Carlo Bini. Una poetica dell’umorismo

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quaderni aldo palazzeschi

Laura Diafani

E 16,00

Carlo Bini. Una poetica dell’umorismo Laura Diafani

Carlo Bini (Livorno, 1806-Carrara, 1842) è tutto questo: un patriota democratico e presto disilluso, un memorialista umoristico e antieroico, un intellettuale civile che sceglie di non scrivere e quando scrive non pubblica. Sono l’affetto e la stima dei contemporanei che ci hanno trasmesso i suoi «piccoli capolavori» (come ebbe a chiamarli Sebastiano Timpanaro). L’estro umoristico, la generosa tensione civile e politica che non si stempera nella scelta dell’umorismo ma anzi si corrobora in essa, le fonti classiche accanto a quelle moderne, l’agonistico rapporto con il padre commerciante, le monologanti lettere d’amore sono i temi del volume, a disegnare un ritratto percorso da un fil rouge: il tentativo di ridere delle non raddrizzabili storture politiche, sociali e esistenziali come scelta letteraria e di vita, non per sopravvivenza, ma per conoscenza e per resistenza.

Carlo Bini. Una poetica dell’umorismo

Laura Diafani, allieva di Gino Tellini all’Università di Firenze, dottore di ricerca in Italianistica (2002), si occupa prevalentemente di Letteratura italiana di primo Ottocento (Leopardi, Manzoni, gli scrittori del «Conciliatore», Carlo Bini, Giuseppe Giusti, Tommaseo) e di primo Novecento (Palazzeschi, Tozzi, Marino Moretti), di epistolografia, narrativa, scritture autobiografiche, dei rapporti tra cinema e letteratura.

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centro di studi ÂŤaldo palazzeschiÂť UniversitĂ degli Studi di Firenze Dipartimento di Lettere e Filosofia

quaderni aldo palazzeschi nuova serie

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La collana ospita ricerche di area italianistica compiute da allievi dell’Università di Firenze, giudicate meritevoli di pubblicazione dal Consiglio Direttivo del Centro di Studi «Aldo Palazzeschi». L’Ateneo fiorentino intende in questo modo onorare la memoria e la patria sollecitudine di Aldo Palazzeschi, che l’ha costituita erede del suo patrimonio ed esecutrice della sua volontà.


Laura Diafani

Carlo Bini. Una poetica dell’umorismo

SocietĂ

Editrice Fiorentina


© 2015 Società Editrice Fiorentina via Aretina, 298 - 50136 Firenze tel. 055 5532924 info@sefeditrice.it www.sefeditrice.it isbn: 978-88-6032-334-7 issn: 1721-8543 Proprietà letteraria riservata Riproduzione, in qualsiasi forma, intera o parziale, vietata In copertina: Ignoto, Ritratto di Carlo Bini (1840 circa), olio su tela, proprietà Camera di Commercio, Livorno (per gentile concessione)


a Eva e Andrea e al loro padre



indice

introduzione 11 1. Un «buono Italiano» 2. Uno scrittore civile

11 16

i. tra orazio e cervantes. un inedito giovanile: il viaggio di don pietro tausch 19 1. Uno scherzo 2. Nota al testo 3. Breve cronistoria dei manoscritti di Bini alla Biblioteca Labronica 4. Testo

19 28 29 35

ii. la storia senza voce nel manoscritto di un prigioniero. per una poetica dell’umorismo

49

1. L’avvertimento del tragico e l’«anestesia momentanea del cuore» 2. Un’altra storia

49 60

iii. i classici nell’officina umoristica di bini

67

1. Sapienza antica e moderna 2. «Per far vedere, che anch’io sono stato in collegio»

67 81

iv. «la mia vocazione era di farmi dottore». le lettere al padre

85

1. Gli autografi 2. Dal carcere (1833) 3. Le lettere commerciali (1836-1841)

85 89 94


appendice: le lettere al padre (1833-1841) riscontrate sugli originali (con quattro inediti e mezzo) Nota al testo Lettere al padre (1833-1841)

100 102

v. un amore di carta. le lettere a adele de witt perfetti (1838) 155 1. Storia di una dispersione 2. ÂŤUn sole dipintoÂť

155 161

appendice: cinque lettere e un frammento riscontrati sugli originali Nota al testo Lettere a Adele (1838)

177 180

Nota bibliografica 193 Tavola delle abbreviazioni 195 Indice dei nomi 197


introduzione

1. un «buono italiano» Rispetto all’icona di angelo prematuramente scomparso del nostro Risorgimento e di intellettuale incompiuto che ne cesellarono immediatamente dopo la sua morte Giuseppe Mazzini e Francesco Domenico Guerrazzi, negli studi novecenteschi Carlo Bini (18061842) ha assunto l’immagine – più fondata e più congruente alla sua pur breve parabola artistica – di autore non allineato, di dissidente, di voce critica interna al nostro movimento romantico-risorgimentale e, anche per questo, estremamente moderna1. L’originalità e la 1

Cfr. soprattutto Nicola Badaloni, Democratici e socialisti livornesi nell’Ottocento, Roma, Editori riuniti, 1966, pp. 9-256; Sebastiano Timpanaro, Alcuni chiarimenti su Carlo Bini, in Antileopardiani e neomoderati nella sinistra italiana, Pisa, Ets, 1982, pp. 199-285; Gino Tellini, Carlo Bini, scrittore postumo e clandestino e Notizia sul «Manoscritto di un prigioniero», in Manoscritto 1994, pp. 183-212 e 213-219, poi in L’arte della prosa. Alfieri, Leopardi, Tommaseo e altri, Firenze, La nuova Italia, 1995, pp. 117-138 e 139-144; Fabio Bertini, Risorgimento e Paese reale. Riforme e rivoluzione a Livorno e in Toscana (1830-1849), Firenze, Le Monnier, 2003; Id., Carlo Bini e il progetto educativo dei democratici, nel volume collettivo Carlo Bini. Un livornese europeo, con un saggio sul mito popolare garibaldino, Atti del Convegno nazionale, Livorno, 3 novembre 2006, a cura di Pier Ferdinando Giorgetti, Pisa, Ets, 2008; Carlo A. Madrignani, Un libro di speranza e di progetto, in Carlo Bini, Manoscritto di un prigioniero, a cura di Carlo A. Madrignani, Macerata, Quodlibet, 2008, pp. ix-xviii. Cfr. anche Toni Iermano, Frammenti di Risorgimento: Carlo Bini-Francesco Domenico Guerrazzi. L’antirisorgimento-La cultura moderata, Napoli, Liguori, 1981; Tommaso Scappaticci, Ideologia e arte in Carlo Bini, Cassino, Garigliano, 1985; Barbara Silvia Anglani, Sul «Manoscritto» di Carlo Bini, in «Studi italiani», viii, 1, gennaio-marzo 1996, pp. 19-33. Per una «riflessione sulla fortuna storiografica» di questo «scrittore militante dalle alterne sorti» e sulla mancanza ancora oggi di una biografia di Bini «attenta più alla sua verità che alle ragioni di un presente politico o al bisogno di inquadramento in categorie storiche o letterarie», cfr. Fabio Bertini, Carlo Bini e l’unità di arte e vita. Note nel bicentenario della na-


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lungimiranza della sua posizione, non riducibile alla militanza mazziniana, si accompagnano al ruolo fattivo ch’egli svolse nelle vicende politiche livornesi degli anni Venti e Trenta dell’Ottocento, collaborando generosamente alla creazione di una frangia cospirativa e rivoluzionaria, pur con tutte le riserve e il carico di perplessità e di dissenso ideologico rispetto allo stesso mazzinianesimo che il giovane figlio della classe commerciante livornese si portava dietro. Carlo Bini è un «cospiratore che negò di aver cospirato» (come titolava anni fa Sebastiano Timpanaro)2, dopo aver raggiunto soffertamente una posizione di scetticismo circa la rivoluzione liberale: divenuto, con la pratica quotidiana, pessimista verso la natura umana e l’assuefazione al male nelle masse della povera gente, fatica a credere che i moti rivoluzionari possano cancellare, se non temporaneamente, la servitù politica del popolo italiano, né tanto meno possano mitigare l’ingiustizia sociale e le condizioni dei ceti più indigenti. Ma a questo ponderato e dolorante scetticismo Bini è giunto non senza essersi impegnato direttamente in quei moti, sull’onda di un vissuto sociale popolare e di una educazione letteraria che aveva eletto a fondamentali punti di riferimento, tra gli antichi, le voci repubblicane della letteratura romana (Livio in primis), e tra i moderni, i fari della lotta romantica per la libertà e la patria, da Foscolo a Byron. Se oggi la ragione dell’interesse per l’opera di Bini sta proprio nel suo dissenso acerbo, investigativo e realistico, e nelle modalità letterarie sperimentali in cui esso si è tradotto, per tutto l’Ottocento (e si può dire fino alla metà del Novecento, con la sola sintomatica eccezione di Luigi Pirandello e di Federigo Tozzi)3, al contrario la vicenda editoriale di Bini, quasi tutta postuma, si è retta proprio sul suo giovanile patriottismo e attivismo politico. A sei anni esatti dalla morte, il 12 novembre 1848, Livorno dedi-

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scita per una biografia e un romanzo da fare, in «Rassegna storica toscana», lii, 2, luglio-dicembre 2006, pp. 129-164. Cfr. Sebastiano Timpanaro, Due cospiratori che negarono di aver cospirato (forse Giordani, certamente Bini), in Nuovi studi sul nostro Ottocento, Pisa, Nistri-Lischi, 1995, pp. 103-125 (su Bini, pp. 116-125). Cfr. Luigi Pirandello, L’umorismo, in L’umorismo e altri saggi, a cura di Enrico Ghidetti, Firenze, Giunti, 1994, p. 109 e Federigo Tozzi, Un dimenticato: Carlo Bini (1918), in Realtà di ieri e di oggi, ristampa anastatica dell’edizione originale [pref. di Giuseppe Fanciulli, Milano, Alpes, 1928], Amadeus, Treviso, 1989, pp. 193202.


introduzione   13

ca a Bini solenni onoranze funebri per la traslazione della salma nel cimitero monumentale di Salviano. La cerimonia risente del clima [neoguelfo] del primo periodo del pontificato di Pio ix; la sua celebrazione nella chiesa dei domenicani è una ulteriore testimonianza della permeabilità degli ambienti ecclesiastici rispetto al più complessivo ambiente cittadino, come testimoniato anche dalle memorie di Guerrazzi con riferimento alla sua esperienza di allievo delle scuole dei barnabiti4.

Questa la commemorazione vista con gli occhi di un testimone significativo, un giovane Giovanni Fattori, allora appena ventiduenne: Ti parlai di un celebre, chiamato Carlo Bini del quale conosceste qualche sua opera, del quale sentiste in tempi di sonno e di timori quanto fosse buono Italiano – e quanto sofferse – e dopo morì languidamente di lento morbo per vedere, nei tempi in cui viveva, schernite quelle celesti massime che natura e Dio gli avevano impresse in cuore. Oggi si è conosciuto in tutta la sua grandezza. Ebbene il popolo livornese li volle fare quegli onori che la sua grand’Anima si meritava. Fu fatto un funerale in memoria delle sue ceneri in una delle principali chiese della città [Chiesa dei Padri Domenicani], dove vi fu una gran funzione, vi intervenne la civica in montura, la banda, e tutti i buoni cittadini assisterono alla funzione. Io non fui degli ultimi. Alla fine della funzione fu fatto a suo onore un discorso ove si aggirava ai tempi nostri – che noi popolo ascoltammo e tenemmo scolpito in cuore. Nota – ad uno dei candelabri vi era un nastro tricolore. Fu scritto un Inno in suo onore che io ho bellissimo [di Antonio Mangini]. Dopo segretamente senza fare pubblicità altro che una società di passa 70 – dove erano i capi certi avvocati Frangi e Gera [Riccardo Frangi e Vincenzo Giera, entrambi attivi nelle vicende politiche livornesi del 1848-1849], uomini distinti – si portarono al suo sepolcro situato 3 miglia distante dalla città ad una chiesina chiamata S. Jacopo poco distante dal mare. Colà portarono una bandiera tricolore col motto in campo bianco La Patria risorgente a Carlo Bini. 4

Angelo Gaudio, La memoria di Carlo Bini. Morte e trasfigurazioni di un eroe romantico, nel volume collettivo Carlo Bini. Un livornese europeo, con un saggio sul mito popolare garibaldino, cit., p. 143.


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Questa bandiera a capo della Brigata la portava il Frangi. Si arrivò al campo dei defunti, entrammo nella cappellina dove venne il prete. Recitata una orazione, benedì la bandiera e noi. Dopo ci incamminammo al sepolcro ornato di ghirlande e in terra pure – sul sepolcro una corona d’alloro e quattro candelabri. La bandiera fu disposta a lato di esso dove non sortirà più (per fortuna copre il sepolcro, un piccolo loggiato). Silenziosi e muti, assorti nella meditazione santa di sì religiosa impresa, ci unimmo ad ascoltare il Frangi, dove arringò in onore di quell’anima, brevi e sante parole, che commossero, ed io vidi una lacrima su quei popolani coi loro volti abbronzati dal sole e induriti dalla fatiche… Una Compagnia col nome di C. Bini sarà costituita in quella parrocchia portante quello stesso vessillo… Gioirà l’anima di quel celeste e darà una benedizione a noi suoi fratelli che non lo dimenticheremo mai!... la pagina della storia certo noterà quel giorno e il di lui nome5.

Anche l’inno scritto per l’occasione da Antonio Mangini, avvocato livornese amico e poi sostituto di Francesco Domenico Guerrazzi nel suo studio legale, testimonia la ricezione di Bini presso i contemporanei in chiave asciuttamente patriottica e suggerisce quale ascendente l’autore del Manoscritto di un prigioniero abbia esercitato sul movimento democratico toscano intorno al 1848, quando fresca era la memoria della sua azione cospirativa e del suo impegno di divulgatore delle idee mazziniane tra i popolani della sua città. Bini vi è eletto a padre spirituale dei moti livornesi del 1848, morto troppo presto per poter partecipare alla rivoluzione in corpore: il componimento celebrativo la dice lunga sul ruolo di arringatore che Bini deve aver impersonato da vivo, capace di parlare come nessun altro al «rozzo popolo» labronico tra i caffè e le bettole del porto. Che poi la posizione di Bini fosse più complessa, non riconducibile alle istanze patriottiche dei democratici, ma disincantata circa le capacità di riscossa politica del popolo italiano e complicata da una sensibilità sociale ignota agli altri suoi compagni di strada, questo è un discorso che non toccava allora i 5

Giovanni Fattori a Carlo Giordanengo, [Livorno, 17 novembre 1847], in Lettere dei macchiaioli, a cura di Lamberto Vitali, Torino, Einaudi, 1953, poi in La giovinezza di Fattori, Catalogo della Mostra al Cisternino del Poccianti, Livorno, ottobre-dicembre 1980, a cura di Vera e Dario Durbè, Roma, De Luca, 1980, pp. 160-162.


introduzione   15

patrioti. Eppure, che ci fosse qualcos’altro, un’altra prospettiva, non conciliabile con la prima, ma coesistente a essa e non componibile, era avvertito già nel 1848. Un’incrinatura all’immagine di Bini profeta della bandiera italiana rimane nelle quartine finali dell’inno: Tu che vedesti il vizio Potente, e Italia oppressa, Più che da giogo estraneo, Da sprezzo di sé stessa, Tu disperavi, sciogliere A un amaro sorriso Ti vidi il labro, e tingerti Pallor di morte il viso; E i vanti e le magnifiche Frasi spregiare, e muto Starti in atto mestissimo Di chi tutto ha perduto. E dir t’intesi: i popoli Usi a servile catena, Nella licenza cadono Disciolti i ceppi appena: Oh! del tuo senno sperdere Consenta Iddio gli auguri, E sieno ai dì che furono Emenda i dì venturi6.

È un’incrinatura portata da un testimone oculare, non da un tardivo lettore postumo sempre in sospetto di proiettare sullo scrittore scomparso la propria diversa sensibilità (come accadrà in Federigo Tozzi) e di fargli dire quel che non voleva. Un’incrinatura che lascia infiltrare nell’immagine patriottica di Bini cesellata nei versi che precedono l’approdo a una disperante speranza: l’avvertimento doloroso dell’inerzia del basso popolo, lo scetticismo circa le potenzialità di 6

Si cita da una copia dell’opuscolo a stampa che si conserva oggi presso la Biblioteca Comunale Labronica «Francesco Domenico Guerrazzi», nel Fondo Mangini, filza 2a, fasc. 1847 secondo l’ordinamento del Repertorio alfabetico a materia delle cose più importanti contenute nelle Filze esistenti nello Studio dell’Avv.to Mangini col titolo: Cose Livornesi, stilato dallo stesso Antonio Mangini e arricchito successivamente dal figlio Adolfo (l’opuscolo è riprodotto in La giovinezza di Fattori, cit., pp. 164166).


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una vera riscossa. Un’incrinatura che fa di Bini, piuttosto, una temibile Cassandra da scongiurare, il profeta doloroso di un Risorgimento problematico, guidato dall’alto e sempre incompleto, che non scrolla dalle fondamenta i meccanismi profondi dell’assuefazione alla servitù e all’ingiustizia sociale. Che è l’argomento che più premeva alla coscienza dello scrittore. 2. uno scrittore civile Quando muore nel 1842, a appena trentasei anni, Bini è l’intellettuale democratico che ha collaborato fruttuosamente all’edizione livornese dell’«Indicatore», il proselita mazziniano tra i lavoratori analfabeti del porto della sua città, il traduttore di Byron e di Sterne e di qualche altro autore contemporaneo inglese e tedesco. Alla vigilia del 1848, nella memoria collettiva il suo ricordo si è sedimentato come quello di un patriota attivo nei moti toscani dei primi anni Trenta e di uno scrittore civile, grazie alla pubblicazione postuma degli Scritti; e, qualche decennio dopo, la salma sarà traslata dal cimitero monumentale di Salviano al Santuario di Montenero, il pantheon delle glorie livornesi, accanto a Guerrazzi: una morte e tre funerali, in un climax di onoranze che restituisce all’esterno il divenire di Bini progressivamente «bello di fama e di sventura». Ai primi del Novecento, nelle pagine dell’Umorismo di Pirandello e dell’articolo Carlo Bini: un dimenticato di Tozzi, Bini torna a essere soprattutto un letterato, un esempio di umorista italiano e uno scrittore sperimentale, che forse ha avuto dalla critica meno di quel che merita. Al di fuori delle alterne vicende delle sorti umane, nell’insieme, in un ritratto pluriprospettico, Bini è tutto questo: un patriota democratico e presto disilluso, un memorialista umoristico e antieroico, un intellettuale civile che sceglie di non scrivere e quando scrive non pubblica. Sono l’affetto e la stima dei contemporanei che ci hanno trasmesso i suoi «piccoli capolavori» (come ebbe a chiamarli Sebastiano Timpanaro). L’estro umoristico, la generosa tensione civile e politica che non si stempera nella scelta dell’umorismo ma anzi si corrobora in essa, le fonti classiche accanto a quelle moderne, l’agonistico rapporto


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con il padre commerciante, le monologanti lettere d’amore sono i temi dei capitoli che seguono, a disegnare un ritratto percorso da un fil rouge: il tentativo di ridere delle non raddrizzabili storture politiche, sociali e esistenziali come scelta letteraria e di vita, non per sopravvivenza, ma per conoscenza e per resistenza.


quaderni aldo palazzeschi

1. Roberto Leporatti, Per dar luogo a la notte. Sull’elaborazione del «Giorno» del Parini, 1990. 2. Guido Gozzano, Albo dell’officina, a cura di Nicoletta Fabio e Patrizia Menichi, 1991. 3. Laura Melosi, Anima e scrittura. Prospet­ tive culturali per Federigo Tozzi, 1991. 4. Cinzia Giorgetti, Ritratto di Isabella. Studi e documenti su Isabella Teotochi Albrizzi, 1992. 5. Simone Casini, Carlo Emilio Gadda e i re di Francia. Retroscena di un testo radiofonico, 1993. 6. Irene Gambacorti, Verga a Firenze. Nel laboratorio della «Storia di una capi­ nera», 1994. 7. Riccardo Tesi, Dal greco all’italiano. Studi sugli europeismi lessicali d’origine greca dal Rinascimento ad oggi, 1994. 8. Nicoletta Fabio, L’«entusiasmo della ragione». Studio sulle «Operette morali», 1995. 9. Francesca Serra, Calvino e il pulviscolo di Palomar, 1996. 10. Elena Parrini, La narrazione della storia nei «Promessi Sposi», 1996. 11. Edi Liccioli, La scena della parola. Teatro e poesia in Pier Paolo Pasolini, 1997. 12. Simone Giusti, Sulla formazione dei «Trucioli» di Camillo Sbarbaro, 1997. 13. Benedetta Montagni, Angelo consolatore e ammazzapazienti. La figura del medico nella letteratura italiana dell’Ottocento, 1999. 14. Il rabdomante consapevole. Ricerche su Tozzi, a cura di Marco Marchi, 2000.

15. Laura Diafani, La «stanza silenziosa». Studio sull’epistolario di Leopardi, 2000. 16. Alessio Martini, Storia di un libro. «Sco­ perte e massacri» di Ardengo Soffici, 2000. 17. Fornaretto Vieri, Intorno alle «Fiale». Incunaboli del protonovecento govoniano, 2001. 18. Costanza Geddes da Filicaia, La biblio­ teca di Federigo Tozzi, 2001. nuova serie 1. Stefano Cipriani, Il “libro” della prosa di Vittorio Sereni, 2002. 2. Riccardo Donati, L’invito e il divieto. Piero Bigongiari e l’ermeneutica d’arte, 2002. 3. Irene Gambacorti, Storie di cinema e let­ teratura. Verga, Gozzano, D’Annunzio, 2003. 4. Pietro Bembo, Stanze, edizione critica a cura di Alessandro Gnocchi, 2003. 5. Paolo Maccari, Spalle al muro. La poesia di Bartolo Cattafi, con un’appendice di testi inediti, 2003. 6. Francesca Mecatti, La cognizione del­l’u­ mano. Saggio sui «Pensieri» di Giacomo Leopardi, 2003. 7. Lucia Denarosi, L’Accademia degli Inno­ minati di Parma: teorie letterarie e pro­ getti di scrittura (1574-1608), 2003. 8. Nicola Turi, L’identità negata. Il secondo Calvino e l’utopia del tempo fermo, 2003. 9. Nada Fantoni, «La Voce della Ragione» di Monaldo Leopardi (1832-1835), 2004. 10. Antonella Ortolani, La parola disarmo­


nica. Lorenzo Viani tra realismo grottesco e deformazione espressionista, 2004. 11. Silvia Chessa, Il profumo del sacro nel «Canzoniere» di Petrarca, 2005. 12. Monica Farnetti, Il manoscritto ritro­vato. Storia letteraria di una finzione, 2006. 13. Francesca Mecatti, Aforisti italiani del Settecento. Pensieri al crocevia della modernità, 2006. 14. Chiara Biagioli, L’«opera d’inchiostro». Storia editoriale della narrativa di Guer­ razzi (1827-1899), 2006. 15. Rodolfo Sacchettini, L’oscuro rovescio. Previsione e pre-visione della morte nella narrativa di Tommaso Landolfi, 2006. 16. Emilia Toscanelli Peruzzi, Diario (16 mag­­gio 1854 - 1 novembre 1858), a cura di Elisabetta Benucci, 2007. 17. Benedetto Croce - Guido Mazzoni, Car­ teggio 1893-1942, a cura di Michele Monserrati, 2007. 18. Nicola Turi, Testo delle mie brame. Il metaromanzo italiano del secondo Nove­ cento (1957-1979), 2007. 19. Fabio Bertini, «Havere a la giustitia sodi­ sfatto». Tragedie giudiziarie di Giovan Bat­ tista Giraldi Cinzio nel ventennio ­­ con­ci­liare, 2008. 20. Luca Degl’Innocenti, I «Reali» dell’Al­ tissimo. Un ciclo di cantari fra oralità e scrittura, 2008. 21. Marica Romolini, La «memoria velata» di Alfonso Gatto. Temi e strutture in «Morto ai paesi», 2009. 22. Alessio Decaria, Luigi Pulci e Francesco di Matteo Castellani. Novità e testi inediti da uno zibaldone magliabechiano, 2009. 23. Alessandro Camiciottoli, L’Antico ro­man­

tico. Leopardi e il «sistema del bello» (18161832), 2010. 24. Fabio Bertini, «Hor con la legge in man giu­dicheranno». Moventi giuridici nella drammaturgia tragica del Cinquecento ita­liano, 2010. 25. Mimmo Cangiano, L’Uno e il molteplice nel giovane Palazzeschi (1905-1915), 2011. 26. Tommaso Tarani, Il velo e la morte. Sag­ gio su Leopardi, 2011. 27. Leonardo Manigrasso, «Una lingua viva oltre la morte». La poesia “inattuale” di Alessandro Parronchi, 2011. 28. Federico Fastelli, Dall’avanguardia al­l’e­ re­sia. L’opera poetica di Elio Pagliarani, 2011. 29. Carlo Betocchi - Giuseppe Ungaretti, Lettere 1946-1970, a cura di Eleonora Lima, 2012. 30. Iacopo Soldani, Satire, a cura di Silvia Dardi, introduzione di Danilo Romei, 2012. 31. Luigi Pulci, Sonetti extravaganti, edizione critica a cura di Alessio Decaria, 2013. 32. Oleksandra Rekut-Liberatore, Finzione e alterità dell’io: presenze nella scrittura femminile tra XX e XXI secolo, 2013. 33. Benvenuto Cellini, Rime, edizione critica e commento a cura di Diletta Gamberini, 2014. 34. Lorenzo Peri, Là dove non esiste paura. Percorsi e forme del “pensare in musica” nella poesia di Giorgio Caproni, 2014. 35. Aulo Persio Flacco, Satire, traduzione di Vincenzo Monti, edizione critica a cura di Joël F. Vaucher-de-la-Croix, 2015. 36. Laura Diafani, Carlo Bini. Una poetica dell’umorismo, 2015.


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