aveva inseguito per un po’ Spirit, per poi abbandonarlo al suo destino. Gli ultimi a segnalare la presenza di Lindbergh erano stati gli abitanti di St. John’s, in Newfoundland. Poi il velivolo e il coraggioso pilota erano scomparsi, svaniti nella distesa infinita dell’oceano. E nessuno sapeva se sarebbero più stati rivisti. Nelle ore successive, migliaia di newyorchesi si erano radunati come per un richiamo magico in Times Square, nella speranza che dagli uffici del «New York Times» arrivasse qualche notizia. Il paese più dinamico e distratto della Terra d’un tratto si era reso conto dell’enormità di quello che stava accadendo e aveva cominciato a trattenere il fiato. Il giovane spilungone biondo, con gli occhi azzurri, la faccia pulita e i tratti scandinavi dei suoi avi svedesi, era un nuovo Cristoforo Colombo. Anzi, qualcosa di più e di diverso: Colombo non era solo nella sua impresa, tre navi piene di uomini condividevano con lui le ansie e le speranze del viaggio misterioso. 13
Lindbergh era un nuovo Ulisse in viaggio verso le Colonne d’Ercole. Era l’incarnazione del sogno che univa uomini e donne in attesa silenziosa, mano nella mano, sui marciapiedi di Manhattan. Era l’epilogo e nello stesso tempo il proseguimento della grande avventura dei pionieri. Milioni di bambini, dal più sperduto villaggio del North Dakota al delta del Mississippi, andarono a letto pregando per Lindy. Milioni di adulti, senza avere il coraggio di confessarlo, fecero altrettanto nel silenzio delle loro coscienze. In una casa di Detroit, una donna minuta pregava per la salvezza del figlio, mentre nel suo giardino la polizia teneva a bada una folla di giornalisti e curiosi. Evangeline Lindbergh si scoprì a comprendere qualcosa a cui non aveva mai pensato: «Anche Cristoforo Colombo deve aver avuto una madre terrorizzata per lui». Si chiese cosa poteva aver provato quella donna, costretta a sperimentare quattrocentotrentacinque anni prima di lei l’angoscia di avere messo al mondo un eroe. Alla sera, il presidente Coolidge entrò sotto le lenzuola di lino e avvertì la consueta sensazione di piacere nel rannicchiarsi in posizione fetale, come amava fare fin da piccolo nel letto scomodo e ruvido della casa di famiglia, su in Vermont. Pensò che se Lindbergh ce l’avesse fatta sarebbe stato un successo da sfruttare fino in fondo, per dimostrare a tutti la potenza e il coraggio della sua America ricca e spensierata. Ma il buonumore svanì dopo pochi istanti, lasciando posto a un crudo realismo. Con ogni probabilità, purtroppo, quel ragazzo era solo un suicida. Avrebbe fatto la fine dei due piloti francesi che pochi giorni prima erano scomparsi nell’Atlantico, tentando la mitica trasvolata. Inatteso, come un dono inviato dal Cielo, un raggio di luna entrò nella cabina di pilotaggio e colpì gli occhi stanchi di Charles Lindbergh. Sorpreso dal chiarore, ebbe un sussulto, scuotendosi dal pericoloso torpore che lo stava inva14
dendo. Le nuvole si stavano aprendo, le stelle tornavano a essere visibili. Con la bussola e la carta di Mercatore acquistati in un negozietto in California, uniche guide per il grande viaggio, verificò la rotta. Poi prese qualche appunto sul diario di bordo. Piccoli gesti che ripeteva da ore, metodicamente. L’unica sua speranza di seguire la direzione giusta. Di restare sveglio. Di restare in vita. Da tempo aveva superato il punto di non ritorno, il momento in cui, anche volendo, non poteva più invertire la rotta: il carburante non sarebbe stato sufficiente. Adesso c’era solo da aspettare che comparisse un pezzo d’Europa, magari l’Irlanda. Ma per il momento, da ore e ore, c’era soltanto l’oceano, sopra il quale era anche sceso a volare in un paio di occasioni a così bassa quota da aver fatto sfiorare le onde alle ruote. La schiena cominciava a far male, le gambe erano rattrappite. Lindbergh cercò di sistemarsi meglio sul sedile dallo schienale di vimini – un altro accorgimento per guadagnare peso – e fu in quel momento che li vide. Erano figure, volti che fluttuavano nella cabina. Erano entità inconsistenti che gli mormoravano parole indescrivibili. Messaggeri venuti ad affidargli segreti impensabili. Stropicciò le palpebre stanche, scosse la testa, bevve un sorso d’acqua. Ma i compagni d’avventura di quel fantastico viaggio erano ancora là, insieme a lui, in volo verso la Storia. Un brivido lo fece sussultare. Un’improvvisa consapevolezza, una sensazione inaspettata e dolcissima. Lassù, in volo sopra la distesa d’acqua infinita, in compagnia di cinque panini e qualche fantasma, Lindbergh si sentì incredibilmente felice.
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indice
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Parte prima 1. Spirit 2. Bowery 3. Aquilotto 4. Alba 5. Buster 6. Professore 7. Jafsie 8. Fango 9. John 10. Granturco 11. Nelly 12. Empire 13. Ceneri 14. Ricordi 15. Scienza 16. Letteratura 17. Follie
153 159 167 175 183 191 201 206 215 221 228 237 243 252 260 272
Parte seconda 18. Strada 19. Bruno 20. Liberty 21. Main Street 22. Palo 23. Tribunale 24. Male 25. Biscotti 26. Giuria 27. Patriota 28. Interrogativi 29. Nellie 30. Fisch 31. Duello 32. Verdetto 33. Cielo
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