Quale Europa? per i cristiani e non solo

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ALDO BERGAMASCHI

Quale Europa? per i cristiani e non solo

SocietĂ

Editrice Fiorentina



Aldo Bergamaschi

Quale Europa?

Per i cristiani e non solo a cura di

Associazione «Aletheia»

Società

Editrice Fiorentina


© 2013 Società Editrice Fiorentina via Aretina, 298 - 50136 Firenze tel. 055 5532924 info@sefeditrice.it www.sefeditrice.it blog www.seflog.net/blog facebook account www.facebook.com/sefeditrice twitter account www.twitter.com/sefeditrice isbn 978-88-6032-252-4 Proprietà letteraria riservata Riproduzione, in qualsiasi forma, intera o parziale, vietata


A coloro che, come l’Autore, sono sinceri ricercatori della VeritĂ



Indice

ix Prefazione. La ragione sul sentiero della profezia Nando Bacchi, Giordano Formizzi prima parte 1 europa: un passo verso l’unità del genere umano

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1. Non si può chiedere il prezzo… 2. Il passato e il presente sono la stessa identica cosa… 3. Verrà senza dubbio un tempo in cui… 4. Non è la storia indipendente… 5. È chiaro che ogni fatto storico… 6. In questo momento, una lingua… 7. L’adozione universale dell’Esperanto… 8. Quando i popoli potranno liberamente capirsi… 9. La lingua serve sì come strumento, ma… 10. Una comune lingua senza base etnica… 11. Non si dice mai ai cittadini… 12. Libri universali, scuole universali… 13. È più che evidente che l’adozione dell’esperanto… 14. L’attuale sistema di comunicazione… 15. Prima che una durevole unione federale… 16. La costruzione europea è guastata… 17. Devo riconoscere… 18. Non ci sono utopistici…

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seconda parte l’unità come risultato

1. Non è la storia che appartiene a noi… 2. Il cristiano non identifica il suo modello…

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3. Il cristiano non si sforza… 4. La disuguaglianza è l’ovvio… 5. In una civiltà formalmente cristiana… 6. Forse il Dio di Gesù… 7. La ricerca delle cause della storia… 8. Gli schiavi negri d’America… 9. L’incomprensione del presente… 10. La storia non ammaestra… 11. La storia è un repertorio di idee… 12. Ogni fatto storico è un fatto sociale… 13. La storia consiste in un complesso di fatti… 14. La storia delle opinioni… 15. La scienza storica non può condurci… 16. Esiste un modo festivo… terza parte europa tra mito e utopia


La ragione sul sentiero della profezia Prefazione di Nando Bacchi, Giordano Formizzi

Più i giorni ci separano dalla morte di padre Aldo e più la luce del suo messaggio cristiano, visto nella profondità dei contenuti, splende di razionalità e di profezia proiettandosi ben oltre il metro mondano sia del potere che del successo. È la luce di un genuino filosofo del Vangelo. Perché «Quale Europa? Per i cristiani e non solo»? Il titolo dato al presente libro modifica nella sua enunciazione Quale Europa cristiana? A noi pare che la modifica colga meglio il nocciolo del pensiero dell’autore che, già dal primo saggio, esprime chiaramente il concetto di una Europa «laica» in cui il cristiano abbia la possibilità di convivere con le etiche non cristiane. Di certo il consentire una convivenza plurale (laicità) è un valore cristiano. Anzi, per inciso, ci permettiamo il vanto, difficilmente contestabile sul piano storico, di dire che è stata «l’impotenza» della croce a capovolgere tanto l’immagine di un Messia celeste onnipotente gestore delle vicende umane quanto, come è stato lucidamente riconosciuto, l’immagine di un Messia terreno, avendo Gesù apertamente rifiutato di fare (a fatti veramente e non solo a parole) del mondo il suo regno. Sia però chiaro; la laicità non è un’etica, mentre come metodo, occorre precisare, non è esclusivamente cristiana, bensì può dirsi propria anche delle altre etiche. L’Europa, in altre parole, si può


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definire laica quando non consente a nessuna etica di imporsi sulle altre, ma quando garantisce, attraverso le sue leggi, il diritto a tutte di testimoniare, pubblicamente e responsabilmente, i propri valori fondamentali. In sostanza, padre Aldo disegna un’Europa ospitale per tutti i suoi cittadini: ospitale per i cristiani, per i secolari, per gli islamici, per i buddisti, ecc. Cristianesimo come novità esistenziale Tra i maggiori profeti, vissuti nel cuore del «secolo breve» (don Primo Mazzolari, don Lorenzo Milani, padre Ernesto Balducci, don Giulio Girardi, padre David Maria Turoldo, prof. Giuseppe Lazzati), padre Aldo Bergamaschi, reggiano di adozione, colloca il fulcro del suo pensiero nella figura di Gesù Cristo quale fonte di «novità esistenziale» e non un «mattatore della storia» vestito con i panni onnipresenti del provvidenziale «deus ex machina» che tutto governa. Cristo è, per dirlo alla K. Barth, l’unico uomo «toccato da Dio». È l’unica «voce diretta di Dio», che parla attraverso il Vangelo. «La Bibbia – scrive il cappuccino – senza l’a piombo del Vangelo è parola disarticolata». Si può discutere il paradigma teologico relativo al rapporto DioMondo inglobante il tema cristologico, ma non si può discutere il paradigma esistenziale dell’amore divino incarnato da Gesù di Nazareth di cui padre Aldo dà una lettura radicalmente fedele. Il primo punto cardine del paradigma esistenziale è un esplicito invito alla Chiesa istituzionale di cedere il passo a una Chiesa decisamente spirituale. Il nostro cappuccino concorda con il teologo protestante K. Barth nell’intendere la religione in senso negativo, ossia tomba della fede, perché costruita più sulla esteriorità del rito, delle opere, della legge e dei dogmi anziché sulla interiorità della fede, della vita e dello spirito. A proposito di questo ci piace ricordare la risposta di Gesù alla domanda della samaritana sul culto religioso. Una risposta che l’istituzione preferisce sorvolare: «Credimi, donna: viene il momento in cui l’adorazione di Dio non sarà più legata a questo monte o a Gerusalemme; ma viene un’ora, anzi è questa, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità». Al cristiax


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nesimo «caduto a rango di religione» egli contrappone il cristianesimo che si fa prassi coraggiosa e conversione del cuore (metànoia). Il che vuol dire – citiamo testualmente – «eliminare le contraddizioni della natura caduta non consentendo aggiornamenti commisurati ai propri vizi, bensì favorendo la responsabilità, in positivo, a mostrare la novità della fede». Un altro punto cardine della personale novità esistenziale è il rapporto che si viene a stabilire tra Cristo (il Verbo di Dio che si è fatto carne) e la Chiesa (popolo di Dio e gerarchia ecclesiastica). Anche qui il pensiero di padre Aldo è chiaro, senza giri di parole. La Chiesa va definita, nella sua interezza comunitaria, come mezzo entro il quale (medium in quo) tutti cerchiamo di comprendere la verità comunicata da Gesù. Perciò, la Chiesa (sia popolo di Dio che gerarchia ecclesiastica) non il mezzo (medium quod) che fa conoscere la verità. Conseguentemente, il magistero fa un «servizio» che aiuta il popolo dei credenti a conoscere la verità ma non «comanda» la verità. Si arriva cosi al rischio della libertà che tocca spesso i profeti e che al nostro cappuccino costa un temporaneo richiamo al silenzio. Una polis secondo il comandamento evangelico dell’amore Padre Aldo è innamorato della Chiesa e proprio per questo la vorrebbe più fedele a Cristo. Anzi, egli afferma con decisione che chi crede nella rivelazione del vero Dio ha l’obbligo di mostrare al mondo il suo messaggio nel quale sta la soluzione dei problemi umani per il fatto autenticamente rivoluzionario «che sostituisce all’etica dell’homo homini lupus l’etica dell’homo homini Deus». Con logica stringente padre Aldo ragiona sul filo del comandamento di Gesù: «Amatevi come io vi ho amato», cioè – precisa il cappuccino – senza profitto. È la «carta costituzionale» della sua «città cristiana» che innerva i tre maggiori filoni del vivere sociale: l’eros, il denaro e il potere. Si tratta di finalizzare il sesso, il denaro e il potere evitando che siano fini a se stessi. Volendo affrontare più dettagliatamente l’eterna «questione sociale» entriamo in «Telergo». Un termine coniato dal nostro autore e che significa: «il lavoro (ergon) realizza il suo fine (telos) quando xi


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genera e controlla il capitale». In breve, il capitale è comunitario, il frutto del lavoro viene suddiviso fra tutti in modo da soddisfare ugualmente i bisogni di ognuno (parabola dei vignaioli) indipendentemente dalle mansioni dei singoli (parabola dei talenti). Questo non significa, sia chiaro, contestare il progresso, significa piuttosto eliminare la povertà senza lotta di classe vivendo l’uguaglianza dei beni. E tutto ciò come espressione di fratellanza. Volendo fare un paragone, sia pure limitato alla organizzazione del lavoro, richiamiamo volentieri l’esperienza argentina illustrata in una recente pubblicazione dal titolo Lavorare senza padroni. Padre Aldo nella logica fedeltà al suo spirito positivamente laico e cristiano, che non vuole imporre la propria visione del mondo e la propria etica a nessuno, si spinge a proporre la «divisione delle etiche» nel senso che ogni etica possa organizzarsi dentro una propria area territoriale onde mostrare la sua validità senza offendere o combattere le altre. Realisticamente, la suddetta proposta politicoistituzionale trova difficilmente spazio in un mondo complesso e conflittuale come l’attuale. Ma – a nostro parere – può diventare una testimonianza fattibile nella veste di un nuovo tipo di monachesimo, di ordine non religioso bensì, per modo di dire, da libero cristiano «in camicia». Un monachesimo, insomma, che si può realizzare in oasi di luci viventi in una società frantumata e nello stesso tempo imprigionata nella trama di una perversa forma di globalizzazione. Una Federazione europea in prospettiva mondiale Il testo di padre Aldo Bergamaschi si distingue dai molti già esistenti sull’Europa, sul suo avvenire e sui compiti che le vengono assegnati, per due temi: –– l’unità dell’Europa come stato federale; –– la necessità di introdurre in questo stato una «lingua comune», da lui indicata con coraggio nell’Esperanto. Il primo punto viene svolto senza quasi toccare l’immensa letteratura federalista che va da Jean Monnet a Spinelli, andando subito a chiamare in causa nientemeno che Immanuel Kant, certamente uno dei pionieri del «federalismo», ma soprattutto per le basi razionali xii


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che stanno alla base della tesi kantiana. «Ne La Religione nei limiti della ragione – nota padre Aldo – ho trovato una noticina, che oserei chiamare «profetica» relativa alla «unità del genere umano». Si badi: per Kant, tale unità non è un’utopia, ma una tendenza o finalismo interno alla stessa natura umana […] che viene ritardata da tre ostacoli e cioè: 1) dalla moltitudine degli Stati; 2) dalla moltitudine delle lingue; 3) dalla moltitudine delle religioni». La moltitudine degli Stati da ostacolo può trasformarsi in opportunità nuova se si regolano con leggi i rapporti internazionali e il problema non può essere risolto che con la formazione di una federazione di Stati, nella quale ciascuno di essi sottostia a una legge che ne regoli la reciproca libertà. Come si vede legge e razionalità stanno alla base della federazione. Ma lo Stato Nazionale sovrano assoluto è criticato da una prospettiva «cristiana», perché con i suoi confini «sacri» – terribile incrostazione storica – «ostacola l’attuazione del primo precetto evangelico “ama il prossimo tuo come te stesso” perché il secondo precetto è simile al primo». Come ultimo riferimento al tema dello Stato Nazionale sovrano [assoluto] Bergamaschi pesca da un altro gigante della cultura italiana e cristiana: Dante Alighieri, con il suo testo De Monarchia. Lo scritto dantesco preso in esame è sempre il De Monarchia. «Dante è un cristiano irritato e in quanto tale tenta una lettura nuova di tutta la storia». Bergamaschi osserva: «Questo fu il motivo per cui dall’alto fu annunziato ai pastori non ricchezze, non piaceri, non onori, non longevità, non salute, non forza, non bellezza, ma pace». Una lingua comune accanto alla lingua madre Vediamo ora l’altro elemento, il secondo tema che si inserisce nel processo dell’unificazione europea: rimuovere l’ostacolo costituito dalla molteplicità delle lingue, fatto, questo, non ancora sufficientemente esaminato e studiato. Molte lingue parlate in un territorio politicamente unificato rappresentano un grave ostacolo alla comunicazione diretta fra i cittadini e rende difficile la reciproca comprensione. Cominciamo con il dire che ogni lingua xiii


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stabilisce una barriera fra popolo e popolo e segna una divisione spiacevole. Bergamaschi dimostra di aver incontrato questo tema fin dagli anni giovanili e di averne compreso tutta la portata antropologica e culturale. Ha letto il libro di Mario Pei e subito ne viene attratto. L’ultimo capitolo di questo libro è intitolato: La lingua internazionale. Una titolazione che fa subito colpo nella mente del giovane cappuccino e le tracce di questo stupore sono numerose nei suoi scritti. Senza parlare del presente libro – già parla da sé – leggiamo in una brochure del 1975 – Le “follie” pedagogiche del Natale (esaurito) –, nelle pagine conclusive, un sorprendente Manifesto dei bambini (favola) il cui esergo afferma: E la Parola divenne unico cibo per tutti gli uomini. Vi si narra dell’insurrezione di tutti bambini della Terra in occasione del Natale: i francesi esclamano: Siate realisti, chiedete l’impossibile, che potrebbe trasformarsi in quest’altra espressione: Siate cristiani, chiedete l’impossibile. Ivan, il bambino russo, si azzarda a richiamare un appello marxiano così modulato: Bambini di tutto il mondo unitevi; tutti decisi a cambiare in meglio il mondo nutrono una ardente speranza: Il mondo salvato dai bambini. Infatti, tutti i bambini gridano: «Abbiamo capito che proprio Gesù Bambino vuole – e per questo è nato – che tutti gli uomini diventino una cosa sola. Egli vuole che la parola (la lingua) diventi una per unire tutti gli uomini, così come Lui, (Parola) si è fatto bambino perché tutti i bambini diventino Dei». È una favola che fa tenerezza, ma è piena di misteriosi e affascinanti appelli della mente e del cuore a una nascita non banale, non insignificante bensì aperta alle bramosie dell’infanzia innocente e incontaminata. In tutt’altra atmosfera, in tutt’altra età il Nostro rivolgerà un’affabile critica a un altro spirito innovatore come padre Aldo, cioè a don Milani, che della parola aveva fatto il tema di fondo della sua scuola per i bambini: «Don Milani è portatore di una grande rivoluzione socio-pedagogica quando sostiene che il povero deve colmare «l’abisso di differenza» passando attraverso la padronanza della lingua per raggiungere la «parità umana» data dal patrimonio comune di cultura generale; ma propone loro lo studio delle lingue straniere come mezzo indispensabile per unirli sul piano mondiale. […] È […] didatticamente impossibile chiedere ai poveri di imparare due o xiv


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più lingue straniere per dialogare fra loro […]; mentre è ragionevole e possibile mettersi d’accordo sulla scelta di una lingua unica per ottenere una comunità mondiale di parlanti in cui i poveri possano finalmente raggiungere la «parità umana» e superare le patrie, le guerre le oppressioni. Don Milani – ci spiace – ha proposto un salto di quantità mentre abbiamo urgente bisogno di un salto di qualità». Ultimo incontro con il tema linguistico è quello con la lingua internazionale di Lazzaro Ludovico Zamenhof (1859-1917), ossia con quella lingua che ormai in tutto il mondo è conosciuta come Esperanto. La cosiddetta cultura ufficiale, o forse sarebbe meglio parlare di cultura «istituzionale», ha sempre snobbato questa «lingua inventata», questa lingua che viene chiamata, con un po’ di ironia compiaciuta, «lingua artificiale», ossia frutto dell’invenzione dell’uomo come tutto ciò che è arte, quasi fosse figlia di un dio minore. A essa viene contrapposto il concetto di «lingua naturale», che, a ben vedere è un’idea senza basi scientifiche. L’uomo non parla una lingua per spontanea inseminazione che procura qui il francese, là il tedesco, altrove il sanscrito, e via dicendo. La lingua è un evento che nasce nell’uomo per trasmissione sociale: il bambino parla la lingua che ascolta nel suo ambiente umano: la lingua A là dove essa viene parlata, la lingua B in altro luogo. La natura provvede solamente le capacità linguistiche, mai una determinata lingua. Un grande intellettuale italiano così si esprime nei confronti dell’esperanto: «Se la tendenza all’unificazione europea va di pari passo con la tendenza alla moltiplicazione delle lingue, l’unica soluzione possibile sta nell’adozione piena di una lingua europea veicolare». Non basta: Umberto Eco, così come lo aveva detto anche Mario Pei, afferma: «Un progetto [di lingua internazionale] può imporsi se un ente internazionale lo accetta e lo promuove. In altri termini, il successo di una lingua ausiliaria potrà essere sancito solo da un atto di buona volontà politica internazionale».

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Il testo è il frutto di una serie di articoli apparsi sulla rivista Frate Francesco dei Cappuccini Emiliani, opportunamente rielaborati per la pubblicazione.


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