kevlar

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UNGARETTIANA

antoniobux

SocietĂ

Editrice Fiorentina

kevlar



ungarettiana 9

collana di poesia, traduzioni e saggi diretta da Paolo Valesio e Alessandro Polcri

«Ungarettiana» si interessa a un’esperienza di poesia che sappia fare convivere un forte senso della situazione italiana con una significativa apertura internazionale. Nel repertorio della collana rientrano libri monolingui in italiano, libri bifronti (tradotti in italiano) e saggi. Siamo convinti che la poesia sia in prima istanza ricerca di linguaggio e linguaggio della ricerca. Ma quello che noi in ultima analisi cerchiamo non è, come spesso accade di trovare nella lirica contemporanea, un eccesso di esistenza al ribasso, spesso ridotta a catalogo di fatti insignificanti narrati con una lingua scolorita; è, semmai, una nuova e accresciuta quantità di vita e di pensiero. Lo stile sarà la forma di quella quantità e sarà a volte semplice, a volte – perché no? – complesso e seletto. Ma saranno i poeti che sceglieremo a condurci là dove ancora non sappiamo di voler andare.



Antonio Bux

Kevlar prefazione di

Vicenç Llorca i Berrocal postfazione di

Martín López-Vega

Società

Editrice Fiorentina


La presente raccolta di poesie ha vinto il Terzo Premio internazionale di poesia “Piero Alinari” 2014, organizzato dalla Fondazione Vittorio e Piero Alinari (www.fondazionealinari.it) che ha sostenuto con un contributo la pubblicazione

© 2016 Società Editrice Fiorentina via Aretina, 298 - 50136 Firenze tel. 055 5532924 info@sefeditrice.it www.sefeditrice.it isbn 978-88-6032-384-2 Proprietà letteraria riservata Riproduzione, in qualsiasi forma, intera o parziale, vietata In copertina Andrea Gruccia, Inferno leggero (per gentile concessione)


Cura ’e paure cu mille culure poco te resta se niente sai fa […] ’O scuro nun me firo ’e sta passanno vienem ’a piglià […] (Francesco Di Bella, Kevlar, da K Album dei 24 grana)



nota dell’autore

Ho intitolato questo libro Kevlar, una parola conosciuta quasi una quindicina di anni fa grazie a un omonimo brano musicale di un gruppo rock alternativo originario di Napoli – che ho amato molto – i 24 Grana. Il kevlar è una fibra sintetica con la quale si rinforzano, tra le altre cose, i giubbotti antiproiettile, data la grande resistenza meccanica alla trazione, oltre che al calore e alla fiamma di questa fibra, cinque volte più resistente dell’acciaio. Come si intuisce, qui il kevlar diviene una metafora dell’esperienza. Invece, per quanto riguarda la parte interna, il libro si divide in due sezioni. La prima, Capitanata e altre poesie, raggruppa una serie di poesie scritte in vari periodi differenti, dove ho annotato riflessioni, spesso metafisiche, partendo il più delle volte proprio dai luoghi della mia infanzia, per poi passare a setaccio le mie impressioni verso altre zone conosciute nel corso degli anni. Proseguendo poi, appunto, con le poesie de L’oppio di Barna, dove faccio riferimento alle reminiscenze sognanti del mio personale e prolungato soggiorno a Barcellona (Barna è il diminutivo di Barcellona in catalano) in un continuo dialogo con i morti e con il “non me stesso migliore di me”, creando questo ipotetico ponte tra le mie radici (riaffioreranno di nuovo verso la fine) e i miei risvolti, sia di scrittura che di vita, più recenti. Per concludere, aggiungo una postilla sull’aspetto dei testi: spesso le mie poesie prendono una forma “bina-

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riaâ€?, di “poesia nella poesiaâ€?, alternando versi in corsivo su margine destro ad altrettanti in tondo su margine sinistro, come a formare un vortice poetico, un rimpallo cercando, piĂš che un rifugio in stile horror vacui, una sorta di sfinimento letterario, un continuo corpo a corpo tra testo e respiro, tra significante e significato. Al lettore chiedo anticipatamente venia per questa mia vana lotta.

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prefazione

di radici e di viaggi

Vi è, in tutta la buona poesia, un intreccio di radici e di lontananza, di presente e di assenza, di passato perduto e di futuro ancora vuoto che rendono la poesia stessa una rara potenza. La poesia di Antonio Bux si immerge in questo paradosso offrendo al lettore una creatività generosa di immagini, temi, sensazioni, dialoghi… Una fortunata alchimia che si innerva attraverso un gioco binario, e che intensifica la conoscenza del reale tramite l’intuizione artistica. Perché ciò che vibra in Kevlar è la radice e il viaggio. La radice si incontra nella prima parte, Capitanata e altre poesie, e fa riferimento alla terra natale del poeta: Foggia. Il viaggio si evidenzia invece nella seconda parte, L’oppio di Barna, dove il poeta traspone in letteratura il proprio soggiorno a Barcellona, avvenuto tra il 2007 e il 2013. Il risultato è brillante: dalla coscienza dell’origine e dell’identità rurale figlia del “tacco dello stivale” italiano, alla realtà cosmopolita di una città come Barcellona, il poeta porta al mondo il messaggio di tutto il sud dell’Europa. E in quest’ottica, il sistema binario di Bux non è mai statico, bensì dinamico: va e viene, afferrando il flusso della realtà e fondendosi col flusso della parola poetica. Ed è qui il passaggio interessante. Perché non si tratta di paesaggi aneddotici, bensì di uno spazio che si reinventa nel fluire dei versi e che si converte in un supporto rifles-

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sivo metafisico e di puro lirismo. Una poesia come Vico del Gargano lo dimostra. Nonostante il titolo conservi la risonanza di una terra citata già da classici come Virgilio, Bux penetra nell’essenza di uno sparo per imbastire una metafora della condizione umana che suonerà ben forte all’orecchio del lettore: Uno sparo ha cambiato la corrente. Non è stato il bosco ma il silenzio scordato dei passi […] Ora è severo divieto sparare. A meno che da un rumore invisibile nasca un nuovo cecchino. Forse l’uomo, sbagliando bersaglio.

Una forza che diventa collettiva nella poesia Questo paese dove il poeta gioca con la similitudine dell’acqua e del pesce per parlare della vita e della morte: Questo paese di cui vivo non vive di me […] Ma in questo paese il pesce si vende, ed è salato, è come la morte. In questo paese a morire è la gente, che senza paese non sa più esser pesce.

Accanto all’asse spaziale, ci si imbatte poi anche in un altro nucleo di tensione poetica: il passaggio tra realtà e sogno. La letteratura da sempre parla di illuminazioni, come diceva Rimbaud, o di epifanie, come verificò più tardi Joyce. Bux situa questo momento di privilegio espressivo nell’allucinazione. Non si tratta, però, di una

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fuga dal reale, bensì di una immersione nel reale stesso nel tentativo di riconquistare territori di primitiva lucidità. Da questi tentativi, ad esempio, vengono poesie, più surreali, come Primi funghi. Qui il poeta provoca la morte della realtà mediante la televisione, mentre l’io poetico invita il lettore ad attraversare il televisore fino a diventare presentatore. Il risultato: […] e ho iniziato a vedere con occhi morti i pesci boccheggianti applaudire […] meno male sono riuscito a schiacciare il tasto spegni del telecomando sono tornato naufrago tra le onde del mio divano pesce umano per sempre.

Ci sarebbe, tuttavia, un terzo elemento chiave per comprendere meglio la poesia di Bux. Si tratta dell’apertura della poesia come spazio di dialogo tra i vivi e i morti. Questa peculiarità si estende fino a personaggi storici, poeti, musicisti… In un certo senso, si tratta di una specie di fantasmagoria che travalica i limiti tra la vita e la morte. Lo si può ben vedere in una poesia vibrante quale Cimitero nero, dove si invita il lettore a visitare la tomba del fumettista Andrea Pazienza, sepolto a San Severo: […] Allora questi mille sono uno, ed io con loro, mi vedo a morire e sono solo, Andrea, e stanco, vivo per solitudine.

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Ma si può evidenziare ancora un altro segno significativo posto in seno alla composizione poetica buxiana. Si tratta della presenza di postille all’inizio di molte poesie. Questa specie di dialogo crea un gioco di specchi dal punto di vista lirico offrendo così una prospettiva duale dei versi. Nella sua introduzione, il poeta lo definisce benissimo, parlando di costruzione d’un vortice poetico, e in effetti la sua poesia si potrebbe definire come un vero e proprio flusso di immagini che si muovono dentro a una spirale. Tutti questi elementi dotano di un proprio stile la poesia di Antonio Bux. E ciò permette di arrivare alla seconda parte tematica, quella del viaggio, attraverso la costruzione di una visione poetica di Barcellona. Il titolo, L’oppio di Barna, ricorda l’acronimo colloquiale con il quale si riconosce la città: Barna per l’appunto. A partire da questo, appaiono di seguito, con lo scorrere delle poesie, alcuni dei luoghi emblematici della stessa. Ma non si tratta mai di una cartolina paesaggistica, bensì, come nel caso di Foggia, lo spazio diventa base sulla quale alternare diversi significati. Come già avvertito precedentemente, l’illuminazione simbolista cede il passo all’allucinazione onirica, facendo sì che Barcellona si converta in letteratura direttamente dal sogno e le sue immagini risultino sfocate, proprio il contrario di ciò che accade in una visita turistica. È come se il poeta, dopo aver parlato delle proprie radici nel sud Italia, approfittasse ora della propria condizione di sradicato, che dalla grande città catalana prova a esprimere poeticamente, attraverso il folto intreccio urbano, la ricchezza delle immagini che configurano il mondo, e soprattutto lo stato di coscienza nel quale l’io si confronta con la condizione umana per riflettere su temi quali il dolore e la solitudine.

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Ed è in questo tentativo che avviene l’incontro con i fantasmi di alcuni poeti, sia vivi che morti. Bux fa rimbalzare così le frontiere tra la coscienza e l’inconscio, tra la vita e la morte. Tra questi confronti, risalta quello con un classico medievale della letteratura catalana come Ausiàs March, al quale Bux dedica la poesia Plaça d’Espanya: È calma la voce della natura. Un fantasma giallo, amichevole, forse Ausiàs March, mi disse che ha polmone d’oscuro, fibra contenente l’uomo.

Ma Bux, traduttore di Leopoldo María Panero, dedica anche al poeta madrileno una poesia, incentrata nell’emblematico quartiere barcellonese di “Gràcia”. Partendo dalla metafora del cervo ferito, l’io poetico transita per le strade di Gràcia dove appare ancora Ausiàs March ma, soprattutto, verso Calle Verdi, lo zombi di Panero. O forse no: Il cervo ferito non desidera la chiara fonte. Ancora March travestito da passante. […] Incontro per caso, in Carrer Verdi, lo zombi di Leopoldo María. Piscia in un angolo. Gli chiedo: sei tu, Panero?. E lui: Sono solo l’ombra del cervo. Continuo.

Ora, come prima invece il pesce in Vico del Gargano, è il cervo a rappresentare la cristallizzazione del senso

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poetico. Questo cervo ferito, che è in fondo il poeta stesso: La strada è una piscina. Uno scortichio d’anime. Mi fermo, orino in piazza. Ho le braccia sudate. Lo sguardo di peli. Sono l’ultimo cervo.

Le poesie, dunque, si situano nei luoghi più significativi di Barcellona, come il “Parc Güell”, “La pedrera” (dove appare Gabriel Ferrater), la “Sagrada Familia” (con Gaudí) o la “Casa Batlló” (qui vi è Pere Gimferrer), ma anche in quartieri più popolari (come il Raval e il già citato Gràcia) o in altri spazi alternativi. È il caso della “Plaza del tripi (Plaça de George Orwell)” dove il poeta realizza una brillante riflessione sulla mente e sul pensiero umano spaziando tra incroci di gente, locali… finendo con l’affermare che alla fine tutti moriamo di tempo: Siamo noi, o i nostri pensieri? Il pensiero si forma prima. Al buio ora sfiammano i bar, tra neon spuntano angeli incredibili mentre moriamo di tempo.

E ci si imbatte anche in luoghi emblematici come il Montserrat o in città come Figueres dove il poeta dialoga con Salvador Dalí. Ed è così che questi due mondi sono il poeta stesso, è così che Foggia e la Catalogna si fondono in una sintesi prodigiosa. Ed è così che, per esempio, nella poesia Torre Agbar le sensazioni portano Bux a evocare il suono della chitarra di Matteo Salvato-

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re, cantore popolare del Gargano. Solo quando questo scompare, s’impone allora la consistente visione della torre, qui etichettata come «faraglione finto». Si tratta di un riferimento significativo, giacché ritorna il “faraglione” di Vieste, proprio della provincia di Foggia. Come l’aggettivo «fuggen», che viene utilizzato nella poesia, si riferisce al dialetto e all’appartenenza alla città pugliese: Ma a te, fuggen, riesce l’azzurro? Poi è sparito. Rimasi da solo nel fango. A guardare ancora la torre. Un faraglione finto.

E così, dalla Catalogna al Gargano, questa relazione si intensifica sempre di più, attraverso personaggi storici (Annibale), resti archeologici (Herdonia, i Grifoni di Ascoli Satriano…) ecc., che riflettono nel mito l’assenza di un’origine, come a rappresentare lo scheletro di un dinosauro. Il poeta sembra affermare questo, nella poesia El Prat (fuga a vita): Dalla Catalogna al Gargano, io come Annibale. […] La tomba di Medusa dimenticata alle porte di Foggia. Ma Herdonia, la Pompei di Puglia, lasciata all’incuria della cicuta. […] Ma resistono i popoli, miti. Resistono al loro mito, ricreano la storia a metà. Muoiono

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ma esistono i miti, persone come ossa di dinosauri, custodiscono il Tavoliere.

Di sicuro questa relazione tra El Prat (un paese dell’interland barcellonese dove è ubicato l’aeroporto cittadino) e il Tavoliere (altra denominazione della provincia di Foggia) è una delle più audaci che si siano mai scritte tra due territori. Come nel verso dove si chiarifica l’attività del poeta: I poeti bevono il veleno dei morti. Anche se, in verità, e mi scusi Bux per l’azzardo, da quel veleno sorgerà sempre nuova vita, tramite la bellezza. Infine il titolo del libro, riferimento a una fibra sintetica, il kevlar, che è utilizzata, tra le altre cose, per produrre i giubbotti antiproiettile. In un certo senso, Bux utilizza questa parola come metafora per concepire la propria visione poetica, giacché questo luogo di radici e di viaggi, qui proposto, costituisce una sorta di protezione, per il poeta, contro la coscienza del naufragio vitale e della sparizione. Ed è così che Antonio Bux riesce, in questo suo Kevlar, a parlare con grande talento della resistenza poetica alle contraddizioni del mondo, grazie all’intenso dialogo lirico tra due territori così pieni di vita, di cultura e di miti: la Puglia e la Catalogna. Vicenç Llorca i Berrocal

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prima parte

capitanata e altre poesie



Ricordo centrale (Marina di Lesina)

Nella tua ombra passa la mano il bambino. Passa la mano come un adulto finito. Ma la tua ombra vive il miracolo, se sei tu bambino a rompere il giorno come ogni volta se torni a scalare la tua infanzia o se è vecchio perdono un crescere cieco distrugge noi vivi. Presso un lido qualunque lÏ sulla spiaggia distrutta Marina di Lesina pareva una nube. I tuoi occhi erano la spiaggia. Nella spiaggia vi erano persone distanti e bambini giocavano sul molo aspettando il ritorno in superficie della biscia. La biscia erano i tuoi capelli. CosÏ i tuoi capelli nel lago di Lesina, sulla spiaggia arsa di bimbi e di magie nei voli

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di aironi stanchi. E le mie gambe sottili anguille, e le braccia ranocchie. Eravamo piccini, diventati granelli. Poi ti ho vista rinascere battigia adulta nel boschetto anni dopo quercia a metà d’un polmone di vento. Eri diventata dell’aria, di tutto il silenzio. E io tornato a quel lido, spiaggia qualunque.

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postfazione

il nuovo bambù di antonio bux

Antonio Bux ha scelto il kevlar come simbolo per il suo libro di poesie. Il kevlar è il bambù dei poliammidi: rigido, resistente, tenace, elastico. Ma non è il bambù. E l’importanza che non lo sia dimostra l’intento di Bux di essere sì rigido, tenace, elastico, ma mai scontato. Kevlar è in realtà due libri, e ciò che collega entrambi è l’ambizione di imparare nuovamente a guardare, a pensare e ad essere davvero nel mondo. Kevlar è diviso in due sezioni, Capitanata e altre poesie e L’oppio di Barna. Come lo stesso poeta avverte nella sua introduzione, la prima sezione è legata più all’infanzia e alla memoria mentre la seconda alla sua esperienza catalana. La poesia che apre la prima sezione, e dunque il libro, non a caso si intitola “Ricordo Centrale”, e offre molte chiavi di lettura circa la poetica dell’autore. Tutta la sua poesia infatti, bisogna ricordarlo, porta in sé qualcosa del paesaggio, e anzi, è lo sguardo stesso del poeta a farsi paesaggio. E questo paesaggio di Bux è estremamente originale, lucido, intelligente, sorprendente. O, se si preferisce, tenace ed elastico allo stesso tempo, proprio come il kevlar. Bux contempla lo scenario della sua memoria e, con totale maestria, spinge verso il fondo di questo scenario tutto ciò che è paesaggio, avvicinando l’elemento base del ricordo tramite la scomposizione delle distanze e degli spazi, dando così una caratteristica

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onirica alla poesia, che altro non è che la creazione di un nuovo paesaggio, differente però dalla realtà e dalla memoria, perché in questo nuovo spazio si può intendere il passato, e la sua proiezione verso il presente, con una forma libera da preconcetti e luoghi comuni. Questo è ciò che Bux riesce ad ottenere: disfare i luoghi comuni per trasformarli in luoghi di riflessione, di rincontri che in realtà sono veri e propri ritrovamenti. In Ricordo Centrale, gli occhi di Marina di Lesina sono la spiaggia, e i suoi capelli i serpenti (chi sa se siano quelli della gorgone, capaci di pietrificare il poeta che contempla). Nel contempo, il resto della gente sulla spiaggia si fa distante, diventa paesaggio al cospetto della scena principale dove i protagonisti finiscono col convertirsi in piccoli granelli di sabbia. Questo procedimento di ricreazione dello spazio, di creazione di un nuovo luogo per il pensiero poetico, apre i confini del vero e permette, per esempio, come avviene nella poesia Foresta Umbra quando il poeta parla con un ulivo e l’ulivo gli risponde, di pensare il tutto non più come sola metafora o impersonificazione, bensì come qualcosa di verosimile, di comprensibile e profondo che è proprio del nuovo spazio creato dal poeta. Uno spazio nel quale ciascun atomo e ciascuna cellula pensano singolarmente, predisposti in maniera tale da capirsi e smentirsi allo stesso tempo, ma con l’intento di arrivare a un accordo che riporti il passato a un livello comprensibile, trasformando questo nuovo spazio in uno luogo abitabile per gli esseri che lo popolano: sconcertati da una parte ma, al tempo stesso, coscienti di abitarlo. Perché spesso nelle poesie di Bux si contrappongono due voci in apparente dialogo, che in realtà non è mai un dialogo propriamente detto: piuttosto si avvertono due voci che si incontrano nel vuoto e

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che, senza volerlo né saperlo, entrano in sintonia fino a convertirsi in un monologo dialogante. La ricostruzione forse spetta al lettore, ed è abilità del poeta far sì che questo sia possibile, oltre che necessario e arricchente. Bux lo ottiene, ed è un esito formale ulteriore, in un libro già così pieno di meriti. Dall’indiscutibile unità di pensiero e intenzione, L’oppio di Barna, seconda parte del libro, gode altresì di una autonomia propria. Quaderno di esplorazioni barcellonese, ha come titoli, per ciascuna poesia, i luoghi più caratteristici della città, e ciò potrebbe far pensare in prima istanza a Ciudad del hombre di Fonollosa. Tuttavia, Bux riesce a trapiantare dentro Barcellona il proprio paesaggio onirico, così come a ripercorrere una sua personale architettura, una sua cartografia giungendo fino al proprio dramatis personae. Il poeta in queste pagine si incrocia, tra i tanti, con Gabriel Ferrater, Ausiàs March o ancora Pere Gimferrer, ma non si tratta mai di facili omaggi libreschi, bensì di punti di fuga che propongono una chiave di lettura diversa. L’oppio di Barna, perciò, non è un mosaico turistico né una serie di poesie con impressioni più o meno vaghe. Ciò che Bux pretende e consegue è di ancorare il proprio mondo, da poco creato, al paesaggio reale, nel quale i differenti luoghi barcellonesi invitano alla meditazione sull’origine e al pensiero iniziatico del vissuto presente. Ripeto, non è una guida su Barcellona, anche se, senza dubbio, chi come me ha vissuto a Barcellona ritorna a vederla nel leggere queste poesie, ma con uno sguardo nuovo: uno sguardo che ci mostra non solo la Barcellona viva, ma anche la Barcellona pensata, suggerita e cartografata nuovamente da un pensiero profondo, intelligente, poetico e filosofico quale è il pensiero di Antonio Bux.

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In Kevlar, Antonio Bux dimostra definitivamente di essere un creatore nel senso più ampio della parola. Bux crea dapprima uno spazio nuovo, che non esisteva, per poi sovrapporlo a una città reale, come in quei libri turistici dove mediante la carta velina disegnata si può vedere come erano fatti i monumenti dei quali ora non restano che rovine. La poesia di Bux aggiunge così una dimensione alla realtà che in questo caso non è ricostruzione, bensì ricreazione. Non riporta al passato, né promette un futuro, ma apre la mente a una nuova prospettiva, a un nuovo spazio del pensiero. Pochi poeti ottengono questo. Bux, per farlo, dà un nuovo nome al bambù. Niente è ciò che sembra nel mondo creato dal poeta e, tuttavia, attraverso il poeta stesso, tutto è più di quel che sembra, rispetto a come poteva apparire a prima vista. Profondo verso l’esterno, vertiginoso al suo interno, il lettore ha tra le mani un libro di poesia singolare, rivelatore, capace di cambiare la prospettiva su come guardare il mondo. Una cosa è certa: uscendo da queste pagine il lettore non sarà più lo stesso. Martín López-Vega

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nota biobibliografica

Antonio Bux (Foggia, 1982) vive tra la Spagna e l’Italia. Suoi lavori e recensioni sono apparsi in numerose antologie (tra le quali: InVerse 2014/15 - Italian poets in translation; a cura di Brunella Antomarini, Berenice Cocciolillo e Rosa Filardi, Roma, John Cabot University Press, 2015) e sulle pagine culturali dei maggiori quotidiani nazionali (come «Corriere della sera» e «L’Unità») oltre che in diverse riviste (tra le quali «Poesia», «Italian Poetry Review», «La manzana poética») e lit-blog (come Nazione Indiana, Poesia 2.0, Vallejo&Co.) sia nazionali che internazionali, dato che molti suoi testi sono stati tradotti in varie lingue. Ha curato la traduzione del libro Finestre su nessuna parte (Roma, Gattomerlino Superstripes, 2015) dell’autore spagnolo Javier Vicedo Alós, oltre che la traduzione di testi scelti di numerosi autori, tra i quali Leopoldo María Panero e Julio Cortázar. Ha pubblicato vari libri (Disgrafie [poesie 2000-2007]; Trilogia dello zero; Turritopsis; 23 [fragmentos de alguien]; Sistemi di disordine quotidiano; Un luogo neutrale; Sativi; El hombre comido), due dei quali, scritti direttamente in spagnolo, sono usciti in Argentina. È risultato finalista al premio Lorenzo Montano (xxvii ed.) e ha vinto i premi Iris di Firenze (2014), Minturnae (2012-2013) e “Piero Alinari” (2014). Dirige, per le Marco Saya Edizioni di Milano, la collana «Sottotraccia», e cura il blog Disgrafie (antoniobux.wordpress.com).

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Indice 9 Nota dell’autore 11 Prefazione. Di radici e di viaggi di Vicenç Llorca i Berrocal

Prima parte

Capitanata e altre poesie

21 Ricordo centrale 23 Foresta umbra 25 Ininterrotta 27 Spaventaesseri 29 Pineta 31 Piovendo s’impara 33 Herdonia 35 Strada d’Alberona 37 Vico del Gargano 39 Contrada Cicerone 41 Piano delle Fosse 43 Calenella 45 Ipotesi Alaska 47 Vita degli iceberg 49 Dialoghi con Rio (prima parte) 51 Dialoghi con Rio (seconda parte)


53 Dialoghi con Rio (terza parte) 55 Un parallelo 56 London eating 58 Primi funghi 59 Schermo d’oppio 61 La piazza e la pazza 62 Distanze del rientro 63 Cimitero nero 65 Questo paese 67 Sant’Agapito 69 Il cavaliere e la tomba 71 La città della mia vita 74 U’ Fogg è ’nu squadron 76 Fuggi da Foggia

Seconda parte L’oppio di Barna

81 Raval 83 Barri Gòtic 85 Plaça d’Espanya 87 Passeig del Borne 89 Parc Güell 91 Las Arenas 94 Gràcia 96 Plaza del Tripi 98 Barceloneta 99 La Pedrera 101 Casa Batlló 103 Via Laietana 105 Montjuic 107 Horta 109 El Llobregat 111 Passeig de Colom 112 Avinguda del Paral.lel


114 Bogatell 116 Arc de Triomf 118 Boqueria 120 Torre Agbar 122 Tibidabo 123 Figueres 125 Sagrada Familia 127 Montserrat 129 Castello di Les Fonts 130 El Prat

133 Postfazione. Il nuovo bambù di Antonio Bux di Martín López-Vega 137 Nota biobibliografica


ungarettiana 1. Emma Pretti, I giorni chiamati nemici, pp. 84, 2010 2. Vera Lucia de Oliveira, La carne quando è sola, pp. 72, 2011 3. Leopoldo María Panero, Ianus Pravo, Senz’arma che dia carne all’«imperium», pp. 92, 2011 4. Patrizia Santi, Frammenti, periferici, pp. 56, 2013 5. Alberto Bertoni, Traversate, pp. 152, 2014 6. Marco Sonzogni, Ci vuole un fiore, pp. 72, 2014 7. Mario Moroni, Recitare le ceneri, pp. 96, 2015 8. Antonio Barolini. Cronistoria di un’anima, Atti dei Convegni di New York e di Vicenza nel centenario della nascita, a cura di Teodolinda Barolini, pp. xxx+342, 2015 9. Antonio Bux, Kevlar, pp. 144, 2016


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